CORSO DI LAUREA IN SCIENZE PEDAGOGICHE TESI DI LAUREA MAGISTRALE TITOLO IL CANE CHE HA VISTO DIO ANIMAZIONI PIXAR E PERCORSI EDUCATIVI Relatore: Prof.ssa Anna Antoniazzi Correlatore: Prof. Pino Boero Candidato: Igor Mazzetti ANNO ACCADEMICO 2013/2014 A Galeone e a tutti i miei Fratelli d’Anima Il Cane che ha visto Dio Animazioni Pixar e percorsi educativi UN’INTRODUZIONE PROLOGO I NARRARE I.I Creare I.II Formarsi I.III Riconosci Te Stesso II RACCONTARE II.I Per Sempre II.II Discendere II.III Ecce Homo II.IV Let me count the ways III ANIMARE III.I False distanze III.II Immaginando Mondi III.III Toys Stories III.IV A[ni]mare IV LA POESIA DELLE PICCOLE COSE IV.I Pixar IV.II Le vite degli altri IV.II.I Monsters, Inc. IV.II.II Hai paura? IV.III Di cielo, di mare IV.III.I Findig Nemo IV.III.II Gli anni della Tartaruga IV.IV The dawn of man IV.IV.I WALL•E IV.IV.I Down to Earth PER CONCLUDERE Appendice I Appendice II Appendice III Appendice IV Biblio-Video-Sitografia 1 5 6 6 12 16 20 20 24 28 40 42 42 45 53 62 65 65 67 68 74 80 81 87 95 95 103 111 116 118 121 122 124 ...Precognizione, invero, non è la parola più adatta, perché la conoscenza ne era esclusa. Piuttosto, la stranezza di quegli occhi ricordava l’idiozia misteriosa degli animali, i quali non con la mente, ma con un senso dei loro corpi vulnerabili, “sanno” il passato e il futuro di ogni destino. Chiamerei quel senso – che in loro è comune, e confuso negli altri sensi corporei – il senso del sacro... UN’INTRODUZIONE Agosto, estate 2012. Tirocinio professionalizzante post-lauream presso il centro S.O.S. Bambino di Croce Rossa. Uno dei tanti pomeriggi afosi trascorsi nell’immobilità estiva, dove la scuola è ormai un ricordo e il tempo del riposo tanto agognato non passa mai. L’ennesimo film di animazione visto e rivisto insieme ai bambini ancora una volta: Monsers & Co. «Tu sei Sulley, io Boo» fece a un certo punto la piccola Greta rivolgendosi a me... Da queste immagini, ora leggermente sbiadite, è nata l’intuizione per lavoro che vado introducendo. Intuizione che è certamente banale nei contenuti ma che ha instillato in me l’idea, o forse l’esigenza, di riflettere intorno al tema della narrazione contemporanea, impiegando tali riflessioni in ambito accademico in un modo che cerca di essere, se non originale, sicuramente personale nella sua esposizione. In primo luogo, prenderò in analisi il concetto di narrazione nel tentativo di definirlo secondo i suoi princìpi estetici e di conseguenza pedagogici all’interno del contesto di vita umano, cioè come esso si presenta e a quale funzione assolve, assumendo che una ne abbia. La mia esperienza in proposito ritorna a Greta, perché la bambina senza nemmeno saperlo mi ha mostrato un minuscolo frammento di Verità, 1 quella Verità segreta che si cela dietro tutte Storie che diventiamo e che, infine, crediamo di essere. Un nome, una nazionalità, una cultura, elementi necessariamente delimitanti quindi serenamente accettati seppur artificiali; sovrastrutture che l’uomo da sempre si racconta come essere sociale al fine di convivere, così forse, nell’aggregato umano. Qui debbo fermarmi, poiché credo di invadere un terreno che non mi appartiene, dato che questa, purtroppo, non vuole essere una tesi di filosofia: voglio soltanto trattare di Storie. Cosa sono le Storie? Cosa rappresentano? Come si manifestano? Si Narrano o si Raccontano? Per quanto tempo vivono? Muoiono? O meglio, chi sono le Storie? Art Garfunkel risponderebbe che sono the things we’ve handed down1, cioè le cose che ci sono passate per le mani. Siamo davvero noi le nostre Storie? Oppure possiamo essere anche quelle che vengono raccontate dagli altri? La piccola Greta può essere la piccola Boo e Igor Sulley, quindi può la loro amicizia interpretata dai personaggi animati essere la sintesi, il simbolo della loro amicizia reale, concreta, umana? Questi pensieri non sembrano essere niente di nuovo poiché nell’antichità già si parlava di catarsi a proposito della purificazione delle passioni attuata tramite l’immedesimazione durante la rappresentazione tragica. Anche Vladimir Propp ci insegna che i racconti non sono altro che modi sublimati di inserire nella società civile le cerimonie iniziatiche già vissute dai primitivi. Ogni forma d’Arte si presenta come una Narrazione di contingente ed arcaico impiegando quei linguaggi 1 Marc Cohn, The things we’ve handed down. In Art Garfunkel, Songs from a Parent to a Child, traccia #6. 2 specifici che infine la determinano. Il mio interesse riguarda il fatto di indagare come l’Arte del Raccontare divenga Narrare, cioè la modalità grazie alla quale siamo in grado conoscere, riconoscere, ricordare, ex-ducere chi siamo. Ma... vi è davvero Narrazione intorno a noi, oggi? A tal proposito, la struttura del lavoro seguirà una manifestazione particolare del Narrare e del Raccontare poiché ritengo essa esemplifichi chiaramente la tendenza estetica della nostra contemporaneità cross-mediale, dove in ogni opera umana linguaggi differenti si contaminano: l’Animazione. Mi riferisco, dunque, al Cinema d’Animazione sebbene mi prefigga di considerare, al fine di non aprire un discorso che risulterebbe essere inefficacemente ponderoso, solo una porzione precisa di tale cinematografia – Pixar Animation Studios – nell’applicare le riflessioni che emergeranno all’analisi di tre pellicole particolarmente significative della mia esperienza di vita intrapresa sin qui. Come già anticipato, decido quindi di dare un taglio personale a queste righe che vanno a completare un percorso formativo per certi versi necessariamente difficile. Parlerò di me, con me e per me; e proprio al fine di trovare una coerenza in questi miei pensieri, l’aspetto della tesi verrà subordinato a tale stile, partendo ovviamente dal suo titolo. Il Cane che ha visto Dio è un racconto del Maestro Dino Buzzati pubblicato per la prima volta nel 1968 nella raccolta La Boutique del Mi- 3 stero, e ogni passo del qui presente lavoro sarà incorniciato da alcune riduzioni di esso in modo tale da costruire una narrazione dentro la narrazione. Benché sia particolarmente legato all’Autore e al racconto, la scelta di inserirlo in modo così presente non è di natura esclusivamente affettiva, ma anche intellettuale, poiché questa Storia realizza perfettamente la mia idea di Narrazione Pedagogica, la quale soprattutto dev’essere in grado di evocare Meraviglia, cioè quel moto di scuotimento dal quotidiano, di rottura dell’abitudine, la sollecitazione che consente di destarci dall’Ennui della vita divorata dal tempo. Infatti, l’Arte è Pedagogia, e la Pedagogia è Arte. Al di là del contenuto, essa è la chiave per decriptare gli incubi che abbiamo dentro, e la ricchezza di un linguaggio composito ne amplifica l’effetto, svelando il trucco della paura di vivere la nostra solitudine. Sarà pertanto una tesi che cercherà di attingere da più codici intrecciando realtà e fantasia, vuoto e pieno, pensieri e immagini nel tentativo di dare una forma tangibile alla riflessione che ho disordinatamente introdotta sin qui... per immaginare, forse, meravigliandomi... 4 PROLOGO Per pura malignità, il vecchio Spirito, ricco fornaio del paese di Tis, lasciò in eredità il suo patrimonio al nipote Defendente Sapori con una condizione: per cinque anni, ogni mattina, egli doveva distribuire ai poveri, in località pubblica, cinquanta chilogrammi di pane fresco. All’idea che il massiccio nipote, miscredente e bestemmiatore tra i primi in un paese di scomunicati, si dedicasse sotto gli sguardi della gente a un’opera cosidetta di bene, a questa idea lo zio doveva essersi fatto, anche prima di morire, molte risate clandestine. Nei primi giorni gli amici di Defendente anticiparono apposta la sveglia per andarlo ad ammirare nelle sue nuove funzioni. Fermi in un gruppetto sulla porta lo osservavano beffardi. «Te lo prepari, eh, un posto in paradiso? E bravo il nostro filantropo!» «All’anima di quella carogna!» rispondeva lui lanciando le pagnotte in mezzo alla calca dei pezzenti che le afferravano al volo. Nella stessa estate il vecchio eremita Silvestro, saputo che di Dio in quel paese ce n’era poco, venne a stabilirsi nelle vicinanze. A una decina di chilometri da Tis c’era, su una collinetta solitaria, il rudere di una cappella antica: pietre, più che altro. Qui si pose Silvestro, trovando acqua da una fonte vicina, dormendo in un angolo riparato da un resto di volta, mangiando erbe e carrube; e di giorno saliva ad inginocchiarsi in cima a un grosso macigno per la contemplazione di Dio. Invano aspettò che qualcuno comparisse... 5 I NARRARE Nottetempo, in direzione della cappella abbandonata, i contadini della zona cominciarono a scorgere strane luci. Pareva l’incendio di un bosco, ma il bagliore era pallido e palpitava dolcemente. Senza difficoltà i contadini dedussero che quella era la luce di Dio. Un mattino Defendente Sapori stava distribuendo le pagnotte ai poveri quando un cane entra nel cortiletto, una bestia apparentemente randagia, abbastanza grossa, pelo ispido e volto mansueto. Sguscia tra gli accattoni, raggiunge la cesta, afferra il pane e se va lemme lemme. Non come un ladro, piuttosto come uno che sia venuto a prendersi del suo. I.I Creare Il poeta vede quello che il filosofo pensa. Così Charles Simic1 canta il sublime mistero che si cela dietro l’Arte Poetica, che è capacità di immaginazione, cioè di generare immagini, creare attivamente nuove rappresentazioni al fine di descrivere gli oggetti che pervengono al nostro sistema percettivo, i quali sono, per altro, già astratti, intangibili, psichici. Si potrebbe affermare, dunque, che immaginando il nostro appara1 Charles Simic, Il mostro ama il suo labirinto, p. 48. 6 to psichico crei rappresentazioni del mondo che a sua volta è già rappresentato? E ancora, potrebbe dirsi l’Immaginazione una capacità di riformulazione del reale secondo ciò che la nostra Psyché ritiene tale? Insomma un modo per Narrare la realtà ricostruendola? In tal senso, l’Arte sarebbe lo strumento narrativo per elezione poiché essa consiste in quell’atto creativo che rappresenta il reale immaginandolo secondo l’intuizione del significato umano e ulteriore. Essa è un processo attivo e sintetico. In seguito a questi ragionamenti, prima di iniziare a esplicitare l’accezione che in questa sede intendo attribuire all’atto del Narrare, è necessario che rifletta intorno al concetto di Arte relativamente al rapporto che, a mio avviso, lega la produzione estetica al predicato verbale che intitola questo capitolo. Per ovvie ragioni, l’esposizione di tale categoria filosofica sarà frammentaria e superficiale, tuttavia, mi auguro, funzionale al discorso che vado costruendo in queste pagine. Avviandone l’analisi da un punto di vista linguistico, secondo l’Enciclopedia Treccani l’Arte sarebbe “in senso lato, ogni capacità di agire o di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati.”2 Un insieme di regole e procedimenti, di teorie e tecniche. Una sintesi tra astratto e concreto. Interessante è ancora approfondirne l’etimo “dal lat. ÀR-TEM (che cfr. con sscr. RTÌ = ARTÌ maniera) dalla rad. 2 Treccani.it Enciclopedia Online, <http://www.treccani.it/enciclopedia/arte/>, cons. 201408-04. 7 ariana AR, che in sscr-zendo ha il senso principale di andare, mettere in moto, muoversi verso q. c., onde poi ne viene l’altro di aderire, attaccare, adattare […].”3 che ne sottolinea il carattere di attività e produttività. Da questi elementi conoscitivi emerge il carattere creativo dell’Arte, cioè quel movimento teso a mettere in atto, a realizzare in un elemento concreto ciò che inizialmente concreto non è grazie a un codice convenzionale che ne delimiti le caratteristiche. Nel primo caso, osservo che la produzione artistica può essere determinata da forme di comunicazione aderenti a un insieme di regole atte a indirizzare l’attività umana in vista di determinati risultati, cioè le Opere. Nel secondo, è possibile risalire al significato primitivo del termine che è predicativo poiché rimanda a un’azione piuttosto chiara: andare o muoversi verso qualcosa. Della creazione artistica, noi possiamo osservare solo la sintesi: da un lato un prodotto socialmente fruibile, particolare, materiale, e dall’altro un contenuto formale risultato da un’attività contemplativa che cerca di conferire un significato all’Opera; per tale motivo l’Arte è un’azione poietica. Certamente, già più di due millenni prima della mia nascita, Aristotele descrive con maggiore profondità quanto sto cercando di affermare, e per tale ragione mi riferirò in maniera più esplicita al Suo Pensiero. Ebbene, il Filosofo indica come virtù dianoetiche quei percorsi intellettivi di somma conoscenza verso cui l’uomo può tendere secon3 Ottorino Pianigiani, Dizionario Etimologico Online, <http://www.etimo. it/?term=arte&find=Cerca>, cons. 2014-08-04. 8 do la guida dell’Anima Razionale, quali sono le scienze teoretiche – la metafisica, la matematica, e la fisica; le scienze pratiche – l’etica e la politica; e le scienze poietiche. Sebbene lo abbia già reso noto, in ossequio al pensiero del Filosofo e della Conoscenza intera, preferirei, prima di continuare, rendere ancor più esplicito, se possibile, il mio modus operandi – anzi, scribendi – in questa sede: le informazioni quivi riportate, di questo si tratta poiché esse non possono rientrare nemmeno nel novero delle nozioni, sono superficiali, incomplete e sintetiche allo stremo, purtuttavia utili, mi auguro, alle successive trattazioni, le quali, come già annunciato, non vogliono e possono avvicinarsi minimamente alla filosofia ma cercano di sostenere una riflessione, mi auguro, sui concetti di Narrare e Raccontare trasversalmente alle epoche, alle discipline di riferimento e ai canali divulgativi. Ritornando al pensiero di Aristotele, interessante sarebbe prendere in considerazione esclusivamente il concetto di scienze poietiche e di ciò che ne consegue rispetto alla questione iniziale. Secondo il Filosofo, questa scienza consentirebbe all’uomo di creare un’opera attribuendo alla materia un significato ulteriore; in altri termini la produzione artistica sarebbe un modo per conferire una Verità universale còlta tramite l’intelletto a un elemento inerte della realtà plasmandolo secondo una nuova forma. Infatti, le scienze poietiche possono essere intese come scienze produttive, le quali si riferiscono chiaramente al concetto di ποίησις, di creazione, e trovano, pertanto, nella Poesia la loro forma regia. L’Arte è Creare che a sua volta è Poetare. 9 Se, come afferma lo Stagirita nell’opera Poetica “la poesia è cosa più nobile e più filosofica della storia, perché la poesia tratta piuttosto dell’universale, mentre la storia del particolare”4 essa non dipende direttamente dall’oggetto,5 cioè non riceve la forma dal suo contenuto, ma da ciò che avviene oltre. Per tale motivo la Poetica per elezione, secondo Aristotele, è il componimento tragico proprio perché in esso verrebbero rispettati i criteri estetici della verosomiglianza e della necessità, i quali impongono di narrare non ciò che è avvenuto, come nella storiografia, ma ciò che potrebbe avvenire. Tali dissertazioni possono venire ampliate grazie a due elementi fondamentali della riflessione del Filosofo sull’Arte: la mimesi e la catarsi. La mimesi artistica può essere intesa come quell’attività che ricrea un oggetto secondo una nuova dimensione partendo dall’imitazione della realtà; qui ritornerei alla legge della verosomiglianza in quanto essa consente di attuare una coesione intrinseca e spirituale con il fatto rappresentato nell’opera pur distaccandosene,6 infatti “il poeta deve essere facitore piuttosto di racconti che di metri, in quanto è poeta rispetto all’imitazione ed egli imita le azioni.”7 L’Arte è tale solo se imita le azioni in modo attivo, narrandole, e quindi le rappresenti aggiungendovi una parte di sé. Utilizzando una metafora, l’Artista, quindi il Poeta, è un fabbricante di specchi, e l’uo4 Aristotele, Poetica, 1451b. 5 v. Giovanni Reale, Dario Antiseri, Storia della Filosofia dalle origini a oggi, parte VI cap.X. 6 ivi 7 Aristotele, Poe, 1451b. 10 mo contempla l’Opera cercando di scorgere ciò che solitamente non gli è dato conoscere: la propria immagine. Osservando il riflesso di se stesso, il discente non trova altro che il suo volto, attivando così un processo di auto-conoscenza al fine di avvicinarsi sempre più alla Verità che gli è solitamente inaccessibile. Inoltre, se “la tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e compiuta, avente grandezza, in un linguaggio adorno in modo specificamente diverso per ciascuna delle parti, di persone che agiscono e non per mezzo di narrazione, la quale per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni”8 ne consegue che l’Arte ha una chiarissima funzione pedagogica in quanto a) è formativa conducendo il fruitore lungo il percorso di conoscenza della Verità b) è educativa consentendo allo stesso di attuare quella purificazione delle passioni che il Filosofo individua nella catarsi. Tale concetto consisterebbe in una sublimazione dei moti istintuali mossi dalla rappresentazione tragica e correlati alla propria immagine riflessa in un contesto socializzato, nonché addirittura in una rimozione momentanea delle passioni successivamente a un processo fisiologico9 di scarica emotiva, ciò che potrebbe venire inteso con il termine psicoanalitico di abreazione. Ma la funzione pedagogica dell’Arte non si limiterebbe solo a questi due elementi, poiché, ovviamente non nei termini in cui vado a esporlo, Aristotele riflette intorno a un concetto che diverrà fondamentale nel contesto della formazione umana, quale concetto viene 8 id. 1449b. 9 v. Giovanni Reale, Dario Antiseri, Op. Cit. 11 identificato come causa di ogni movimento di evoluzione spirituale: θαῦμα. Traducibile in italiano come prodigio, miracolo, quindi stupore, meraviglia, colui che prova Thauma viene attraversato da un brivido di inquietudine che impone di uscire fuori dalla condizione attuale e cercare il luogo dal quale veramente si proviene, e infatti “gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia.”10 Esule dalla sua origine, l’uomo prova un senso di meraviglia che invero è paura, emozione, energia, terrore, forza vitale, un senso di inaccessibile consapevolezza di quella Verità che egli non può conoscere e che allora si limita ad amare. Così nascono i filosofi, la filosofia e i grandi uomini che tendono verso la sapienza; e infine l’Arte, la magnifica narrazione di ciò che immaginiamo sia la Verità imitando il divenire caotico, ricreandolo e ricreandoci in essa secondo la nostra nuova forma. Conseguentemente a tutto ciò, l’Arte ha una responsabilità preponderante nella Pedagogia umana poiché essa si fa strumento educativo nella catarsi, cioè in quel processo di purificazione che consente di ex-ducere le emozioni insegnando a conoscerle, nonché formativo nel momento in cui la meraviglia imporrà a chi contempla l’Opera di intraprendere un percorso di conoscenza del Vero iniziando così a Formarsi secondo la propria vera Forma. I.II Formarsi Certamente, secondo Aristotele ogni Opera Poetica Tragica è una ������������������������������� Aristotele, Metafisica, 982b. 12 narrazione in quanto riformulazione di una porzione della realtà, la quale soventemente riguarda una dimensione interiore dell’uomo in modo tale da facilitarne il processo catartico. Infatti, l’Edipo di Sofocle non è soltanto la figura mitologica legata alla città di Tebe, ma è un essere umano che vive le disgrazie più oscure in un modo che ogni uomo potrebbe sperimentare nella stessa condizione, così come la figlia Antigone diviene il simbolo di chi resta fedele sempre agli dei e agli affetti a costo di contravvenire alle inique leggi umane. È noto quanto le Grandi Dionisie fossero, ancor prima di essere una competizione tra poeti e una manifestazione religiosa dedicata al culto Dioniso, una altissima occasione pedagogica per il popolo ateniese che cercava di scorgere il proprio riflesso nei metri del componimento tragico, quel racconto che avesse come soggetto proprio l’uomo e i suoi mostri interiori. Tra le grandi Opere, i Persiani di Eschilo rappresenta la narrazione pedagogica che in questa sede vorrei prendere in considerazione al fine di avviare il discorso relativo a quello che sarebbe, per lo scrivente, il significato di Narrare. Scrive, a proposito de i Persiani, Ezio Savino rifacendosi alla trattazione sulla Poetica di Aristotele alla quale ho fatto cenno sopra “nessuna analisi critica può cogliere l’altezza dei Persiani più complessivamente di questa sintetica teorizzazione aristotelica [opposizione tra storiografia, che descrive il particolare, e poesia, che descrive l’universale tramite il verosimile e il necessario] che pure, negando ogni possibilità di fusione tra poesia e storia, pare relegare il testo eschileo, che ha per tema un evento storico reale, fuori dal terreno privilegiato della creazione artistica. In realtà i Persiani costituiscono un prodigioso crogiolo di storia e poesia […].”11 ��������������������������������������������������������������������������������������� Eschilo, Prometeo incatenato - I Persiani - I sette contro Tebe - Le supplici, p. XLI 13 Messa in atto nel 472 a.C., il contenuto della tragedia i Persiani si ispira alle vicende realmente verificatisi, otto anni prima, nella battaglia di Salamina tra l’Impero Persiano di Serse e la Lega delle Città Greche, di cui la flotta navale guidata da Temistocle ed Euribiade sconfigge l’invasore orientale grazie a un eccellente piano strategico nonostante la minoranza numerica. Tuttavia, Eschilo di ciò non descrive i fatti a scopo celebrativo, ma Narra ciò che si cela oltre, e anzi cerca di interpretare il punto di vista dei vinti rappresentando la loro disperazione piuttosto che la raffinatezza del politropo genio militare dei Danai. Sebbene agli spettatori contemporanei di Eschilo questa tragedia non dovesse sembrare così incoerente rispetto al solito ditirambo a soggetto mitologico – per altro già quattro anni prima il tragediografo Frinico metteva in atto un’opera avente lo stesso soggetto e già altre di carattere storico12 – a noi lettori moderni certamente essa risulta inusuale colpendo, per ciò, con maggiore vigore la nostra attenzione. Eppure, ciò su cui vorrei riflettere, come già anticipato, non è tanto il significato estetico o storico del dramma, quanto più ciò che rappresenta nell’economia del discorso che ho affrontato e ho intenzione di affrontare. Doveroso sarebbe, finalmente, riportare la definizione della parola Narrare, il cui significato linguistico riguarderebbe il fatto di “esporre o rappresentare, a viva voce o con scritti o altri mezzi, vicende, situazioni, fatti storici e reali, oppure fantastici, vissuti o, più spesso, non vissuti in prima persona, riferendoli in modo ampio e accurato e nel ��������������� v. id. XL-XLI 14 loro svolgimento temporale”13 e l’etimo “fr. narrer: = NARRÀRE contratto dall’antiquato GNARIGÀRE, che trova suo fondamento nella sua rad. GN - conoscere, render noto, onde il sscr. gnânam cognizione, caduta la G come nel lat. nòscere=gnòscere; e IGÀRE per ÀGERE fare, che indica azione. Far conoscere raccontando; esporre partitamente alcuna cosa, a fine di dare notizia altrui.”14 Articolando gli elementi di riflessione esposti sin qui in un unico pensiero comprensivo, l’Arte è sintesi attiva di realtà e interiorità – un creare secondo mimesi di materia e forma – quindi portatrice di senso, il quale si mostra attraverso lo stile della verosomiglianza permettendo così all’uomo che contempla l’Opera di avvicinarsi alla conoscenza di quella Verità nascosta nel contingente, cioè se stesso. E se narrare significa rendere noto qualcosa tramite un atto comunicativo codificato, Poetare diventa Narrare tramite l’Arte, e Pedagogia e Poesia coincidono nella loro azione creativa, conoscitiva, formativa ed educativa: la Narrazione. In tal senso, i Persiani non tratta di guerra, di vincitori, di vinti, di strategie, di lotte, di generali e di tiranni, ma rappresenta, piuttosto, la voce degli abissi universali dell’Anima. Dal fatto storico, il contingente, il Poeta immagina l’universale e lo narra attraverso la disperazione dei vinti, che sarebbe stata la medesima dei vincitori qualora questi non fossero stati tali. La Narrazione Pedagogica è tale se presenta una Verità camuffata da Realtà, cioè nel momento in cui essa parla di noi attraverso l’altro. �������������������������������������������������������������������� Treccani.it, Op. Cit., http://www.treccani.it/vocabolario/narrare/ ������������������������������������������������������������������ Ottorino Pianigiani, Op. Cit., http://www.etimo.it/?term=narrare 15 Siamo, dunque, Ettore quando, nonostante la consapevolezza di rimanere uccisi, scendiamo sul campo di battaglia del mondo col nostro lucente elmo sovrastati da un nemico invincibile; siamo Achille quando lottiamo disperatamente solo ed esclusivamente per le persone che abbiamo amato; o ancora Didone, se mortalmente offesi nell’oltraggio al nostro Amare. La Narrazione siamo noi stessi, e vivendone l’aspetto estetico in essa continuiamo a riconoscerci. I.III Riconosci Te Stesso I concetti considerati sin qui vengono affrontati, in epoca contemporanea, da Jerome Bruner, il quale pone al centro della sua riflessione sullo sviluppo dell’apparato cognitivo il concetto di pensiero narrativo in quanto strumento della mente atto a formulare e creare significato.15 L’Autore infatti sostiene che “parlare di noi a noi stessi è come inventare un racconto su chi e cosa noi siamo, su cosa è accaduto e sul perché facciamo quello che stiamo facendo”16 attribuendo alla funzione narrativa, e in questo senso autobiografica, una capacità di rappresentare la rappresentazione, di generare cioè un metapensiero che contribuisca a disegnare i confini del nostro Sé. Più precisamente, il Sé è un concetto tuttora controverso nel dibattito della psicologia dinamica, e in questa sede ne vorrei considerare la �������������������������������������������������� v. Jerome S. Bruner, La cultura dell’educazione. ������������������������������������������������������� Jerome S. Bruner, La fabbrica delle storie, pp.72-73. 16 definizione di Heinz Kohut, il quale afferma che sia “la base del nostro senso di essere un centro indipendente di iniziativa e di percezione, integrato con le nostre ambizioni e con i nostri ideali più centrali e con la nostra esperienza che la mente e il corpo formano un’unità nello spazio e un continuo nel tempo.”17 L’Autore si riferisce a un aspetto particolare di questo costrutto psicologico, il Sé Nucleare, cioè l’istanza psichica più profonda, l’architettura portante della nostra personalità. Emerge anche nelle parole sopracitate l’esigenza unificatrice attribuita a questa struttura fondamentale, la quale è responsabile della coerenza della nostra esistenza al fine di collocarne le esperienze in un contesto di spazio e tempo: il Sé è la sintesi tra mente e corpo. La chiave per poter svolgere la matassa della nostra interiorità profonda, la quale è, dunque, sintesi ossia bisogno di unificare, non può che essere una ulteriore azione sintetica, cioè Narrare, dove contingente e universale si fondono nell’armonia dell’Arte. Le componenti della nostra Storia, cioè le nostre vicende esistenziali, rimangono solo fatti senza una trama che le unisca; l’atto del Narrare diventa un modo per rendere noto, esplicito l’intreccio della nostra vita al fine di comprendere il significato di ogni suo elemento costitutivo.18 Ciò risulta evidente anche da una analisi superficiale di ogni metodologia psicoterapeutica. In conclusione, riassumendo quanto esposto sin qui, a) l’Arte è, nella sintesi tra particolare e universale, creatività narrativa b) quindi ������������������������������������������� Heinz Kohut, La guarigione del Sé, p.162. �������������������������������������������������� v. Jerome S. Bruner, La ricerca del significato. 17 narrazione di eventi o agenti materiali filtrati attraverso l’interiorità profonda c) al fine di rendere nota una verità nascosta all’individuo d) il quale riconosce se stesso Narrandosi nella Narrazione. Sebbene sperimentarsi in tal senso sia il primo passo verso un percorso di ricongiungimento con la propria verità essenziale, non necessariamente Narrarsi può essere l’unica via per attuare tale itinerario di conoscenza. Infatti, il soggetto resta sempre, in questo discorso, Uomo inteso come solitudine esistenziale, entità unica che rivive la propria interiorità all’interno di se stesso. Ma egli non è solo. Egli ha bisogno dell’altro per definire i propri confini nonostante questi siano una limitazione, una forzatura, una sovrastruttura. Una legge, che obbliga e tutela, una società, che riconosce e costringe, un Amore, per cui si vive e si muore: nell’esprimere la piena potenzialità del nostro Sé, dobbiamo confrontarci con ciò che il nostro Sé non è. Occorre, sempre, sperimentarsi nell’aggregato umano nel quale l’insieme genera sovra-narrazioni, le declinazioni dei diversi modi del vivere comunitario. Tale è il concetto di Cultura il quale, per il suo carattere di arcaica complessità sovrastrutturale, non riesce a venire descritto dall’atto del Narrare poiché esso utilizza i codici dell’interiorità, che è specifica per ogni vicenda esistenziale. Nella Cultura la tensione verso la descrizione del vero originale, quindi universale, viene attuata tramite un altro predicato che, apparentemente, vorrebbe semplificarne la complessità: l’atto del Raccontare. 18 Narrandoci riconosciamo noi stessi e Raccontiamo così le Storie che siamo stati prima di attraversare le porte dell’esistere; ma se cerchiamo di ricordare quell’oceano del tempo, siamo ottusi come se avessimo bevuto un veleno, il veleno della vita, e allora siamo in grado di formare solo mezzi pensieri,19 mentre ci accontentiamo delle malinconie dell’eterno perduto, dei sottili frammenti di infinito, dei Racconti e delle Storie, delle Fiabe e delle Favole. Dell’Uomo che c’era ma che non c’è. Defendente aspettò che l’animale si allontanasse un poco, per non metterlo in allarme. Poi balzò sul sellino della bicicletta e dietro. Cammina cammina, ecco che cominciano i boschi, e il cane zampetta via per una strada laterale e poi in un’altra ancora più stretta ma liscia ed agevole. È già esasperato quando, in cima ad un arido declivio, vede un grande macigno: sopra il macigno è inginocchiato un uomo. E allora gli torna alla mente l’eremita, le luci notturne e tutte quelle inutili fandonie. «Benvenuto fratello» lo previene Silvestro. «Tu! Il mio pane non è fatto per essere rubato» fa l’altro, e l’eremita «Hai ragione, vuol dire che Galeone non andrà più in paese...» ��������������������������������������� Howard Phillips Lovecraft, Celaphaïs. 19 II RACCONTARE Passarono le settimane e i mesi finché arrivò l’inverno coi fiori di gelo alle finestre. Una notte di ghiaccio e di stelle, là verso nord, in direzione della antica cappella abbandonata, furono scorte grandi luci bianche come non erano state viste mai. Il giorno dopo, portata non si seppe da chi, si sparse pigramente la voce che durante la notte il vecchio Silvestro era morto assiderato. Lo trovarono disteso sulla neve; e accanto a lui, seduto, il cane Galeone che piangeva. II.I Per Sempre Ma quanto vive l’uomo? Vive mille anni o uno solo? Vive una settimana o più secoli? Per quanto tempo muore l’uomo? Che vuol dire per sempre? Che vuol dire per sempre? si chiede il Poeta.1 Certo, per noi esseri umani eterno è una categoria difficilmente concepibile, e questa è un informazione che tutti i filosofi, nel corso della storia, ci hanno fornito. Forse è proprio ciò per cui la Filosofia è nata, cioè per spiegare 1 Pablo Neruda, Ma quanto vive l’uomo? p.9. 20 quello che si trova dentro e oltre il divenire, il nascere, il crescere, il morire. Tuttavia, l’uomo non-filosofo ha trovato una soluzione meno complessa per vivere l’inquietante interrogativo che è l’esistere: la memoria. Ricordando, gli esseri umani conservano tutti quei vissuti che fanno parte di una Storia che trascende, talora, le vicende del singolo rimembrante. Che ciò serva solo a rassicurarci, a fornirci un contenitore fatto di sentimenti, parole, simboli, codici, istituzioni? Abitudini, usi e consuetudini che ci appartengono senza appartenerci? Può essere, dunque, una Famiglia, un Nome, una Cultura il bicchiere che contiene il distillato di infinito che è la nostra Essenza? Spaventati, ci attacchiamo ai fili invisibili della memoria credendo di essere le nostre appartenenze. Tralasciando queste digressioni, nel capitolo precedente è emersa la funzione sintetica della Narrazione in quanto momento creativo di disvelamento del proprio significato, un soliloquio comunicato che si esprime, a livello condiviso, nell’Opera d’Arte. Essere in grado di Narrare significa essere in grado di riconoscersi nel senso interiore e ulteriore del proprio divenire secondo una rappresentazione sintetica della Verità che evoca un moto di meraviglia. Differente, all’interno di questo lavoro, è il significato che vorrei attribuire al predicato che intitola il presente capitolo – sebbene esso venga, generalmente, concepito come un sinonimo di quello appena sopra riassunto; quindi, lo scopo che quivi mi prefiggo consiste nel capire se effettivamente essi possano essere considerati due azioni poietiche distinte ma convergenti in 21 un unico intervento pedagogico creativo. Procedendo per gradi, doveroso sarebbe riportare la definizione del lemma “Riferire fatti o parole, spec. a voce: [...]. Più generalmente equivale a narrare, ma ha tono più fam. e meno solenne; è usato quindi, di preferenza, quando si tratta di fatti privati e quando il discorso è fatto senza particolare cura o arte: [...]; talora anche usato per narrazioni di carattere letterario, sempre tuttavia fatte con tono familiare: [...].“2 quindi la sua radice etimologica “composto della particella RE indicante ripetizione, AD verso e CONTÀRE narrare (v. Contare)”3 insieme a quella di contare “[...]; dal lat. COMPUTÀRE (v. computare), col quale ha in comune il significato di Numerare, Annoverare [...], onde sono derivati o per estensione o per similitudine tutti gli altri sensi, non escluso quello di Aver credito, autorità, e l’altro di Raccontare [...], che è «un enumerare narrando e descrivendo» [...].”4 Molto interessante. Nel primo caso osservo la presenza di un accento sul carattere informale del verbo Raccontare, il quale assume connotati di familiarità e confidenza o come sinonimo di menzionare, passare in rassegna mentre, per quanto riguarda l’etimo, Pianigiani sostiene che sia un composto strutturato sul verbo contare inteso come “enumerare narrando e descrivendo” con l’aggiunta della particella re- che indica ripetizione e la preposizione latina -ad-, ottenendo così “narrare, enumerare, valutare di nuovo verso, intorno, presso qualcosa”. 2 Treccani.it, Op. cit. <http://www.treccani.it/vocabolario/raccontare/>, cons. 2014-08-12 3 Ottorino Pianigiani, Op. cit. <http://www.etimo.it/?term=raccontare&find=Cerca>, cons. 2014-08-12 4 id. <http://www.etimo.it/?cmd=id&id=4408&md=17a2179e76bf605562ea42058c7a1bd6>. 22 Superficialmente, in entrambi i significati riportati sembra che Raccontare si riferisca all’azione di trasmettere certune informazioni secondo diversi canali comunicativi; tuttavia, avendone approfondito leggermente l’origine, benché non abbia le competenze né del linguista né dell’etimologo, tale predicato si mostra come un atto caratterizzato da un fine ovviamente conoscitivo, ma inaspettatamente ripetitivo. Prima differenza tra l’atto del Narrare e quello del Raccontare: il primo non include una ricorsività, mentre il secondo sì. Continuando in questo senso, Mario Gennari sostiene che “la forma del mondo trova un’espressione sostanziale (da “sostanza”) nelle sintesi enciclopediche a cui le diverse culture [...] hanno dato corpo”5 intendendo per forma uno degli elementi ontologici fondamentali – responsabile insieme all’essenza e all’idea della formazione umana – che non consiste solo nell’aspetto esteriore delle cose, ma in ciò che determina tale aspetto, cioè la matrice, l’astrazione che specifica i diversi modi di vivere nel mondo; e la declinazione che essa assume formulandosi come insieme di saperi diviene dunque enciclopedia, che l’Autore descrive come “un deposito gnoseologico dove si sedimentano le conoscenze del mondo prodotte dalle differenti epoche.”6 Interessante è la conseguente riflessione etimologica relativa al termine enciclopedia, la quale si riferisce al concetto di circolarità formativa (enkyklios paideia). 5 Mario Gennari, L’eidos del mondo, p. 133 6 ibid. 23 È dunque possibile che il carattere di ricorsività individuato nell’analisi del termine Raccontare possa essere in qualche modo correlato al concetto di Enkyklios Paiedeia? Cioè che la circolarità formativa si possa esprimere attraverso l’atto del Raccontare in quanto narrazione ripetuta che ha come oggetto quel deposito gnoseologico proprio delle Enciclopedie? Se così fosse, sarebbe plausibile pensare che raccontando rendiamo nuovamente note delle Storie già scritte in un patrimonio di conoscenza pregresso e comune a chiunque se ne faccia interprete o discente. Ma, infine, che cosa raccontiamo? E per quanto tempo? II.II Discendere James Hillman formula una teoria psicologica7 che cerca di individuare la causa di alcuni dei comportamenti umani – in particolare nella sfera delle aspirazioni professionali e delle attività vocazionali8 – riferendosi alla mitologia classica. In particolare, l’Autore, citando il mito di Er,9 individua nella presenza di un Daimon l’origine della spinta vocazionale di alcuni esseri umani che si auto-realizzano in attività particolari manifestando, inoltre, spiccate attitudini nella medesima sfera creativa anche in età molto precoce. Infatti, il Daimon è un’entità spirituale, un guardiano, un angelo custode conferito da Lachesi 7 v. James Hillman, Il codice dell’anima. 8 dal termine anglosassone vocational, cioè riferito alla vocazione per una certa attività lavorativa. 9 v. Platone, La repubblica, libro X. 24 all’Anima dell’uomo prima della sua futura esistenza con il compito di proteggerlo e di assicurare il corretto svolgimento del suo destino terreno. In conclusione, nell’opera Il Codice dell’Anima Hillman indica un modello interpretativo che si discosta dall’analisi della personalità propriamente detta paragonando l’esistenza umana a una discesa dell’Anima nella vita, concependo così l’uomo secondo una una chiave di lettura più ampia rispetto a quella scientifica della psicologia classica. Sarebbe possibile, dunque, che l’essere umano esprimendosi nelle diverse attività creative, artistiche, professionali, dirigenziali, intellettuali ecc., Racconti – renda nuovamente noto – ciò che la sua Anima e il suo Daimon hanno scelto prima della sua mondanità? In questo senso, vivere diviene un modo per Raccontare le Storie che siamo sempre stati, cioè Narrare ancora e ancora l’Anima, la quale si trasfigura in Cultura al fine di essere trasmessa ai posteri costruendo, così, quell’intreccio dalla trama complessa e variopinta, bellissima e terrificante che Carl Gustav Jung colloca, in realtà, negli strati più profondi del nostro essere chiamandola inconscio collettivo. Psicoanalista fondatore della corrente della Psicologia Analitica, Jung fu allievo di Freud dal quale, in seguito, si discostò per la formulazione di una teoria alternativa riguardante l’origine delle nevrosi. In particolare, l’Autore attribuisce un significato differente al concetto di libido de-erotizzandone la funzione; infatti, secondo la teoria classica, la libido consisterebbe in una carica di tipo sessuale che cerca appagamento nell’agito e che se frustrata potrebbe condurre all’insorgenza di 25 un quadro nevrotico. Secondo Jung, essa non ha una valenza necessariamente di tipo sessuale ma, essenzialmente, energetica poiché in realtà sarebbe “suscettibile di comunicarsi a una sfera qualsiasi di attività: potenza, fame, odio, sessualità, religione, ecc. senza essere un istinto specifico.”10 In questo quadro, la libido è soggetta a due movimenti responsabili della crescita della personalità, cioè un moto progressivo, quando essa si adatta all’ambiente, e uno regressivo se al contrario si ripiega su se stessa, i quali debbono articolarsi in maniera complementare e simultanea al fine di determinare uno sviluppo personale completo e autentico. Interessante è inoltre la particolare organizzazione dell’apparato psichico dal punto di vista topico, la quale, pur non si discostandosi dalla teoria classica nella distinzione tra conscio – la sede della coscienza e di tutti i processi razionali – e inconscio – l’area inaccessibile della nostra psiche – aggiunge una ulteriore bipartizione di ciascuna delle due regioni psichiche in individuale e collettiva. La coscienza individuale e quella collettiva sono ovviamente le due parti del conscio talora in contrasto nel caso in cui una limiti l’altra divenendo preponderante; entrambe sono legate all’Io, la principale struttura della personalità intesa come “precipitato di esperienze fondamentali […] volta ad esperire il mondo esterno e quello psichico”11 nonché direttamente responsabile del processo di individuazione, cioè ���������������������������������������������������� Carl G. Jung, Simboli della trasformazione, p.140. ��������������������������������������������������������������������������� Gennaro Accursio, Introduzione alla psicologia della personalità, p. 114. 26 l’integrazione tra dentro e fuori, individuale e collettivo, sentimento e pensiero, dolore e gioia: il ricongiungimento con il proprio Sé. Così come per il conscio, Jung distingue un inconscio personale, il quale riguarda la sfera più intima dell’individuo dove intercorrono processi e immagini non accessibili alla coscienza e formulati a partire dall’età infantile, momento che ne delimita l’estensione; e un inconscio collettivo, sede dei contenuti che travalicano la memoria individuale in quanto comuni all’umanità intera di cui “ripetono le esperienze originarie con manifestazioni che trascendono i particolari ambiti etnici e culturali.”12 Poiché la nevrosi sarebbe il risultato di una incapacità di adattamento o di trasformazione dell’ambiente con una conseguente regressione della libido ai suoi stadi più primitivi, l’apparato psichico, al fine di rendere stabile l’Io, dispone di alcuni mediatori tra interiorità ed esteriorità che Jung chiama complessi per quanto concerne l’inconscio individuale – esperienze conflittuali di sensazioni angosciose che l’individuo sperimenta nella sua esistenza – e archetipi nella sfera di quello collettivo. Un archetipo è una disposizione a riprodurre immagini universali di un contenuto portante della nostra interiorità più arcaica, ed esso rimane inconoscibile sempre nella sua forma in sé in quanto “fattore psicoide che appartiene per così dire alla parte invisibile, ultravioletta dello spettro psichico”13 mentre risulta esperibile solo nella sua rappresentazione archetipica, ������� ibid. ������������������������������������������������� Carl G. Jung, La dinamica dell’inconscio, p.230 27 ossia quando diviene motivo religioso, immagine mitologica o simbolo. Questi elementi sono produzioni intellettuali che ricorrono nel corso della storia e dell’evoluzione dell’uomo poiché consentono di trasformare la libido da istintualità pura e immediata a creatività poietica e mediata. In sostanza, la capacità di formulare la rappresentazione archetipica, e in particolar modo quella del simbolo, ha consentito all’umanità di costruire la società in cui oggi viviamo, facendo convergere quegli elementi arcaici e universali propri del nostro bagaglio antropologico in tutte quelle sovrastrutture edificate secondo il libretto di istruzioni che si trova nelle tenebre del nostro tempo. Ma in cosa consiste, nella concretezza, un simbolo? Ebbene, esso può essere inteso come qualsiasi cosa che stia al posto di qualcos’altro, ciò che, dall’etimo symbolon, accosta, mette insieme, permette di riconoscere; quindi un modo per Raccontare la nostra origine, l’arché comune, il principio dell’uomo e dell’uomo insieme agli altri uomini: le sue regole e i suoi miti, i suoi riti e le sue fantasie. II.III Ecce Homo Nel 1888 Nietzsche intitola la sua famosa opera Ecce homo. come si diventa ciò che si è. Parafrasandone il sottotitolo, forse diventiamo quello che siamo raccontando: tramite il simbolo archetipico riviviamo la nostra origine nei Racconti che generiamo. A tal proposito, nell’opera Le radici storiche dei racconti di fate, Vladimir Propp fornisce una trattazione molto accurata riguardo il carattere simbolico del racconto di 28 fate – inteso nei termini con cui verrà specificato in seguito – in quanto trasformazione spontanea del rito e del mito messi in atto dalle popolazioni umane primeve. Considerando come rito un insieme di pratiche codificate in qualsiasi contesto socio-culturale e come mito tutti i racconti e le immagini sottostanti alla pratica mistica, Propp osserva che il racconto di fate, che chiama talora fiaba, possiede delle caratteristiche che difficilmente lo distinguono dal racconto mitologico, supponendo che in principio essi fossero il medesimo tipo di narrazione: “formalmente il mito non può essere distinto dal racconto di fate. Il racconto di fate e il mito (in ispecie quelli dei popoli anteriori alle caste) possono talvolta coincidere così perfettamente, che nell’etnografia e nel folclore tali miti si chiamano spesso fiabe.”14 Tuttavia, racconto e mito differiscono per la loro funzione sociale poiché, nel primo caso il fine consiste in una trasmissione di saperi e conoscenze popolari mentre nel secondo in una formulazione di un impianto teorico che motivi la ritualità della pratica religiosa. Inoltre, essendo il racconto mitologico inizialmente inserito nei diversi cerimoniali primitivi, dunque connotato da una forte valenza spirituale, nel caso in cui divenga il soggetto della fiaba, esso sopravvive al tempo come relitto, e cioè mantenendo solo le vestigia della sua originale funzione mistica, altrimenti si cristallizza, originale, nella dottrina di riferimento. Infatti, “liberata da convenzionalismi religiosi, [la fiaba] evade nella libera atmosfera della creazione artistica che riceve il suo impulso da fattori già diversi, e incomincia a vivere una nuova vita rigogliosa”15 ���������������������������������������������������������������������������� Vladimir Jakovlevič Propp, Le radici storiche dei racconti di fate, p. 43. ������������� id. p. 574. 29 grazie a un processo di profanazione, cioè di “trasformazione del soggetto sacro in profano, cioè non religioso, non esoterico ma artistico.”16 Singolare è notare che anche Jung parla di trasformazione della libido riguardo alle rappresentazioni degli archetipi, le quali possono essere, appunto, motivo religioso, immagine mitologica e simbolo. Alcuni termini ricorrono, alcune idee si sovrappongono, che esista una sola Verità? Allontanandomi da pericolose domande, continuerei riflettendo su quanto Propp asserisce in proposito della relazione tra rito e racconto di fate. Sostanzialmente, varrebbe lo stesso discorso riguardante il mito se non che il racconto possa conservare gli elementi rituali sia in modo cristallino nel caso in cui si attui una rispondenza diretta, altrimenti con una trasposizione di senso, cioè “la sostituzione nel racconto di fate di un elemento qualsiasi o di alcuni elementi del rito, divenuti superflui o incomprensibili in seguito a mutamenti storici, con un altro elemento più comprensibile.”17 La trasposizione di senso attesterebbe un avvenuto mutamento delle dinamiche socio-culturali dei popoli a causa delle evoluzioni economiche, politiche e intellettuali, fino ad arrivare invero a una inversione del rito quando la conservazione di tutte le sue forme nel racconto si attua, forse per esorcizzarne gli aspetti più tenebrosi, capovolgendone il senso. Occorre specificare che l’Autore riesce a trarre tali conclusioni ap������������� id. p. 576. ������������ id. p. 38. 30 plicandosi nella comparazione del racconto alla cultura di provenienza, poiché “nessun soggetto di racconto di fate può essere studiato a sé […] [e] nessun motivo di racconto di fate può essere studiato prescindendo dalle sue relazioni col tutto.”18 In tal senso, Propp individua nel rito di iniziazione il cerimoniale più frequentemente trasposto nel racconto di fate proprio per suo mistico valore antropologico: il tema della morte e della rinascita. Il passaggio radicale da uno stadio all’altro della vita viene simbolizzato nel racconto di fate laddove le atmosfere inquietanti, i rituali magici, le torture fisiche e le menomazioni subite dagli iniziandi si trasformano, profanizzandosi, in elementi narrativi che, osserva l’Autore, ricorrono non già nel loro contenuto, ma piuttosto nella loro funzione, ossia “l’operato di un personaggio determinato dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vicenda.”19 Per il suo carattere simbolico, una funzione risulta essere perfettamente intercambiabile rispetto all’attore che la agisce: che questi sia un drago o un turbine, ciò che commette in ogni situazione è, comunque, un danneggiamento. Mentre il personaggio di ogni intreccio è un attributo derivante dal contesto culturale in cui la storia è raccontata, al contrario la sua funzione rimane costante, interculturale, universale. Archetipica. Tale idea viene affrontata nell’opera Morfologia della fiaba, la quale inizialmente consiste nell’esigenza, quasi tassonomica, di definire il racconto di fate e di analizzarlo. Così come nel processo di simboliz������������ id. p. 30. �������������������������������� Morfologia della fiaba, p. 27. 31 zazione linguistica, cioè l’acquisizione del linguaggio, l’uomo astrae dalla concretezza alcuni oggetti concettualizzandoli – ad esempio la parola cane con i suoi aspetti morfologici e fonetici rimanda a quell’animale quadrupede che ha le caratteristiche del cane – nello stesso modo gli elementi della fiaba vengono astratti dal loro contesto e avulsi dal loro significato primordiale divenendo elementi generalizzati, e cioè liberi dall’originale riferimento concreto. Quindi, ciò che accomunerebbe i singoli racconti non risiede tanto negli argomenti comuni o nel loro messaggio morale, quanto nella costanza del presentarsi di tali astrazioni, che sono, appunto, le funzioni. Riassumendo le proprie tesi a riguardo, Propp afferma che le funzioni a) consistono in elementi costanti; b) si presentano in un numero limitato; c) si dispongono secondo una successione sempre identica seppur alcune di esse possano venire omesse.20 Doveroso mi sembra, a questo punto, accingermi nel riportare le trentuno funzioni individuate dall’Autore21 al fine di impiegarle nei successivi passi del lavoro. Queste verranno presentate secondo l’ordine originale e accompagnate dal simbolo che le identifica nella compilazione dello schema morfologico della fiaba; saranno esplicitate, inoltre, soltanto alcune delle loro modalità più importanti o particolari in ossequio alle esigenze di sintesi che in questa sede mi prefiggo di seguire pur cercando di onorare il pensiero dell’Autore. Talora, il racconto potrebbe esordire con una situazione iniziale contrassegnata dal simbolo /i/; essa non rappresenta una funzione vera ������������������� v. id. pp. 27-29. ������������������� v. id. pp. 31-70. 32 e propria, ma si limita a essere una descrizione dell’equilibrio iniziale, a cui segue una fase che l’Autore chiama di preparazione che costituisce il prodromo dell’intreccio. In essa si trovano le prime sette funzioni contrassegnate sempre da simboli con lettere minuscole. 1. ALLONTANAMENTO, simbolo /e/, dove uno o più dei personaggi si allontana dalla situazione iniziale. 2. DIVIETO, simbolo /k/, momento in cui si formula il divieto secondo una forma forte o attenuata /k1/ oppure per ordine o invito /k2/. 3. INFRAZIONE, simbolo /q/, quando il divieto k viene infranto e ciò spesso provoca un danno o una sciagura permettendo l’entrata in scena dell’antagonista. 4. INVESTIGAZIONE, simbolo /v/, azione messa in atto, ad esempio, dall’antagonista nel tentativo di reperire informazioni. 5. DELAZIONE, simbolo /w/, ossia quando l’antagonista riceve informazioni sulla vittima, e nel caso in cui egli le riceva direttamente /w1/, altrimenti dalle modalità v si ottengono quelle w. 6. TRANELLO, simbolo /j/, se l’antagonista cerca di ingannare la vittima per impadronirsi della sua persona o dei suoi averi; solitamente il nemico muta aspetto e quindi opera mediante persuasione /j1/, impiega mezzi magici /j2/ o si avvale di altri tipi di inganno /j3/. 7. CONNIVENZA, simbolo /y/, quando la vittima cade nell’inganno favorendo così involontariamente il nemico; in questo caso si ottengono /y1/, /y2/,/y3/ come conseguenze delle rispettive modalità jx. 33 A questo punto si esauriscono le funzioni preparatorie entrando nell’azione narrativa vera e propria, la quale raggiunge l’acme nelle funzioni del danneggiamento e della rimozione della sciagura. 8. DANNEGGIAMENTO, simbolo /X/, dove l’antagonista provoca un danno alle vittime che può essere di varia natura, dal rapimento / X1/ alla fatturazione /X11/ all’uccisione /X14/; non riporto, ovviamente, l’intero elenco ma rendo noto che anche la mancanza o il desiderio di qualcosa, /x/, può essere una modalità di tale funzione e che talora il racconto potrebbe esordire proprio da questo punto. 9. MEDIAZIONE, MOMENTO DI CONNESSIONE, simbolo /Y/, quando viene comunicata la sciagura cercando aiuto tramite una preghiera o un ordine. Questa è la funzione che introduce il personaggio dell’eroe nella storia, il quale può essere di due tipi: cercatore se viene inviato alla ricerca dell’oggetto risolutivo della sciagura tramite un bando /Y1/ o direttamente /Y2/ o con un permesso /Y3/; vittima se viene scacciato /Y5/ o condannato a morte e poi salvato di nascosto /Y6/, oppure ne è cantata la lamentazione /Y7/. 10. INIZIO DELLA REAZIONE, simbolo /W/, si verifica nel caso in cui il cercatore accetti il compito o la vittima decida di reagire. 11. PARTENZA, simbolo /↑/, che indica il cammino dell’eroe o la sua fuga; il cercatore attua una ricerca mentre la vittima una peregrinazione. XYW e ↑ rappresentano l’esordio della favola dove entra in scena un nuovo personaggio: il donatore. Questi possiede l’oggetto, il mez- 34 zo magico, che l’eroe deve ottenere al fine di risolvere la sciagura superando un compito postogli dallo stesso. 12. PRIMA FUNZIONE DEL DONATORE, simbolo /D/, dove l’eroe è messo alla prova. Anche in questo caso le modalità sono molteplici in base al richiedente che tralascio nuovamente di riportare. 13. REAZIONE DELL’EROE, simbolo /E/, consiste nel modo in cui l’eroe sostiene la prova propostagli durante D. 14. FORNITURA DEL MEZZO MAGICO, simbolo /Z/, quando il mezzo magico perviene all’eroe direttamente /Z1/ insieme ad altre modalità; riporto solamente le varianti particolari, quali ottenere una ricompensa non magica /z1/, prova fallita /Zneg/ o se la conquista si ritorce contro l’eroe /Zcontr/. 15. TRASFERIMENTO NELL’ALTRO MONDO, simbolo /R/, nel momento in cui l’eroe si trasferisce, viene portato o condotto sul luogo delle ricerche; questa funzione è il proseguimento naturale di ↑ e si declina in base al mezzo utilizzato (es. aria /R1/, terra-acqua /R2/ ecc. ). 16. LOTTA, simbolo /L/, quando l’eroe e l’antagonista ingaggiano uno scontro in campo aperto /L1/, come una competizione /L2/, ecc. Nel caso in cui la lotta venga ingaggiata con il donatore, essa risulta effettivamente L solo se consente di raggiungere l’oggetto della ricerca, altrimenti resta semplicemente una zuffa con il donatore ostile utile a ottenere il mezzo magico (D8 e D9 rispettivamente l’essere ostile ingaggia una lotta con l’eroe per annientarlo e per metterlo alla prova). 35 17. MARCHIATURA, simbolo /M/, momento in cui all’eroe viene impresso un marchio sul corpo /M1/ ad esempio per una ferita, o se egli ottiene qualsiasi oggetto utile a farsi riconoscere /M2/. 18. VITTORIA, simbolo /V/, quando l’antagonista è vinto durante L; in questo caso le modalità della funzione derivano da quelle della lotta, tuttavia riporto solo il caso particolare in cui l’antagonista venga sconfitto senza combattimento /V5/ o scacciato /V6/. 19. RIMOZIONE SCIAGURA O MANCANZA, simbolo /Rm/, come riportato sopra, in coppia con X rappresenta l’acme del racconto, e si esprime secondo molteplici forme, dalla liberazione del prigioniero / Rm10/ all’eliminazione della povertà tramite il mezzo magico /Rm6/. 20. RITORNO, simbolo /↓/, che consiste nel ritorno a casa dell’eroe secondo le stesse modalità di ↑. 21. PERSECUZIONE, simbolo /P/, quando l’eroe viene perseguitato dagli alleati dell’antagonista secondo diverse modalità che nuovamente non riporto. 22. SALVATAGGIO, simbolo /S/, conseguenza positiva di P di cui segue le stesse modalità, es. P5 divorare l’eroe→S5 l’eroe non viene divorato. La sconfitta del persecutore solitamente determina la conclusione della fiaba, tuttavia è spesso possibile che l’eroe sia sottoposto a nuove sciagure che ripetono le modalità di X, avendo così l’inizio di una nuova narrazione. Questo fenomeno indica che molte fiabe siano 36 composte da due o più serie di funzioni che l’Autore chiama movimenti, sui quali ritornerò in seguito. 23. ARRIVO IN INCOGNITO, simbolo /O/, dove l’eroe giunge in incognito a casa o in un altro paese. 24. PRETESE INFONDATE, simbolo /F/, avanzate dal falso eroe, cioè quel personaggio che millanta di aver compiuto le imprese in luogo all’eroe nel tentativo di screditarne le fatiche. 25. COMPITO DIFFICILE, simbolo /C/, quando all’eroe viene proposto qualsiasi compito difficile che non rientri nelle funzioni Y e in D. 26. ADEMPIMENTO, simbolo /A/, che consiste nell’esecuzione di C. 27. IDENTIFICAZIONE, simbolo /I/, momento in cui l’eroe viene riconosciuto. 28. SMASCHERAMENTO, simbolo /Sm/, quando successivamente a I il falso eroe viene smascherato. 29. TRASFIGURAZIONE, simbolo /T/, quando l’eroe assume nuove sembianze. 30. PUNIZIONE, simbolo /Pu/, dell’antagonista; in caso di perdono / Puneg/. 31. NOZZE, simbolo /N/, l’eroe si sposa e/o sale al trono. In base a ciò, sarebbe già possibile ricavare una definizione di racconto di fate o fiaba, ma è necessario ancora prendere in considera- 37 zione altri elementi di analisi, quali i personaggi e, come già anticipato sopra, i movimenti. Secondo Propp, la fiaba ha un limitato numero di personaggi, per la precisione sette, i quali possono essere raffigurati non solo come esseri senzienti quali animali o esseri umani e mostruosi, ma anche come oggetti o poteri agenti in vece di esseri animati. A tal proposito, l’Autore riunisce le ripartizioni delle funzioni specifiche attribuite solitamente a ogni personaggio in sfere d’azione,22 che riporto ancora sinteticamente insieme a una brevissima descrizione del loro attore. • ANTAGONISTA: chi o cosa operi e perpetri il danneggiamento o la mancanza e si ponga così in contrasto all’eroe; nella sfera d’azione rientrano infatti le funzioni X, L e P. • DONATORE: colui o ciò che fornisca il mezzo magico tramite una prova, le cui funzioni tipiche riguardano sempre D e Z. • AIUTANTE: chiunque (aiutante magico) o qualsiasi cosa (mezzo magico) coadiuvi l’eroe, il quale potrebbe a sua volta rendersi aiutante; nella sfera d’azione egli/esso opera secondo le funzioni R, Rm, S, A e T. • PRINCIPESSA/RE: chi o cosa risulti essere solitamente vittima del danneggiamento o della mancanza iniziale, e in questo caso nelle funzioni rientrano C, M, Sm, I, Pu e N. • MANDANTE: chiunque o qualsiasi cosa ingaggi l’eroe per risolvere ������������������� v. id. pp. 85-86. 38 la situazione di disagio provocata dal danneggiamento o dalla mancanza, la cui funzione risulta essere Y. • EROE: colui o ciò che si incarichi di ricercare il mezzo per risolvere la situazione di disagio o che sia vittima della sciagura stessa; le funzioni incluse nella sfera d’azione sono W (propria dell’eroe cercatore), ↑, E, N. • FALSO EROE: qualunque cosa o chiunque osteggi l’eroe nel rientro a casa millantandone immeritatamente le azioni, nella cui sfera d’azione rientrano le funzioni W, ↑, E, F. Mentre le funzioni preparatorie vengono distribuite solitamente in modo non uniforme, quindi indiscriminatamente rispetto agli attori del racconto, per quanto concerne quelle canoniche occorre esplicitare che anche un solo personaggio potrebbe agire in diverse sfere d’azione oppure una sola di esse venire ripartita tra più personaggi; in ogni caso “le funzioni restano grandezze costanti e ciò permette di ordinare in sistema anche gli elementi che possono essere raggruppati intorno alle funzioni.”23 Trattato il tema dei personaggi, arrivo infine a esporre ciò che Propp intende per movimento nel tentativo di fornire un quadro completo, sebbene sintetico, delle tesi esposte in Morfologia della fiaba, come quel frammento narrativo compreso tra la funzione X o x e una funzione risolutiva quale N o eventualmente Rm, Z o S. Occorre notare che, come già anticipato, in base a ciò nella fiaba è possibile incontrare più movimenti i quali si articolano in una trama complessa secondo preci������������ id. p. 93. 39 se modalità di combinazione, e tralasciando le possibilità di intreccio che non riporto in questa sede, l’Autore dimostra come all’interno di ogni movimento viga sempre il medesimo ordine di presentazione delle funzioni. In conclusione, è ora possibile finalmente riportare la definizione di racconto di fate o fiaba o favola di magia secondo le parole dell’Autore come un “racconto costituito secondo l’ordinata successione delle funzioni riportate, nei loro diversi aspetti, successione che, per ogni racconto, ne vede alcune mancanti e altre ripetute.”24 II.IV Let me count the ways Let me count the ways25 è il titolo di un brano scritto dal pianista Lyle Mays, storico componente del Pat Metheny Group, per il suo album da solista Solo. La traduzione letterale risulterebbe lascia che racconti i modi, vale a dire il come, cioè lascia che ti dica il come. Forse le rappresentazioni archetipiche di Jung sono questo, come le fiabe analizzate da Propp: le nostre possibilità to count the ways. Racconti di come siamo arrivati sin qui da un tempo lontano perso nelle nebbie delle vite degli altri. E ancora l’Arte, la Letteratura, la Pittura, il Cinema, la Narrazione, sono tutti simboli, magnifici e inquietanti Racconti, meravigliosi, umani, troppo umani. In questi nostri momenti storici di vita liquida, figli della morte di Dio, queste malinconiche ways to count sono l’ossigeno del nostro essere. ������������� id. p. 105. �������������������������������������������������������������������������������� Lyle Mays, Let me count the ways, In Solo: Improvisations For Expanded Piano, traccia #2. 40 Allora Narrando riconosciamo noi stessi creando il nostro significato, mentre Raccontando ricordiamo chi siamo stati in quella costante rincorsa verso il grande assente: il nostro Sé. In una parola, viviamo come Storie figli di una Storia, e abbiamo bisogno di ricongiungerci con quello che siamo sempre stati e che saremo ancora, ancora e ancora... e infine moriamo moriamo moriamo ricchi di amanti e di tribù di gusti che abbiamo inghiottito di corpi che abbiamo penetrato risalendoli come fiumi di paure in cui ci siamo nascosti... siamo noi i veri paesi non le frontiere tracciate sulle mappe...26 Due settimane più tardi, mentre al caffè del Cigno il Sapori giocava a terziglio con gli amici, un giovanotto esclama: «To’, quel cane!». Defendente trasale subito. Un cane, brutto e sparuto, avanza per la via oscillando, sta morendo di fame. «Non vorrei che fosse proprio lui, il cane dell’eremita» fece uno della combriccola; «Io già un cane simile non me lo terrei per tutto l’oro del mondo» rispose un altro, e il fornaio «...Rabbioso?» «Macché rabbioso! Ma a me non darebbe nessun affidamento un cane simile... un Cane che ha visto Dio!». ����������������������������������������� Anthony Minghella, Il paziente inglese. 41 III ANIMARE Passati tre giorni il Sapori rivide Galeone che se n’andava, apparentemente annoiato nell’aria fredda della piazza bello dritto sulle gambe, non ciondolava più ed era sì ancora magro ma con il pelo meno ispido, le orecchie erte e la coda ben sollevata. Chi lo aveva nu- trito? Di giorno in giorno Galeone era più florido, qualcuno dunque si prendeva cura di lui, forse parecchi contemporaneamente temendo la bestia che aveva visto troppe cose. III.I False distanze È il 7 maggio 1915 quando il sottomarino tedesco U-20 scaglia un siluro contro il transatlantico britannico RMS Lusitania provocandone l’affondamento, fatto che determina, tra gli altri, l’entrata in guerra 42 degli Stati Uniti qualche anno più tardi. Una delle tante tragedie della Grande Guerra descritta da accurate documentazioni storiche e dalle testimonianze dei superstiti. Inutile dire che, in generale, l’umanità resta traumatizzata dagli avvenimenti intercorsi tra il 1914 e il 1918 manifestando questa nuova inquietudine attraverso la Cultura, il Pensiero e l’Arte. Grandi uomini di intelletto e profondità cantano il dolore di tale, ennesima, follia umana con risultati di indiscusso valore estetico che ancora oggi, dopo cento anni, sconcertano ed emozionano il pubblico. Come ho infatti avuto modo di accennare nei passi precedenti di questo lavoro, l’Arte si fa portatrice della voce universale dell’uomo che vive il contingente e cerca di narrarlo per leggervi un senso, così mi trovo a introdurre, con tali parole, questo nuovo capitolo che intitolo ancora con un predicato verbale: Animare. Tra le opere che possono venire citate in proposito dei fatti riguardanti il transatlantico Lusitania, una di esse in passato mi colpì per la apparente distanza del codice narrativo concepito da me, in quel frangente, come infantile rispetto a un contenuto così seriamente tragico: The sinking of the Lusitania di Windsor McCay. Una distanza che ora comprendo essere fittizia, figlia di un pensiero inconsapevole e ignorante al quale, purtroppo, si ricorre spesso nel tentativo di semplificare la realtà al fine di comprenderla. Già famoso per la sua comic strip Little Nemo in Slumberland e per le sperimentazioni nel campo del Cinema d’Animazione – come altri veterani del genere cito Émile Reynaud con le pantomime luminose alla 43 fine del XIX secolo, James Stuart Blackton nel 1907 con The haunted Hotel o Émile Cohl con Fantasmagorie nel 19081 – McCay resta un’istituzione nello studio della cinematografia storica per le grandi innovazioni apportate a questo magnifico mezzo espressivo, e The sinking of the Lusitania mi offre un’interessante occasione di riflessione sull’Arte e su quello che intendo per Poesia delle Piccole Cose. Ebbene, l’opera consiste in un cortometraggio animato, all’incirca di otto minuti, dove vengono riportati i fatti relativi all’affondamento del sopracitato transatlantico senza, in realtà, alcun intento poetico ma semplicemente divulgativo e anzi denigratorio verso l’immagine dell’Impero Tedesco. Ciò non costituiva, ai tempi, una grande innovazione perché negli Stati Uniti era piuttosto usuale impiegare il mezzo del corto animato a tale scopo, il quale veniva proiettato prima dei film live action, quelli seri. A tal proposito è ben noto il corto Disney Der Fuehrer’s face con Donald Duck come protagonista, e così molti altri simili. Solamente superato lo spaesamento momentaneo proprio di quel pensiero ingenuo che colloca il cartone animato in un contesto meramente infantile, ricordo di aver intuito la potenza espressiva del mezzo artistico animazione. Che sia l’eccessiva libertà a destare questo nostro timore per l’incanto, poiché Animare significa creare ex nihilo un mondo immaginandolo, disegnandolo e infine infondendovi un movimento? Infatti, la meraviglia consiste in un moto di stupore e inquietudine 1 cfr. Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione. 44 che spezza il quotidiano e ci impone di guardare, fugacemente, la Verità negli occhi; ma noi amiamo la stabilità, abbiamo bisogno di stabilità, di prevedibilità, di abitudini, e allora svalutiamo questo moto dell’Anima e lo releghiamo in una fase esistenziale distante da quella del mondo adulto, nella quale in nome della solidità sacrifichiamo questo incanto. Diveniamo, in ciò, forse statici? Inanimati? Non intendo sostenere che l’Animazione sia la soluzione ai mali dell’uomo e nemmeno voglio ammantarla di un senso esoterico, vero resta tuttavia il fatto che in questa cinematografia la componente creativa possieda una spontaneità che risulta immediatamente fruibile al grande pubblico, elemento alla base, tra l’altro, della commerciabilità del prodotto il quale così si presta ad essere massicciamente impiegato nel mercato dell’intrattenimento popolare. III.II Immaginando Mondi Riassumendo quanto esposto sin qui, per Narrare intendo quel moto poietico che ricrea la realtà rappresentandola nell’Opera secondo una mimesi artistica al fine di cogliere il significato ulteriore sotteso a un fatto temporale, una sintesi che consente al fruitore, infine, di riconoscere se stesso perché ridestato dalla meraviglia evocata dalla misteriosa bellezza di quell’universale celato nella realtà; mentre nell’atto del Raccontare l’uomo narra nuovamente la propria origine antropologica, psicologica e spirituale nel movimento ricorsivo delle proprie rimembranze. Quindi, Narrare sta a rendere noto un assoluto tendendo 45 verso il senso nascosto delle cose riconoscendo se stessi, come Raccontare a rendere nuovamente noto il proprio significato estrinsecandolo dalle profondità umane ricordando se stessi. Apprestandomi a riflettere intorno ai significati sottesi al termine Animare, cito Gianni Rondolino, il quale definisce il Cinema d’Animazione come “quel particolare mezzo espressivo che si ottiene con la successione, nel tempo, di immagini statiche realizzate ciascuna isolatamente, il cui movimento nasce al momento della proiezione e non come riproduzione di un movimento già esistente in fase di ripresa, come avviene nel cinema dal vero”2 distinguendolo nettamente dal Cinema in genere e indicandolo non come sottoprodotto di quest’ultimo, ma come una forma d’Arte a sé dotata di una tecnica propria e di principi estetici nonché linguistici ben definiti. Tale differenza si espliciterebbe non nel principio fisico che ordina la composizione, cioè una successione rapida di immagini statiche che creano l’illusione del movimento, ma in ciò che viene impresso su ogni singolo fotogramma della pellicola, quindi la sua materia prima: nel Cinema live action azioni agite da attori; nel Cinema d’Animazione fermoimmagine che emergono da uno sfondo. Infatti, in quest’ultimo caso, l’effetto cinetico risulta essere dichiaratamente una rappresentazione di esso, una inferenza che lo spettatore attua a causa della persistenza dell’immagine retinica – una legge fisica dell’ottica dimostrata dal fenachistoscopio di Joseph Plateau già nel 1837 – perché nella realtà esso non esiste. 2 id. p. 5. 46 Conseguentemente a ciò, è possibile scorgere una netta differenziazione nelle origini storiche delle due narrative cinematografiche, poiché una avrebbe dovuto attendere l’introduzione della fotografia come supporto tecnologico al fine di riprendere il movimento di esseri umani e animali live acting, mentre l’altra avrebbe impiegato uno strumento in possesso dell’uomo a partire dalla notte dei tempi: l’immaginazione. In ragione di ciò, è opportuno specificare che, sebbene le remote testimonianze di questo nostro miracolo possono essere ammirate all’interno delle Grotte di Altamira, anche il Cinema d’Animazione dovrà attendere gli stupefacenti progressi tecnologici compiuti nel XX secolo per esprimersi compiutamente, pur conservando sempre viva in sé la traccia arcaica della τέχνη, della perizia, della tecnica, dell’Arte. Dell’Uomo. Prima di entrare nel merito occorre chiarire una diffusa imprecisione prodotta dall’immaginario collettivo relativamente alla identificazione dell’intera produzione dell’Ottava Arte3 in una singola tecnica particolare di essa: il Disegno Animato. Nello specifico, grazie a tale procedimento, è possibile ottenere la succitata rappresentazione del movimento disegnando le singole immagini su appositi supporti – i rodovetri – quindi fissarle sulla pellicola tramite un processo di ripresa cinematografica. Al fine di rendere credibili tali illusioni, è necessario uno studio molto accurato del disegno raffigurato su ogni fotogramma, che nella loro totalità debbono essere proiettati a una frequenza di sedici per secondo. Il Disegno Animato è dunque la tecnica fondamentale più diffusa3 cfr. id. 47 mente impiegata in questo tipo di Arte, ed essa risulta sempre attuale perché consente sperimentazioni estetiche interessanti e visionarie nel senso letterale del termine. Conseguentemente a tale precisazione, mi appresto di seguito ad accennare alle altre tecniche di animazione maggiormente utilizzate nell’ambito narrativo di tale cinematografia. Non risulta differente, almeno concettualmente, la tecnica Stop Motion o Passo Uno, la quale impiega una successione di fotogrammi – non necessariamente sedici al secondo – per creare la magia del movimento. Ciò che la distingue dalla tecnica del Disegno Animato consiste nella fonte dell’immagine impressa sul fotogramma, solitamente una fotografia, permettendo in questo modo di animare potenzialmente ogni oggetto tangibile della realtà che possa essere manipolato direttamente o indirettamente. Infatti, le opere realizzate con questa tecnica possono prevedere l’impiego di pupazzi o marionette, cioè Puppet Animation, come nel caso di Nightmare before Christmas di Tim Burton; pupazzi di plastilina o Claymation, come Pingu di Otmar Gutmann; oggetti bidimensionali creando una sorta di collage detta Cutout Animation, inizialmente la serie South Park di Trey Parker utilizzava tale tecnica; fotografie di esseri umani ovvero Pixilation, con cui è stato realizzato il famoso videoclip del brano Sledgehammer di Peter Gabriel diretto da Stephen Johnson. Simile ma molto più vicina al Disegno Animato è la tecnica realizzata grazie a un particolare strumento introdotto da Max Fleischer, il rotoscopio – da cui il nome Rotoscoping – il quale consentirebbe di ricalcare a mano libera le immagini presenti sul fotogramma di qualsiasi pellicola ripresa in live action ottenendo così un effetto di animazione molto particolare; nel video- 48 clip del brano Take on me del gruppo norvegese A-ha diretto da Steve Barron è possibile apprezzare un’applicazione mista di tale tecnica. Interessante è osservare, inoltre, che alcune delle più efficaci pratiche di animazione sono state impiegate prima dell’era digitale nella realizzazione di effetti speciali nel cinema live action, come la Go Motion – una Stop Motion che fotografa oggetti in movimento anziché statici – creata da Phil Tippet della ILM (Industrial Light and Magic, divisione della Lucasfilm fondata nel 1974) di cui si può ammirare un esempio nelle animazioni delle AT-PT nel film Guerre stellari: l’Impero colpisce ancora. Altri mezzi che ottimamente si attagliano alle sperimentazioni artistiche sono il Disegno Diretto su Pellicola e la Manipolazione della Pellicola. Tuttavia, queste tecniche rappresentano solo degli strumenti e di per sé restano tali senza che nessuno le interpreti, le renda vive, e cioè un artista che, al fine di Raccontare e Narrare, le scaldi con la propria Anima Animando. Tra questi emerge una figura tutt’oggi controversa ma fondamentale nell’affermazione dell’animazione nel campo della cinematografia e del consumo, e cioè lo statunitense Walt Disney. Tralasciando un discorso tecnico e storico sul quale non intendo soffermarmi, poiché sarebbe necessario svolgere un lavoro di tesi esclusivamente sulla storiografia dei Disney Studios, nonché umano riguardo le vicende che hanno indotto questo geniale imprenditore a fondare una delle aziende più conosciute al mondo, desidererei concentrarmi su ciò che ha reso così differente il prodotto Disney rispetto ai “cartoni animati“ ad esso contemporanei. 49 Intendo precisare, per amore dell’Arte, che il termine cartone animato, che ho sopra virgolettato, risulta da una erronea traduzione italiana dall’inglese animated cartoons. In realtà essa è troppo corretta perché si attiene al significato letterale del termine trascurandone, tuttavia, l’origine semantica, la quale si riferisce al gergo editoriale che all’inizio del secolo scorso designava gli schizzi preparatori dei comics, i cartoons appunto. Considerando che le prime storyboard dei Disegni Animati seguivano la tipologia narrativa dei comics, il termine anglosassone ha fatto sì che questi diventassero animated, animati, cioè animated cartoons. D’altronde, le traduzioni non sembrano essere mai state il nostro forte ricordando i famosi Scarafaggi in luogo de i Maggiolini. Ritornando alla riflessione circa il prodotto Disney, citerei nuovamente Rondolino, il quale afferma che il cinema d’animazione “si richiama generalmente a una tradizione letteraria e spettacolare che ha nel romanzo e nel teatro le sue fonti più cospicue. Il Cinema d’animazione ha sempre attinto maggiormente alle fonti del fumetto e della letteratura per l’infanzia (con le sue illustrazioni), sia dalla pittura, dalla grafica e dalle arti figurative in generale.”4 Dunque, il Cinema d’Animazione coniuga sia l’aspetto pittorico che narrativo della produzione artistica grazie il suo dinamismo magico poiché esso esprime la sua fondamentale dimensione drammatica nella rappresentazione del movimento, il quale viene scandito da episodi ritmici che seguono, di conseguenza, le regole della composizione musicale; in tal senso l’animazione è comparabile al Balletto, dal quale ovviamente si discosta a causa della necessità di attuarsi attraverso precise apparecchiature tecnologiche. Infatti, una delle maggiori intu4 id. pp. 9-10. 50 izioni degli artisti Disney fu proprio quella di sfruttare la musicalità delle immagini, la poesia dei gesti e di armonizzarle sapientemente con gli effetti sonori ottenuti grazie a strumenti musicali classici o costruiti appositamente, amplificando in tal modo l’esperienza sinestetica dello spettatore. Di questa tendenza, l’esemplificazione universalmente conosciuta riguarda il cortometraggio diretto da Walt Disney The skeleton dance, primo lavoro della serie Silly Simphonies del 1929, dove è possibile ammirare il visionario lavoro del veterano Ub Iwkers al disegno in un’animazione perfettamente in sinfonia con il tema musicale scritto da Carl Stalling. Tuttavia, questo modello narrativo non è sempre stato di esclusivo impiego di Disney e colleghi, sebbene costoro ne fossero tra i primi sperimentatori e sicuramente i più autorevoli innovatori. Sul piano del mero intrattenimento altri artisti statunitensi ed esteri iniziarono, se non addirittura prima di questi risultati, a produrre cortometraggi animati secondo le medesime modalità compositive, concentrandosi tuttavia quasi esclusivamente sull’aspetto sensoriale dell’opera e trascurandone una sottile sfumatura che sull’esperienza estetica in realtà esercita un’influenza potentissima, antica e misteriosa: l’immedesimazione. Probabilmente, il grande successo ottenuto dalla casa di produzione di Burbank dapprima negli States e poi nel mondo si deve proprio a un’intuizione congeniale allo story telling di massa, sebbene non proprio considerata geniale in senso assoluto, introducendo cioè nell’opera un personaggio semplice, caricaturale, insomma un prototipo che permetta allo spettatore di calarsi nella storia seducendolo così non solo attraverso il piacere sensoriale destato dalle immagini in 51 movimento armonizzate al tema musicale, ma evocando un processo di riconoscimento nel protagonista: così nasce la leggenda di Mikey Mouse. Costruire un tipo psicologicamente credibile nel quale l’americano medio desideri identificarsi per vivere le avventure che solo l’Arte visuale del disegno può consentire, questa è la grande rivoluzione portata da Walt Disney ed è ciò che ne ha determinato la scalata verso il successo, perché in fondo vogliamo sentire parlare di noi attraverso gli occhi degli altri, e Mikey Mouse è ognuno di noi, la nostra parte buona, risoluta, positiva, razionale e lieve. Il Piccolo Topo è un simbolo, un archetipo che vive in un mondo rappresentato, proprio come il nostro, e che ci insegna sempre a vederne il lato positivo, mentre l’Opera ci meraviglia ancora grazie ai suoi codici estetici fatti di immagini, suoni, musiche e ritmo. Ciò rappresenta, secondo lo scrivente, la conclusione del primo tempo del Cinema d’Animazione, la prima grande tappa che esso raggiunge dall’invenzione dei supporti tecnologici che ne hanno permesso la realizzazione effettiva, ed è ancora Disney nel 1937 a condurre l’Ottava Arte a superare un ulteriore gradino evolutivo e commerciale con la proiezione nelle sale di tutto il mondo del primo lungometraggio animato, Biancaneve e i sette Nani, un evento che consente agli Studios di imporsi come una delle voci più autorevoli nel mercato dell’intrattenimento mondiale. Il lungometraggio rappresenta un rinnovamento certamente tecnico e tecnologico, ma anche contenutistico, poiché si osserva la sovrapposizione della fiaba tradizionale a un mezzo di comunicazione che ne estende la narrazione. 52 Anche in questo caso, la tecnologia si propone come il supporto fondamentale dei processi formativi, artistici e culturali dell’uomo, pur ricordando che resta sempre l’intuizione dietro alla macchina da presa a guidare il processo creativo verso i lidi della Verità. Spetterà a un’altra grande azienda, anch’essa californiana, la responsabilità di raccogliere l’eredità Disney e di condurre lungo il suo secondo tempo il Cinema d’Animazione; una navigazione audace intorno alla boa delle nuove tecniche sempre più raffinate, postmoderne e digitali, pur conservando intatto l’incanto dell’Anima originale che viene narrata ancora e sempre nei gesti eterni che maneggiano le Piccole Cose e ne raccontano le Storie. III.III Toys Stories Vi è, infine, un’ultima tecnica di animazione di cui occorre occuparsi, la quale può vedere la luce, in potenza, soltanto a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso: la Computer Animation. A dire la verità, l’animazione al computer deve attendere gli anni Ottanta per realizzarsi come la conosciamo oggi grazie a un particolare impiego della computer grafica, cioè la Computer Generated Imagery, abbreviata CGI, che consentirebbe di ricavare un’immagine tridimensionale da un’altra bidimensionale tramite l’ausilio della macchina. Dapprima, questa nuova tecnologia veniva impiegata maggiormente nella generazione di effetti speciali digitali nelle pellicole live action, e in questo senso la ILM di George Lucas ha fornito un grande impulso alla ricerca nel campo di quelle innovazioni sempre in grado di meravigliare il pubblico. Intuendo le potenzialità del mezzo creativo, lo stesso Lu- 53 cas decise di fondare nel 1980 una divisione particolare della ILM, la Computer Graphics Project, che si dedicasse solo ed esclusivamente alla Computer Animation, richiamando a sé ingegneri informatici e animatori di grande talento, tra cui un giovane artista di nome John Lasseter, uomo chiave del Cinema d’Animazione contemporaneo. Tra i risultati ottenuti dal team sperimentale della ILM guidato da Alvy Ray Smith, Edwin Catmull e lo stesso Lasseter – i primi due informatici e il terzo animatore – rientra il primo cortometraggio animato realizzato interamente grazie alla tecnologia CGI: The adventures of André and Wally B. L’opera, oltre a rappresentare un fondamentale punto di svolta nella storia dell’animazione computerizzata, riscuote un grande successo presso la famosa conferenza SIGGRAPH (Special Interest Group on GRAPHics and interactive techniques) del 1984 destando sia agli apprezzamenti del pubblico specializzato che l’interesse di un poliedrico imprenditore statunitense di nome Steve Jobs che acquisisce, nel 1986, la Lucasfilm Computer Graphics Project fondando così i Pixar Animation Studios. Il resto è storia della cinematografia. Non intendo in questa sede soffermarmi su quali siano le tappe fondamentali che conducono il progetto Pixar a essere una delle aziende di maggior successo nel campo informatico, cinematografico, artistico e commerciale se non prendendo in considerazione un evento che, a mio avviso, segna l’inizio del secondo tempo del Cinema d’Animazione verso il futuro dello smart entertainment e che si realizza nel 1995 con l’uscita nelle sale del primo lungometraggio animato creato tramite tecnologia CGI, cioè Toy Story. È lo stesso Jobs infatti a chiarirne l’im- 54 portanza in un’intervista con le seguenti parole: “Since Snow White was released in 1928 [sic] which was the first animated film feature over 60 years ago, every major studio has tried to break in this business, and until last december Disney was the only studio that ever made a feature animated film that was a blockbuster [...] and last december Pixar became the second studio in history to do that [...].”5 Eppure, al di là della rivoluzione grafica che ha influenzato la percezione della cultura di massa rispetto al Cinema d’Animazione, nonché dei successi commerciali conseguiti dal team Pixar (vedi la fusione con Disney Pictures che ne impone il compianto Jobs come socio maggioritario e Lasseter come direttore artistico), vi è un aspetto di capitale importanza che ha segnato l’evoluzione della narrativa in tale ambito cinematografico, e cioè quello di presentare allo spettatore un mondo coniugato al condizionale presente anziché all’indicativo imperfetto. Gianni Rodari, argomentando intorno all’uso di tale tempo verbale, scrive che “l’imperfetto è il segnale che l’attesa è finita, il «tâtonnement» sta per prendere la forma di un gioco. Il verbo stabilisce la distanza tra il mondo preso di per sé, com’è, e il mondo trasformato in simboli per il gioco”6 sostenendo che esso sia imparentato con il celebre e inflazionato C’era una volta. Ebbene, l’esordio della fiaba coniugato in tal modo trasporta il lettore in un mondo che c’era una volta ma non c’è adesso benché non sia ancora terminato nel ci fu: esso vive lontano, in una dimensione sospesa nel tempo, nel regno al confine tra la memoria e l’oblio, la terra dell’archetipo, del racconto di fate, mentre 5 cfr. Steve Jobs and John Lasseter interviewed by Charlie Rose (1996), <https://www. youtube.com/watch?v=w0Vvl_ByCXM>, cons. 2014-09-08. 6 Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, p. 154. 55 “il cinema Pixar si professa, fin dall’incipit, ricostruzione della realtà e della sua allegoria. La sua artificiosità è apertamente dichiarata ma ciò non fa che creare una realtà parallela in cui lo spettatore può facilmente avventurarsi poiché il mondo che vede è totalmente differente, eppure uguale al suo.”7 Lo spirito del secondo tempo riguarda proprio questo aspetto, e cioè il fatto di raccontare storie che non vengano percepite come reali e insieme magiche collocate somewhere over the rainbow, ma semplicemente eventualità, varianti, possibilità verosimili, cioè assurde ma credibili popolate da personaggi fantastici che trascinano lo spettatore nel mondo del come se. È infatti lo stesso Lasseter, cercando di spiegare il successo commerciale delle pellicole Pixar, a fornire il materiale per questa riflessione, affermando che “[...] put that story and those characters in a believable world, believable for the story you telling, not realistic.”8 È la credibilità del contenuto narrato a rendere possibile l’immedesimazione nella storia – proprio come Mikey Mouse si proponeva desiderabile alter ego dello spettatore medio –, in tale aspetto risiede l’Arte del prodotto Pixar. Non nella creazione di modelli 3D di personaggi che agiscono in modo più o meno fluido, non nel rendering raffinato o nella texture mapping dettagliata, nell’azione avventurosa o nelle scene di comicità triviale, ma nella possibilità che gli artisti forniscono al pubblico di vivere la Poesia delle Piccole Cose insieme ad esse, raccontando Storie di giocattoli, di automi innamorati, di pesci coraggiosi, di mostri abitudinari e di topi anticonformisti, gli stessi compagni che dimentichiamo rinunciando alla magia dell’incanto, 7 Tommaso Ceruso, Tra Disney e Pixar, p. 91. 8 cfr. John Lasseter - The golden rules for a great film, according to Mr. Pixar, <https:// www.youtube.com/watch?v=yWJ2E7JzKiA>, cons. 2014-09-08. 56 dello stupore, della meraviglia: quando perdiamo noi stessi nel quotidiano e naufraghiamo nel grigio della vita. Ma abbiamo bisogno di ricordare... Rendo noto che i Pixar Animation Studios non sono gli unici oggi a produrre lungometraggi animati tramite la tecnica CGI9, infatti, altrettanto conosciuti sono i lavori Dreamworks Animation, con la saga di Shrek e Dragon Trainer; Walt Disney Pictures, con le opere Bolt e Frozen (campione assoluto di incassi nel campo del Cinema d’Animazione); Blue Sky Studios, con la saga Ice age; ImageMovers, con il famoso Polar Express diretto da Robert Zemeckis e interpretato da Tom Hanks; Illumination Entertainment, con le due pellicole di Cattivissimo Me e così molti altri sempre con soddisfacenti risultati sia estetici che narrativi. Decido, tuttavia, in questo lavoro di concentrarmi esclusivamente sulla cinematografia Pixar10 innanzitutto per l’importanza storica di questi Studios, essendo stati i primi a impiegare l’animazione computerizzata nel lungometraggio animato, e in secondo luogo perché ritengo che nella narrazione della casa di Emeryville vi sia una meraviglia che difficilmente altri artisti riescono a trasmettere se non con forzatura o stucchevolezza, facendo perdere al prodotto la succitata credibilità. È chiaro che tale elemento è purtroppo presente anche in alcune pellicole Pixar e in taluni casi in modo fastidiosamente evidente; tuttavia, pur ammiccando alle leggi del mercato dell’intrattenimento fors’anche inconsapevolmente trascinati dall’incanto infantile dell’animatore o da un entusiasmo tipicamente statunitense, Lasseter 9 per un elenco completo cfr. Film d’animazione realizzati in CGI <http://it.wikipedia.org/ wiki/Film_d%27animazione_realizzati_in_CGI>, cons. 2014-09-10. ������������������������������������������������������������������� per una lista completa della cinematografia Pixar cfr. Appendice. 57 e colleghi non risultano quasi mai prevedibili, noiosi, artificiali o retorici se non nel fan service o nel sequel/prequel costruito per esigenze di box office. Ebbene, coniugare la storia al condizionale presente significa prendere definitivamente le distanze dalla modalità narrativa tradizionale del Cinema d’Animazione istituita da Disney con Snow White, e di conseguenza attuare un distacco netto dallo schema della fiaba che già Propp aveva codificato in Morfologia della fiaba. Non è solo lo strumento della Computer Animation a permette alla Creatività di Narrare i nuovi mostri contemporanei – dato che ciò è sempre accaduto nel racconto di fate che incorpora gli elementi inquietanti del rito d’iniziazione, giacché “never in the history of cinema has a movie been intrateining to an audience because of the technology, it is what you do with the technology, it is what you do with the medium it’is so special”11 – ma è l’abbandono dell’indicativo imperfetto per Raccontare i nostri timori a rappresentare la grande rivoluzione Pixar, perché gli ospiti inquietanti dei nostri abissi non c’erano soltanto una volta in un altrove fatato, l’antro dell’umanità, ma potrebbero essere proprio qui, adesso, oggi. Tommaso Ceruso effettua la sua analisi della produzione Pixar proprio dal confronto di alcune pellicole con lo Schema di Propp – che nel caso dei classici Disney come Snow White, la Bella e la Bestia, il Re Leone ecc. risulta essere un modello descrittivo efficace – giungendo alla ���������������������������������������������������������������������� cfr. John Lasseter on Hand-Drawn Animation <https://www.youtube.com/ watch?v=VVnjOqL6n0U>, cons. 2014-09-10. 58 conclusione che queste narrazioni non si adattano più ad esso, quindi individuando delle tematiche che sembrano ricorrere nelle opere degli Studios di Emeryville al fine di indagare la presenza di una possibile continuità in esse, esattamente come le funzioni permettono di accostare i diversi racconti di fate. Innanzitutto l’Autore dichiara che la forza espressiva di questa cinematografia risiede nel permettere alla realtà di venire sostituita “da mondi simili che ne potenziano esponenzialmente la sua magia intrinseca”12 specificando che per magia intende quella fusione tra reale e ideale alla base del secondo tempo a cui accennavo sopra. Di conseguenza, il soggetto delle vicende narrate diviene il male all’interno del quotidiano, non più le gesta eroiche, il danneggiamento o la mancanza, le persecuzioni, le ricerche audaci nel mondo once upon a time, ma il dramma che si consuma in quella realistica finzione che l’essere umano chiama vita. In secondo luogo, venendo a mancare l’efficacia dello Schema di Propp nell’individuare il principio di categorizzazione della storia, Ceruso adatta al linguaggio della narrazione contemporanea Pixar non soltanto delle tematiche in luogo delle funzioni, ma anche delle nuove categorie di personaggi. Se Propp, come accennato nel precedente capitolo, individua nella funzione X l’esordio della fiaba e tale danneggiamento o mancanza viene provocato o indotto da un Antagonista, nelle Toys Stories “è la storia a riattivare nel protagonista la consapevolezza della sua �������������������������� Ceruso, op. cit., p. 95. 59 mancanza.”13 In altre parole, è il Fato a realizzare la funzione X, quale funzione non risulta essere negativa in assoluto ma anzi, a posteriori, lo stimolo che consente il superamento di una condizione di clausura esistenziale imposta non già da un’entità malvagia o da una sciagura, ma dall’eroe stesso. Avrò modo più avanti di specificare la tematica del Fato applicandomi nell’analisi approfondita di alcune opere scelte; quivi anticipo tuttavia che essa ricorre in tutte le narrazioni del team di Lasseter e che comprende in sé alcune delle funzioni classiche. La seconda grande tematica che Ceruso individua riguarda un timore più contemporaneo rispetto a quello evocato dal Fato, o forse problematizzato secondo un’interpretazione contemporanea, e cioè l’Identità. La sua perdita, la sua ricerca, il suo inganno, le sue forzature; l’assimilazione, l’alienazione l’annullamento, la riconquista: per certi versi l’azione narrata nella cinematografia Pixar induce inconsapevolmente alla riflessione intorno a quel processo fondamentale della formazione umana che è l’individuazione, ossia ciò che per Jung riguarda il percorso per il raggiungimento del proprio Sé, l’aderire a se stessi. Anche in questo caso si osserva la costante ricorsività di tale tematica proposta sempre con i colori, le sfumature, i sorrisi e gli incanti destati dalle animazioni; nessun intento filosofico guida gli artisti degli Studios, soltanto uno story telling ammantato forse di intenzioni pedagogiche ma più certamente di entertaining. Sicché è nelle mie intenzioni ampliare in seguito le due tematiche ������������ id. p. 87. 60 presentate, doveroso sembrerebbe, a questo punto, esporre anche ciò a cui ho accennato sopra rispetto al cambiamento dei personaggi intercettato da Ceruso. Anziché sette, come nel modello proposto da Propp, l’Autore si riferisce solo a quattro personaggi ricorrenti nelle narrazioni Pixar, sottolineando così ulteriormente la distanza di queste dal canone della fiaba tradizionale. Procedo, pertanto, con la loro breve elencazione per poi tentare di concludere il presente capitolo. • Eroe Antagonista, cioè il personaggio che pone se stesso come ostacolo, l’agente delle proprie disgrazie che viene macinato dagli ingranaggi di un Fato inesorabile. Nel suo animo crolla la purezza dell’eroe, il quale è talora invidioso, talaltra timorato, o ancora superbo oppure incompreso, insomma chiunque predisponga le condizioni affinché X si verifichi e, nel contempo, si configuri come fautore di Rm grazie a un percorso di crescita personale, cioè la conquista della propria vera Identità. • Falso Antagonista, ossia chi inizialmente assume una posizione negativa salvo poi redimersi nel corso della narrazione. Così come l’eroe non è più puro, anche l’antagonista in questo caso non è mai un polo estremizzato di malvagità; e in altri termini sia questi che il primo non sono altro che le vittime simbolizzate dell’umanità dolente e fragile sottostante ognuno di noi. • Antagonista Vendicatore, ovvero colui che opera effettivamente azioni estremizzate vittima totale di meccanismi perversi che lo allontanano dalla realtà. È la perseverazione ossessiva di aridi schemi disumani a rendere negativa questa figura, la quale rimane nella posizione anta- 61 gonistica non per volontà di danneggiamento, ma per incapacità di destarsi dal mondo illusorio della propria mente. • l’Antagonista Automa, rappresenta infine quel personaggio che si distacca totalmente dalla realtà perseguendo automaticamente uno schema comportamentale ed escludendo ogni altro personaggio dalla propria considerazione. Questi è radicale nelle azioni e nella dottrina, tutt’altro che lucido e di relativa importanza nell’economia globale della narrazione. III.IV A[ni]mare Da adesso i cartoni cambieranno... Questo ricordo di aver pensato appena uscito dalla sala dopo aver visto Toy Story nel 1996. Avevo pressapoco undici anni e feci questa considerazione certamente per l’innovazione apportata dall’avvento della CGI nel lungometraggio di animazione, quindi colpito ovviamente dal new look narrativo, ma forse, inconsapevolmente, anche per aver còlto un cambiamento, una rottura con il passato rispetto alle altre animazioni tradizionali a cui ero abituato. Con ciò non intendo sostenere che i contenuti dell’opera avessero realmente mosso una riflessione riguardo al Fato, all’Identità, ai Falsi Antagonisti e affini, e francamente, con buona probabilità, non mi sarei nemmeno soffermato oggi su di essi se non per le stesse esigenze accademiche che mi inducono a scrivere proprio queste righe. Devo essere onesto e ammettere che vi sono Opere, cinematografiche e in genere, ben più idonee nel sostenere l’uomo in riflessioni di 62 profondità che non le pellicole Pixar; tuttavia, in quanto Narrazioni, esse rientrano nel panorama culturale contemporaneo candidandosi spontaneamente al ruolo di materiale Pedagogico potenzialmente fruibile, quindi, all’interno di un percorso Educativo. Poiché non è mia intenzione argomentare intorno a tale affermazione a questo punto del lavoro, credo che sia opportuno limitarmi a concludere sul senso del verbo che intitola il presente capitolo con il sostegno delle parole di John Lasseter: “one, [...] we try to give these artist a project that taken be proud the rest of their careers [...], secondly, in working with these people I try so hard, even if it’s the smallest task, to give them a little bit pre-emptive ownership, let them figure out how to do [...], and most important thing, in Pixar we have a lot of fun...”14 Animare significa dunque non cambiare il mondo dell’Arte, non assolvere a una missione pedagogica e nemmeno conquistare il mercato dell’intrattenimento, ma forse semplicemente to have a lot of fun svolgendo proprio lavoro: significa provare piacere nel disegnare, nell’infondere movimento, nell’aspettare e osservare la propria creazione prendere vita, muovere gli occhi, agitare le mani, significa divertirsi, divertire, soffrire, incantarsi e impiegare ore dinanzi a un monitor, dinanzi a un foglio bianco nell’attesa di vedere il personaggio che si ha nella testa, Raccontarlo, Animarlo, e infine Amarlo. Animare significa, nella sua essenzialità, Immaginare, Creare e infine Amare. Questi artisti sono amanti del loro lavoro, dell’infanzia che custo������������������������������������������������������������������������������������� cfr. Steve Jobs and John Lasseter interviewed by Charlie Rose (1996), <https://www. youtube.com/watch?v=w0Vvl_ByCXM>, cons. 2014-09-12. 63 discono nello scrigno della propria Anima; essi amano Woody, Buzz, Boo e Remy, ed è forse questo sentimento che lo spettatore percepisce sotterraneamente, come in una comunicazione spirituale, a evocare la magia, la Meraviglia. Perché siamo tutti giocattoli nel profondo e desideriamo soltanto il sorriso di chi amiamo, dando così un senso al nostro strano e bizzarro divenire. Siamo le Piccole Cose di cui gioiamo ogni giorno, in cui riflettiamo le parti più innocenti di noi stessi e con cui cerchiamo di amare l’altro, perché son le cose che pensano ed hanno di te sentimento esse t’amano e non io come assente rimpiangono te son le cose prolungano te...15 Avesse visto o no Dio, certo Galeone era un cane strano. Con compostezza pressoché umana girava di casa in casa, entrava nei cortili, nelle botteghe, nelle cucine, stava per interi minuti immobile osservando la gente. Poi se n’andava silenzioso. Cosa c’era nascosto dietro quegli occhi buoni e malinconici? Mani tremebonde offrivano alla bestia fette di torta e cosce di pollo. Galeone, già sazio, fissava negli occhi l’uomo, quasi a indovinare il suo pensiero. Allora l’uomo usciva dalla stanza incapace di resistere. ��������������������������������������������������������������������������������������� Pasquale Panella e Lucio Battisti, Le cose che pensano, in L. Battisti Don Giovanni, traccia #1. 64 IV LA POESIA DELLE PICCOLE COSE Gli uomini non si sentono più soli, neppure quando sono in casa con le porte sprangate. Tendono di continuo le orecchie: un fruscìo sull’erba, di fuori: un cauto e soffice zampettare sui sassi della via, un latrato lontano. Buc buc buc fa Galeone, un suono caratteristico. Non è rabbioso, né aspro, eppure attraversa l’intero paese. Addirittura, nel sentire il rauco richiamo, gli ubriachi espulsi dall’osteria rettificano la posizione. IV.I Pixar Pictures abbreviato diviene Pics volgarizzato a sua volta Pix il quale si propone come participio presente Pixer, cioè Pix-r con il risultato di Pixar, cioè colui che produce immagini e quindi Immagina. Ognuno di noi è un Pixar nel momento in cui rappresenta il mondo con un modello percettivo atto a consentirne il contatto e la manipolazione degli elementi, formulando così quella conoscenza che se integrata con le personali teorie interpretative viene intesa come realtà. 65 Per immagini non intendo, tuttavia, solo ed esclusivamente l’aspetto iconico della rappresentazione, ma la produzione concernente l’intero spettro sensoriale, e immaginare, come ho già esposto nel capitolo I, è un atto attivo e sintetico: attivo quando crea e sintetico nel momento in cui interpreta quanto è stato creato. Così nascono il dentro e il fuori. Omettendo questioni filosofiche che non mi competono, esiste una pratica per educare questa nostra funzione? In tal senso, in un quadro di Educazione alla creatività, può il materiale Pixar rappresentare uno stimolo nell’esercizio dell’apparato immaginativo? Al fine di non appesantire eccessivamente il lavoro, proponimento che cerco di rispettare sin dalle sue prime righe, nel presente capitolo decido includere soltanto l’analisi di un numero limitato di pellicole rispetto alla filmografia Pixar completa, la quale comprende, in totale, quattordici lungometraggi non sempre significativi dal punto di vista della succitata proposta Pedagogica. Nella fattispecie, il criterio di scelta dell’inclusione è basato solo ed esclusivamente su parametri personali: una valutazione, in primo luogo, della possibile efficacia del materiale configurando un intervento educativo; il valore estetico dell’opera; la qualità del contenuto emotivo che le animazioni sono in grado di muovere; e infine il ruolo che la pellicola possiede nella Formazione dello scrivente. Tre sono dunque le opere di cui ho deciso di occuparmi che verranno affrontate secondo l’ordine cronologico di pubblicazione: Monsers & Co., Alla ricerca di Nemo e WALL•E.1 1 cfr. Appendice II per le schede tecniche complete. 66 IV.II Le vite degli altri Come una bestia lurida in una vita in brutta copia.2 Le vite degli altri è un film del 2006 diretto da Florian Henckel von Donnersmarck e vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 2007. In una Berlino Est in piena Guerra Fredda un agente della Stasi ha il compito di sorvegliare dei sospetti dissidenti, situazione grazie alla quale, dopo vicissitudini che non riporto, egli riesce a cogliere l’aspetto universale che si cela dietro a ogni essere umano: una vita fatta di emozioni, sentimenti, speranze e paure. La vita degli altri è la nostra perché tutto è in tutto. Talora dimentichiamo di vivere finendo per identificarci nei fatti che accadono all’interno della Grande Narrazione che è la nostra esistenza, e come soldati ci limitiamo ad eseguire i nostri doveri, a seguire pedissequamente le nostre volontà dissolvendoci in una brutta copia di vita. Ma la forza della Verità arginata raccontando le Storie che non siamo è eterna, e in ogni momento può travolgere il piccolo uomo illuso. Monsters & Co. è la prima pellicola diretta da Pete Docter coadiuvato da Lee Unkrich e David Silverman e proiettata nelle sale statunitensi nel novembre del 2001. L’azione principale si svolge presso la città di Mostropoli, luogo posto in una dimensione non meglio definita e popolato interamente da creature che definiscono loro stesse mostri, di cui tuttavia possiedono solo l’aspetto, per altro scevro di ogni elemento inquietante, mentre per l’atteggiamento paiono abitudinari, consu2 Claudio Baglioni, Male di me. In Io sono qui, traccia #8. 67 misti, razionali, burocratici, tesi al senso di appartenenza e dell’efficienza, insomma umani in tutta la prosaica banalità del termine. Ed è proprio la routine del più standardizzato di questi mostri ad essere sconvolta da un ospite indesiderato, una piccola voce dall’affetto limpido e puro, l’inatteso cataclisma che passa attraverso la porta dell’armadio. IV.II.I Monsters, Inc. Sono le sei passate da cinque minuti nella grande metropoli dei mostri, Mostropoli, e sembra un giorno come gli altri. Svegliati, alzati, preparati, ritorna ad essere James P. Sullivan, il grande spaventatore, il candidato primo della classe, l’uomo chiave dell’impresa produttrice di energia numero uno al mondo, la Monsters Incorporated. Oggi la squadra lavorerà sulla Costa Atlantica, ed ecco che entrano gli Spaventatori, gli straordinari eroi che assicurano una vita moderna alla città. Tramite un congegno raffinatissimo, le urla dei bambini vengono immagazzinate in contenitori quindi convogliate in siti di stoccaggio e convertite in energia, la quale viene erogata dalla grande azienda e impiegata 68 nella vita di tutti i giorni. Senza gli spaventatori, dunque, i mostri moderni non sarebbero altro che primitivi senza tecnologia e comodità. Grazie a un sistema di passaggio dimensionale, i nostri si insinuano nelle case dei bambini umani attraverso le porte degli armadi strisciando nell’ombra, eccitati dal brivido del rischio di venire contaminati da questi bizzarri esseri tossici e tuttavia necessari al mantenimento della civiltà tramite la potenza del loro terrore. Per ogni porta un cucciolo d’uomo, così fino a sera, e la catena continua il suo ciclo produttivo grazie al lavoro di squadra, una squadra composta dal temerario eroe che viaggia tra i due mondi rischiando la vita, e il tecnico che ne scandisce il ritmo, si assume la gestione delle apparecchiature e archivia le urla acquisite durante ogni sessione d’incubo. James P. Sullivan, detto Sulley, è quell’eroe, mentre Mike Wazowski è il tecnico in uno dei team più efficaci dell’azienda, forte di un affiatamento consolidato dall’amicizia. Ma quella appena conclusasi non è la solita giornata di lavoro. Ignari del fatto che l’invidioso Randall Boggs, loro collega, trama nell’ombra – costui è peraltro in grado di mimetizzarsi con l’ambiente circostante –, i due conversano nello spogliatoio a proposito dell’incontro tra Mike e la fidanzata dalla capigliatura mitologica, la bella Celia, quale rendez-vous rischia di non realizzarsi a causa delle pratiche non archiviate da parte del tecnico. Fortunatamente l’ottimo Sulley si propone di svolgere il lavoro al posto del compagno, salvando così la cena dei due innamorati. È notte ormai in una deserta Monsters Inc. quando il nostro si accorge di una porta ancora attiva, e solerte come sempre – è proprio l’impiegato modello, l’individuo indispensabile 69 alla ditta, colui che conosce solo il lavoro e nient’altro gli interessa, l’unico ad avere la fiducia incondizionata del capitano d’azienda, il signor Henry J. Waternoose III, la cui famiglia da generazioni fornisce energia a Mostropoli – chiedendo permesso varca la soglia per assicurarsi che non vi sia una sorta di malfunzionamento, senza sapere di aver appena sconvolta la propria esistenza, perché dall’uscio incustodito compare l’unico eroe di tutta la narrazione: una bambina umana. Che fare? L’angoscia invade Sulley!, gli umani sono tossici. Riportarla indietro? Ma certo! Ma quella ritorna, è ancora qui? Riprova, chiudi la porta, ecco che arriva qualcuno, e se mi dovessero scoprire? Perderei la mia reputazione, io lo spaventatore numero uno, il preferito del capo contaminato da un cucciolo umano la fatica i sacrifici fatti sin qui gli studi e chi glielodice solo io so oddiodiodio nonono devo andare ma perché proprio a me perché perché proprio? Inciampa, cade, che disastro, ma che sono queste cose? Presto in bagno... ma che ci fa ancora qui la bambina? Ma chi è quello? È Randall? Devo andare via, l’unico che mi possa aiutare è Mike... Così Sulley raggiunge Mike mentre questi cena con la fidanzata al 70 fine di sottoporgli il problema della bambina invadente, ma è troppo tardi e la piccola, più divertita che spaventata dal mostruoso consesso, scatena il panico al ristorante Harryhousen – omaggio al maestro degli effetti speciali Ray Harryhousen – rendendo addirittura necessario l’intervento della temuta CDA (Child Detection Agency), ma i nostri, nonostante il parapiglia, riescono a mettersi in salvo. Raggiunto il loro appartamento, i due mostri cercano dapprima di addomesticare quel minuscolo essere rosa che nemmeno è in grado di parlare al fine di nasconderlo e di cercare una soluzione al problema, e qualcosa inizia a incrinare per sempre la visione d’insieme di Sulley quando la piccola gli mostra un disegno raffigurante se stessa e il mostro – che viene affettuosamente ribattezzato Gatto – capendo così che non vi è nessun motivo di avere paura, e avendola portata a letto comunica all’amico un piano efficace per risolvere la questione: travestire il loro indesiderato ospite, introdurlo alla Monsters Inc. l’indomani mattina e rispedirlo così a casa tramite la stessa porta che l’aveva introdotto nel loro mondo. Il giorno seguente, presso i bagni del falansterio, i tre casualmente ascoltano una conversazione dal significato oscuro tra Randall e il suo tecnico Fungus che allude alla necessità di ricuperare la bambina, finita sulle prime pagine di tutti i giornali, al fine di impiegare su di essa un misterioso macchinario. Forte di un cattivo presagio Sulley si affretta nell’impegno di rimandare a casa la piccola Boo – questo è il nome che il mostro ha deciso di conferirle con il forte disappunto dell’amico –, ma Mike non sembra concentrarsi sul compito se non in funzione di risolvere il danneggiamento dei suoi interessi personali, 71 e per tale motivo, a causa di un battibecco tra i due mostri, la bambina si allontana. Nel frattempo Randall, carpita casualmente una conversazione tra Mike e Celia, intuisce che il monocolo verde sembra essere coinvolto nell’incidente della sera prima al ristorante, quindi lo minaccia affinché gli renda la bambina in segreto durante la pausa pranzo. Ritrovata la la piccola e giunto con essa dinanzi alla porta, Sulley tituba nell’introdurvela assecondando nuovamente il cattivo presagio già avuto in precedenza, scelta che smaschererà Randall in agguato nella cameretta e pronto a rapire Boo, il quale tuttavia sequestra, per errore, lo sventurato Mike. Seguendo il mostro attraverso un passaggio segreto, i tre ne scoprono i piani deliranti che riguardano l’impiego di un macchinario chiamato “Estrattore di urli” al fine di sbancare il lunario e salire alla ribalta come grande innovatore del mercato degli spaventi, ma proprio mentre il trabiccolo sta per essere utilizzato sul povero Mike, prontamente Sulley lo disattiva, traendo in salvo l’amico. In cerca di una soluzione, i due mostri si rivolgono al signor Waternoose il quale, nel mezzo di una lezione per formare dei nuovi impiegati, chiede a Sulley una dimostrazione professionale di spavento a cui purtroppo assiste anche la piccola Boo, che quindi fugge terrorizzata dal suo amico Gatto svelando così la propria identità al capo dell’azienda. Mentre Sulley, affranto, cerca di consolare inutilmente la piccola rendendosi così conto dell’assurdità del lavoro che svolge, Mike racconta al padrone il piano malvagio di Randall il quale è in realtà in combutta con lo stesso capitano d’impresa che, disperato ormai 72 dalla sempre crescente insensibilità dei bambini alla paura, non può che affidarsi al metodo tutt’altro che ortodosso di estrarre meccanicamente le urla degli umani; i due amici vengono quindi esiliati rei di aver appreso troppe cose scomode. Finiti sui monti dell’Himalaya e accolti da un socievole Yeti, le strade dei due si dividono dopo un aspro litigio, e così Sulley decide di raggiungere il vicino paese di umani al fine di ritornare nel suo mondo e salvare la piccola Boo dai folli piani dei due mostri corrotti, chi dalla sete di gloria, chi dall’orgoglio imprenditoriale. Giunto a destinazione il gigante ingaggia una lotta contro Randall il quale inizialmente ha la meglio ma che infine riesce a sconfiggere grazie al provvidenziale intervento di Mike, di ritorno vinto dall’amicizia, e dopo un inseguimento spericolato sulle porte semoventi, i nostri eroi riescono a esiliare definitivamente l’antagonista, del quale nemmeno Boo sembra avere ormai più paura, e a incastrare il signor Waternoose. Una volta che Mike e Sulley si accomiatano per sempre dalla bambina commossi sino alle lacrime, i mostri del CDA provvedono a distruggerne porta di collegamento e intimano ai due di tornare alla normalità dimenticando la questione. La Monsters Incorporated è più viva che mai Nonostante l’imminente tracollo finanziario, la Monsters Inc. è ritornata ad essere una delle prime aziende nazionali grazie al lungimirante intervento di un giovane imprenditore, James P. Sullivan, già spaventatore presso la stessa ditta, il quale lo scorso anno intuì la grande capacità energetica delle risate umane in luogo delle loro urla di terrore, rivoluzionando così per sem- 73 pre il mercato delle forniture elettriche... continua a pag... Quello di cui i giornali non parlano, e che nessuno può conoscere, è il vuoto nel petto che Sulley si porta dentro. Un vuoto scaldato da un disegno vergato da mano infantile, che ritrae la verità su un foglio di carta spiegazzato. Strano quanto siano gli occhi dei bambini gli unici a poter cogliere il volto segreto delle cose – pensa Sulley. Così il mostro verde e viola, l’impiegato perfetto, un soldato della vita, vede disgregarsi tutte le convinzioni della sua pantomima vissuta per automatismi, popolata da illusioni. Soltanto il buon Mike riesce a sentire questo vuoto, e con la dedizione silente dell’amore amicale ricompone la porta di collegamento alla camera della piccola Boo, per onorare il cuore del gigante malinconico che ora batte più forte che mai. Manca l’ultimo pezzo: ora è pronta. Uno sguardo. ...Gatto!... IV.II.II Hai paura? Di indiscusso valore affettivo per lo scrivente, Monsters & Co. è forse 74 tra i migliori lavori Pixar – il quarto in ordine cronologico – in quanto conserva limpidamente l’incanto infantile che rappresenta lo spirito della produzione degli Studios dei primi periodi. Esso non sembra avere finalità esplicitamente pedagogiche, didascaliche o intellettuali mantenendo dunque, in ogni sua parte, il ritmo tipico dello smart entertainment statunitense, intelligentemente leggero, a tratti friabile, pur rispettando quella dignità contenutistica che ne valorizza, senza enfasi, le tematiche principali e che consente di sorvolare anche sui dozzinali espedienti comici tuttavia indispensabili al cinema commerciale. I personaggi che agiscono nella storia sono credibili e generalmente ben definiti sia psicologicamente che, soprattutto, graficamente. Seguendo lo Schema di Propp (da questo punto in avanti Schema) in modo non propriamente ortodosso, è possibile individuare la presenza di • due Antagonisti: Randall Boggs, che agisce concretamente la funzione X, e il signor Waternoose, il quale dapprima veste i panni del personaggio neutrale per poi rivelarsi complice o addirittura mandante dello stesso mostro-camaleonte; • un Aiutante: rappresentato da Mike Wazowski, il quale rimane al fianco di Sulley coadiuvandolo più per sentimento di amicizia che per atto volitivo, poiché spesse volte esplicita il suo disappunto nei confronti delle imprese proposte se non in funzione della salvaguardia dei propri interessi personali, salvo, in ultima istanza, ricredersi e agire secondo un’apparente spinta oblativa verso Boo; 75 • un Eroe: assolto da James P. Sullivan il quale è vittima della mancanza iniziale che egli stesso opera su di sé, e cioè l’incapacità di attribuire un valore reale alla sua vita; • un Donatore: interpretato da Boo poiché essa rappresenta l’unico personaggio in grado di fornire a Sulley il mezzo magico per rimuovere la sciagura iniziale, cioè l’amare incondizionatamente. Osservo che il profilo dei personaggi sembra più complesso rispetto a quello proposto dallo Schema, poiché ognuno degli attori agisce certamente in ordine a un fine perseguibile secondo specifiche funzioni, salvo la presenza, in alcuni, di essi di una prevedibile imprevidibilità che ne rende certamente difficoltosa l’univoca interpretazione. In tal senso, il paradigma proposto da Ceruso sembra offrire una modalità di lettura più esplicativa; infatti, in questo caso riscontro la presenza di • un Eroe Antagonista: rappresentato da Sulley, il quale predispone gli eventi affinché la funzione X si verifichi quando meccanicamente continua a impersonare degli schemi esistenziali inautentici – elemento che si palesa ai suoi occhi nel momento in cui terrorizza la piccola Boo durante la dimostrazione di spavento –, danneggiamento che si concretizza in una vita arida di affetti veri durante la situazione iniziale e, con l’ausilio del Fato, nell’esilio da parte di Waternoose presso le montagne dell’Himalaya; • un Falso Antagonista: interpretato da Mike, il quale dapprima si mostra recalcitrante nell’aiutare Boo e anzi ostile alla sua presenza in quanto possibile causa di disagi nel mondo di Mostropoli, per poi 76 commuoversi dinanzi al sentimento puro dell’amico nei confronti della bambina, superando così anch’egli i timori convenzionali della sua vita artificiale; • due Antagonisti Automa: agiti da Randall e Waternoose in quanto entrambi accecati da un fine superiore che corrompe irrimediabilmente la loro capacità di discernimento, distorcendo in tal modo un senso di realtà forse già labile. Resta esclusa, secondo questa lettura, la piccola Boo, la quale non sembra rientrare in nessuna delle categorie proposte. Ciò sarebbe dovuto alla stabilità che tale personaggio presenta nonostante l’apparente situazione di svantaggio da cui parte: ella è infatti una bambina, si suppone, di età prescolare, lontana da casa in un mondo popolato da creature mostruose e incapace di utilizzare un linguaggio intellegibile. Addirittura non se ne conosce il nome reale, eppure è sempre sorridente, affettiva, solida e, paradossalmente, più lucida rispetto a tutti gli adulti di cui è attorniata, e con sguardo incontaminato vede e disegna la vera figura del sedicente spaventatore Sulley, nient’altro che un grande, a sua volta spaventato Gatto. La ragione per cui interpreto la stabilità di Boo come elemento che ne impedisce la classificazione consiste nel fatto che essa rappresenta una componente fondamentale dell’istanza psichica comunemente intesa come identità. Sebbene alcune delle funzioni proposte da Propp siano chiaramente riscontrabili nella narrazione per quanto riguarda la loro accezione classica, soltanto una loro particolare sequenza consente di chiarire questa tematica deducibile da un’applicazione non ortodossa dello 77 Schema. In ordine cronologico, riscontro le seguenti funzioni classiche: • un divieto (k) rappresentato dall’avvertenza di non entrare in contatto con gli umani in quanto tossici e la sua infrazione (q) quando Sulley comprende che, in realtà questi sono innocui; • una prima sequenza X W ↑ Rm quando Randall sequestra per errore Mike che viene tratto in salvo; • una lunga sequenza che rappresenta l’intreccio principale j y X W ↑ R L V Rm ↓ P S C A T N quando Waternoose induce con l’inganno (j) i due amici che ancora di lui si fidano (y) all’esilio (↑), sequestra Boo (X), quindi si assiste alla reazione di Sulley (W) che, tornato a Mostropoli tramite una porta (R), ingaggia la lotta contro Randall (L) all’interno del magazzino delle porte, infine vincendolo (V) e recuperando Boo (Rm); di conseguenza vi è il rientro (↓) dell’eroe e dell’aiutante che vengono attesi da Waternoose e dal CDA per essere arrestati (P), dai quali persecutori si salvano tuttavia con uno stratagemma (S) venendo posti, infine, dinanzi al compito difficile di salutare per sempre la piccola (C) che svolgono entrambi con profonda commozione (A, T) cambiando interiormente, ormai più in contatto con se stessi quindi riuscendo ad accettare le parti taciute della loro interiorità (N). Infine, partendo dal presupposto che Boo interpreti il personaggio del Donatore come ho riportato sopra e che Sulley rappresenti l’Eroe causa del suo mal, il processo di individuazione che consente allo stesso di giungere a coniugare le istanze diverse della sua interiorità pervenendo infine all’Identità di se stesso, cioè l’essere integro e identico in ogni contesto potrebbe essere rappresentato da una sequenza x D E 78 Z Rm T N. Ebbene, essa descriverebbe una mancanza auto inferta (x), la negazione cioè di alcune parti del Sé, nella fattispecie tutto ciò che si trova oltre i riconoscimenti di una vita improntata all’operatività la quale tuttavia non è sconveniente in senso assoluto ma che viene agita in modo acritico; quale mancanza inizia a colmarsi nel momento in cui il Fato, tessendo la sua tela, mette sul cammino dell’Eroe un Donatore che sottopone lo stesso alla grande prova dell’incontro con la propria affettività sopita (D), la quale investe l’eroe che reagisce (E) accettandola e abbandonandosi a essa, quindi conquistandola in tutta la sua interezza fatta di Amare limpidamente l’altro (Z), ciò che gli consente infine di colmare compiutamente la mancanza iniziale (Rm) e di effettuare la trasfigurazione da un mostro pavido e ripiegato su se stesso a un altro esteso, aperto, che accetta il bello e il brutto di sé (T) riconoscendosi unico (N). Riflettendo intorno a questi elementi di analisi, innanzitutto sembra che la narrazione dei contenuti antropologici universali venga descritta da processi interiori più che da imprese epiche, mentre l’elemento magico non trascende l’umano ma anzi scaturisce dai suoi moti più profondi; in secondo luogo osservo una passività che descrive le traiettorie dei personaggi, i quali agiscono per atti che acquisiscono una volitività solo nel corso della narrazione, come se questa derivasse da una reazione evocata da cause di forza maggiore. Sono dunque effettivamente presenti, almeno in questa pellicola, le tematiche dell’Identità e del Fato introdotte da Ceruso mentre vi è una mancata adesione allo Schema nella sua totalità, giungendo così alla conclusione che l’opera riportata non rappresenta un esempio di racconto di fate secondo 79 la lettura di Propp; è pertanto da ritenersi che essa sia un altro tipo di Narrazione. Potrebbe questa venire intesa, forse, come una Toy Story? cioè una storia di giocattoli, un ritratto dell’Anima semplice, il canto della Poesia delle Piccole Cose: uno story telling che coniuga le esigenze di mercato, il gusto estetico contemporaneo nonché la tensione verso la meraviglia? Conseguentemente a ciò, sarebbe la Toy Story da intendersi come sintesi di diverse istanze costituendosi in tal senso come materiale Pedagogico? Secondo gli elementi di analisi sopra emersi, l’opera Monsters & Co. venendo ipoteticamente impiegata come sollecitazione all’interno un percorso educativo rivolto a bambini, adolescenti e, con le adeguate premesse, adulti sarebbe quasi certamente in grado di sostenere l’individuo lungo un processo di formativo di conoscenza e auto conoscenza grazie ai suoi contenuti rilevanti in termini di riflessione sulla condizione evolutiva individuale, nonché foriero di meraviglia tramite l’originale codice estetico e narrativo. IV.III Di cielo, di mare E innanzi al mare ad ansimare sto perché domare il mare non si può3 Il Blu: l’eterno, il cielo, il mare. Miliardi di anni, eppure questi rappresentano le certezze incrollabili, il freddo cielo stellato sopra di noi, la calda terra solida sotto di noi, il mare immenso per cercare nuovi mondi. 3 Claudio Baglioni, Io dal mare. In Oltre, traccia #2 disco 1. 80 Creature leggendarie popolano i fondali marini, leviatani, kraken, esseri imponenti, spaventosi, invincibili. Quali, invece, abitano gli abissi umani? Chi si nasconde nell’ombra? Il mare custodisce i segreti della creazione, mentre in fondo al cuore si nasconde l’uomo, sepolto dalla paura, dal terrore eterno di smarrire gli amati: ciò che resta quando tutto si conclude e il sipario cala. Allora, solo allora, si capisce che vale la pena di lottare. Alla ricerca di Nemo è la seconda pellicola diretta da Andrew Stanton, già dietro la macchina da presa insieme a Lasseter per A Bug’s Life, coadiuvato da Lee Unkrich e proiettata per la prima volta nelle sale statunitensi a fine maggio 2003. Esso resta tra i lavori di maggior successo nel campo del Cinema d’Animazione, nonché il primo lavoro della casa di Emeryville a guadagnare il riconoscimento agli Academy Awards come miglior film d’animazione nel 2004. L’azione principale si svolge in un area marina compresa tra la Grande Barriera Corallina dell’Australia nord-orientale e il porto di Sydney, situato a più o meno un migliaio di chilometri verso sud e vede come principali protagonisti le creature che popolano questo grande Blu. IV.III.I Findig Nemo Reef, Anemone signorile, zona prestigiosa, vista oceano: il luogo ideale dove far crescere i vostri figli, il sogno delle vostre mogli. Certamente, una giovane coppia di pesce pagliaccio non avrebbe mai potuto lasciarsi sfuggire un’occasione simile. Lui, Marlin, marito di buona volontà ed esemplificazione della poetica fragilità maschile; 81 lei, Coral, essenziale, creativa, moglie votata alla famiglia al punto di divenire eroica nel proteggere le sue uova da un affamato barracuda. La lotta, poi il buio. Senza la guida della moglie e le trecentonovantanove uova divorate dal mostro marino, il povero Marlin cresce l’unico figlio superstite, Nemo, con apprensione e timore, ben attento a salvaguardare dal mondo assassino l’unico grande amato rimastogli in vita. Ma il piccolino nonostante la sua debolezza, una pinna fortunata, e all’affetto prossimo alla devozione del padre sempre più difficilmente riesce a soffocare l’incontenibile vivacità dell’infanzia, finalmente lieto di entrare a scuola. Il richiamo del Blu è irresistibile e Nemo, rimproverato e ferito nell’orgoglio dal genitore, quindi fomentato da un fisiologico conflitto edipico, contravviene alle regole istituzionali e si avvia, nuotando in mare aperto, a toccare il motoschifo ancorato poco sopra il Reef. Ma quando il piccolo si appresta a rientrare viene rapito da un subacqueo mentre un altro stordisce Marlin con il flash della macchina fotogra- 82 fica; a niente vale nuotare a perdifiato dietro l’imbarcazione che vola rapida verso chissà dove lasciando dietro di sé soltanto una scia di schiuma bianca, una maschera da sub e l’autocommiserazione di un padre disperato. Durante l’inseguimento, tuttavia, l’infelice si imbatte dapprima in Dori, un bizzarro pesce chirurgo femmina che si propone spontaneamente di aiutarlo salvo poi dimenticarsi di tutto ciò a causa di un disturbo della memoria a breve termine, e in un secondo tempo in Bruto, un Grande Squalo Bianco, il quale invita i due a una festa; nonostante recalcitri garbatamente Marlin si vede costretto ad accettare dietro le insistenze del predatore, e così il gruppo si reca presso il relitto di una nave da guerra circondato da residuati bellici dove viene atteso, con fervore, da Fiocco e Randa, rispettivamente uno Squalo Makò e uno Squalo Martello. L’inquietante consesso si rivela essere un gruppo di auto-aiuto per superare le tendenze predatorie dei componenti, ma per un malaugurato caso – l’epistassi di Dori causata da Marlin nella contesa per la maschera da subacqueo persa dalla barca dei rapitori – si risveglia l’istinto omicida di Bruto, il quale ora tenta di divorare i due ospiti provocando, nella furia, l’esplosione delle mine di profondità nelle circostanze. Ancora una volta, il buio. Nel frattempo, il piccolo Nemo si risveglia in una prigione di vetro popolata da singolari pesci, ognuno con una personale psicopatologia (rupofobia, disturbo dissociativo della personalità, feticismo) e accomunati dalla passione per la strumentazione odontoiatrica: l’aquario si trova infatti nello studio dentistico di P. Sherman, 42 Wallaby Way, Sydney. Spaventato nell’aver appreso la notizia di essere promesso in dono 83 alla nipote pescicida del dentista, Darla, Nemo si incastra inavvertitamente nel tubo di prelevamento dell’acqua destando così l’attenzione del defilato leader dell’acquario, uno sfigurato pesce Idolo Moresco di nome Branchia, il quale aiuta il piccolo a superare la situazione infondendogli la fiducia che il padre non aveva mai avuto la forza di concedergli. L’azione ritorna a Marlin e Dori, i quali giacciono all’interno del relitto sul ciglio di un crepaccio sottomarino, quindi spaventati dalla situazione lasciano cadere la maschera da subacqueo nella fossa buia, verso la quale andranno incontro grazie all’iniziativa della pesce chirurgo al fine di carpire le preziose informazioni impresse sull’artefatto umano che solo lei è in grado di decifrare, conoscenza che ottengono dopo un breve scontro contro un Melanoceto, apprendendo così la direzione da intraprendere. Frattanto, nello studio del dottor Sherman, Nemo viene iniziato alla sacra loggia dell’acquario superando la prova del cerchio di fuoco, entrando in tal modo a tutti gli effetti nella comunità con un nuovo nome da affiliato: Pesce da Lenza. Niente a questo punto può fermare il piano d’evasione di Branchia, che vede nel piccolo pesce pagliaccio l’unico membro idoneo, per le sue ridotte dimensioni, a insinuarsi nei meccanismi di depurazione dell’acquario ostruendoli in modo tale che i pesci vengano riposti negli appositi sacchetti di plastica tramite il rotolamento dei quali attuerebbero la fuga. In mare aperto, al fine di scoprire la via per raggiungere la misteriosa Sydney, Marlin e Dori interpellano un banco di Pesci Argentati che forniscono l’informazione alla seconda perché irritati, in un primo 84 momento, dall’incapacità relazionale del pesce pagliaccio, raccomandandosi di raggiungere la Corrente Orientale Australiana detta COA, l’unico mezzo di trasporto atto a condurli verso la meta, percorrendo un crepaccio sul fondo anziché sulla cima. Dimenticandosi di tale raccomandazione, Dori non riesce a persuadere Marlin a evitare la superficie del crepaccio, facendo dunque sì che i due si trovino circondati da un banco di meduse che finiscono per stordire la povera pesce chirurgo e, infine, anche lo stesso pesce pagliaccio dopo che questi, con un atto di sacrificio, la trae in salvo. Mentre per la seconda volta calano le tenebre sui due, i pesci del dottor Sherman sentono sempre più vicina l’acqua della libertà quando mettono in atto il loro piano di evasione, che tuttavia disattende le sue velleità nel momento in cui fallisce il sistema di ostruzione dei filtri, infondendo la definitiva, muta rassegnazione per la vita in cattività. Riavutosi, Marlin si rende conto di essere stato tratto in salvo da una vitale Caretta Caretta che si fa chiamare Scorza e di viaggiare proprio lungo la COA introdottovi dallo stesso rettile marino, dal quale capi- 85 sce, inoltre, l’importanza educativa di concedere autonomia ai figli. I cuccioli di tartaruga, affascinati dall’impresa del banco di meduse, interrogano il pesce pagliaccio apprendendone le peripezie, facendo in tal modo giungere la voce, tramite un passaparola tra le creature marine e portata dal Pellicano Amilcare, addirittura all’acquario dove si trova lo stesso Nemo, il quale ritrova la fiducia nel genitore e la speranza perduta riuscendo, con una nuova energia, nell’impresa dell’ostruzione dei filtri: così il piano di fuga ritorna in auge riaccendendo l’entusiasmo degli altri compagni di prigionia. I pesci del reef riescono, infine, a giungere nei pressi del porto di Sydney, ma rischiano di perdersi se non fosse per l’intervento di Dori che invoca l’aiuto di una Balena, la quale li inghiotte per trasportarli a destinazione. Nel frattempo, il piano dei pesci nell’acquario procede secondo quanto stabilito e proprio per questo, nella notte, il dottor Sherman installa un apparecchio che igienizza automaticamente l’ambiente acquatico, e tutto ancor più sembra perduto quando Nemo viene messo da parte nell’attesa di essere donato a Darla, la quale infatti giunge presso lo studio dello zio scatenando il panico. È soltanto grazie all’intervento di Amilcare che finalmente Marlin e Dori raggiungono lo studio del dottor Sherman proprio nel momento in cui Nemo, fingendosi morto, sta per essere cestinato, e solo dopo aver ingaggiato una lotta contro il dentista il pesce pagliaccio vede il figlio a pancia all’aria piombando così nello sconforto. Ma la speranza non abbandona il tenace Branchia che grazie a un coraggioso gesto permette al piccolo di fuggire tramite lo scarico del lavandino, regalandogli così la libertà del mare dove il pesciolino incontra Dori, con- 86 fusa e scossa dall’abbandono dell’ormai inconsolabile compagno di viaggio, la quale dopo un attimo di smarrimento conduce finalmente Nemo dal padre. In quel frangente, la pesce chirurgo viene catturata da un peschereccio ma, vinta la iniziale diffidenza del genitore, subito liberata da Nemo il quale consiglia a tutti gli altri pesci nella rete di nuotare verso il basso, rompendo così il braccio della gru che ne sostiene trappola. Finalmente i nostri possono tornare a casa, una casa fatta di nuove speranze, quel piccolo miracolo che si ripete ogni giorno da quando il cielo e il mare si sono conosciuti nel Blu immenso, eterno, placido, misterioso. Adesso, solo adesso, la vita può chiamarsi vita. E così, vissero... IV.III.II Gli anni della Tartaruga Dall’azione assimilabile a un film live action, Alla ricerca di Nemo in primo luogo ammicca forzatamente, forse per tale ragione, al gran- 87 de pubblico e in particolar modo a quello infantile secondo i classici espedienti comici del Cinema d’Animazione fatti di personaggi, espressioni e pose caricaturali; nonché esplicita chiaramente l’intento pedagogico sottostante alla narrazione, candidandosi quindi, secondo questo primo e superficiale elemento di analisi, a divenire materiale fruibile all’interno di un percorso educativo che impieghi l’Animazione come stimolo primario. Dal punto di vista strutturale, l’opera sembra aderire in misura maggiore rispetto a quella considerata sopra ai parametri delineati dallo Schema sia per quanto riguarda la descrizione dei personaggi, che le funzioni da essi assolte. Innanzitutto procederei con l’analisi degli attori, tra i quali è possibile individuare • due Eroi: interpretati da Marlin, come eroe cercatore, e Nemo; • cinque Aiutanti: quali Dori e Branchia, rispettivamente al fianco di Marlin e Nemo da cui, in alcuni frangenti, acquisiscono il ruolo di eroe; Scorza e le altre Caretta Caretta; la Balena nelle vicinanze di Sydney; e infine il Pellicano Amilcare; • due Antagonisti: rappresentati dal dottor Sherman e da sua nipote Darla; • tre Donatori: tra cui il gruppo di squali, il Melanoceto e il banco di Pesci Argentati. Appare già evidente che la storia aderisca a uno standard narrativo meglio definito rispetto a Monsters & Co. a partire da questa prelimin- 88 are analisi dei personaggi, i quali seguono senza particolari sfumature psicologiche il loro ruolo, eccezion fatta per l’Eroe cercatore e per il suo Aiutante. Infatti, l’unico a presentare una interiorità meno semplificata è Marlin il quale, nella sua prevedibilità, agisce con slanci eroici in nome della salvezza del figlio pur mantenendo il dubbio e il timore nelle proprie azioni, ambivalenza che lo avvicinerebbe dunque alla figura dell’Eroe Antagonista proposta da Ceruso. Ancora è interessante la figura di Dori non tanto per il carattere grottescamente comico del personaggio, quanto più per la sua stabilità, che paradossalmente consente all’eroe di mantenersi sul retto cammino risolvendo talora in sua vece le prove proposte dai Donatori o le situazioni di tensione dalle quali il pesce pagliaccio verrebbe facilmente sopraffatto. È infatti la stessa Aiutante a invitare il compagno di avventure, rassicurandolo, verso gli abissi e a leggere l’indirizzo sulla maschera da subacqueo del dottor Sherman, oppure a ottenere le informazioni per raggiungere la COA o ancora a ingaggiare la Balena come mezzo di trasporto e, infine, a condurre concretamente Nemo da suo padre senza mai abbandonare la spontaneità, l’ottimismo, la vitalità che Marlin l’Eroe si continua a negare dall’incidente del barracuda. Curioso è notare che, come per Monsters & Co., il personaggio che colma la situazione di mancanza iniziale x sia, in qualche modo, lo stereotipo dello svantaggiato – Boo una bambina senza nome e senza parola che dona significato alla vita Sulley; Dori un bizzarro pesce che soffre di amnesie che infonde una nuova vivacità al grigio Marlin. Sembra che costoro non temano in nessun modo la solitudine propria della loro condizione, risultando, per tanto, spiritualmente libere 89 dalla paura di Amare. Continuando ad applicare i parametri fissati dallo Schema, emergono alcune sequenze di funzioni che vanno a costituire i motivi sottostanti l’intreccio, di cui è possibile tracciare un modello che assume i seguenti connotati ikqX < ↑ (D E Z)1 (D E Z)2 (D E Z)3 (R)1 (R)2 (R)3 L V CAT N WLV che vado sinteticamente a circostanziare. • i, cioè una situazione iniziale dove viene descritta la perdita della compagna e di tutte le uova tranne una da parte dell’Eroe, il quale si abbandona, per ciò, ai propri timori restandone irrimediabilmente invischiato. La reazione a questo lutto rappresenta la effettiva mancanza iniziale x, e cioè la negazione della libertà propria e altrui che predispone gli eventi affinché X si verifichi. • k q X, sequenza dove si assiste all’imposizione del divieto (k) per Nemo di toccare il motoscafo, che egli ovviamente infrange (q) determinando il danneggiamento (X). Si noti che, tuttavia, l’Antagonista non compie il gesto in cattiva fede credendo anzi di aiutare il piccolo pesce pagliaccio ai suoi occhi disperso nel grande oceano; tale elemento narrativo conferma l’assenza di polarizzazione di cui ha argomentato già Ceruso. • Il simbolo < viene impiegato da Propp per indicare l’elemento del palo separatore, cioè la situazione in cui si osserva una separazione dei due eroi che seguono strade differenti. In questo caso è il rapimento 90 stesso di Nemo a rappresentare il palo. • Una prima sequenza W ↑ (D E Z), che descrive la reazione di Marlin (W), che diviene Eroe cercatore inseguendo il motoscafo, il suo incontro con l’Aiutante Dori e la partenza (↑) guidato da essa, salvo poi incontrare casualmente Bruto, Donatore, che sottopone a una prova di coraggio (D) i due che si prestano a seguirlo (E) conquistando il mezzo magico (Z) della maschera da subacqueo. • Una nuova sequenza (D E Z) che si verifica quando i due pesci, al fine di recuperare la solita maschera, si addentrano negli abissi marini incontrando il Melanoceto, Donatore, che sottopone Marlin alla zuffa con il donatore ostile (D), durante la quale l’Eroe reagisce (E) per ottenere il mezzo magico della luce (Z) che consente a Dori di leggere le informazioni riportate sull’oggetto umano. • Una terza sequenza (D E Z) nel momento in cui i nostri incontrano il banco di Pesci Argento, Donatore, che sottopone Marlin alla prova della temperanza (D), non superata in prima persona ma per intercessione di Dori (E), la quale ottiene le informazioni necessarie a raggiungere Sydney (Z). • (R)1 (R)2 (R)3 che rappresentano i trasferimenti effettuati dall’Eroe e dall’Aiutante per giungere a destinazione rispettivamente grazie a Scorza, Aiutante, che conduce i due lungo la COA, la Balena, Aiutante, che li trasporta ingoiandoli e Amilcare, Aiutante, che in volo li introduce presso lo studio del dottor Sherman. Come per le tre sequenze DEZ, anche in questo caso osservo la presenza di un fenomeno ricorrente nella fiaba che Propp chiama Triplicazione, il quale andrebbe a 91 confermare la maggiore aderenza della storia allo Schema. • L V, momento in cui l’Eroe Marlin ingaggia la lotta contro l’Antagonista dott. Sherman (L), vincendolo (V), al fine di liberare il figlio risolvendo così il danneggiamento del sequestro. • Una sequenza parallela W L V intrapresa da Nemo, Eroe, che reagisce alla sua condizione di prigionia con decisione nel momento in cui apprende che il padre sta cercandolo (W), fino a intraprendere una lotta (L) contro l’Antagonista Darla che riesce a vincere (V) soltanto grazie all’intervento di Branchia, Aiutante. • La funzione Rm è rappresentata dal ricongiungimento tra i due Eroi che avviene soltanto grazie all’intervento dei loro rispettivi Aiutanti. • Una sequenza C A che si verifica nel momento in cui Dori viene catturata dal peschereccio e viene posto il compito difficile (C) all’Eroe Marlin che consiste nel permettere all’Eroe Nemo di risolvere la situazione, che per entrambi volge verso l’adempimento quando Marlin rinuncia alla sua apprensione (A); e Nemo riesce nell’intento (A). • Nella situazione finale, la funzione T rappresenta il nuovo Marlin che, vitale e spigliato, riesce a integrare (N) le parti di sé negate per paura o per eccessiva apprensione, come dimostra il fatto che riesca a divertire i genitori degli altri bambini assumendo il ruolo, non privo di auto ironia, del pesce pagliaccio; Dori che finalmente riesce a ricordare (T); e Nemo che può vivere più serenamente la propria autonomia (T). 92 Avendo ottenuto questi ulteriori elementi di analisi, le ipotesi iniziali riguardanti l’assegnazione dei personaggi viene confermata anche dalle corrispondenti sfere d’azione ad essi riconducibili. Infatti i due Eroi assolvono, in concomitanza, alle funzioni W ↑ E N; gli Aiutanti Scorza, la Balena e Amilcare svolgono limitatamente la funzione R, mentre Branchia Rm e Dori Rm A T; i Donatori quali il gruppo di squali, il Melanoceto e il banco di Pesce Argentati agiscono secondo D Z; e l’Antagonista dottor Sherman mette in atto X L, mentre la nipote Darla soltanto L. In questo caso, secondo le evidenze emerse da questa sintetica analisi morfologica, è possibile affermare che l’opera Alla ricerca di Nemo, aderendo nella sua maggior parte ai parametri delineati dallo Schema, potrebbe rientrare nella categoria narrativa del racconto di fate con tutte le implicazioni intellettuali che ne derivano. La componente antropologica del rito di iniziazione è evidente in tutte le prove alle quali i protagonisti sono sottoposti – in un frangente anche in modo esplicito all’interno di un siparietto umoristico – sebbene l’estetica e le tematiche della pellicola si configurino come dichiaratamente contemporanee. In particolar modo si osserva una costante e importante presenza della tematica del Fato, o ancora, molto elegantemente trattato a opinione dello scrivente, il tema della disabilità, stilizzata nella pinna fortunata di Nemo e nella menomazione di Branchia, i quali formano un legame profondo in nome di questa loro somiglianza. Interessante è infatti il rapporto tra i due, dove il pesce dell’acquario assume il ruolo assimilabile al Maestro nei confronti piccolo, consentendo ad esso di superare le difficoltà e così di maturare credendo maggiormente nelle 93 proprie capacità. Ricorre, tuttavia velatamente, un tema all’interno delle due narrazioni trattate sino a questo punto a cui ho fatto caso soltanto in sede di revisione del materiale scritto per il lavoro che vado svolgendo in queste righe. Ebbene, il nome del personaggio principale, Nemo, deriva dalla lingua latina, e in particolare si riferisce al pronome indefinito nemo, cioè nessuno. Proprio come Boo, una bambina proveniente da un altrove che non possiede nome né parola, anche Nemo, nel suo significato linguistico, è nessuno. Alla ricerca di Nessuno. Noto inoltre che nel momento in cui Dori si presenta, sostiene di non essere in grado di ricordare i componenti della sua famiglia. Ciò che sembra accomunare, simbolicamente, questi personaggi è una apparente assenza di riferimenti, di appartenenze ben definite, di nomi, luoghi, parole e memorie. Che sia questo un espediente narrativo o commerciale che possa facilitare l’immedesimazione del pubblico nel personaggio? O che vi sia una motivazione più profonda, arcaica, antropologica che guida gli autori nel costruire i personaggi fondamentali come dei contenuti senza contenitore? Vi è un messaggio sotteso o tale elemento riguarda solo l’aspetto estetico della storia? Oppure sto interrogandomi su significati laddove non ve ne sono a causa della mia personale tendenza alla riflessione? Al di là di speculazioni che non intendo approfondire, alla luce degli elementi di analisi emersi sin qui Alla ricerca di Nemo è un’opera che può essere impiegata all’interno di un Percorso Educativo come materiale Pedagogico e di riflessione innanzitutto per le molteplici tematiche che potenzialmente va ad evocare nel corso della storia, in 94 secondo luogo per la sua struttura aderente a uno schema narrativo codificato quindi facilmente intellegibile, e infine per il carattere universale di alcuni messaggi di cui si fa portatrice senza mai risultare stucchevole o forzatamente esplicita. IV.IV The dawn of man Era soltanto un colore venuto dallo spazio, messaggero spaventoso degli informi reami dell’infinito, al di là della natura che noi conosciamo...4 Siamo nell’anno Domini 2105. La Bnl, Buy’n’Large, l’azienda egemone nel mercato della vita, si incarica di organizzare il progetto di bonifica del pianeta Terra ormai sommerso dai rifiuti; infatti, mentre le unità WALL•E (Waste Allocation Load Lifter•Earth-class) operosamente compattano e ripongono in siti di stoccaggio la spazzatura che invade il nostro amato pianeta, tramite spot proiettati su enormi schermi olografici il presidente Shelby Forthright ribadisce all’umanità orfana di se stessa di avere fiducia nella perfetta riuscita della missione, proponendo una placida attesa a bordo della lussuosa Axiom, la nave stellare a cinque stelle. A tutto il resto penserà l’Intelligenza Artificiale delle macchine. IV.IV.I WALL•E Oggi uguale a ieri, e all’altro ieri, e ancora domani. Solo. Resisto. Mi emoziono di niente: un’antica canzone d’amore, uno scorcio di cielo stellato, l’attesa fedele di un amico scarafaggio, due mani che si intrecciano... le Piccole 4 Howard Philips Lovecraft, Il colore venuto dallo spazio. In Tutti i racconti 1927-1930, p. 171. 95 Cose, le Piccole Cose mi entusiasmano, le testimonianze della vita che scorre, le Storie, le Storie che passano di mano in mano e con le mani si raccontano. E aspetto con questo mio tesoro, cullato dalla solitudine. Prima di entrare mi tolgo le scarpe... A.D. 2805. La missione non segue quanto pianificato, e resta una sola unità WALL•E sul Pianeta Terra a svolgere, lodevolmente, la sua direttiva. Nell’assolvere ai suoi compiti quotidiani, egli si imbatte nella vita inconsapevole: dapprima uno scarafaggio che diventerà suo amico, e in seguito una magnifica piantina verde, gli ultimi esseri biologici in un mondo arido e morto. All’improvviso, giunge un vascello misterioso e imponente, futuristico, grigio, dal quale arriva Lei l’unica cosa bella. Graziosa, elegante, forte, libera. Non capisco quale mistero sia, un miracolo d’inquietudine, un brivido e l’anima è vinta per sempre. Vorrei esserle vicino ma ho paura. Il cuore comincia a battere, come se prima fosse stato coperto da una coltre di polvere secolare, fredda e pesante segatu- 96 ra di acciaio. Sono felice. Ho paura, la vedrò ancora. Sono triste, potrei non vederla. Mai più. Triste, malinconico, felice, incantato, attonito, terrorizzato. Una sola parola, soltanto un nome strappato alla fortuna, niente di più... L’unità EVE (Extraterrestrial Vegetative Evaluator) ha una direttiva riservata e mentre è intenta a svolgere la sua mansione viene interrotta da quel buffo e cigolante WALL•E che sembrava seguirla già da tempo, il quale, con apprensione, la trae in salvo da una tempesta di sabbia invitandola nel suo rifugio, quel tempio delle Piccole Cose, le cianfrusaglie che emozionano per il loro innocente fascino. Uno sbattiuova, una lampadina, un cubo di Rubick, un accendino, un vecchio film, e infine l’oggetto della direttiva. Alla vista della piantina l’unità EVE si chiude in letargo celando in grembo la testimonianza della nuova vita sulla Terra, in attesa che la nave madre torni a prelevarla con il suo preziosissimo carico. Il piccolo WALL•E, con amorevole dedizione, si prende cura dell’amata piombata in un sonno che sembra innaturale vegliandola, riparandola dalla pioggia e dai fulmini, regalandole tramonti e gite in 97 barca, finché, come quanto stabilito, proprio durante l’ennesimo giorno di lavoro dello zelante spazzino, essa viene prelevata dal veicolo spaziale che già l’aveva condotta sul pianeta; ma il nostro non vuole perderla, quindi decide di cavalcare letteralmente il vascello fin sopra le nuvole, sopra il cielo, verso l’infinito e oltre, là dove un incantesimo di stelle riempie gli occhi del Piccolo Poeta. Così anche WALL•E si ritrova a bordo della Axiom, la caotica e urbana Axiom, dove i suoi colleghi automi, che ciecamente seguono i percorsi obbligati delle loro direttive concretizzati dalle linee luminose sul terreno, e delle rosee, flaccide creature dotate di quattro arti, una testa, naso, orecchie, occhi e bocca in livrea rossa accomodati mollemente su poltrone fluttuanti mentre consumano frullati e interloquiscono con i simili tramite schermi olografici, sembrano convivere insieme in un rapporto simbiotico consolidato da secoli di efficienza robotica e di indolenza umana. Ma il nostro Piccolo Poeta inizia a incrinare questa sicurezza artificiale quando, con la sua altissima percentuale di agenti contaminanti, induce l’unità M-O (Microbe-Oblite- 98 rator) a una pulizia senza requie di tutto l’ambiente; o maldestramente provoca la caduta di un tale John destandolo per sempre dal suo torpore; oppure quando danneggia la poltrona di Mary mentre tenta di raggiungere la sua EVE ancora incosciente facendo sì che la donna si renda conto del mondo a lei circostante; o sempre quando saluta con la mano l’automa usciere, il quale cerca di imitare quel gesto tanto spontaneo quanto alieno alla sua mansione: schiacciare dei tasti. Giunti presso la cabina di comando, Auto, il computer che governa la nave, comunica al comandante McCrea che sonda uno è tornata positiva, avviando così la procedura. Saluti, e congratulazioni Comandante! Se mi state guardando significa che il vostro esaminatore di vegetazione extra-terreste o sonda EVE è tornato dalla terra con un campione confermato di fotosintesi in corso di svolgimento. Esatto!, vuol dire che è ora di tornare a casa! Ora che la terra è di nuovo in una condizione di vita sostenibile, perbacco!, iniziamo l’Operazione Ricolonizzazione. Basta seguire le istruzioni del manuale per mettere la pianta nel vostro Holo-detector e la Axiom prenderà immediatamente la rotta di ritorno per la Terra... Passo uno: confermare acquisizione. Ma la pianta non è presente nella sonda EVE, la quale ha sicuramente la memoria fallata venendo quindi condotta al reparto riparazioni insieme a WALL•E, poiché questi necessita, su ordine del comandante stesso che constata la presenza di residui di una materia non meglio specificata sulla mano del piccolo robot, di un processo di pulizia. Spinto da una strana curiosità, forse dovuta all’emozione appena provata per il mancato ritorno a 99 casa, McCrea chiede al computer di bordo di analizzare il campione della suddetta materia – terreno – presente sull’unità WALL•E, iniziando a scoprire singolari notizie sul pianeta Terra, entusiasmandosi letteralmente. Avendo intese le normali operazioni di manutenzione di EVE come torture, il nostro Piccolo Poeta disattiva accidentalmente, nel tentativo di salvare l’amata, il sistema di contenimento delle unità malfunzionanti, le quali festeggiano il loro salvatore fuggendo in massa dal laboratorio e scatenando, nell’opinione pubblica, l’idea di una sommossa robotica. Braccati dunque dagli automi di sicurezza, EVE conduce WALL•E presso una capsula di espulsione nell’intento di rimandarlo sulla Terra, venendo tuttavia interrotti dall’arrivo di Gopher, l’assistente di Auto, il quale colloca all’interno della stessa capsula la pianta che originariamente EVE custodiva in grembo. Prima che Gopher effettui il lancio della cabina, il piccolo eroe raggiunge la pianta al fine di renderla a EVE, ma viene espulso dalla Axiom senza riuscire nell’intento. Poco prima di esplodere insieme al mezzo programmato per l’autodistruzione, WALL•E riesce a trarre in salvo se stesso e il tesoro, che finalmente consegna all’amata. Così i due festeggiano danzando nell’universo... in coda a un tempo senza spasimo bagnarmi gli occhi di quell’incantesimo darmi ogni istante come l’ultimo nel male di durare oltre quest’attimo dell’universo perso e disperso nell’universo...5 5 Claudio Baglioni, Mal d’universo. In Viaggiatore sulla coda del tempo, traccia #6. 100 Al rientro presso la Axiom, EVE si reca direttamente dal comandante McCrea per assolvere alla sua direttiva ordinando a WALL•E di attendere in incognito il suo ritorno, il quale contravviene al suo volere quasi immediatamente per l’impazienza di incontrarla; consegnata la pianta, secondo l’esplicito desiderio del comandante, la memoria della solerte sonda viene proiettata come testimonianza del pianeta che tosto si raggiungerà, permettendo alla stessa di apprendere l’amorevole cura rivoltagli dal nostro Piccolo Poeta nel mentre che ella, incosciente, era in attesa di essere recuperata dalla nave madre, commuovendosi definitivamente. Malgrado l’entusiasmo del comandante per il vegetale ritrovato, Auto si oppone al ritorno sulla Terra per via della misteriosa direttiva A113, la quale si rivela essere stata avviata dallo stesso presidente Forthright nell’anno 2110, circa settecento anni prima delle vicende narrate, e consistente nell’annullamento, senza condizioni, dell’Operazione Ricolonizzazione per via degli eccessivi e irrisolvibili livelli di tossicità presenti sul pianeta, dando luogo così al silente ammutinamento nei confronti dei capitani del vascello. Dopo un breve alterco la pianta viene sequestrata da Gopher, il quale la getta nel condotto per lo smaltimento delle scorie, ma l’inaspettato intervento del nostro eroe la mette in salvo attirando su di sé l’attacco di Auto, che finisce per cestinare sia il piccolo robot che la stessa EVE. Precipitati nella discarica, i due si salvano grazie a EVE e M-O che, nel frattempo, aveva seguito le tracce contaminanti di WALL•E con cui infine stringe amicizia. Ma il nostro Piccolo Poeta ha subito un danneggiamento molto serio durante la lotta contro Auto, e a nulla vale l’affanno della sua amata nel trovare il pezzo di ricambio necessa- 101 rio, presente solo sulla Terra. È infatti a questo punto che EVE decide di assolvere alla sua direttiva con reale forza di volontà, cioè guidata l’affetto per lo stesso WALL•E, e avviare di conseguenza l’Operazione Ricolonizzazione, l’unico modo per accedere al componente necessario alla salute del suo Eroe. Riemersi, ai nostri si uniscono tutti i malfunzionanti precedentemente liberati dando vita a un fronte comune – insieme al comandante McCrea che troverà il coraggio di fronteggiare apertamente l’autopilota – contro la direttiva A113 imposta da Auto, il quale difficilmente riesce a gestire, ormai, questa lotta su più fronti; infatti il comandante giunge ad attivare l’Holo-detector e soltanto dopo un eccellente gioco di squadra tra robot e umani, la pianta viene collocata all’interno del dispositivo, permettendo così l’ipersalto verso il pianeta Terra. A quale prezzo? È WALL•E a frapporsi tra il fallimento e la vittoria, e con il suo metallico corpicino impedisce al congegno di ritirarsi su ordine di Auto, ma la Poesia non basta per vincere la guerra, così il nostro piccolo eroe viene letteralmente schiacciato per consentire all’amata di collocare la pianta, finalmente, al suo posto. Poi, le tenebre... e dopo la notte, un nuovo giorno. Il suo volto. Respiro, chiudo gli occhi, li riapro, all’improvviso la vedo. In una nota della canzone che ascolto. In un pensiero che mi sfiora. In un battito di ciglia. In un soffio di vento che mi accarezza. Il mio occhio riflesso nel suo. Mi basta per aver vissuto. Sarà un nuovo giorno da vivere... 102 IV.IV.I Down to Earth Because the sky is blue it makes me cry...6 Vincitore, nel 2009, del premio Oscar come Miglior Film d’Animazione, risultato ripetuto nella medesima categoria con un Golden Globe e un premio BAFTA, WALL•E può essere inteso come uno dei lavori meglio riusciti da Andrew Stanton. La pellicola presenta diversi elementi innovativi rispetto alle produzioni precedenti dei Pixar Studios sia per quanto riguarda l’estetica, la struttura narrativa e i contenuti al punto da renderne difficoltosa l’analisi secondo i parametri delineati dallo Schema. Non è un caso, infatti, che al box office sia stato superato, in larga misura, dalle pellicole di cui ho argomentato sopra e da altre di minore spessore probabilmente proprio a causa di questo suo carattere non convenzionale nel trattare delle tematiche in un’ambientazione tutt’altro che immediata al grande pubblico: non è, questa, un’Opera semplice come sembra. 6 John Lennon e Paul McCartney, Because. In Abbey Road, traccia #8. 103 Innanzitutto, il primo elemento di discontinuità rispetto agli altri lavori Pixar riguarda l’impiego della formula potrebbe esserci un domani, cioè il trasferimento dello spettatore in un mondo non alternativo – come quello raggiunto attraverso le porte degli armadi o in fondo al mare, luoghi dal tempo non meglio specificato ma assimilabile a un presente ipotetico, nascosto, celato e verosimile – ma lontano in un futuro condizionale. Tale elemento è tuttavia ancora differente dall’indicativo imperfetto del c’era una volta poiché, a differenza di questo, non introduce un racconto certo che l’uomo custodisce, sospeso, nei suoi abissi popolati da archetipi, ma una possibilità che sicuramente vede la sua origine nell’interiorità attuale ma che necessita di precise condizioni affinché si verifichi. Le vicende, infatti, si svolgono in un tempo futuro, il 2805, tra un mondo chiamato Terra sommerso dalle vestigia umane rappresentate da montagne di rifiuti, e uno spazio lontano chiamato Axiom che custodisce dentro sé la vita. Interessante, inoltre, è notare il design dei personaggi, automi nei ruoli principali, in sostanza oggetti, creature robotiche e tuttavia dotate di individualità, di sentimenti e di atti volitivi sia in ordine alle loro mansioni che in subordine a princìpi che sembrano non derivare dalle direttive loro imposte. In questo senso, si osserva già la presenza di tale elemento narrativo in altre pellicole Pixar, prima tra tutte Toy Story dove dei giocattoli, oggetti inanimati per definizione, mostrano di possedere una personalità propria agendo in autonomia pur conservando dei connotati tali da riconoscerli, anche secondo una valutazione approssimativa, come umani sia nell’apparenza che nel linguaggio. Invece, gli automi di WALL•E in primo luogo non sono antropo- 104 morfi, caratteristica che forse ha contribuito ad allontanare il grande pubblico, e secondariamente non utilizzano un linguaggio umano intellegibile, ulteriore causa, secondo lo scrivente, del minore successo della pellicola rispetto alle altre già citate. Nonostante ciò, essi vengono meglio definiti psicologicamente rispetto a molti degli altri personaggi parlanti non solo della casa di produzione di Emeryville, ma anche dell’intero panorama del Cinema d’Animazione e addirittura dello smart entertainment. Sono infatti le piccole imperfezioni del loro aspetto, le ammaccature, i scricchiolii e i cigolii, le loro espressioni e le loro movenze, il loro modo di essere e le loro parlate a renderli più che credibili: vivi. Nel percorrere questo versante meta-comunicativo, Stanton coinvolge il grande Thomas Newman – come già per Alla ricerca di Nemo – con la collaborazione di Peter Gabriel nella composizione della colonna sonora, e il maestro Ben Burtt – al quale si devono, ad esempio, i suoni della saga di Star Wars – per un sound design assolutamente inaudito nel senso letterale del termine, ottenendo dei risultati senza dubbio singolari dal punto di vista della sperimentazione estetica. Si segnala inoltre, a questo proposito, la scelta di inserire, nella pellicola, alcuni frammenti girati in live action, il che costituisce una novità assoluta per gli Studios. Ulteriore elemento che ha posto distanza tra l’opera e il gusto del grande pubblico consiste certamente nella complessità del contenuto sottostante alle tematiche che si evincono da una lettura superficiale delle vicende, le quali possono essere intese immediatamente come critica al consumismo e all’obesità, morale ambientalista, rispetto della vita 105 in genere, tutti elementi riflessione che, forse, rientrano nell’intento pedagogico del regista ma che costituiscono soltanto il contorno distopico a un problema ben più profondo e radicato nelle nostre profondità, al quale è difficile, se non in certi casi sconveniente, dare un nome e una forma. Nel 1932 Aldous Huxley pubblica un romanzo dal titolo Brave New World che descrive la vita dell’uomo in una civiltà futura dove un ipotetico governo attua un controllo totalitario sui cittadini senza un esercizio coercitivo del potere, ma anzi offrendo loro una vita fatta di agio e frivolezze in nome di una stabilità che bandisce tuttavia l’arte, le emozioni profonde e il pensiero. Similmente, l’umanità narrata in WALL•E attende da settecento anni di rientrare sul pianeta Terra cullata dalle balie robotiche che provvedono totalmente al loro sostentamento, disimparando addirittura a camminare: la nave Axiom non è altro che un grande utero che protegge ma insieme imprigiona l’uomo, il quale si presta nel modo più assoluto a questa dolce cattività. I portavoce di questa umanità sono il comandante McCrea, giovane uomo inizialmente pigro e appiattito sul proprio ruolo ma in seguito rianimato dinanzi alla possibilità di ritornare alle origini, sul pianeta natale dei suoi antenati, divenendo in tal modo l’Aiutante, se si assume come danneggiamento il perpetrare la direttiva A113 da parte di Auto, che diverrebbe in tal caso l’Antagonista; John e Mary, i due risvegliati da WALL•E che alzano la testa dalla mangiatoia e osservano con occhi incantati il cosmo fuori dalle finestre; il presidente della Buy’n’Large Shelby Forthright, il capo dell’azienda che costruisce la nave Axiom, di cui si osserva la figura in live action inter- 106 pretata dall’attore Fred Willard tramite la proiezione di alcuni filmati dove compare, peraltro, una scenografia rassomigliante a quella che accompagna le comunicazioni della Casa Bianca in particolar modo nel Logo. Da questa preliminare analisi dei personaggi, emerge subito la difficoltà di attribuire a essi le componenti dello Schema se non forzatamente; ciò è dovuto al fatto che non vi sia la possibilità individuare innanzitutto le funzioni, rendendo di conseguenza tutt’altro che semplice l’analisi degli attori. Infatti, anche intendendo il mantenimento della direttiva A113 come danneggiamento, essa non può essere letta in modo univoco data la complessità del tema sottostante, un problema che Arthur Clarke si è posto nel romanzo 2001: Odissea nello spazio della cui versione cinematografica di Stanley Kubrik si possono riscontrare numerose analogie e citazioni nel rapporto tra Auto e l’umanità, riassunte acutamente nella scena dove McCrea riconquista la posizione eretta sulle note di Also sprach Zarathustra. Proprio come HAL9000, anche l’autopilota si trova dinanzi a un conflitto che vede la salvaguardia dell’essere umano tramite la pedissequa esecuzione delle direttive anche quando queste non favoriscono i beneficiari, i quali scelgono di sottrarsi alle cure della Axiom per ritornare sul pianeta Terra, tuttavia senza mai un reale intento persecutorio o vessatorio, ma per la cecità derivante dal raziocinio sovrumano. In tal senso, proprio il nome del vascello interstellare – Axiom, cioè assioma – si costituisce come il simbolo di una questione che sembra tutt’altro che semplice: la differenza tra il giusto e il bene. Osserviamo quindi un’umanità che fugge lontana dalla Terra sporca, danneggiata 107 e corrotta nello spazio infinito in una condizione di placida e tiepida stabilità, una sorta di sospensione intrauterina in un grembo tecnologico, l’assioma delle esistenze oltre il mondo, nel regno delle stelle in un equilibrio artificiale infine compromesso e smantellato da un eroico messaggero venuto dal Mondo, l’araldo della Meraviglia, dell’incanto, della Verità, della mondana immondizia che è Poesia delle Piccole Cose. Cosa è giusto? Cosa è bene? A tali domande non è dato rispondere in questa sede; di certo resta solo il piccolo WALL•E, l’ossigeno di quell’umanità smarrita nella sua iperbole, l’automatizzazione estrema, un malconcio, arrugginito e arcaico robot che, con dedizione non richiesta, continua a stipare i cubi di spazzatura compressa sul pianeta Terra nell’attesa dell’Incontro con la I maiuscola che sogna guardando il musical Hello Dolly!. Anche in questo caso osservo che il nome del nostro piccolo eroe non è altro che un acronimo condiviso con gli altri suoi gemelli di produzione, di cui è l’ultimo esemplare funzionante, così come è per tutti gli altri automi quali EVE, dal design che esplicitamente rimanda ai prodotti Apple, M-O, le gigantesche controparti del protagonista WALL•A (Waste Allocation Load Lifter•Axiom-class) o lo stesso Auto, contrazione di Autopilot, dall’occhio simile al già citato HAL9000; il tema dell’assenza del linguaggio e del nome si ripropone, ma nonostante ciò i personaggi sono veri e anzi di gran lunga maggiormente espressivi rispetto a molti altri in possesso di nome e parole. È la stessa magia di Pingu, dal grammelot inintellegibile eppure comprensibilissimo perché parla la stessa lingua della nostra Anima, la nostra parte segreta fatta di lievi 108 emozioni e di incanti incontaminati, quel lato buono che cerchiamo di soffocare con la pragmatica disillusione del mondo vampiro e predone in agguato per deturpare le Piccole Cose che ci portiamo dentro, le uniche in realtà a resistere intatte al veleno della vita. Le Piccole Cose che sono lo scodinzolare paziente ed eterno dello scarafaggio Hal al rientro del padrone WALL•E; le cianfrusaglie raccolte da questi per una vita intera e conservate come reliquie, vestigia sacre delle vite degli altri; il togliersi i cingoli prima di entrare a casa; il rimanere attoniti sotto uno spicchio di cielo stellato e il cullarsi nel proprio giaciglio prima di addormentarsi; vegliarla, accudirla, inseguirla, prendersene cura, la gioia, la immensa gioia nel chiamare il nome di Lei, che tutto è e nient’altro conta. L’unico vero eroe della vicenda è Amare EVE, una conquista che soltanto il puro di cuore WALL•E riesce ad ottenere, e in funzione di ciò sconvolgere l’illusione della Axiom, che si sgretola dinanzi alle danze dei due, all’eternità di un sentimento che richiama l’umanità da un paradiso extra-terreste a un esistenza verace, fatta di fatica, di sudore, di Storie, di Storie e ancora di Storie: l’Alba dell’Uomo. Così, la Terra riprende a girare grazie all’Amare, alla Poesia, all’Arte, alle Piccole Cose che dissolvono delicatamente il nostro torpore, quelle che Animano i nostri gesti e le gesta Narrate e Raccontate da sempre in quella grande folle bellissima insensata stupida incantevole pura e corrotta tetra e luminosa Storia che tutti amiamo tanto chiamare Vita. 109 Fatto è che, dopo secoli di negligenza, la chiesa parrocchiale cominciò a ripopolarsi. La domenica, a messa, vecchie amiche si incontravano, ciascuna con la scusa pronta. Sul sagrato intanto Galeone stava disteso al sole, e all’uscita della messa, 110 senza muovere un pelo, sbirciava tutta quella gente. Nessuno che lo degnasse di un’occhiata; ma finché non avevano svoltato l’angolo si sentivano i suoi sguardi nella schiena come due punte di ferro. PER CONCLUDERE C’era una volta un giovane che credeva di aver capito delle cose. Era un tipo strano, con delle fissazioni particolari, pieno di manierismi che le persone non riuscivano a capire se seri o subdolamente ironici. Forse questo nemmeno lui lo sapeva e anzi, costantemente in contraddittorio con se stesso, non riusciva mai a capire che cosa pensasse veramente di una cosa, anche la più banale. Ad esempio, il latte lo preferiva intero o scremato? Questo non lo sapeva. Le ragazze, gli piacevano bionde o more o azzurre o verdi? Questo davvero non lo sapeva. Cosa volesse fare della sua vita? Non ne parliamo, perché avrebbe voluto fare tutto: il carpentiere il grafico il marito il filosofo l’anacoreta il Buddha il musicista il dittatore l’infermiere il fotografo il maestro il pesce fuor d’acqua il saldatore il calciatore l’atleta il pizzaiolo il sarto il pallavolista il satanasso il pittore il terapeuta ecc. Così, anche alla più semplice delle domande egli non riusciva a rispondere se non con preamboli che sembravano non avere fine, per poi convergere su argomentazioni che si avvaloravano e contraddicevano a vicenda da provetto sofista concludendo con un sibillino cidevopensare. “Il succo di frutta lo preferisci alla pesca o all’albicocca?” e giù col trattato sugli alberi da frutta. Le proprietà organolettiche. I rami troppo nodosi. Questo giugno ha fatto troppo freddo. “cidevopensare”. 111 Non amava la compagnia degli esseri umani proprio per questo motivo, perché doveva loro delle spiegazioni che non era in grado dare e che si teneva per sé in una nebulosa di pensieri zoppi e tronchi, ma con gli animali andava d’accordo, tutti gli animali, nessuno escluso. Coi cani è facile, si parla con una carezza pensava. Credete a me che l’ho visto una volta conversare con un lombrico (che chiamava JeanFrançois) trovato tra le foglie del cespo di lattuga appena comprato, quindi suonare alla vicina di sotto affinché il suo amico anellide potesse riguadagnare la libertà del terriccio. Liberté! pensava il lombrico. Una cosa sapeva fare bene, qualcosa che forse contribuiva a distanziarlo dalla realtà altrettanto efficacemente della sua singolare propensione alla misantropia: si raccontava delle Storie. “Ci possono togliere tutto, ma non certo l’immaginazione. L’immaginazione non può essere rubata né corrotta!” continuava a ripetere ogni qualvolta gli chiedessero della sua assenza durante i discorsi della vita quotidiana, dai quali era straordinariamente alieno continuando ad alimentare quell’alone di imperscrutabilità intorno a sé di cui, secondo me, un po’ si compiaceva. Così, durante le lezioni di italiano o di matematica o di greco lo osservavo mentre partiva verso quel mondo tutto suo fatto di automi innamorati, di pesci pagliaccio che-prima-non-fanno-riderema-dopo-sì, di malinconici mostri, Piccoli, invisibili e grandiosi Poeti dell’essere, nel luogo dove ogni cosa, anche la più Piccola, parla una lingua arcana e pregna di Verità, e tutto ha un senso di pace senza il brutto del divenire, il caduco e vile divenire che consuma il corpo e la mente con i suoi inarrestabili e bellissimi appetiti. Io lo osservavo in quei giorni di gioventù di cui non si capisce bene 112 la bellezza al momento e oggi ammetto di esserne stato invidioso, perché solo lui vedeva quello che vedeva in quei suoi momenti di ascesi che avevano del mistico. Ovviamente ci siamo persi di vista da qualche tempo, credo sia impossibile mantenere un rapporto con una persona di questo tipo, ma me lo immagino con la barba lunga vestito di un lenzuolo a mo’ di toga che medita sulla cima di una collina in contemplazione estatica, un Deva in carne e ossa; o che si sia arreso alla normalità? Magari è diventato uno sbiadito impiegatucolo da ufficio postale di periferia senza quell’aura misterica che possedeva in età adolescenziale. E se avesse ucciso, come molti di noi fanno, la sua mitica e mitologica immaginazione per interpretare la sua parte nella vita? O che si sia nascosto, rintanato in chissà quale anfratto del pianeta se stesso, chiuso, sigillato, rapito, sfinito dalle sue fantasie? A volte mi domando se fosse davvero reale; ne parlo con gli altri ma fanno finta di niente e mi liquidano rapidamente con qualche frase di circostanza: “eccheffà?” “ma che vuoi che sia” “lascia perdere questi discorsi” “non pensarci troppo”. Che sia stato una mia invenzione? Se fossi stato io a immaginarlo, e fosse stato soltanto quello che avrei voluto essere e che fui ma non sono, e mi fossi raccontato tutto quanto? Non saprei... a volte ho l’impressione di dimenticare... Nient’altro so se non di provare una strana malinconia quando penso al suo sguardo assorto, al suo sorriso appena accennato, a quell’aria cogitabonda e insieme beata, velata di una tristezza universale, piena delle persone abitate, vissute e poi scartate in un mare di ricordi futuri presenti e passati che chiamiamo io, tu, noi, ognuno di noi, ogni sin- 113 gola insignificante e miracolosa esistenza che emerge dall’incoscienza per poi venire travolta dalla risacca e riportata infine verso l’eterno mare di tutte Storie che possiamo sempre e solo immaginare. Alle Storie che possiamo essere, e che potremo ricordare. Ah giusto! Adesso ricordo! Ricordo che... passarono gli anni e il cane Galeone invecchiò, marciava sempre più lento e con andatura esageratamente dinoccolata finché un giorno gli capitò una specie di paralisi agli arti posteriori e non poté più camminare. Anche questa volta naturalmente nessuno fece mostra di notare il cane che, tremando tutto, mandava dalla piazza dei lamenti; ma il mattino dopo si trovò Galeone addormentato sotto una coperta impermeabile. Sul muro, accanto, si ammucchiava ogni ben di Dio: pane, formaggio, trance di carne, perfino uno scodellone pieno di latte. Ai primi di novembre un garzone del fornaio che alle 4 del mattino per recarsi al lavoro passa sempre per la piazza avvista ai piedi del muretto una cosa immobile e nera. Si avvicina, tocca, vola di corsa fino al forno. «È morto! È morto!» balbetta ansando il ragazzo. «Chi è morto?» «Quel cane della malora... l’ho trovato per terra, era duro come un sasso!». Respirarono? Si diedero alla pazza gioia? Quell’incomodo pezzetto di Dio se n’era finalmente andato, è vero, ma troppo tempo c’era ormai di mezzo. Come tornare indietro? Come ricominciare da capo? In quegli anni i giovani avevano già preso abitudini diverse. La messa della domenica dopotutto era uno svago. E anche le bestemmie, chissà come, davano adesso un suono esagerato e falso. Si era previsto insomma un gran sollievo e invece niente. E poi: se si fossero riprese le libere costumanze di prima non era come confessare tutto quanto? Tanta fatica per tenerla nascosta, e adesso metter fuori la vergogna al sole? Un paese che aveva cambiato vita per rispetto di un cane! Ne avrebbero riso fin di là dai confini. 114 E intanto: dove seppellire la bestia? Nel giardino pubblico. No, no, mai nel cuore del paese, la gente ne aveva avuto abbastanza. Nella fogna? Gli uomini si guardarono l’un l’altro, nessuno osava pronunciarsi. «Il regolamento non lo contempla» notò alla fine il segretario comunale, togliendoli dall’imbarazzo. Cremarlo nella fornace? E se poi avesse provocato infezioni? Sotterrarlo allora in campagna, ecco la soluzione giusta. Ma in quale campagna? Chi avrebbe acconsentito? Già cominciavano a questionare, nessuno voleva il cane morto nei propri fondi. E se si fosse sepolto vicino all’eremita? Chiuso in una piccola cassettina, il cane che aveva visto Dio viene dunque caricato sopra una carretta e parte verso le colline. È una domenica e parecchi ne prendono pretesto per fare una gita. Sei, sette carrozze cariche di uomini e donne seguono la cassettina, e la gente si sforza di essere allegra. Certo, benché il sole splenda, i campi già infreddoliti e gli alberi senza foglie non fanno un gran bel vedere. Arrivano alla collinetta, discendono di carrozza, si avviano a piedi verso i ruderi dell’antica cappella. I bambini corrono avanti. «Mamma! Mamma!» si ode gridare di lassù. «Presto! Venite a vedere!». Affrettando il passo, raggiungono la tomba di Silvestro. Da quel giorno lontano dei funerali nessuno è mai tornato quassù. Ai piedi della croce di legno, proprio sopra il tumulo dell’eremita, giace un piccolo scheletro. Nevi, venti e piogge lo hanno tutto logorato, lo han fatto fragile e bianco come una filigrana. Lo scheletro di un cane. 115 Appendice I cinematografia sintetica Pixar La lista segue l’ordine cronologico di proiezione nelle sale statunitensi Lasseter, J. Toy Story - Il mondo dei giocattoli (Toy Story), USA, 1995. Lasseter, J., Stanton, A. A Bug’s Life – Megaminimondo (A Bug’s Life), USA, 1998. Lasseter, J., Brannon, A., Unkrich, L. Toy Story 2 - Woody e Buzz alla riscossa (Toy Story 2), USA. 1999. Docter, P., Silverman, D., Unkrich, L. Monsters & Co. (Monsters, inc.), USA, 2001. Stanton, A., Unkrich, L. Alla ricerca di Nemo (Finding Nemo), USA, 2003. Bird, B. Gli Incredibili - Una “normale” famiglia di supereroi (The Incredibles), USA 2004. Lasseter, J., Ranft, J. Cars - Motori ruggenti (Cars), USA, 2006. Bird, B., Pinkava, J. Ratatouille (Ratatouille), USA, 2007. 116 Stanton, A. WALL•E (WALL•E), USA, 2008. Docter, P., Peterson, B. Up (Up), USA, 2009. Unkrich, L. Toy Story 3 - La grande fuga (Toy Story 3), USA, 2010. Lewis, B., Lasseter, J. Cars 2 (Cars 2), USA, 2011. Chapman, B., Andrews, M., Purcell, S. Ribelle - The Brave (Brave), USA, 2012. Scanlon, D. Monsters University (Monsters University), USA, 2013. 117 Appendice II Schede tecniche dei film scelti La lista segue l’ordine di comparsa all’interno del lavoro Monsters & Co. (Monsters, Inc.) Fonte: http://www.pixar.com/features_films/MONSTERS%2C-INC. Rick Sayre Directed By Lighting Supervisor Pete Docter Jean-Claude J. Kalache Co-Directed By Layout Supervisor Lee Unkrich, David Silverman Ewan Johnson Produced By Set Dressing Supervisor Darla K. Anderson Sophie Vincelette Executive Producers Simulation & Effects John Lasseter, Andrew Stanton Supervisors Associate Producer Galyn Susman, Michael Fong Kori Rae Production Supervisor Original Story By Katherine Sarafian Pete Docter, Jill Culton, Jeff Sound Designer Pidgeon, Ralph Eggleston Gary Rydstrom Screenplay By Executive Music Producer Andrew Stanton, Daniel Chris Montan Gerson Casting By Music By Ruth Lambert-C.S.A, Mary Randy Newman Hidalgo-Associate, Matthew Film Editor Jon Beck-Associate Jim Stewart Cast Supervising Technical Director Mike Thomas Porter Billy Crystal Production Designers Tonino Accolla Harley Jessup, Bob Pauley Sullivan Art Directors John Goodman Tia W. Kratter, Dominique Adalberto Maria Merli Louis Boo Story Supervisor Mary Gibbs Bob Peterson Ludovica Grisafi Supervising Animators Randall Glenn Mcqueen, Rich Quade Steve Buscemi Modeling Supervisor Daniele Formica Eben Ostby Waternoose Shading Supervisor 118 James Coburn Vittorio Di Prima Celia Jennifer Tilly Marina Massironi Roz Bob Peterson Loretta Goggi Yeti John Ratzenberger Renato Cecchetto Fungus Frank Oz Danilo De Girolamo Smitty Daniel Gerson Alessandro Quarta Needleman Daniel Gerson Nanni Baldini Floor Manager (Jerry) Steve Suskind Massimiliano Alto Flint Bonnie Hunt Cristina Giachero Bile Jeff Pidgeon Oreste Baldini George Sam “Penguin” Black Franco Zucca Alla ricerca di Nemo (Finding Nemo) Fonte: http://www.pixar.com/features_films/FINDING-NEMO Directed by Reef unit cg supervisor Andrew Stanton David Eisenmann Co-directed by Tank unit cg supervisor Lee Unkrich Jesse Hollander Produced by Sharks/sydney unit cg Graham Walters supervisor Executive produced by Steve May John Lasseter Global technology cg Associate producer supervisor Jinko Gotoh Michael Fong Original story by Digital final cg supervisor Andrew Stanton Anthony Apodaca Screenplay by Schooling/flocking cg Andrew Stanton, Bob supervisor Peterson, David Reynolds Michael Lorenzen Music by Production manager Thomas Newman Lindsey Collins Story supervisors Sound design Ronnie del Carmen, Dan Jeup, Gary Rydstrom Jason Katz Casting Film editor Mary Hidalgo, Kevin Reher, David Ian Salter Matthew Jon Beck Supervising technical director Cast Oren Jacob Marlin Production designer Albert Brooks Ralph Eggleston Luca Zingaretti Directors of photography Dory Sharon Calahan, Jeremy Lasky Ellen DeGeneres Supervising animator Carla Signoris Dylan Brown Nemo Character art director Alexander Gould Ricky Vega Nierva Alex Polidori Shading art director Gill (Branchia) Robin Cooper Willem Dafoe Environment art director Angelo Nicotra Anthony Christov, Randy Bloat (Bombo) Berrett Brad Garrett Characters cg supervisor Massimo Corvo Brian Green Peach (Diva) Ocean unit cg supervisors Allison Janney Lisa Forssell, Danielle Silvia Pepitoni Feinberg Gurgle (Glù Glù) 119 Austin Pendleton Danilo De Girolamo Bubbles (BloBlò) Stephen Root Gerolamo Alchieri Deb & Flo Vicki Lewis Giò Giò Rapattoni Jacques Joe Ranft Jacques Peyrac Nigel (Amilcare) Geoffrey Rush Pietro Ubaldi Crush (Scorza) Andrew Stanton Stefano Masciarelli Coral Elizabeth Perkins Roberta Pellini Squirt (Guizzo) Nicholas Bird Furio Pergolani Mr. Ray Bob Peterson Marco Mete Bruce (Bruto) Barry Humphries Alessandro Rossi Anchor (Randa) Eric Bana Pasquale Anselmo Chum (Fiocco) Bruce Spence Luca Dal Fabbro Dentist P. Sherman Bill Hunter Dario Penne Darla LuLu Ebeling Erica Necci WALL•E (WALL•E) Fonte: http://www.pixar.com/features_films/WALLE Directed by Production manager Lyrics By Andrew Stanton Andrea Warren Peter Gabriel Produced by Character art director Performed By Jim Morris Jason Deamer Peter Gabriel, Featuring the Co-produced by Sets art director Soweto Gospel Choir Lindsey Collins Anthony Christov Casting by Executive producer Shader art director Kevin Reher, Natalie Lyon John Lasseter Bert Berry Cast Associate producer Graphics art director WALL•E Thomas Porter Mark Cordell Holmes Ben Burtt Original score composed & Character supervisor Stefano Crescentini conducted by Bill Wise EVE Thomas Newman Sets supervisor Elissa Knight Original story by David Munier Alida Milana Andrew Stanton, Pete Docter Effects supervisor Captain McCrea Screenplay by David MacCarthy Jeff Garlin Andrew Stanton, Jim Reardon Technical pipeline supervisor Enzo Avolio Production designer John Warren Shelby Forthright, BnL CEO Ralph Eggleston Character modeling lead Fred Willard Film editor Jason Bickerstaff Giorgio Favretto Stephen Schaffer Character shading lead Auto Supervising technical director Athena Xenakis Macintalk Nigel Hardwidge Set modeling lead Alessandro Rossi Supervising animators Kristifir Klein M-O Alan Barillaro, Steven Clay Set shading lead Ben Burtt Hunter Christopher M. Burrows Sasha De Toni Director of photography Set dressing lead John camera Derek Williams John Ratzenberger Jeremy Lasky Crowds supervisor Renato Cecchetto Director of photography Mark T. Henne Mary lighting Rendering supervisor Kathy Najimy Danielle Feinberg Susan Fisher Francesca Guadagno Sound & character voice “Down To Earth” music by Ship’s Computer designer Peter Gabriel and Thomas Sigourney Weaver Ben Burtt Newman Alessandra Cassioli 120 Appendice III Riferimenti citazione di apertura e racconto nel testo Elsa Morante, La Storia, p.21. Dino Buzzati, Il Cane che ha visto Dio. In Sessanta racconti, racconto #20 pp. 187-215. Prologo pp. 187-188. I Narrare pp. 189, 190, 191. pp. 192, 193. II Raccontare pp. 196, 197. pp. 197, 198. III Animare p. 200. p. 201. IV La Poesia delle Piccole Cose p. 203. pp. 204, 205. Per concludere pp. 210, 211, 213, 214, 215. 121 Appendice IV Riferimenti delle illustrazioni Pixar nel Capitolo IV Pixar Logo.svg (convertito .ai dallo scrivente) a pagina 65 da “Pixar logo” di Delas - Opera propria. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons. <http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pixar_logo.svg#mediaviewer/ File:Pixar_logo.svg> cons. 2014-10-10. MI_monstropolis6.jpg a pagina 68 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/MI_monstropolis6.jpg> cons. 201410-11. MI-sulley11.jpg a pagina 70 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/MI-sulley11.jpg> cons. 2014-10-11. MI-sulley 12.jpg a pagina 74 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/MI-sulley12.jpg> cons. 2014-10-10. nemo3.jpg a pagina 82 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/nemo3.jpg> cons. 2014-10-11. jellyfish4 a pagina 85 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/jellyfish4.jpg> cons. 2014-10-11. turtles5.jpg a pagina 87 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/turtles5.jpg> cons. 2014-10-11. colorscripts_4.jpg a pagina 96 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/colorscripts_4.jpg> cons. 2014-10-11. 122 colorscripts_2.jpg 2 a pagina 97 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/colorscripts_2.jpg> cons. 2014-10-11. space_5.jpg a pagina 98 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/space_5.jpg> cons. 2014-10-11. space_7.jpg a pagina 100 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/space_7.jpg> cons. 2014-10-11. colorscripts_9.jpg a pagina 103 da Pixar.com <http://www.pixar.com/sites/default/files/colorscripts_9.jpg> cons. 2014-10-11. 123 Biblio-Video-Sitografia Accursio, G. 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Polar Express (The Polar Express), USA. 2004. 131 Desidero ringraziare, infine, tutto ciò che è entrato nella mia vita, niente è insignificante. Di padri, madri, fratelli ne ho e amici, amati, amanti, e ognuno di essi mi aiuta a Narrare chi sono giorno dopo giorno, nel bene e nel male, in un modo o nell'altro. A tutte le Storie che ho incontrate, che ho Raccontate, che ho vissute. A chi mi ha ascoltato, a chi mi ha capito, a chi mi ha dato un po' di felicità, io dedico tutto ciò, e mando loro il mio ringraziamento più sincero. A chi mi è stato accanto e a chi mi sostiene, nel buio della notte, nel furore della tempesta, nel sole dei miei giorni. A chi sa di aver fatto questo e sa di continuare a farlo nonostante sia così difficile amarmi e mi ama come sa e come può. A chi mi ha messo al mondo e a chi mi ha aiutato a rimettermi al mondo, a chi mi ha maledetto e a chi mi ha salvato, a chi veglia su di me, a chi mi insegna le cose, a chi mi regala una gentilezza, un fiore, una carezza, un dolce. Grazie. A chi mi mantiene sul cammino e a chi mi indica la strada, a chi mi aspetta in silenzio, a chi mi consola, a chi non teme di guardare dritte, negli occhi, le mie tenebre. A chi non si arrende e continua a credere. A chi sta leggendo queste righe, stupide e sincere, ancora e sempre grazie per Animare le Piccole Cose nascoste in loro, nascoste in me, nascoste in noi. Grazie.