Chi siamo L&M - i Luoghi e la Memoria - associazione dei ricercatori di storia locale del Piemonte - è nata il 28 marzo 1998 ed è iscritta al Registro regionale del Volontariato. L&M ha lo scopo fondamentale di : - favorire la ricerca storica locale e valorizzare il patrimonio culturale esistente sul territorio piemontese. promuovere l'istituzione di Centri di Documentazione Storica Locali, strutture pubbliche al servizio della collettività. L&M svolge una funzione di servizio per tutti coloro che si occupano di ricerca storica locale (gruppi informali, associazioni formalmente costituite, singoli studiosi) perciò: - offre collegamento ed informazione a gruppi, associazioni e singoli - pubblica una rivista - sta per aprire un sito internet - organizza convegni a tema e seminari - censisce i gruppi, le associazioni e i singoli operanti nel campo della ricerca storica locale in Piemonte - promuove tra tutti gli interessati la formulazione di una proposta di legge regionale istitutiva dei Centri di Documentazione Storica Locali - promuove il coordinamento di iniziative sul territorio Per far fronte ai costi delle attività di servizio L&M si basa su contributi della Regione Piemonte e di eventuali altri enti pubblici, sulle quote associative e su auspicabili contributi di privati. Chiunque si occupi di storia locale è invitato ad associarsi, sia come singolo, sia come rappresentante di un gruppo. Comitato direttivo di L&M Diego Robotti - Presidente Milena Gualteri Tarsia - Vice-Presidente e Segretaria Francesco Lucania - Tesoriere Valeria Calabrese Feliciano Della Mora Giampaolo Fassino Simona Gianoni Gino Giorda Silvio Montiferrari Pietro Ramella Dario Seglie tel. 011 7495256 tel. 011 9989225 tel. 011 8191140 tel. 011 6611418 tel. 011 5807843 tel. 011 9874644 tel. 0321 863820 tel. 0124 515187 tel. 011 9340648 tel. 0125 51130 tel. 0121 58050 Redazione della Rivista L&M Pietro Ramella (coordinatore) - Valeria Calabrese, Feliciano Della Mora, Francesco Lucania, Silvio Montiferrari, Diego Robotti. Rivista di L&M - Associazione dei ricercatori di storia locale del Piemonte Anno V, n. 5 - marzo 2003 marzo 2003 Sommario Storie di turismo in Piemonte, Diego Robotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Drovetti, Botta, Palma di Cesnola: archeologi subalpini dell’Ottocento, Pietro Ramella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Pirandello e il Piemonte, Silvio Montiferrari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 La tenuta degli inventari d’archivio in Val Susa nella seconda metà del secolo XVIII, Davide Monge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 Le case-forti delle Valli Orco e Soana, Angelo Paviolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Festa Rurale a Coazze il 19-20 ottobre 2002, s.m. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 Sulle tracce del documento: una base di dati bibliografici. . . . . . . . . . . . . . . . . 47 Ricerca bibliografica su alcuni comuni piemontesi: un primo esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 Notizie dalle Associazioni Gruppo Archeologico Canavesano (1972-2002) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 Torino non a caso: un itinerario nelle Società di Mutuo Soccorso . . . . . . . . . . 61 Recensioni Storie d’acqua: i cinquecento anni della Bealera di Orbassano, d.r. . . . . . . . . . 62 Buoni come il pane: la Società Anonima Cooperativa “Forno Operaio e Agricolo di Orbassano”, d.r. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 Storie di turismo in Piemonte Un convegno sulla storia (le diverse storie) del turismo locale tra Ottocento e Novecento Torino, Archivio di Stato, 11 ottobre 2003 tentare di (ri)scoprire quando (e come) i vari luoghi piemontesi siano divenuti mete turistiche. Siamo convinti che tanti comuni, vallate e comprensori abbiano avuto un loro singolare passato turistico, la cui memoria si è purtroppo offuscata. Nella seconda metà del Novecento l’azione combinata dello spopolamento da un lato, e della disordinata edificazione di seconde case dall’altro, hanno fatto dimenticare la frequentazione da parte di villeggianti Tre anni fa, a Cavour, L&M ha organizzato una giornata di studi sul tema “Ricerca storica e sviluppo turistico”, un primo incontro tra ricercatori storici, amministratori pubblici e operatori del turismo, nella convinzione che la storia locale costituisca valore aggiunto dell’offerta turistica. Gli atti sono stati pubblicati nel Notiziario di L&M (n.3, ottobre 2000). Proseguendo in quel filone d’interesse, il prossimo autunno vorremmo offrire un’occasione di confronto tra studiosi per 1 marzo 2003 o gitanti nei decenni precedenti. Riscoprire tali vocazioni può offrire utili suggestioni a chi si occupa di rilancio turistico locale. La conoscenza del pregio di un territorio ne favorisce la valorizzazione in chiave meno scontata e ripetitiva e può rappresentare uno stimolo verso la diversificazione delle proposte turistiche. Gli esempi e i temi che si possono richiamare sono molteplici. Accenniamo alle principali tipologie di fruizione turistica che il territorio della nostra regione ha conosciuto e che ci piacerebbe approfondire, ma siamo aperti ad accogliere contributi diversi e, perché no, inaspettati. siosi di riguadagnare il tempo perduto, i lavoratori si dedicavano con entusiasmo alla scoperta della montagna, dando vita a gruppi escursionistici, edificando case alpine e rifugi. L’interesse per l’ambiente montano nascono i parchi e le zone protette: è un modo nuovo di accostarsi alla montagna, non più solo “sport” ma anche occasione di contatto con una natura incontaminata. Luigi Pirandello in Val Sangone, Benedetto Croce, a Pollone, e mille altri casi simili: anche i letterati andavano in vacanza e spesso si affezionavano talmente ad un luogo di villeggiatura da trasfonderne il ricordo nelle loro opere. Il turismo letterario vive oggi una stagione di straordinaria popolarità, ma sono ancora molte le località da riscoprire con gli occhi e nelle memorie degli scrittori che li apprezzarono. Dal Cuneese all’Ossola, il Piemonte è ricchissimo di fonti termali che hanno vissuto la loro età dell’oro tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta. Intorno alle terme si svilupparono alberghi e luoghi di loisir. Sorsero parchi e passeggiate attrezzate rivolti ad un pubblico medio-alto le cui vestigia, spesso di notevole valore architettonico e paesaggistico, narrano i fasti di una dimenticata belle époque. Verbano e Orta: all’inizio del ‘900, sull’onda della fama dei laghi svizzeri nasceva sulle sponde dei laghi lombardi e piemontesi la prima Hôtellerie di livello internazionale. Ma anche Avigliana, Viverone, Candia, Mergozzo e tanti altri laghi “minori”, che per la loro posizione non entrarono nel circuito turistico internazionale, ma che videro le loro sponde popolate da un turismo borghese residenziale e da folle di gitanti operai. Dalla fine dell’Ottocento, anche grazie alla facilità dei collegamenti ferroviari, gli alpinisti piemontesi conquistarono le loro prime vette nelle Valli di Lanzo e di Susa, in Valsesia, nell’Ossola. Al seguito dei pionieri della piccozza, la montagna divenne una “moda” praticata dai ceti benestanti, che si accontentavano di soggiornare a quote più raggiungibili, emulando i turisti inglesi e francesi che già avevano fatto la fortuna delle stazioni alpine svizzere. Tra le due guerre ai borghesi si affiancarono i ceti popolari. L’alpinismo si trasformò da fenomeno elitario in associazionismo di massa, sia nell’ambito delle tradizionali organizzazioni (sezioni C.A.I.) sia in altre associazioni a base aziendale, parrocchiale, comunale: an- Fino alla metà dell’800 la villa o la “vigna” – azienda agricola e residenza secondaria da godere nella stagione calda - rimase un lusso riservato ad una ristretta élite di benestanti. Poi il ceto medio prese a considerare il casale di campagna o collinare non più soltanto come un investimento immobiliare, ma anche come un’occasione di ameno soggiorno per la famiglia. Le Langhe e il Monferrato, ma anche la Serra e tutte le Prealpi furono disse- 2 marzo 2003 minate di residenze estive più o meno pretenziose. In treno, in corriera, in bicicletta o anche a piedi: il Novecento è il secolo dei mezzi di trasporto per tutti. E tutti ne approfittano non appena possibile: prima della moda dei week-end fuori città e della motorizzazione di massa, ci fu la scampagnata in corriera con il pranzo al sacco. Le occasioni non mancavano: fiere, sagre e feste patronali. Diego Robotti Presidente di L&M e-mail: [email protected] La qualità della ristorazione nella nostra regione ha tradizioni antiche. Le più rinomate trattorie sorgevano nei luoghi di mercato, in particolare del bestiame, ma in seguito la fama dei ristoratori si diffondeva a tal punto da attirare gli avventori più accorti anche nei giorni di festa. La trattoria famosa diveniva così un luogo di appuntamento per i gourmands, che affrontavano il viaggio al solo scopo di assaggiarne le ghiottonerie. Casa-forte di Pertia, edificio superiore. In primo piano, un masso con coppelle. 3 marzo 2003 Casa-forte di Pertia, edificio inferiore con tetto sfondato (1992). Casa-forte di Pertia, i due edifici accostati, lato occidentale (1992). 4 marzo 2003 Drovetti, Botta, Palma di Cesnola archeologi subalpini dell’Ottocento Immagine allegorica sulla campagna archeologica in Egitto di Bernardino Drovetti. giovani amanti dell’avventura ed attratti dal mondo antico hanno aperto la strada alla scoperta di città e di mondi perduti. Le tecniche di scavo archeologico nell’Ottocento erano primordiali; perciò le campagne condotte allora, sotto l’aspetto scientifico, sono state dannose. Lo stesso dicasi delle campagne relative alla scoperta di Troia di Heinrich Schliemann, anche se va a suo merito aver provato la storicità del mondo omerico e di aver rivelato la civiltà minoico-micenea con gli scavi nell’Argolide. Dobbiamo però riconoscere che questi pionieri dell’archeologia hanno aperto la strada alle scoperte, con l’evoluzione successiva man mano, delle tecnologie di scavo stratigrafico e lo sviluppo scientifico nell’analisi degli strati e dei reperti rinvenuti. Nel 2002 si è celebrato, tra gli altri anniversari, il 150° dalla morte di Bernardino Drovetti, illustre egittologo di Barbania. L’evento ci fornisce lo spunto per parlare dello sviluppo che, a seguito del secolo dei lumi e della Rivoluzione Francese, ebbe nell’area subalpina l’archeologia. In particolare tre sono i protagonisti, nati in questa piccola terra ai piedi delle Alpi, il Canavese. La loro avventura umana, in Europa, Africa e America del Nord, servirà alla nascita o allo sviluppo di tre grandi Musei: il Museo Egizio di Torino, il Museo del Louvre di Parigi, il Metropolitan Museum of Art di New York. Ci riferiamo a Bernardino Drovetti (1776 – 1852), a Paolo Emilio Botta (1802 – 1870) ed a Luigi Palma di Cesnola (1832 – 1904). Questi 5 marzo 2003 In questo ambiente sociale e culturale, ricco di ideali libertari, di volontà di conquista, di scoperta del nuovo, si colloca l’avventura umana di Bernardino Drovetti. Nato nel 1776 a Barbania (Canavese) dal notaio Giorgio e dalla contessa Anna Vittoria Vacha, figlia di Francesco, senatore del Regno e conte di Barbania, dotato di particolare intelligenza, Bernardino a 18 anni si laurea in legge. Per seguire i suoi ideali libertari, nel 1796 inizia la carriera militare nelle armate napoleoniche. In varie campagne militari si distingue per il coraggio e a 25 anni è capo dello Stato Maggiore dell’armata napoleonica in Italia. Nel 1803 Napoleone lo invia in Egitto, con il compito di difendere gli interessi francesi, in contrasto con l’Impero Ottomano e con l’Inghilterra. Sino al 1815 Drovetti opera come Console di Francia e alla caduta di Napoleone resta in Egitto come privato. Dal 1821 viene reintegrato nell’incarico di Console e grazie alle capacità dimostrate in varie occasioni diventa il consigliere di fiducia del Kedivè egiziano Mohamed Alì e di suo figlio. Con l’impegno di Drovetti, l’Egitto attua innovazioni nell’esercito, sviluppa il corpo della marina , apre ospedali e scuole di medicina e di chirurgia, con l’intervento di esperti francesi e italiani chiamati dal console francese. Nel paese sono inoltre diffuse le vaccinazioni contro il vaiolo, il colera e la peste; sono apportate innovazioni nei settori dell’agricoltura e dell’industria, sono aperte battaglie contro la schiavitù e la pirateria. Meriti di Drovetti nel campo culturale sono le esplorazioni ardite nella Nubia sino alla seconda cateratta del Nilo (nel 1816) all’oasi di Dakhel (1818) e all’oasi di Sina, per scoprire il tempio di Giove Annone; essendo l’oasi abitata da popolazioni ostili, il Kedivè gli assegna una scorta di 2mila uomini, con alcuni pezzi di artiglieria. In oltre 15 anni di viaggi e di esplorazioni rischiose, con un impegno finanziario significativo, Drovetti forma una collezione archeologica prestigiosa di antichità egizie. Con l’autorizzazione del Kedivè, nel 1823 cede la collezione alla sua patria di origine, il Piemonte. Dal porto di Alessandria la grande collezione viene trasportata con navi a Livorno e poi a Bernardino Drovetti La Description de l’Egypte, opera monumentale composta da nove volumi di testo e da dieci volumi di tavole “in folia” e litografia (molte a colori), è la descrizione dell’Egitto dall’antichità all’inizio del 1800, ad opera della “Commission des Sciences et des Arts en Egypte”, voluta da Napoleone Bonaparte ed iniziata con la campagna militare d’Egitto del maggio 1798. Astronomi, orientalisti, ingegneri, naturalisti, tipografi e disegnatori, tra i migliori esperti di Francia, formano questo gruppo di 176 persone impegnate nello studio dell’Egitto. Da questo grande progetto culturale, sorto insieme alla volontà di conquista dell’Egitto da parte della Francia, nasce il modello di esplorazione archeologica su vasti territori, denominato oggi “survey”. Viene inoltre scoperta la Pietra di Rosetta, base per la lettura dei geroglifici e non ultima come importanza, si sviluppa la moda del collezionismo di reperti egiziani e la creazione di raccolte private e di Musei sull’Egitto nelle maggiori città europee. 6 marzo 2003 Genova. Di qui, con l’intervento dell’esercito piemontese, viene trasportata a Torino e depositata nel palazzo dell’Accademia delle Scienze. Drovetti fornirà poi una collezione minore al Museo del Louvre di Parigi e reperti egizi ai Musei di Berlino, Monaco di Baviera, Marsiglia e Genova. Nel 1829, stanco per l’intensa attività svolta, Drovetti lascia l’incarico di Console e rientra a Parigi; risiede a Versailles e presta attività saltuarie per il Ministero degli Esteri francese. Visita le principali capitali europee dove per le sue vaste conoscenze sull’antichità viene definito “un dizionario ambulante di archeologia”. Nel 1846 rientra nel suo paese natale, Barbania e trascorre gli ultimi anni in solitudine, poiché la moglie ed il figlio sono rimasti in Egitto. Bernardino Drovetti muore nel 1852, all’età di 76 anni. Nel suo testamento destina le sue rilevanti ricchezze ai poveri di Versailles e di Torino. no francese gli concede una sovvenzione e gli invia il Fiandrin, perché disegni i resti dell’antica civiltà, scoperti da Botta. E questi, nel 1846, invierà a Parigi, al Louvre, una importante collezione di antichità assire. Botta s’impegna anche in studi sulla scrittura cuneiforme, ma il suo merito maggiore è la Bibliografia Seita G., Barbania, Torino 1981. Ramella P., La Provincia di Ivrea e il Canavese, Ivrea 1987. Ramella P., Napoleone e il tempo francese in Ivrea e Canavese, Santhià 2000. Curto S., L’Egittologia, in Donadoni S., Curto S., Donadoni Roveri A.M., L’Egitto dal mito all’egittologia, Torino 1990. Paolo Emilio Botta Da Carlo Botta, medico, politico e storico, e da Antonietta Viervil, nel 1802 nasce a Torino Paolo Emilio. Secondo la tradizione di famiglia, viene avviato agli studi di medicina. Nel 1830 con l’aiuto del conterraneo Bernardino Drovetti, Paolo Emilio entra al servizio del pascià d’Egitto e poi viene nominato Console di Francia, ad Alessandria. Dopo aver effettuato viaggi di studio nello Yemen, a Gerusalemme ed a Tripoli, inizia gli scavi sulla riva destra del Tigri, dove scopre le rovine dell’antica città assira di Ninive. Nel 1843, durante scavi a Khorsabad, Botta scopre la città e il palazzo del re assiro Sargon I; dopo questi notevoli ritrovamenti il gover- Parigi, Museo del Louvre. Toro alato assiro scoperto a Khorsabad, nel palazzo di Sargon II di Assiria (scavi di P. E. Botta, 1834-1844). 7 marzo 2003 scoperta dei monumenti dell’antica civiltà assira. Dal 1848 al 1851 pubblica a Parigi, in cinque volumi, la sua opera principale, Monuments de Ninive. Muore a Archères (Francia) nel 1870. Cherasco. Data la popolarità raggiunta Cesnola viene assunto dal presidente americano Lincoln; in breve diventa maggiore e poi colonnello dell’Esercito Nordista e, infine, generale dell’Esercito degli Stati Uniti. Terminata la Guerra Civile americana, per meriti acquisiti(1) Cesnola viene nominato Console americano a Cipro; nel Natale 1865, con la famiglia, raggiunge la nuova residenza. Nel 1866, a seguito di interessanti scoperte archeologiche del Console di Francia a Cipro, Cesnola si entusiasma a queste ricerche e per undici anni si impegnerà a fondo nei campi della storia antica e dell’archeologia, impegnando tutto il patrimonio personale nelle vaste campagne di scavo. Tra le numerose scoperte di Cesnola a Cipro, si ricordano: diverse antiche città, menzionate da Strabone e Tolomeo; 15 templi e 60.932 tombe; recupero di 14.240 vasi, 2.310 monete (in oro, argento e rame), 2.110 statue, 4.200 busti e teste; 3.719 vasi di vetro, bottiglie e coppe; 2.107 oggetti in bronzo e rame; 1.090 gemme incise; 1599 oggetti in oro; 370 oggetti in argento; 217 oggetti in avorio, piombo e ferro; 105 iscrizioni greche, 30 fenice e 4 assire. Il Cesnola cedeva al MET, nel 1873, circa 6mila oggetti e sculture antiche provenienti da Cipro, con la convinzione che si trattasse di reperti relativi alla culla della civiltà greca. Quando successivamente Arthur Evans scoprirà a Creta la civiltà minoica, gli studiosi, compreso Cesnola, incominceranno a rendersi conto che i ritrovamenti di Cipro son parte di una civiltà meno importante di quanto da loro ipotizzato. Le lunghe e impegnative campagne archeologiche avevano portato quasi al dissesto finanziario il conte di Cesnola; ma nel periodo più critico la fortuna viene in aiuto all’archeologo, con la scoperta del “tesoro di Curio”: oltre mille oggetti preziosi, e cioè anelli, orecchini, bracciali, spille, collane d’oro, pietre preziose, lampade e vasi in argento. Il tesoro viene conteso dai maggiori musei d’Europa, ma Cesnola decide di cederlo alla sua patria di Luigi Palma di Cesnola in uniforme Luigi Palma di Cesnola nasce nel 1832 a Rivarolo Canavese da una famiglia di nobili. A 15 anni si arruola volontario nella Brigata Piemonte e prende parte alle Guerre di Indipendenza italiane del 1848 e 1849. Nel 1860 emigra negli Stati Uniti; sbarca a New York ed a Broadway apre la “Scuola di Guerra del Conte Luigi Palma di Cesnola, Capitano dell’Esercito Italiano”. L’iniziativa, data la Guerra di Secessione in corso, tra Nordisti e Sudisti, ha successo; nel giro di quattro mesi la scuola viene frequentata da oltre 700 allievi, istruiti da Cesnola secondo i programmi della Scuola di Guerra di 1. In data 3 dicembre 1897 al Generale Luigi Palma di Cesnola, su ordine del Presidente degli Stati Uniti d’America, il Ministro della Guerra conferisce la Congressional Medal of Honor, la più alta onoreficenza al valor militare, per atti di valore compiuti dal Cesnola durante la Guerra di Secessione, nel 1863. 8 marzo 2003 All’inizio del 1900 i trustee cercano di convincere Cesnola a ritirarsi, data l’età avanzata del direttore e l’esigenza di un rinnovamento, dopo un quarto di secolo di direzione continua; ma il vecchio generale non molla e solo la morte, nel 1904, lo toglierà dal ponte di comando del “Metropolitan”. I resti del generale Conte Luigi Palma di Cesnola, un italiano che amava le nuove frontiere, riposano nel cimitero di New York. La sua vicenda umana, dai tempi della Scuola di Guerra di Broadway a quelli della direzione del “Metropolitan Museum of Art” di New York, fa parte della storia degli Stati Uniti d’America. adozione e il MET lo acquista per 50mila dollari(2) . Nel 1877 Cesnola viene nominato Patron del MET ( titolo riservato solo ai più munifici donatori del MET) e nel 1879, date le sue notevoli capacità organizzative, l’abitudine al comando e il prestigio acquisito come archeologo e studioso, viene nominato direttore del MET; l’incarico, appena istituito, si era reso necessario, date le dimensioni che stava per assumere il Museo. Il direttore Cesnola realizza un notevole sviluppo del Met: trasferimento delle collezioni, nel 1880, nella nuova sede, in Central Park; nel 1888 la costruzione viene raddoppiata, verso sud; come organizzatore museale, il Cesnola nei primi tempi si ispira al “Victoria & Albert Museum” di Londra ove i reperti, per motivi didattici, erano esposti secondo le materie prime relative ai mestieri: legno, ceramica, metallo, tessuti. Nel 1886 il Cesnola decide di aggiornare l’organizzazione del MET sulla falsariga del British Museum di Londra, creando tre dipartimenti distinti: pittura, disegni, stampe; scultura, antichità, oggetti d’arte; oggetti in fusione e riproduzioni. E nel 1889 vengono nominati tre direttori, per questi nuovi dipartimenti. Come organizzatore dei servizi, istituisce un ristorante, con “chef” italiano, e un bar con specchi. Ed inoltre, riesce a far aprire il MET di domenica, a favore degli artigiani, operai e commercianti, impegnati negli altri giorni della settimana; il provvedimento, che infrange la norma del riposo sabbatico, crea grande scandalo e le dimissioni di un trustee. Riguardo alle collezioni, donazioni ed acquisizioni, il direttore Cesnola riesce a realizzare numerosi obiettivi; basti citare la donazione di migliaia di strumenti musicali, la più vasta collezione al mondo (da Mrs. Brown, 1889), la donazione di circa 7 milioni di dollari (dall’industriale di locomotive J.S. Rogers, 1901) e l’acquisizione degli antichi affreschi romani dalla villa di Boscoreale, i più pregevoli affreschi antichi fuori dell’Italia. 2. Pietro Ramella L’autunno 2002 ci ha porta uno studio sui personaggi del Canavese, attivi nel Settecento e nell’Ottocento, nelle lotte per la libertà e per lo sviluppo della cultura e dell’arte. L’opera, con numerose illustrazioni, è stata realizzata per la Città di Castellamonte ed è stata sostenuta dal Club Turati e dal Centro Studi Canavesani. Il ricavato della vendita del libro è destinato all’Unicef. Sull’attendibilità di questo ritrovamente sorgeranno polemiche e Cesnola dovrà difendersi anche in un processo. 9 marzo 2003 Casa-forte di Pertia, edificio inferiore con la grande crepa del muro (2001). Casolari La Scialva (Sparone, sul sentiero per Pertia). Antico abbeveratoio. 10 marzo 2003 Pirandello e il Piemonte …ah, ricordo un tramonto, a Torino, nei primi mesi di quella mia nuova vita, sul Lungo Po, presso il ponte che ritiene per una pescaia l’impeto delle acque che vi fremono irose: l’aria era di una trasparenza meravigliosa ; tutte le cose in ombra parevano smaltate in quella limpidezza; ed io,guardando, mi sentii così ebro della mia libertà , che temetti quasi d’impazzire, di non potervi resistere a lungo…1 a Torino (e vi resterà fino al 1902 quando il marito, ingegnere minerario dello Stato, sarà trasferito a Massa Carrara), veniva a Coazze in villeggiatura, e tutti sappiamo la differenza tra un “tour” qualsiasi ed un viaggio che abbia per meta un luogo dove trovi una casa e persone amiche. Egli avrebbe già voluto venire a Torino presso la sorella per l’Esposizione Internazionale del 1898, ma non gli era poi stato possibile. Torino, tra le due Esposizioni Internazionali, quella del 1898 per il cinquantenario dello Statuto, e l’Esposizione del 1911 per il cinquantenario dell’Unità d’Italia, stava risollevandosi dalla crisi post-risorgimentale secondo il principio del rinnovar conservando, passando dal ruolo di prima capitale del Regno a quello di moderna metropoli industriale. Dal punto di vista urbanistico sono moltissime le opere che si costruiscono in quegli anni, passando dallo stile eclettico tardo ottocentesco ad un originalissimo “stile floreale” che fa di Torino, insieme a Palermo all’altro capo del paese, la città più “liberty” d’Italia: un carattere destinato a rimanere. Ma Pirandello aveva avuto rapporti con Torino sin dall’adolescenza, se ricordiamo che il suo primo scritto narrativo pubblicato fu l’elzevìro La capannetta che comparve sulla “Gazzetta del Popolo della domenica” del 1° giugno 1884, e se ricordiamo che considerava, come modello per la sua poesia, Arturo Graf, docente dell’Università di Torino sin dal 1876, al quale,“come a Maestro”, aveva inviato la sua prima raccolta poetica Mal giocondo, pubblicata a Palermo nel 1889. Nel 1895 compaiono due novelle di Pirandello sulla “Gazzetta letteraria”, rivista settimanale fondata da Vittorio Bersezio a Torino nel 1880 e trasferita a Milano solo l’anno prima, ovvero nel 1894. La “Gazzetta letteraria” non Nell’estate del 2001 è stato celebrato il centenario della villeggiatura di Luigi Pirandello a Coazze, paese della Val Sangone in provincia di Torino. Per la ricorrenza è uscita una pubblicazione ( Album di Coazze, ed. Enterprise 2001), segnalata dalla nostra rivista, alla quale rimandiamo per una scrupolosa ricostruzione di questa villeggiatura fino allora misconosciuta nella biografia pirandelliana. In estrema sintesi Pirandello, giovane professore trentaquattrenne, venne a Coazze in villeggiatura con moglie e bambini nella tarda estate del 1901 (dal 23 agosto ai primi di ottobre) per raggiungere la famiglia della sorella Lina, allora risiedente a Torino, che come molte altre famiglie della borghesia torinese trascorreva le vacanze estive in questa apprezzata località montana. Fu un soggiorno sereno per Pirandello ed anche letterariamente fecondo perché ci ha lasciato il cosiddetto Taccuino di Coazze, quadernetto di note e appunti che servirono poi al nostro autore per varie opere ispirate a questa sua esperienza in terra piemontese. Ricordiamo, in ordine cronologico, le novelle Gioventù e La Messa di quest’anno, il romanzo Suo marito, dove Coazze compare con lo pseudonimo di Cargiore. In questa sede ci proponiamo di allargare l’orizzonte per conoscere il contesto culturale piemontese del periodo “coazzese” di Pirandello , ovvero l’ambiente con il quale venne in contatto in quegli anni tra Ottocento e Novecento, all’inizio potremmo dire della sua carriera di scrittore, ed in prospettiva il rapporto che continuò ad avere col mondo culturale torinese nel corso della sua attività letteraria e teatrale, fino al Premio Nobel (1934) e alla sua morte (1936). Già abbiamo detto che Pirandello venne a Coazze perché la sorella Lina che viveva dal 1897 1. Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, nella collana “Tutti i romanzi” ed. Mondadori 1957, pag.342 11 marzo 2003 nesse alla famiglia di Massimo Bontempelli (nato, ricordiamo, a Como), oppure se si trattava di un puro caso di omonimìa. Massimo Bontempelli dopo la laurea fece l’insegnante fino al 1910, in seguito la sua attività professionale fu quella di giornalista e si svolse a Roma. Nel 1904 pubblica il suo primo libro di poesie Egloghe a Torino, non sappiamo se anche lui presso Streglio, l’editore di Pirandello. è una rivista provinciale: pubblica e recensisce le opere di Verga e Capuana, mentre è molto critica con la letteratura decadente dei Sommaruga e D’Annunzio; forse è attraverso l’amico Capuana che Pirandello arriva alla “Gazzetta letteraria”. Le novelle pirandelliane che compaiono sulla “Gazzetta letteraria”sono: Ravanà (poi pubblicata nelle “Novelle per un anno” col titolo In corpore vili) che esce sul numero del 15 giugno 1895, e Il “no” di Anna che conta diciotto pagine e viene pubblicata in cinque puntate dal 7 settembre al 5 ottobre del medesimo anno, opera di narrativa verista ma già ricca di umorismo. Ritornando ad Arturo Graf, scrive Giovanni Tesio che “il magistero di Arturo Graf è uno dei fatti salienti della cultura torinese a cavallo dei due secoli: momento esemplare le celebri “sabatine”, pubblica accademia aperta su persone e argo menti”2 . E’ possibile che Pirandello, in occasione di qualche sua sosta a Torino (compresi i pochi giorni in cui si trattenne presso la sorella dopo la villeggiatura a Coazze) abbia partecipato a queste riunioni del sabato presso l’Università, delle quali Arturo Graf era l’accorto moderatore. Parlando della “prima generazione grafiana”, ricordiamo tra gli allievi Pastonchi, Enrico Thovez, Giovanni Cena, Giovanni Camerana, ma anche Massimo Bontempelli e questo fatto ci interessa molto perché Massimo Bontempelli fu forse l’unico amico intimo di Pirandello, che non fosse meridionale, e certamente fu suo stretto amico per tutta la vita. Bontempelli era nato a Como nel 1878, era quindi di quindici anni più giovane di Pirandello, e si laureò, appunto, in lettere all’Università di Torino, poi in filosofia. Era venuto studente universitario a Torino perché anche lui grande estimatore di Arturo Graf come Pirandello? E Pirandello conobbe forse Bontempelli proprio a Torino? La prima collana di novelle di Pirandello, Amori senza amore, fu pubblicata a Roma nel 1894 presso lo “Stabilimento Bontempelli Editore”, ma non sappiamo se questa casa editrice apparte2. 3. Prima di arrivare al successo con Il fu Mattia Pascal, Pirandello pubblicò i suoi lavori in case editrici d’ogni parte d’Italia e, come si è detto, il suo editore torinese fu Renzo Streglio presso il quale pubblicò due collane di novelle: Quand’ero matto nel 1902 (che comprende la novella Lumìe di Sicilia), e nel 1904 Bianche e nere. Renzo Streglio era un editore minore militante. “Dalla sua casa editrice –scrive Enzo Bottasso 3, uscirono, insieme a libri importanti per tener desta la nostra tradizione letteraria, come la monografìa del Rinieri su Silvio Pellico o la ristampa dei Miei tempi di Angelo Brofferio, novità di Giovanni Cena, Enrico Thovez, Corrado Corradini, Edmondo De Amicis, Francesco Pastonchi e Luigi Pirandello” appunto. Nel 1907 pubblicò La via del rifugio di Guido Gozzano ed ancor prima, per tutto il 1905, fu l’editore del settimanale letterario “Il Campo”, “quasi travolto dalla tragica fine scelta per sé da Giovanni Camerana” (di cui pubblicherà postumi, nel 1907, i Versi). E’ proprio su “Il Campo” del 2 aprile 1905 che si dà notizia, per la prima volta, d’un romanzo “umoristico” di Luigi Pirandello, intitolato Suo marito. Renzo Streglio disponeva anche di una propria tipografia , impiantata prima a Ciriè e poi a Venarìa sotto la direzione del fratello Anselmo. Pubblicava anche una serie di guide turistiche: recentemente, nel 1998, è stata pubblicata la ristampa anastatica di una sua edizione del 1907, assai interessante, sulla Sacra di San Michele. Si veda il saggio di Giovanni Tesio Le lettere nel volume Torino città viva, da capitale a metropoli,1880-1980. Cento anni di vita cittadina, edito a cura del Centro Studi Piemontesi, Torino, 1980. Si veda Enzo Bottasso in La editoria da Torino città viva,da capitale a metropoli, op.cit. 12 marzo 2003 Scrive ancora Enzo Bottasso “Streglio aprì negozio agli albori del secolo in un altro dei luoghi deputati della libreria torinese, all’angolo fra le vie Santa Teresa e XX Settembre”. Abbiamo rintracciato il luogo: si tratta precisamente di via Santa Teresa n.6, a due passi da piazza San Carlo; è un grande locale d’angolo al pianterreno di un prestigioso palazzo. Ora vi si trova un negozio di “lingerie” di lusso, ma, su una vetrata, si vede ancora stampata in bel corsivo la scritta Treves, l’editore di Pirandello quando arriverà al successo. Evidentemente, in questo “luogo deputato della libreria torinese” all’editore Streglio subentrò la Libreria Internazionale F.lli Treves, che vi resterà per quasi un secolo. Quando nel negozio c’era Streglio, la libreria gestiva anche una “Gran Biblioteca Circolante”, così come ho potuto apprendere dalla pubblicità stampata sulla carta della casa editrice in una lettera dell’editore a Luigi Pirandello, a proposito della pubblicazione della collana di novelle Bianche e nere, esposta alla Mostra Pirandelliana allestita a Coazze nell’estate dell’anno centenario dalla Biblioteca-Museo “Luigi Pirandello” di Agrigento (il negozio era in via Santa Teresa n.6, ma la lettera arriva dagli uffici che si trovavano nella vicina Galleria Subalpina). Tuttavia, malgrado l’intensa e benemerita attività, gli affari non dovevano andare molto bene a Torino, poiché lo Streglio prima aprì una succursale a Genova nel 1904, e poi nel 1907 trasferì ogni attività editoriale in quella città. Un altro importante editore torinese con cui Pirandello ebbe a che fare in quegli anni, è Onorato Roux che, con Favale, nel 1895 aveva fondato La Stampa di Torino. Il Roux resterà poi nella direzione della Stampa anche con Alfredo Frassati. Ma Onorato Roux era attivo pure a Roma dove dirigeva La Tribuna Nel lavoro citato della Marsili Antonetti (“Luigi Pirandello intimo”), troviamo un curioso fitto carteggio dell’anno 1900 di Pirandello, da Roma, con il cognato Calogero a Torino (pp.174-176) dove Luigi prega Calogero di andare alla redazione della Stampa per riprendere il manoscritto del suo romanzo L’Esclusa che il Roux non aveva neppure letto: Ho veduto oggi Roux –scrive Luigi da Roma- Mi ha confessato che non ha avuto tempo di leggere l’Esclusa…anche lui mi chiude la porta in faccia senza aver prima letto l’opera mia…Tu, carissimo Calogero, fra 2 giorni recati alla “Stampa” a ritirare il manoscritto…”. Ma la vicenda ha un lieto fine: il Roux, che non gli aveva pubblicato L’Esclusa sulla Stampa, l’anno dopo gliela pubblica in appendice sulla Tribuna nei mesi di giugno-agosto (vedi Gaspare Giudice, Pirandello, ed. UTET 1980, pag.157). Abbiamo visto che tra gli scrittori pubblicati da Renzo Streglio c’era anche Giovanni Cena che forse Pirandello conobbe proprio in quei primi anni del Novecento. Il Cena, nato da umile famiglia a Montanaro Canavese nel 1870, era pertanto quasi coetaneo di Pirandello. Non è questa la sede per parlare direttamente di questa bellissima figura, così rappresentativa, di apostolo laico del proletariato, ma vogliamo dire dei rapporti quanto mai significativi e nutriti da profonda umana simpatia, intercorsi tra Luigi Pirandello e Giovanni Cena fino alla morte precoce di quest’ultimo. Giovanni Cena, come detto, era di umile e poverissima famiglia. Fece il precettore ed il correttore di bozze per vivere, ma il suo talento fu presto riconosciuto ed incoraggiato da intelligenze sensibili dell’ambiente letterario torinese, come Arturo Graf e Edmondo De Amicis. Così nel 1902 era già redattore-capo della rivista romana Nuova Antologia e da quando questa rivista fu diretta da Giovanni Cena, Pirandello, che probabilmente lo aveva conosciuto ai tempi dello Streglio, cominciò a collaborarvi, e fu proprio Giovanni Cena che pubblicò sulla rivista il capolavoro che a Pirandello diede il successo. Infatti nel 1904, all’indomani della “prova terribile” del 1903 con il fallimento dell’azienda paterna dove Pirandello aveva investito il capitale suo e la dote della moglie, la quale, per lo shock, cadde in gravissima malattia, Giovanni Cena chiese al nostro autore un romanzo da pubblicare a puntate sulla rivista, offrendogli subito un anticipo di mille lire (circa sei milioni e mezzo attuali): così nacque Il fu Mattia Pascal. Maria Luisa Aguirre d’Amico, nipote di Pirandello perché figlia della figlia Lietta, nel suo libro di memorie (Album di Pirandello, pag.71), 13 marzo 2003 rapporti del Nostro con il Piemonte, abbiamo anche potuto leggere una lettera autografa di Arturo Graf a Pirandello del 24 novembre 1906. Siamo ancora agli inizi del secolo e sono passati pochi anni da quando Pirandello con deferenza inviava ad Arturo Graf le sue raccolte di poesie, ma nel frattempo per Pirandello è esploso il successo con la pubblicazione del “Fu Mattia Pascal”. Pirandello era diventato famoso perché aveva trovato, in Giovanni Cena, un editore di “intelligente operosità” che si era accorto del valore di lui, così come aveva pronosticato Luigi Capuana pochi anni prima, nel 1901, l’anno del soggiorno coazzese. Ed ora i rapporti tra Arturo Graf e Luigi Pirandello sembrano quasi capovolti, pur mantenendosi sulla base di una sincera reciproca stima. Questa volta è Arturo Graf che scrive a Pirandello,“Caro Professore”, per ringraziarlo caldamente di una recensione favorevole della sua ultima raccolta di versi “Rime della Selva”, da lui scritta sulla Nuova Antologia (diretta, ricordiamo, da Giovanni Cena). “Spero di leggere presto- conclude nella lettera Arturo Graf- qualche nuovo frutto del suo acuto e singolare umorismo”. La chiusura è ossequiosa, ma il giudizio dell’anziano poeta e critico è esatto. parlando dei letterati frequentati da Pirandello a Roma, tra “quelli che durarono nel tempo, e nel ricordo dei familiari”, cita Giovanni Cena “socialista umanitario e redattore-capo della Nuova Antologia”4, per cui possiamo pensare che tra i due, malgrado la differente personalità, fosse nata una vera e propria amicizia durata fino alla morte di Cena. Anche Giovanni Cena scrisse un romanzo nel 1904, Gli ammonitori, di ispirazione sociale, forse pubblicato ancora presso l’editore Streglio; poi un libro di versi, Homo, nel 1907. Ma in seguito obbedì all’impulso di passare all’azione in una forma di laico apostolato sociale, fondando con Sibilla Aleramo, pure lei piemontese 5, con il medico Angelo Celli e la moglie, ed altri ancora, le “scuole dell’Agro Romano” per l’alfabetizzazione del proletariato contadino. Morirà dieci anni più tardi nel 1917, di polmonite, a soli quarantasette anni. Pochi mesi dopo, sul Messaggero della Domenica del 31 maggio 1918, compare una commossa commemorazione di Giovanni Cena da parte di Pirandello, che costituisce non solo una bella pagina di asciutta eloquenza, ma un documento di profonda simpatia umana, che ci fa capire come Pirandello, nella scelta dell’amico, vedesse la conseguenza estrema della sua idea che “la vita la si vive o la si scrive”. In altre parole, identificandosi nell’amico, Pirandello, con capacità ermeneutica, ne mette in luce il valore essenziale.”Volle concludere in bontà. A un certo punto non scrisse più, ma visse la sua poesia”, così inizia la breve, intensa, commemorazione, “…non gli restava più, oramai, che ritornare con le parole che aveva dette a coloro dai quali era uscito: ai contadini, per insegnar loro a scriverle e anche a viverle…”. Infine, ricordando il suo ultimo libro, Homo, composto di cento sonetti “che han l’aria di cento iscrizioni lapidarie su cose e sentimenti eterni”, conclude: “Parecchi di essi attingono una bellezza assoluta e imperitura” . Nella preziosa Mostra Pirandelliana allestita dalla Biblioteca-Museo “Luigi Pirandello” di Agrigento a Coazze, tra i cimeli riguardanti i 4. 5. Andando oltre gli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, l’interesse per il nostro Autore ci spinge a lanciare un’occhiata al suo rapporto con Torino negli anni che verranno, dedicati precipuamente all’attività teatrale, lasciando aperta la porta per un’analisi ben più completa quale l’argomento meriterebbe. A prescindere da ragioni di carattere affettivo, entrando in questa nuova fase di attività i rapporti di Pirandello con Torino sono destinati ad intensificarsi perché Torino era sede di due importanti teatri di livello nazionale, che sono il Carignano e l’Alfieri, a cui si aggiungerà poi un terzo, il “Teatro di Torino”, fondato dal prestigioso uomo d’affari e mecenate Riccardo Gualino. Culturalmente, questo rapporto si può incentrare sulla figura di due importanti critici teatrali, che si pongono ai poli opposti: Antonio Collaborerà anche in altri modi alla rivista, con qualche novella e recensioni su libri di A.S.Novaro, Francesco Pastonchi, Luigi Capuana, Giuseppe Giacosa, Giovanni Papini e altri ancora . Sibilla Aleramo, pseudonimo di Adele Faccio, nata ad Alessandria, morta a Roma nel 1960. 14 marzo 2003 Casa-forte di Servino. L’edificio nella parte occidentale insiste su un masso roccioso. Casa-forte di Servino. Facciate Sud e Ovest. 15 marzo 2003 come ritorno alla vita “ingenua” della campagna. …..”Liolà è così gioconda che non pare opera mia”: io penso che l’artista riesce a vivere attraverso i suoi personaggi come vorrebbe, libero dai condizionamenti esistenziali e sociali. Liolà “non poteva finire che così com’è”: Gramsci considera Liolà opera artisticamente riuscita a ragione della sua intima coerenza, e a noi sembra che l’analisi di Gramsci mantenga ancora tutta la sua validità anche perché ben inquadrata dal punto di vista storico e sociologico: Liolà è una farsa che si riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica, e che ha il suo corrispondente pittorico nell’arte figurativa vascolare del mondo ellenistico (Come non pensare a quel vaso greco del V secolo a.C., a figure rosse su fondo nero, che fu tanto caro a Pirandello in vita, e che poi contenne per decenni le sue ceneri finchè non furono tumulate sotto il pino della Casa del Caos nella campagna di Agrigento?). “C’è da pensare- prosegue Antonio Gramsci in quella recensione del 4 aprile 1917 sull’edizione torinese dell’ “Avanti”- che l’arte dialettale così come è espressa in questi tre atti del Pirandello, si riallacci con l’antica tradizione artistica popolare della Magna Grecia, coi suoi fliaci, coi suoi idilli pastorali, con la sua vita dei campi piena di furore dionisiaco, di cui tanta parte è pure rimasta nella tradizione paesana della Sicilia odierna, là dove questa tradizione si è conservata più viva e più sincera. E’ una vita ingenua, rudemente sincera, in cui pare palpitino ancora i cortici delle querce e le acque delle fontane: è una efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un’opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la vita organica (allora l’interprete ideale di Liolà fu Angelo Musco, poi mi sembra fu interpretato da Domenico Modugno, oggi l’interprete potrebbe essere Roberto Benigni?…) Abbiamo ancora altre recensioni torinesi di Gramsci: una recensione del 27 febbraio 1918 del Berretto a sonagli, rappresentato al teatro Alfieri nella versione originaria in dialetto da Angelo Musco. Gramsci giudica la commedia “un prodotto autentico del temperamento personalissimo dell’autore”, ma non la considera esteticamente riuscita poiché “la dimostrazione soverchia l’azione”. Arriviamo così alla critica molto dura di Gramsci al “verbalismo pseudofiloso- Gramsci critico teatrale del giornale L’Avanti, e, non contemporaneamente ma pochi anni più tardi, Domenico Lanza, critico teatrale della Gazzetta del Popolo. La prima rappresentazione della commedia Il piacere dell’onestà avvenne al teatro Carignano il 25 novembre 1917 con la compagnia Ruggero Ruggeri e Vera Vergani, riscuotendo un notevole successo. Tra i testimoni di quella serata c’era Gramsci che scrisse la recensione dello spettacolo per l’edizione torinese dell’ “Avanti”, di cui trascrivo il primo brano: “Luigi Pirandello è un “ardito” del teatro. Le sue commedie sono tante bombe a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e producono crolli di banalità, rovine di sentimenti, di pensieri. Pirandello ha il merito grande di far, per lo meno, balenare delle immagini di vita che escono fuori dagli schemi soliti della tradizione”. Un Pirandello dunque apprezzato perché culturalmente “innovatore” e per la sua originalità irrepetibile di artista. Ma già nell’aprile di quell’anno Gramsci aveva preso una posizione chiara e netta sul teatro di Pirandello dopo la rappresentazione contrastata di Liolà al teatro Alfieri: “Liolà è il prodotto migliore dell’energia letteraria di Luigi Pirandello”. Liolà fu ritirato momentaneamente dal repertorio di Angelo Musco dopo le rumorose proteste in teatro alla fine del terzo atto di giovani cattolici del giornale Il Momento, che avevano accusato l’autore di oscenità, e Gramsci commenta: “Liolà non finisce secondo gli schemi tradizionali, con una buona coltellata, o con un matrimonio, e perciò non è stata accolta con entusiasmo; ma non poteva finire che così com’è, e pertanto finirà con l’imporsi”. Aveva scritto Pirandello al figlio Stefano, prigioniero di guerra in Austria: “Liolà è venuto proprio bene…è stata la mia villeggiatura…è così gioconda che non pare opera mia… questa è opera che vivrà a lungo”. Liolà è una “commedia campestre”, ed anche se l’atmosfera è del tutto diversa, quella parola “villeggiatura” non può non farci ritornare col pensiero da dove siamo partiti, alla villeggiatura a Coazze nel 1901, a quel mese di lietissima pace (come si espresse Pirandello stesso, scrivendo alla sorella per il Natale di quell’anno) di una vacanza intesa come serena evasione in seno alla natura, 16 marzo 2003 non solo comune e banale, ma travagliata dagli sforzi d’un barocchismo insignificante e inane, e in parecchi momenti di assai discutibile buon gusto, e di ancor più discutibile forza di idee e abilità di forme… manca la guida della misura e dell’equilibrio mentale…”; i personaggi sono “un’accolta di morbosi cerebrali, pazzi o semipazzi, decadenti della volontà , tormentatori di sé e degli altri, svuotati d’ogni persuasiva umanità e congegnati artificialmente come puri macchinismi dialettici…”ecc ecc. Domenico Lanza, un “torinese di stampo antico, –come scriveva Lorenzo Gigli, critico letterario suo collega alla “Gazzetta del Popolodi intransigente dirittura, di alto e coraggioso sentire”, evidentemente non poteva sopportare Pirandello, forse per una vera e propria incompatibilità di carattere, e neppure temeva di andare contro la moda. Pirandello prontamente volle vendicarsi con una ”lettera al direttore” del Corriere della Sera tre giorni prima della rappresentazione in Milano, che è tutta una spassosa presa in giro del suo avversario, ed anzi ne approfittò per creare ancora una volta un magistrale gioco degli specchi tra finzione e realtà. “…il signor Domenico Lanza, mio feroce e riveritissimo nemico, - scrive Pirandello- senza aspettare che la mia nuova commedia fosse rappresentata, non dico a Torino (dove pur sarà tra una ventina di giorni) ma neppure a Milano, le rovescia addosso sulla “Gazzetta del Popolo” quattro colonne di vituperi. Dio mi guardi dal volergliene male, ché anzi, gliene sono gratissimo. Ed ecco perché. Nel primo degli intermezzi corali della commedia sono introdotti anche i critici drammatici a dare il loro parere sul primo atto di essa… Ora, per osservare fino allo scrupolo questa obiettività che mi sono proposta, mi par lecito approfittare, come d’una fortunata congiuntura, del giudizio preventivo che il sig. Domenico Lanza ha voluto fare della mia commedia, e farò ripetere questo suo giudizio in buon piemontese da uno di quei critici drammatici … E il signor Domenico Lanza , di qua a venti giorni, allorché la commedia sarà rappresentata a Torino, potrà risparmiarsi di scriverne ancora sulla “Gazzetta del Popolo”…”. fico” di Pirandello nella recensione del Giuoco delle parti sull’edizione torinese dell’”Avanti” del 6 febbraio 1919. La commedia era andata in scena per la “prima” nel dicembre 1918 sempre nel repertorio di Ruggero Ruggeri e Vera Vergani, che aveva compreso, come abbiamo visto, anche Il piacere dell’onestà. Insomma l’apprezzamento di Gramsci è soprattutto di carattere ideologico per il Pirandello “operatore di cultura” in quanto innovatore, mentre per l’arte di Pirandello manifesta riserve frutto di una formazione estetica fondamentalmente crociana. L’altra figura dell’ambiente culturale torinese a cui avevamo fatto cenno, è quella di Domenico Lanza, critico teatrale della “Gazzetta del Popolo”, con il quale Pirandello ebbe un clamoroso scontro che vale la pena di ricordare perché fu un episodio, a dire il vero, esilarante ed insieme significativo di un certo clima dell’epoca 6 . Siamo nel 1924, Pirandello ormai aveva conquistato il pubblico ed ogni sua prima rappresentazione era un evento. E’ di quell’anno la commedia Ciascuno a suo modo, che ricorda nel titolo il motto del campanile di Coazze, Ognuno a suo modo, che aveva tanto colpito Pirandello quando era venuto nel paese in villeggiatura. Preannunciando la commedia in un’intervista sul “Giornale di Sicilia” del 10 aprile 1924, Pirandello, mettendo le mani avanti e mostrando di divertirsi allo scandalo, aveva detto: “In Ciascuno a suo modo avvengono cose da pazzi”, facendo il verso, evidentemente, ai suoi detrattori. Bemporad, nuovo editore di Pirandello dopo Treves, pubblicò il libretto della commedia pochi giorni prima del debutto. Domenico Lanza, che in quegli anni insieme a Renato Simoni e Marco Praga di Milano, e Adriano Tilgher di Roma, era tra i critici teatrali più autorevoli, notoriamente non favorevole alle opere di Pirandello, si buttò sul libretto e ne stilò una lunghissima recensione demolitrice sulla “Gazzetta del Popolo”, zeppa di giudizi spregiativi: “…la nuova commedia di Luigi Pirandello non esce dai confini d’una creazione 6. Traggo le notizie circa questo episodio da Gaspare Giudice, Luigi Pirandello, op.cit. cap.VI il paragrafo “Ciascuno a suo modo”, pp.380-386 17 marzo 2003 modo straordinario come rispondendo ad una sfida, e Ciascuno a suo modo, rappresentata dalla Compagnia Niccodemi, con Vera Vergani e Luigi Cimara, riscosse un successo trionfale. Anche la recensione di Renato Simoni, con qualche riserva, fu favorevole. Tuttavia, nonostante il successo, dopo questa prima tournée la commedia, mentre fu in vita Pirandello, non fu più rappresentata in Italia, forse, come ipotizza Giudice, per difficoltà tecniche in quanto la rappresentazione richiedeva una cinquantina di attori in scena. La mia impressione è che Pirandello non abbia goduto, per un lungo periodo, di molta attenzione e simpatia da parte della stampa torinese in una città piuttosto tradizionale, eccezion fatta per il Gramsci dell’edizione torinese dell’Avanti. Se ci ricordiamo quanto raccontato poche pagine sopra, Onorato Roux, malgrado le pressanti richieste di Pirandello, non pubblicò il romanzo L’Esclusa sulla Stampa di Torino nel 1900, per poi pubblicarlo sulla Tribuna di Roma l’anno dopo; il che forse va messo in rapporto con un eventuale parere negativo di Dino Mantovani (1862-1913), critico letterario della Stampa fin dalla fondazione del giornale, ammiratore entusiasta di Gabriele D’Annunzio, che nella sua abbondante bibliografia praticamente ignorò Luigi Pirandello 8. “Il Momento”, giornale cattolico, fece addirittura una crociata contro la commedia Liolà, ottenendo la sospensione delle recite (aprile 1917). Lorenzo Gigli, collega di Domenico Lanza alla Gazzetta del Popolo come critico letterario per un lunghissimo periodo che arriverà fino alla sua morte negli anni sessanta, nella sua attività solo di sfuggita toccherà l’argomento “Luigi Pirandello” 9. Ciò che più colpisce, al di là del duello verbale tra i due personaggi, sono le reazioni che seguirono alla polemica. La lettera di Pirandello sul “Corriere della sera” provocò il risentimento dell’Associazione della Stampa Subalpina, che fece pubblicare un ordine del giorno del suo Consiglio direttivo dove prendeva le difese di Domenico Lanza, autore di un giudizio severo sì, ma, secondo loro, “espresso in forma piena di dignità e di rispetto”, stigmatizzando invece “la risposta acre e sarcastica” di Luigi Pirandello; e deplorava “il fatto nuovo” che il “grande giornale milanese” avesse ospitato, contro “il buon costume giornalistico”, “le espressioni evidentemente inopportune ed esorbitanti in banali quanto ingiuste offese per la gente subalpina”, (e pensare che il bel titolo della sua commedia, Ciascuno a suo modo, Pirandello l’aveva preso proprio dal motto sul campanile della chiesa d’un paesello montano piemontese come Coazze, vicino a Torino, dove aveva passato una felice vacanza!). Che, in effetti, Pirandello fosse riuscito a mettere alla berlina l’autorevole critico torinese è vero, ma non si capisce perché ciò avesse recato offesa a “tutta la gente piemontese”! Evidentemente l’ironico richiamo del Pirandello (dottore in filologia romanza e non alieno da compiaciute citazioni dialettali in romanzi come Suo marito e Il fu Mattia Pascal) al “buon piemontese” in cui avrebbe fatto esprimere l’illustre critico torinese nella sua commedia 7 , e dall’altra parte il richiamo sussiegoso dell’Associazione Subalpina al “grande giornale milanese” (con tutto questo susseguirsi di aggettivi…geografici), manifestava il serpeggiare di un clima di rivalità regionalistica tra la vecchia capitale sabauda e Milano, città moderna per eccellenza. Sta di fatto che in questo caso, non diciamo tra Torino e Milano, ma tra Domenico Lanza e Pirandello, il secondo ebbe la meglio, perchè al Teatro dei Filodrammatici, quella sera del 22 maggio 1924, il pubblico milanese affluì in 7. 8. 9. Come abbiamo prima accennato, in Torino al Carignano e all’Alfieri, teatri di livello nazionale, si aggiunse più tardi il “Teatro di Torino”, creazione di Riccardo Gualino, che ebbe però una vita breve seppur brillante, come Fu un certo Cataneo, l’attore che contraffece la figura di Domenico Lanza, pare abilmente (da G.Giudice op.cit. pag.382 n.). Si veda Dino Mantovani, Pagine d’arte e di vita, con allegato saggio bibliografico, Torino ed. STEN,1915. Il Pirandello stesso, invece, aveva scritto sulla “Gazzetta del Popolo” di Torino, il 17 gennaio 1909, una recensione (elogiativa) del romanzo La Camminante di Giustino Ferri. 18 marzo 2003 Torree Pietra. Facciata nord-occidentale con affiancato edificio recente. Frassinetto. Particolare della borgata Chiappinetto. 19 marzo 2003 con la compagnia Almirante-Rissone-Tòfano. Nel dicembre dello stesso anno arriva al Teatro la Compagnia di Marta Abba con la prima rappresentazione italiana di Lazzaro, (il dramma era stato rappresentato la prima volta in Inghilterra, tradotto, il 9 luglio dello stesso anno). Sempre la Compagnia di Marta Abba, in quella tournée, rappresenta, insieme ad opere di altri autori, anche Come prima meglio di prima. Nel gennaio 1930, con la Compagnia di Ruggero Ruggeri vengono rappresentate Il piacere dell’onestà, Enrico IV, Tutto per bene. Il 14 aprile 1930, abbiamo nuovamente la prima rappresentazione italiana di un’opera già rappresentata in tedesco, a Koenigsberg, il 25 gennaio di quell’anno: si tratta del dramma Questa sera si recita a soggetto, terza ed ultima opera della trilogia del “teatro nel teatro”. Per l’occasione era stata costituita appositamente una compagnia diretta da Guido Salvini 11 . Come si vede, ci troviamo di fronte al fatto che nuove creazioni di Pirandello hanno la loro prima rappresentazione all’estero e in traduzione: è l’epoca di lunghi soggiorni di Pirandello in Francia e ancor più- quasi due anni- in Germania, una specie di esilio perché era stanco dell’Italia e più apprezzato all’estero. Mi sembra non sia un caso che questa volta, in un ambiente ben diverso dalle esperienze passate, egli ritorni in Italia con le sue opere attraverso Torino. E’ la Torino di grandi promotori della cultura come Riccardo Gualino, appunto, e Lionello Venturi, suo consigliere artistico ed amico, ed Edoardo Persico, che nel campo della pittura, con il suo intervento nel 1928, diede vita al Gruppo dei Sei. E’ proprio Torino, questa volta, che rispetto a Milano è in posizione più eccentrica nel contesto nazionale per ragioni geografiche, sociali e politiche, ad assumere il ruolo di città moderna, di città all’avanguardia, che guarda oltre i confini. tante altre creazioni di questo mitico personaggio 10, la sua attività essendo durata dal 1925 al 1931: era uno fra i pochi teatri esistenti nel mondo dedicati sia all’arte lirica che all’arte drammatica, e alle danze, alla musica sinfonica e da camera. Oggi, in Via Montebello all’angolo con Via Verdi, a pochi passi dalla Mole Antonelliana, si può ancora vedere, ai margini di un’area devastata da un bombardamento dell’ultima guerra, l’architrave di un probabile ingresso con la scritta in rilievo “TEATRO DI TORINO”: quasi un reperto archeologico. Questo teatro, creato non a scopo commerciale ma per rinnovare il gusto italiano con spirito moderno e respiro internazionale, volle e poté godere di un repertorio selezionatissimo e di alta qualità; ebbe senz’altro la sua importanza nella storia della cultura torinese, ma per altro verso restò un’ iniziativa d’élite che non conquistò il pubblico torinese, secondo le stesse sincere ammissioni di Gualino (vedi “Il teatro di Torino” da op.cit. pp.97-104). Proprio per i suoi intenti innovatori il Teatro di Torino diede ampio spazio all’opera e alle opere di Pirandello. Così, per la sezione “commedie e drammi”, il teatro si apre con la Compagnia del Teatro d’Arte di Roma diretta da Luigi Pirandello, con un programma che copre i mesi di dicembre 1925 e gennaio 1926, e la prima opera rappresentata fu Sei personaggi in cerca d’autore con Marta Abba, e, fra gli altri, Gino Cervi. Seguono Vestire gli ignudi, poi Nostra Dea dell’amico Massimo Bontempelli; Così è se vi pare; Enrico IV; Il piacere dell’onestà. Nel febbraio del ’26 abbiamo le rappresentazioni del “Teatro Pitoeff” in lingua francese, con la mitica coppia di Georges e Ludmilla Pitoeff. Tra queste rappresentazioni l’Enrico IV e i Sei personaggi in cerca d’autore, in francese. Il 14 novembre 1929 fu rappresentato, in prima assoluta, il dramma O di uno o di nessuno 10. Riccardo Gualino, Frammenti di vita e pagine inedite, con allegato l’elenco completo di tutte le manifestazioni del Teatro di Torino (1925-1930), Roma, ed. Famija Piemonteisa 1966. 11. Nella sezione “Balletti e Danze” del citato elenco delle manifestazioni, in data 6e7 marzo 1928 troviamo due rappresentazioni del “Teatro della Pantomima Futurista” diretto da Enrico Trampolini, direttore d’orchestra Franco Cascola, e tra i vari quadri anche La Salamandra, con sceneggiatura di Pirandello e musica di Massimo Bontempelli. 20 marzo 2003 Torino, come si sa, si trova ad uguale distanza da Roma e da Parigi (e Gualino aveva persino ventilato l’idea di fondare a Parigi un grande istituto per giovani artisti italiani). Torino,“la città meno fascistizzata d’Italia”12, che Mussolini detestava, era la città dov’era nata la classe operaia, la città di Gramsci e Gobetti, ed il regime fascista non approvò mai totalmente una così dichiarata manifestazione di internazionalismo culturale; fra l’altro Lionello Venturi, il grande consigliere ed amico di Riccardo Gualino, fu uno dei solo undici professori universitari che non prestarono giuramento al regime fascista 13 . Ritornando al periodo storico del soggiorno di Luigi Pirandello a Coazze, riguardo la sua attività letteraria vogliamo almeno notare che gli anni tra ottocento e novecento sono quelli in cui Pirandello si dedica soprattutto alla narrativa. Le prime opere teatrali andranno in scena una decina di anni dopo; ma quel che ci preme sottolineare è la continuità dell’arte pirandelliana per due ragioni uguali ed opposte: da una parte il valore artistico delle sue novelle e dall’altra il fatto che, generi a parte, tutta l’arte pirandelliana è arte drammatica nella sua essenza, perché è movimento, dialettica, e con un linguaggio parlato esprime un sentimento che chiede di essere rappresentato. Così quasi tutte le sue opere teatrali nascono da una precedente novella, ed il passaggio dalla narrativa all’arte drammatica è avvenuto in buona parte per un fattore contingente: il teatro attirava più pubblico e rendeva di più ad un uomo che scriveva anche per vivere. Le novelle di Pirandello non sono “arte minore”, anzi in certi casi, specialmente nelle prime prove teatrali, la novella da cui nasce la commedia è un lavoro più riuscito e più convincente della commedia stessa. Secondo me, questo è il caso della novella Il nido del 1895, esclusa poi dalle “Novelle per un anno”, dalla quale Pirandello trasse La ragione degli altri, sua prima commedia in tre atti. La novella ottocentesca si può leggere ancor oggi con interesse e partecipazione, non si presenta facile impresa, invece, la rappresentazione della commedia, tanto che Massimo Castri nel Luigi Pirandello maggio del 2001, per l’inaugurazione del nostro anno pirandelliano, ce ne ha offerto qui al Teatro Gobetti, una edizione scarnificata che si sosteneva più sul virtuosismo del regista e degli attori che sul testo dell’autore. Un elemento fondamentale dell’arte pirandelliana è l’umorismo, che l’Autore stesso teorizzò nel saggio omonimo, L’umorismo, del 1908. A mio parere l’umorismo scatta nell’opera pirandelliana come reazione, e difesa, alla perdita di fede nell’assoluto, ma quello che mi preme notare è che l’umorismo in Pirandello non è sarcasmo (se mai ironia), cioè non implica un atteggiamento impietoso, bensì esprime una profonda e spesso indulgente simpatia umana. Il romanzo “coazzese” Suo marito ne è un eloquente esempio. All’inizio di questo lavoro abbiamo posto una citazione dal Fu Mattia Pascal, che è una veduta assai familiare per chiunque conosca Torino, ed esempio di natura vista come stato d’animo. Si tratta del “ponte della Gran Ma- 12. Renzo De Felice, Mussolini il duce, gli anni del consenso (1919-1936), Torino, ed. Einaudi 1974, pag.81 13. R. De Felice, op.cit., pag.109. 21 marzo 2003 probabile che Pirandello ivi l’avesse vista ; la stessa limpidezza resa dai paesaggi della Val Sangone del pittore Marco Calderini intorno agli anni della villeggiatura coazzese di Luigi Pirandello. dre”, con quella “rapida” d’acque , subito dopo il ponte, tuttora esistente. Pirandello mette in rilievo con straordinaria intensità la limpidezza del cielo del Piemonte, così come aveva fatto per lo stesso luogo il Bellotto nella veduta “L’antico ponte sul Po a Torino” che si trova alla Pinacoteca Sabauda e non è affatto im- Silvio Montiferrari Tirolo. Facciata Sud 22 marzo 2003 La tenuta degli inventari d’archivio in Val Susa nella seconda metà del secolo XVIII* G li inventari redatti dalle comunità valsusine nel corso della seconda metà del XVIII secolo non solo testimoniano un ricco patrimonio documentario, oggi soltanto in parte conservato, ma tramandano anche notizie utili a ricostruire le motivazioni e le interazioni istituzionali e umane sottese a ogni stadio della loro produzione, fruizione e trasmissione. È questo il caso dei due inventari conservati presso l’Archivio Storico del Comune di Bardonecchia, compilati in lingua francese a non molti anni di distanza l’uno dall’altro1 ; legati insieme per comodità di consultazione, rischiarono di andare persi nel cor- so dell’incendio che nel 1789 distrusse o danneggiò gran parte delle carte comunali2 . Il primo inventario3 , redatto nel marzo 1763, ma arricchito da alcune aggiunte a posteriori inserite in un’unica sequenza, enumera 715 unità archivistiche. Un preambolo [c. 3r-4r], stilato in prima persona plurale dall’estensore dello scritto, registra accuratamente le operazioni che precedettero la sua compilazione. Il 7 febbraio 1763 la comunità di Bardonecchia, nelle persone dei sindaci Benoît Ambroise Clovis e Claude Pellerin, rispettivamente premier e second consul4, e dei consiglieri George Ambrois, notaio reale e avvocato presso il Se- * Questa ricerca è apparsa nel 1998 come introduzione al volume L’archivio storico del comune di Bardonecchia: guida alla documentazione, con il titolo Dei modi tenuti nel Settecento per formare “un inventaro ben ragionato e detagliato”. Testimonianze di attività archivistica negli “Inventaires des papiers et titres” della comunità di Bardonecchia. Desidero ringraziare il comitato di redazione di L&M, che mi ha offerto l’opportunità di riproporne il testo, modificato in alcune parti, e di diffonderne la conoscenza presso un numero più ampio di studiosi e appassionati. 1. Archivio Storico del Comune di Bardonecchia (d’ora in avanti ASB), Comune di Bardonecchia, cart. 4, fasc. 1. Contestualmente al riordino dell’archivio comunale, condotto a termine da Agar Capelli nel 1937, i due inventari furono rilegati in mezza tela Africa e punte, su tre fettucce a catenella libera, a cura della ‘Tipografia-Registrificio A. Vinciguerra & figli’ di Torino. Numerose carte sono state successivamente sottoposte a restauro a scopo conservativo. Nicomede B ianchi, Le carte degli Archivi piemontesi, Torino, Bocca, 1881, p. 205, afferma che “l’archivio aveva pure un inventario del 1783, ma lo si crede distrutto con quella parte di carte che furon preda di un incendio nel 1789”. In realtà entrambi gli inventari settecenteschi nel malaugurato evento non patirono danni troppo gravi. È composto da 77, [6] c., di cui le ultime 4 sono bianche; sono andate perse le c. 1, 2 e 76, mentre la c. 64 è assai danneggiata. Da c. 73r si apprende che le prime due carte contenevano la deliberazione del Consiglio comunale e il decreto dell’intendente della provincia di Susa con cui si affidava l’incarico al notaio Rigat. Nella Republique des Escartons le comunità più importanti erano rette da due consuls, che dirigevano e rappresentavano il Comune in tutte le circostanze; l’istituto municipale del consolato tramandava, in maniera voluta o inconscia, le consuetudini dell’omonima magistratura romana di epoca repubblicana: cfr. Maria Ada B enedetto, Ricerche sugli ordinamenti dei domini del Delfinato nell’alta Valle di Susa, Torino, Giappichelli, 1953, p. 110. Alle 33 comunità del Delfinato cedute ai Savoia in seguito al Trattato di Utrecht (11 aprile 1713) fu garantito il rispetto delle franchigie, libertà e tradizioni locali: una ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le comunità e il nuovo sovrano è offerta da Charles Maurice , Vie sociale, politique et religieuse du Briançonnais. Les écartons d’Oulx et du Pragelas au XVIIIème S cle, “Segusium”, XI-XII, n. 11-12 (settembre 1976), p. 13-26, e Luca Patria, L’Alta Valle della Dora Riparia dall’XI al XVIII secolo, in San Restituto del “Gran Sauze” nel Delfinato di qua dai monti, a cura di Paolo Molteni, Torino, Omega, 1996, p. 29-103. In particolare esse furono in parte esentate dall’osservanza dell’Editto di S.M. pel buon reggimento delle città e comunità del Piemonte, del 29 aprile 1733 (cfr. Felice Amato Duboin, Raccolta per ordine di materie delle leggi, editti, manifesti, ecc. …, tomo IX, vol. XI, Torino, eredi Bianco e comp., 1833, p. 422-429), con cui a tutte le comunità del Piemonte si imponeva, tra l’altro, l’elezione di un solo sindaco (art. I); per le concessioni fatte da Carlo Emanuele III il 28 giugno 1737 si veda ASB, Comune di Bardonecchia, cart. 3, fasc. 22-23, e Maurice , op. cit., p. 32-41. 2. 3. 4. 23 marzo 2003 qualità di assistente, a fianco di Agnès, fu nominato Clovis. Condotto nella sala della casa municipale, alle ore 9, Rigat diede inizio alla compilazione dell’inventario: “les archives”6 furono aperte “par trois différentes clefs”7, affidate rispettivamente a Clovis, Agnès e Vallory, e i documenti ivi conservati cominciarono a essere estratti, letti e inventariati secondo l’ordine (o il disordine) della loro collocazione. Rigat, a testimonianza e certificazione della correttezza dei suoi atti, registrò meticolosamente sulle pagine dell’inventario ogni giornata di lavoro8: giorno, mese e anno, ora d’inizio e termine delle operazioni9, luogo dell’incontro, persone presenti, giorno, ora e luogo della seduta successiva. Al termine del primo giorno, a causa dei rigori del freddo che impedivano di lavorare nella sala municipale, Rigat indicò l’abitazione di Clovis quale sede delle successive riunioni, ordinando che anche i documenti, riposti in una cassa, venissero trasportati giorno per giorno in quel luogo [c. 7v]; le carte non inventariate al termine della nato di Torino, Hippolyte Gerard, Jean Baptiste Faure, François Vallory e Jean Tournour, deliberò di procedere all’inventariazione delle scritture conservate presso l’archivio comunale. Il 22 dello stesso mese Giuseppe Bertola, conte di Gambarana5, intendente della provincia di Susa, diede il permesso di scegliere il notaio ritenuto “plus à propos” per eseguire tale incarico. Il 27 seguente il Consiglio nominò il notaio reale Jean Baptiste Rigat, nativo di Traverses presso Pragelato e residente a Fenils. Il giorno successivo tale nomina venne ratificata dal vice intendente Mallen; fu stabilito inoltre che la retribuzione giornaliera ammontasse a due lire e che il lavoro fosse svolto con l’assistenza contemporanea di uno dei sindaci o dei consiglieri e del segretario comunale Mathieu Agnès (anch’egli notaio reale). Giovedì 3 marzo 1763, alle ore 8 del mattino, i sindaci, l’intero Consiglio, il segretario Agnès e il notaio Rigat si riunirono in casa del sindaco Clovis: tutti i documenti sopra menzionati furono presentati a Rigat, il quale accettò “avec honneur et respect” l’incarico: in 5. 6. 7. 8. 9. Nipote di Antonio Bertola, nacque intorno al 1722. Insignito della carica di regio blasonatore nel 1738, fu dapprima vice intendente di Torino; divenne intende della provincia di Susa il 7 maggio 1755, ma da tale carica fu rimosso nel 1773 a causa della sua smodata passione per il gioco d’azzardo. Nel 1760 fu infeudato con titolo comitale di Gambarana, fondo nei pressi di Rivalta, e nel 1781, alla morte del fratello Francesco Antonio, di Exilles; morì nel 1810: cfr. Gaetano Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e paesi uniti, colla serie cronologica delle persone che le hanno occupate ..., III, Torino, Onorato Derossi, 1798, p. 250-251; Antonio Manno, Notizie sui Bertola, in “Miscellanea di storia italiana”, XVII (1878), p. 538; id ., Il patriziato subalpino, I, Firenze, Civelli, 1895, p. 220-221 e 228, e II, Firenze, Civelli, 1906, p. 269-270. Con il vocabolo “archivio”, in lingua francese sempre al plurale femminile, si indicò per lungo tempo esclusivamente il luogo di conservazione delle scritture: a Bardonecchia e a Rochemolles era un’“armoire” (posta, nel primo caso, alla sinistra dell’ingresso della sala comunale; in un locale della chiesa parrocchiale, nel secondo), a Melezet era adoperata come “chambre des archives” la stanza ai piedi del campanile, dove le carte erano conservate su mensole e in sacchi di tela. Alcune osservazioni sui luoghi di conservazione delle scritture nel Delfinato in Benedetto , op. cit., p. 114. Il problema dell’inviolabilità degli archivi era assai sentito: nel 1775, ad esempio, alcuni sconosciuti si erano introdotti “a loro piacimento” negli archivi comunali di Susa e di Giaglione per sottrarre, “senza coscienza di restituirle”, numerose carte: Archivio di Stato di Torino (d’ora in avanti AST), Sez. Riunite, Intendenza di Susa, m. 123. L’Editto del 1733 prescriveva, a protezione dei documenti, l’uso di due chiavi; l’obbligo fu rinnovato nel Regolamento emanato nel 1775 a riforma dell’amministrazione comunale (vd. infra). Ma per maggiore sicurezza, a Bardonecchia come a Rochemolles, l’armadio dell’archivio era protetto da tre serrature. Anche gli amministratori locali intervenuti ai lavori apposero le proprie firme alla conclusione di ogni giornata. Nei primi giorni di inventariazione furono presenti, dietro indicazione di Rigat, due testimoni: Hippolyte George Beraud e Marc Pascal il 3, François Vallory e Laurent Colard il 4, François Vallory e Hippolyte Yves il 5 e George Ambrois e François Vallory il 7 marzo. La mattina dalle ore 8 alle ore 11 e il pomeriggio dalle ore 13 alle 17. L’orario, in realtà, non era sempre rigidamente osservato: in talune occasioni le sedute ebbero termine in anticipo o si protrassero oltre i limiti temporali indicati. Il 24 marzo, ad esempio, la riunione fu conclusa alle ore 16: a causa dell’assenza di Agnès, detentore di una delle chiavi, non si poterono trarre fuori dall’archivio altri documenti [c. 66r e v]. 24 marzo 2003 giornata sarebbero state chiuse nello studio del sindaco e le chiavi consegnate in custodia ad Agnès. Dapprima furono inventariati i catasti, i libri di trasporto, gli atti di lite e alcuni documenti attestanti crediti e debiti della comunità; in seguito, senza che venisse rispettato un ordine determinato, furono registrate le scritture riguardanti le elezioni dei consoli, le deliberazioni, le ordinanze degli intendenti, le convenzioni, i conti consolari, i registri giudiziari, i mandati, i causati, gli editti e i libri a stampa, le forniture militari e gli atti riguardanti i diritti e i privilegi della comunità. Per ogni unità archivistica Rigat annotava una breve descrizione del contenuto, a cui spesso aggiungeva la datazione, il numero di carte o di pezzi e la tipologia del contenitore (“liasse”, “coffre”, “paquet”, “sac”); il numero d’inventario era ripetuto all’inizio e al termine di ogni voce. Descrizione, numero d’inventario, data della registrazione e firma del notaio venivano infine apposti su ogni unità. Nel caso delle pergamene, infine, accanto alla datazione cronica e a un conciso regesto venivano segnalati il tipo di scrittura e la presenza di sigilli. Le operazioni di inventariazione procedettero con regolarità: le sedute furono sospese il 10 marzo, festa di San Rocco10; dal pomeriggio del 17 al 22 marzo compreso, a causa di impegni, non meglio specificati, di Rigat; e il 25 marzo, ricorrenza dell’Annunciazione della Vergine Maria. Nei giorni 24 e 26 marzo Clovis, impossibilitato ad assistere all’inventario, venne sostituito dal consigliere Vallory; la mattina del 28 si offrì quale assistente il sindaco Pellerin. La tranquillità dei lavori di compilazione fu turbata solamente il 15 marzo, allorché Agnès rivendicò il possesso di alcune carte conservate presso l’archivio municipale [c. 51v]. L’episodio rivela che nel gennaio 1763 il notaio Garelli era stato incaricato dall’Intendenza di Susa di compiere una “perquisition”: il testo dell’inventario non chiarisce se l’ispezione riguardasse esclusivamente l’archivio del segretario della comunità di Bardonecchia o piuttosto tutti gli archivi privati della provincia in cui si sospettava fossero trattenute carte comunali11 . Sebbene Agnès avesse in tale circostanza offerto la sua piena collaborazione, indicando e consegnando al commissario dell’Intendenza e ai sindaci le carte inerenti al suo ruolo di amministratore pubblico, nel corso dell’inventariazione si riservò il diritto di richiedere la restituzione di carte personali ingiustamente sottrattegli. L’incarico fu condotto a termine il 28 marzo 1763: tutti i documenti inventariati furono ricollocati in parte nell’armadio d’archivio, in parte in due casse alla destra dell’armadio stesso: le chiavi vennero riconsegnate a Clovis, Vallory e Agnès. Numerosi registri, minutari e repertori appartenuti a notai, insieme con scritture ritenute di nessuna importanza, furono collocati sul fondo dell’armadio. L’inventario venne letto e approvato alla presenza dei sindaci, dei consiglieri, di Agnès e di due testimoni, François Vallory12 e Pierre des Ambrois; dopo che tutti i presenti ebbero apposto la loro firma sull’ultima carta, l’inventario fu riposto insieme con le carte che descriveva. Il medesimo giorno fu emesso un mandato di pagamento a favore di Rigat: Hippolyte Gerard e Jean Baptiste Faure, esattori per l’anno 1762 e amministratori dei fondi della comunità, ebbero l’ordine di versare al notaio di Fenils trentuno lire in ragione dei 15 giorni e 10. Istituita con voto solenne in data 29 giugno 1630, in occasione di una terribile pestilenza arrecata dal passaggio delle truppe del re di Francia Luigi XIII, questa celebrazione fu fissata al giovedì di metà quaresima, in quanto esigenze legate al lavoro dei campi non ne permettevano lo svolgimento nella data liturgica del 16 agosto. In tale occasione fu anche decisa la costruzione di una cappella in onore del santo: cfr. Luigi Francesco Peracca, L’Alta Valle di Susa e le vicende storiche dal 1180 al 1700 ..., Torino, M. Massaro, 1910, p. 60-62. Rigat accenna solamente alla celebrazione solenne di un voto. 11. Esemplare a tale proposito il caso di Antoine e Jean Bouvier, padre e figlio, segretari generali delle comunità della valle di Cesana: nel 1718 Jean Claude Syord, castellano di Oulx, fu incaricato di redigere, con il concorso di alcuni soldati del forte di Exilles, l’inventario dei documenti di interesse municipale detenuti illegalmente nella dimora dei due notai (AST, Corte, Paesi, Valli di Bardonecchia, m. 1 d’addizione, n. 2). 12. Figlio di François, omonimo del consigliere Vallory, figlio di Pierre. 25 marzo 2003 Bompard, consuls rispettivamente nel 1763, 1765 e 1766, e altre carte inerenti all’amministrazione di sindaci diversi. Nell’ultima registrazione, datata 10 luglio 1769, furono infine inventariate alcune risme di “papier imperial timbré”, acquistate in vista della compilazione di un terzo libro di trasporto della comunità. Giova ricordare che sono parimenti conservati gli inventari settecenteschi di Melezet e Rochemolles15 : furono entrambi redatti da Mathieu Agnès in esecuzione dell’ordine dell’intendente Bertola del 6 settembre 1763. Ai due inventari, per motivi di economia di tempo e di denaro, furono allegati elenchi più antichi: quello di Melezet fu rilegato con un inventario del 1730, quello di Rochemolles con un inventario iniziato nel 1724 e proseguito sino al 1760. Il secondo inventario16, redatto dal segretario comunale, non fornisce alcuna informazione diretta sulle modalità della sua compilazione; è tuttavia possibile ricostruirne con sufficiente chiarezza le premesse della redazione. Il Regolamento per le amministrazioni de’ pubblici nelle città, borghi, e luoghi de’ Regi Stati in terra ferma di qua da’ monti, approvato con R. Patenti del 6 giugno 177517 , dettava al titolo quinto, capo quarto, le norme da osservarsi nella tenuta degli archivi comunali; in particolare il paragrafo terzo prescriveva che “per vie maggiormente assicurare la conservazione di dette scritture, ogni città, e comunità ne farà formare, ove già non l’avesse, un inventaro ben detagliato; che trasmetterà per copia al Segretaro civile del senato fra un anno dalla pubblicazione del presente, per esservi riposto negli archivj senatorj, ritirandone la ricevuta”. L’inventario dell’archivio del Senato di Piemonte registra 23 mazzi, contenenti copie de- mezzo impiegati nella compilazione dell’inventario. Rigat ottenne immediatamente il saldo delle sue prestazioni: nella quietanza rilasciata in calce al mandato si riservò comunque la possibilità di agire nei confronti del Comune qualora fossero sorti dissidi sul trattamento economico ricevuto13 . Il lavoro svolto da Clovis e Agnès in qualità di assistenti non incontrò, invece, un riconoscimento omogeneo: mentre il pagamento dei servizi resi dal sindaco fu caricato sul conto esattoriale dell’anno 1762, il debito contratto dalla comunità di Bardonecchia nei confronti di Agnès tardò a essere onorato. Agnès dovette allora ricorrere all’intendente Bertola: in una supplica circostanziata domandò che venisse ordinato al Consiglio di risarcire al notaio le giornate di vacazione “sur le pied qu’il vous [sc. Bertola] plairra les taxer”. Il 18 maggio 1764 l’intendente ingiunse all’esattore comunale di pagare ad Agnès la somma di trentuno lire: cosa che avvenne il 24 aprile 176514. L’inventario redatto da Rigat fu presto arricchito dalla registrazione di nuove carte: in seguito a una verifica compiuta in loco dall’intendente, il 3 agosto 1763 venne inventariato nuovo materiale documentario, il cui recupero e riconsegna all’archivio comunale erano stati affidati a Clovis; altri documenti furono restituiti dall’avvocato Ambrois il 14 febbraio dell’anno seguente. Due successive addizioni, di natura imprecisabile a causa della perdita di c. 76, furono compiute alla presenza dei sindaci Jean Tournour e J.L. Beraud e sottoscritte dal vice intendente Mallen il 2 febbraio e il 17 maggio 1765. Il 4 e 7 ottobre 1768 Mathieu Agnès, assistito dai sindaci Jean Baptiste Barneoud e Hippolyte Garcin, ricevette documenti conservati da Benoît Ambroise Clovis, Laurent Vallory e André 13. ASB, Comune di Bardonecchia, cart. 21, fasc. 10. 14. ASB, Comune di Bardonecchia, cart. 22, fasc. 2. 15. Cfr. ASB, Ex Comune di Melezet, cart. 1, fasc. 33, e ASB, Ex Comune di Rochemolles, cart. 2, fasc. 6. Risultano sconosciuti a Bianchi, op. cit., p. 210 e 212. 16. È composto da [29] c., di cui l’ultima è bianca. Il documento più recente menzionato è del 1777. 17. Cfr. Duboin, op. cit., tomo IX, vol. XI, p. 598-655. Anche all’indomani della pubblicazione di questo regolamento le comunità un tempo appartenute al Delfinato chiesero con una petizione che fossero dispensate dall’osservanza delle nuove norme, che i loro privilegi fossero confermati e che le ordinanze dell’intendente della provincia fossero scritte in lingua francese (AST, Corte, Paesi, Valli di Bardonecchia, m. 1 d’addizione, n. 5). 26 marzo 2003 Torre Pietra. Vista da Nord-Est. Pont Canavese. Il luogo dell’antico ricetto. 27 marzo 2003 gli inventari versati da 348 comunità in ottemperanza alle disposizioni dell’Editto del 1733 e del Regolamento del 177518; una ricognizione compiuta nel 1988 sul materiale del fondo ha rilevato la perdita, in data imprecisabile, di questa vasta produzione documentaria. In realtà non si tratta affatto di una perdita: in AST, Corte, Paesi in genere, Piemonte, Inventari di archivi comunali, m. 1-24, sono depositati gli inventari di 569 comunità, anteriori alla metà del XIX secolo, tra cui quelli di Bussoleno, Chiusa San Michele, Giaglione, Mattie, Meana, Mompantero, Rivera d’Almese, Sant’Ambrogio, Sant’Antonino, Thures, Valgioie e Villar Focchiardo19 . Un sommario esame del fondo ha rilevato come gli inventari settecenteschi qui conservati siano proprio quelli inviati dalle comunità al segretario civile del Senato di Piemonte; è probabile che questo materiale sia stato estrapolato dall’archivio del Senato e versato all’Archivio di Corte prima della creazione delle Sezioni riunite. L’archivio dell’Intendenza della provincia di Susa conserva tuttora memoria della frenetica attività di inventariazione seguita a tale disposizione20 : copie degli inventari delle comunità di Chiomonte (redatto nel 1776), Villarbasse (1776-1777 e, nuovamente corretto, 1786), Oulx (1777), Beaulard, Cesana, Chianocco, Mollières e Savoulx (1778), Bousson (1779), Almese, Champlas du Col, Fenils e Rollières (1780), Désertes (1781), Avigliana e San Didero (1786), Salbertrand (1788), Susa (1790) e Buttigliera (1791) confluirono nell’ufficio dell’Intendenza21. Sebbene l’obbligo di tale consegna non fosse contemplato nei testi legislativi menzionati, l’importanza fondamentale di questo organo periferico all’interno dell’amministrazione statale imponeva un controllo diretto, a livello locale, sugli archivi delle comunità soggette22 . Il primo ordine in tal senso si rinviene nella copia dell’inventario di Rubiana23 (compilato, si badi bene, nel 1773): in occasione dell’acquisto di un nuovo edificio comunale, fu richiesta l’autorizzazione al trasferimento dell’archivio in un nuovo locale e alla successiva inventariazione delle scritture; il vice intendente Arrigo dettò le precauzioni da adottarsi nel trasloco delle carte (che dovevano essere riposte in sacchi ben chiusi, sotto l’attenta e continua sorveglianza del sindaco) e invitò il segretario comunale a procurarsi dal segretario archivista della Camera o del Senato una “formola” secondo la quale redigere l’inventario. Le istruzioni dettate dall’archivista della segreteria civile del Senato ricevettero il visto dell’Arrigo, il quale, nel concedere l’autorizzazione alle operazioni di trasferimento e di inventariazione, aggiunse l’obbligo di depositare una copia anche presso l’archivio dell’Intendenza. Questa “formola” (definita “modèle” o “formule” negli inventari redatti in lingua francese) venne poi adottata nella compilazione degli inventari successivi: essa prevedeva la suddivisione dei ripiani della guardaroba predisposta alla custodia dei documenti in caselle, rispecchianti le diverse categorie degli affari trattati dalle amministrazioni comunali 24. 18. 19. 20. 21. AST, Sez. Riunite, Senato di Piemonte, serie II, cat. XIV, m. 42-64. Cfr. Guido Gentile, Antichi inventari di archivi comunali piemontesi, Alessandria, Ferrari-Occella & C., 1961. AST, Sez. Riunite, Intendenza di Susa, m. 27-28. Nessuno dei Comuni della conca di Bardonecchia risulta aver mai ottemperato al duplice versamento di copia dei suoi inventari, né presso gli archivi del Senato, né presso quelli dell’Intendenza. 22. Notizie sui poteri e i compiti degli intendenti in Guido Quazza , Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, I, Modena, Società Tipografica Editrice Modenese, 1957, p. 65-72. 23. AST, Sez. Riunite, Intendenza di Susa, m. 27. 24. Negli inventari di Avigliana, Buttigliera e Valgioie si afferma che le carte furono raccolte in “caselle di cartone, fatte a forma di libro”, ordinatamente disposte nella guardaroba. È da notare come, da un controllo a campione, non risulti mai, negli inventari prodotti da comunità non appartenenti alla provincia di Susa in conformità al Regolamento del 1775, un riferimento alla “formola”: i criteri di redazione di alcuni inventari (Revigliasco, del 1777; Mondovì, del 1778; Portacomaro, del 1779; Piobesi, del 1782; Vezza, del 1792; Priocca, del 1797, ad esempio), pur presentando una suddivisione del materiale archivistico in caselle, sono comunque difficilmente assimilabili alla pratica in uso nella Valle di Susa. 28 marzo 2003 L’ordine di redigere un nuovo inventario fu rivolto alla comunità di Bardonecchia dall’intendente Alessandro Rossi25 in calce al causato dell’anno 1776 (oggi non più conservato)26 ; identico obbligo venne imposto alle comunità di Melezet e Rochemolles, dai cui causati si apprende il tenore dell’ordinanza: “Fra mesi otto prossimi prescriviamo sia compito l’inventario delle scritture già comandato dal Regolamento e perché venghi formato secondo la formola portata dalla Segretaria di Senato, permettiamo si dividano in altrettante caselle di bosco bianco li piani della guardarobba, incaricando il signor segretario di procedervi in assistenza d’un amministratore legitimamente deputato sotto discreta mercede giornaliera con nostra approvazione, e quindi di trasmetterne un doppio alla detta Segreteria di Senato, ritirandone ricevuta, altro a quest’ufficio, ed altro da custodirsi in archivio, a pena di disobbedienza” 27. Le operazioni di inventariazione dovevano essere precedute in ogni caso da un’ordinanza, con cui si faceva obbligo di restituzione a tutti i cittadini in possesso di carte appartenenti al Comune28 . Il materiale documentario appartenente alla comunità di Bardonecchia fu dunque inventariato una seconda volta intorno al 1783. Esso ammontava a un totale di 367 unità archivistiche, distribuite in 13 caselle 29; all’interno di ogni casella (esclusa la dodicesi- ma, rimasta vuota per mancanza di documenti riguardanti la materia) la numerazione riprendeva da capo, senza che il numero assegnato fosse riportato sui singoli pezzi. L’esame dei due inventari settecenteschi, compilati sulla base della medesima documentazione, attesta aspetti differenti di una attività archivistica in lenta, ma continua evoluzione. A un inventario strutturato secondo le forme di un’elencazione patrimoniale, le cui fasi di elaborazione sono rigidamente scandite e registrate nei modi delle scritture notarili, si viene sostituendo un nuovo tipo di elenco, il cui modello di redazione non solo è dettato dall’autorità centrale, ma è anche posto sotto il suo diretto controllo. La “formola” del segretario archivista del Senato e il Regolamento del 1775 segnano infatti l’introduzione nell’ambito dell’amministrazione comunale sabauda di una regolamentazione puntuale per la tenuta, l’inventariazione e la custodia degli archivi30. Se da un lato i campi in cui si esplicano le attività dell’ente influenzano il carattere “fisico” della conservazione dei documenti prodotti o acquisiti, dall’altro le caselle in cui devono essere divisi i ripiani della guardaroba organizzano in maniera immediatamente visibile tale materiale. I cambiamenti in corso nella seconda metà del Settecento non sono d’altronde disgiunti dal rinnovamento della speculazione archivistica, che, a 25. Fu nominato intendente il 27 febbraio 1776. Nel giugno del 1800 divenne primo ufficiale dell’Azienda generale delle gabelle. 26. La serie dei causati presenta una lacuna negli anni 1771-1776; tale prescrizione venne reiterata nell’ordinanza contenuta in calce ai causati del 1777, con proroga di sei mesi del termine di consegna delle copie, e del 1779 (ASB, Comune di Bardonecchia, cart. 16, fasc. 2). 27. ASB, Ex Comune di Rochemolles, cart. 9, fasc. 1; in ASB, Ex Comune di Melezet, cart. 9, fasc. 2, viene inoltre ribadita la raccomandazione di chiudere la guardaroba con due chiavi, affidata l’una al sindaco, l’altra al segretario comunale. 28. L’Editto del 1733 prescriveva la riconsegna di carte comunali entro tre mesi dalla pubblicazione del medesimo, pena una multa di cento scudi o, nei casi più gravi, la galera. 29. Queste le tredici caselle utilizzate: I) catasti e testi a stampa riguardanti l’amministrazione comunale; II) deliberazioni; III) conti d’esazione; IV) quinternetti esattoriali; V) quietanze; VI) consegnamenti; VII) ordini e forniture militari; VIII) processi civili e criminali; IX) atti diversi riguardanti diritti, franchigie e privilegi della comunità; X) causati; XI) editti e manifesti; XII) affittamenti e capitolati; XIII) ordinanze sommarie e sentenze. Non sempre, negli inventari conservati nell’archivio dell’Intendenza di Susa, le caselle trattate sono le stesse o disposte secondo il medesimo ordine. 30. I paragrafi 6-8 del titolo quinto, capo quarto, ad esempio, delineano la figura dell’archivista di professione, persona “di conosciuta probità, capace, e intendente di scritture, e caratteri, risponsale, e non avente interesse, o lite col pubblico”. 29 marzo 2003 partire dall’area germanica, sviluppa una nuova dottrina: le carte di un archivio cessano ora di essere considerate nella loro esclusiva individualità e acquistano, seppure gradatamente, i caratteri propri di un complesso organico di documenti, fonte primaria e privilegiata della storia dell’organismo produttore. Davide Monge Casaforte di Pianey. Facciata Nord (in alto) e facciata Est. 30 marzo 2003 Le case-forti delle Valli Orco e Soana pensi che i ricetti canavesani, di cui si hanno trecce architettoniche e/o documentali, sono almeno 42. Per la stesura di questo breve studio mi sono avvalso in particolare delle rilevazioni topografiche e tecniche e delle note curate dalla professoressa Micaela Viglino Davico nelle sue importanti trattazioni, citate in bibliografia, una sui Ricetti in Piemonte (ediz. della Regione Piemonte) e una sulle Case-forti delle Valli Orco e Soana (ediz. Lions Club Alto Canavese). A tali pubblicazioni si rimanda quanti sono interessati ad un approfondimento della materia. Le case-forti sono piccoli, caratteristici castelli, che non avevano una funzione bellica, non ospitavano truppe stabili, ma costituivano comunque una struttura difensiva, di tipo passivo: difesa contro le guerriglie interne e contro la razzie che turbarono la vita dei nostri antenati, specialmente agli inizi del secondo millennio, ma in non pochi casi anche nei secoli successivi. Eretti in luoghi isolati e oggi dimenticati, alcuni di questi piccoli “castelli” hanno resistito all’abbandono, all’incuria, al tempo, alle alluvioni, e sono una documentazione importante della nostra civiltà alpina: sono quanto rimane di una loro realtà ben più numerosa, della quale si può talora individuare qua e là qualche incerta traccia che ce ne fa ipotizzare la antica presenza. Solo per Pertia è rimasta traccia né in atti di infeudazione, di vendita, di liti giudiziarie, di imposizioni fiscali né in documenti di tipo militare, non avendo le nostre aree importanza strategica in quanto queste aree confinavano con valli da secoli sotto il comune dominio sabaudo. Le case-forti non avevano un rilievo estetico e architettonico, che nel passato inducesse qualcuno a interessarsi alla loro conservazione: oggi si riconosce che lo studio attento di quanto rimane di questa architettura minore è importante per la conoscenza della realtà umana e sociale della nostra civiltà. Dovrebbero costituire, per le comunità interessate, un patrimonio storico importante, e potrebbero in qualche caso avere anche un certo rilievo turistico E’ certo possibile, e augurabile, che sulla strada e sull’esempio della ricerca puntigliosa effettuata dalla Viglino e collaboratori si riesca ad individuare qua e là ruderi di case-forti, o almeno di edifici analoghi : vi sono alcune lo- La parte iconografica proviene dall’archivio del sig. Walter Cavoretto che si ringrazia vivamente per la disponibilità e per la collaborazione. Le case-forti alpine, che sono sparse qua e là e che sono ben presenti nelle valli Orco e Soana, hanno alcuni elementi funzionali comuni con i Ricetti della sottostante pianura: sostanzialmente diverse sono invece le strutture architettoniche e le collocazioni urbanistiche. Le case-forti sono molto spesso elementi isolati, non inseriti nel pur piccolo contesto urbano delle borgate presso cui sorgono; a differenza dei ricetti di norma sono un elemento fortificato a sé, senza mura difensive e a maggior ragione senza fossato. Sotto l’aspetto funzionale invece la corrispondenza è tale che esso viene evidenziato anche in un documento antico riguardante una delle case-forti più note e più importanti, quella di Pertia: di essa l’Azario dice che “ gens illius vallis, quae vult salva in eo castro deponit”, e il Bertotti, pag. 264, ritiene che questa stessa “ casa torre sia stata costruita ...dagli uomini di Ribordone, come ‘ricetto’ popolano per mettere al sicuro i loro beni nelle guerre tra feudatari”. Per questa analogia funzionale, le case-forti vanno senza alcun dubbio viste come veri e propri “ricetti alpini”; ne sono state individuate, in Valle Orco-Soana non più di otto: si 31 marzo 2003 calità in cui appare inspiegabile o per lo meno strana la assenza di un edificio comunitario configurabile come casa-forte. Talvolta mi è sembrato giusto indicare degli edifici ancora presenti negli interni degli abitati, talora solo delle rovine o dei tratti di muro, aventi caratteristiche tali da essere degne di uno studio specifico. Nello studio della Viglino, una carta schematica (pag. 19) indica sia la localizzazione delle 7 case-forti analizzate sia quella di cinque località in cui si trovano altri manufatti con caratteristiche architettoniche simili. In altri termini, mi pare che giustamente la nota studiosa abbia posto ogni prudenza scientifica e storica nell’informare il lettore, e ciò per evidenti e direi logiche e corrette ragioni di serietà professionale cui essa si è sempre attenuta. Io mi sbilancio di più, con alcune indicazioni che forse qualcuno riterrà eccessive ma altri prenderà come suggerimento per individuare altre tracce di questo ancora oscuro, lungo momento della nostra storia civile: confortato in ciò da quanto scrive a questo proposito la Viglino, a pag, 23: “ Va ribadito che le strutture tuttora leggibili non sono che i residui di una presenza di questi tipi edilizi certamente ben più numerosa”. Se localmente, paese per paese, borgata per borgata, qualche ricercatore volontario partendo anche dai sempre più rari e preziosi ricordi di leggende, di tradizioni, di toponimi riuscisse a individuare ed a segnalare qualche altro sito di questo tipo, farebbe senza dubbio opera meritoria. nostra visione attuale, ma che evidentemente era “logica” nei tempi della sua costruzione. Le case-forti possono essere di tipo a torre ( qui rappresentate da due esempi: nella località Meggi di Cuorgnè la cosiddetta Torre Pietra e quella di Servino), oppure con edifici a due-tre piani ( che ha cinque esempi, tutti nella Valle Orco: Onsino, Pianey, Pertia, Tirolo, Casetti ). Per dare un sia pur approssimativo ordine geografico alla trattazione delle case-forti delle Valli Orco e Soana, le divideremo in tre gruppi: uno comprende i contrafforti della valle tra Pont e Cuorgnè; il secondo la Valle Soana; il terzo la Valle Orco. A) TRA CUORGNÉ E PONT Gli studiosi non hanno mai avanzato l’ipotesi che almeno una delle costruzioni fortificate esistenti in Cuorgnè sia stata in origine un ricetto o una casa-forte, anche se in genere non si hanno notizie certe e documentate della loro origine: queste costruzioni, anche con torri, erano un tempo ben più numerose. Ora evidenti rimangono solo la Torre Rotonda ( o di Carlevato), la Torre Quadrata (o Comunale), ma certamente era turrita la cosiddetta Casa del Diavolo ( Castello Ardiciono), che è in via C. Battisti angolo via Marconi; su quest’ultima via è anche la “Casa Signorelli”, con una struttura muraria particolare, non molto dissimile da quella di alcune case-forti alpine. a) Sotto questo aspetto specifico non mi risulta che sia mai stata studiata a fondo la fascia destra di quest’area, da una parte verso la vallata del Gallenca ( qui una segnalazione che potrebbe far pensare a un edificio medievale riguarda Canischio, per la presenza, sul piazzale della Chiesa presso i locali del Ristorante Argentin di un tratto di muro a spina di pesce), dall’altra verso Alpette: degna di attenzione potrebbe qui essere l’area, intorno a quota 850, del Turale (Cuorgnè) e della “Fara”, quest’ultima tra Formiero ed Alpette, citata già nel 1448, che presenta, ormai pressoché inaccessibili tra la boscaglia, dei residui Ogni casa-forte ha sue caratteristiche edilizie particolari, e alcune di loro godono di peculiarità tali da renderle più significative: se Pertia è l’unica di cui è rimasta una documentazione “storica” scritta del periodo medioevale, seppure enfatizzata quasi a leggenda, Torre Pietra si segnala per la sua indubbia eleganza, Servino come quella più elevata e ci fa pensare a raccolta e salvaguardia di produzioni locali oggi neppur più immaginabili, quella di Pianey è in una posizione inspiegabile secondo la 32 marzo 2003 Casa-forte di Onsino. Facciata occidentale (in basso) e portale al pianterreno con architrave e croce. 33 marzo 2003 garantiti da scale esterne mobili che raggiungevano i portali aperti sulla facciata est, sopra quella di accesso dal piano terra. Le dimensioni di tali portali vanno riducendosi leggermente dal basso verso l’alto: al piano terra sono di m 0,80 x 1,75; al secondo di m 0, 70 x 1,65; al terzo di m 0,60 x 1,60. L’accesso all’ultimo piano, ove è solo una finestrella, era quasi certamente garantito da un vano praticato nel suo pavimento. Nelle murature in pietra, con spessore alla base di circa 70 cm, vennero ricavate, al momento della costruzione, delle nicchie interne. Le altezze dei quattro piani sono pressoché eguali, intorno a 2,35 m . Sulle quattro facciate sono complessivamente cinque finestrelle, aventi la luce di circa cm 35 x 55. Notevoli le incorniciature con lastre in pietra sia delle porte sia delle finestre. Naturalmente soprattutto robuste sono le prime, che hanno stipiti particolarmente solidi: quelli della porta del piano terra sono due monoblocchi, mentre nei due piani superiori si hanno stipiti formati ciascuno da quattro parti: due blocchi verticali e due lastre orizzontali che servono sia per ripartire i carichi sia per eguagliare le altezze. Il complesso di portali e finestre è caratterizzato dalla forma variabile degli architravi. Il portale inferiore è formato da conci quasi regolari, alti 25 cm ; quelli del secondo e terzo piano sono due monoblocchi, uno triangolare, l’altro tondeggiante il terzo. Gli architravi delle finestre hanno forme variabili tra quella triangolare e quella tondeggiante, o anche doppia arcatura. di antiche costruzioni che nel nome paiono in qualche modo riferibili alla toponomastica longobarda, ed hanno un posto particolare nella leggenda popolare locale b) La fascia orografica sinistra ha invece attratto l’interesse degli studiosi in quanto sono evidenti alcuni edifici di costruzione antica e accurata ed in essa sono state individuate due strutture molto interessanti: e vi sono inoltre aree come Frassinetto capoluogo o nuclei come la sua borgata Chiapinetto, o anche più a valle e già in territorio pontese, alcune case di Faiallo e la borgata Raie con alcune strutture edilizie medievali analoghe, in qualche loro particolare costruttivo, alle case-forti. Il più importante edificio definibile con certezza come “casa-forte” in quest’area è quello noto come Torre Pietra. Sorge sulla sinistra orografica dell’Orco, a quota 620, a valle della Cappella di Bellice (quota 970) in territorio dell’antico comune di Salto, dal 1928 inglobato amministrativamente nel comune di Cuorgnè. La località si raggiunge lasciando la provinciale Castellamonte-Pont e imboccando, sulla destra appena superato la rotonda posta al trivio per Cuorgnè, la provinciale della Valle Sacra. Superato l’abitato di Priacco, si segue, sulla sinistra, la carrozzabile per Chiesanuova da cui, poche centinaia di metri più avanti, si imbocca la deviazione per Nava-Frassinetto. Circa 500 metri più avanti, dopo un paio di curve strette si apre sulla destra una carrozzabile che conduce alla piccola borgata di Meggi. Ben presto compare, evidentissima, a pochi metri dalla strada, questa bella casa-forte, originariamente una torre isolata, ora inglobata tra fabbricati rurali sette-ottocenteschi. E’ nel complesso un edificio ben conservato che può essere considerato, sotto l’aspetto estetico, la più bella casa-forte tra quelle qui esaminate. Appare come una torre di quattro piani, alta quasi dodici metri, a base pressoché rettangolare, in realtà tendente al trapezoidale (metri 3,60 x metri 2,40-2,50). Gli accessi al secondo e al terzo piano erano Sotto questo stesso titolo, la professoressa Viglino, pag. 111, indica nella zona a monte di Torre Pietra altre costruzioni che pur avendo caratteristiche attribuibili al periodo bassomedievale e talora anche più antiche delle case-forti, non presentano altri elementi per definirle tali. Vengono segnalati due edifici in località Nava: – una piccola casa isolata che ha murature formate da grandi blocchi lavorati ad incrocio, tipici delle vere case-forti; ma nel com- 34 marzo 2003 co di portali e finestre che richiamano le strutture commacine: è stato oggetto di studio da parte di Augusto Cavallari Murat che la ritiene, anche per la sua posizione un’area fortificata di antica datazione, e la collega con altre borgate verso Pont, ove si richiudono a valle su Raje, quota 560 , che si trova una sessantina di metri sopra il torrente Soana, anch’essa molto chiusa nel suo nucleo centrale, cui si accennerà più avanti. Penso che sarebbe molto interessante seguire il suggerimento dello stesso Cavallari Murat e ampliare l’argomento da lui stesso proposto alle pagine 110-111 alle quali rinviamo chi è interessato all’argomento; qui ci limitiamo a dire che Cavallari Murat propone anche l’ipotesi che Frassinetto abbia costituito il nucleo di un sistema di difesa militare delle Valli, e sostanzialmente, dopo avere detto che le condizioni climatologiche avverse potrebbe giustificare quel modo speciale di richiudersi al coperto delle case di Frassinetto, si domanda anche: “Perché solo a Frassinetto e non altrove?”. A questa domanda ne aggiungerei una mia seconda: “perché, oltre che ai mille e più metri di altitudine di Frassinetto quasi in linea retta verso il Soana, abbiamo una situazione analoga ai 560 metri di Raje di Pont ?." 1 plesso questo edificio ha subito tali interventi e rifacimenti per cui la sua lettura risulta molto dubbia, anche se tanto il portale a pianterreno quanto quello sovrastante e le altre aperture hanno le caratteristiche strutture in pietra, o ne fanno supporre la presenza originaria; un massiccio architrave litico, di forma quasi triangolare, reca incisa la data 1577; – anche il complesso poco a ovest della chiesa ha subito pesanti interventi ; rimangono evidenti un tratto di muro su roccia, formato da grandi blocchi, con portale dai tipici stipiti in lastroni verticali sovrastati da architrave monoblocco arrotondato. Proseguendo verso Frassinetto, sono segnalati due piccoli edifici, degni di nota con strutture tipiche delle case-forti : uno poco a valle della borgata Pianseretto, quota circa m 520, l’altro in località Faiallo (quota circa 700 m). Il secondo è una costruzione a un solo piano con base di m 6,45 x 5,60 e altezza al colmo di 3,75, poggiante su un seminterrato che sfrutta la pendenza del terreno. Grandi blocchi di pietra, anche superiori al metro, ne costituiscono i muri, ha due portali d’accesso incorniciati da lastre gigantesche sovrastate da grossi architravi di pietra rozzamente lavorati a formare approssimativi triangoli. Questi due edifici testimoniano le capacità costruttive tipiche del periodo detto “ticinese” o “commacino”. La Viglino indica per i portali l’uso di lastre larghe mediamente oltre un metro con altezza di 60 cm. Frassinetto è già appartenente alla Valle Soana, soprattutto per analogie di tradizioni e di lingua. Geograficamente però la parte del suo territorio comunale che s’affaccia sulla pianura è qui inclusa in questa fascia; essa comprende alcuni edifici di notevole interesse, oltre a quelli appena citati e riportati nel testo della Viglino. Tra questi in particolare le case di alcune borgate frassinettesi e soprattutto quelle del nucleo di Chiapinetto (quota 1113), un gruppo di antichi edifici addossati strettamente tra loro, costruito in pietra e ric1. B ) LA VALLE SOANA Salendo oltre Frassinetto, una bella carrozzabile raggiunge la località Berchiotto; di qui la strada prosegue, non più asfaltata ma ancora carrozzabile seppure con funzioni non turistiche bensì solo agro-pastorali, seguendo il percorso di un’antica mulattiera, per raggiungere la frazione Fraschietto, oltre la quale la strada appare piuttosto come una pista che si dirige verso le sorgenti del rio Verdassa. Sulla sinistra di questo torrentello è la frazione Fraschietto e a monte di essa, ma poco discosto, si erge un edificio localmente indicato come la Ca’ del Cont. M.Cima et al. Nel citato studio offrono anche interessanti notazioni sulle produzioni agricole, sulla sistemazione dei terreni, sulla popolazione del nucleo, sul patrimonio zootecnico, sulle trasformazioni architettoniche del piccolo complesso rurale, ecc. Viene riportato anche un rilievo cartografico con le fotografie dei sette edifici più antichi ancora leggibili e risalenti al pieno medioevo. 35 marzo 2003 l’accesso al secondo piano solo attraverso scale portatili. la struttura dei due portali sostanzialmente identici a quelli che caratterizzano le altre case-forti. Indubbiamente esistono poi differenze costruttive che pongono dubbi sulla sua datazione, come ha ben evidenziato la studiosa torinese: e ciò soprattutto per evidenti ristrutturazioni successive. Ca’ del Cont, a differenza della vicina borgata di Fraschietto che è fiancheggiata da aree prative fresche e parzialmente irrigue, è nella parte alta, presso il bosco, in una località che specificamente è dai locali indicata come “Carabin” , legata a un racconto-leggenda che spiega anche il nome dato all’edificio2 . La sua planimetria costituisce un rettangolo, di m. 4,50 x 5,20; è formata da un seminterrato e da due piani che si sviluppano con vani unici sovrapposti a formare quindi complessivamente tre sole stanze. I fianchi dei due portali di accesso ai vani fuori terra sono costituiti ciascuno da due grossi monoliti verticali, con sovrastanti lastre orizzontali, gli architravi sono di forma parallelepipeda quasi perfetta quello inferiore, leggermente ovale quello superiore. L’aspetto esteriore è dunque quello di una piccola, tipica casa-forte, e su ciò è pienamente concorde anche la professoressa Viglino che sostiene, con osservazioni su cui non è possibile alcuna confutazione, che si tratta in realtà di una costruzione non medievale, ma successiva, databile tra sei e settecento. Ipotizza quindi che ci si trovi di fronte a una edificazione fatta con materiale ricavato da una più antica costruzione, forse crollata ( in parte o totalmente) o forse abbattuta. La datazione successiva viene avvalorata dalla qualità della muratura, dal tipo delle volte e dalla copertura che con i travi sopravanza il filo dei muri. Non pare improbabile che questa costruzione abbia sostituito una casa-forte preesistente, Dal nome popolare di Ca’ del Cont, parrebbe individuabile anche per questo edificio una origine signorile. Nel libro della Viglino non è propriamente indicata come una vera “casa-forte”, ma solo presentata sotto la voce “Altri manufatti”, rinviando per il rilievo dell’ edificio al libro di Cima - Corino - Facta – Midali. In realtà mentre altri autori e studiosi pensano trattarsi di una vera casa-forte, anche se un po’ tardiva, la Viglino ritiene che questa costruzione non mantenga “nelle condizioni odierne quei caratteri costruttivi tipici che permettano di individuarla inequivocabilmente come tale ” (pag. 111). Se non sono totalmente d’accordo con la illustre ricercatrice, non è per atto di superbia, ma per la convinzione (qui dalla Viglino chiaramente espressa con quel limitativo nelle condizioni odierne, ma già dalla stessa riportata a pag. 23) che le case-forti delle quali ci è giunta una struttura ancora sicuramente leggibile è una piccola parte di quelle esistenti nel Medio Evo. E’ quindi non solo presumibile ma pressoché certo, che la bellissima casa-forte di Servino, di cui si dirà , non fosse l’unica della Valle Soana e che quindi altre esistessero in borgate e nuclei, forse anche presso i capoluoghi, ma in particolare in aree isolate come quella di Fraschietto. Senza dubbio questa Ca’ del Cont è la reliquia architettonica che, assieme appunto quella del Servino, ha conservato alcune tracce che possono contribuire ad indicarla, seppure con qualche dubbio, come una casa-forte alpina, rimaneggiata o anche ricostruita, come testimonia lo studio della Viglino. Contribuiscono a sostenere questa ipotesi l’isolamento del luogo, l’altitudine (1050), 2. Per quei nomi, località Carabini e Cà del Cont, trascriviamo dal libro del Corsac sulla Toponomastica delle Valli Orco e Soana questo appunto: “ Carabini, localm. Carabin - gruppo di abitazioni ormai in rovina subito dopo Fraschietto, nel Vallone della Verdassa. Tra le altre spiccano i resti di una robusta casa-forte con begli architravi in pietra monolitica. La leggenda locale dice che qui si sarebbe rifugiato un conte Carabin, nobile proveniente dalle parti di Milano e qui rifugiatosi con tutti i beni e la servitù per sfuggire a un’accusa rivoltagli dal tribunale dell’Inquisizione, in un’epoca non ben precisata. Pare che sul posto si siano rinvenute antiche tubature e vecchie armi.” Da notare che nelle forme Carabino, Carabin, Carabbino appare nell’onomastica locale come secondo cognome, dopo ‘Orso’, per una ventina di volte, tra il 1720 e il 1820 circa negli atti di battesimo della Parrocchia di Frassinetto, in genere per trascrizione dalla cappellania di Codebiollo. 36 marzo 2003 Ca del Cont. Le Case-forti delle valli Orco e Soana. 37 marzo 2003 plesso, e, per la testimonianza che ci offre di un momento particolare della storia delle popolazioni alpine, dovrebbe essere oggetto, in una società attenta alle proprie radici, di un serio intervento conservativo. Ma poiché la realtà sociale e culturale in cui viviamo è quella che è, non possiamo nutrire che flebilissime speranze in merito. L’edificio non presenta nel suo complesso interventi costruttivi che ne abbiano successivamente modificato le caratteristiche originali. Le misure riportate nello studio della Viglino sono: - pianta di forma trapezoidale di m 5.50 x 8,15 x 6 x 7,10; - altezze dei diversi piani: p. terra: m 1,90 alla soglia di accesso, m 3,50 nell’area scavata profonda m 1,60; p. primo da solaio a solaio: m 2.90: p. secondo: m 2,25; sottotetto: da un minimo di m 1,59 ai 3 m del colmo; in total, dalla base scavata del p. terra al colmo del tetto m 11, 65. Le murature hanno lo spessore di 70 cm, formate, negli spigoli, da blocchi quadrangolari squadrati, le pareti sono di pietre di minori dimensioni, talora intercalate da fasce lavorate a spina di pesce. Le aperture originali di questa casa-forte sono i tre portali, non posti sulla stessa verticale che sono di piccole dimensioni ( mediamente m 0,75 x 1,60); nella parete Nord, sono, al secondo piano, due finestre, una sulla parete Ovest l’altra, ormai appena parzialmente leggibile, sulla facciata Sud. L’organizzazione dell’edificio prevedeva gli accessi diretti al piano terra e al primo piano, come già detto, utilizzando il dislivello offerto dal masso roccioso d’appoggio e con scala esterna mobile per il secondo piano: per il sottotetto è probabile l’esistenza di una botola nel solaio. Questo, come gli altri tra piano e piano, erano in legno, con tavole spesse 6 cm . I portali hanno incorniciature, ciascuna formata da cinque lastre, precisamente: due monoliti larghi circa 45 cm, sovrastati da due appoggi orizzontali che equilibrano e reggono il carico dell’architrave di forma triangolare più o meno arrotondata sul colmo, lunghi tra m, 1,10 e m. 1,40, alti alla mezzeria 35 - 40 cm. (la prof. Viglino sottolinea, nella parete a levante del piccolo edificio di costruzione suc- non tanto perché non più utilizzata o forse perché fatiscente per incuria o per qualche evento atmosferico, e ne abbia seguito la struttura complessiva, tanto che essa è quasi identica a quella di altre case-forti medievali canavesane. Forse è possibile mediare tra le due posizioni, semplicemente proponendo che forse ci troviamo di fronte a un rifacimento tardivo di una costruzione più antica, ma ritenuta ancora utile e valida. La seconda casa-forte della Valle Soana è anche la più imponente esistente in queste due valli. E’ strano che non esistano altre segnalazioni per una Valle così importante, frequentata non solo da pacifica gente di passaggio , ma anche da militari non sempre disciplinati e spesso affamati, e in cui la rivolta tuchina lasciò strascichi secolari.. Non è solo quella altimetricamente più alta (quota 1460) ma la più interessante tra le case-forti canavesane. Attualmente è in condizioni di conservazione piuttosto critiche, anche a causa del crollo quasi totale del tetto e per altri danni, in particolare alla muratura del lato Est. E’ in una borgatella, ormai in gran parte fatiscente ( tra le altre costruzioni, anche un rascard tipico della Valle d’Aosta) della frazione Servino, costituita da quattro nuclei principali: Rahchieri, Masonaie, Fontana, Recrì. E’ in quest’ultimo, in località detta Tor, evidentemente dalla presenza di questa bella casa-torre , che si trova. sulla sinistra del torrente Servino, la casa-forte. Vi si accede, proseguendo, dopo l’abitato di Ronco Canavese, lungo la provinciale per Valprato, che si abbandona per imboccare, sulla destra, la deviazione per Scandosio - Cerniso e proseguendo poi lungo la mulattiera che si inerpica nel vallone del Servino. La costruzione che ci interessa si appoggia su un grande masso roccioso che la sopraeleva di circa due metri e mezzo sull’area circostante, formando un dislivello che permette l’accesso diretto ai due primi piani dell’edificio. Esso è però ancora ben leggibile nel suo com- 38 marzo 2003 cessiva e accostato alla torre, la presenza di un portale simile ai tre dell’edificio principale, forse a costituire un’uscita verso sud). Questa casa-torre è caratterizzata dalla presenza di alcune peculiarità costruttive, tra cui: - sul fronte Nord, tettucci di lastre orizzontali litiche, sporgenti dalla muratura, a protezione dei portali; - grondaie in legno per raccogliere la pioggia gocciolante dal tetto; la presenza di tali grondaie, logicamente ora scomparse, è testimoniata dalla conservazione parziale di mensole in pietra, lavorate a doppia curvatura; le mensole erano due per ogni parete, e ne permangono tre in tutto: una sulla parete Est, due (una, incompleta) sulla parete Ovest;- il sistema di appoggio dei solai in legno era offerto da robuste travi (spesse cm 35 x 20) che si incastravano in mensole arrotondate in pietra bloccate ai lati da lastre litiche: questi travi di sostegno si appoggiavano poi anche sul muro e ne uscivano all’esterno per circa 35 cm. e qui erano bloccati da una spina lignea, il tutto protetto contro la pioggia da una lastra di pietra inclinata, a sua volta sostenuta da una pietra opportunamente lavorata. degno di uno sguardo. La Valle dell’Orco comprende alcuni valloni laterali tra cui i principali sono quelli di Ribordone, di Piantonetto e del Roc.La Valle ci offre, ancora discretamente conservati, cinque edifici aventi le caratteristiche di vere e proprie case-forti. Sono, a partire dal basso, sulla destra orografica quelle di Onsino e Pianey e sulla sinistra quelle di Pertia, Tirolo (vallone di Ribordone) e di Casetti, nella zona in cui il rio Piantonetto va a sfociare nell’Orco. In altri termini, delle cinque case-forti accertate in Valle Orco, quattro si trovano nell’area montana che si affaccia su Sparone, e qui è anche una “possibile” casa-forte, di cui qualche traccia pare essere stata indicata poco a monte di Onsino, in località Serrai. Anche per questa eccezionale concentrazione appare logico pensare che altri edifici analoghi e con analoghe funzioni esistessero, forse più numerosi di quanto pensiamo, nella Valle, ma di essi si sono perse quasi del tutto le tracce, ad esclusione di qualche reperto qua e là. Appare poco probabile che nuclei, non si fossero dotati di un rifugio per le loro scarse ma preziosissime vettovaglie: se per Locana i frequenti smottamenti e le ricorrenti alluvioni che ne distrussero nei secoli parti importanti del primitivo insediamento sono sufficienti a farci pensare che una eventuale casa-forte ne abbia seguito le sorti, resta inspiegabile l’assenza di questo tipo di manufatti o di loro tracce in altre aree. E’ il dubbio che gli studiosi di questa materia si sono posti e che qui abbiamo ribadito già prima e per altri luoghi. ma qui una risposta negativa pare ancor più impossibile da accettare secondo logica. Incominciamo comunque dalla prima accertata casa-forte della Valle, cioè Onsino. Ipotesi di case-forti in Valle Soana sono state avanzate: - per Ronco Capoluogo, dietro la parrocchiale di San Giusto, ove resiste una antica casa con tratti di mura a spina di pesce e un trilite; - nel vallone di Guaira , borgata Grangia, ove sino a pochi decenni fa era una casa detta “Castello”, con murature a spina di pesce e altri elementi medievali, il tutto oggi ridotto a un cumulo di macerie; - per Campiglia, sono degni di una certa attenzione alcuni residui in pietra utilizzati nella costruzione della Chiesa Parrocchiale. Onsino è il nome di una borgatella del comune di Sparone, posta a quota 725 , sull’alto di un ripiano roccioso. Sotto l’aspetto etimologico Onsino (localm. Onsin) il citato libro del Corsac (pg, 145) pone in dubbio il collegamento che è stato proposto da alcuni studiosi per l’omonimo comune (quota 1220) del Cuneese, in alta Valle Po, con un aggettivo “uncinus”, diminutivo di “uncus” = adunco, perché difficilmente qui adattabile (anche se non può escludersi che la posizione fortificata di questa bor- C) VALLE ORCO Oltre l’abitato di Pont ,lungo la carrozzabile,a poche centinaia di metri dopo l’innesto della circonvallazione, è uno straordinario esempio di antica abitazione “sotto roccia”, che non c‘entra nulla con l’argomento che qui si tratta, ma che è comunque 39 marzo 2003 alto oltre 50. Il portale superiore è invece inquadrato da tre soli pezzi, essendo gli stipiti coperti da due sole lastre, larghe 40 cm e alte 65: su di esse poggia direttamente l’architrave, simile a quello del portale inferiore ma più arrotondato al vertice. Le quattro finestrelle della facciata Est sono irregolari e sono state ricavate in tempi successivi.. I due vani sono di circa m 4,60 x 5,50 e sono coperti da solai fatti di travi spesse intorno ai 16-17 cm, appoggiate su mensole in pietra, con relativo tavolato sovrastante spesso 9 cm. Le murature sono spesse 70 cm circa, con spigoli costituiti da blocchi in pietra rettangolari e bene squadrati, mentre la tessitura delle pareti , a pietre spaccate, non è molto curata; presenta qua e là qualche tratto a spina di pesce. Caratteristiche di questo edificio sono: le dimensioni eccezionali delle ardesie di copertura del tetto; la notevole sporgenza del tetto, che raggiunge i 70 cm, mentre di norma il tetto è a filo esterno del muro; la presenza di croci incise nei due architravi dei portali. gatella, quasi di protezione su Sparone, sia riferibile a una attrezzatura guerresca, a un “uncino” che si chiude tra questo luogo e il sottostante castello di Sparone). Più probabile pare l’altra ipotesi avanzata per il comunello cuneese che si riferisce a un altro aggettivo “alcinus” , fitonimo da “alnus”, cioè l’ontano, pianta presente nei pressi della frazione. Per raggiungere Onsino si attraversa il ponte che è sulla sinistra di chi sale verso la valle, subito dopo l’area industriale di Sparone: dopo il ponte la strada si biforca: piegando a sinistra si sale verso Onsino che è attraversata da questa vicinale carrozzabile che poi prosegue verso Alpette. La frazione è formata da tre borgatelle: Onsino Superiore, Fontana, Su di Gay che è la principale, ove è la chiesa e in cui si trova la casa-forte. che originariamente era certo isolata ma oggi è circondata da altre costruzioni che ne rendono meno evidenti le caratteristiche peculiari. e problematica e per alcuni particolari anche impossibile, la documentazione fotografica. Anche questa casa-forte è stata costruita su un masso roccioso; la pianta è quasi rettangolare, di dimensioni piuttosto ampie (m 5,85 x 6,10), si sviluppa su soli due piani fuori terra. L’altezza massima complessiva alla base del tetto è di m 6,60, la minima di 5,30 (la differenza è determinata dalla pendenza del roccione su cui è basata la costruzione); i due piani sono alti rispettivamente m 2,65 e 2,10. Lo sviluppo dell’edificio è tipico di queste costruzioni: un vano unico per ogni piano, cui si accede per due portali: a quello inferiore direttamente dal piano terra, a quello superiore con scala mobile esterna; queste aperture sono sulla parete Nord. cioè sul sentiero interno della borgata. Il portale inferiore è più grande ( m 1,15 x 1,65) ed è spostato sulla sinistra , quello superiore ha le dimensioni di m 0,60 x 1,65 ed è quasi al centro della facciata.Le inquadrature dei due portali si differenziano anche per la tipologia: l’inferiore è formato da cinque lastre, cioè due verticali, molto robuste (cm 58 x 165 a sin,, 52 x 165 a d.) sormontate da due orizzontali, poste di piatto, spesse quasi 20 cm e lunghe oltre un metro, che ripartiscono il carico dell’architrave di forma pseudotriangolare largo quasi 160 cm e Ridiscendendo ora sulla strada già percorsa, si ritorna al bivio del ponte cui si è già accennato; si va diritto verso Bisdonio e da qui sino a Feilongo; qui la carrozzabile termina; un sentiero tra i boschi supera il confine amministrativo tra Sparone e Locana e raggiunge un gruppetto di case sparse costituenti la borgata Pianey. avente come baricentro una casa-forte. Sull’etimologia di Pianey – tradotta sulle carte topografiche come Pianetti – si fanno due ipotesi: una si riferisce ai piccoli pianori che l’uomo ricavò in quest’area già montagnosa; l’altra probabilmente più aderente alla realtà, riguarda la presenza, anche attuale, di numerosi aceri, in dialetto locale “ piani” . La borgatella sovrasta, da quota 800, la golena dell’Orco su cui sorge la borgata locanese di Praie. La casa-forte di Pianey presenta alcune peculiarità costruttive, pur se nel complesso l’edificio risulta “arricchito” da opere di riplasmazione successiva alla sua costruzione tipicamente medievale. 40 marzo 2003 ni posteriori, adiacenti alla casa-forte: provengono quasi certamente dal recupero di altri portali della casa-forte stessa). All’interno i due vani sovrapposti e il sottotetto misurano, in pianta. m 4,60 x m 5,30; gli interpiani sono, a partire dal basso di m 2,25, m 2, m 1,40 (sottotetto al colmo, per un’altezza complessiva di quasi sei metri; i piani sono divisi da solai in legno sostenuti da travi di sezione intorno ai 18 cm e tavolato spesso circa 3 cm . Da notare: i grigliati di aerazione sulla facciata Sud, formati da pietre poste a coltello ( sono però probabilmente ristrutturazioni successive); nell’interno, nello spessore del muro, numerosi vani pressoché quadrati, di 40 cm di lato; la muratura interna del modulo cui si accede dal portale destro, molto curata, con classiche fasce lavorate a spina di pesce. Riattraversiamo il fiume e passiamo alle tre case-forti segnalate sulla sinistra orografica. Qui la segnalazione, da parte di Elio Blessent, riguardante Vasario per la cosiddetta “Casa delle Coste”, verso le miniere. oggi quasi del tutto diroccata. non riguarda probabilmente una casa-forte: è in realtà una casa forse quattro-cinquecentesca, di costruzione accurata e signorile, isolata dall’abitato. Essa ha certo alcuni caratteri analoghi a quelli di una casa-forte, ma per altri se ne discosta; sulla bella rivista dei Canteir di Pont (La brasa...la spluvia, 1996, n. 22) Blessent ne parla come “ di tipica costruzione tardo medievale edificata con pietre locali disposte a lisca di pesce: fungeva nei tempi come privativa del sale”. Eccoci alla importante casa forte di Pertia. Anche questa casa-forte era inizialmente isolata, mentre oggi costituisce l’elemento centrale di un aggregato di edifici rurali alcuni dei quali sei - settecenteschi. Unico esempio tra quelle studiate nell’area canavesana, in questa di Pianey la parte originaria è costituita da due moduli coevi, uno accostato all’altro a formare un edificio che misura, in pianta, metri 6,75 x 10,15. La base poggia su due livelli sfalsati di oltre due metri, ottenuti con opere di scavo e di riporto, per cui dalla parte più bassa l’edificio risulta di tre piani sovrapposti, da quella più alta di solo due. Gli interventi successivi hanno interessato soprattutto il muro a Est e la facciata a Sud, con inserimenti resi necessari probabilmente da un crollo; qui le tessiture murarie sono evidentemente diverse e in esse sono state ricavate porte e finestre non originari. Da notare inoltre le aggiunte di una scaletta esterna in muratura che raggiunge il secondo piano e di travi a sbalzo del tetto a lose. Di costruzione originaria è invece la parte inferiore, ove la muratura è eccezionalmente ben curata, sia negli spigoli (cosa che non è rara nelle case-forti) sia nelle pareti, il che invece è eccezionale; in questa di Pianey spigoli e pareti sono costituiti da solidi blocchi in pietra, ben squadrati, rettangolari, alti intorno ai 40 -50 cm. e di lunghezza varia. La Viglino annota, a questo proposito, che “la lavorazione accuratissima è certamente opera di maestri da muro altamente specializzati”. (pag. 69). Lo spessore del muro perimetrale risulta essere di 75 cm. Sul fronte Est sono due portali simili, alti 120 e larghi rispettivamente 95 e 80 cm (quello di sinistra è murato); le cornici sono formate lateralmente da stipiti costituiti da lastre orizzontali grandi (le inferiori di oltre un metro. le superiori di circa 40 cm); i due architravi di forma triangolare sono alti 58 cm e larghi mediamente 125. (Due portali, sostanzialmente eguali a questi due, sono inseriti in costruzio3. Sotto l’aspetto etimologico è raffrontabile con alcuni toponimi minori presenti a Ceresole (alpe Pertica, in dialetto Përcha, cima Përcia, alpeggio Percetti) e parrebbe quasi certo che il riferimento sia dato dalla voce “pertica” , forse riferibile al costune longobardo di indicare i confini delle proprietà o del domi- Di questa importante casa-forte è documentata l’origine signorile nella cronaca dell’Azario; la costruzione è probabilmente da fare risalire ai primi decenni del secolo XIV, per iniziativa dei Conti di San Martino, ai quali la sottrae, nel 1339, cioè durante la Guerra del Canavese, il conte Giovanni di Valperga, che si avvale dell’aiuto di alpigiani del luogo. In riconoscenza di tale sostegno, il conte Giovanni consegna il complesso a persone del luogo, e tale fatto indica che per i Valperga questo complesso fortificato non aveva importanza strategica ed ha un ridotto potenziale economico. Nelle guerre cinquecentesche tra spagnoli e francesi anche Pertia viene prese di mira e in parte devastata: è probabile che le tracce di un incendio e di una successiva ricostruzione che si possono individuare nella nostra casa-forte ne siano il ricordo. Nei secoli successivi l’insediamento assumerà prevalente importanza come bene legato alla pastorizia e sarà visto dai proprietari come una diversa ma utile “malga” per l’alpeggio. 41 marzo 2003 coperture non impediscono una buona lettura del complesso edilizio. In pianta le dimensioni dell’edificio sono valutabili, nella costruzione più antica, a oltre metri 5 x 6, mentre in quella superiore sono di metri 5 x 5: i tetti sono allo stesso livello, ma i piani risultano in parte sfalsati. Le murature hanno spessori abituali di questo tipo di edifici, intorno ai 70 cm; sono in pietra, con angoli formati da massi squadrati, le pietre delle pareti sono di dimensioni minori, sistemate con molta cura in fasce di pietre posate di piatto alternate ad altre a spina di pesce. La copertura, pressoché del tutto crollata nell’edificio più antico, è a due falde e in lose.La volta a botte del piano seminterrato non parrebbe coeva alla primitiva costruzione; i piani superiori, alti circa due metri, erano coperti da solai in legno. Nei muri Nord ed Est sono alcune finestrelle di diversa dimensione ricavate nel corso dei secoli semplicemente eliminando qualche pietra; solo la finestrella nel modulo più antico può considerarsi presente già nella costruzione iniziale ed era incorniciata da tre lastre regolari. Le aperture dfi accesso erano solo nella facciata Nord e alcune di loro sono oggi di difficile lettura: si tratta di due portali per ogni cellula, a quote diverse tra loro, ma è presumibile che un terzo portale e una finestrella esistessero anche al terzo piano del modulo più antico, ma il degrado della parte alta della costruzione non permette in questo caso una lettura del tutto certa.. Non tutte queste aperture sono oggi misurabili: è probabile che fossero tutte di dimensioni e di foggia analoga a quelle ancora presenti e che mostrano dimensioni ridotte sia nei piani inferiori ( uno cm 80 x 170, l’altro, a destra. cm 80 x 155), sia in quelli superiori (cm 70 x 170). Le incorniciature a grandi lastre sono a 5 ed anche a 7 lastre, con stipiti verticali piuttosto sottili di altezza variabile, ciascuno sormontato da una o due lastre orizzontali che si dividono il carico degli architravi, alcuni di forma rettangolare, altri un poco ovoidali, con larghezza intorno ai 130 cm e altezza intorno ai 35 cm . Non molto discosta da quella di Pertia è la casa-forte di Tirolo. nio, con un’asta di legno, o pertica. Poichè anche il nome di Sparone è riferibile a una voce longobarda significante asta di confine, e sull’altro versante dell’Orco, sulla stessa linea, esiste, a quota 1254, la località Palocco, da “ pal -pala” altra voce con identico significato, è stata avanzata l’ipotesi che la linea congiungente queste tre località costituisse quella di confine del dominio longobardo. Questa casa-forte sorge a quota 1220 e può essere raggiunta sia da Ribordone sia da Sparone, lungo sentieri ben individuabili: naturalmente da Ribordone vi sono minori dislivelli da superare. Altro sentiero. molto più ripido e malagevole, sale dalla borgata Bosco di Locana. Tra le case-forti alto canavesane quella di Pertia è senza dubbio. per la storia e la leggenda la più importante, ed è l’unica che viene menzionata, seppure in forma piuttosto romanzata, nel primo manoscritto dedicato unicamente al Canavese, che racconta, per mano del notaio Pietro Azario (1312 - 1367) le vicende della “Guerra Canavesana, 1339-1343". Pertia vi è descritta come un ”castrum" imprendibile per la sua struttura e per la sua posizione; la leggenda lo dice sede di Arduino durante l’assedio di Sparone nell’anno 1000, Ma la realtà oggi. è diversa: la posizione è sì dominante, ma non vi sono passaggi per cui un uomo solo sarebbe stato in grado di respingere un esercito e il “castello” di cui si parla è proprio e solo una casa-forte importante sì, ma non più imponente di altre. Secondo la Viglino è “ ciò che rimane della costruzione medievale, luogo di uno scontro tra i San Martino e i Valperga, durante la guerra del Canavese.” La casa-forte fa parte di un gruppo di costruzioni oggi abbandonate e fatiscenti; è situata su un pendìo piuttosto ripido, ma lavorato con scavi e riporti a formare ripiani che permettono, come già visto altrove, due ingressi del manufatto a piani diversi. Questa casa-forte è per così dire doppia, con le due cellule, non coeve, accostate tra loro: la costruzione più alta e più antica, è quella che nella parte orientale, e si basa su una quota inferiore: vista dal basso appariva come un torre di quattro piani, uno di più della parte posta a livello maggiore. I parziali crolli delle 42 marzo 2003 Gli accessi, che al piano inferiore sono sopraelevati di circa 80 cm sul livello del suolo, sono garantiti da portali di piccole dimensioni: cm 70 x 140 al piano terra, di poco maggiori al secondo piano (attualmente in parte chiuso da un muro); gli stipiti sono formati da lastre orizzontali, sovrapposte. Il portale inferiore è chiuso da un arco formato da dieci conci alti 24 cm, quello superiore invece da un architrave monolitico triangolare, largo 130 cm e alto, in chiave, la metà. Il complesso presenta anche altre due porte, sulle pareti Nord ed Ovest, non coeve alla costruzione; probabilmente appartenenti alla struttura originaria sono invece alcune piccole aperture con incorniciatura trilitica, aventi funzioni di ventilazione. Ultima casa-forte della Valle Orco è quella di Casetti. Con questo nome si indica un’area che comprende una cima (quota 1601), un colle, un alpeggio e una borgata, oggi del tutto abbandonata, che sono amministrativamente dipendenti da Ribordone ma si affacciano già sulla Valle dell’Orco, ai confini con il territorio di Locana. Etimologicamente questo nome (che varia tra l’italianizzato Tirolo e il locale Tiriol) avrebbe la base nella voce preromana Taur- Tauro = monte. La borgata, a quota intorno ai 1250 m, si divide in tre nuclei: Superiore (qui è la casa-forte), Di mezzo e Inferiore. Per raggiungerla non esistono più sentieri agevoli: quello una volta più consigliabile saliva dalla località Bardonetto, nel fondovalle, è ora impraticabile . Si può invece, seppure superando qualche difficoltà, arrivare da Ribordone, passando per i quasi 1400 m del colle Pertia (sovrastante località omonima) e di qui raggiungere in lieve discesa la nostra meta. Il piccolo nucleo in cui si trova la casa-forte è formato da case abbastanza antiche, ma certo di epoca successiva ; l’edificio che ci interessa era stato evidentemente costruito, come gli altri analoghi, in posizione isolata. Ha pianta quasi quadrata (m 4,75 x m 5,10), ha un’altezza (al colmo del tetto) di m 7,70, è su tre piani che prospettano sulla Valle Orco; per la forte pendenza, i tre piani diventano uno solo (quello del sottotetto) nella parte verso monte, dove appunto è l’accesso (aperto in tempi successivi) al sottotetto che è piuttosto basso. Anche questa casa-forte è almeno in parte fondata su un masso roccioso, che affiora anche nell’interno della costruzione. Come al solito la tipologia costruttiva presenta un unico vano per ogni piano; i muri hanno spessore tra i 70 e gli 80 cm, presentano massi rocciosi piuttosto regolari e grossi, specialmente, ma non solo, negli spigoli e nella base, ove sono mediamente alti una trentina di cm e talora lunghi un metro e mezzo. Le dimensioni interne dei vani sono di circa metri 3,25 x 3,60. La volta del piano inferiore è a botte, con altezza massima di m 2,35; il piano superiore ha invece il solaio in legno ed è alto appena m 1,70 . Etimologicamente non paiono esistere dubbi sul significato di questo toponimo, presente anche altrove, ad altitudini maggiori, nella valle: “casupole per pastori”. La borgata è a quota 700 m, si trova a una quindicina di chilometri dal capoluogo di Locana, lungo il percorso della strada provinciale , quasi adiacente alla borgata Rosone, sede della parrocchiale che ha giurisdizione ecclesiastica su tutta la parte alta del comune, La casa-forte è al centro del nucleo, in parte abbandonato, della frazione che presenta molte case antiche ma di edificazione postmedievale: come si è detto per altre case-forti, è presumibile che essa sia sorta in area isolata e abbia poi costituito un centro di attrazione per altri edifici. L’accesso avviene direttamente dalla provinciale, attraverso una stradina in salita; proprio ove questa si divide (quasi ad angolo retto) sorge questa piccola casa-forte che si appoggia ad un masso roccioso mediante un’opera muraria che confina con una casetta rurale di epoca molto posteriore. Ha subito notevoli modifiche nel corso dei secoli, tra cui anche una sopraelevazione che l’ha portata a circa sette metri : la struttura primitiva è però evidentemente limitata a circa quattro metri e 43 marzo 2003 re altri piani, che oggi non sono più rilevabili. I due misurati attualmente denotano un’altezza di circa m 1,90; tra loro vi era un solaio in legno di spessore non superiore ai 15 cm. mezzo, cioè fin dove esiste una muratura angolare di blocchi litei evidenti soprattutto nello spigolo Est. Altre modifiche (chiusura della porta d’accesso al piano superiore, sopraelevazione con costruzione di una volta al posto del solaio, tagli di aperture e porte) non hanno del tutto cancellato la struttura di questo interessante edificio. I due portali sono comunque ancora ben leggibili: ognuno dei quattro stipiti è formato da quattro grandi lastre che misurano circa cm 55 x 90 e da quattro di dimensioni minori (intorno ai 45 x 30); tra tali lastre e gli architravi sono interposte lastre alte intorno ai 10-15 cm lunghe circa un metro. Il portale superiore non ha più l’’architrave, quello del piano inferiore ha forma tondeggiante, è pesantemente fessurato, è lungo 120 cm ed è spesso tra i 20 e i 45 cm. La luce calcolata di queste aperture (piano inferiore cm 78 x 172, piano superiore cm 65 x 143) paiono confermare che comunque questa era con ogni probabilità la più piccola tra le case-forti alto canavesane, anche se la Viglino, ai cui accurati studi riportati in bibliografia si rimanda chi è particolarmente interessato a questo argomento, non esclude che questa casa-forte potesse ave- Angelo Paviolo BIBLIOGRAFIA A. BERTOLOTTI, Passeggiate nel Canavese, 8 voll., Ivrea-Torino, 1867-1874. G. BERTOTTI, A. PAVIOLO, A. ROSSEBASTIANO, Le Valli Orco e Soana, note sui nomi delle località e montagne, ecc. - Corsac, 1994. M. BERTOTTI, Documenti di Storia Canavesana, Ivrea 1979. M. BERTOTTI, Appunti per una storia di Cuorgné, Ivrea, 1993. M. CIMA, M. CORINO, F. FACTA. D. MIDALI, Archeologia degli insediamenti sparsi in Valle Orco, in “Archeologia Medievale”, Firenze, 1985. G. CINOTTI, Briciole di storia pontese, Ivrea 1978. A. PAVIOLO, Una casa-forte della montagna canavesana: il “castello di Pertica”, San Giorgio Can., 1992. M. VIGLINO DAVICO, I ricetti del Piemonte, Torino, 1979. M. VIGLINO DAVICO, Case-forti montane nell’Alto Canavese. Quale Futuro ? - San Giorgio Can., 1993. 44 marzo 2003 Festa Rurale a Coazze il 19-20 ottobre 2002 La rivalutazione del rurale. Il recupero di una borgata. Il riscaldamento a cippato di legno. buon cibo, patrimonio tradizionale italiano, sono le due grandi idee guida di questa nuova politica. Il programma della seconda Festa Rurale di Coazze è stato su questa linea. Vi è stato il confronto fecondo e amichevole tra realtà aventi problemi analoghi, con la partecipazione della Regione Francese del Vercors e della Provincia di Potenza Molte sono state le iniziative nelle due giornate, a cui accenniamo brevemente: la Fiera Rurale, con presentazione di prodotti enogastronomici tipici, in particolare il Cevrin, formaggio di Coazze; una mostra zootecnica; una tavola rotonda sull’architettura alpina, a cura del Parco Orsiera-Rocciavrè che comprende il quaranta per cento del territorio del comune di Coazze, e la storia del recupero di una borgata di Coazze raccontata dal benemerito artefice di questa impresa, l’ingegner Giuseppe Simonis; gare con la satula, cioè con la trottola, fatta con durissimo legno di bosso; una squisita “cena rurale” il sabato sera, e uno squisito “pranzo rurale” la domenica. Vogliamo infine segnalare, soffermandoci per quanto consente lo spazio, un tema di grande attualità, affrontato nel Convegno della domenica mattina: l’utilizzazione del legno come energia termica pulita e rinnovabile, tema del resto già illustrato in sede Salone della Montagna di pochi giorni prima, e nelle quattro giornate su ‘Bosco e territorio” del 5-6-7-8 Settembre a Usseaux nella vicina Val Chisone. In Italia, con lo spopolamento della montagna, la superficie boschiva è grandemente aumentata, ma si tratta in gran parte di boschi tristemente abbandonati poiché non ne era rimunerativa la manutenzione. Il ritorno all’utilizzo del legno per riscaldamento, sotto forma di “cippato” o “pellet”, cioè di piccoli pezzi di legno compattato per apposite stufe e caldaie, costituisce una ragione per provvedere alla cura dei boschi, con tutto il vantaggio che ne consegue per l’equilibrio del Sabato e domenica, 19 e 20 ottobre 2002, si è svolta a Coazze, Val Sangone, provincia di Torino, la seconda Festa Rurale, dopo la prima dell’anno scorso. “Festa rurale significa esaltazione e valorizzazione di tutto ciò che di tradizionale, genuino e tipico il territorio conserva”, ha scritto Elisa Giacone sul bisettimanale locale luna nuova del 18 ottobre, annunciando l’iniziativa. Se oggigiorno, di fronte al congestionamento delle città, incomincia a farsi sentire, anche a livello di massa, il richiamo della campagna e delle montagne, da un punto di vista culturale la “rivalutazione del rurale”, in un paese come il nostro, l’Italia, che è stato fatto dalle città, non è certo cosa scontata. Perfino nel linguaggio, la dicotomìa città-campagna , a tutto svantaggio per la campagna, si è sempre sentita, là dove l’aggettivo “villano” ha significato spregiativo rispetto al qualificativo “urbano”, e così via. Anche nelle ideologie politiche , la campagna significava “conservatorismo”, e “progresso” la concentrazione collettiva delle città. Ora questa dicotomìa può considerarsi storicamente superata con il passaggio in una fase postindustriale dove la tecnologia informatica ha ridotto enormemente, se non abolito, la dimensione spazio, consentendo comunicazione a distanza e lavoro qualificato ovunque. Dunque non conviene a nessuno che i paesi diventino delle squallide succursali-dormitorio della città più vicina, ma, come si disse nella prima Festa Rurale, quella dell’altro anno, questo significa semplicemente “cambiar politica” anche nella gestione diretta del proprio Comune: recupero dei territori abbandonati, non più marginalizzazione dell’attività agricola rimasta. La necessità drammatica di arrestare il dissesto idrogeologico del Paese, frutto in buona parte dell’abbandono dei territori montani, e per altra parte il diffondersi del gusto per il 45 marzo 2003 progetto per lo sviluppo del territorio che rimane poi fermo su una scrivania per anni. Ce lo auguriamo di tutto cuore! Intanto a Coazze il “pellet” è già in vendita, e vi sono due locali di ristorazione che riscaldano l’ambiente con una stufa che va a cippato di legna. Per me, fatte le dovute differenze, è un ritornare ragazzetto al primo inverno del dopoguerra (1945-46) quando in una casa di Torino la famiglia si scaldava con una stufa che andava …a segatura! C’era un bidone nel corridoio centrale dell’alloggio, che si riempiva di segatura ben pressata, lasciando un buco verticale nel mezzo fatto col manico della scopa, che assicurava l’areazione necessaria per una combustione regolare del… cippato. s.m. sistema idrogeologico del territorio, e producendo anche posti di lavoro pone un freno allo spopolamento della montagna: si crea insomma un virtuoso effetto a catena. L’uso del legno come energia termica è già molto diffuso in Francia (oltre, naturalmente, nei paesi nordici dell’Unione Europea), e da noi nella Regione Veneto, in particolare nella Provincia Autonoma di Bolzano. Il Comune di Coazze ha vinto un concorso bandito dalla Provincia, con un suo progetto “per fare caldo pulito con i pellet, e pulizia dei boschi e posti di lavoro”, com’è detto nuovamente su luna nuova nel numero seguente la Festa Rurale, in una intervista all’assessore Carlo Marinari che assicura: questo non vuole essere l’ennesimo Casetti. Facciata Sud. 46 marzo 2003 Sulle tracce del documento: una base di dati bibliografici – gruppi e associazioni strutturate, non istituzionali (pro loco, associazioni di ricercatori di storia locale ecc…) – parrocchie e altri enti ecclesiastici – enti locali (comuni, province, comunità montane) – fondazioni e istituti culturali – scuole di ogni ordine e grado Da tempo noi di L&M ci siamo posti l’obiettivo di produrre un nuovo strumento bibliografico, un nuovo supporto alla ricerca storica locale. Da un’analisi effettuata su diversi repertori bibliografici è emersa, infatti, l’assenza di adeguati strumenti di ricerca che riportino, nel modo più dettagliato possibile, le pubblicazioni di ciascuna singola realtà territoriale. Da tali considerazioni è derivata l’idea di predisporre un progetto per una bibliografia piemontese a supporto della ricerca storica locale, che qui presentiamo. Finalità del progetto è la messa a punto di una banca dati in continuo aggiornamento che comprenda le indicazioni bibliografiche relative alla ricerca storica locale in ambito piemontese ripartite per singola località. La necessità di tale operazione scaturisce, da un lato, dall’esigenza di monitorare una produzione documentaria spesso a scarsa diffusione e pertanto di difficile reperimento; dall’altro lato, dal bisogno di offrire a chi di tale ricerca si occupa un repertorio il più esaustivo possibile che permetta l’utilizzo di un numero sempre maggiore di fonti (bibliografiche e non) a vantaggio dell’indagine condotta sul territorio. 2. livello centrale: costituirà il punto di raccolta e di coordinamento della documentazione pervenuta. Il gruppo di lavoro, oltre a comprendere persone adibite all’inserimento dei dati, dovrà poter contare su alcuni referenti con funzione di coordinamento e indirizzo, impegnati principalmente nel fornire ai singoli ricercatori strumenti atti a strutturare le informazioni in modo uniforme, secondo standard concordati in sede di definizione del progetto. Il fine è analizzare, provincia per provincia, le realtà dei singoli comuni piemontesi, per realizzare un repertorio che contenga tutto ciò che è stato pubblicato sul singolo comune. Più in dettaglio, • seriali (periodici, bollettini, notiziari di associazioni attive sul territorio) • monografie • letteratura grigia Da valutare il possibile inserimento di spogli da monografie e seriali. A tale proposito, di primaria importanza sarà la creazione e la messa a punto di una struttura gestionale a due livelli (locale e centrale) in grado di raccogliere e organizzare le informazioni raccolte: L’individuazione delle notizie potrà avvenire in più modi: - Analisi di repertori già esistenti (Casalis, Manno, BNI, ecc…) - Catalogo regionale dei periodici - Catalogo dei libri in commercio - Catalogo dei periodici in commercio - Bollettini parrocchiali - Bollettini e notiziari di istituti e di associazioni culturali 1. livello locale: comprenderà una rete informativa costituita da – singoli ricercatori (sarà pertanto prioritario procedere al loro censimento, strumento utile a individuare nei diversi contesti tutte le persone interessate e in grado di collaborare alla realizzazione del progetto) 47 marzo 2003 - Banche dati online relative alle diverse realtà locali - ALICE (Archivio Libri Italiani su Calcolatore Elettronico). La banca dati dovrà essere strutturata in modo da consentire l’indicizzazione alfabetica dei singoli comuni, suddivisi per provincia d’appartenenza. Ciascuna voce conterrà l’elenco dettagliato delle pubblicazioni possedute, con l’indicazione dell’ente cui far riferimento per reperire il singolo documento Sarà opportuno iniziare il lavoro partendo da una determinata provincia e da una realtà piuttosto piccola, in modo da mettere a punto e verificare le singole procedure. Guaira di Ronco Canavese. Resti del “Castello”. Vasario (Sparone). Casa delle Coste, portale. 48 I nostri libri marzo 2003 Ricerca bibliografica su alcuni comuni piemontesi: un primo esempio L’intervento è stato indirizzato all’individuazione di alcune pubblicazioni (si è al momento limitato l’ambito alle sole monografie, con sporadiche eccezioni) riguardanti 38 comuni piemontesi, selezionati sia per la vastità del territorio di competenza, sia per la presenza di documentazione inerente la ricerca storica locale. L’indagine ha al momento riguardato soltanto il materiale pubblicato nel corso dell’ultimo biennio (2001-2002) presente all’interno della banca dati del Servizio Bibliotecario Nazionale (vedi oltre). Si fa presente che per alcuni comuni di notevoli dimensioni (valga per tutti l’esempio di Torino) si è stabilito di inserire soltanto le pubblicazioni di carattere storico-artistico, o comunque di pertinenza strettamente locale. Il presente intervento non comprende pertanto la totalità delle opere presenti sul territorio di ciascun comune o ad esso pertinenti, ma vuole costituire un primo passo volto al censimento delle pubblicazioni che hanno per oggetto il territorio piemontese, considerando in particolar modo il materiale edito da case editrici minori prive di regolare distribuzione. Si invitano pertanto i lettori della Rivista di L&M e i soci a far pervenire presso la nostra sede segnalazioni su pubblicazioni e saggi di interesse locale, al fine non soltanto di costituire uno stimolo e una partecipazione più allargata alla ricerca e alla diffusione dei propri lavori, ma anche di favorire la definizione di criteri di volta in volta più mirati. Ad esempio, nella presente bibliografia sono state inserite le segnalazioni che, pur pertinenti al periodo antecedente il biennio preso in esame, ci sono pervenute o ci sono state segnalate dai nostri soci. Alba A CCIGLIARO, Walter - BOFFA , Gianni M OLINO, Baldassarre Repertorio storico delle parrocchie e delle parrocchiali nella diocesi di Alba, Piobesi d’Alba, Sori, 2001 A CCIGLIARO, Walter - B ROVIA, Silvia CAROSSO, Gianfranco Il viaggio di Francesco: sulle tracce del santo nelle terre di Langa, Piobesi d’Alba, Sori, 2001 Alba: Chiesa di San Domenico, a cura di Antonio BUCCOLO, Alba, Famija Albeisa, 2001 Aldo Agnelli: Alba Langhe Fenoglio, a cura di Alessandro D UTTO, Boves, Araba Fenice, 2001 B ORINGHIERI, Luca Opere d’arte nel duomo di Alba: secoli XVII e XVIII, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2000-2001 P ANERO, Francesco Il libro della catena: gli Statuti di Alba del secolo XV, Alba, Famija Albeisa, 2001 P ARUSSO, Giulio Passiamo ora all’elenco delle opere proposte, avvertendo che le segnalazioni tra parentesi quadre [S.l] o [s.n.] stanno a indicare l’assenza di indicazioni relative al luogo di edizione o all’editore della pubblicazione. Le pubblicazioni anteriori al 2001 (segnalate dai soci) sono contrassegnate da asterisco. Acqui Terme BIORCI, Guido Antichità e prerogative d’Acqui - Staziella: sua istoria profana - ecclesiastica, Acqui Terme, Impressioni Grafiche, 2001, 2 v. CHIODO, Cino Sulle tracce delle stelle disperse: la tragedia degli ebrei di Acqui, Acqui Terme, A.I.D.O. - Sezione Sergio Piccinin, 2001 Museo archeologico di Acqui Terme: la città, a cura di Emanuela ZANDA, Alessandria, LineLab, 2002 49 marzo 2003 I nostri libri Asti Alba: le norme statutarie nel medioevo, Alba, Famija Albeisa, 2001 P ILZER, Giuseppe L’organo Vittino della Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista in Alba: dissertazione scritta finale, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Scienze della Formazione, a.a. 2001-2002 Studi per una storia d’Alba, Alba, Famija Albeisa, 2001, 2 v. Araldica astigiana, a cura di Renato B ORDONE, Asti, Cassa di Risparmio di Asti, 2001 Calices Hastenses: ceramica e vetri di età romana e medievale da scavi archeologici in Asti, a cura di Federico BARELLO , Alberto CROSETTO, [S.l., s.n.], stampa 2002, Catalogo della mostra tenuta ad Asti nel 2001-2002 VISCONTI, Guglielmo San Giuseppe Marello nella vita della città e diocesi di Asti nell’Ottocento, Asti, Gazzetta d’Asti, 2001 Alessandria BALLERINO, Alberto Non solo nebbia: cinema, teatro e vita culturale ad Alessandria, Alessandria, Falsopiano, 2002 BUSSELLI , Emiliano Gli anni dell’azione collettiva. Alessandria, 1960-’80, tesi dattiloscr., Genova, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2000-2001 GARIGLIO , Dario Alessandria: storia della Cittadella, Torino, Omega, 2001 Le intermittenze della memoria: la mostra “Il ricordo dei luoghi e delle persone: territori alessandrini fra realtà, tradizioni e immaginario” e la giornata di studio presso l’Archivio di Stato di Alessandria in occasione della II settimana per la cultura organizzata dal Ministero per i beni e le attività culturali: Alessandria, 2 aprile 2000, a cura di Gian Maria PANIZZA e Roberto LIVRAGHI , Alessandria, Archivio di Stato, Associazione Città nuova, 2001 L ERA, Riccardo - BOTTA, Roberto L’uspidalet: l’ospedale infantile Cesare Arrigo di Alessandria dalle origini alla seconda guerra mondiale, Recco, Le mani, 2001 VASSALLO, Nicola La Cassa di Risparmio di Alessandria dalla fondazione alla fine dell’Ottocento, in Banche e sviluppo economico nel Piemonte meridionale in epoca contemporanea: dallo statuto albertino alla caduta del fascismo, 1848-1943, Torino, Centro studi piemontesi, 2001, p. 249-268 Bene Vagienna I primi mille anni di Augusta Bagiennorum: atti del convegno: Bene Vagienna, 2 settembre 2000, a cura di Rinaldo COMBA , Cuneo, Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo, 2001 Biella I castelli biellesi, a cura di Luigi SPINA, fotografie di Antonio CANEVAROLO, Biella, Biverbanca, 2001 La fabbrica e la sua immagine: cento anni di fotografia dell’industria biellese, a cura di Liliana L ANZARDO, Biella, DocBi, Centro studi biellesi, 2001 L ADETTO, Carla - NUCCIO , Renato Le radici quotidiane della storia: momenti di vita politica e sociale del Biellese, a cura di Bruno POZZATO, Vigliano Biellese, Polgraf, 2001 * Studi e ricerche sul Biellese, Biella, DocBi, 1999 T OURING CLUB ITALIANO Biella e Provincia: Candelo, Santuario di Oropa Valle del Cervo, Oasi Zegna, Milano, TCI, 2002 Bra BAILO , Fabio Ricerche e riflessioni critiche su un’amministrazione socialista nel primo dopoguerra: il caso di Bra, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Scienze politiche, a.a. 2001-2002 Bra e il Roero: le rocche, i castelli, le vigne, Bra, Slow food, 2001 M OLA, Aldo - B ERARDO, Livio Arona Arona nella storia, a cura di Carlo MANNI, Novara, Interlinea, 2001 50 I nostri libri marzo 2003 Storia di Bra: dalla rivoluzione francese al terzo millennio, Savigliano, Artistica piemontese, 2002 Il Museo Civico di Archeologia Storia Arte di Palazzo Traversa a Bra: guida alla visita, a cura di Camilla BARELLI, Giovanna CRAVERO , Torino, Regione Piemonte, 2001 P ORASSO, Monica Ricognizione dell’antico patrimonio artistico braidese attraverso i documenti e le sopravvivenze, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2001-2002 Jean Servato, Casale Monferrato, Tersite 2000, 2001 La Gipsoteca Leonardo Bistolfi, a cura di Germana MAZZA, Casale Monferrato, Museo civico, 2001 T RINCIANTI, Claudio Analisi conoscitiva e ipotesi di rifunzionalizzazione del castello di Casale Monferrato, tesi dattiloscr., Torino, Politecnico di Torino, I Facoltà di Ingegneria, a.a. 2000-2001 U BERTAZZI, Andrea Palazzo Gozzani di San Giorgio a Casale, tesi dattiloscr., Torino, Politecnico di Torino, I Facoltà di Architettura, a.a. 2001-2002 Cantoira T EPPA, Claudia Credenze e tradizioni orali a Cantoira nelle Valli di Lanzo, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Scienze della formazione, a.a. 2001-2002 Castellazzo Bormida M ORETTI, Cristoforo Catalogo di edilizia ecclesiastica nel territorio di Castellazzo Bormida, Alessandria, Boccassi, 2001 Carmagnola Castelnuovo Scrivia CAPELLO, Mario Patrimonio figurativo nelle chiese di Carmagnola nel XVII secolo, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2000-2001 GHIETTI , Nicola Con passione e con tenacia: i 150 anni della Società operaia di mutuo soccorso “Francesco Bussone” di Carmagnola, Torino, Fondazione centro per lo studio e la documentazione delle società di mutuo soccorso, 2002 La libreria dei Gesuiti di Castelnuovo Scrivia: il fondo cinquecentine: storia e catalogo, a cura di Luisa DAMONTE , Tortona, Antichi & rari, 2001 Cavour * PEYRON, Giovanni Cavour: notizie storiche in breve sintesi, Cavour, [s.n.], 1991 * PEYRON, Giovanni Cavour: parrocchia chiese campestri: origine e sviluppo dall’anno 400 al 1800: notizie da documenti inediti, Cavour, [s.n.], 1991 * PEYRON, Giovanni Cavour rocca e popolo: etimologia ed avventura del nome nella storia del luogo: studio storico-linguistico, Cavour, [s.d.], 1989 * PEYRON, Giovanni Jeanne Marie de Trecesson, marchesa di Cavour, 1659, Trecesson, dicembre 1634 - Parigi, marzo 1677: fasti e nefasti alla Corte Sabauda di Torino del Duca Carlo Emanuele II, Cavour, [s.n.], 1990 * PEYRON, Giovanni Marchesato di Cavour: feudo contestato: avvenimenti storici narrati da documenti originali inediti: ricerca e studio, Cavour, [s.n.], 1990 Casale Monferrato Carlo Alberto, re dell’emancipazione, a cura di Dionigi ROGGERO e Giulio BOURBON, con il contributo della Regione Piemonte, Casale Monferrato, Museo d’arte e storia antica ebraica, 2001, Catalogo delle mostre tenutesi a Casale Monferrato: 150° dell’emancipazione degli Israeliti (29 marzo 1848); Della difesa di Casale, purim dei Tedeschi (24-25 marzo 1849) CASTELLI, Attilio - ROGGERO , Dionigi Il Duomo di Casale Monferrato, Casale Monferrato, Fondazione Sant’Evasio, 2001 GRIGNOLIO, Idro 100 anni di Politeama, introduzione (ricordi? confessioni? reminescenze metafisiche?) di 51 marzo 2003 I nostri libri Centallo VAI, Valeria Per un’edizione critica degli Iura comunitatis Centalli (metà XVI secolo), tesi dattiloscr., Milano, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2000-2001 dei quattrocento anni dall’infeudazione di Collegno a Giovanni Francesco Provana, poi Gran cancelliere di Savoia: Castello di Collegno, 11 settembre 1999, [S.l., s.n.], 2001 M AIDA, Bruno Prigionieri della memoria: storia di due stragi della Liberazione, Milano, Angeli, 2002 Cherasco Cortandone TARICCO , Bruno Cherasco medievale: per un inventario del patrimonio storico-artistico medievale di Cherasco, Cherasco, Comune di Cherasco, 2001 Cortandone: immagini d’altri tempi, a cura di Laura Sabrina P ELISSETTI, Cortandone d’Asti, Comune di Cortandone d’Asti, 2001 Costigliole d’Asti Chieri P RUNOTTO, Paolo Le antiche associazioni religiose di Costigliole d’Asti, [S.l.], La commerciale, 2002 CANAVESIO, Walter I progetti di Bernardo Antonio Vittone per l’organo della chiesa di Sant’Andrea a Chieri, in Studi piemontesi, 2002, vol. 31, fasc. 1, p. 109-114 SAVARINO, Ermanno Antonio Bosio e le sue fonti testimoni del patrimonio storico-artistico di Chieri perduto o disperso, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2001-2002 TEDESCO , Vincenzo - NAVIRE, Michelangelo Il cinquecentesco arco di piazza nell’illustre città di Chieri: memoria storica, Chieri, Associazione Carreum Potentia, 2002 Crevacuore ORSI, Alessandro Un paese in guerra: la comunità di Crevacuore tra fascismo, resistenza, dopoguerra, Borgosesia, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea nelle Province di Biella e Vercelli “Cino Moscatelli”, 2001 Galliate * Il castello di Galliate nella storia del Borgo, testi Cirié di G. ANDENNA … [et al.], Galliate, Comune di Gallliate, 1996 * Gaja spitascià, a cura di Angelo BELLETTI … [et al.], Novara, La moderna, 1984-1993, 3 v. + 2 audiocassette Vol. I: Grammatica ed antologia del dialetto galliatese Vol. II: Antologia di storia, folcore e dialetto galliatese Vol. III: Vita e folclore galliatese F ASSERO, Flavio I coloranti di famiglia: strategia d’impresa e lavoratori in un’industria chimica in epoca fascista: il caso dell’I.P.C.A. di Cirié (1922-1945), tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2000-2001 Coazze Album di Coazze: immagini d’epoca in omaggio a Luigi Pirandello, Torino, Enterprise, 2001 * MONTIFERRARI, Silvio I piloni di Coazze: un patrimonio storico ed artistico da conservare, Borgone, Melli, 1999 Gassino Torinese BOSCO, Carlo Un paese una Società, una stretta di mano: 150 anni di storia della Società Operaia Agricola di Mutuo Soccorso di Gassino Torinese: 1852 - 2002, Gassino, Imagina, 2002 Collegno La Casa Provana con particolare riguardo ai Provana di Collegno: atti del convegno nella ricorrenza 52 I nostri libri marzo 2003 Grugliasco ‘900, Lanzo Torinese, Società Storica delle Valli di Lanzo, 2000 B ONCI, Attilio Bealere, mulini ed altri artifici: note di economia e imprenditorialità a Lanzo dal Medioevo ai nostri giorni: pagine di storia lanzese, Lanzo Torinese, Società Storica delle Valli di Lanzo, 2001 * CINI , Monica Saggio di lessicografia dialettale: le Valli di Lanzo, Lanzo Torinese, Società Storica delle Valli di Lanzo, 1999 D ONNA D’OLDENICO , Adalberto Celti ancora: tracce di cultura antica nelle Valli di Lanzo, Lanzo Torinese, Società storica delle Valli di Lanzo, 2001 GUGLIELMOTTO -RAVET , Bruno - P ERIOTTO, Marino Dalla villeggiatura alla clandestinità: presenze ebraiche nelle Valli di Lanzo tra metà Ottocento e seconda guerra mondiale, Lanzo Torinese, Società storica delle Valli di Lanzo, 2002 INAUDI, Giorgio - GUGLIELMINETTI, Giovanni - SANTACROCE, Claudio Viestess d’an bot: abito quotidiano e costume della festa nelle Valli di Lanzo: immagini d’epoca, Torino, Il punto, 2001 JORIO , Piercarlo Sapere di terra: la condizione femminile nelle Valli di Lanzo e nel Piemonte alpino, Pavone Canavese, Priuli & Verlucca, 2002 M ORAGLIO, Massimo Costruire il manicomio: storia dell’ospedale psichiatrico di Grugliasco, Milano, Unicopli, 2002 Ivrea * ACOTTO, Vasco Lessolo: momenti di vita canavesana, Volpiano, GP Editions, 2000 ASSOCIAZIONE CANAVESANA DI STORIA E ARTE Bollettino, Ivrea, Associazione di storia e arte canavesana, 2001, n. 1 BERATTINO, Guglielmo Traversella in Val di Brosso: storia di una comunità alpina nell’alta Valchiusella, Ivrea, Bardessono, 2002, 2 v. * BERTOTTI, Luigi La pianticella di canapa: signori antichi e usurpazioni nel Canavese del Medioevo, Cuorgné, Corsac; Ivrea, Bolognino, 2001 CAGLIANO, Ettore - SALUSSOLIA, Graziano Alice Castello e la sua chiesa parrocchiale, Santhià, Grafica Santhiatese, 2002 Canaveis: rivista semestrale di natura, arte, storia e tradizioni del Canavese e Valli di Lanzo, Castellamonte, Cumbe, 2002 Il Canavesano: rivista canavesana annuale, Ivrea, Bolognino, 2002 FORNERIS , Guido Romanico in terre d’Arduino, Ivrea, Bolognino, 2002 GIGLIO TOS , Savino A. Ivrea nel XVII secolo, Castellamonte, Canaveis, 2002 OLTRE - Canavese, Valli di Lanzo, Provincia di Torino, rivista bimestrale, Verolengo, Grafiche Ambert RAMELLA, Pietro Canavesani tra libertà e cultura (sec. XVIII-XIX), Ivrea, Bolognino, 2002 Manta B ASSO, Paolo La chiesa del castello della Manta, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2001-2002 Mezzenile * “Li pilon”: I piloni votivi di Mezzenile tra religiosità storia e leggenda, Mezzenile, Comune di Mezzenile e Proloco, 1998 Moncalieri Lanzo Torinese L’opera e il tempo: le carmelitane scalze di Moncalieri a trecento anni dalla fondazione del loro monastero (1703-2003), a cura di Giampietro CASIRAGHI, Moncalieri, Città di Moncalieri, 2002 * BARBARO, Marica - PARSANI M OTTI, Carla P OCCHIOLA VITER, Maria Teresa Una fatica da donne: indagine sulla quotidianità femminile nelle Valli di Lanzo tra fine ‘800 e metà 53 marzo 2003 I nostri libri Mondovì della resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola “Piero Fornara”, 2001 CAPRA, Gianfranco Società ginnastica pro Novara: 1881-2001 stella d’oro al merito sportivo, 120 anni di sport e di passione, [S.l., s.n.], 2002 D ESSILANI, Franco I comuni novaresi: schede storiche, Novara, Interlinea, 2001 I fili della memoria, Novara, Comune di Novara, Istituto storico della resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola “Piero Fornara”, 2001, 1 v. + 1 videocassetta COZZO, Paolo Regina Montis Regalis: il santuario di Mondovì: da devozione locale a tempio sabaudo, con edizione delle Memorie intorno alla SS. Vergine di Vico, Roma, Viella, 2002 CUNIBERTI, Gianluca Mondovì: guida-ritratto della città, Torino, Editris, 2002 Disegni e tipi diversi dell’Archivio storico del Comune di Mondovì, a cura di Alessandro BRACCO , Mondovì, Città di Mondovì, 2002 L’età angioina (1260-1347), a cura di Rinaldo COMBA, Giuseppe GRISERI, Giorgio M. L OMBARDI, Cuneo, Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo, 2002 F ILI, Ettore La Provincia di Mondovì nella seconda metà del ‘700: crisi dell’Antico Regime, occupazioni militari e sommosse, Mondovì, NEI, 2001 M ORANDINI, Albino - B ERTONE, Renzo BILLO , Ernesto Mondovì com’era nell’Otto-Novecento rione per rione, contrada per contrada, 3. ed. totalmente rifatta e ampliata con oltre 200 immagini d’epoca dalla collezione di Gino Mondino, Mondovì, Cooperativa editrice Monregalese, 2001 Le pietre della memoria: uno squarcio di storia monregalese nelle lapidi e nei monumenti, a cura degli alunni del L ICEO CLASSICO, dell’ISTITUTO T ECNICO per GEOMETRI e del L ICEO SCIENTIFICO-TECNOLOGICO, Mondovì, Città di Mondovì, 2002 Novi Ligure Arte figurativa nel Novese fra ‘800 e ‘900: ricerca per una mostra, a cura di Dino MOLINARI, Franco B ARELLA, Alberto BOSCHI, 2. ed., [S.l.], Panorama, 2002 Luoghi, protagonisti, fatti ed animazione storica della Battaglia di Novi,15 agosto 1799, [S.l., s.n], 2001 Novi Ligure, Ovada e ...: frammenti di Liguria lontano dal mare, a cura di Maurizio SENTIERI, Savona, Coop. tipograf., 2001 * Novinostra: 35 anni: indice generale, Novi Ligure, Società storica del Novese, 1995 T RAVERSO, Davide Istruzione e sviluppo economico: l’istruzione primaria a Novi (1861-1914), tesi dattiloscr., Genova, Università degli studi - Facoltà di Economia e commercio, 2001 Oncino Novara * Oncino: Voù Recordàou, Oncino, Associazione Voù Recordàou, 2000-2002, nn. 1-3 ANTONIONE, Lino Abele Personaggi e ambienti della nostra “Bassa”, [S.l.], Immagina, 2002 BELTARRE, Paolo - MOSSOTTI, Ruggero REDA, Alessandra L’asilo San Lorenzo di Novara: un progetto di Luigi Cantoni (1934-1935), Novara, Interlinea, 2002 BRAGA, Antonella Novara negli anni della guerra 1940-45: itinerari, Novara, Comune di Novara, Istituto storico Orbassano BARBERIS , Pier Carlo - BRUNETTI , Piero ROLLE , Claudio Coj ch’a marcio an prima fila son ij mort. Ij nòstri mort ..., Borgone, Melli, 2002 BORGI, Anna - CALABRESE, Valeria Buoni come il pane: la Società Anonima Cooperativa “Forno Operaio e Agricolo di Orbassano”, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2002 54 I nostri libri marzo 2003 Pino Torinese Storie d’acqua: il Consorzio della Bealera di Orbassano, sec. XVI-XX: mostra documentaria: Orbassano, 6-13 aprile 2002, a cura di Anna BORGI e Valeria C ALABRESE, Orbassano, Comune di Orbassano, 2002 CHIRI P IGNOCCHINO, Elena La molto magnifica comunità di Pino dalla fine del medioevo all’età giacobina, Riva presso Chieri, Il tipografo, 2001 Pinerolo Piobesi d’Alba BELTRAMONE, Luca La Scuola di Cavalleria di Pinerolo nell’economia urbana: tra passato e futuro, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Economia e commercio, 2001 CAFFARO, Remo Pinerolo: ritratto, [S.l., s.n.], 2001 CAREGLIO , Walter - COLANGELO, Marta Al tempo del grano, Pinerolo, Alzani, 2002 CAROSSIA, Danilo Pinerolo: città e fortezza tra 1630 e 1690, tesi su CD-ROM, Torino, Politecnico di Torino - I Facoltà di Architettura, 2001 C’era una donna che ...: figure femminili in campagna tra l’800 e il ‘900, a cura del GRUPPO RICERCA P ISCINA , Pinerolo, Alzani, 2001 GARDIOL , Paola L’amministrazione delle Opere Pie in Pinerolo tra il XVIII e il XIX secolo, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Giurisprudenza, 2001 Pinerolo nell’Ottocento: tra modernità e mondanità da documenti e carte dell’Archivio storico, a cura di Daniela FANTINO e Nadia MENUSAN, Pinerolo, Alzani, 2002, Catalogo della mostra tenuta a Pinerolo il 18 e 19 maggio 2002 * PITON , Ugo Flavio “Per pâ eisubliâ” (per non dimenticare), Perosa Argentina, Grafica Valchisone, 1998 ROSSO, Antonino 50 anni di storia: i frati cappuccini ricordano i 50 anni del loro ritorno a Pinerolo, 1952-2002, [S.l., s.n.], 2002 Il Settecento religioso nel Pinerolese: atti del convegno di studi: 7-8 maggio 1999, a cura di Aurelio BERNARDI ... [et al.], Pinerolo, Museo Diocesano, 2001 * Survey: Bollettino del centro studi e arte preistorica di Pinerolo, Pinerolo, Cesmap, 1993-1996, anni VII-X M OLINO, Baldassarre Piobesi d’Alba: territorio e feudalità, Piobesi d’Alba, Comune di Piobesi d’Alba, Sori, 2001 Rivalta Scrivia Scripta manent: le pagine della memoria, [S.l., s.n.], 2001, Catalogo della mostra tenuta a Tortona dal 10 marzo al 30 settembre 2001 Romagnano Sesia F ECCIA, Livio Ricordi del tempo di guerriglia, [S.l., s.n.], 2001 Saluzzo GULLINO, Giuseppe Gli statuti di Saluzzo (1480), Cuneo, Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo, 2001 M OLA, Aldo Alessandro Saluzzo: un’antica capitale, Saluzzo, Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo; Roma, Newton & Compton, 2001 VILLANO, Sofia Il duomo di Saluzzo: la ricostruzione storica dei suoi antichi altari, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2000-2001 Savigliano Assistenza e beneficenza in Savigliano: Orfanotrofio femminile, Ospizio di carità, Opera pia Pro Pueritia Saviglianese, a cura di Daniela B ACINO, Savigliano, [s.n.], 2002 Superga B ARBASIO, Alessandra – LAMONARCA NERVO, Luisa La casa sulla collina, Torino, CELID, 2002 55 marzo 2003 I nostri libri Susa San Salvario: un quartiere di Torino sorto a cavallo dell’unità d’Italia, ma già proiettato verso una moderna economia liberale, [S.l., s.n.], 2001 CAZZULLO , Aldo I torinesi da Cavour a oggi, Roma - Bari, GLF editori Laterza, 2002 CERRINA, Maria Piazza San Carlo tra ricerca d’archivio e cultura popolare, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2001-2002 La città e lo sviluppo: crescita e disordine a Torino: 1945-1970, a cura di Fabio LEVI e Bruno M AIDA, Milano, Angeli, 2002 La città, la storia, il secolo: cento anni di storiografia a Torino, a cura di Angelo D’ORSI, Bologna, Il Mulino, 2001 CREMONTE PASTORELLO DI CORNOUR , Anna Pietro Piffetti mobiliere di Sua Maestà nella Pentecoste di San Filippo, Torino, Associazione Immagine per il Piemonte, 2001 Archivio storico diocesano: fondo Confraternita dello Spirito Santo (1574-1980), fondo Confraternita del SS. Nome di Gesù (1573-1976): inventario, a cura di Laura GATTO MONTICONE, Susa, [s.n.], 2001 Archivio storico diocesano: fondo Natalino Bartolomasi (1927-1999): inventario, a cura di Laura GATTO MONTICONE, Susa, [s.n.], 2001 P OCCHIOLA VITER , Maria Teresa Cotonifici ... a rotoli. La parabola dei Cotonifici Valle Susa: memorie, donne e lavoro nelle valli torinesi nel Novecento, Torino, Angolo Manzoni, 2002 Torino ACCORNERO , Cristina - DELLAPIANA , Elena Il Regio Museo Industriale di Torino tra cultura tecnica e diffusione del buon gusto, Torino, Crisis, 2001 L’altra Torino: Giovanni Guarlotti, la sua scuola e il Circolo degli Artisti, a cura di Marzio P INOTTINI e con la collaborazione di Marco ALBERA, Moncalieri, Renaissance, 2001, Catalogo della mostra tenuta a Torino nel 2001 ANTONETTO , Roberto Fréjus: memorie di un monumento, Torino [etc.], Allemandi, 2001 BONADÉ BOTTINO, Vittorio Memorie di un borghese del Novecento: l’avventura di un pioniere dell’industria, a cura di Laura L EPRI, Milano, Bompiani overlook, 2001 ‘L borgh del füm: storia e memorie di Vanchiglietta, 4. ed. riveduta e ampliata da Gian Enrico F ERRARIS, Torino, Graphot, 2001 Le botteghe a Torino: esterni e interni tra 1750 e 1930, a cura di Chiara R ONCHETTA, Torino, Centro studi piemontesi, 2001 C’era una volta Mirafiori: viaggio negli archivi di Mirafiori nord, testi di Anna B ORGI … [et al.], Torino, Città di Torino, 2002 CASTRONOVO, Valerio Torino: un’antica sapienza di lavoro, Torino, Edizioni del capricorno, 2001 CASTROVILLI, Angelo - BIDDAU, Luca TERZOLO, Cristina Torino zona nord: frammenti di storia della circoscrizione 6 , Torino, Calluna centro studi, 2001 CAVALLERO, Enza Dalla A alla Zeta: alla scoperta di Torino tra storia, grandi opere, trasformazioni, servizi e iniziative della città, Torino, Città di Torino, 2001 D E L UCA, Augusto Torino in controluce, con la ristampa del capitolo Torino (1871) dal volume Le tre capitali di Edmondo De Amicis, Roma, Gangemi, 2001 Il disegno dei portici a Torino: architettura e immagine urbana dei percorsi coperti da Vitozzi a Piacentini, a cura di Dino C OPPO e Pia DAVICO, Torino, CELID, 2001 GENINATTI S ATE, Nadia La chiesa di Santa Chiara di Torino di Bernardo Antonio Vittone, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2001-2002 M AIDA, Bruno Dal ghetto alla città: gli ebrei torinesi nel secondo Ottocento, Torino, Zamorani, 2001 M ARRAS, Mauro Monaci mercanti & cow-boy: il Borgo della Crocetta tra storia e vita quotidiana, Torino, Opera, 2002 1946-2001: il Consiglio comunale di Torino nell’Italia repubblicana, Torino, Città di Torino - Archivio storico, 2001 1946-1985: donne e governo della città: le elette nel Consiglio comunale di Torino, a cura di Ersilia 56 I nostri libri marzo 2003 Tortona ALESSANDRONE PERONA e Adriana CASTAGNOLI, Torino, Città di Torino - Archivio storico, 2001 M IZZON, Marzia Museo Nazionale del cinema di Torino: un esempio di allestimento, tesi dattiloscr., Torino, Università degli studi - Facoltà di Scienze della formazione, a.a. 2000-2001 Progettare la città: l’urbanistica di Torino tra storia e scelte alternative, a cura di Vera COMOLI e Rosanna ROCCIA, con i contributi di Rinaldo COMBA ... [et al.], Torino, Città di Torino Archivio storico, 2001 * Quaderno del volontariato culturale, Torino, Centro Servizi per il Volontariato, 2000, n. 1 ROGGERO , Giovanni Borgata Rosa ... nella storia: fotografie ed appunti, 2. ed., Torino, [s.n.], 2001 ROSSOTTI , Renzo Le piazze di Torino: tra storia, arte, personaggi e curiosità rivive attraverso i suoi palcoscenici quel fascino magico che rende il capoluogo piemontese una delle città più suggestive nello scenario europeo, Roma, Newton & Compton, 2001 Soggetti e problemi di storia della zona nord-ovest di Torino dal 1890 al 1956: Lucento, Madonna di campagna e Borgo Vittoria, a cura del L ABORATORIO DI RICERCA STORICA SULLA P ERIFERIA URBANA DELLA ZONA N ORD-OVEST DI TORINO, Torino, Università degli studi Facoltà di Scienze della formazione, 2001 T AMBURINI, Luciano Le Chiese di Torino: dal Rinascimento al Barocco, nuova edizione, Torino, Angolo Manzoni, 2002 Tra vecchie carte… esperienze didattiche negli archivi di scuole torinesi, a cura di Maria Luisa P ERNA, Torino, Rete degli archivi della scuola, 2002 B ERRUTI, Tomeno Cronaca di Tortona, edizione a cura di Sergio Pagano, Tortona, [s.n.], 2001 R UBE, Ottavio La porta aperta: vent’anni di “Valli unite”, a cura di Manlio C ALEGARI, Milano, Selene, 2001 T ACCHELLA, Lorenzo I Cavalieri di Malta nella storia di Voghera (sec.XIII-XVIII), di Castelnuovo Scrivia, Tortona, Pontecurone, Volpedo e Casei Gerola, Milano, [s.n.], 2001 Il Tortonese: album del 2° millennio, a cura di Ettore CAU, Franco FAGNANO , Valeria M ORATTI, Tortona, Rotary Club Tortona, 2001 Vercelli FERRARI, Miriam Clelia L’ospedale di S. Brigida o degli Scoti nella storia di Vercelli medievale (secoli XII-XIV), Vercelli, [s.n.], 2001 1899: ritorno dei Domenicani a Vercelli: occasione per una memoria, Vercelli, Saviolo, 2002. QUARANTA, Flavio Contributo alla storia dell’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro a Vercelli : dalle origini alla vigilia della prima guerra mondiale (1898-1914), Roma, INAIL, 2002 SASSONE, Irmo Il vercellese in movimento ..., Torino, A.L.I. penna d’autore, 2001 Vezza d’Alba La Madonna dei Boschi di Vezza d’Alba, di Walter ACCIGLIARO … [et al.], a cura di Baldassarre MOLINO, [S.l.], Astisio; Vezza d’Alba, Biblioteca Comunale, 2001 57 marzo 2003 I nostri libri Per una migliore comprensione dei servizi offerti dal Servizio Bibliotecario Nazionale sopra citato, riportiamo alcuni passi tratti dal sito www.sbn.it. Il Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN) è la rete delle biblioteche italiane promossa dal Ministero per i beni e le attività culturali con la cooperazione delle Regioni e dell’Università. Aderiscono a SBN biblioteche statali, di enti locali, universitarie, di accademie ed istituzioni pubbliche e private operanti in diversi settori disciplinari. SBN è una rete il cui fine è l’erogazione di servizi agli utenti. Obiettivo comune è quello di superare la frammentazione delle strutture bibliotecarie, propria della storia politico-culturale dell’Italia, per fornire un servizio di livello nazionale che si basi sulla gestione di un catalogo collettivo in linea e sulla condivisione delle risorse ai fini dell’accesso ai documenti. Le biblioteche che partecipano a SBN sono raggruppate in Poli locali; i Poli sono a loro volta collegati al sistema Indice SBN, nodo centrale della rete, che contiene il catalogo collettivo delle biblioteche della rete. SBN è un servizio accessibile a tutti. Le basi dati Libro moderno, Libro antico e Musica, riversate in un unico archivio OPAC SBN (accessibile 24 ore su 24), sono consultabili in Internet nelle due versioni http://opac.sbn.it e http://sbnonline.sbn.it. Le singole basi dati sono tuttora consultabili sull’Indice SBN in modalità TN 3270. OPAC è la sigla di On line Public Access Catalogue, ossia catalogo in linea accessibile pub blicamente. L’OPAC SBN è il catalogo collettivo delle biblioteche italiane che hanno aderito al Servizio Bibliotecario Nazionale. Il progetto è nato con il fine di rendere più largamente e facilmente accessibili le basi dati dell’Indice SBN costituendo una base dati orientata all’utenza, facile da usare e interoperabile. Fornisce l’accesso alle notizie bibliografiche che sono scaricate periodicamente dalle basi dati dell’Indice SBN Libro moderno, Libro antico e Musica. Librinlinea (http://www.regione.piemonte.it/opac/) è lo strumento di ricerca su Internet sul catalogo del polo piemontese del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN) per: • interrogare il catalogo collettivo delle biblioteche piemontesi (OPAC) • accedere ai servizi bibliografici • richiedere la circolazione dei documenti o delle riproduzioni su base regionale • connettere i dati dell’indice nazionale ed attivare il prestito interbibliotecario su base nazionale • richiedere l’iscrizione a una biblioteca • controllare la propria situazione di utente • proporre acquisti di nuovi libri Il catalogo contiene i documenti (libri, periodici, manoscritti, spogli) pervenuti nelle biblioteche dalla data della loro adesione a SBN, i periodici correnti e cessati e il risultato di lavori straordinari di catalogazione. Sono inoltre presenti le informazioni sui documenti ordinati. 58 Notizie dalle Associazioni marzo 2003 Gruppo Archeologico Canavesano (1972-2002) Foto di gruppo del G.A.C. (gennaio 1978); da destra: G. Vachino, C. Perinetti, P. Ramella, F. Quaccia, E. Dalmasso, G. Berattino, A. Barbarini, G. Settime, S. Bradaschia, G. Ravera, I. Vignono, G. Quacchia, G. Quacchia, P. Quacchia, A. Berattino, A. S. Vachino, G. Gamba, M. Rosotto, M. Bruno, M. Rosotto, A. Ramella, P. Ramella, M. Ramella, M.G. Knirsch, L. Bradaschia, F. Knirsch, G. Rezza, W. Rezza (foto G. Bruno). Per non dimenticare e per i giovani, riportiamo di seguito i loro nomi: geom. Alberto Barbarini, Paolo Bonino, Pietro Casale, col. Enrico Dalmasso, ing. Ezio De Padova, Renata Frison Zanello, Domenico Fiò, Andrea Gasparini, Luigi Marino de Sanctis, Francesco Mondino, ing. Guglielmo Quacchia, Giovanni Settime, Bruno Selis, dr. Pietro Venesia, can. Ilo Vignono. Le campagne di ricerca e i ritrovamenti più significativi realizzati sono stati: – Acquedotto di Eporedia. – Pons Maior di Eporedia. – Anfore romane. – Tomba romana sulla Bessa. – Tombe romane a Ivrea, bivio S. Giovanni. – Are romane. – Macine antiche sulla Dora, a Ivrea. – Acquedotti antichi – fistule in cotto. Nell’autunno 1972 un piccolo nucleo di appassionati dava vita ad una ricerca sulle colline a nord di Ivrea, per individuare e documentare il tracciato sotterraneo dell’acquedotto della romana Eporedia. Da questo progetto si sviluppò il Gruppo Archeologico Canavesano, con sede a Pavone, in via Dietro Castello 50, con il sostegno culturale dei Gruppi Archeologici d’Italia. La sede veniva poi trasferita nel 1980 a Ivrea, in via Macchieraldo 8/a. Durante questi trent’anni hanno aderito ed operato nell’associazione oltre 150 soci. In questo lungo ed affascinante cammino, ricco di cultura e di valori umani, abbiamo perso diversi amici, persone che come noi credevano nelle attività culturali di volontariato come servizio civile per la crescita della comunità. 59 marzo 2003 Notizie dalle Associazioni – Ricognizioni e studi sulle Chiuse. – Ricognizioni e studi sulla Paraj Auta (Monte Appareglio, Pavone Canavese) a partire dal 1976. Campagne di scavo nell’area del laghetto autorizzate dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte (coordinamento dr. F.M. Gambari), durante le estati 1999, 2000 e 2001. – Scoperta e salvataggio di 2 statue-stele eneolitiche da Tina (Vestignè), prime testimonianze archeologiche del genere trovate in Piemonte. L’attività del G.A.C. ha inoltre coperto altre aree d’interesse culturale: mostra “Preistoria in Canavese” (32 tavole); mostra “Eporedia, 100 avanti Cristo” (18 tavole); studi e pubblicazioni1 ; conferenze pubbliche; lezioni e visite guidate a favore di studenti e docenti; parteciapazione a convegni di studio. Nell’ambito delle nostre attività di carattere archeologico e culturale due nostri soci hanno conseguito la laurea in lettere, con indirizzo archeologico2; inoltre è nata Archeonews, news-letter periodico del G.A.C. dal 1° marzo 1994. Anche Sopra e Sotto Terra, Rivista canavesana di archeologia e scienze del territorio (dal 1999, ora al terzo numero) è nata nell’ambiente culturale della nostra associazione. – – – – – – – Le cloache di Eporedia. Asce di pietra e di bronzo. Armilla gallica (2a età del Ferro) . Punta di lancia di bronzo. Menhir di Lugnacco. Stele di Tina. Ricognizioni sul territorio del Canavese, con ricupero di reperti archeologici: utensili di quarzite, selce, macine, macinelli, pesi per telaio, pesi per reti da pesca, frammenti di terracotta e ceramica (età preistorica, protostorica e romana); mattoni, embrici, tegulae di epoca romana; frammenti di vasellame vitreo e fittile di epoca romana; resti di palafitte; frammenti di anfore. – Ritrovamenti effettuati nelle seguenti località e relativi territori: Ivrea, Montalto Dora, Fiorano, Lessolo, Alice Superiore, Lugnacco, Drusacco, Traversella, Vistrorio, Tavagnasco, Bienca, Caravino, Vestignè, la Bessa, Strambino, Romano, Pavone, Perosa, San Martino Canavese, San Giovanni, Torre, Vialfrè, Villate, Mercenasco, Carrone. – Ricognizioni sul territorio del Canavese, con scoperta di incisioni rupestri: coppelle, canalette, antropomorfi… Ritrovamenti in Valchiusella, Fiorano (Cordola), Lessolo, Loranzè Piano, Pavone, S. Giovanni-Torre Canavese, Bienca (masso con polissoir), la Bessa, Bech Renon (Quincinetto), conca di Scalaro, castello di Castruzzone. 1 2 Gruppo Archeologico Canavesano Collaborazioni alle Riviste “Archeologia”, Roma e “Archeologia-Uomo-Territorio”, Milano. Ramella P., (a cura di), Archeologia in Canavese, Ivrea 1980. Ramella P., Alla ricerca dell’uomo antico in Canavese, Ivrea 1983. Ramella P., Archeologia in Piemonte e Valle d’Aosta, Ivrea 1985. Ramella P., Archeologia e Museo, Ivrea 1988. Ferrero I., Passeggiate archeologiche in Canavese e Valle d’Aosta, Ivrea 1994. Ramella P., Eporedia, Ivrea 1995. G.A.C., Le Chiuse – presenze barbariche tra Ivrea e Vercelli, Ivrea 1998. Ramella P., Ecomuseo in Ivrea e Canavese, Ivrea 1998. Ramella P., Eporedia, 100 avanti Cristo, Ivrea 2001. Ferrero Ivo, Le Alpi Graie e Pennine nel loro versante padano in età preromana, Università di Torino, 1987. Rubat Borel Francesco, Insediamenti celto-liguri d’altura nell’Italia nord-occidentale tra l’età del Bronzo finale e l’età del Ferro: il caso del Monte Appareglio, Paraj Auta, Università di Torino, 2000. 60 Notizie dalle Associazioni marzo 2003 Torino non a caso: un itinerario nelle Società di Mutuo Soccorso L&M in collaborazione con la fondazione “Centro per lo studio e la documentazione delle Società di Mutuo Soccorso” parteciperà all’edizione 2003 di “Torino non a caso”, organizzata anche quest’anno dalla Città di Torino. Titolo dell’itinerario proposto è “Lungo le strade delle Società di Mutuo Soccorso” e prevede una visita a quattro associazioni tuttora esistenti. Le date fissate per le due edizioni sono sabato 20 settembre e sabato 18 ottobre. Gli accompagnatori saranno Diego Robotti, presidente di L&M, e Renata Allio, docente di Storia Economica dell’Università di Torino, entrambi studiosi della storia delle Società di Mutuo Soccorso piemontesi. Chi volesse parteciparvi può telefonare nella seconda metà di aprile a “Vetrina per Torino”, piazza S. Carlo 159, telefono verde 800 015 475, oppure 011 443 9040. Qui di seguito la descrizione dell’itinerario. Al momento del ritrovo in piazza Vittorio Veneto e nel corso della trasferta (su apposito autobus) alla Società cooperativa di mutuo soccorso di Superga (via Superga, 60) verranno illustrate da parte di due docenti universitari le vicende delle Società di mutuo soccorso (con inquadramento del contesto storico-sociale nel quale esse sorsero e si svilupparono), con distribuzione ai partecipanti di un opuscolo relativo alla storia del mutualismo e in particolare del mutualismo torinese. Giunti a Superga, breve presentazione della Società (fondata nel 1881) a cura delle autrici del volume La casa sulla collina, che verrà offerto in dono ai partecipanti. Successivamente, trasferimento a Reaglie, presso la sede dell’Unione operaia famigliare (corso Chieri, 124), istituita nel 1911; incontro con un rappresentante della Società che provvederà a illustrarne le vicende e successiva partenza alla volta della Società di mutuo soccorso Edmondo De Amicis (corso Casale, 134), fondata nel 1919. Anche qui un rappresentante del sodalizio offrirà una panoramica storica e presenterà un breve filmato relativo alla vita associativa nel secondo dopoguerra. Infine, partenza per l’ultima tappa del percorso: la Società Borgo Po e decoratori (via Lanfranchi, 28), istituita nel 1935 in seguito alla fusione di due Società preesistenti. Anche in questo caso un rappresentante della Società ne narrerà le vicende, facendo omaggio ai partecipanti di un opuscolo informativo. Nel corso di ciascuna sosta sarà possibile, presso ciascuna sede, osservare documenti, fotografie e cimeli conservati nei rispettivi archivi. La città di Torino era un tempo costellata di sedi di Società di mutuo soccorso grandi e piccole che fiorirono soprattutto nelle barriere operaie. Dopo aver assolto nell’Ottocento al loro scopo primario di mutua assicurazione dalle malattie, queste associazioni sono rimaste vitali come centri di socializzazione e cooperative di consumo. Alcune sono sopravvissute al fascismo e sono giunte fino ai nostri giorni, mantenendo le sedi originarie che ci riportano - insieme ai loro archivi storici, alle loro antiche bandiere e ai loro cimeli alle origini del movimento operaio. L’itinerario prevede un percorso di visita a quattro associazioni ancora esistenti, tutte localizzate sulla sponda destra del Po. 61 marzo 2003 Recensioni Storie d’acqua: i cinquecento anni della Bealera di Orbassano ? La regolarità dell’approvvigionamento idrico, necessaria prima di tutto per l’irrigazione, fu assicurata solo con impegnative opere di canalizzazione. Non essendo disponibili le moderne tubazioni in grado di reggere forti pressioni, si era costretti a imbrigliare il corso di grandi fiumi con delle chiuse che alimentavano le “prese” dei canali di derivazione. d.r. : mostra documentaria: Orbassano, 6-13 aprile 2002, Orbassano, Comune di Orbassano - L&M, 2002, a cura di 62 Recensioni marzo 2003 Buoni come il pane: la Società Anonima Cooperativa “Forno Operaio e Agricolo di Orbassano” no, nel 1917) oppure ci si imbarcava con un biglietto di terza classe su un transatlantico per le Americhe. Il Forno Operaio e agricolo si forma per volontà dei contadini-operai di Orbassano che non intendono sottostare alle imposizioni dei panificatori e vogliono continuare a cuocere le loro farine, prodotte macinando il loro grano. Una testardaggine encomiabile: nulla sapevano quei lavoratori di mondializzazione e di “popolo di Seattle”, ma visti oggi ci appaiono così moderni. Adottando una forma giuridica nuova, una cooperativa di tipo misto (tra produzione e consumo) riproponevano l’antica tradizione dei forni di borgata, autogestiti a rotazione dai frazionisti, diffusi fin dal Medioevo nelle nostre campagne. L’archivio storico del Forno è lo strumento per riscoprire questa storia niente affatto minore, la storia di un “sogno” (facciamoci il pane da noi, col nostro frumento) che riesce a concretizzarsi e soprattutto a vivere, giorno dopo giorno, così a lungo. Il merito va ad Anna Borgi e Valeria Calabrese che ne hanno pazientemente e sapientemente riordinato e inventariato i documenti. Grazie a loro si rende disponibile, per chiunque lo voglia consultare e studiare, un patrimonio documentario di notevole valore storico. La memoria dell’associazione, finora affidata ai ricordi dei soci più anziani, ci viene restituita, perfettamente leggibile, e si sviluppa nella continuità delle norme statutarie delle assemblee sociali, dei contratti di gestione e dei rendiconti contabili. Qualcuno potrà pensare, aprendo l’inventario dell’archivio del Forno Operaio e Agricolo di Orbassano, che si tratti di un vicenda minore, piccola piccola, lontana anni luce dalla grande Storia. E invece nei quindici lustri di vita di questa associazione si possono cogliere alcuni nodi di interesse generale, se non altro per la storia dei lavoratori italiani nel Novecento. Innanzitutto il pane, la ragione per cui il Forno nacque, rappresenta un risultato molto concreto, la base dell’alimentazione operaia, non un opzionale accompagnamento dei cibi, come oggi. Al tempo stesso un alimento carico di valore simbolico. Per il pane, allora, si saliva sulle barricate (come anni prima, a Tori- d.r. B ORGI, Anna - C ALABRESE, Valeria, Buoni come il pane: la Società Anonima Cooperativa “Forno Operaio e Agricolo di Orbassano”, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2002 Casetti. Particolare del portale. 63 marzo 2003 Torre Pietra. Facciata Nord: si notino le quattro aperture, una diversa dall’altra. Torre Pietra. I tre portali della facciata Nord. Sede di L&M Presso Istituto di Studi Storici G. Salvemini Via Vanchiglia, 3 - 10124 TORINO : Tel./Fax 011 9989225 – e-mail: [email protected] c/o Milena Gualteri - Via Presenda, 55 - 10040 LEINÌ (To) L&M: Codice Fiscale: 97580440010 Le fotografie pubblicate su questo numero della rivista L&M sono di: WALTER CAVORETTO di Cuorgné, per le immagini relative alle Case-forti; ELIO BLESSENT (pag. 52); GIUSEPPE BRUNO (pag. 59); PIER ANGELO PIANA (pag. 5, 6, 7, 8, 9). In copertina: casa-forte di Servino, in Val Soana. La rivista L&M è ad uso interno dei Soci. Bolognino Editore, Ivrea via Dora Baltea, 4 tel. 0125 641162 64