Chi siamo
L&M - i Luoghi e la Memoria - associazione dei ricercatori di storia locale del
Piemonte - è nata il 28 marzo 1998 ed è iscritta al Registro regionale del Volontariato.
L&M ha lo scopo fondamentale di :
-
favorire la ricerca storica locale e valorizzare il patrimonio culturale esistente sul
territorio piemontese.
promuovere l'istituzione di Centri di Documentazione Storica Locali, strutture
pubbliche al servizio della collettività.
L&M svolge una funzione di servizio per tutti coloro che si occupano di ricerca
storica locale (gruppi informali, associazioni formalmente costituite, singoli studiosi)
perciò:
- offre collegamento ed informazione a gruppi, associazioni e singoli
- pubblica una rivista
- sta per aprire un sito internet
- organizza convegni a tema e seminari
- censisce i gruppi, le associazioni e i singoli operanti nel campo della ricerca
storica locale in Piemonte
- promuove tra tutti gli interessati la formulazione di una proposta di legge
regionale istitutiva dei Centri di Documentazione Storica Locali
- promuove il coordinamento di iniziative sul territorio
Per far fronte ai costi delle attività di servizio L&M si basa su contributi della Regione
Piemonte e di eventuali altri enti pubblici, sulle quote associative e su auspicabili
contributi di privati.
Chiunque si occupi di storia locale è invitato ad associarsi, sia come singolo, sia come
rappresentante di un gruppo.
Comitato direttivo di L&M
Diego Robotti - Presidente
Milena Gualteri Tarsia
- Vice-Presidente e Segretaria
Francesco Lucania - Tesoriere
Valeria Calabrese
Feliciano Della Mora
Giampaolo Fassino
Simona Gianoni
Gino Giorda
Silvio Montiferrari
Pietro Ramella
Dario Seglie
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Redazione della Rivista L&M
Pietro Ramella (coordinatore) - Valeria Calabrese, Feliciano Della Mora,
Francesco Lucania, Silvio Montiferrari, Diego Robotti.
Rivista di L&M - Associazione dei ricercatori di storia locale del Piemonte
Anno V, n. 5 - marzo 2003
marzo 2003
Sommario
Storie di turismo in Piemonte, Diego Robotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
Drovetti, Botta, Palma di Cesnola:
archeologi subalpini dell’Ottocento, Pietro Ramella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Pirandello e il Piemonte, Silvio Montiferrari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
La tenuta degli inventari d’archivio in Val Susa
nella seconda metà del secolo XVIII, Davide Monge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
Le case-forti delle Valli Orco e Soana, Angelo Paviolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
Festa Rurale a Coazze il 19-20 ottobre 2002, s.m. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
Sulle tracce del documento: una base di dati bibliografici. . . . . . . . . . . . . . . . . 47
Ricerca bibliografica su alcuni comuni piemontesi:
un primo esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
Notizie dalle Associazioni
Gruppo Archeologico Canavesano (1972-2002) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
Torino non a caso: un itinerario nelle Società di Mutuo Soccorso . . . . . . . . . . 61
Recensioni
Storie d’acqua: i cinquecento anni della Bealera di Orbassano, d.r. . . . . . . . . . 62
Buoni come il pane: la Società Anonima Cooperativa
“Forno Operaio e Agricolo di Orbassano”, d.r. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
Storie di turismo in Piemonte
Un convegno sulla storia (le diverse storie) del turismo locale
tra Ottocento e Novecento
Torino, Archivio di Stato, 11 ottobre 2003
tentare di (ri)scoprire quando (e come) i vari
luoghi piemontesi siano divenuti mete turistiche.
Siamo convinti che tanti comuni, vallate e
comprensori abbiano avuto un loro singolare
passato turistico, la cui memoria si è purtroppo offuscata. Nella seconda metà del Novecento l’azione combinata dello spopolamento
da un lato, e della disordinata edificazione di
seconde case dall’altro, hanno fatto dimenticare la frequentazione da parte di villeggianti
Tre anni fa, a Cavour, L&M ha organizzato
una giornata di studi sul tema “Ricerca storica e sviluppo turistico”, un primo incontro tra
ricercatori storici, amministratori pubblici e
operatori del turismo, nella convinzione che
la storia locale costituisca valore aggiunto
dell’offerta turistica. Gli atti sono stati pubblicati nel Notiziario di L&M (n.3, ottobre
2000). Proseguendo in quel filone d’interesse,
il prossimo autunno vorremmo offrire
un’occasione di confronto tra studiosi per
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o gitanti nei decenni precedenti. Riscoprire
tali vocazioni può offrire utili suggestioni a
chi si occupa di rilancio turistico locale. La conoscenza del pregio di un territorio ne favorisce la valorizzazione in chiave meno scontata
e ripetitiva e può rappresentare uno stimolo
verso la diversificazione delle proposte turistiche.
Gli esempi e i temi che si possono richiamare
sono molteplici. Accenniamo alle principali
tipologie di fruizione turistica che il territorio
della nostra regione ha conosciuto e che ci
piacerebbe approfondire, ma siamo aperti ad
accogliere contributi diversi e, perché no, inaspettati.
siosi di riguadagnare il tempo perduto, i lavoratori si dedicavano con entusiasmo alla
scoperta della montagna, dando vita a gruppi
escursionistici, edificando case alpine e rifugi.
L’interesse per l’ambiente montano nascono i
parchi e le zone protette: è un modo nuovo di
accostarsi alla montagna, non più solo “sport”
ma anche occasione di contatto con una natura incontaminata.
Luigi Pirandello in Val Sangone, Benedetto
Croce, a Pollone, e mille altri casi simili: anche i letterati andavano in vacanza e spesso si
affezionavano talmente ad un luogo di villeggiatura da trasfonderne il ricordo nelle loro
opere. Il turismo letterario vive oggi una stagione di straordinaria popolarità, ma sono ancora molte le località da riscoprire con gli occhi e nelle memorie degli scrittori che li apprezzarono.
Dal Cuneese all’Ossola, il Piemonte è ricchissimo di fonti termali che hanno vissuto la
loro età dell’oro tra la fine dell’Ottocento e gli
anni Trenta. Intorno alle terme si svilupparono alberghi e luoghi di loisir. Sorsero parchi e
passeggiate attrezzate rivolti ad un pubblico
medio-alto le cui vestigia, spesso di notevole
valore architettonico e paesaggistico, narrano
i fasti di una dimenticata belle époque.
Verbano e Orta: all’inizio del ‘900, sull’onda
della fama dei laghi svizzeri nasceva sulle
sponde dei laghi lombardi e piemontesi la prima Hôtellerie di livello internazionale.
Ma anche Avigliana, Viverone, Candia, Mergozzo e tanti altri laghi “minori”, che per la
loro posizione non entrarono nel circuito turistico internazionale, ma che videro le loro
sponde popolate da un turismo borghese residenziale e da folle di gitanti operai.
Dalla fine dell’Ottocento, anche grazie alla facilità dei collegamenti ferroviari, gli alpinisti
piemontesi conquistarono le loro prime vette
nelle Valli di Lanzo e di Susa, in Valsesia,
nell’Ossola.
Al seguito dei pionieri della piccozza, la montagna divenne una “moda” praticata dai ceti
benestanti, che si accontentavano di soggiornare a quote più raggiungibili, emulando i turisti inglesi e francesi che già avevano fatto la
fortuna delle stazioni alpine svizzere.
Tra le due guerre ai borghesi si affiancarono i
ceti popolari. L’alpinismo si trasformò da fenomeno elitario in associazionismo di massa,
sia nell’ambito delle tradizionali organizzazioni (sezioni C.A.I.) sia in altre associazioni
a base aziendale, parrocchiale, comunale: an-
Fino alla metà dell’800 la villa o la “vigna” –
azienda agricola e residenza secondaria da godere nella stagione calda - rimase un lusso riservato ad una ristretta élite di benestanti.
Poi il ceto medio prese a considerare il casale
di campagna o collinare non più soltanto
come un investimento immobiliare, ma anche come un’occasione di ameno soggiorno
per la famiglia. Le Langhe e il Monferrato, ma
anche la Serra e tutte le Prealpi furono disse-
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minate di residenze estive più o meno pretenziose.
In treno, in corriera, in bicicletta o anche a
piedi: il Novecento è il secolo dei mezzi di
trasporto per tutti. E tutti ne approfittano
non appena possibile: prima della moda dei
week-end fuori città e della motorizzazione
di massa, ci fu la scampagnata in corriera con
il pranzo al sacco. Le occasioni non mancavano: fiere, sagre e feste patronali.
Diego Robotti
Presidente di L&M
e-mail: [email protected]
La qualità della ristorazione nella nostra regione ha
tradizioni antiche. Le più
rinomate trattorie sorgevano nei luoghi di mercato, in particolare del bestiame, ma in seguito la
fama dei ristoratori si diffondeva a tal punto da attirare gli avventori più accorti anche nei giorni di
festa. La trattoria famosa
diveniva così un luogo di
appuntamento per i gourmands, che affrontavano
il viaggio al solo scopo di
assaggiarne le ghiottonerie.
Casa-forte di Pertia, edificio superiore.
In primo piano, un masso con coppelle.
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Casa-forte di Pertia, edificio inferiore con tetto sfondato (1992).
Casa-forte di Pertia, i due edifici accostati, lato occidentale (1992).
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Drovetti, Botta, Palma di Cesnola
archeologi subalpini dell’Ottocento
Immagine allegorica sulla campagna archeologica in Egitto di Bernardino Drovetti.
giovani amanti dell’avventura ed attratti dal
mondo antico hanno aperto la strada alla scoperta di città e di mondi perduti.
Le tecniche di scavo archeologico nell’Ottocento erano primordiali; perciò le campagne
condotte allora, sotto l’aspetto scientifico,
sono state dannose. Lo stesso dicasi delle
campagne relative alla scoperta di Troia di
Heinrich Schliemann, anche se va a suo merito aver provato la storicità del mondo omerico e di aver rivelato la civiltà minoico-micenea con gli scavi nell’Argolide.
Dobbiamo però riconoscere che questi pionieri dell’archeologia hanno aperto la strada alle
scoperte, con l’evoluzione successiva man
mano, delle tecnologie di scavo stratigrafico e
lo sviluppo scientifico nell’analisi degli strati e
dei reperti rinvenuti.
Nel 2002 si è celebrato, tra gli altri anniversari, il 150° dalla morte di Bernardino Drovetti,
illustre egittologo di Barbania. L’evento ci fornisce lo spunto per parlare dello sviluppo che,
a seguito del secolo dei lumi e della Rivoluzione Francese, ebbe nell’area subalpina l’archeologia.
In particolare tre sono i protagonisti, nati in
questa piccola terra ai piedi delle Alpi, il Canavese. La loro avventura umana, in Europa,
Africa e America del Nord, servirà alla nascita
o allo sviluppo di tre grandi Musei: il Museo
Egizio di Torino, il Museo del Louvre di Parigi, il Metropolitan Museum of Art di New
York.
Ci riferiamo a Bernardino Drovetti (1776 –
1852), a Paolo Emilio Botta (1802 – 1870) ed a
Luigi Palma di Cesnola (1832 – 1904). Questi
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In questo ambiente sociale e culturale, ricco
di ideali libertari, di volontà di conquista, di
scoperta del nuovo, si colloca l’avventura
umana di Bernardino Drovetti.
Nato nel 1776 a Barbania (Canavese) dal notaio Giorgio e dalla contessa Anna Vittoria
Vacha, figlia di Francesco, senatore del Regno
e conte di Barbania, dotato di particolare intelligenza, Bernardino a 18 anni si laurea in
legge. Per seguire i suoi ideali libertari, nel
1796 inizia la carriera militare nelle armate
napoleoniche. In varie campagne militari si
distingue per il coraggio e a 25 anni è capo
dello Stato Maggiore dell’armata napoleonica
in Italia.
Nel 1803 Napoleone lo invia in Egitto, con il
compito di difendere gli interessi francesi, in
contrasto con l’Impero Ottomano e con
l’Inghilterra. Sino al 1815 Drovetti opera
come Console di Francia e alla caduta di Napoleone resta in Egitto come privato. Dal
1821 viene reintegrato nell’incarico di Console e grazie alle capacità dimostrate in varie occasioni diventa il consigliere di fiducia del Kedivè egiziano Mohamed Alì e di suo figlio.
Con l’impegno di Drovetti, l’Egitto attua innovazioni nell’esercito, sviluppa il corpo della
marina , apre ospedali e scuole di medicina e
di chirurgia, con l’intervento di esperti francesi e italiani chiamati dal console francese. Nel
paese sono inoltre diffuse le vaccinazioni contro il vaiolo, il colera e la peste; sono apportate innovazioni nei settori dell’agricoltura e
dell’industria, sono aperte battaglie contro la
schiavitù e la pirateria.
Meriti di Drovetti nel campo culturale sono le
esplorazioni ardite nella Nubia sino alla seconda cateratta del Nilo (nel 1816) all’oasi di
Dakhel (1818) e all’oasi di Sina, per scoprire il
tempio di Giove Annone; essendo l’oasi abitata da popolazioni ostili, il Kedivè gli assegna
una scorta di 2mila uomini, con alcuni pezzi
di artiglieria. In oltre 15 anni di viaggi e di
esplorazioni rischiose, con un impegno finanziario significativo, Drovetti forma una collezione archeologica prestigiosa di antichità
egizie. Con l’autorizzazione del Kedivè, nel
1823 cede la collezione alla sua patria di origine, il Piemonte.
Dal porto di Alessandria la grande collezione
viene trasportata con navi a Livorno e poi a
Bernardino Drovetti
La Description de l’Egypte, opera monumentale
composta da nove volumi di testo e da dieci
volumi di tavole “in folia” e litografia (molte a
colori), è la descrizione dell’Egitto dall’antichità all’inizio del 1800, ad opera della
“Commission des Sciences et des Arts en
Egypte”, voluta da Napoleone Bonaparte ed
iniziata con la campagna militare d’Egitto del
maggio 1798.
Astronomi, orientalisti, ingegneri, naturalisti,
tipografi e disegnatori, tra i migliori esperti di
Francia, formano questo gruppo di 176 persone impegnate nello studio dell’Egitto.
Da questo grande progetto culturale, sorto insieme alla volontà di conquista dell’Egitto da
parte della Francia, nasce il modello di esplorazione archeologica su vasti territori, denominato oggi “survey”. Viene inoltre scoperta
la Pietra di Rosetta, base per la lettura dei geroglifici e non ultima come importanza, si
sviluppa la moda del collezionismo di reperti
egiziani e la creazione di raccolte private e di
Musei sull’Egitto nelle maggiori città europee.
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Genova. Di qui, con l’intervento dell’esercito
piemontese, viene trasportata a Torino e depositata nel palazzo dell’Accademia delle
Scienze.
Drovetti fornirà poi una collezione minore al
Museo del Louvre di Parigi e reperti egizi ai
Musei di Berlino, Monaco di Baviera, Marsiglia e Genova.
Nel 1829, stanco per l’intensa attività svolta,
Drovetti lascia l’incarico di Console e rientra
a Parigi; risiede a Versailles e presta attività
saltuarie per il Ministero degli Esteri francese.
Visita le principali capitali europee dove per le
sue vaste conoscenze sull’antichità viene definito “un dizionario ambulante di archeologia”.
Nel 1846 rientra nel suo paese natale, Barbania e trascorre gli ultimi anni in solitudine,
poiché la moglie ed il figlio sono rimasti in
Egitto. Bernardino Drovetti muore nel 1852,
all’età di 76 anni. Nel suo testamento destina
le sue rilevanti ricchezze ai poveri di Versailles e di Torino.
no francese gli concede una sovvenzione e gli
invia il Fiandrin, perché disegni i resti
dell’antica civiltà, scoperti da Botta. E questi,
nel 1846, invierà a Parigi, al Louvre, una importante collezione di antichità assire.
Botta s’impegna anche in studi sulla scrittura
cuneiforme, ma il suo merito maggiore è la
Bibliografia
Seita G., Barbania, Torino 1981.
Ramella P., La Provincia di Ivrea e il Canavese, Ivrea
1987.
Ramella P., Napoleone e il tempo francese in Ivrea e Canavese, Santhià 2000.
Curto S., L’Egittologia, in Donadoni S., Curto S., Donadoni Roveri A.M., L’Egitto dal mito all’egittologia,
Torino 1990.
Paolo Emilio Botta
Da Carlo Botta, medico, politico e storico, e
da Antonietta Viervil, nel 1802 nasce a Torino Paolo Emilio. Secondo la tradizione di famiglia, viene avviato agli studi di medicina.
Nel 1830 con l’aiuto del conterraneo Bernardino Drovetti, Paolo Emilio entra al servizio
del pascià d’Egitto e poi viene nominato Console di Francia, ad Alessandria. Dopo aver effettuato viaggi di studio nello Yemen, a Gerusalemme ed a Tripoli, inizia gli scavi sulla riva
destra del Tigri, dove scopre le rovine
dell’antica città assira di Ninive.
Nel 1843, durante scavi a Khorsabad, Botta
scopre la città e il palazzo del re assiro Sargon
I; dopo questi notevoli ritrovamenti il gover-
Parigi, Museo del Louvre. Toro alato assiro scoperto a Khorsabad, nel palazzo di Sargon II di Assiria (scavi di P. E. Botta, 1834-1844).
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scoperta dei monumenti dell’antica civiltà assira. Dal 1848 al 1851 pubblica a Parigi, in cinque volumi, la sua opera principale, Monuments de Ninive. Muore a Archères (Francia)
nel 1870.
Cherasco. Data la popolarità raggiunta Cesnola viene assunto dal presidente americano
Lincoln; in breve diventa maggiore e poi colonnello dell’Esercito Nordista e, infine, generale dell’Esercito degli Stati Uniti.
Terminata la Guerra Civile americana, per
meriti acquisiti(1) Cesnola viene nominato
Console americano a Cipro; nel Natale 1865,
con la famiglia, raggiunge la nuova residenza.
Nel 1866, a seguito di interessanti scoperte archeologiche del Console di Francia a Cipro,
Cesnola si entusiasma a queste ricerche e per
undici anni si impegnerà a fondo nei campi
della storia antica e dell’archeologia, impegnando tutto il patrimonio personale nelle
vaste campagne di scavo.
Tra le numerose scoperte di Cesnola a Cipro,
si ricordano: diverse antiche città, menzionate da Strabone e Tolomeo; 15 templi e 60.932
tombe; recupero di 14.240 vasi, 2.310 monete
(in oro, argento e rame), 2.110 statue, 4.200
busti e teste; 3.719 vasi di vetro, bottiglie e
coppe; 2.107 oggetti in bronzo e rame; 1.090
gemme incise; 1599 oggetti in oro; 370 oggetti in argento; 217 oggetti in avorio, piombo e
ferro; 105 iscrizioni greche, 30 fenice e 4 assire.
Il Cesnola cedeva al MET, nel 1873, circa 6mila oggetti e sculture antiche provenienti da
Cipro, con la convinzione che si trattasse di
reperti relativi alla culla della civiltà greca.
Quando successivamente Arthur Evans scoprirà a Creta la civiltà minoica, gli studiosi,
compreso Cesnola, incominceranno a rendersi conto che i ritrovamenti di Cipro son parte
di una civiltà meno importante di quanto da
loro ipotizzato.
Le lunghe e impegnative campagne archeologiche avevano portato quasi al dissesto finanziario il conte di Cesnola; ma nel periodo più
critico la fortuna viene in aiuto all’archeologo, con la scoperta del “tesoro di Curio”: oltre mille oggetti preziosi, e cioè anelli,
orecchini, bracciali, spille, collane d’oro, pietre
preziose, lampade e vasi in argento. Il tesoro
viene conteso dai maggiori musei d’Europa,
ma Cesnola decide di cederlo alla sua patria di
Luigi Palma di Cesnola in uniforme
Luigi Palma di Cesnola nasce nel 1832 a Rivarolo Canavese da una famiglia di nobili. A 15
anni si arruola volontario nella Brigata Piemonte e prende parte alle Guerre di Indipendenza italiane del 1848 e 1849. Nel 1860 emigra negli Stati Uniti; sbarca a New York ed a
Broadway apre la “Scuola di Guerra del Conte
Luigi Palma di Cesnola, Capitano dell’Esercito Italiano”.
L’iniziativa, data la Guerra di Secessione in
corso, tra Nordisti e Sudisti, ha successo; nel
giro di quattro mesi la scuola viene frequentata da oltre 700 allievi, istruiti da Cesnola secondo i programmi della Scuola di Guerra di
1.
In data 3 dicembre 1897 al Generale Luigi Palma di Cesnola, su ordine del Presidente degli Stati Uniti
d’America, il Ministro della Guerra conferisce la Congressional Medal of Honor, la più alta onoreficenza al
valor militare, per atti di valore compiuti dal Cesnola durante la Guerra di Secessione, nel 1863.
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All’inizio del 1900 i trustee cercano di convincere Cesnola a ritirarsi, data l’età avanzata del
direttore e l’esigenza di un rinnovamento,
dopo un quarto di secolo di direzione continua; ma il vecchio generale non molla e solo
la morte, nel 1904, lo toglierà dal ponte di comando del “Metropolitan”.
I resti del generale Conte Luigi Palma di Cesnola, un italiano che amava le nuove frontiere, riposano nel cimitero di New York. La sua
vicenda umana, dai tempi della Scuola di Guerra di Broadway a quelli della direzione del
“Metropolitan Museum of Art” di New York,
fa parte della storia degli Stati Uniti
d’America.
adozione e il MET lo acquista per 50mila dollari(2) .
Nel 1877 Cesnola viene nominato Patron del
MET ( titolo riservato solo ai più munifici donatori del MET) e nel 1879, date le sue notevoli capacità organizzative, l’abitudine al comando e il prestigio acquisito come archeologo e studioso, viene nominato direttore del
MET; l’incarico, appena istituito, si era reso
necessario, date le dimensioni che stava per
assumere il Museo.
Il direttore Cesnola realizza un notevole sviluppo del Met: trasferimento delle collezioni,
nel 1880, nella nuova sede, in Central Park;
nel 1888 la costruzione viene raddoppiata,
verso sud; come organizzatore museale, il Cesnola nei primi tempi si ispira al “Victoria &
Albert Museum” di Londra ove i reperti, per
motivi didattici, erano esposti secondo le materie prime relative ai mestieri: legno, ceramica, metallo, tessuti.
Nel 1886 il Cesnola decide di aggiornare
l’organizzazione del MET sulla falsariga del
British Museum di Londra, creando tre dipartimenti distinti: pittura, disegni, stampe; scultura, antichità, oggetti d’arte; oggetti in fusione e riproduzioni. E nel 1889 vengono nominati tre direttori, per questi nuovi
dipartimenti.
Come organizzatore dei servizi, istituisce un
ristorante, con “chef” italiano, e un bar con
specchi. Ed inoltre, riesce a far aprire il MET
di domenica, a favore degli artigiani, operai e
commercianti, impegnati negli altri giorni
della settimana; il provvedimento, che infrange la norma del riposo sabbatico, crea grande
scandalo e le dimissioni di un trustee.
Riguardo alle collezioni, donazioni ed acquisizioni, il direttore Cesnola riesce a realizzare
numerosi obiettivi; basti citare la donazione
di migliaia di strumenti musicali, la più vasta
collezione al mondo (da Mrs. Brown, 1889),
la donazione di circa 7 milioni di dollari
(dall’industriale di locomotive J.S. Rogers,
1901) e l’acquisizione degli antichi affreschi
romani dalla villa di Boscoreale, i più pregevoli affreschi antichi fuori dell’Italia.
2.
Pietro Ramella
L’autunno 2002 ci ha porta uno studio
sui personaggi del Canavese, attivi nel
Settecento e nell’Ottocento, nelle lotte
per la libertà e per lo sviluppo della cultura e dell’arte.
L’opera, con numerose illustrazioni, è
stata realizzata per la Città di Castellamonte ed è stata sostenuta dal Club Turati e dal Centro Studi Canavesani.
Il ricavato della vendita del libro è destinato all’Unicef.
Sull’attendibilità di questo ritrovamente sorgeranno polemiche e Cesnola dovrà difendersi anche in un
processo.
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Casa-forte di Pertia, edificio inferiore con la grande
crepa del muro (2001).
Casolari La Scialva
(Sparone, sul sentiero per
Pertia). Antico abbeveratoio.
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Pirandello e il Piemonte
…ah, ricordo un tramonto, a Torino, nei primi mesi di quella mia nuova vita, sul Lungo Po, presso il ponte
che ritiene per una pescaia l’impeto delle acque che vi fremono irose: l’aria era di una trasparenza meravigliosa ; tutte le cose in ombra parevano smaltate in quella limpidezza; ed io,guardando, mi sentii così ebro
della mia libertà , che temetti quasi d’impazzire, di non potervi resistere a lungo…1
a Torino (e vi resterà fino al 1902 quando il
marito, ingegnere minerario dello Stato, sarà
trasferito a Massa Carrara), veniva a Coazze
in villeggiatura, e tutti sappiamo la differenza
tra un “tour” qualsiasi ed un viaggio che abbia
per meta un luogo dove trovi una casa e persone amiche. Egli avrebbe già voluto venire a
Torino presso la sorella per l’Esposizione
Internazionale del 1898, ma non gli era poi
stato possibile.
Torino, tra le due Esposizioni Internazionali,
quella del 1898 per il cinquantenario dello
Statuto, e l’Esposizione del 1911 per il cinquantenario dell’Unità d’Italia, stava risollevandosi dalla crisi post-risorgimentale secondo il principio del rinnovar conservando, passando dal ruolo di prima capitale del Regno a
quello di moderna metropoli industriale. Dal
punto di vista urbanistico sono moltissime le
opere che si costruiscono in quegli anni, passando dallo stile eclettico tardo ottocentesco
ad un originalissimo “stile floreale” che fa di
Torino, insieme a Palermo all’altro capo del
paese, la città più “liberty” d’Italia: un carattere destinato a rimanere.
Ma Pirandello aveva avuto rapporti con Torino sin dall’adolescenza, se ricordiamo che il
suo primo scritto narrativo pubblicato fu
l’elzevìro La capannetta che comparve sulla
“Gazzetta del Popolo della domenica” del 1°
giugno 1884, e se ricordiamo che considerava,
come modello per la sua poesia, Arturo Graf,
docente dell’Università di Torino sin dal
1876, al quale,“come a Maestro”, aveva inviato
la sua prima raccolta poetica Mal giocondo,
pubblicata a Palermo nel 1889.
Nel 1895 compaiono due novelle di Pirandello
sulla “Gazzetta letteraria”, rivista settimanale
fondata da Vittorio Bersezio a Torino nel
1880 e trasferita a Milano solo l’anno prima,
ovvero nel 1894. La “Gazzetta letteraria” non
Nell’estate del 2001 è stato celebrato il centenario della villeggiatura di Luigi Pirandello a
Coazze, paese della Val Sangone in provincia
di Torino. Per la ricorrenza è uscita una pubblicazione ( Album di Coazze, ed. Enterprise
2001), segnalata dalla nostra rivista, alla quale
rimandiamo per una scrupolosa ricostruzione
di questa villeggiatura fino allora misconosciuta nella biografia pirandelliana. In estrema sintesi Pirandello, giovane professore trentaquattrenne, venne a Coazze in villeggiatura
con moglie e bambini nella tarda estate del
1901 (dal 23 agosto ai primi di ottobre) per
raggiungere la famiglia della sorella Lina, allora risiedente a Torino, che come molte altre
famiglie della borghesia torinese trascorreva le
vacanze estive in questa apprezzata località
montana. Fu un soggiorno sereno per Pirandello ed anche letterariamente fecondo perché
ci ha lasciato il cosiddetto Taccuino di Coazze,
quadernetto di note e appunti che servirono
poi al nostro autore per varie opere ispirate a
questa sua esperienza in terra piemontese. Ricordiamo, in ordine cronologico, le novelle
Gioventù e La Messa di quest’anno, il romanzo
Suo marito, dove Coazze compare con lo pseudonimo di Cargiore.
In questa sede ci proponiamo di allargare
l’orizzonte per conoscere il contesto culturale
piemontese del periodo “coazzese” di Pirandello , ovvero l’ambiente con il quale venne in
contatto in quegli anni tra Ottocento e Novecento, all’inizio potremmo dire della sua carriera di scrittore, ed in prospettiva il rapporto
che continuò ad avere col mondo culturale torinese nel corso della sua attività letteraria e
teatrale, fino al Premio Nobel (1934) e alla sua
morte (1936).
Già abbiamo detto che Pirandello venne a Coazze perché la sorella Lina che viveva dal 1897
1.
Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, nella collana “Tutti i romanzi” ed. Mondadori 1957, pag.342
11
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nesse alla famiglia di Massimo Bontempelli
(nato, ricordiamo, a Como), oppure se si trattava di un puro caso di omonimìa.
Massimo Bontempelli dopo la laurea fece
l’insegnante fino al 1910, in seguito la sua attività professionale fu quella di giornalista e si
svolse a Roma. Nel 1904 pubblica il suo primo
libro di poesie Egloghe a Torino, non sappiamo
se anche lui presso Streglio, l’editore di Pirandello.
è una rivista provinciale: pubblica e recensisce
le opere di Verga e Capuana, mentre è molto
critica con la letteratura decadente dei Sommaruga e D’Annunzio; forse è attraverso
l’amico Capuana che Pirandello arriva alla
“Gazzetta letteraria”.
Le novelle pirandelliane che compaiono sulla
“Gazzetta letteraria”sono: Ravanà (poi pubblicata nelle “Novelle per un anno” col titolo
In corpore vili) che esce sul numero del 15 giugno 1895, e Il “no” di Anna che conta diciotto
pagine e viene pubblicata in cinque puntate
dal 7 settembre al 5 ottobre del medesimo
anno, opera di narrativa verista ma già ricca
di umorismo.
Ritornando ad Arturo Graf, scrive Giovanni
Tesio che “il magistero di Arturo Graf è uno dei
fatti salienti della cultura torinese a cavallo dei
due secoli: momento esemplare le celebri “sabatine”, pubblica accademia aperta su persone e argo menti”2 . E’ possibile che Pirandello, in occasione di qualche sua sosta a Torino (compresi i
pochi giorni in cui si trattenne presso la sorella dopo la villeggiatura a Coazze) abbia partecipato a queste riunioni del sabato presso
l’Università, delle quali Arturo Graf era
l’accorto moderatore.
Parlando della “prima generazione grafiana”,
ricordiamo tra gli allievi Pastonchi, Enrico
Thovez, Giovanni Cena, Giovanni Camerana, ma anche Massimo Bontempelli e questo
fatto ci interessa molto perché Massimo Bontempelli fu forse l’unico amico intimo di Pirandello, che non fosse meridionale, e certamente fu suo stretto amico per tutta la vita.
Bontempelli era nato a Como nel 1878, era
quindi di quindici anni più giovane di Pirandello, e si laureò, appunto, in lettere
all’Università di Torino, poi in filosofia. Era
venuto studente universitario a Torino perché anche lui grande estimatore di Arturo
Graf come Pirandello? E Pirandello conobbe
forse Bontempelli proprio a Torino? La prima
collana di novelle di Pirandello, Amori senza
amore, fu pubblicata a Roma nel 1894 presso
lo “Stabilimento Bontempelli Editore”, ma
non sappiamo se questa casa editrice apparte2.
3.
Prima di arrivare al successo con Il fu Mattia
Pascal, Pirandello pubblicò i suoi lavori in case
editrici d’ogni parte d’Italia e, come si è detto,
il suo editore torinese fu Renzo Streglio presso il quale pubblicò due collane di novelle:
Quand’ero matto nel 1902 (che comprende la
novella Lumìe di Sicilia), e nel 1904 Bianche e
nere.
Renzo Streglio era un editore minore militante. “Dalla sua casa editrice –scrive Enzo Bottasso 3, uscirono, insieme a libri importanti
per tener desta la nostra tradizione letteraria,
come la monografìa del Rinieri su Silvio Pellico o la ristampa dei Miei tempi di Angelo Brofferio, novità di Giovanni Cena, Enrico Thovez, Corrado Corradini, Edmondo De Amicis,
Francesco Pastonchi e Luigi Pirandello” appunto.
Nel 1907 pubblicò La via del rifugio di Guido
Gozzano ed ancor prima, per tutto il 1905, fu
l’editore del settimanale letterario “Il Campo”, “quasi travolto dalla tragica fine scelta
per sé da Giovanni Camerana” (di cui pubblicherà postumi, nel 1907, i Versi). E’ proprio su
“Il Campo” del 2 aprile 1905 che si dà notizia,
per la prima volta, d’un romanzo “umoristico” di Luigi Pirandello, intitolato Suo marito.
Renzo Streglio disponeva anche di una propria tipografia , impiantata prima a Ciriè e
poi a Venarìa sotto la direzione del fratello
Anselmo. Pubblicava anche una serie di guide
turistiche: recentemente, nel 1998, è stata
pubblicata la ristampa anastatica di una sua
edizione del 1907, assai interessante, sulla Sacra di San Michele.
Si veda il saggio di Giovanni Tesio Le lettere nel volume Torino città viva, da capitale a metropoli,1880-1980.
Cento anni di vita cittadina, edito a cura del Centro Studi Piemontesi, Torino, 1980.
Si veda Enzo Bottasso in La editoria da Torino città viva,da capitale a metropoli, op.cit.
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Scrive ancora Enzo Bottasso “Streglio aprì negozio agli albori del secolo in un altro dei luoghi deputati della libreria torinese, all’angolo fra le vie
Santa Teresa e XX Settembre”. Abbiamo rintracciato il luogo: si tratta precisamente di via
Santa Teresa n.6, a due passi da piazza San
Carlo; è un grande locale d’angolo al pianterreno di un prestigioso palazzo. Ora vi si trova
un negozio di “lingerie” di lusso, ma, su una
vetrata, si vede ancora stampata in bel corsivo
la scritta Treves, l’editore di Pirandello quando
arriverà al successo. Evidentemente, in questo
“luogo deputato della libreria torinese”
all’editore Streglio subentrò la Libreria Internazionale F.lli Treves, che vi resterà per quasi
un secolo.
Quando nel negozio c’era Streglio, la libreria
gestiva anche una “Gran Biblioteca Circolante”, così come ho potuto apprendere dalla
pubblicità stampata sulla carta della casa editrice in una lettera dell’editore a Luigi Pirandello, a proposito della pubblicazione della
collana di novelle Bianche e nere, esposta alla
Mostra Pirandelliana allestita a Coazze
nell’estate dell’anno centenario dalla Biblioteca-Museo “Luigi Pirandello” di Agrigento (il
negozio era in via Santa Teresa n.6, ma la lettera arriva dagli uffici che si trovavano nella
vicina Galleria Subalpina). Tuttavia, malgrado l’intensa e benemerita attività, gli affari
non dovevano andare molto bene a Torino,
poiché lo Streglio prima aprì una succursale a
Genova nel 1904, e poi nel 1907 trasferì ogni
attività editoriale in quella città.
Un altro importante editore torinese con cui
Pirandello ebbe a che fare in quegli anni, è
Onorato Roux che, con Favale, nel 1895 aveva fondato La Stampa di Torino. Il Roux resterà poi nella direzione della Stampa anche
con Alfredo Frassati. Ma Onorato Roux era
attivo pure a Roma dove dirigeva La Tribuna
Nel lavoro citato della Marsili Antonetti (“Luigi Pirandello intimo”), troviamo un curioso
fitto carteggio dell’anno 1900 di Pirandello, da
Roma, con il cognato Calogero a Torino
(pp.174-176) dove Luigi prega Calogero di andare alla redazione della Stampa per riprendere il manoscritto del suo romanzo L’Esclusa
che il Roux non aveva neppure letto: Ho veduto oggi Roux –scrive Luigi da Roma- Mi ha confessato che non ha avuto tempo di leggere
l’Esclusa…anche lui mi chiude la porta in faccia
senza aver prima letto l’opera mia…Tu, carissimo
Calogero, fra 2 giorni recati alla “Stampa” a ritirare il manoscritto…”. Ma la vicenda ha un lieto fine: il Roux, che non gli aveva pubblicato
L’Esclusa sulla Stampa, l’anno dopo gliela
pubblica in appendice sulla Tribuna nei mesi
di giugno-agosto (vedi Gaspare Giudice, Pirandello, ed. UTET 1980, pag.157).
Abbiamo visto che tra gli scrittori pubblicati
da Renzo Streglio c’era anche Giovanni Cena
che forse Pirandello conobbe proprio in quei
primi anni del Novecento. Il Cena, nato da
umile famiglia a Montanaro Canavese nel
1870, era pertanto quasi coetaneo di Pirandello. Non è questa la sede per parlare direttamente di questa bellissima figura, così rappresentativa, di apostolo laico del proletariato,
ma vogliamo dire dei rapporti quanto mai significativi e nutriti da profonda umana simpatia, intercorsi tra Luigi Pirandello e Giovanni Cena fino alla morte precoce di
quest’ultimo.
Giovanni Cena, come detto, era di umile e poverissima famiglia. Fece il precettore ed il correttore di bozze per vivere, ma il suo talento
fu presto riconosciuto ed incoraggiato da intelligenze sensibili dell’ambiente letterario torinese, come Arturo Graf e Edmondo De Amicis.
Così nel 1902 era già redattore-capo della rivista romana Nuova Antologia e da quando questa rivista fu diretta da Giovanni Cena, Pirandello, che probabilmente lo aveva conosciuto
ai tempi dello Streglio, cominciò a collaborarvi, e fu proprio Giovanni Cena che pubblicò
sulla rivista il capolavoro che a Pirandello diede il successo. Infatti nel 1904, all’indomani
della “prova terribile” del 1903 con il fallimento dell’azienda paterna dove Pirandello aveva
investito il capitale suo e la dote della moglie,
la quale, per lo shock, cadde in gravissima malattia, Giovanni Cena chiese al nostro autore
un romanzo da pubblicare a puntate sulla rivista, offrendogli subito un anticipo di mille
lire (circa sei milioni e mezzo attuali): così
nacque Il fu Mattia Pascal.
Maria Luisa Aguirre d’Amico, nipote di Pirandello perché figlia della figlia Lietta, nel suo libro di memorie (Album di Pirandello, pag.71),
13
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rapporti del Nostro con il Piemonte, abbiamo
anche potuto leggere una lettera autografa di
Arturo Graf a Pirandello del 24 novembre
1906. Siamo ancora agli inizi del secolo e sono
passati pochi anni da quando Pirandello con
deferenza inviava ad Arturo Graf le sue raccolte di poesie, ma nel frattempo per Pirandello è esploso il successo con la pubblicazione
del “Fu Mattia Pascal”. Pirandello era diventato famoso perché aveva trovato, in Giovanni
Cena, un editore di “intelligente operosità”
che si era accorto del valore di lui, così come
aveva pronosticato Luigi Capuana pochi anni
prima, nel 1901, l’anno del soggiorno coazzese. Ed ora i rapporti tra Arturo Graf e Luigi Pirandello sembrano quasi capovolti, pur mantenendosi sulla base di una sincera reciproca
stima. Questa volta è Arturo Graf che scrive a
Pirandello,“Caro Professore”, per ringraziarlo
caldamente di una recensione favorevole della
sua ultima raccolta di versi “Rime della Selva”, da lui scritta sulla Nuova Antologia (diretta, ricordiamo, da Giovanni Cena). “Spero
di leggere presto- conclude nella lettera Arturo
Graf- qualche nuovo frutto del suo acuto e singolare umorismo”. La chiusura è ossequiosa, ma il
giudizio dell’anziano poeta e critico è esatto.
parlando dei letterati frequentati da Pirandello a Roma, tra “quelli che durarono nel tempo, e nel ricordo dei familiari”, cita Giovanni
Cena “socialista umanitario e redattore-capo
della Nuova Antologia”4, per cui possiamo
pensare che tra i due, malgrado la differente
personalità, fosse nata una vera e propria amicizia durata fino alla morte di Cena.
Anche Giovanni Cena scrisse un romanzo nel
1904, Gli ammonitori, di ispirazione sociale,
forse pubblicato ancora presso l’editore Streglio; poi un libro di versi, Homo, nel 1907. Ma
in seguito obbedì all’impulso di passare
all’azione in una forma di laico apostolato sociale, fondando con Sibilla Aleramo, pure lei
piemontese 5, con il medico Angelo Celli e la
moglie, ed altri ancora, le “scuole dell’Agro
Romano” per l’alfabetizzazione del proletariato contadino. Morirà dieci anni più tardi
nel 1917, di polmonite, a soli quarantasette
anni.
Pochi mesi dopo, sul Messaggero della Domenica del 31 maggio 1918, compare una commossa commemorazione di Giovanni Cena da
parte di Pirandello, che costituisce non solo
una bella pagina di asciutta eloquenza, ma un
documento di profonda simpatia umana, che
ci fa capire come Pirandello, nella scelta
dell’amico, vedesse la conseguenza estrema
della sua idea che “la vita la si vive o la si scrive”.
In altre parole, identificandosi nell’amico, Pirandello, con capacità ermeneutica, ne mette
in luce il valore essenziale.”Volle concludere in
bontà. A un certo punto non scrisse più, ma visse la
sua poesia”, così inizia la breve, intensa, commemorazione, “…non gli restava più, oramai,
che ritornare con le parole che aveva dette a coloro
dai quali era uscito: ai contadini, per insegnar loro
a scriverle e anche a viverle…”. Infine, ricordando il suo ultimo libro, Homo, composto di cento sonetti “che han l’aria di cento iscrizioni lapidarie su cose e sentimenti eterni”, conclude: “Parecchi di essi attingono una bellezza assoluta e
imperitura” .
Nella preziosa Mostra Pirandelliana allestita
dalla Biblioteca-Museo “Luigi Pirandello” di
Agrigento a Coazze, tra i cimeli riguardanti i
4.
5.
Andando oltre gli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, l’interesse per il nostro Autore ci spinge a lanciare un’occhiata al suo rapporto con Torino negli anni che verranno, dedicati precipuamente all’attività teatrale,
lasciando aperta la porta per un’analisi ben
più completa quale l’argomento meriterebbe.
A prescindere da ragioni di carattere affettivo,
entrando in questa nuova fase di attività i
rapporti di Pirandello con Torino sono destinati ad intensificarsi perché Torino era sede di
due importanti teatri di livello nazionale, che
sono il Carignano e l’Alfieri, a cui si aggiungerà poi un terzo, il “Teatro di Torino”, fondato
dal prestigioso uomo d’affari e mecenate Riccardo Gualino.
Culturalmente, questo rapporto si può incentrare sulla figura di due importanti critici teatrali, che si pongono ai poli opposti: Antonio
Collaborerà anche in altri modi alla rivista, con qualche novella e recensioni su libri di A.S.Novaro, Francesco Pastonchi, Luigi Capuana, Giuseppe Giacosa, Giovanni Papini e altri ancora .
Sibilla Aleramo, pseudonimo di Adele Faccio, nata ad Alessandria, morta a Roma nel 1960.
14
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Casa-forte di Servino.
L’edificio nella parte
occidentale insiste su
un masso roccioso.
Casa-forte di Servino.
Facciate Sud e Ovest.
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come ritorno alla vita “ingenua” della campagna.
…..”Liolà è così gioconda che non pare opera mia”:
io penso che l’artista riesce a vivere attraverso
i suoi personaggi come vorrebbe, libero dai
condizionamenti esistenziali e sociali.
Liolà “non poteva finire che così com’è”: Gramsci
considera Liolà opera artisticamente riuscita a
ragione della sua intima coerenza, e a noi
sembra che l’analisi di Gramsci mantenga ancora tutta la sua validità anche perché ben inquadrata dal punto di vista storico e sociologico: Liolà è una farsa che si riattacca ai drammi
satireschi della Grecia antica, e che ha il suo corrispondente pittorico nell’arte figurativa vascolare
del mondo ellenistico (Come non pensare a quel
vaso greco del V secolo a.C., a figure rosse su
fondo nero, che fu tanto caro a Pirandello in
vita, e che poi contenne per decenni le sue ceneri finchè non furono tumulate sotto il pino
della Casa del Caos nella campagna di Agrigento?). “C’è da pensare- prosegue Antonio
Gramsci in quella recensione del 4 aprile 1917
sull’edizione torinese dell’ “Avanti”- che l’arte
dialettale così come è espressa in questi tre atti del
Pirandello, si riallacci con l’antica tradizione artistica popolare della Magna Grecia, coi suoi fliaci,
coi suoi idilli pastorali, con la sua vita dei campi
piena di furore dionisiaco, di cui tanta parte è pure
rimasta nella tradizione paesana della Sicilia
odierna, là dove questa tradizione si è conservata
più viva e più sincera. E’ una vita ingenua, rudemente sincera, in cui pare palpitino ancora i cortici
delle querce e le acque delle fontane: è una efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la
vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un’opera lieta,
e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la vita
organica (allora l’interprete ideale di Liolà fu
Angelo Musco, poi mi sembra fu interpretato
da Domenico Modugno, oggi l’interprete potrebbe essere Roberto Benigni?…)
Abbiamo ancora altre recensioni torinesi di
Gramsci: una recensione del 27 febbraio 1918
del Berretto a sonagli, rappresentato al teatro
Alfieri nella versione originaria in dialetto da
Angelo Musco. Gramsci giudica la commedia
“un prodotto autentico del temperamento personalissimo dell’autore”, ma non la considera esteticamente riuscita poiché “la dimostrazione soverchia l’azione”. Arriviamo così alla critica molto
dura di Gramsci al “verbalismo pseudofiloso-
Gramsci critico teatrale del giornale L’Avanti,
e, non contemporaneamente ma pochi anni
più tardi, Domenico Lanza, critico teatrale
della Gazzetta del Popolo.
La prima rappresentazione della commedia Il
piacere dell’onestà avvenne al teatro Carignano
il 25 novembre 1917 con la compagnia Ruggero Ruggeri e Vera Vergani, riscuotendo un notevole successo.
Tra i testimoni di quella serata c’era Gramsci
che scrisse la recensione dello spettacolo per
l’edizione torinese dell’ “Avanti”, di cui trascrivo il primo brano: “Luigi Pirandello è un “ardito” del teatro. Le sue commedie sono tante bombe
a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e
producono crolli di banalità, rovine di sentimenti,
di pensieri. Pirandello ha il merito grande di far,
per lo meno, balenare delle immagini di vita che
escono fuori dagli schemi soliti della tradizione”.
Un Pirandello dunque apprezzato perché culturalmente “innovatore” e per la sua originalità irrepetibile di artista.
Ma già nell’aprile di quell’anno Gramsci aveva preso una posizione chiara e netta sul teatro di Pirandello dopo la rappresentazione
contrastata di Liolà al teatro Alfieri: “Liolà è il
prodotto migliore dell’energia letteraria di Luigi Pirandello”.
Liolà fu ritirato momentaneamente dal repertorio di Angelo Musco dopo le rumorose proteste in teatro alla fine del terzo atto di giovani cattolici del giornale Il Momento, che avevano accusato l’autore di oscenità, e Gramsci
commenta: “Liolà non finisce secondo gli schemi
tradizionali, con una buona coltellata, o con un
matrimonio, e perciò non è stata accolta con entusiasmo; ma non poteva finire che così com’è, e pertanto finirà con l’imporsi”.
Aveva scritto Pirandello al figlio Stefano, prigioniero di guerra in Austria: “Liolà è venuto
proprio bene…è stata la mia villeggiatura…è così
gioconda che non pare opera mia… questa è opera
che vivrà a lungo”. Liolà è una “commedia campestre”, ed anche se l’atmosfera è del tutto diversa, quella parola “villeggiatura” non può
non farci ritornare col pensiero da dove siamo
partiti, alla villeggiatura a Coazze nel 1901, a
quel mese di lietissima pace (come si espresse Pirandello stesso, scrivendo alla sorella per il
Natale di quell’anno) di una vacanza intesa
come serena evasione in seno alla natura,
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non solo comune e banale, ma travagliata dagli sforzi d’un barocchismo insignificante e
inane, e in parecchi momenti di assai discutibile buon gusto, e di ancor più discutibile forza di idee e abilità di forme… manca la guida
della misura e dell’equilibrio mentale…”; i
personaggi sono “un’accolta di morbosi cerebrali, pazzi o semipazzi, decadenti della volontà , tormentatori di sé e degli altri, svuotati d’ogni persuasiva umanità e congegnati artificialmente come puri macchinismi
dialettici…”ecc ecc.
Domenico Lanza, un “torinese di stampo antico, –come scriveva Lorenzo Gigli, critico letterario suo collega alla “Gazzetta del Popolodi intransigente dirittura, di alto e coraggioso
sentire”, evidentemente non poteva sopportare Pirandello, forse per una vera e propria incompatibilità di carattere, e neppure temeva
di andare contro la moda. Pirandello prontamente volle vendicarsi con una ”lettera al direttore” del Corriere della Sera tre giorni prima della rappresentazione in Milano, che è
tutta una spassosa presa in giro del suo avversario, ed anzi ne approfittò per creare ancora
una volta un magistrale gioco degli specchi
tra finzione e realtà.
“…il signor Domenico Lanza, mio feroce e riveritissimo nemico, - scrive Pirandello- senza aspettare
che la mia nuova commedia fosse rappresentata,
non dico a Torino (dove pur sarà tra una ventina
di giorni) ma neppure a Milano, le rovescia addosso sulla “Gazzetta del Popolo” quattro colonne di
vituperi. Dio mi guardi dal volergliene male, ché
anzi, gliene sono gratissimo. Ed ecco perché. Nel
primo degli intermezzi corali della commedia sono
introdotti anche i critici drammatici a dare il loro
parere sul primo atto di essa… Ora, per osservare
fino allo scrupolo questa obiettività che mi sono
proposta, mi par lecito approfittare, come d’una
fortunata congiuntura, del giudizio preventivo che
il sig. Domenico Lanza ha voluto fare della mia
commedia, e farò ripetere questo suo giudizio in
buon piemontese da uno di quei critici drammatici
… E il signor Domenico Lanza , di qua a venti
giorni, allorché la commedia sarà rappresentata a
Torino, potrà risparmiarsi di scriverne ancora sulla “Gazzetta del Popolo”…”.
fico” di Pirandello nella recensione del Giuoco
delle parti sull’edizione torinese dell’”Avanti”
del 6 febbraio 1919. La commedia era andata
in scena per la “prima” nel dicembre 1918
sempre nel repertorio di Ruggero Ruggeri e
Vera Vergani, che aveva compreso, come abbiamo visto, anche Il piacere dell’onestà.
Insomma l’apprezzamento di Gramsci è soprattutto di carattere ideologico per il Pirandello “operatore di cultura” in quanto innovatore, mentre per l’arte di Pirandello manifesta
riserve frutto di una formazione estetica fondamentalmente crociana.
L’altra figura dell’ambiente culturale torinese
a cui avevamo fatto cenno, è quella di Domenico Lanza, critico teatrale della “Gazzetta del
Popolo”, con il quale Pirandello ebbe un clamoroso scontro che vale la pena di ricordare
perché fu un episodio, a dire il vero, esilarante
ed insieme significativo di un certo clima
dell’epoca 6 .
Siamo nel 1924, Pirandello ormai aveva conquistato il pubblico ed ogni sua prima rappresentazione era un evento. E’ di quell’anno la
commedia Ciascuno a suo modo, che ricorda nel
titolo il motto del campanile di Coazze,
Ognuno a suo modo, che aveva tanto colpito Pirandello quando era venuto nel paese in villeggiatura. Preannunciando la commedia in
un’intervista sul “Giornale di Sicilia” del 10
aprile 1924, Pirandello, mettendo le mani
avanti e mostrando di divertirsi allo scandalo,
aveva detto: “In Ciascuno a suo modo avvengono cose da pazzi”, facendo il verso, evidentemente, ai suoi detrattori.
Bemporad, nuovo editore di Pirandello dopo
Treves, pubblicò il libretto della commedia
pochi giorni prima del debutto. Domenico
Lanza, che in quegli anni insieme a Renato Simoni e Marco Praga di Milano, e Adriano Tilgher di Roma, era tra i critici teatrali più autorevoli, notoriamente non favorevole alle opere di Pirandello, si buttò sul libretto e ne stilò
una lunghissima recensione demolitrice sulla
“Gazzetta del Popolo”, zeppa di giudizi spregiativi: “…la nuova commedia di Luigi Pirandello non esce dai confini d’una creazione
6.
Traggo le notizie circa questo episodio da Gaspare Giudice, Luigi Pirandello, op.cit. cap.VI il paragrafo
“Ciascuno a suo modo”, pp.380-386
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modo straordinario come rispondendo ad una
sfida, e Ciascuno a suo modo, rappresentata dalla Compagnia Niccodemi, con Vera Vergani e
Luigi Cimara, riscosse un successo trionfale.
Anche la recensione di Renato Simoni, con
qualche riserva, fu favorevole.
Tuttavia, nonostante il successo, dopo questa
prima tournée la commedia, mentre fu in vita
Pirandello, non fu più rappresentata in Italia,
forse, come ipotizza Giudice, per difficoltà
tecniche in quanto la rappresentazione richiedeva una cinquantina di attori in scena.
La mia impressione è che Pirandello non abbia
goduto, per un lungo periodo, di molta attenzione e simpatia da parte della stampa torinese in una città piuttosto tradizionale, eccezion fatta per il Gramsci dell’edizione torinese dell’Avanti. Se ci ricordiamo quanto
raccontato poche pagine sopra, Onorato
Roux, malgrado le pressanti richieste di Pirandello, non pubblicò il romanzo L’Esclusa sulla
Stampa di Torino nel 1900, per poi pubblicarlo sulla Tribuna di Roma l’anno dopo; il che
forse va messo in rapporto con un eventuale
parere negativo di Dino Mantovani
(1862-1913), critico letterario della Stampa
fin dalla fondazione del giornale, ammiratore
entusiasta di Gabriele D’Annunzio, che nella
sua abbondante bibliografia praticamente
ignorò Luigi Pirandello 8.
“Il Momento”, giornale cattolico, fece addirittura una crociata contro la commedia Liolà,
ottenendo la sospensione delle recite (aprile
1917). Lorenzo Gigli, collega di Domenico
Lanza alla Gazzetta del Popolo come critico
letterario per un lunghissimo periodo che arriverà fino alla sua morte negli anni sessanta,
nella sua attività solo di sfuggita toccherà
l’argomento “Luigi Pirandello” 9.
Ciò che più colpisce, al di là del duello verbale
tra i due personaggi, sono le reazioni che seguirono alla polemica. La lettera di Pirandello
sul “Corriere della sera” provocò il risentimento dell’Associazione della Stampa Subalpina,
che fece pubblicare un ordine del giorno del
suo Consiglio direttivo dove prendeva le difese di Domenico Lanza, autore di un giudizio
severo sì, ma, secondo loro, “espresso in forma piena di dignità e di rispetto”, stigmatizzando invece “la risposta acre e sarcastica” di
Luigi Pirandello; e deplorava “il fatto nuovo”
che il “grande giornale milanese” avesse ospitato, contro “il buon costume giornalistico”,
“le espressioni evidentemente inopportune ed
esorbitanti in banali quanto ingiuste offese
per la gente subalpina”, (e pensare che il bel
titolo della sua commedia, Ciascuno a suo
modo, Pirandello l’aveva preso proprio dal
motto sul campanile della chiesa d’un paesello montano piemontese come Coazze, vicino
a Torino, dove aveva passato una felice vacanza!).
Che, in effetti, Pirandello fosse riuscito a mettere alla berlina l’autorevole critico torinese è
vero, ma non si capisce perché ciò avesse recato offesa a “tutta la gente piemontese”! Evidentemente l’ironico richiamo del Pirandello
(dottore in filologia romanza e non alieno da
compiaciute citazioni dialettali in romanzi
come Suo marito e Il fu Mattia Pascal) al “buon
piemontese” in cui avrebbe fatto esprimere
l’illustre critico torinese nella sua commedia 7
, e dall’altra parte il richiamo sussiegoso
dell’Associazione Subalpina al “grande giornale milanese” (con tutto questo susseguirsi di
aggettivi…geografici), manifestava il serpeggiare di un clima di rivalità regionalistica tra
la vecchia capitale sabauda e Milano, città
moderna per eccellenza.
Sta di fatto che in questo caso, non diciamo
tra Torino e Milano, ma tra Domenico Lanza
e Pirandello, il secondo ebbe la meglio, perchè
al Teatro dei Filodrammatici, quella sera del
22 maggio 1924, il pubblico milanese affluì in
7.
8.
9.
Come abbiamo prima accennato, in Torino al
Carignano e all’Alfieri, teatri di livello nazionale, si aggiunse più tardi il “Teatro di Torino”, creazione di Riccardo Gualino, che ebbe
però una vita breve seppur brillante, come
Fu un certo Cataneo, l’attore che contraffece la figura di Domenico Lanza, pare abilmente (da G.Giudice
op.cit. pag.382 n.).
Si veda Dino Mantovani, Pagine d’arte e di vita, con allegato saggio bibliografico, Torino ed. STEN,1915.
Il Pirandello stesso, invece, aveva scritto sulla “Gazzetta del Popolo” di Torino, il 17 gennaio 1909, una recensione (elogiativa) del romanzo La Camminante di Giustino Ferri.
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Torree Pietra.
Facciata nord-occidentale con affiancato
edificio recente.
Frassinetto.
Particolare della borgata Chiappinetto.
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con la compagnia Almirante-Rissone-Tòfano.
Nel dicembre dello stesso anno arriva al Teatro la Compagnia di Marta Abba con la prima
rappresentazione italiana di Lazzaro, (il dramma era stato rappresentato la prima volta in
Inghilterra, tradotto, il 9 luglio dello stesso
anno). Sempre la Compagnia di Marta Abba,
in quella tournée, rappresenta, insieme ad
opere di altri autori, anche Come prima meglio
di prima.
Nel gennaio 1930, con la Compagnia di Ruggero Ruggeri vengono rappresentate Il piacere
dell’onestà, Enrico IV, Tutto per bene.
Il 14 aprile 1930, abbiamo nuovamente la prima rappresentazione italiana di un’opera già
rappresentata in tedesco, a Koenigsberg, il 25
gennaio di quell’anno: si tratta del dramma
Questa sera si recita a soggetto, terza ed ultima
opera della trilogia del “teatro nel teatro”. Per
l’occasione era stata costituita appositamente
una compagnia diretta da Guido Salvini 11 .
Come si vede, ci troviamo di fronte al fatto
che nuove creazioni di Pirandello hanno la
loro prima rappresentazione all’estero e in
traduzione: è l’epoca di lunghi soggiorni di Pirandello in Francia e ancor più- quasi due
anni- in Germania, una specie di esilio perché
era stanco dell’Italia e più apprezzato
all’estero. Mi sembra non sia un caso che questa volta, in un ambiente ben diverso dalle
esperienze passate, egli ritorni in Italia con le
sue opere attraverso Torino.
E’ la Torino di grandi promotori della cultura
come Riccardo Gualino, appunto, e Lionello
Venturi, suo consigliere artistico ed amico, ed
Edoardo Persico, che nel campo della pittura,
con il suo intervento nel 1928, diede vita al
Gruppo dei Sei.
E’ proprio Torino, questa volta, che rispetto a
Milano è in posizione più eccentrica nel contesto nazionale per ragioni geografiche, sociali
e politiche, ad assumere il ruolo di città moderna, di città all’avanguardia, che guarda oltre i confini.
tante altre creazioni di questo mitico personaggio 10, la sua attività essendo durata dal
1925 al 1931: era uno fra i pochi teatri esistenti nel mondo dedicati sia all’arte lirica che
all’arte drammatica, e alle danze, alla musica
sinfonica e da camera. Oggi, in Via Montebello all’angolo con Via Verdi, a pochi passi dalla
Mole Antonelliana, si può ancora vedere, ai
margini di un’area devastata da un bombardamento dell’ultima guerra, l’architrave di un
probabile ingresso con la scritta in rilievo
“TEATRO DI TORINO”: quasi un reperto archeologico.
Questo teatro, creato non a scopo commerciale ma per rinnovare il gusto italiano con
spirito moderno e respiro internazionale, volle e poté godere di un repertorio selezionatissimo e di alta qualità; ebbe senz’altro la sua
importanza nella storia della cultura torinese,
ma per altro verso restò un’ iniziativa d’élite
che non conquistò il pubblico torinese, secondo le stesse sincere ammissioni di Gualino
(vedi “Il teatro di Torino” da op.cit.
pp.97-104).
Proprio per i suoi intenti innovatori il Teatro
di Torino diede ampio spazio all’opera e alle
opere di Pirandello. Così, per la sezione “commedie e drammi”, il teatro si apre con la Compagnia del Teatro d’Arte di Roma diretta da
Luigi Pirandello, con un programma che copre
i mesi di dicembre 1925 e gennaio 1926, e la
prima opera rappresentata fu Sei personaggi in
cerca d’autore con Marta Abba, e, fra gli altri,
Gino Cervi. Seguono Vestire gli ignudi, poi Nostra Dea dell’amico Massimo Bontempelli;
Così è se vi pare; Enrico IV; Il piacere dell’onestà.
Nel febbraio del ’26 abbiamo le rappresentazioni del “Teatro Pitoeff” in lingua francese,
con la mitica coppia di Georges e Ludmilla Pitoeff. Tra queste rappresentazioni l’Enrico IV
e i Sei personaggi in cerca d’autore, in francese.
Il 14 novembre 1929 fu rappresentato, in prima assoluta, il dramma O di uno o di nessuno
10. Riccardo Gualino, Frammenti di vita e pagine inedite, con allegato l’elenco completo di tutte le manifestazioni del Teatro di Torino (1925-1930), Roma, ed. Famija Piemonteisa 1966.
11. Nella sezione “Balletti e Danze” del citato elenco delle manifestazioni, in data 6e7 marzo 1928 troviamo
due rappresentazioni del “Teatro della Pantomima Futurista” diretto da Enrico Trampolini, direttore d’orchestra Franco Cascola, e tra i vari quadri anche La Salamandra, con sceneggiatura di Pirandello e musica
di Massimo Bontempelli.
20
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Torino, come si sa, si trova ad uguale distanza da Roma e da Parigi (e Gualino aveva persino ventilato l’idea di fondare a Parigi un grande istituto per giovani artisti italiani). Torino,“la città meno fascistizzata d’Italia”12, che
Mussolini detestava, era la città dov’era nata
la classe operaia, la città di Gramsci e Gobetti,
ed il regime fascista non approvò mai totalmente una così dichiarata manifestazione di
internazionalismo culturale; fra l’altro Lionello Venturi, il grande consigliere ed amico di
Riccardo Gualino, fu uno dei solo undici professori universitari che non prestarono giuramento al regime fascista 13 .
Ritornando al periodo storico del soggiorno di
Luigi Pirandello a Coazze, riguardo la sua attività letteraria vogliamo almeno notare che gli
anni tra ottocento e novecento sono quelli in
cui Pirandello si dedica soprattutto alla narrativa. Le prime opere teatrali andranno in scena una decina di anni dopo; ma quel che ci
preme sottolineare è la continuità dell’arte pirandelliana per due ragioni uguali ed opposte:
da una parte il valore artistico delle sue novelle e dall’altra il fatto che, generi a parte, tutta
l’arte pirandelliana è arte drammatica nella
sua essenza, perché è movimento, dialettica, e
con un linguaggio parlato esprime un sentimento che chiede di essere rappresentato.
Così quasi tutte le sue opere teatrali nascono
da una precedente novella, ed il passaggio dalla narrativa all’arte drammatica è avvenuto in
buona parte per un fattore contingente: il teatro attirava più pubblico e rendeva di più ad
un uomo che scriveva anche per vivere. Le novelle di Pirandello non sono “arte minore”,
anzi in certi casi, specialmente nelle prime
prove teatrali, la novella da cui nasce la commedia è un lavoro più riuscito e più convincente della commedia stessa. Secondo me,
questo è il caso della novella Il nido del 1895,
esclusa poi dalle “Novelle per un anno”, dalla
quale Pirandello trasse La ragione degli altri,
sua prima commedia in tre atti. La novella ottocentesca si può leggere ancor oggi con interesse e partecipazione, non si presenta facile
impresa, invece, la rappresentazione della
commedia, tanto che Massimo Castri nel
Luigi Pirandello
maggio del 2001, per l’inaugurazione del nostro anno pirandelliano, ce ne ha offerto qui
al Teatro Gobetti, una edizione scarnificata
che si sosteneva più sul virtuosismo del regista e degli attori che sul testo dell’autore.
Un elemento fondamentale dell’arte pirandelliana è l’umorismo, che l’Autore stesso teorizzò nel saggio omonimo, L’umorismo, del
1908. A mio parere l’umorismo scatta
nell’opera pirandelliana come reazione, e difesa, alla perdita di fede nell’assoluto, ma quello
che mi preme notare è che l’umorismo in Pirandello non è sarcasmo (se mai ironia), cioè
non implica un atteggiamento impietoso,
bensì esprime una profonda e spesso indulgente simpatia umana. Il romanzo “coazzese”
Suo marito ne è un eloquente esempio.
All’inizio di questo lavoro abbiamo posto una
citazione dal Fu Mattia Pascal, che è una veduta assai familiare per chiunque conosca Torino, ed esempio di natura vista come stato
d’animo. Si tratta del “ponte della Gran Ma-
12. Renzo De Felice, Mussolini il duce, gli anni del consenso (1919-1936), Torino, ed. Einaudi 1974, pag.81
13. R. De Felice, op.cit., pag.109.
21
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probabile che Pirandello ivi l’avesse vista ; la
stessa limpidezza resa dai paesaggi della Val
Sangone del pittore Marco Calderini intorno
agli anni della villeggiatura coazzese di Luigi
Pirandello.
dre”, con quella “rapida” d’acque , subito dopo
il ponte, tuttora esistente. Pirandello mette in
rilievo con straordinaria intensità la limpidezza del cielo del Piemonte, così come aveva fatto per lo stesso luogo il Bellotto nella veduta
“L’antico ponte sul Po a Torino” che si trova
alla Pinacoteca Sabauda e non è affatto im-
Silvio Montiferrari
Tirolo. Facciata Sud
22
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La tenuta degli inventari d’archivio in Val
Susa nella seconda metà del secolo XVIII*
G
li inventari redatti dalle comunità valsusine nel corso della seconda metà del
XVIII secolo non solo testimoniano un ricco
patrimonio documentario, oggi soltanto in
parte conservato, ma tramandano anche notizie utili a ricostruire le motivazioni e le interazioni istituzionali e umane sottese a ogni
stadio della loro produzione, fruizione e trasmissione. È questo il caso dei due inventari
conservati presso l’Archivio Storico del Comune di Bardonecchia, compilati in lingua
francese a non molti anni di distanza l’uno
dall’altro1 ; legati insieme per comodità di consultazione, rischiarono di andare persi nel cor-
so dell’incendio che nel 1789 distrusse o danneggiò gran parte delle carte comunali2 .
Il primo inventario3 , redatto nel marzo 1763,
ma arricchito da alcune aggiunte a posteriori
inserite in un’unica sequenza, enumera 715
unità archivistiche. Un preambolo [c. 3r-4r],
stilato in prima persona plurale dall’estensore
dello scritto, registra accuratamente le operazioni che precedettero la sua compilazione.
Il 7 febbraio 1763 la comunità di Bardonecchia, nelle persone dei sindaci Benoît Ambroise Clovis e Claude Pellerin, rispettivamente
premier e second consul4, e dei consiglieri George
Ambrois, notaio reale e avvocato presso il Se-
*
Questa ricerca è apparsa nel 1998 come introduzione al volume L’archivio storico del comune di Bardonecchia:
guida alla documentazione, con il titolo Dei modi tenuti nel Settecento per formare “un inventaro ben ragionato e detagliato”. Testimonianze di attività archivistica negli “Inventaires des papiers et titres” della comunità di Bardonecchia. Desidero ringraziare il comitato di redazione di L&M, che mi ha offerto l’opportunità di riproporne il
testo, modificato in alcune parti, e di diffonderne la conoscenza presso un numero più ampio di studiosi e
appassionati.
1.
Archivio Storico del Comune di Bardonecchia (d’ora in avanti ASB), Comune di Bardonecchia, cart. 4,
fasc. 1. Contestualmente al riordino dell’archivio comunale, condotto a termine da Agar Capelli nel 1937, i
due inventari furono rilegati in mezza tela Africa e punte, su tre fettucce a catenella libera, a cura della ‘Tipografia-Registrificio A. Vinciguerra & figli’ di Torino. Numerose carte sono state successivamente sottoposte a restauro a scopo conservativo.
Nicomede B ianchi, Le carte degli Archivi piemontesi, Torino, Bocca, 1881, p. 205, afferma che “l’archivio aveva
pure un inventario del 1783, ma lo si crede distrutto con quella parte di carte che furon preda di un incendio nel 1789”. In realtà entrambi gli inventari settecenteschi nel malaugurato evento non patirono danni
troppo gravi.
È composto da 77, [6] c., di cui le ultime 4 sono bianche; sono andate perse le c. 1, 2 e 76, mentre la c. 64 è
assai danneggiata. Da c. 73r si apprende che le prime due carte contenevano la deliberazione del Consiglio
comunale e il decreto dell’intendente della provincia di Susa con cui si affidava l’incarico al notaio Rigat.
Nella Republique des Escartons le comunità più importanti erano rette da due consuls, che dirigevano e rappresentavano il Comune in tutte le circostanze; l’istituto municipale del consolato tramandava, in maniera voluta o inconscia, le consuetudini dell’omonima magistratura romana di epoca repubblicana: cfr. Maria Ada B enedetto, Ricerche sugli ordinamenti dei domini del Delfinato nell’alta Valle di Susa, Torino,
Giappichelli, 1953, p. 110. Alle 33 comunità del Delfinato cedute ai Savoia in seguito al Trattato di
Utrecht (11 aprile 1713) fu garantito il rispetto delle franchigie, libertà e tradizioni locali: una ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le comunità e il nuovo sovrano è offerta da Charles Maurice , Vie sociale, politique et religieuse du Briançonnais. Les écartons d’Oulx et du Pragelas au XVIIIème S cle, “Segusium”, XI-XII, n. 11-12
(settembre 1976), p. 13-26, e Luca Patria, L’Alta Valle della Dora Riparia dall’XI al XVIII secolo, in San Restituto
del “Gran Sauze” nel Delfinato di qua dai monti, a cura di Paolo Molteni, Torino, Omega, 1996, p. 29-103. In
particolare esse furono in parte esentate dall’osservanza dell’Editto di S.M. pel buon reggimento delle città e comunità del Piemonte, del 29 aprile 1733 (cfr. Felice Amato Duboin, Raccolta per ordine di materie delle leggi, editti,
manifesti, ecc. …, tomo IX, vol. XI, Torino, eredi Bianco e comp., 1833, p. 422-429), con cui a tutte le comunità del Piemonte si imponeva, tra l’altro, l’elezione di un solo sindaco (art. I); per le concessioni fatte da
Carlo Emanuele III il 28 giugno 1737 si veda ASB, Comune di Bardonecchia, cart. 3, fasc. 22-23, e Maurice ,
op. cit., p. 32-41.
2.
3.
4.
23
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qualità di assistente, a fianco di Agnès, fu nominato Clovis. Condotto nella sala della casa
municipale, alle ore 9, Rigat diede inizio alla
compilazione dell’inventario: “les archives”6
furono aperte “par trois différentes clefs”7, affidate rispettivamente a Clovis, Agnès e Vallory, e i documenti ivi conservati cominciarono a essere estratti, letti e inventariati secondo l’ordine (o il disordine) della loro collocazione.
Rigat, a testimonianza e certificazione della
correttezza dei suoi atti, registrò meticolosamente sulle pagine dell’inventario ogni giornata di lavoro8: giorno, mese e anno, ora
d’inizio e termine delle operazioni9, luogo
dell’incontro, persone presenti, giorno, ora e
luogo della seduta successiva. Al termine del
primo giorno, a causa dei rigori del freddo che
impedivano di lavorare nella sala municipale,
Rigat indicò l’abitazione di Clovis quale sede
delle successive riunioni, ordinando che anche
i documenti, riposti in una cassa, venissero
trasportati giorno per giorno in quel luogo [c.
7v]; le carte non inventariate al termine della
nato di Torino, Hippolyte Gerard, Jean Baptiste Faure, François Vallory e Jean Tournour,
deliberò di procedere all’inventariazione delle
scritture conservate presso l’archivio comunale. Il 22 dello stesso mese Giuseppe Bertola,
conte di Gambarana5, intendente della provincia di Susa, diede il permesso di scegliere il
notaio ritenuto “plus à propos” per eseguire
tale incarico. Il 27 seguente il Consiglio nominò il notaio reale Jean Baptiste Rigat, nativo di Traverses presso Pragelato e residente a
Fenils. Il giorno successivo tale nomina venne
ratificata dal vice intendente Mallen; fu stabilito inoltre che la retribuzione giornaliera ammontasse a due lire e che il lavoro fosse svolto
con l’assistenza contemporanea di uno dei
sindaci o dei consiglieri e del segretario comunale Mathieu Agnès (anch’egli notaio reale).
Giovedì 3 marzo 1763, alle ore 8 del mattino,
i sindaci, l’intero Consiglio, il segretario
Agnès e il notaio Rigat si riunirono in casa del
sindaco Clovis: tutti i documenti sopra menzionati furono presentati a Rigat, il quale accettò “avec honneur et respect” l’incarico: in
5.
6.
7.
8.
9.
Nipote di Antonio Bertola, nacque intorno al 1722. Insignito della carica di regio blasonatore nel 1738, fu
dapprima vice intendente di Torino; divenne intende della provincia di Susa il 7 maggio 1755, ma da tale
carica fu rimosso nel 1773 a causa della sua smodata passione per il gioco d’azzardo. Nel 1760 fu infeudato
con titolo comitale di Gambarana, fondo nei pressi di Rivalta, e nel 1781, alla morte del fratello Francesco
Antonio, di Exilles; morì nel 1810: cfr. Gaetano Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e paesi uniti, colla serie
cronologica delle persone che le hanno occupate ..., III, Torino, Onorato Derossi, 1798, p. 250-251; Antonio
Manno, Notizie sui Bertola, in “Miscellanea di storia italiana”, XVII (1878), p. 538; id ., Il patriziato subalpino,
I, Firenze, Civelli, 1895, p. 220-221 e 228, e II, Firenze, Civelli, 1906, p. 269-270.
Con il vocabolo “archivio”, in lingua francese sempre al plurale femminile, si indicò per lungo tempo esclusivamente il luogo di conservazione delle scritture: a Bardonecchia e a Rochemolles era un’“armoire” (posta, nel primo caso, alla sinistra dell’ingresso della sala comunale; in un locale della chiesa parrocchiale, nel
secondo), a Melezet era adoperata come “chambre des archives” la stanza ai piedi del campanile, dove le
carte erano conservate su mensole e in sacchi di tela. Alcune osservazioni sui luoghi di conservazione delle
scritture nel Delfinato in Benedetto , op. cit., p. 114.
Il problema dell’inviolabilità degli archivi era assai sentito: nel 1775, ad esempio, alcuni sconosciuti si erano introdotti “a loro piacimento” negli archivi comunali di Susa e di Giaglione per sottrarre, “senza coscienza di restituirle”, numerose carte: Archivio di Stato di Torino (d’ora in avanti AST), Sez. Riunite,
Intendenza di Susa, m. 123. L’Editto del 1733 prescriveva, a protezione dei documenti, l’uso di due chiavi;
l’obbligo fu rinnovato nel Regolamento emanato nel 1775 a riforma dell’amministrazione comunale (vd. infra). Ma per maggiore sicurezza, a Bardonecchia come a Rochemolles, l’armadio dell’archivio era protetto
da tre serrature.
Anche gli amministratori locali intervenuti ai lavori apposero le proprie firme alla conclusione di ogni giornata. Nei primi giorni di inventariazione furono presenti, dietro indicazione di Rigat, due testimoni: Hippolyte George Beraud e Marc Pascal il 3, François Vallory e Laurent Colard il 4, François Vallory e Hippolyte Yves il 5 e George Ambrois e François Vallory il 7 marzo.
La mattina dalle ore 8 alle ore 11 e il pomeriggio dalle ore 13 alle 17. L’orario, in realtà, non era sempre rigidamente osservato: in talune occasioni le sedute ebbero termine in anticipo o si protrassero oltre i limiti
temporali indicati. Il 24 marzo, ad esempio, la riunione fu conclusa alle ore 16: a causa dell’assenza di
Agnès, detentore di una delle chiavi, non si poterono trarre fuori dall’archivio altri documenti [c. 66r e v].
24
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giornata sarebbero state chiuse nello studio
del sindaco e le chiavi consegnate in custodia
ad Agnès. Dapprima furono inventariati i catasti, i libri di trasporto, gli atti di lite e alcuni
documenti attestanti crediti e debiti della comunità; in seguito, senza che venisse rispettato un ordine determinato, furono registrate
le scritture riguardanti le elezioni dei consoli,
le deliberazioni, le ordinanze degli intendenti,
le convenzioni, i conti consolari, i registri giudiziari, i mandati, i causati, gli editti e i libri a
stampa, le forniture militari e gli atti riguardanti i diritti e i privilegi della comunità. Per
ogni unità archivistica Rigat annotava una
breve descrizione del contenuto, a cui spesso
aggiungeva la datazione, il numero di carte o
di pezzi e la tipologia del contenitore (“liasse”,
“coffre”, “paquet”, “sac”); il numero d’inventario era ripetuto all’inizio e al termine di
ogni voce. Descrizione, numero d’inventario,
data della registrazione e firma del notaio venivano infine apposti su ogni unità. Nel caso
delle pergamene, infine, accanto alla datazione cronica e a un conciso regesto venivano segnalati il tipo di scrittura e la presenza di sigilli.
Le operazioni di inventariazione procedettero
con regolarità: le sedute furono sospese il 10
marzo, festa di San Rocco10; dal pomeriggio
del 17 al 22 marzo compreso, a causa di impegni, non meglio specificati, di Rigat; e il 25
marzo, ricorrenza dell’Annunciazione della
Vergine Maria. Nei giorni 24 e 26 marzo Clovis, impossibilitato ad assistere all’inventario,
venne sostituito dal consigliere Vallory; la
mattina del 28 si offrì quale assistente il sindaco Pellerin. La tranquillità dei lavori di compilazione fu turbata solamente il 15 marzo,
allorché Agnès rivendicò il possesso di alcune
carte conservate presso l’archivio municipale
[c. 51v]. L’episodio rivela che nel gennaio
1763 il notaio Garelli era stato incaricato
dall’Intendenza di Susa di compiere una “perquisition”: il testo dell’inventario non chiarisce se l’ispezione riguardasse esclusivamente
l’archivio del segretario della comunità di Bardonecchia o piuttosto tutti gli archivi privati
della provincia in cui si sospettava fossero
trattenute carte comunali11 . Sebbene Agnès
avesse in tale circostanza offerto la sua piena
collaborazione, indicando e consegnando al
commissario dell’Intendenza e ai sindaci le
carte inerenti al suo ruolo di amministratore
pubblico, nel corso dell’inventariazione si riservò il diritto di richiedere la restituzione di
carte personali ingiustamente sottrattegli.
L’incarico fu condotto a termine il 28 marzo
1763: tutti i documenti inventariati furono ricollocati in parte nell’armadio d’archivio, in
parte in due casse alla destra dell’armadio
stesso: le chiavi vennero riconsegnate a Clovis, Vallory e Agnès. Numerosi registri, minutari e repertori appartenuti a notai, insieme
con scritture ritenute di nessuna importanza,
furono collocati sul fondo dell’armadio.
L’inventario venne letto e approvato alla presenza dei sindaci, dei consiglieri, di Agnès e di
due testimoni, François Vallory12 e Pierre des
Ambrois; dopo che tutti i presenti ebbero apposto la loro firma sull’ultima carta,
l’inventario fu riposto insieme con le carte
che descriveva.
Il medesimo giorno fu emesso un mandato di
pagamento a favore di Rigat: Hippolyte Gerard e Jean Baptiste Faure, esattori per l’anno
1762 e amministratori dei fondi della comunità, ebbero l’ordine di versare al notaio di Fenils trentuno lire in ragione dei 15 giorni e
10. Istituita con voto solenne in data 29 giugno 1630, in occasione di una terribile pestilenza arrecata dal passaggio delle truppe del re di Francia Luigi XIII, questa celebrazione fu fissata al giovedì di metà quaresima,
in quanto esigenze legate al lavoro dei campi non ne permettevano lo svolgimento nella data liturgica del
16 agosto. In tale occasione fu anche decisa la costruzione di una cappella in onore del santo: cfr. Luigi
Francesco Peracca, L’Alta Valle di Susa e le vicende storiche dal 1180 al 1700 ..., Torino, M. Massaro, 1910, p.
60-62. Rigat accenna solamente alla celebrazione solenne di un voto.
11. Esemplare a tale proposito il caso di Antoine e Jean Bouvier, padre e figlio, segretari generali delle comunità della valle di Cesana: nel 1718 Jean Claude Syord, castellano di Oulx, fu incaricato di redigere, con il
concorso di alcuni soldati del forte di Exilles, l’inventario dei documenti di interesse municipale detenuti
illegalmente nella dimora dei due notai (AST, Corte, Paesi, Valli di Bardonecchia, m. 1 d’addizione, n. 2).
12. Figlio di François, omonimo del consigliere Vallory, figlio di Pierre.
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Bompard, consuls rispettivamente nel 1763,
1765 e 1766, e altre carte inerenti all’amministrazione di sindaci diversi.
Nell’ultima registrazione, datata 10 luglio
1769, furono infine inventariate alcune risme
di “papier imperial timbré”, acquistate in vista della compilazione di un terzo libro di trasporto della comunità.
Giova ricordare che sono parimenti conservati gli inventari settecenteschi di Melezet e Rochemolles15 : furono entrambi redatti da Mathieu Agnès in esecuzione dell’ordine dell’intendente Bertola del 6 settembre 1763. Ai due
inventari, per motivi di economia di tempo e
di denaro, furono allegati elenchi più antichi:
quello di Melezet fu rilegato con un inventario del 1730, quello di Rochemolles con un inventario iniziato nel 1724 e proseguito sino al
1760.
Il secondo inventario16, redatto dal segretario
comunale, non fornisce alcuna informazione
diretta sulle modalità della sua compilazione;
è tuttavia possibile ricostruirne con sufficiente chiarezza le premesse della redazione.
Il Regolamento per le amministrazioni de’ pubblici
nelle città, borghi, e luoghi de’ Regi Stati in terra
ferma di qua da’ monti, approvato con R. Patenti del 6 giugno 177517 , dettava al titolo
quinto, capo quarto, le norme da osservarsi
nella tenuta degli archivi comunali; in particolare il paragrafo terzo prescriveva che “per
vie maggiormente assicurare la conservazione
di dette scritture, ogni città, e comunità ne
farà formare, ove già non l’avesse, un inventaro ben detagliato; che trasmetterà per copia al
Segretaro civile del senato fra un anno dalla
pubblicazione del presente, per esservi riposto
negli archivj senatorj, ritirandone la ricevuta”.
L’inventario dell’archivio del Senato di Piemonte registra 23 mazzi, contenenti copie de-
mezzo impiegati nella compilazione dell’inventario. Rigat ottenne immediatamente il
saldo delle sue prestazioni: nella quietanza rilasciata in calce al mandato si riservò comunque la possibilità di agire nei confronti del Comune qualora fossero sorti dissidi sul trattamento economico ricevuto13 .
Il lavoro svolto da Clovis e Agnès in qualità di
assistenti non incontrò, invece, un riconoscimento omogeneo: mentre il pagamento dei
servizi resi dal sindaco fu caricato sul conto
esattoriale dell’anno 1762, il debito contratto
dalla comunità di Bardonecchia nei confronti
di Agnès tardò a essere onorato. Agnès dovette allora ricorrere all’intendente Bertola: in
una supplica circostanziata domandò che venisse ordinato al Consiglio di risarcire al notaio le giornate di vacazione “sur le pied qu’il
vous [sc. Bertola] plairra les taxer”. Il 18 maggio 1764 l’intendente ingiunse all’esattore comunale di pagare ad Agnès la somma di trentuno lire: cosa che avvenne il 24 aprile 176514.
L’inventario redatto da Rigat fu presto arricchito dalla registrazione di nuove carte: in seguito a una verifica compiuta in loco
dall’intendente, il 3 agosto 1763 venne inventariato nuovo materiale documentario, il cui
recupero e riconsegna all’archivio comunale
erano stati affidati a Clovis; altri documenti
furono restituiti dall’avvocato Ambrois il 14
febbraio dell’anno seguente. Due successive
addizioni, di natura imprecisabile a causa della perdita di c. 76, furono compiute alla presenza dei sindaci Jean Tournour e J.L. Beraud
e sottoscritte dal vice intendente Mallen il 2
febbraio e il 17 maggio 1765. Il 4 e 7 ottobre
1768 Mathieu Agnès, assistito dai sindaci
Jean Baptiste Barneoud e Hippolyte Garcin,
ricevette documenti conservati da Benoît
Ambroise Clovis, Laurent Vallory e André
13. ASB, Comune di Bardonecchia, cart. 21, fasc. 10.
14. ASB, Comune di Bardonecchia, cart. 22, fasc. 2.
15. Cfr. ASB, Ex Comune di Melezet, cart. 1, fasc. 33, e ASB, Ex Comune di Rochemolles, cart. 2, fasc. 6. Risultano sconosciuti a Bianchi, op. cit., p. 210 e 212.
16. È composto da [29] c., di cui l’ultima è bianca. Il documento più recente menzionato è del 1777.
17. Cfr. Duboin, op. cit., tomo IX, vol. XI, p. 598-655. Anche all’indomani della pubblicazione di questo regolamento le comunità un tempo appartenute al Delfinato chiesero con una petizione che fossero dispensate dall’osservanza delle nuove norme, che i loro privilegi fossero confermati e che le ordinanze dell’intendente della provincia fossero scritte in lingua francese (AST, Corte, Paesi, Valli di Bardonecchia, m. 1
d’addizione, n. 5).
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Torre Pietra.
Vista da Nord-Est.
Pont Canavese.
Il luogo dell’antico ricetto.
27
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gli inventari versati da 348 comunità in ottemperanza alle disposizioni dell’Editto del
1733 e del Regolamento del 177518; una ricognizione compiuta nel 1988 sul materiale del
fondo ha rilevato la perdita, in data imprecisabile, di questa vasta produzione documentaria. In realtà non si tratta affatto di una perdita: in AST, Corte, Paesi in genere, Piemonte, Inventari di archivi comunali, m. 1-24,
sono depositati gli inventari di 569 comunità,
anteriori alla metà del XIX secolo, tra cui
quelli di Bussoleno, Chiusa San Michele, Giaglione, Mattie, Meana, Mompantero, Rivera
d’Almese, Sant’Ambrogio, Sant’Antonino,
Thures, Valgioie e Villar Focchiardo19 . Un
sommario esame del fondo ha rilevato come
gli inventari settecenteschi qui conservati siano proprio quelli inviati dalle comunità al segretario civile del Senato di Piemonte; è probabile che questo materiale sia stato estrapolato dall’archivio del Senato e versato
all’Archivio di Corte prima della creazione
delle Sezioni riunite. L’archivio dell’Intendenza della provincia di Susa conserva tuttora
memoria della frenetica attività di inventariazione seguita a tale disposizione20 : copie degli
inventari delle comunità di Chiomonte (redatto nel 1776), Villarbasse (1776-1777 e, nuovamente corretto, 1786), Oulx (1777), Beaulard, Cesana, Chianocco, Mollières e Savoulx
(1778), Bousson (1779), Almese, Champlas
du Col, Fenils e Rollières (1780), Désertes
(1781), Avigliana e San Didero (1786), Salbertrand (1788), Susa (1790) e Buttigliera (1791)
confluirono nell’ufficio dell’Intendenza21.
Sebbene l’obbligo di tale consegna non fosse
contemplato nei testi legislativi menzionati,
l’importanza fondamentale di questo organo
periferico all’interno dell’amministrazione
statale imponeva un controllo diretto, a livello locale, sugli archivi delle comunità soggette22 . Il primo ordine in tal senso si rinviene
nella copia dell’inventario di Rubiana23 (compilato, si badi bene, nel 1773): in occasione
dell’acquisto di un nuovo edificio comunale,
fu richiesta l’autorizzazione al trasferimento
dell’archivio in un nuovo locale e alla successiva inventariazione delle scritture; il vice intendente Arrigo dettò le precauzioni da adottarsi nel trasloco delle carte (che dovevano essere riposte in sacchi ben chiusi, sotto
l’attenta e continua sorveglianza del sindaco)
e invitò il segretario comunale a procurarsi
dal segretario archivista della Camera o del
Senato una “formola” secondo la quale redigere l’inventario.
Le istruzioni dettate dall’archivista della segreteria civile del Senato ricevettero il visto
dell’Arrigo, il quale, nel concedere l’autorizzazione alle operazioni di trasferimento e di inventariazione, aggiunse l’obbligo di depositare una copia anche presso l’archivio
dell’Intendenza. Questa “formola” (definita
“modèle” o “formule” negli inventari redatti
in lingua francese) venne poi adottata nella
compilazione degli inventari successivi: essa
prevedeva la suddivisione dei ripiani della
guardaroba predisposta alla custodia dei documenti in caselle, rispecchianti le diverse categorie degli affari trattati dalle amministrazioni comunali 24.
18.
19.
20.
21.
AST, Sez. Riunite, Senato di Piemonte, serie II, cat. XIV, m. 42-64.
Cfr. Guido Gentile, Antichi inventari di archivi comunali piemontesi, Alessandria, Ferrari-Occella & C., 1961.
AST, Sez. Riunite, Intendenza di Susa, m. 27-28.
Nessuno dei Comuni della conca di Bardonecchia risulta aver mai ottemperato al duplice versamento di
copia dei suoi inventari, né presso gli archivi del Senato, né presso quelli dell’Intendenza.
22. Notizie sui poteri e i compiti degli intendenti in Guido Quazza , Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, I, Modena, Società Tipografica Editrice Modenese, 1957, p. 65-72.
23. AST, Sez. Riunite, Intendenza di Susa, m. 27.
24. Negli inventari di Avigliana, Buttigliera e Valgioie si afferma che le carte furono raccolte in “caselle di cartone, fatte a forma di libro”, ordinatamente disposte nella guardaroba. È da notare come, da un controllo a
campione, non risulti mai, negli inventari prodotti da comunità non appartenenti alla provincia di Susa in
conformità al Regolamento del 1775, un riferimento alla “formola”: i criteri di redazione di alcuni inventari
(Revigliasco, del 1777; Mondovì, del 1778; Portacomaro, del 1779; Piobesi, del 1782; Vezza, del 1792; Priocca, del 1797, ad esempio), pur presentando una suddivisione del materiale archivistico in caselle, sono comunque difficilmente assimilabili alla pratica in uso nella Valle di Susa.
28
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L’ordine di redigere un nuovo inventario fu rivolto alla comunità di Bardonecchia
dall’intendente Alessandro Rossi25 in calce al
causato dell’anno 1776 (oggi non più conservato)26 ; identico obbligo venne imposto alle
comunità di Melezet e Rochemolles, dai cui
causati si apprende il tenore dell’ordinanza:
“Fra mesi otto prossimi prescriviamo sia compito l’inventario delle scritture già comandato
dal Regolamento e perché venghi formato secondo la formola portata dalla Segretaria di
Senato, permettiamo si dividano in altrettante caselle di bosco bianco li piani della guardarobba, incaricando il signor segretario di procedervi in assistenza d’un amministratore legitimamente deputato sotto discreta mercede
giornaliera con nostra approvazione, e quindi
di trasmetterne un doppio alla detta Segreteria di Senato, ritirandone ricevuta, altro a
quest’ufficio, ed altro da custodirsi in archivio, a pena di disobbedienza” 27.
Le operazioni di inventariazione dovevano essere precedute in ogni caso da un’ordinanza,
con cui si faceva obbligo di restituzione a tutti i cittadini in possesso di carte appartenenti
al Comune28 .
Il materiale documentario appartenente alla
comunità di Bardonecchia fu dunque inventariato una seconda volta intorno al 1783.
Esso ammontava a un totale di 367 unità archivistiche, distribuite in 13 caselle 29;
all’interno di ogni casella (esclusa la dodicesi-
ma, rimasta vuota per mancanza di documenti riguardanti la materia) la numerazione
riprendeva da capo, senza che il numero assegnato fosse riportato sui singoli pezzi.
L’esame dei due inventari settecenteschi,
compilati sulla base della medesima documentazione, attesta aspetti differenti di una
attività archivistica in lenta, ma continua
evoluzione. A un inventario strutturato secondo le forme di un’elencazione patrimoniale, le cui fasi di elaborazione sono rigidamente
scandite e registrate nei modi delle scritture
notarili, si viene sostituendo un nuovo tipo di
elenco, il cui modello di redazione non solo è
dettato dall’autorità centrale, ma è anche posto sotto il suo diretto controllo. La “formola”
del segretario archivista del Senato e il Regolamento del 1775 segnano infatti l’introduzione
nell’ambito dell’amministrazione comunale
sabauda di una regolamentazione puntuale
per la tenuta, l’inventariazione e la custodia
degli archivi30. Se da un lato i campi in cui si
esplicano le attività dell’ente influenzano il
carattere “fisico” della conservazione dei documenti prodotti o acquisiti, dall’altro le caselle in cui devono essere divisi i ripiani della
guardaroba organizzano in maniera immediatamente visibile tale materiale. I cambiamenti in corso nella seconda metà del Settecento
non sono d’altronde disgiunti dal rinnovamento della speculazione archivistica, che, a
25. Fu nominato intendente il 27 febbraio 1776. Nel giugno del 1800 divenne primo ufficiale dell’Azienda generale delle gabelle.
26. La serie dei causati presenta una lacuna negli anni 1771-1776; tale prescrizione venne reiterata nell’ordinanza contenuta in calce ai causati del 1777, con proroga di sei mesi del termine di consegna delle copie, e
del 1779 (ASB, Comune di Bardonecchia, cart. 16, fasc. 2).
27. ASB, Ex Comune di Rochemolles, cart. 9, fasc. 1; in ASB, Ex Comune di Melezet, cart. 9, fasc. 2, viene
inoltre ribadita la raccomandazione di chiudere la guardaroba con due chiavi, affidata l’una al sindaco, l’altra al segretario comunale.
28. L’Editto del 1733 prescriveva la riconsegna di carte comunali entro tre mesi dalla pubblicazione del medesimo, pena una multa di cento scudi o, nei casi più gravi, la galera.
29. Queste le tredici caselle utilizzate: I) catasti e testi a stampa riguardanti l’amministrazione comunale; II)
deliberazioni; III) conti d’esazione; IV) quinternetti esattoriali; V) quietanze; VI) consegnamenti; VII) ordini e forniture militari; VIII) processi civili e criminali; IX) atti diversi riguardanti diritti, franchigie e privilegi della comunità; X) causati; XI) editti e manifesti; XII) affittamenti e capitolati; XIII) ordinanze
sommarie e sentenze. Non sempre, negli inventari conservati nell’archivio dell’Intendenza di Susa, le caselle trattate sono le stesse o disposte secondo il medesimo ordine.
30. I paragrafi 6-8 del titolo quinto, capo quarto, ad esempio, delineano la figura dell’archivista di professione,
persona “di conosciuta probità, capace, e intendente di scritture, e caratteri, risponsale, e non avente interesse, o lite col pubblico”.
29
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partire dall’area germanica, sviluppa una nuova dottrina: le carte di un archivio cessano ora
di essere considerate nella loro esclusiva individualità e acquistano, seppure gradatamente, i caratteri propri di un complesso organico
di documenti, fonte primaria e privilegiata
della storia dell’organismo produttore.
Davide Monge
Casaforte di Pianey. Facciata Nord (in alto) e facciata Est.
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Le case-forti delle Valli Orco e Soana
pensi che i ricetti canavesani, di cui si hanno
trecce architettoniche e/o documentali, sono
almeno 42.
Per la stesura di questo breve studio mi sono
avvalso in particolare delle rilevazioni topografiche e tecniche e delle note curate dalla
professoressa Micaela Viglino Davico nelle
sue importanti trattazioni, citate in bibliografia, una sui Ricetti in Piemonte (ediz. della
Regione Piemonte) e una sulle Case-forti delle
Valli Orco e Soana (ediz. Lions Club Alto Canavese). A tali pubblicazioni si rimanda quanti sono interessati ad un approfondimento
della materia.
Le case-forti sono piccoli, caratteristici castelli, che non avevano una funzione bellica, non
ospitavano truppe stabili, ma costituivano
comunque una struttura difensiva, di tipo
passivo: difesa contro le guerriglie interne e
contro la razzie che turbarono la vita dei nostri antenati, specialmente agli inizi del secondo millennio, ma in non pochi casi anche
nei secoli successivi.
Eretti in luoghi isolati e oggi dimenticati, alcuni di questi piccoli “castelli” hanno resistito all’abbandono, all’incuria, al tempo, alle alluvioni, e sono una documentazione importante della nostra civiltà alpina: sono quanto
rimane di una loro realtà ben più numerosa,
della quale si può talora individuare qua e là
qualche incerta traccia che ce ne fa ipotizzare
la antica presenza.
Solo per Pertia è rimasta traccia né in atti di
infeudazione, di vendita, di liti giudiziarie, di
imposizioni fiscali né in documenti di tipo
militare, non avendo le nostre aree importanza strategica in quanto queste aree confinavano con valli da secoli sotto il comune dominio
sabaudo.
Le case-forti non avevano un rilievo estetico e
architettonico, che nel passato inducesse
qualcuno a interessarsi alla loro conservazione: oggi si riconosce che lo studio attento di
quanto rimane di questa architettura minore
è importante per la conoscenza della realtà
umana e sociale della nostra civiltà. Dovrebbero costituire, per le comunità interessate,
un patrimonio storico importante, e potrebbero in qualche caso avere anche un certo rilievo turistico
E’ certo possibile, e augurabile, che sulla strada e sull’esempio della ricerca puntigliosa effettuata dalla Viglino e collaboratori si riesca
ad individuare qua e là ruderi di case-forti, o
almeno di edifici analoghi : vi sono alcune lo-
La parte iconografica proviene dall’archivio del
sig. Walter Cavoretto che si ringrazia vivamente
per la disponibilità e per la collaborazione.
Le case-forti alpine, che sono sparse qua e là e
che sono ben presenti nelle valli Orco e Soana, hanno alcuni elementi funzionali comuni
con i Ricetti della sottostante pianura: sostanzialmente diverse sono invece le strutture
architettoniche e le collocazioni urbanistiche.
Le case-forti sono molto spesso elementi isolati, non inseriti nel pur piccolo contesto urbano delle borgate presso cui sorgono; a differenza dei ricetti di norma sono un elemento
fortificato a sé, senza mura difensive e a maggior ragione senza fossato.
Sotto l’aspetto funzionale invece la corrispondenza è tale che esso viene evidenziato
anche in un documento antico riguardante
una delle case-forti più note e più importanti,
quella di Pertia: di essa l’Azario dice che “ gens
illius vallis, quae vult salva in eo castro deponit”, e il Bertotti, pag. 264, ritiene che questa
stessa “ casa torre sia stata costruita ...dagli
uomini di Ribordone, come ‘ricetto’ popolano
per mettere al sicuro i loro beni nelle guerre
tra feudatari”.
Per questa analogia funzionale, le case-forti
vanno senza alcun dubbio viste come veri e
propri “ricetti alpini”; ne sono state individuate, in Valle Orco-Soana non più di otto: si
31
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calità in cui appare inspiegabile o per lo meno
strana la assenza di un edificio comunitario
configurabile come casa-forte. Talvolta mi è
sembrato giusto indicare degli edifici ancora
presenti negli interni degli abitati, talora solo
delle rovine o dei tratti di muro, aventi caratteristiche tali da essere degne di uno studio
specifico.
Nello studio della Viglino, una carta schematica (pag. 19) indica sia la localizzazione delle
7 case-forti analizzate sia quella di cinque località in cui si trovano altri manufatti con caratteristiche architettoniche simili. In altri
termini, mi pare che giustamente la nota studiosa abbia posto ogni prudenza scientifica e
storica nell’informare il lettore, e ciò per evidenti e direi logiche e corrette ragioni di serietà professionale cui essa si è sempre attenuta.
Io mi sbilancio di più, con alcune indicazioni
che forse qualcuno riterrà eccessive ma altri
prenderà come suggerimento per individuare
altre tracce di questo ancora oscuro, lungo
momento della nostra storia civile: confortato in ciò da quanto scrive a questo proposito
la Viglino, a pag, 23: “ Va ribadito che le strutture tuttora leggibili non sono che i residui di
una presenza di questi tipi edilizi certamente
ben più numerosa”.
Se localmente, paese per paese, borgata per
borgata, qualche ricercatore volontario partendo anche dai sempre più rari e preziosi ricordi di leggende, di tradizioni, di toponimi
riuscisse a individuare ed a segnalare qualche
altro sito di questo tipo, farebbe senza dubbio
opera meritoria.
nostra visione attuale, ma che evidentemente
era “logica” nei tempi della sua costruzione.
Le case-forti possono essere di tipo a torre (
qui rappresentate da due esempi: nella località Meggi di Cuorgnè la cosiddetta Torre Pietra e quella di Servino), oppure con edifici a
due-tre piani ( che ha cinque esempi, tutti
nella Valle Orco: Onsino, Pianey, Pertia, Tirolo, Casetti ).
Per dare un sia pur approssimativo ordine geografico alla trattazione delle case-forti delle Valli Orco
e Soana, le divideremo in tre gruppi: uno comprende i contrafforti della valle tra Pont e Cuorgnè; il
secondo la Valle Soana; il terzo la Valle Orco.
A) TRA CUORGNÉ E PONT
Gli studiosi non hanno mai avanzato l’ipotesi che
almeno una delle costruzioni fortificate esistenti in
Cuorgnè sia stata in origine un ricetto o una
casa-forte, anche se in genere non si hanno notizie
certe e documentate della loro origine: queste costruzioni, anche con torri, erano un tempo ben più numerose. Ora evidenti rimangono solo la Torre Rotonda ( o di Carlevato), la Torre Quadrata (o Comunale), ma certamente era turrita la cosiddetta
Casa del Diavolo ( Castello Ardiciono), che è in
via C. Battisti angolo via Marconi; su quest’ultima via è anche la “Casa Signorelli”, con una
struttura muraria particolare, non molto dissimile
da quella di alcune case-forti alpine.
a) Sotto questo aspetto specifico non mi risulta che sia mai stata studiata a fondo la fascia destra di quest’area, da una parte verso la
vallata del Gallenca ( qui una segnalazione
che potrebbe far pensare a un edificio medievale riguarda Canischio, per la presenza, sul
piazzale della Chiesa presso i locali del Ristorante Argentin di un tratto di muro a spina di
pesce), dall’altra verso Alpette: degna di attenzione potrebbe qui essere l’area, intorno a
quota 850, del Turale (Cuorgnè) e della
“Fara”, quest’ultima tra Formiero ed Alpette,
citata già nel 1448, che presenta, ormai pressoché inaccessibili tra la boscaglia, dei residui
Ogni casa-forte ha sue caratteristiche edilizie
particolari, e alcune di loro godono di peculiarità tali da renderle più significative: se Pertia
è l’unica di cui è rimasta una documentazione
“storica” scritta del periodo medioevale, seppure enfatizzata quasi a leggenda, Torre Pietra si segnala per la sua indubbia eleganza,
Servino come quella più elevata e ci fa pensare a raccolta e salvaguardia di produzioni locali oggi neppur più immaginabili, quella di Pianey è in una posizione inspiegabile secondo la
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Casa-forte di Onsino.
Facciata occidentale (in basso) e portale al pianterreno con architrave e croce.
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garantiti da scale esterne mobili che raggiungevano i portali aperti sulla facciata est, sopra
quella di accesso dal piano terra. Le dimensioni di tali portali vanno riducendosi leggermente dal basso verso l’alto: al piano terra
sono di m 0,80 x 1,75; al secondo di m 0, 70 x
1,65; al terzo di m 0,60 x 1,60. L’accesso
all’ultimo piano, ove è solo una finestrella, era
quasi certamente garantito da un vano praticato nel suo pavimento. Nelle murature in
pietra, con spessore alla base di circa 70 cm,
vennero ricavate, al momento della costruzione, delle nicchie interne. Le altezze dei quattro piani sono pressoché eguali, intorno a 2,35
m . Sulle quattro facciate sono complessivamente cinque finestrelle, aventi la luce di circa cm 35 x 55.
Notevoli le incorniciature con lastre in pietra
sia delle porte sia delle finestre. Naturalmente
soprattutto robuste sono le prime, che hanno
stipiti particolarmente solidi: quelli della porta del piano terra sono due monoblocchi,
mentre nei due piani superiori si hanno stipiti
formati ciascuno da quattro parti: due blocchi
verticali e due lastre orizzontali che servono
sia per ripartire i carichi sia per eguagliare le
altezze.
Il complesso di portali e finestre è caratterizzato dalla forma variabile degli architravi. Il
portale inferiore è formato da conci quasi regolari, alti 25 cm ; quelli del secondo e terzo
piano sono due monoblocchi, uno triangolare, l’altro tondeggiante il terzo. Gli architravi
delle finestre hanno forme variabili tra quella
triangolare e quella tondeggiante, o anche
doppia arcatura.
di antiche costruzioni che nel nome paiono in
qualche modo riferibili alla toponomastica
longobarda, ed hanno un posto particolare
nella leggenda popolare locale
b) La fascia orografica sinistra ha invece attratto l’interesse degli studiosi in quanto sono
evidenti alcuni edifici di costruzione antica e
accurata ed in essa sono state individuate due
strutture molto interessanti: e vi sono inoltre
aree come Frassinetto capoluogo o nuclei
come la sua borgata Chiapinetto, o anche più
a valle e già in territorio pontese, alcune case
di Faiallo e la borgata Raie con alcune strutture edilizie medievali analoghe, in qualche
loro particolare costruttivo, alle case-forti.
Il più importante edificio definibile con certezza come “casa-forte” in quest’area è quello
noto come Torre Pietra.
Sorge sulla sinistra orografica dell’Orco, a
quota 620, a valle della Cappella di Bellice
(quota 970) in territorio dell’antico comune
di Salto, dal 1928 inglobato amministrativamente nel comune di Cuorgnè.
La località si raggiunge lasciando la provinciale Castellamonte-Pont e imboccando, sulla
destra appena superato la rotonda posta al
trivio per Cuorgnè, la provinciale della Valle
Sacra. Superato l’abitato di Priacco, si segue,
sulla sinistra, la carrozzabile per Chiesanuova
da cui, poche centinaia di metri più avanti, si
imbocca la deviazione per Nava-Frassinetto.
Circa 500 metri più avanti, dopo un paio di
curve strette si apre sulla destra una carrozzabile che conduce alla piccola borgata di Meggi. Ben presto compare, evidentissima, a pochi metri dalla strada, questa bella casa-forte,
originariamente una torre isolata, ora inglobata tra fabbricati rurali sette-ottocenteschi.
E’ nel complesso un edificio ben conservato
che può essere considerato, sotto l’aspetto
estetico, la più bella casa-forte tra quelle qui
esaminate.
Appare come una torre di quattro piani, alta
quasi dodici metri, a base pressoché rettangolare, in realtà tendente al trapezoidale (metri
3,60 x metri 2,40-2,50).
Gli accessi al secondo e al terzo piano erano
Sotto questo stesso titolo, la professoressa Viglino, pag. 111, indica nella zona a monte di
Torre Pietra altre costruzioni che pur avendo
caratteristiche attribuibili al periodo bassomedievale e talora anche più antiche delle
case-forti, non presentano altri elementi per
definirle tali. Vengono segnalati due edifici in
località Nava:
– una piccola casa isolata che ha murature
formate da grandi blocchi lavorati ad incrocio, tipici delle vere case-forti; ma nel com-
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co di portali e finestre che richiamano le
strutture commacine: è stato oggetto di studio da parte di Augusto Cavallari Murat che
la ritiene, anche per la sua posizione un’area
fortificata di antica datazione, e la collega con
altre borgate verso Pont, ove si richiudono a
valle su Raje, quota 560 , che si trova una sessantina di metri sopra il torrente Soana,
anch’essa molto chiusa nel suo nucleo centrale, cui si accennerà più avanti.
Penso che sarebbe molto interessante seguire
il suggerimento dello stesso Cavallari Murat e
ampliare l’argomento da lui stesso proposto
alle pagine 110-111 alle quali rinviamo chi è
interessato all’argomento; qui ci limitiamo a
dire che Cavallari Murat propone anche
l’ipotesi che Frassinetto abbia costituito il
nucleo di un sistema di difesa militare delle
Valli, e sostanzialmente, dopo avere detto
che le condizioni climatologiche avverse potrebbe giustificare quel modo speciale di richiudersi al coperto delle case di Frassinetto,
si domanda anche: “Perché solo a Frassinetto
e non altrove?”.
A questa domanda ne aggiungerei una mia seconda: “perché, oltre che ai mille e più metri
di altitudine di Frassinetto quasi in linea retta verso il Soana, abbiamo una situazione
analoga ai 560 metri di Raje di Pont ?." 1
plesso questo edificio ha subito tali interventi
e rifacimenti per cui la sua lettura risulta molto dubbia, anche se tanto il portale a pianterreno quanto quello sovrastante e le altre aperture hanno le caratteristiche strutture in pietra, o ne fanno supporre la presenza
originaria; un massiccio architrave litico, di
forma quasi triangolare, reca incisa la data
1577;
– anche il complesso poco a ovest della chiesa
ha subito pesanti interventi ; rimangono evidenti un tratto di muro su roccia, formato da
grandi blocchi, con portale dai tipici stipiti in
lastroni verticali sovrastati da architrave monoblocco arrotondato.
Proseguendo verso Frassinetto, sono segnalati
due piccoli edifici, degni di nota con strutture tipiche delle case-forti : uno poco a valle
della borgata Pianseretto, quota circa m 520,
l’altro in località Faiallo (quota circa 700 m).
Il secondo è una costruzione a un solo piano
con base di m 6,45 x 5,60 e altezza al colmo di
3,75, poggiante su un seminterrato che sfrutta la pendenza del terreno. Grandi blocchi di
pietra, anche superiori al metro, ne costituiscono i muri, ha due portali d’accesso incorniciati da lastre gigantesche sovrastate da grossi
architravi di pietra rozzamente lavorati a formare approssimativi triangoli. Questi due
edifici testimoniano le capacità costruttive tipiche del periodo detto “ticinese” o “commacino”. La Viglino indica per i portali l’uso di
lastre larghe mediamente oltre un metro con
altezza di 60 cm.
Frassinetto è già appartenente alla Valle Soana,
soprattutto per analogie di tradizioni e di lingua. Geograficamente però la parte del suo
territorio comunale che s’affaccia sulla pianura è qui inclusa in questa fascia; essa comprende alcuni edifici di notevole interesse, oltre a quelli appena citati e riportati nel testo
della Viglino. Tra questi in particolare le case
di alcune borgate frassinettesi e soprattutto
quelle del nucleo di Chiapinetto (quota
1113), un gruppo di antichi edifici addossati
strettamente tra loro, costruito in pietra e ric1.
B ) LA VALLE SOANA
Salendo oltre Frassinetto, una bella carrozzabile raggiunge la località Berchiotto; di qui la
strada prosegue, non più asfaltata ma ancora
carrozzabile seppure con funzioni non turistiche bensì solo agro-pastorali, seguendo il percorso di un’antica mulattiera, per raggiungere
la frazione Fraschietto, oltre la quale la strada
appare piuttosto come una pista che si dirige
verso le sorgenti del rio Verdassa. Sulla sinistra di questo torrentello è la frazione Fraschietto e a monte di essa, ma poco discosto,
si erge un edificio localmente indicato come
la Ca’ del Cont.
M.Cima et al. Nel citato studio offrono anche interessanti notazioni sulle produzioni agricole, sulla sistemazione dei terreni, sulla popolazione del nucleo, sul patrimonio zootecnico, sulle trasformazioni architettoniche del piccolo complesso rurale, ecc. Viene riportato anche un rilievo cartografico con le fotografie
dei sette edifici più antichi ancora leggibili e risalenti al pieno medioevo.
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l’accesso al secondo piano solo attraverso scale portatili. la struttura dei due portali sostanzialmente identici a quelli che caratterizzano
le altre case-forti. Indubbiamente esistono poi
differenze costruttive che pongono dubbi sulla sua datazione, come ha ben evidenziato la
studiosa torinese: e ciò soprattutto per evidenti ristrutturazioni successive.
Ca’ del Cont, a differenza della vicina borgata
di Fraschietto che è fiancheggiata da aree prative fresche e parzialmente irrigue, è nella parte alta, presso il bosco, in una località che specificamente è dai locali indicata come “Carabin” , legata a un racconto-leggenda che
spiega anche il nome dato all’edificio2 . La sua
planimetria costituisce un rettangolo, di m.
4,50 x 5,20; è formata da un seminterrato e da
due piani che si sviluppano con vani unici sovrapposti a formare quindi complessivamente
tre sole stanze. I fianchi dei due portali di accesso ai vani fuori terra sono costituiti ciascuno da due grossi monoliti verticali, con sovrastanti lastre orizzontali, gli architravi sono di
forma parallelepipeda quasi perfetta quello
inferiore, leggermente ovale quello superiore.
L’aspetto esteriore è dunque quello di una piccola, tipica casa-forte, e su ciò è pienamente
concorde anche la professoressa Viglino che
sostiene, con osservazioni su cui non è possibile alcuna confutazione, che si tratta in realtà di una costruzione non medievale, ma successiva, databile tra sei e settecento. Ipotizza
quindi che ci si trovi di fronte a una edificazione fatta con materiale ricavato da una più
antica costruzione, forse crollata ( in parte o
totalmente) o forse abbattuta. La datazione
successiva viene avvalorata dalla qualità della
muratura, dal tipo delle volte e dalla copertura che con i travi sopravanza il filo dei muri.
Non pare improbabile che questa costruzione
abbia sostituito una casa-forte preesistente,
Dal nome popolare di Ca’ del Cont, parrebbe
individuabile anche per questo edificio una
origine signorile. Nel libro della Viglino non è
propriamente indicata come una vera
“casa-forte”, ma solo presentata sotto la voce
“Altri manufatti”, rinviando per il rilievo dell’
edificio al libro di Cima - Corino - Facta – Midali. In realtà mentre altri autori e studiosi
pensano trattarsi di una vera casa-forte, anche se un po’ tardiva, la Viglino ritiene che
questa costruzione non mantenga “nelle condizioni odierne quei caratteri costruttivi tipici
che permettano di individuarla inequivocabilmente come tale ” (pag. 111).
Se non sono totalmente d’accordo con la illustre ricercatrice, non è per atto di superbia,
ma per la convinzione (qui dalla Viglino chiaramente espressa con quel limitativo nelle
condizioni odierne, ma già dalla stessa riportata
a pag. 23) che le case-forti delle quali ci è giunta una struttura ancora sicuramente leggibile
è una piccola parte di quelle esistenti nel Medio Evo.
E’ quindi non solo presumibile ma pressoché
certo, che la bellissima casa-forte di Servino,
di cui si dirà , non fosse l’unica della Valle Soana e che quindi altre esistessero in borgate e
nuclei, forse anche presso i capoluoghi, ma in
particolare in aree isolate come quella di Fraschietto. Senza dubbio questa Ca’ del Cont è
la reliquia architettonica che, assieme appunto quella del Servino, ha conservato alcune
tracce che possono contribuire ad indicarla,
seppure con qualche dubbio, come una
casa-forte alpina, rimaneggiata o anche ricostruita, come testimonia lo studio della Viglino.
Contribuiscono a sostenere questa ipotesi
l’isolamento del luogo, l’altitudine (1050),
2.
Per quei nomi, località Carabini e Cà del Cont, trascriviamo dal libro del Corsac sulla Toponomastica
delle Valli Orco e Soana questo appunto: “ Carabini, localm. Carabin - gruppo di abitazioni ormai in rovina subito dopo Fraschietto, nel Vallone della Verdassa. Tra le altre spiccano i resti di una robusta casa-forte
con begli architravi in pietra monolitica. La leggenda locale dice che qui si sarebbe rifugiato un conte Carabin,
nobile proveniente dalle parti di Milano e qui rifugiatosi con tutti i beni e la servitù per sfuggire a un’accusa rivoltagli dal tribunale dell’Inquisizione, in un’epoca non ben precisata. Pare che sul posto si siano rinvenute antiche tubature e vecchie armi.” Da notare che nelle forme Carabino, Carabin, Carabbino appare nell’onomastica locale come secondo cognome, dopo ‘Orso’, per una ventina di volte, tra il 1720 e il 1820
circa negli atti di battesimo della Parrocchia di Frassinetto, in genere per trascrizione dalla cappellania di Codebiollo.
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Ca del Cont.
Le Case-forti delle valli Orco e Soana.
37
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plesso, e, per la testimonianza che ci offre di
un momento particolare della storia delle popolazioni alpine, dovrebbe essere oggetto, in
una società attenta alle proprie radici, di un
serio intervento conservativo. Ma poiché la
realtà sociale e culturale in cui viviamo è quella che è, non possiamo nutrire che flebilissime
speranze in merito.
L’edificio non presenta nel suo complesso interventi costruttivi che ne abbiano successivamente modificato le caratteristiche originali. Le misure riportate nello studio della Viglino sono:
- pianta di forma trapezoidale di m 5.50 x
8,15 x 6 x 7,10;
- altezze dei diversi piani: p. terra: m 1,90
alla soglia di accesso, m 3,50 nell’area scavata
profonda m 1,60; p. primo da solaio a solaio:
m 2.90: p. secondo: m 2,25; sottotetto: da
un minimo di m 1,59 ai 3 m del colmo; in total, dalla base scavata del p. terra al colmo del
tetto m 11, 65.
Le murature hanno lo spessore di 70 cm, formate, negli spigoli, da blocchi quadrangolari
squadrati, le pareti sono di pietre di minori dimensioni, talora intercalate da fasce lavorate
a spina di pesce.
Le aperture originali di questa casa-forte sono
i tre portali, non posti sulla stessa verticale
che sono di piccole dimensioni ( mediamente
m 0,75 x 1,60); nella parete Nord, sono, al secondo piano, due finestre, una sulla parete
Ovest l’altra, ormai appena parzialmente leggibile, sulla facciata Sud.
L’organizzazione dell’edificio prevedeva gli
accessi diretti al piano terra e al primo piano,
come già detto, utilizzando il dislivello offerto dal masso roccioso d’appoggio e con scala
esterna mobile per il secondo piano: per il sottotetto è probabile l’esistenza di una botola
nel solaio. Questo, come gli altri tra piano e
piano, erano in legno, con tavole spesse 6 cm .
I portali hanno incorniciature, ciascuna formata da cinque lastre, precisamente: due monoliti larghi circa 45 cm, sovrastati da due appoggi orizzontali che equilibrano e reggono il
carico dell’architrave di forma triangolare più
o meno arrotondata sul colmo, lunghi tra m,
1,10 e m. 1,40, alti alla mezzeria 35 - 40 cm.
(la prof. Viglino sottolinea, nella parete a levante del piccolo edificio di costruzione suc-
non tanto perché non più utilizzata o forse
perché fatiscente per incuria o per qualche
evento atmosferico, e ne abbia seguito la
struttura complessiva, tanto che essa è quasi
identica a quella di altre case-forti medievali
canavesane.
Forse è possibile mediare tra le due posizioni,
semplicemente proponendo che forse ci troviamo di fronte a un rifacimento tardivo di
una costruzione più antica, ma ritenuta ancora utile e valida.
La seconda casa-forte della Valle Soana è anche la più imponente esistente in queste due
valli. E’ strano che non esistano altre segnalazioni per una Valle così importante, frequentata non solo da pacifica gente di passaggio ,
ma anche da militari non sempre disciplinati
e spesso affamati, e in cui la rivolta tuchina
lasciò strascichi secolari..
Non è solo quella altimetricamente più alta
(quota 1460) ma la più interessante tra le
case-forti canavesane. Attualmente è in condizioni di conservazione piuttosto critiche,
anche a causa del crollo quasi totale del tetto
e per altri danni, in particolare alla muratura
del lato Est.
E’ in una borgatella, ormai in gran parte fatiscente ( tra le altre costruzioni, anche un rascard tipico della Valle d’Aosta) della frazione
Servino, costituita da quattro nuclei principali: Rahchieri, Masonaie, Fontana, Recrì. E’ in
quest’ultimo, in località detta Tor, evidentemente dalla presenza di questa bella casa-torre , che si trova. sulla sinistra del torrente Servino, la casa-forte. Vi si accede, proseguendo,
dopo l’abitato di Ronco Canavese, lungo la
provinciale per Valprato, che si abbandona
per imboccare, sulla destra, la deviazione per
Scandosio - Cerniso e proseguendo poi lungo
la mulattiera che si inerpica nel vallone del
Servino. La costruzione che ci interessa si appoggia su un grande masso roccioso che la sopraeleva di circa due metri e mezzo sull’area
circostante, formando un dislivello che permette l’accesso diretto ai due primi piani
dell’edificio.
Esso è però ancora ben leggibile nel suo com-
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cessiva e accostato alla torre, la presenza di
un portale simile ai tre dell’edificio principale,
forse a costituire un’uscita verso sud).
Questa casa-torre è caratterizzata dalla presenza di alcune peculiarità costruttive, tra
cui:
- sul fronte Nord, tettucci di lastre orizzontali litiche, sporgenti dalla muratura, a protezione dei portali;
- grondaie in legno per raccogliere la pioggia
gocciolante dal tetto; la presenza di tali grondaie, logicamente ora scomparse, è testimoniata dalla conservazione parziale di mensole
in pietra, lavorate a doppia curvatura; le mensole erano due per ogni parete, e ne permangono tre in tutto: una sulla parete Est, due
(una, incompleta) sulla parete Ovest;- il sistema di appoggio dei solai in legno era offerto
da robuste travi (spesse cm 35 x 20) che si incastravano in mensole arrotondate in pietra
bloccate ai lati da lastre litiche: questi travi di
sostegno si appoggiavano poi anche sul muro
e ne uscivano all’esterno per circa 35 cm. e qui
erano bloccati da una spina lignea, il tutto
protetto contro la pioggia da una lastra di pietra inclinata, a sua volta sostenuta da una
pietra opportunamente lavorata.
degno di uno sguardo. La Valle dell’Orco comprende alcuni valloni laterali tra cui i principali sono
quelli di Ribordone, di Piantonetto e del Roc.La
Valle ci offre, ancora discretamente conservati, cinque edifici aventi le caratteristiche di vere e proprie
case-forti. Sono, a partire dal basso, sulla destra
orografica quelle di Onsino e Pianey e sulla sinistra quelle di Pertia, Tirolo (vallone di Ribordone)
e di Casetti, nella zona in cui il rio Piantonetto va
a sfociare nell’Orco. In altri termini, delle cinque
case-forti accertate in Valle Orco, quattro si trovano nell’area montana che si affaccia su Sparone, e
qui è anche una “possibile” casa-forte, di cui qualche traccia pare essere stata indicata poco a monte
di Onsino, in località Serrai.
Anche per questa eccezionale concentrazione appare logico pensare che altri edifici analoghi e con
analoghe funzioni esistessero, forse più numerosi di
quanto pensiamo, nella Valle, ma di essi si sono
perse quasi del tutto le tracce, ad esclusione di
qualche reperto qua e là.
Appare poco probabile che nuclei, non si fossero dotati di un rifugio per le loro scarse ma preziosissime
vettovaglie: se per Locana i frequenti smottamenti
e le ricorrenti alluvioni che ne distrussero nei secoli
parti importanti del primitivo insediamento sono
sufficienti a farci pensare che una eventuale
casa-forte ne abbia seguito le sorti, resta inspiegabile l’assenza di questo tipo di manufatti o di loro
tracce in altre aree.
E’ il dubbio che gli studiosi di questa materia si
sono posti e che qui abbiamo ribadito già prima e
per altri luoghi. ma qui una risposta negativa pare
ancor più impossibile da accettare secondo logica.
Incominciamo comunque dalla prima accertata
casa-forte della Valle, cioè Onsino.
Ipotesi di case-forti in Valle Soana sono state
avanzate:
- per Ronco Capoluogo, dietro la parrocchiale di
San Giusto, ove resiste una antica casa con tratti
di mura a spina di pesce e un trilite;
- nel vallone di Guaira , borgata Grangia, ove
sino a pochi decenni fa era una casa detta “Castello”, con murature a spina di pesce e altri elementi
medievali, il tutto oggi ridotto a un cumulo di macerie;
- per Campiglia, sono degni di una certa attenzione alcuni residui in pietra utilizzati nella costruzione della Chiesa Parrocchiale.
Onsino è il nome di una borgatella del comune
di Sparone, posta a quota 725 , sull’alto di un
ripiano roccioso. Sotto l’aspetto etimologico
Onsino (localm. Onsin) il citato libro del Corsac (pg, 145) pone in dubbio il collegamento
che è stato proposto da alcuni studiosi per l’omonimo comune (quota 1220) del Cuneese, in
alta Valle Po, con un aggettivo “uncinus”, diminutivo di “uncus” = adunco, perché difficilmente qui adattabile (anche se non può escludersi che la posizione fortificata di questa bor-
C) VALLE ORCO
Oltre l’abitato di Pont ,lungo la carrozzabile,a poche centinaia di metri dopo l’innesto della circonvallazione, è uno straordinario esempio di antica
abitazione “sotto roccia”, che non c‘entra nulla con
l’argomento che qui si tratta, ma che è comunque
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alto oltre 50. Il portale superiore è invece inquadrato da tre soli pezzi, essendo gli stipiti
coperti da due sole lastre, larghe 40 cm e alte
65: su di esse poggia direttamente l’architrave, simile a quello del portale inferiore ma più
arrotondato al vertice. Le quattro finestrelle
della facciata Est sono irregolari e sono state
ricavate in tempi successivi..
I due vani sono di circa m 4,60 x 5,50 e sono
coperti da solai fatti di travi spesse intorno ai
16-17 cm, appoggiate su mensole in pietra,
con relativo tavolato sovrastante spesso 9 cm.
Le murature sono spesse 70 cm circa, con spigoli costituiti da blocchi in pietra rettangolari
e bene squadrati, mentre la tessitura delle pareti , a pietre spaccate, non è molto curata;
presenta qua e là qualche tratto a spina di pesce.
Caratteristiche di questo edificio sono: le dimensioni eccezionali delle ardesie di copertura del tetto; la notevole sporgenza del tetto,
che raggiunge i 70 cm, mentre di norma il tetto è a filo esterno del muro; la presenza di croci incise nei due architravi dei portali.
gatella, quasi di protezione su Sparone, sia
riferibile a una attrezzatura guerresca, a un
“uncino” che si chiude tra questo luogo e il sottostante castello di Sparone). Più probabile
pare l’altra ipotesi avanzata per il comunello
cuneese che si riferisce a un altro aggettivo “alcinus” , fitonimo da “alnus”, cioè l’ontano,
pianta presente nei pressi della frazione.
Per raggiungere Onsino si attraversa il ponte
che è sulla sinistra di chi sale verso la valle, subito dopo l’area industriale di Sparone: dopo
il ponte la strada si biforca: piegando a sinistra si sale verso Onsino che è attraversata da
questa vicinale carrozzabile che poi prosegue
verso Alpette.
La frazione è formata da tre borgatelle: Onsino Superiore, Fontana, Su di Gay che è la
principale, ove è la chiesa e in cui si trova la
casa-forte. che originariamente era certo isolata ma oggi è circondata da altre costruzioni
che ne rendono meno evidenti le caratteristiche peculiari. e problematica e per alcuni particolari anche impossibile, la documentazione
fotografica.
Anche questa casa-forte è stata costruita su
un masso roccioso; la pianta è quasi rettangolare, di dimensioni piuttosto ampie (m 5,85 x
6,10), si sviluppa su soli due piani fuori terra.
L’altezza massima complessiva alla base del
tetto è di m 6,60, la minima di 5,30 (la differenza è determinata dalla pendenza del roccione su cui è basata la costruzione); i due
piani sono alti rispettivamente m 2,65 e 2,10.
Lo sviluppo dell’edificio è tipico di queste costruzioni: un vano unico per ogni piano, cui si
accede per due portali: a quello inferiore direttamente dal piano terra, a quello superiore
con scala mobile esterna; queste aperture
sono sulla parete Nord. cioè sul sentiero interno della borgata. Il portale inferiore è più
grande ( m 1,15 x 1,65) ed è spostato sulla sinistra , quello superiore ha le dimensioni di m
0,60 x 1,65 ed è quasi al centro della facciata.Le inquadrature dei due portali si differenziano anche per la tipologia: l’inferiore è formato da cinque lastre, cioè due verticali, molto robuste (cm 58 x 165 a sin,, 52 x 165 a d.)
sormontate da due orizzontali, poste di piatto, spesse quasi 20 cm e lunghe oltre un metro, che ripartiscono il carico dell’architrave di
forma pseudotriangolare largo quasi 160 cm e
Ridiscendendo ora sulla strada già percorsa, si
ritorna al bivio del ponte cui si è già accennato; si va diritto verso Bisdonio e da qui sino a
Feilongo; qui la carrozzabile termina; un sentiero tra i boschi supera il confine amministrativo tra Sparone e Locana e raggiunge un
gruppetto di case sparse costituenti la borgata
Pianey. avente come baricentro una casa-forte. Sull’etimologia di Pianey – tradotta sulle
carte topografiche come Pianetti – si fanno
due ipotesi: una si riferisce ai piccoli pianori
che l’uomo ricavò in quest’area già montagnosa; l’altra probabilmente più aderente alla
realtà, riguarda la presenza, anche attuale, di
numerosi aceri, in dialetto locale “ piani” .
La borgatella sovrasta, da quota 800, la golena dell’Orco su cui sorge la borgata locanese
di Praie.
La casa-forte di Pianey presenta alcune peculiarità costruttive, pur se nel complesso
l’edificio risulta “arricchito” da opere di riplasmazione successiva alla sua costruzione tipicamente medievale.
40
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ni posteriori, adiacenti alla casa-forte: provengono quasi certamente dal recupero di altri
portali della casa-forte stessa). All’interno i
due vani sovrapposti e il sottotetto misurano,
in pianta. m 4,60 x m 5,30; gli interpiani
sono, a partire dal basso di m 2,25, m 2, m
1,40 (sottotetto al colmo, per un’altezza complessiva di quasi sei metri; i piani sono divisi
da solai in legno sostenuti da travi di sezione
intorno ai 18 cm e tavolato spesso circa 3 cm .
Da notare: i grigliati di aerazione sulla facciata Sud, formati da pietre poste a coltello (
sono però probabilmente ristrutturazioni successive); nell’interno, nello spessore del muro,
numerosi vani pressoché quadrati, di 40 cm di
lato; la muratura interna del modulo cui si
accede dal portale destro, molto curata, con
classiche fasce lavorate a spina di pesce.
Riattraversiamo il fiume e passiamo alle tre
case-forti segnalate sulla sinistra orografica.
Qui la segnalazione, da parte di Elio Blessent, riguardante Vasario per la cosiddetta
“Casa delle Coste”, verso le miniere. oggi quasi del tutto diroccata. non riguarda probabilmente una casa-forte: è in realtà una casa forse quattro-cinquecentesca, di costruzione accurata e signorile, isolata dall’abitato. Essa ha
certo alcuni caratteri analoghi a quelli di una
casa-forte, ma per altri se ne discosta; sulla
bella rivista dei Canteir di Pont (La brasa...la
spluvia, 1996, n. 22) Blessent ne parla come “
di tipica costruzione tardo medievale edificata con pietre locali disposte a lisca di pesce:
fungeva nei tempi come privativa del sale”.
Eccoci alla importante casa forte di Pertia.
Anche questa casa-forte era inizialmente isolata, mentre oggi costituisce l’elemento centrale di un aggregato di edifici rurali alcuni dei
quali sei - settecenteschi. Unico esempio tra
quelle studiate nell’area canavesana, in questa di Pianey la parte originaria è costituita da
due moduli coevi, uno accostato all’altro a
formare un edificio che misura, in pianta, metri 6,75 x 10,15. La base poggia su due livelli
sfalsati di oltre due metri, ottenuti con opere
di scavo e di riporto, per cui dalla parte più
bassa l’edificio risulta di tre piani sovrapposti,
da quella più alta di solo due.
Gli interventi successivi hanno interessato soprattutto il muro a Est e la facciata a Sud, con
inserimenti resi necessari probabilmente da
un crollo; qui le tessiture murarie sono evidentemente diverse e in esse sono state ricavate porte e finestre non originari. Da notare
inoltre le aggiunte di una scaletta esterna in
muratura che raggiunge il secondo piano e di
travi a sbalzo del tetto a lose.
Di costruzione originaria è invece la parte inferiore, ove la muratura è eccezionalmente
ben curata, sia negli spigoli (cosa che non è
rara nelle case-forti) sia nelle pareti, il che invece è eccezionale; in questa di Pianey spigoli
e pareti sono costituiti da solidi blocchi in pietra, ben squadrati, rettangolari, alti intorno ai
40 -50 cm. e di lunghezza varia. La Viglino annota, a questo proposito, che “la lavorazione
accuratissima è certamente opera di maestri
da muro altamente specializzati”. (pag. 69).
Lo spessore del muro perimetrale risulta essere di 75 cm.
Sul fronte Est sono due portali simili, alti 120
e larghi rispettivamente 95 e 80 cm (quello di
sinistra è murato); le cornici sono formate lateralmente da stipiti costituiti da lastre orizzontali grandi (le inferiori di oltre un metro.
le superiori di circa 40 cm); i due architravi di
forma triangolare sono alti 58 cm e larghi mediamente 125. (Due portali, sostanzialmente
eguali a questi due, sono inseriti in costruzio3.
Sotto l’aspetto etimologico è raffrontabile
con alcuni toponimi minori presenti a Ceresole (alpe Pertica, in dialetto Përcha, cima
Përcia, alpeggio Percetti) e parrebbe quasi certo che il riferimento sia dato dalla voce “pertica” , forse riferibile al costune longobardo di
indicare i confini delle proprietà o del domi-
Di questa importante casa-forte è documentata l’origine signorile nella cronaca dell’Azario; la costruzione
è probabilmente da fare risalire ai primi decenni del secolo XIV, per iniziativa dei Conti di San Martino, ai
quali la sottrae, nel 1339, cioè durante la Guerra del Canavese, il conte Giovanni di Valperga, che si avvale
dell’aiuto di alpigiani del luogo. In riconoscenza di tale sostegno, il conte Giovanni consegna il complesso
a persone del luogo, e tale fatto indica che per i Valperga questo complesso fortificato non aveva importanza strategica ed ha un ridotto potenziale economico. Nelle guerre cinquecentesche tra spagnoli e francesi anche Pertia viene prese di mira e in parte devastata: è probabile che le tracce di un incendio e di una
successiva ricostruzione che si possono individuare nella nostra casa-forte ne siano il ricordo. Nei secoli
successivi l’insediamento assumerà prevalente importanza come bene legato alla pastorizia e sarà visto dai
proprietari come una diversa ma utile “malga” per l’alpeggio.
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coperture non impediscono una buona lettura del complesso edilizio. In pianta le dimensioni dell’edificio sono valutabili, nella
costruzione più antica, a oltre metri 5 x 6,
mentre in quella superiore sono di metri 5 x
5: i tetti sono allo stesso livello, ma i piani risultano in parte sfalsati.
Le murature hanno spessori abituali di questo
tipo di edifici, intorno ai 70 cm; sono in pietra, con angoli formati da massi squadrati, le
pietre delle pareti sono di dimensioni minori,
sistemate con molta cura in fasce di pietre posate di piatto alternate ad altre a spina di pesce. La copertura, pressoché del tutto crollata
nell’edificio più antico, è a due falde e in
lose.La volta a botte del piano seminterrato
non parrebbe coeva alla primitiva costruzione; i piani superiori, alti circa due metri, erano
coperti da solai in legno.
Nei muri Nord ed Est sono alcune finestrelle
di diversa dimensione ricavate nel corso dei
secoli semplicemente eliminando qualche pietra; solo la finestrella nel modulo più antico
può considerarsi presente già nella costruzione iniziale ed era incorniciata da tre lastre regolari. Le aperture dfi accesso erano solo nella
facciata Nord e alcune di loro sono oggi di difficile lettura: si tratta di due portali per ogni
cellula, a quote diverse tra loro, ma è presumibile che un terzo portale e una finestrella esistessero anche al terzo piano del modulo più
antico, ma il degrado della parte alta della costruzione non permette in questo caso una
lettura del tutto certa..
Non tutte queste aperture sono oggi misurabili: è probabile che fossero tutte di dimensioni e di foggia analoga a quelle ancora presenti
e che mostrano dimensioni ridotte sia nei
piani inferiori ( uno cm 80 x 170, l’altro, a destra. cm 80 x 155), sia in quelli superiori (cm
70 x 170). Le incorniciature a grandi lastre
sono a 5 ed anche a 7 lastre, con stipiti verticali piuttosto sottili di altezza variabile, ciascuno sormontato da una o due lastre orizzontali che si dividono il carico degli architravi, alcuni di forma rettangolare, altri un poco
ovoidali, con larghezza intorno ai 130 cm e altezza intorno ai 35 cm .
Non molto discosta da quella di Pertia è la
casa-forte di Tirolo.
nio, con un’asta di legno, o pertica. Poichè anche il nome di Sparone è riferibile a una voce
longobarda significante asta di confine, e sull’altro versante dell’Orco, sulla stessa linea,
esiste, a quota 1254, la località Palocco, da “
pal -pala” altra voce con identico significato, è
stata avanzata l’ipotesi che la linea congiungente queste tre località costituisse quella di
confine del dominio longobardo.
Questa casa-forte sorge a quota 1220 e può
essere raggiunta sia da Ribordone sia da Sparone, lungo sentieri ben individuabili: naturalmente da Ribordone vi sono minori dislivelli da superare. Altro sentiero. molto più ripido e malagevole, sale dalla borgata Bosco di
Locana.
Tra le case-forti alto canavesane quella di Pertia è senza dubbio. per la storia e la leggenda
la più importante, ed è l’unica che viene
menzionata, seppure in forma piuttosto romanzata, nel primo manoscritto dedicato
unicamente al Canavese, che racconta, per
mano del notaio Pietro Azario (1312 - 1367) le
vicende
della
“Guerra
Canavesana,
1339-1343". Pertia vi è descritta come un ”castrum" imprendibile per la sua struttura e per
la sua posizione; la leggenda lo dice sede di
Arduino durante l’assedio di Sparone
nell’anno 1000, Ma la realtà oggi. è diversa: la
posizione è sì dominante, ma non vi sono
passaggi per cui un uomo solo sarebbe stato in grado di respingere un esercito e il “castello” di cui si
parla è proprio e solo una casa-forte importante sì, ma non più imponente di altre. Secondo la Viglino è “ ciò che rimane della costruzione medievale, luogo di uno scontro tra
i San Martino e i Valperga, durante la guerra
del Canavese.”
La casa-forte fa parte di un gruppo di costruzioni oggi abbandonate e fatiscenti; è situata
su un pendìo piuttosto ripido, ma lavorato
con scavi e riporti a formare ripiani che permettono, come già visto altrove, due ingressi
del manufatto a piani diversi. Questa
casa-forte è per così dire doppia, con le due
cellule, non coeve, accostate tra loro: la costruzione più alta e più antica, è quella che
nella parte orientale, e si basa su una quota
inferiore: vista dal basso appariva come un
torre di quattro piani, uno di più della parte
posta a livello maggiore. I parziali crolli delle
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Gli accessi, che al piano inferiore sono sopraelevati di circa 80 cm sul livello del suolo, sono
garantiti da portali di piccole dimensioni: cm
70 x 140 al piano terra, di poco maggiori al
secondo piano (attualmente in parte chiuso
da un muro); gli stipiti sono formati da lastre
orizzontali, sovrapposte. Il portale inferiore è
chiuso da un arco formato da dieci conci alti
24 cm, quello superiore invece da un architrave monolitico triangolare, largo 130 cm e alto,
in chiave, la metà.
Il complesso presenta anche altre due porte,
sulle pareti Nord ed Ovest, non coeve alla costruzione; probabilmente appartenenti alla
struttura originaria sono invece alcune piccole aperture con incorniciatura trilitica, aventi
funzioni di ventilazione.
Ultima casa-forte della Valle Orco è quella di
Casetti.
Con questo nome si indica un’area che comprende una cima (quota 1601), un colle, un
alpeggio e una borgata, oggi del tutto abbandonata, che sono amministrativamente dipendenti da Ribordone ma si affacciano già
sulla Valle dell’Orco, ai confini con il territorio di Locana. Etimologicamente questo
nome (che varia tra l’italianizzato Tirolo e il
locale Tiriol) avrebbe la base nella voce preromana Taur- Tauro = monte.
La borgata, a quota intorno ai 1250 m, si divide in tre nuclei: Superiore (qui è la casa-forte),
Di mezzo e Inferiore. Per raggiungerla non
esistono più sentieri agevoli: quello una volta
più consigliabile saliva dalla località Bardonetto, nel fondovalle, è ora impraticabile . Si può
invece, seppure superando qualche difficoltà,
arrivare da Ribordone, passando per i quasi
1400 m del colle Pertia (sovrastante località
omonima) e di qui raggiungere in lieve discesa
la nostra meta.
Il piccolo nucleo in cui si trova la casa-forte è
formato da case abbastanza antiche, ma certo
di epoca successiva ; l’edificio che ci interessa
era stato evidentemente costruito, come gli
altri analoghi, in posizione isolata. Ha pianta
quasi quadrata (m 4,75 x m 5,10), ha
un’altezza (al colmo del tetto) di m 7,70, è su
tre piani che prospettano sulla Valle Orco; per
la forte pendenza, i tre piani diventano uno
solo (quello del sottotetto) nella parte verso
monte, dove appunto è l’accesso (aperto in
tempi successivi) al sottotetto che è piuttosto basso.
Anche questa casa-forte è almeno in parte
fondata su un masso roccioso, che affiora anche nell’interno della costruzione. Come al
solito la tipologia costruttiva presenta un unico vano per ogni piano; i muri hanno spessore
tra i 70 e gli 80 cm, presentano massi rocciosi
piuttosto regolari e grossi, specialmente, ma
non solo, negli spigoli e nella base, ove sono
mediamente alti una trentina di cm e talora
lunghi un metro e mezzo. Le dimensioni interne dei vani sono di circa metri 3,25 x 3,60.
La volta del piano inferiore è a botte, con altezza massima di m 2,35; il piano superiore
ha invece il solaio in legno ed è alto appena m
1,70 .
Etimologicamente non paiono esistere dubbi
sul significato di questo toponimo, presente
anche altrove, ad altitudini maggiori, nella
valle: “casupole per pastori”. La borgata è a
quota 700 m, si trova a una quindicina di chilometri dal capoluogo di Locana, lungo il percorso della strada provinciale , quasi adiacente
alla borgata Rosone, sede della parrocchiale
che ha giurisdizione ecclesiastica su tutta la
parte alta del comune,
La casa-forte è al centro del nucleo, in parte
abbandonato, della frazione che presenta
molte case antiche ma di edificazione postmedievale: come si è detto per altre
case-forti, è presumibile che essa sia sorta in
area isolata e abbia poi costituito un centro di
attrazione per altri edifici.
L’accesso avviene direttamente dalla provinciale, attraverso una stradina in salita; proprio
ove questa si divide (quasi ad angolo retto)
sorge questa piccola casa-forte che si appoggia
ad un masso roccioso mediante un’opera muraria che confina con una casetta rurale di
epoca molto posteriore. Ha subito notevoli
modifiche nel corso dei secoli, tra cui anche
una sopraelevazione che l’ha portata a circa
sette metri : la struttura primitiva è però evidentemente limitata a circa quattro metri e
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re altri piani, che oggi non sono più rilevabili.
I due misurati attualmente denotano
un’altezza di circa m 1,90; tra loro vi era un
solaio in legno di spessore non superiore ai 15
cm.
mezzo, cioè fin dove esiste una muratura angolare di blocchi litei evidenti soprattutto nello spigolo Est. Altre modifiche (chiusura della
porta d’accesso al piano superiore, sopraelevazione con costruzione di una volta al posto
del solaio, tagli di aperture e porte) non hanno del tutto cancellato la struttura di questo
interessante edificio.
I due portali sono comunque ancora ben leggibili: ognuno dei quattro stipiti è formato da
quattro grandi lastre che misurano circa cm
55 x 90 e da quattro di dimensioni minori
(intorno ai 45 x 30); tra tali lastre e gli architravi sono interposte lastre alte intorno ai
10-15 cm lunghe circa un metro. Il portale superiore non ha più l’’architrave, quello del piano inferiore ha forma tondeggiante, è pesantemente fessurato, è lungo 120 cm ed è spesso
tra i 20 e i 45 cm. La luce calcolata di queste
aperture (piano inferiore cm 78 x 172, piano
superiore cm 65 x 143) paiono confermare
che comunque questa era con ogni probabilità la più piccola tra le case-forti alto canavesane, anche se la Viglino, ai cui accurati studi riportati in bibliografia si rimanda chi è particolarmente interessato a questo argomento,
non esclude che questa casa-forte potesse ave-
Angelo Paviolo
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Festa Rurale a Coazze il 19-20 ottobre 2002
La rivalutazione del rurale. Il recupero di una borgata.
Il riscaldamento a cippato di legno.
buon cibo, patrimonio tradizionale italiano,
sono le due grandi idee guida di questa nuova
politica. Il programma della seconda Festa
Rurale di Coazze è stato su questa linea. Vi è
stato il confronto fecondo e amichevole tra
realtà aventi problemi analoghi, con la partecipazione della Regione Francese del Vercors e
della Provincia di Potenza
Molte sono state le iniziative nelle due giornate, a cui accenniamo brevemente: la Fiera
Rurale, con presentazione di prodotti enogastronomici tipici, in particolare il Cevrin, formaggio di Coazze; una mostra zootecnica;
una tavola rotonda sull’architettura alpina, a
cura del Parco Orsiera-Rocciavrè che comprende il quaranta per cento del territorio del
comune di Coazze, e la storia del recupero di
una borgata di Coazze raccontata dal benemerito artefice di questa impresa, l’ingegner
Giuseppe Simonis; gare con la satula, cioè con
la trottola, fatta con durissimo legno di bosso; una squisita “cena rurale” il sabato sera, e
uno squisito “pranzo rurale” la domenica.
Vogliamo infine segnalare, soffermandoci
per quanto consente lo spazio, un tema di
grande attualità, affrontato nel Convegno
della domenica mattina: l’utilizzazione del legno come energia termica pulita e rinnovabile, tema del resto già illustrato in sede Salone
della Montagna di pochi giorni prima, e nelle
quattro giornate su ‘Bosco e territorio” del
5-6-7-8 Settembre a Usseaux nella vicina Val
Chisone. In Italia, con lo spopolamento della
montagna, la superficie boschiva è grandemente aumentata, ma si tratta in gran parte
di boschi tristemente abbandonati poiché
non ne era rimunerativa la manutenzione. Il
ritorno all’utilizzo del legno per riscaldamento, sotto forma di “cippato” o “pellet”, cioè di
piccoli pezzi di legno compattato per apposite stufe e caldaie, costituisce una ragione per
provvedere alla cura dei boschi, con tutto il
vantaggio che ne consegue per l’equilibrio del
Sabato e domenica, 19 e 20 ottobre 2002, si è
svolta a Coazze, Val Sangone, provincia di
Torino, la seconda Festa Rurale, dopo la prima dell’anno scorso. “Festa rurale significa
esaltazione e valorizzazione di tutto ciò che
di tradizionale, genuino e tipico il territorio
conserva”, ha scritto Elisa Giacone sul bisettimanale locale luna nuova del 18 ottobre, annunciando l’iniziativa.
Se oggigiorno, di fronte al congestionamento delle città, incomincia a farsi sentire, anche
a livello di massa, il richiamo della campagna
e delle montagne, da un punto di vista culturale la “rivalutazione del rurale”, in un paese
come il nostro, l’Italia, che è stato fatto dalle
città, non è certo cosa scontata. Perfino nel
linguaggio, la dicotomìa città-campagna , a
tutto svantaggio per la campagna, si è sempre
sentita, là dove l’aggettivo “villano” ha significato spregiativo rispetto al qualificativo “urbano”, e così via. Anche nelle ideologie politiche , la campagna significava “conservatorismo”, e “progresso” la concentrazione
collettiva delle città.
Ora questa dicotomìa può considerarsi storicamente superata con il passaggio in una fase
postindustriale dove la tecnologia informatica ha ridotto enormemente, se non abolito, la
dimensione spazio, consentendo comunicazione a distanza e lavoro qualificato ovunque.
Dunque non conviene a nessuno che i paesi
diventino delle squallide succursali-dormitorio della città più vicina, ma, come si disse
nella prima Festa Rurale, quella dell’altro
anno, questo significa semplicemente “cambiar politica” anche nella gestione diretta del
proprio Comune: recupero dei territori abbandonati, non più marginalizzazione
dell’attività agricola rimasta.
La necessità drammatica di arrestare il dissesto idrogeologico del Paese, frutto in buona
parte dell’abbandono dei territori montani, e
per altra parte il diffondersi del gusto per il
45
marzo 2003
progetto per lo sviluppo del territorio che rimane poi
fermo su una scrivania per anni. Ce lo auguriamo di tutto cuore! Intanto a Coazze il “pellet” è già in vendita, e vi sono due locali di ristorazione che riscaldano l’ambiente con una
stufa che va a cippato di legna. Per me, fatte
le dovute differenze, è un ritornare ragazzetto
al primo inverno del dopoguerra (1945-46)
quando in una casa di Torino la famiglia si
scaldava con una stufa che andava …a segatura! C’era un bidone nel corridoio centrale
dell’alloggio, che si riempiva di segatura ben
pressata, lasciando un buco verticale nel mezzo fatto col manico della scopa, che assicurava l’areazione necessaria per una combustione regolare del… cippato.
s.m.
sistema idrogeologico del territorio, e producendo anche posti di lavoro pone un freno
allo spopolamento della montagna: si crea insomma un virtuoso effetto a catena.
L’uso del legno come energia termica è già
molto diffuso in Francia (oltre, naturalmente,
nei paesi nordici dell’Unione Europea), e da
noi nella Regione Veneto, in particolare nella
Provincia Autonoma di Bolzano. Il Comune
di Coazze ha vinto un concorso bandito dalla
Provincia, con un suo progetto “per fare caldo
pulito con i pellet, e pulizia dei boschi e posti
di lavoro”, com’è detto nuovamente su luna
nuova nel numero seguente la Festa Rurale, in
una intervista all’assessore Carlo Marinari
che assicura: questo non vuole essere l’ennesimo
Casetti. Facciata Sud.
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marzo 2003
Sulle tracce del documento:
una base di dati bibliografici
– gruppi e associazioni strutturate, non istituzionali (pro loco, associazioni di ricercatori di storia locale ecc…)
– parrocchie e altri enti ecclesiastici
– enti locali (comuni, province, comunità
montane)
– fondazioni e istituti culturali
– scuole di ogni ordine e grado
Da tempo noi di L&M ci siamo posti
l’obiettivo di produrre un nuovo strumento
bibliografico, un nuovo supporto alla ricerca
storica locale. Da un’analisi effettuata su diversi repertori bibliografici è emersa, infatti,
l’assenza di adeguati strumenti di ricerca che
riportino, nel modo più dettagliato possibile,
le pubblicazioni di ciascuna singola realtà territoriale. Da tali considerazioni è derivata
l’idea di predisporre un progetto per una bibliografia piemontese a supporto della ricerca
storica locale, che qui presentiamo.
Finalità del progetto è la messa a punto di
una banca dati in continuo aggiornamento
che comprenda le indicazioni bibliografiche
relative alla ricerca storica locale in ambito
piemontese ripartite per singola località.
La necessità di tale operazione scaturisce, da
un lato, dall’esigenza di monitorare una produzione documentaria spesso a scarsa diffusione e pertanto di difficile reperimento;
dall’altro lato, dal bisogno di offrire a chi di
tale ricerca si occupa un repertorio il più esaustivo possibile che permetta l’utilizzo di un
numero sempre maggiore di fonti (bibliografiche e non) a vantaggio dell’indagine condotta
sul territorio.
2. livello centrale: costituirà il punto di raccolta e di coordinamento della documentazione pervenuta.
Il gruppo di lavoro, oltre a comprendere persone adibite all’inserimento dei dati, dovrà
poter contare su alcuni referenti con funzione
di coordinamento e indirizzo, impegnati principalmente nel fornire ai singoli ricercatori
strumenti atti a strutturare le informazioni in
modo uniforme, secondo standard concordati
in sede di definizione del progetto.
Il fine è analizzare, provincia per provincia, le
realtà dei singoli comuni piemontesi, per realizzare un repertorio che contenga tutto ciò
che è stato pubblicato sul singolo comune.
Più in dettaglio,
• seriali (periodici, bollettini, notiziari di associazioni attive sul territorio)
• monografie
• letteratura grigia
Da valutare il possibile inserimento di spogli
da monografie e seriali.
A tale proposito, di primaria importanza sarà
la creazione e la messa a punto di una struttura gestionale a due livelli (locale e centrale)
in grado di raccogliere e organizzare le informazioni raccolte:
L’individuazione delle notizie potrà avvenire
in più modi:
- Analisi di repertori già esistenti (Casalis,
Manno, BNI, ecc…)
- Catalogo regionale dei periodici
- Catalogo dei libri in commercio
- Catalogo dei periodici in commercio
- Bollettini parrocchiali
- Bollettini e notiziari di istituti e di associazioni culturali
1. livello locale: comprenderà una rete informativa costituita da
– singoli ricercatori (sarà pertanto prioritario
procedere al loro censimento, strumento
utile a individuare nei diversi contesti tutte
le persone interessate e in grado di collaborare alla realizzazione del progetto)
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marzo 2003
- Banche dati online relative alle diverse realtà locali
- ALICE (Archivio Libri Italiani su Calcolatore Elettronico).
La banca dati dovrà essere strutturata in
modo da consentire l’indicizzazione alfabetica dei singoli comuni, suddivisi per provincia
d’appartenenza. Ciascuna voce conterrà
l’elenco dettagliato delle pubblicazioni possedute, con l’indicazione dell’ente cui far riferimento per reperire il singolo documento
Sarà opportuno iniziare il lavoro partendo da
una determinata provincia e da una realtà
piuttosto piccola, in modo da mettere a punto e verificare le singole procedure.
Guaira di Ronco Canavese.
Resti del “Castello”.
Vasario (Sparone).
Casa delle Coste, portale.
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I nostri libri
marzo 2003
Ricerca bibliografica su alcuni comuni
piemontesi: un primo esempio
L’intervento è stato indirizzato all’individuazione di alcune pubblicazioni (si è al momento limitato l’ambito alle sole monografie, con sporadiche eccezioni) riguardanti 38 comuni piemontesi, selezionati sia per la vastità del territorio di competenza, sia per la presenza di documentazione inerente la ricerca storica locale. L’indagine ha al momento riguardato soltanto il materiale pubblicato nel corso dell’ultimo biennio (2001-2002) presente all’interno della banca dati del
Servizio Bibliotecario Nazionale (vedi oltre).
Si fa presente che per alcuni comuni di notevoli dimensioni (valga per tutti l’esempio di Torino)
si è stabilito di inserire soltanto le pubblicazioni di carattere storico-artistico, o comunque di
pertinenza strettamente locale.
Il presente intervento non comprende pertanto la totalità delle opere presenti sul territorio di
ciascun comune o ad esso pertinenti, ma vuole costituire un primo passo volto al censimento
delle pubblicazioni che hanno per oggetto il territorio piemontese, considerando in particolar
modo il materiale edito da case editrici minori prive di regolare distribuzione.
Si invitano pertanto i lettori della Rivista di L&M e i soci a far pervenire presso la nostra sede segnalazioni su pubblicazioni e saggi di interesse locale, al fine non soltanto di costituire uno stimolo e una partecipazione più allargata alla ricerca e alla diffusione dei propri lavori, ma anche
di favorire la definizione di criteri di volta in volta più mirati. Ad esempio, nella presente bibliografia sono state inserite le segnalazioni che, pur pertinenti al periodo antecedente il biennio
preso in esame, ci sono pervenute o ci sono state segnalate dai nostri soci.
Alba
A CCIGLIARO, Walter - BOFFA , Gianni M OLINO, Baldassarre
Repertorio storico delle parrocchie e delle parrocchiali nella diocesi di Alba, Piobesi d’Alba, Sori,
2001
A CCIGLIARO, Walter - B ROVIA, Silvia CAROSSO, Gianfranco
Il viaggio di Francesco: sulle tracce del santo nelle
terre di Langa, Piobesi d’Alba, Sori, 2001
Alba: Chiesa di San Domenico, a cura di Antonio BUCCOLO, Alba, Famija Albeisa, 2001
Aldo Agnelli: Alba Langhe Fenoglio, a cura di
Alessandro D UTTO, Boves, Araba Fenice,
2001
B ORINGHIERI, Luca
Opere d’arte nel duomo di Alba: secoli XVII e
XVIII, tesi dattiloscr., Torino, Università degli
studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a.
2000-2001
P ANERO, Francesco
Il libro della catena: gli Statuti di Alba del secolo
XV, Alba, Famija Albeisa, 2001
P ARUSSO, Giulio
Passiamo ora all’elenco delle opere proposte,
avvertendo che le segnalazioni tra parentesi
quadre [S.l] o [s.n.] stanno a indicare
l’assenza di indicazioni relative al luogo di
edizione o all’editore della pubblicazione.
Le pubblicazioni anteriori al 2001 (segnalate
dai soci) sono contrassegnate da asterisco.
Acqui Terme
BIORCI, Guido
Antichità e prerogative d’Acqui - Staziella: sua
istoria profana - ecclesiastica, Acqui Terme,
Impressioni Grafiche, 2001, 2 v.
CHIODO, Cino
Sulle tracce delle stelle disperse: la tragedia degli
ebrei di Acqui, Acqui Terme, A.I.D.O. - Sezione Sergio Piccinin, 2001
Museo archeologico di Acqui Terme: la città, a
cura di Emanuela ZANDA, Alessandria, LineLab, 2002
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marzo 2003
I nostri libri
Asti
Alba: le norme statutarie nel medioevo, Alba,
Famija Albeisa, 2001
P ILZER, Giuseppe
L’organo Vittino della Chiesa Parrocchiale di San
Giovanni Battista in Alba: dissertazione scritta finale, tesi dattiloscr., Torino, Università degli
studi - Facoltà di Scienze della Formazione,
a.a. 2001-2002
Studi per una storia d’Alba, Alba, Famija Albeisa, 2001, 2 v.
Araldica astigiana, a cura di Renato B ORDONE,
Asti, Cassa di Risparmio di Asti, 2001
Calices Hastenses: ceramica e vetri di età romana
e medievale da scavi archeologici in Asti, a cura di
Federico BARELLO , Alberto CROSETTO, [S.l.,
s.n.], stampa 2002, Catalogo della mostra tenuta ad Asti nel 2001-2002
VISCONTI, Guglielmo
San Giuseppe Marello nella vita della città e diocesi di Asti nell’Ottocento, Asti, Gazzetta d’Asti,
2001
Alessandria
BALLERINO, Alberto
Non solo nebbia: cinema, teatro e vita culturale ad
Alessandria, Alessandria, Falsopiano, 2002
BUSSELLI , Emiliano
Gli anni dell’azione collettiva. Alessandria,
1960-’80, tesi dattiloscr., Genova, Università
degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a.
2000-2001
GARIGLIO , Dario
Alessandria: storia della Cittadella, Torino,
Omega, 2001
Le intermittenze della memoria: la mostra “Il ricordo dei luoghi e delle persone: territori alessandrini
fra realtà, tradizioni e immaginario” e la giornata
di studio presso l’Archivio di Stato di Alessandria
in occasione della II settimana per la cultura organizzata dal Ministero per i beni e le attività culturali: Alessandria, 2 aprile 2000, a cura di Gian
Maria PANIZZA e Roberto LIVRAGHI , Alessandria, Archivio di Stato, Associazione Città
nuova, 2001
L ERA, Riccardo - BOTTA, Roberto
L’uspidalet: l’ospedale infantile Cesare Arrigo di
Alessandria dalle origini alla seconda guerra mondiale, Recco, Le mani, 2001
VASSALLO, Nicola
La Cassa di Risparmio di Alessandria dalla fondazione alla fine dell’Ottocento, in Banche e sviluppo economico nel Piemonte meridionale in epoca
contemporanea: dallo statuto albertino alla caduta
del fascismo, 1848-1943, Torino, Centro studi
piemontesi, 2001, p. 249-268
Bene Vagienna
I primi mille anni di Augusta Bagiennorum: atti
del convegno: Bene Vagienna, 2 settembre 2000, a
cura di Rinaldo COMBA , Cuneo, Società per
gli studi storici, archeologici ed artistici della
Provincia di Cuneo, 2001
Biella
I castelli biellesi, a cura di Luigi SPINA, fotografie di Antonio CANEVAROLO, Biella, Biverbanca, 2001
La fabbrica e la sua immagine: cento anni di fotografia dell’industria biellese, a cura di Liliana
L ANZARDO, Biella, DocBi, Centro studi biellesi, 2001
L ADETTO, Carla - NUCCIO , Renato
Le radici quotidiane della storia: momenti di vita
politica e sociale del Biellese, a cura di Bruno
POZZATO, Vigliano Biellese, Polgraf, 2001
* Studi e ricerche sul Biellese, Biella, DocBi, 1999
T OURING CLUB ITALIANO
Biella e Provincia: Candelo, Santuario di Oropa
Valle del Cervo, Oasi Zegna, Milano, TCI, 2002
Bra
BAILO , Fabio
Ricerche
e
riflessioni
critiche
su
un’amministrazione socialista nel primo dopoguerra: il caso di Bra, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Scienze politiche, a.a. 2001-2002
Bra e il Roero: le rocche, i castelli, le vigne, Bra,
Slow food, 2001
M OLA, Aldo - B ERARDO, Livio
Arona
Arona nella storia, a cura di Carlo MANNI, Novara, Interlinea, 2001
50
I nostri libri
marzo 2003
Storia di Bra: dalla rivoluzione francese al terzo
millennio, Savigliano, Artistica piemontese,
2002
Il Museo Civico di Archeologia Storia Arte di Palazzo Traversa a Bra: guida alla visita, a cura di
Camilla BARELLI, Giovanna CRAVERO , Torino, Regione Piemonte, 2001
P ORASSO, Monica
Ricognizione dell’antico patrimonio artistico braidese attraverso i documenti e le sopravvivenze, tesi
dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2001-2002
Jean Servato, Casale Monferrato, Tersite
2000, 2001
La Gipsoteca Leonardo Bistolfi, a cura di Germana MAZZA, Casale Monferrato, Museo civico,
2001
T RINCIANTI, Claudio
Analisi conoscitiva e ipotesi di rifunzionalizzazione
del castello di Casale Monferrato, tesi dattiloscr.,
Torino, Politecnico di Torino, I Facoltà di
Ingegneria, a.a. 2000-2001
U BERTAZZI, Andrea
Palazzo Gozzani di San Giorgio a Casale, tesi
dattiloscr., Torino, Politecnico di Torino, I
Facoltà di Architettura, a.a. 2001-2002
Cantoira
T EPPA, Claudia
Credenze e tradizioni orali a Cantoira nelle Valli
di Lanzo, tesi dattiloscr., Torino, Università
degli studi - Facoltà di Scienze della formazione, a.a. 2001-2002
Castellazzo Bormida
M ORETTI, Cristoforo
Catalogo di edilizia ecclesiastica nel territorio di
Castellazzo Bormida, Alessandria, Boccassi,
2001
Carmagnola
Castelnuovo Scrivia
CAPELLO, Mario
Patrimonio figurativo nelle chiese di Carmagnola
nel XVII secolo, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia,
a.a. 2000-2001
GHIETTI , Nicola
Con passione e con tenacia: i 150 anni della Società operaia di mutuo soccorso “Francesco Bussone”
di Carmagnola, Torino, Fondazione centro per
lo studio e la documentazione delle società di
mutuo soccorso, 2002
La libreria dei Gesuiti di Castelnuovo Scrivia: il
fondo cinquecentine: storia e catalogo, a cura di
Luisa DAMONTE , Tortona, Antichi & rari,
2001
Cavour
* PEYRON, Giovanni
Cavour: notizie storiche in breve sintesi, Cavour,
[s.n.], 1991
* PEYRON, Giovanni
Cavour: parrocchia chiese campestri: origine e sviluppo dall’anno 400 al 1800: notizie da documenti
inediti, Cavour, [s.n.], 1991
* PEYRON, Giovanni
Cavour rocca e popolo: etimologia ed avventura del
nome nella storia del luogo: studio storico-linguistico, Cavour, [s.d.], 1989
* PEYRON, Giovanni
Jeanne Marie de Trecesson, marchesa di Cavour,
1659, Trecesson, dicembre 1634 - Parigi, marzo
1677: fasti e nefasti alla Corte Sabauda di Torino
del Duca Carlo Emanuele II, Cavour, [s.n.],
1990
* PEYRON, Giovanni
Marchesato di Cavour: feudo contestato: avvenimenti storici narrati da documenti originali inediti:
ricerca e studio, Cavour, [s.n.], 1990
Casale Monferrato
Carlo Alberto, re dell’emancipazione, a cura di
Dionigi ROGGERO e Giulio BOURBON, con il
contributo della Regione Piemonte, Casale
Monferrato, Museo d’arte e storia antica
ebraica, 2001, Catalogo delle mostre tenutesi
a Casale Monferrato: 150° dell’emancipazione degli Israeliti (29 marzo 1848); Della difesa di Casale, purim dei Tedeschi (24-25
marzo 1849)
CASTELLI, Attilio - ROGGERO , Dionigi
Il Duomo di Casale Monferrato, Casale Monferrato, Fondazione Sant’Evasio, 2001
GRIGNOLIO, Idro
100 anni di Politeama, introduzione (ricordi?
confessioni? reminescenze metafisiche?) di
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marzo 2003
I nostri libri
Centallo
VAI, Valeria
Per un’edizione critica degli Iura comunitatis Centalli (metà XVI secolo), tesi dattiloscr., Milano,
Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2000-2001
dei quattrocento anni dall’infeudazione di Collegno a Giovanni Francesco Provana, poi Gran cancelliere di Savoia: Castello di Collegno, 11
settembre 1999, [S.l., s.n.], 2001
M AIDA, Bruno
Prigionieri della memoria: storia di due stragi della Liberazione, Milano, Angeli, 2002
Cherasco
Cortandone
TARICCO , Bruno
Cherasco medievale: per un inventario del patrimonio storico-artistico medievale di Cherasco, Cherasco, Comune di Cherasco, 2001
Cortandone: immagini d’altri tempi, a cura di Laura Sabrina P ELISSETTI, Cortandone d’Asti,
Comune di Cortandone d’Asti, 2001
Costigliole d’Asti
Chieri
P RUNOTTO, Paolo
Le antiche associazioni religiose di Costigliole
d’Asti, [S.l.], La commerciale, 2002
CANAVESIO, Walter
I progetti di Bernardo Antonio Vittone per l’organo
della chiesa di Sant’Andrea a Chieri, in Studi piemontesi, 2002, vol. 31, fasc. 1, p. 109-114
SAVARINO, Ermanno
Antonio Bosio e le sue fonti testimoni del patrimonio storico-artistico di Chieri perduto o disperso,
tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi
- Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2001-2002
TEDESCO , Vincenzo - NAVIRE, Michelangelo
Il cinquecentesco arco di piazza nell’illustre città di
Chieri: memoria storica, Chieri, Associazione
Carreum Potentia, 2002
Crevacuore
ORSI, Alessandro
Un paese in guerra: la comunità di Crevacuore tra
fascismo, resistenza, dopoguerra, Borgosesia,
Istituto per la storia della resistenza e della
società contemporanea nelle Province di Biella e Vercelli “Cino Moscatelli”, 2001
Galliate
* Il castello di Galliate nella storia del Borgo, testi
Cirié
di G. ANDENNA … [et al.], Galliate, Comune
di Gallliate, 1996
* Gaja spitascià, a cura di Angelo BELLETTI …
[et al.], Novara, La moderna, 1984-1993, 3 v.
+ 2 audiocassette
Vol. I: Grammatica ed antologia del dialetto galliatese
Vol. II: Antologia di storia, folcore e dialetto galliatese
Vol. III: Vita e folclore galliatese
F ASSERO, Flavio
I coloranti di famiglia: strategia d’impresa e lavoratori in un’industria chimica in epoca fascista: il
caso dell’I.P.C.A. di Cirié (1922-1945), tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2000-2001
Coazze
Album di Coazze: immagini d’epoca in omaggio a
Luigi Pirandello, Torino, Enterprise, 2001
* MONTIFERRARI, Silvio
I piloni di Coazze: un patrimonio storico ed artistico da conservare, Borgone, Melli, 1999
Gassino Torinese
BOSCO, Carlo
Un paese una Società, una stretta di mano: 150
anni di storia della Società Operaia Agricola di
Mutuo Soccorso di Gassino Torinese: 1852 - 2002,
Gassino, Imagina, 2002
Collegno
La Casa Provana con particolare riguardo ai Provana di Collegno: atti del convegno nella ricorrenza
52
I nostri libri
marzo 2003
Grugliasco
‘900, Lanzo Torinese, Società Storica delle
Valli di Lanzo, 2000
B ONCI, Attilio
Bealere, mulini ed altri artifici: note di economia e
imprenditorialità a Lanzo dal Medioevo ai nostri
giorni: pagine di storia lanzese, Lanzo Torinese,
Società Storica delle Valli di Lanzo, 2001
* CINI , Monica
Saggio di lessicografia dialettale: le Valli di Lanzo, Lanzo Torinese, Società Storica delle Valli
di Lanzo, 1999
D ONNA D’OLDENICO , Adalberto
Celti ancora: tracce di cultura antica nelle Valli di
Lanzo, Lanzo Torinese, Società storica delle
Valli di Lanzo, 2001
GUGLIELMOTTO -RAVET , Bruno - P ERIOTTO,
Marino
Dalla villeggiatura alla clandestinità: presenze
ebraiche nelle Valli di Lanzo tra metà Ottocento e
seconda guerra mondiale, Lanzo Torinese, Società storica delle Valli di Lanzo, 2002
INAUDI, Giorgio - GUGLIELMINETTI, Giovanni
- SANTACROCE, Claudio
Viestess d’an bot: abito quotidiano e costume della
festa nelle Valli di Lanzo: immagini d’epoca, Torino, Il punto, 2001
JORIO , Piercarlo
Sapere di terra: la condizione femminile nelle Valli
di Lanzo e nel Piemonte alpino, Pavone Canavese, Priuli & Verlucca, 2002
M ORAGLIO, Massimo
Costruire il manicomio: storia dell’ospedale
psichiatrico di Grugliasco, Milano, Unicopli,
2002
Ivrea
* ACOTTO, Vasco
Lessolo: momenti di vita canavesana, Volpiano,
GP Editions, 2000
ASSOCIAZIONE
CANAVESANA
DI
STORIA
E
ARTE
Bollettino, Ivrea, Associazione di storia e arte
canavesana, 2001, n. 1
BERATTINO, Guglielmo
Traversella in Val di Brosso: storia di una comunità alpina nell’alta Valchiusella, Ivrea, Bardessono, 2002, 2 v.
* BERTOTTI, Luigi
La pianticella di canapa: signori antichi e usurpazioni nel Canavese del Medioevo, Cuorgné, Corsac; Ivrea, Bolognino, 2001
CAGLIANO, Ettore - SALUSSOLIA, Graziano
Alice Castello e la sua chiesa parrocchiale, Santhià, Grafica Santhiatese, 2002
Canaveis: rivista semestrale di natura, arte, storia
e tradizioni del Canavese e Valli di Lanzo, Castellamonte, Cumbe, 2002
Il Canavesano: rivista canavesana annuale,
Ivrea, Bolognino, 2002
FORNERIS , Guido
Romanico in terre d’Arduino, Ivrea, Bolognino,
2002
GIGLIO TOS , Savino A.
Ivrea nel XVII secolo, Castellamonte, Canaveis,
2002
OLTRE - Canavese, Valli di Lanzo, Provincia di
Torino, rivista bimestrale, Verolengo, Grafiche
Ambert
RAMELLA, Pietro
Canavesani tra libertà e cultura (sec. XVIII-XIX),
Ivrea, Bolognino, 2002
Manta
B ASSO, Paolo
La chiesa del castello della Manta, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà
di Lettere e Filosofia, a.a. 2001-2002
Mezzenile
* “Li pilon”: I piloni votivi di Mezzenile tra religiosità storia e leggenda, Mezzenile, Comune di
Mezzenile e Proloco, 1998
Moncalieri
Lanzo Torinese
L’opera e il tempo: le carmelitane scalze di Moncalieri a trecento anni dalla fondazione del loro monastero (1703-2003), a cura di Giampietro
CASIRAGHI, Moncalieri, Città di Moncalieri,
2002
* BARBARO, Marica - PARSANI M OTTI, Carla P OCCHIOLA VITER, Maria Teresa
Una fatica da donne: indagine sulla quotidianità
femminile nelle Valli di Lanzo tra fine ‘800 e metà
53
marzo 2003
I nostri libri
Mondovì
della resistenza e della società contemporanea
nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola
“Piero Fornara”, 2001
CAPRA, Gianfranco
Società ginnastica pro Novara: 1881-2001 stella
d’oro al merito sportivo, 120 anni di sport e di passione, [S.l., s.n.], 2002
D ESSILANI, Franco
I comuni novaresi: schede storiche, Novara, Interlinea, 2001
I fili della memoria, Novara, Comune di Novara, Istituto storico della resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola “Piero Fornara”, 2001, 1 v.
+ 1 videocassetta
COZZO, Paolo
Regina Montis Regalis: il santuario di Mondovì:
da devozione locale a tempio sabaudo, con edizione delle Memorie intorno alla SS. Vergine di
Vico, Roma, Viella, 2002
CUNIBERTI, Gianluca
Mondovì: guida-ritratto della città, Torino, Editris, 2002
Disegni e tipi diversi dell’Archivio storico del Comune di Mondovì, a cura di Alessandro
BRACCO , Mondovì, Città di Mondovì, 2002
L’età angioina (1260-1347), a cura di Rinaldo
COMBA, Giuseppe GRISERI, Giorgio M.
L OMBARDI, Cuneo, Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di
Cuneo, 2002
F ILI, Ettore
La Provincia di Mondovì nella seconda metà del
‘700: crisi dell’Antico Regime, occupazioni militari
e sommosse, Mondovì, NEI, 2001
M ORANDINI, Albino - B ERTONE, Renzo BILLO , Ernesto
Mondovì com’era nell’Otto-Novecento rione per rione, contrada per contrada, 3. ed. totalmente rifatta e ampliata con oltre 200 immagini
d’epoca dalla collezione di Gino Mondino,
Mondovì, Cooperativa editrice Monregalese,
2001
Le pietre della memoria: uno squarcio di storia
monregalese nelle lapidi e nei monumenti, a cura
degli
alunni
del
L ICEO
CLASSICO,
dell’ISTITUTO T ECNICO per GEOMETRI e del
L ICEO SCIENTIFICO-TECNOLOGICO, Mondovì,
Città di Mondovì, 2002
Novi Ligure
Arte figurativa nel Novese fra ‘800 e ‘900: ricerca
per una mostra, a cura di Dino MOLINARI,
Franco B ARELLA, Alberto BOSCHI, 2. ed., [S.l.],
Panorama, 2002
Luoghi, protagonisti, fatti ed animazione storica
della Battaglia di Novi,15 agosto 1799, [S.l., s.n],
2001
Novi Ligure, Ovada e ...: frammenti di Liguria
lontano dal mare, a cura di Maurizio SENTIERI,
Savona, Coop. tipograf., 2001
* Novinostra: 35 anni: indice generale, Novi Ligure, Società storica del Novese, 1995
T RAVERSO, Davide
Istruzione e sviluppo economico: l’istruzione primaria a Novi (1861-1914), tesi dattiloscr., Genova, Università degli studi - Facoltà di Economia e commercio, 2001
Oncino
Novara
* Oncino: Voù Recordàou, Oncino, Associazione
Voù Recordàou, 2000-2002, nn. 1-3
ANTONIONE, Lino Abele
Personaggi e ambienti della nostra “Bassa”, [S.l.],
Immagina, 2002
BELTARRE, Paolo - MOSSOTTI, Ruggero REDA, Alessandra
L’asilo San Lorenzo di Novara: un progetto di Luigi Cantoni (1934-1935), Novara, Interlinea,
2002
BRAGA, Antonella
Novara negli anni della guerra 1940-45: itinerari,
Novara, Comune di Novara, Istituto storico
Orbassano
BARBERIS , Pier Carlo - BRUNETTI , Piero ROLLE , Claudio
Coj ch’a marcio an prima fila son ij mort. Ij nòstri
mort ..., Borgone, Melli, 2002
BORGI, Anna - CALABRESE, Valeria
Buoni come il pane: la Società Anonima Cooperativa “Forno Operaio e Agricolo di Orbassano”, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2002
54
I nostri libri
marzo 2003
Pino Torinese
Storie d’acqua: il Consorzio della Bealera di
Orbassano, sec. XVI-XX: mostra documentaria:
Orbassano, 6-13 aprile 2002, a cura di Anna
BORGI e Valeria C ALABRESE, Orbassano, Comune di Orbassano, 2002
CHIRI P IGNOCCHINO, Elena
La molto magnifica comunità di Pino dalla fine del
medioevo all’età giacobina, Riva presso Chieri, Il
tipografo, 2001
Pinerolo
Piobesi d’Alba
BELTRAMONE, Luca
La Scuola di Cavalleria di Pinerolo nell’economia
urbana: tra passato e futuro, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Economia e commercio, 2001
CAFFARO, Remo
Pinerolo: ritratto, [S.l., s.n.], 2001
CAREGLIO , Walter - COLANGELO, Marta
Al tempo del grano, Pinerolo, Alzani, 2002
CAROSSIA, Danilo
Pinerolo: città e fortezza tra 1630 e 1690, tesi su
CD-ROM, Torino, Politecnico di Torino - I Facoltà di Architettura, 2001
C’era una donna che ...: figure femminili in campagna tra l’800 e il ‘900, a cura del GRUPPO
RICERCA P ISCINA , Pinerolo, Alzani, 2001
GARDIOL , Paola
L’amministrazione delle Opere Pie in Pinerolo tra
il XVIII e il XIX secolo, tesi dattiloscr., Torino,
Università degli studi - Facoltà di Giurisprudenza, 2001
Pinerolo nell’Ottocento: tra modernità e mondanità
da documenti e carte dell’Archivio storico, a cura di
Daniela FANTINO e Nadia MENUSAN, Pinerolo, Alzani, 2002, Catalogo della mostra tenuta
a Pinerolo il 18 e 19 maggio 2002
* PITON , Ugo Flavio
“Per pâ eisubliâ” (per non dimenticare), Perosa
Argentina, Grafica Valchisone, 1998
ROSSO, Antonino
50 anni di storia: i frati cappuccini ricordano i 50
anni del loro ritorno a Pinerolo, 1952-2002, [S.l.,
s.n.], 2002
Il Settecento religioso nel Pinerolese: atti del convegno di studi: 7-8 maggio 1999, a cura di Aurelio
BERNARDI ... [et al.], Pinerolo, Museo Diocesano, 2001
* Survey: Bollettino del centro studi e arte preistorica di Pinerolo, Pinerolo, Cesmap, 1993-1996,
anni VII-X
M OLINO, Baldassarre
Piobesi d’Alba: territorio e feudalità, Piobesi
d’Alba, Comune di Piobesi d’Alba, Sori, 2001
Rivalta Scrivia
Scripta manent: le pagine della memoria, [S.l.,
s.n.], 2001, Catalogo della mostra tenuta a
Tortona dal 10 marzo al 30 settembre 2001
Romagnano Sesia
F ECCIA, Livio
Ricordi del tempo di guerriglia, [S.l., s.n.], 2001
Saluzzo
GULLINO, Giuseppe
Gli statuti di Saluzzo (1480), Cuneo, Società
per gli studi storici, archeologici ed artistici
della Provincia di Cuneo, 2001
M OLA, Aldo Alessandro
Saluzzo: un’antica capitale, Saluzzo, Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo; Roma,
Newton & Compton, 2001
VILLANO, Sofia
Il duomo di Saluzzo: la ricostruzione storica dei
suoi antichi altari, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2000-2001
Savigliano
Assistenza e beneficenza in Savigliano: Orfanotrofio femminile, Ospizio di carità, Opera pia Pro Pueritia Saviglianese, a cura di Daniela B ACINO,
Savigliano, [s.n.], 2002
Superga
B ARBASIO, Alessandra – LAMONARCA NERVO,
Luisa
La casa sulla collina, Torino, CELID, 2002
55
marzo 2003
I nostri libri
Susa
San Salvario: un quartiere di Torino sorto a cavallo dell’unità d’Italia, ma già proiettato verso una
moderna economia liberale, [S.l., s.n.], 2001
CAZZULLO , Aldo
I torinesi da Cavour a oggi, Roma - Bari, GLF
editori Laterza, 2002
CERRINA, Maria
Piazza San Carlo tra ricerca d’archivio e cultura
popolare, tesi dattiloscr., Torino, Università
degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a.
2001-2002
La città e lo sviluppo: crescita e disordine a Torino:
1945-1970, a cura di Fabio LEVI e Bruno
M AIDA, Milano, Angeli, 2002
La città, la storia, il secolo: cento anni di storiografia a Torino, a cura di Angelo D’ORSI, Bologna,
Il Mulino, 2001
CREMONTE PASTORELLO DI CORNOUR , Anna
Pietro Piffetti mobiliere di Sua Maestà nella Pentecoste di San Filippo, Torino, Associazione
Immagine per il Piemonte, 2001
Archivio storico diocesano: fondo Confraternita dello Spirito Santo (1574-1980), fondo Confraternita
del SS. Nome di Gesù (1573-1976): inventario, a
cura di Laura GATTO MONTICONE, Susa,
[s.n.], 2001
Archivio storico diocesano: fondo Natalino Bartolomasi (1927-1999): inventario, a cura di Laura
GATTO MONTICONE, Susa, [s.n.], 2001
P OCCHIOLA VITER , Maria Teresa
Cotonifici ... a rotoli. La parabola dei Cotonifici
Valle Susa: memorie, donne e lavoro nelle valli torinesi nel Novecento, Torino, Angolo Manzoni,
2002
Torino
ACCORNERO , Cristina - DELLAPIANA , Elena
Il Regio Museo Industriale di Torino tra cultura
tecnica e diffusione del buon gusto, Torino, Crisis,
2001
L’altra Torino: Giovanni Guarlotti, la sua scuola e
il Circolo degli Artisti, a cura di Marzio
P INOTTINI e con la collaborazione di Marco
ALBERA, Moncalieri, Renaissance, 2001, Catalogo della mostra tenuta a Torino nel 2001
ANTONETTO , Roberto
Fréjus: memorie di un monumento, Torino [etc.],
Allemandi, 2001
BONADÉ BOTTINO, Vittorio
Memorie di un borghese del Novecento: l’avventura
di un pioniere dell’industria, a cura di Laura
L EPRI, Milano, Bompiani overlook, 2001
‘L borgh del füm: storia e memorie di Vanchiglietta, 4. ed. riveduta e ampliata da Gian Enrico
F ERRARIS, Torino, Graphot, 2001
Le botteghe a Torino: esterni e interni tra 1750 e
1930, a cura di Chiara R ONCHETTA, Torino,
Centro studi piemontesi, 2001
C’era una volta Mirafiori: viaggio negli archivi di
Mirafiori nord, testi di Anna B ORGI … [et al.],
Torino, Città di Torino, 2002
CASTRONOVO, Valerio
Torino: un’antica sapienza di lavoro, Torino,
Edizioni del capricorno, 2001
CASTROVILLI, Angelo - BIDDAU, Luca TERZOLO, Cristina
Torino zona nord: frammenti di storia della circoscrizione 6 , Torino, Calluna centro studi, 2001
CAVALLERO, Enza
Dalla A alla Zeta: alla scoperta di Torino tra
storia, grandi opere, trasformazioni, servizi e
iniziative della città, Torino, Città di Torino,
2001
D E L UCA, Augusto
Torino in controluce, con la ristampa del capitolo Torino (1871) dal volume Le tre capitali di
Edmondo De Amicis, Roma, Gangemi, 2001
Il disegno dei portici a Torino: architettura e immagine urbana dei percorsi coperti da Vitozzi a Piacentini, a cura di Dino C OPPO e Pia DAVICO,
Torino, CELID, 2001
GENINATTI S ATE, Nadia
La chiesa di Santa Chiara di Torino di Bernardo
Antonio Vittone, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2001-2002
M AIDA, Bruno
Dal ghetto alla città: gli ebrei torinesi nel secondo
Ottocento, Torino, Zamorani, 2001
M ARRAS, Mauro
Monaci mercanti & cow-boy: il Borgo della Crocetta tra storia e vita quotidiana, Torino, Opera,
2002
1946-2001: il Consiglio comunale di Torino
nell’Italia repubblicana, Torino, Città di Torino - Archivio storico, 2001
1946-1985: donne e governo della città: le elette nel
Consiglio comunale di Torino, a cura di Ersilia
56
I nostri libri
marzo 2003
Tortona
ALESSANDRONE
PERONA
e
Adriana
CASTAGNOLI, Torino, Città di Torino - Archivio storico, 2001
M IZZON, Marzia
Museo Nazionale del cinema di Torino: un esempio di allestimento, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Scienze della
formazione, a.a. 2000-2001
Progettare la città: l’urbanistica di Torino tra storia e scelte alternative, a cura di Vera COMOLI e
Rosanna ROCCIA, con i contributi di Rinaldo
COMBA ... [et al.], Torino, Città di Torino Archivio storico, 2001
* Quaderno del volontariato culturale, Torino,
Centro Servizi per il Volontariato, 2000, n. 1
ROGGERO , Giovanni
Borgata Rosa ... nella storia: fotografie ed appunti,
2. ed., Torino, [s.n.], 2001
ROSSOTTI , Renzo
Le piazze di Torino: tra storia, arte, personaggi e
curiosità rivive attraverso i suoi palcoscenici quel
fascino magico che rende il capoluogo piemontese
una delle città più suggestive nello scenario europeo, Roma, Newton & Compton, 2001
Soggetti e problemi di storia della zona nord-ovest
di Torino dal 1890 al 1956: Lucento, Madonna di
campagna e Borgo Vittoria, a cura del
L ABORATORIO DI RICERCA STORICA SULLA
P ERIFERIA URBANA DELLA ZONA N ORD-OVEST
DI TORINO, Torino, Università degli studi Facoltà di Scienze della formazione, 2001
T AMBURINI, Luciano
Le Chiese di Torino: dal Rinascimento al Barocco,
nuova edizione, Torino, Angolo Manzoni,
2002
Tra vecchie carte… esperienze didattiche negli archivi di scuole torinesi, a cura di Maria Luisa
P ERNA, Torino, Rete degli archivi della scuola,
2002
B ERRUTI, Tomeno
Cronaca di Tortona, edizione a cura di Sergio
Pagano, Tortona, [s.n.], 2001
R UBE, Ottavio
La porta aperta: vent’anni di “Valli unite”, a cura
di Manlio C ALEGARI, Milano, Selene, 2001
T ACCHELLA, Lorenzo
I Cavalieri di Malta nella storia di Voghera
(sec.XIII-XVIII), di Castelnuovo Scrivia, Tortona,
Pontecurone, Volpedo e Casei Gerola, Milano,
[s.n.], 2001
Il Tortonese: album del 2° millennio, a cura di
Ettore CAU, Franco FAGNANO , Valeria
M ORATTI, Tortona, Rotary Club Tortona,
2001
Vercelli
FERRARI, Miriam Clelia
L’ospedale di S. Brigida o degli Scoti nella storia
di Vercelli medievale (secoli XII-XIV), Vercelli,
[s.n.], 2001
1899: ritorno dei Domenicani a Vercelli: occasione
per una memoria, Vercelli, Saviolo, 2002.
QUARANTA, Flavio
Contributo alla storia dell’Assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro a Vercelli : dalle origini alla vigilia della prima guerra mondiale (1898-1914),
Roma, INAIL, 2002
SASSONE, Irmo
Il vercellese in movimento ..., Torino, A.L.I. penna d’autore, 2001
Vezza d’Alba
La Madonna dei Boschi di Vezza d’Alba, di
Walter ACCIGLIARO … [et al.], a cura di
Baldassarre MOLINO, [S.l.], Astisio; Vezza
d’Alba, Biblioteca Comunale, 2001
57
marzo 2003
I nostri libri
Per una migliore comprensione dei servizi offerti dal Servizio Bibliotecario Nazionale
sopra citato, riportiamo alcuni passi tratti dal sito www.sbn.it.
Il Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN) è la rete delle biblioteche italiane promossa
dal Ministero per i beni e le attività culturali con la cooperazione delle Regioni e
dell’Università. Aderiscono a SBN biblioteche statali, di enti locali, universitarie, di accademie ed istituzioni pubbliche e private operanti in diversi settori disciplinari.
SBN è una rete il cui fine è l’erogazione di servizi agli utenti. Obiettivo comune è quello di superare la frammentazione delle strutture bibliotecarie, propria della storia politico-culturale dell’Italia, per fornire un servizio di livello nazionale che si basi sulla gestione di un catalogo collettivo in linea e sulla condivisione delle risorse ai fini
dell’accesso ai documenti.
Le biblioteche che partecipano a SBN sono raggruppate in Poli locali; i Poli sono a loro
volta collegati al sistema Indice SBN, nodo centrale della rete, che contiene il catalogo
collettivo delle biblioteche della rete.
SBN è un servizio accessibile a tutti. Le basi dati Libro moderno, Libro antico e Musica,
riversate in un unico archivio OPAC SBN (accessibile 24 ore su 24), sono consultabili
in Internet nelle due versioni http://opac.sbn.it e http://sbnonline.sbn.it. Le singole
basi dati sono tuttora consultabili sull’Indice SBN in modalità TN 3270.
OPAC è la sigla di On line Public Access Catalogue, ossia catalogo in linea accessibile pub blicamente.
L’OPAC SBN è il catalogo collettivo delle biblioteche italiane che hanno aderito al Servizio Bibliotecario Nazionale. Il progetto è nato con il fine di rendere più largamente e
facilmente accessibili le basi dati dell’Indice SBN costituendo una base dati orientata
all’utenza, facile da usare e interoperabile. Fornisce l’accesso alle notizie bibliografiche
che sono scaricate periodicamente dalle basi dati dell’Indice SBN Libro moderno, Libro
antico e Musica.
Librinlinea (http://www.regione.piemonte.it/opac/) è lo strumento di ricerca su Internet sul catalogo del polo piemontese del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN) per:
• interrogare il catalogo collettivo delle biblioteche piemontesi (OPAC)
• accedere ai servizi bibliografici
• richiedere la circolazione dei documenti o delle riproduzioni su base regionale
• connettere i dati dell’indice nazionale ed attivare il prestito interbibliotecario
su base nazionale
• richiedere l’iscrizione a una biblioteca
• controllare la propria situazione di utente
• proporre acquisti di nuovi libri
Il catalogo contiene i documenti (libri, periodici, manoscritti, spogli) pervenuti nelle biblioteche dalla data della loro adesione a SBN, i periodici correnti e cessati e il risultato
di lavori straordinari di catalogazione. Sono inoltre presenti le informazioni sui documenti ordinati.
58
Notizie dalle Associazioni
marzo 2003
Gruppo Archeologico Canavesano
(1972-2002)
Foto di gruppo del G.A.C. (gennaio 1978); da destra: G. Vachino, C. Perinetti, P. Ramella, F. Quaccia,
E. Dalmasso, G. Berattino, A. Barbarini, G. Settime, S. Bradaschia, G. Ravera, I. Vignono, G. Quacchia, G. Quacchia, P. Quacchia, A. Berattino, A. S. Vachino, G. Gamba, M. Rosotto, M. Bruno, M. Rosotto, A. Ramella, P. Ramella, M. Ramella, M.G. Knirsch, L. Bradaschia, F. Knirsch, G. Rezza, W. Rezza (foto G. Bruno).
Per non dimenticare e per i giovani, riportiamo di seguito i loro nomi: geom. Alberto Barbarini, Paolo Bonino, Pietro Casale, col. Enrico Dalmasso, ing. Ezio De Padova, Renata
Frison Zanello, Domenico Fiò, Andrea Gasparini, Luigi Marino de Sanctis, Francesco
Mondino, ing. Guglielmo Quacchia, Giovanni Settime, Bruno Selis, dr. Pietro Venesia,
can. Ilo Vignono.
Le campagne di ricerca e i ritrovamenti più significativi realizzati sono stati:
– Acquedotto di Eporedia.
– Pons Maior di Eporedia.
– Anfore romane.
– Tomba romana sulla Bessa.
– Tombe romane a Ivrea, bivio S. Giovanni.
– Are romane.
– Macine antiche sulla Dora, a Ivrea.
– Acquedotti antichi – fistule in cotto.
Nell’autunno 1972 un piccolo nucleo di appassionati dava vita ad una ricerca sulle colline a nord di Ivrea, per individuare e documentare il tracciato sotterraneo dell’acquedotto
della romana Eporedia.
Da questo progetto si sviluppò il Gruppo
Archeologico Canavesano, con sede a Pavone,
in via Dietro Castello 50, con il sostegno culturale dei Gruppi Archeologici d’Italia. La
sede veniva poi trasferita nel 1980 a Ivrea, in
via Macchieraldo 8/a.
Durante questi trent’anni hanno aderito ed
operato nell’associazione oltre 150 soci. In
questo lungo ed affascinante cammino, ricco
di cultura e di valori umani, abbiamo perso
diversi amici, persone che come noi credevano nelle attività culturali di volontariato
come servizio civile per la crescita della comunità.
59
marzo 2003
Notizie dalle Associazioni
– Ricognizioni e studi sulle Chiuse.
– Ricognizioni e studi sulla Paraj Auta (Monte Appareglio, Pavone Canavese) a partire
dal 1976. Campagne di scavo nell’area del
laghetto autorizzate dalla Soprintendenza
Archeologica del Piemonte (coordinamento
dr. F.M. Gambari), durante le estati 1999,
2000 e 2001.
– Scoperta e salvataggio di 2 statue-stele eneolitiche da Tina (Vestignè), prime testimonianze archeologiche del genere trovate in
Piemonte.
L’attività del G.A.C. ha inoltre coperto altre
aree d’interesse culturale: mostra “Preistoria
in Canavese” (32 tavole); mostra “Eporedia,
100 avanti Cristo” (18 tavole); studi e pubblicazioni1 ; conferenze pubbliche; lezioni e visite guidate a favore di studenti e docenti; parteciapazione a convegni di studio.
Nell’ambito delle nostre attività di carattere
archeologico e culturale due nostri soci hanno
conseguito la laurea in lettere, con indirizzo
archeologico2; inoltre è nata Archeonews,
news-letter periodico del G.A.C. dal 1° marzo
1994.
Anche Sopra e Sotto Terra, Rivista canavesana
di archeologia e scienze del territorio (dal
1999, ora al terzo numero) è nata
nell’ambiente culturale della nostra associazione.
–
–
–
–
–
–
–
Le cloache di Eporedia.
Asce di pietra e di bronzo.
Armilla gallica (2a età del Ferro) .
Punta di lancia di bronzo.
Menhir di Lugnacco.
Stele di Tina.
Ricognizioni sul territorio del Canavese,
con ricupero di reperti archeologici: utensili
di quarzite, selce, macine, macinelli, pesi
per telaio, pesi per reti da pesca, frammenti
di terracotta e ceramica (età preistorica,
protostorica e romana); mattoni, embrici,
tegulae di epoca romana; frammenti di vasellame vitreo e fittile di epoca romana; resti di palafitte; frammenti di anfore.
– Ritrovamenti effettuati nelle seguenti località e relativi territori: Ivrea, Montalto
Dora, Fiorano, Lessolo, Alice Superiore, Lugnacco, Drusacco, Traversella, Vistrorio,
Tavagnasco, Bienca, Caravino, Vestignè, la
Bessa, Strambino, Romano, Pavone, Perosa, San Martino Canavese, San Giovanni,
Torre, Vialfrè, Villate, Mercenasco, Carrone.
– Ricognizioni sul territorio del Canavese,
con scoperta di incisioni rupestri: coppelle,
canalette, antropomorfi…
Ritrovamenti in Valchiusella, Fiorano
(Cordola), Lessolo, Loranzè Piano, Pavone,
S. Giovanni-Torre Canavese, Bienca (masso con polissoir), la Bessa, Bech Renon
(Quincinetto), conca di Scalaro, castello di
Castruzzone.
1
2
Gruppo Archeologico Canavesano
Collaborazioni alle Riviste “Archeologia”, Roma e “Archeologia-Uomo-Territorio”, Milano.
Ramella P., (a cura di), Archeologia in Canavese, Ivrea 1980.
Ramella P., Alla ricerca dell’uomo antico in Canavese, Ivrea 1983.
Ramella P., Archeologia in Piemonte e Valle d’Aosta, Ivrea 1985.
Ramella P., Archeologia e Museo, Ivrea 1988.
Ferrero I., Passeggiate archeologiche in Canavese e Valle d’Aosta, Ivrea 1994.
Ramella P., Eporedia, Ivrea 1995.
G.A.C., Le Chiuse – presenze barbariche tra Ivrea e Vercelli, Ivrea 1998.
Ramella P., Ecomuseo in Ivrea e Canavese, Ivrea 1998.
Ramella P., Eporedia, 100 avanti Cristo, Ivrea 2001.
Ferrero Ivo, Le Alpi Graie e Pennine nel loro versante padano in età preromana, Università di Torino, 1987.
Rubat Borel Francesco, Insediamenti celto-liguri d’altura nell’Italia nord-occidentale tra l’età del Bronzo finale e l’età del Ferro: il caso del Monte Appareglio, Paraj Auta, Università di Torino, 2000.
60
Notizie dalle Associazioni
marzo 2003
Torino non a caso: un itinerario nelle
Società di Mutuo Soccorso
L&M in collaborazione con la fondazione
“Centro per lo studio e la documentazione
delle Società di Mutuo Soccorso” parteciperà
all’edizione 2003 di “Torino non a caso”, organizzata anche quest’anno dalla Città di Torino.
Titolo dell’itinerario proposto è “Lungo le
strade delle Società di Mutuo Soccorso” e prevede una visita a quattro associazioni tuttora
esistenti.
Le date fissate per le due edizioni sono sabato
20 settembre e sabato 18 ottobre.
Gli accompagnatori saranno Diego Robotti,
presidente di L&M, e Renata Allio, docente di
Storia Economica dell’Università di Torino,
entrambi studiosi della storia delle Società di
Mutuo Soccorso piemontesi.
Chi volesse parteciparvi può telefonare nella
seconda metà di aprile a “Vetrina per Torino”,
piazza S. Carlo 159, telefono verde 800 015
475, oppure 011 443 9040.
Qui di seguito la descrizione dell’itinerario.
Al momento del ritrovo in piazza Vittorio
Veneto e nel corso della trasferta (su apposito autobus) alla Società cooperativa
di mutuo soccorso di Superga (via Superga, 60) verranno illustrate da parte di due
docenti universitari le vicende delle Società di mutuo soccorso (con inquadramento del contesto storico-sociale nel quale
esse sorsero e si svilupparono), con distribuzione ai partecipanti di un opuscolo relativo alla storia del mutualismo e in particolare del mutualismo torinese. Giunti a
Superga, breve presentazione della Società (fondata nel 1881) a cura delle autrici
del volume La casa sulla collina, che verrà
offerto in dono ai partecipanti.
Successivamente, trasferimento a Reaglie,
presso la sede dell’Unione operaia famigliare (corso Chieri, 124), istituita nel
1911; incontro con un rappresentante della Società che provvederà a illustrarne le
vicende e successiva partenza alla volta
della Società di mutuo soccorso Edmondo
De Amicis (corso Casale, 134), fondata
nel 1919. Anche qui un rappresentante
del sodalizio offrirà una panoramica storica e presenterà un breve filmato relativo
alla vita associativa nel secondo dopoguerra.
Infine, partenza per l’ultima tappa del
percorso: la Società Borgo Po e decoratori
(via Lanfranchi, 28), istituita nel 1935 in
seguito alla fusione di due Società preesistenti. Anche in questo caso un rappresentante della Società ne narrerà le vicende, facendo omaggio ai partecipanti di un
opuscolo informativo.
Nel corso di ciascuna sosta sarà possibile,
presso ciascuna sede, osservare documenti, fotografie e cimeli conservati nei rispettivi archivi.
La città di Torino era un tempo costellata
di sedi di Società di mutuo soccorso grandi e piccole che fiorirono soprattutto nelle
barriere operaie. Dopo aver assolto
nell’Ottocento al loro scopo primario di
mutua assicurazione dalle malattie, queste associazioni sono rimaste vitali come
centri di socializzazione e cooperative di
consumo. Alcune sono sopravvissute al
fascismo e sono giunte fino ai nostri giorni, mantenendo le sedi originarie che ci riportano - insieme ai loro archivi storici,
alle loro antiche bandiere e ai loro cimeli alle origini del movimento operaio.
L’itinerario prevede un percorso di visita a
quattro associazioni ancora esistenti, tutte localizzate sulla sponda destra del Po.
61
marzo 2003
Recensioni
Storie d’acqua: i cinquecento anni
della Bealera di Orbassano
?
La regolarità dell’approvvigionamento idrico,
necessaria prima di tutto per l’irrigazione, fu
assicurata solo con impegnative opere di canalizzazione. Non essendo disponibili le moderne tubazioni in grado di reggere forti pressioni, si era costretti a imbrigliare il corso di
grandi fiumi con delle chiuse che alimentavano le “prese” dei canali di derivazione.
d.r.
: mostra documentaria: Orbassano, 6-13 aprile 2002, Orbassano,
Comune di Orbassano - L&M, 2002, a cura di
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Recensioni
marzo 2003
Buoni come il pane: la Società Anonima
Cooperativa “Forno Operaio e Agricolo di
Orbassano”
no, nel 1917) oppure ci si imbarcava con un
biglietto di terza classe su un transatlantico
per le Americhe.
Il Forno Operaio e agricolo si forma per volontà dei contadini-operai di Orbassano che
non intendono sottostare alle imposizioni dei
panificatori e vogliono continuare a cuocere
le loro farine, prodotte macinando il loro grano. Una testardaggine encomiabile: nulla sapevano quei lavoratori di mondializzazione e
di “popolo di Seattle”, ma visti oggi ci appaiono così moderni. Adottando una forma giuridica nuova, una cooperativa di tipo misto (tra
produzione e consumo) riproponevano
l’antica tradizione dei forni di borgata, autogestiti a rotazione dai frazionisti, diffusi
fin dal Medioevo nelle nostre campagne.
L’archivio storico del Forno è lo strumento
per riscoprire questa storia niente affatto
minore, la storia di un “sogno” (facciamoci il pane da noi, col nostro frumento) che
riesce a concretizzarsi e soprattutto a vivere, giorno dopo giorno, così a lungo. Il merito va ad Anna Borgi e Valeria Calabrese
che ne hanno pazientemente e sapientemente riordinato e inventariato i documenti. Grazie a loro si rende disponibile,
per chiunque lo voglia consultare e studiare, un patrimonio documentario di notevole valore storico. La memoria
dell’associazione, finora affidata ai ricordi
dei soci più anziani, ci viene restituita, perfettamente leggibile, e si sviluppa nella
continuità delle norme statutarie delle assemblee sociali, dei contratti di gestione e
dei rendiconti contabili.
Qualcuno potrà pensare, aprendo l’inventario
dell’archivio del Forno Operaio e Agricolo di
Orbassano, che si tratti di un vicenda minore,
piccola piccola, lontana anni luce dalla grande
Storia. E invece nei quindici lustri di vita di
questa associazione si possono cogliere alcuni
nodi di interesse generale, se non altro per la
storia dei lavoratori italiani nel Novecento.
Innanzitutto il pane, la ragione per cui il Forno nacque, rappresenta un risultato molto
concreto, la base dell’alimentazione operaia,
non un opzionale accompagnamento dei cibi,
come oggi. Al tempo stesso un alimento carico di valore simbolico. Per il pane, allora, si saliva sulle barricate (come anni prima, a Tori-
d.r.
B ORGI, Anna - C ALABRESE, Valeria, Buoni
come il pane: la Società Anonima Cooperativa
“Forno Operaio e Agricolo di Orbassano”, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2002
Casetti. Particolare del portale.
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marzo 2003
Torre Pietra. Facciata Nord: si notino le quattro
aperture, una diversa dall’altra.
Torre Pietra.
I tre portali della facciata Nord.
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Le fotografie pubblicate su questo numero della rivista L&M sono di:
WALTER CAVORETTO di Cuorgné, per le immagini relative alle Case-forti;
ELIO BLESSENT (pag. 52);
GIUSEPPE BRUNO (pag. 59);
PIER ANGELO PIANA (pag. 5, 6, 7, 8, 9).
In copertina: casa-forte di Servino, in Val Soana.
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Anno V, n. 5 - L&M - I luoghi e la memoria