ll
ao
lo
to giov
er
i ns
L’istituzione
dell’Eucaristia
nell’arte
lauretana
i
an
POSTE ITALIANE SPA
Spedizione in abbonamento postale
D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, CN/AN
La visita di
Vittorio
Emanuele II
a Loreto,
150 anni fa
Ce
dal
n. 4 - APRILE 2011
nt
ro G anni P
iov
INDIC AZIONI UTILI
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IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA
Basilica della Santa Casa
ore 6.15-20 (aprile-settembre)
ore 6.45-19 (ottobre-marzo)
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giorni dalle 12.30 alle 14.30.
Sagrestia Basilica
tel. e fax 071.9747.155
Sante Messe
Sabato e giorni feriali
ore 7, 8, 9, 10 ,11 (7.30 in S. Casa)
ore 17 e 18.30 (aprile-settembre)
ore 16.30 e 18 (ottobre-marzo)
Rosario: ore 18 (17.30 ottobre-marzo)
Domenica e giorni festivi
ore 7, 8, 9, 10, 11, 12
ore 17, 18, 19 (aprile-settembre)
ore 16, 17, 18 (ottobre-marzo)
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tel. 071.970104 - fax 071.9747.176
Confessioni
Giorni feriali
ore 7-12.10
ore 16.00-19 (aprile-settembre)
ore 15.30-18.30 (ottobre-marzo)
Giorni festivi
ore 7-12.30
ore 16-19.30 (aprile-settembre)
ore 15.30-18.30 (ottobre-marzo)
Adorazione eucaristica quotidiana
Lunedì - Venerdì: 9.30-18; Sabato: 9.30-12
Sagrestia Basilica
Dalle ore 7 alle 12; dalle ore 16 alle 19.
Prenotazioni Sante Messe, stesso orario.
Celebrazione Battesimo
Prima domenica di ogni mese:
ore 17 (Basilica Santa Casa).
Celebrazione Cresima
Primo sabato di ogni mese:
ore 18 (ore 18.30 aprile-settembre)
Presentarsi un’ora prima per la registrazione dei documenti.
Celebrazione Matrimonio
Informazioni presso il Parroco della
Santa Casa: ore 10-12.
Congregazione Santa Casa-Negozio
(a sinistra della facciata della basilica).
Ufficio accoglienza pellegrini e informazioni, prenotazione guide turistiche, con
negozio ricordi e stampe del santuario,
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Messe Perpetue. Ore 8.30-12.30; 14.3018.30 (15-19 giugno-settembre).
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“IL MESSAGGIO della SANTA CASA”
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Loreto, 15 marzo 2011
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COME RAGGIUNGERCI…
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alle stazioni di Loreto e
Ancona, e Roma-Falconara-Ancona, con servizio di autocorriere da
Ancona *.
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* Servizio Autobus ANCONA PER LORETO
Feriale: 5.45 - 6.45 - 7.45 - 8.45 - 9.45 - 10.15 - 11.15 - 12.10
13.15 - 14.15 - 15.30 - 16.45 - 17.30 - 18.30 - 19.30 - 22.15
Festivo: 8.00 - 10.20 - 12.40 - 15.00 - 17.45 - 20.15
Servizio Autobus LORETO PER ANCONA
Feriale: 5.40 - 6.35 - 7.05 - 7.45 - 8.30 - 9.30 - 10.45 - 12.00
13.00 - 13.45 - 15.00 - 16.00 - 17.05 - 18.15 - 20.25
Festivo: 6.55 - 9.20 - 11.40 - 14.00 - 16.40 - 19.15
Servizio Autobus Loreto stazione per Loreto
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Festivo: 7.55 - 8.15 - 10.55 - 11.45 - 14.15 - 16.20 - 17.05 - 18.15
Servizio Autobus Loreto per Loreto stazione
Feriale: 6.30 - 6.50 - 7.15 - 8.10 - 8.30 - 10.30 - 11.10 - 13.50
14.30 - 15.35 - 16.28 - 17.55.
Festivo: 7.35 - 8.00 - 10.35 - 11.10 - 13.50 - 15.35 - 16.30 - 17.55
S
124
EDITORIALE
Parlando di Congresso Eucaristico Nazionale…
… ricordiamo che la sua X edizione
si tenne proprio a Loreto, nel 1930
p. Giuseppe Santarelli
In copertina:
Guido Reni (15751642), attribuzione, Cristo Risorto,
Loreto, MuseoAntico Tesoro.
Probabile sezione di un più ampio dipinto raffigurante “Noli
me tangere”.
OMMARIO
125
LA PAROLA DELL’ARCIVESCOVO
Betsabea, la pecorella piccina
mons. Giovanni Tonucci
126
LETTERE AL “MESSAGGIO”
SPIRITUALITÀ
127
L’Eucaristia e la vita quotidiana:
il cammino della santità
fr. Stefano Vita
129
Jeshua, dolcemente, la chiamava “Immah”
Valentino Salvoldi
130
“Il coraggio”
sor. Francesca Entisciò
132
N come Nome
sr. Maria Elisabetta Patrizi
136
n. 4 - APRILE 2011
SIMBOLOGIA MARIANA
La Porta del Cielo
Filippo Di Cuffa
“Loreto, dopo Nazaret,
è il luogo ideale per pregare
meditando il mistero
dell’Incarnazione del Figlio di Dio.”
Benedetto XVI
137
OGNI SANTITÀ PASSA A LORETO
Enrico Medi, servo di Dio (1911-1974)
p. Marcello Montanari
139
inserto giovani
143
IL “MESSAGGIO” INTERVISTA…
dal Centro
Giovanni Paolo ll
Luigi Accattoli
Vito Punzi
125
143
STORIA ARTE E CULTURA LAURETANA
144
L’istituzione dell’Eucaristia nell’arte lauretana /3
p. Giuseppe Santarelli
147
144
149
Mostra del Lotto al Quirinale,
Loreto presente con due tele
148
SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE
149
PERSONAGGI ILLUSTRI A LORETO
Pubblicazione sulla Sala del Pomarancio a Loreto
Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, a Loreto
Giuseppe Santarelli
151
152
156
LORETO NEL MONDO
VITA DEL SANTUARIO
NOTIZIE FLASH
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
EDITORIALE
Parlando di Congresso
Eucaristico Nazionale...
P. GIUSEPPE SANTARELLI
- DIRETTORE
… ricordiamo
che la sua
X edizione si
tenne proprio
a Loreto,
nel 1930.
124
I
l XXV Congresso Eucaristico Nazionale, che si celebrerà ad Ancona nei giorni 3-11
del prossimo settembre, non è il primo a svolgersi nelle Marche, perché nei giorni
10-14 settembre 1930 ne fu tenuto un altro a Loreto con grande solennità e con un articolato programma.
Il vescovo Angelo Bartolomasi, presidente del Comitato Permanente dei Congressi
Eucaristici in Italia, e mons. Aluigi Cossio, vescovo di Recanati-Loreto e presidente di
quel Congresso, in un messaggio congiunto rivolto il 10 dicembre 1929 a tutti i vescovi delle diocesi d’Italia, mettevano in evidenza come nella Santa Casa, «Maria, Vergine Madre, divenne primo tabernacolo di quel Gesù, che per mezzo di lei si comunicò
alla umanità, ed eucaristicamente, mediante la santa Comunione, fa degli umani petti
i suoi tabernacoli». Collegavano così quella celebrazione eucaristica alla Casa dell’Incarnazione.
In considerazione del fatto che la Santa Famiglia abitò nella dimora di Nazaret, gli organizzatori scelsero per il Congresso questo tema di riflessione: «L’Eucaristia, la famiglia e l’educazione cristiana». Una serie di relazioni e di scritti illustrarono il tema, nella specifica temperie
ecclesiale e sociale di quegli anni, con illuminanti prospettive e sapienti orientamenti pastorali.
Mons. Bartolomasi, in un altro scritto, metteva in evidenza che il Congresso Eucaristico Nazionale di Loreto era il primo celebrato dopo la Conciliazione tra Chiesa e Stato in Italia, in forza del Concordato dell’11 febbraio 1929. E, in qualche modo, collegava l’evento religioso con i
destini della Patria. Il Congresso di Ancona si celebra nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia e
potrebbe essere propiziatore di un rinnovamento morale e religioso della nazione.
Mons. Bartolomasi faceva un cenno significativo anche alla Madonna di Loreto, che da dieci anni era venerata Patrona universale dei viaggiatori in aereo. Ad ogni modo, la vera ragione per cui
fu scelta Loreto quale sede del X Congresso Eucaristico fu il carattere mariano del suo santuario,
quasi una esemplificazione del motto Ad Jesum per Mariam (A Gesù per mezzo
di Maria) che era stato sottolineato nel Congresso del 1920 svoltosi a Bergamo.
A celebrazioni compiute, furono pubblicati gli Atti del X Congresso Eucaristico Nazionale di Loreto, un ponderoso volume che raccoglie tutte le notizie
della preparazione e dello svolgimento degli eventi e numerose relazioni. Si
tratta di una doviziosa documentazione che dà la misura di quanto fu operato in quella circostanza.
Un ignoto pittore, sensibile allo stile liberty floreale, elaborò il manifesto
del X Congresso, immaginando due angeli che portano nelle mani la Santa
Casa, come un tabernacolo, sulla quale si eleva un ampio ostensorio radiante
con l’Ostia santa nel mezzo, segnata dal trigramma JHS, sormontato da una
croce. Un aereo sorvola nello spazio contiguo, a richiamo del patronato della
Vergine Lauretana sugli aviatori. Sotto gli angeli, ai lati si vedono grappoli
d’uva e spighe di grano in un ricamo di rose. Sono i simboli eucaristici del
pane e del vino. Una bella ideazione che coniuga efficacemente il tema dell’Eucaristia con la Santa Casa. Una scritta all’interno del fregio recita: X Congresso / Eucaristico Nazionale / Loreto 10-14 settembre 1930 (vedi foto accanto).
LA PAROLA DELL’ARCIVESCOVO
Betsabea,
la pecorella piccina
MONS. GIOVANNI TONUCCI
I
- ARCIVESCOVO DI LORETO
l profeta Natan definì così Betsabea, quando parlò di
lei a Davide. In quel momento, il re pensava di aver
ormai nascosto i suoi misfatti. Il capitolo 11 del secondo
libro dei Re descrive il cinismo di Davide, che, per coprire la sua prima colpa, ne commette tante altre e tradisce
la sua dignità di uomo e di sovrano, la fedeltà alla sua
missione e al suo popolo. Alla fine, un matrimonio riparatore ha chiuso lo squallido affare. Resta solo un dettaglio, ricordato con una breve annotazione alla fine del
capitolo: “Ma ciò che Davide aveva fatto era male agli
occhi del Signore”.
Dio era stato il grande assente nella storia del peccato. Ora Natan riceve da Dio
l’incarico di richiamare il re
sulla gravità della sua colpa.
Per fare questo, adopera un
esempio in cui si presenta
un caso di giustizia: c’è un
ricco arrogante che ha rubato la pecorella piccina, unica
proprietà del povero suo vicino. Tale era stata la povera
Betsabea, sposa di uno dei
fedeli soldati di Davide, che,
mentre il re rivolgeva il suo
sguardo impuro su sua moglie, era al campo di battaglia, a rischiare la vita per il
suo re e il suo popolo.
La donna era proprio
una “pecorella piccina”, innocente e indifesa, nelle
grinfie di chi era invece arrogante e prepotente. Leggendo attentamente la narrazione biblica, vediamo
che non si parla di violenza:
Davide mandò semplicemente dei messaggeri a
prenderla. Ma quale possibilità poteva
avere la donna di negare al re quello che
lui stava esigendo? Ed è anche vero che non si parla di un
eventuale compenso per lo squallido servizio. Ma quale
bisogno poteva avere allora il potente di pagare, quando
aveva ogni possibilità di compensare in altro modo la
preda, che poteva essere fiero di aver conquistata? È triste dover constatare che, a distanza di secoli, la mentalità
del maschio conquistatore rimane la stessa, e la donna
continua ad essere umiliata nello stesso modo, prima ancora di essere toccata.
Betsabea, nel suo primo
incontro con Davide, è una
vittima sacrificata alla lussuria del potente. Umiliata
in tutti i modi, perché attorno a lei tutti sapevano quello che era accaduto e quindi
quello che sarebbe accaduto poi. Non dobbiamo fare
un grande sforzo di fantasia per immaginare le
chiacchiere sparse nell’ambiente di corte proprio da
quei messaggeri che avevano compiuto l’ignobile missione di essere mezzani nella faccenda; poi da chi dovette comunicare a Davide
l’avvenuto concepimento
di un figlio; poi da chi dovette chiamare il povero
Uria, marito inizialmente
ignaro ma poi quasi sicuramente cosciente di quello
Lucas Cranach (1472-1553),
Betsabea dopo il bagno mentre un’ancella le asciuga i piedi, Berlino, Museo.
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
125
LETTERE AL “MESSAGGIO”
126
che stava accadendo e di quello che
il re voleva da lui; e infine da chi dovette eseguire l’ordine del re, che
esigeva la morte di quell’innocente,
per coprire le proprie responsabilità.
In tutta questa agitazione, Betsabea, l’unica innocente, era vista invece da tutti come se fosse lei la responsabile del disagio del re, della
perdita di favore da parte di Uria e
infine della sua uccisione. Anche se
qualcuno avesse voluto essere benevolo verso di lei, avrebbe comunque
detto che, in fondo, era lei che aveva
provocato tutte queste drammatiche conseguenze. Perché si sa come
sono gli uomini e lei avrebbe dovuto stare più attenta a quello che faceva e a dove lo faceva. Insomma, la
colpa non poteva che essere la sua.
Pensiamo anche a quello che dovettero dire tra loro i servi di Davide,
quando Betsabea, ormai vedova, entrò nella casa del re e divenne sua moglie: giudizi pieni di rancore e di disprezzo, per una donna leggera, che
aveva provocato prima la propria
vergogna e poi la morte di suo marito.
Il pentimento di Davide aprì infine il cammino alla misericordia di
Dio. Quello che l’uomo aveva compiuto nel peggiore dei modi, aveva
provocato una terribile catena di
peccato e di morte. Una concentrazione di cattiveria aveva dato origine ad una concentrazione di sofferenza per tanti. Ma Dio infine offre
anche alla vittima di tutto questo
male la possibilità di risorgere e di
superare l’umiliazione, attraverso
un trionfo conquistato con amore e
pazienza. Passano gli anni, e l’unica
donna a fianco di Davide è proprio
lei, Betsabea, la moglie amata e la
madre di Salomone, il principe designato a succedere nel trono a suo padre. Per questo Betsabea, la pecorella
piccina, diventerà la regina, amorosa
e potente, capace, come vedremo, di
conquistare il trono per suo figlio, al
di là e al di sopra dei complotti di
corte per favorire altri candidati.
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
Loreto… che sorpresa!
Gli annali del santuario registrano innumerevoli testimonianze, lungo
i secoli, di visitatori e di pellegrini che a Loreto hanno scoperto un mondo colmo di sorprese. I visitatori laici vi hanno trovato mirabili e insospettate opere d’arte; i fedeli pellegrini vi hanno sperimentato il mistico
fascino della Casa di Nazaret. Un esempio. Santa Teresa del Bambin Gesù, pellegrina a Loreto nel novembre 1887, ha scritto nella sua «Storia di
un’anima»: «Loreto mi ha rapita»!
Pubblichiamo una lettera giunta alla redazione che conferma questo
straordinario fenomeno.
Rev.do Padre, per la prima volta sono stata a Loreto con mio marito,
il 1° maggio. Quel mattino presto eravamo partiti per un’altra direzione ma, per vari ostacoli inaspettati, siamo andati a fare una visita a un
monastero benedettino, dove conoscevo una monaca da anni, e vi siamo
rimasti per il pranzo.
I nostri progetti per quel giorno erano di andare a visitare i luoghi
dintorno, ma ecco che la madre badessa, dopo il pranzo, ci ha invitato a
prendere la direzione di Loreto. Un’esclamazione e alcuni interrogativi
si susseguirono: «La Casa… a Loreto! È lontano? Dobbiamo rientrare
questa sera»!
Beh, sentivo nascere dentro di me una sensazione, come una trepidazione, una spinta ad andare. E così abbiamo obbedito.
Non trovo parole per esprimere la mia gioia, che è gioia e quiete, silenziosa e dolce, e per dire un incessante grazie a Maria Santissima.
Grazie per questa giornata e per il ricordo che sempre resterà vivo in me.
Grazie di questo incontro.
Vergine Lauretana, sii sempre nel mio cuore e guida sempre me e tutti
coloro che sono nel mio cuore.
Lettera firmata
SPIRITUALITÀ
FR. STEFANO VITA
FFB
Verso il Congresso Eucaristico Nazionale
L’Eucaristia e la vita quotidiana:
il cammino della santità
127
La vocazione cristiana:
essere Eucaristia vivente
U
n giorno un vescovo concluse la
santa messa in modo insolito.
Invece di congedare l’assemblea con
la formula “la messa è finita, andate in
pace”, disse: “la pace è finita, andate alla messa”. Queste parole esprimono
una grande verità. Esse ci dicono che
la nostra vita è chiamata ad essere
una continua santa messa e che le
strade della nostra esistenza sono
chiamate ad essere come altari, nei
quali Dio desidera ardentemente
spezzare, in senso eucaristico, la nostra persona per farne dono per gli
altri. Questa vocazione trova conferma nel miracolo della prima moltiplicazione dei pani, riportataci dall’evangelista Matteo. Gesù, in questo episodio, rispondendo ai discepoli che lo invitano a congedare la
folla, affinché si recasse nei villaggi l’Ufficio divino. Così recita il testo:
vicini per procurarsi il cibo, dice:
Frumento di Cristo noi siamo
“Non occorre che vadano: voi stessi date
cresciuto nel sole di Dio,
loro da mangiare” (Mt 14,16). “Voi
nell’acqua del fonte impastati,
stessi date loro da mangiare”. Il senso
segnati dal crisma divino.
letterale di questo versetto è chiaro:
date loro il cibo che avete a disposiIn pane trasformaci o Padre,
zione. Il senso spirituale ci richiama
per il sacramento di pace:
invece il farsi pane per gli altri: voi
un Pane, uno Spirito, un Corpo
stessi date loro da mangiare; in altre
la Chiesa una - santa, o Signore.
parole, siate voi il cibo che soddisfa
la sete d’amore, di verità, di libertà,
Le parole di questo inno liturgico
di gioia, di pace, di consolazione, di
accoglienza, di casa, di famiglia, di ci rivelano che noi siamo stati creati
amicizia che vive nel cuore dell’uo- da Dio per essere pane per gli altri.
mo. È come se il Signore ci dicesse: Questa è la nostra vocazione fondala vostra esistenza sia questo pane mentale. La nostra vita è chiamata a
crescere in età, sapienza
che dona vita, la vera vita.
e grazia penetrata dai
Un’ulteriore conferma di
Sopra: Giovanni
raggi del sole dell’amore
questa chiamata la trovia- Lanfranco
di Dio, impastata e cioè
mo, espressa in modo molto (1582-1634),
plasmata dall’acqua delchiaro e bello, in una pre- Moltiplicazione
la volontà divina, e seghiera liturgica, tratta dal- dei pani.
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
128
gnata dal criprio stato di
sma divino,
vita e la provale a dire dalpria vocaziola grazia dei
ne. San Luca ci
sacramenti.
riporta queste
Così Dio Padre
parole di Gesù
può trasfornell’Ultima
marci in pane
Cena: “Questo
per quel sacraè il mio corpo,
mento di pace
che è dato per
che è la Chievoi; fate questo
sa, corpo miin memoria di
stico di Cristo;
me” (Lc 22,19b;
così egli può
cfr. anche 1Cor
renderci vera11,23-25). “Famente Chiesa. «Frumento di Cristo noi siamo…».
te questo in meLa vocazione
moria di me”.
fondamentale di ogni cristiano è Questo memoriale del suo gesto si
dunque: essere Eucaristia vivente. realizza sacramentalmente nella ceLa santità del cristiano pertanto de- lebrazione eucaristica, come ben
ve realizzarsi secondo la forma del- sappiamo, ma poi è chiamato a prol’Eucaristia, deve essere una santità seguire in senso spirituale nell’altaeucaristica. Questa è la vera realiz- re della nostra vita quotidiana. E cozazione della vita. L’Eucaristia dun- me? Vivere con la consapevolezza
que è il cuore, la fonte, il culmine e la che lui, Gesù, è sempre accanto a
scuola della nostra vita, sia come noi, dentro di noi. Vivere dialogansingoli, sia come comunità. “Senza do con lui e domandandogli: tu col’Eucaristia non possiamo vivere”, dis- me agiresti in questa circostanza?
sero i martiri di Abitene nel IV seco- Vivere facendo della sua Parola
lo. “Senza essere Eucaristia non possia- realmente la lampada che illumina i
mo vivere veramente il Vangelo”, conti- nostri passi, le nostre scelte, i nostri
nuiamo ad affermare oggi.
sentimenti e pensieri. Vivere lasciandoci interrogare e interpellare
profondamente e con sincerità di
La vita quotidiana:
cuore dalla Parola, lasciandoci metaltare per fare “memoria”
tere in discussione da essa come
di Cristo Gesù
spada a doppio taglio che “penetra
Nella misura in cui la nostra vita fino al punto di divisone dell’anima e
ha questo orizzonte spirituale, si dello spirito, fino alle giunture e alle
può realizzare in noi l’esortazione midolla, e discerne i sentimenti e i penche san Paolo rivolge ai Tessalonice- sieri del cuore” (Eb 4,12). “Fate questo
si: “Pregate ininterrottamente” (1Tess in memoria di me”. Questa è la vita di
5,17). Questo pregare sempre, infatti, ogni cristiano. Gesù per noi non
non ha a che fare con i tempi della può essere solo il senso della vita.
preghiera, ma si riferisce al fare me- Non basta! Gesù deve essere la nomoria continua di Dio nella quoti- stra stessa vita, ad imitazione della
dianità della vita. Una memoria che vita di san Paolo che esclama “non
però non vuol essere e non può es- vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal
sere semplice ricordo, ma memoria 2,20). Questo è stato il cammino dei
nel senso eucaristico, cioè ri-attua- santi. Se volgiamo lo sguardo sul
lizzazione nella nostra vita della vi- poverello di Assisi, san Francesco,
ta di Gesù, ciascuno secondo il pro- constatiamo proprio questo. Egli è
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
stato un uomo eucaristico. Tommaso da Celano, suo biografo, così lo
descrive: “Non era tanto un uomo che
pregava quanto era diventato lui stesso
la preghiera” (2Cel. 94:681). San Francesco, quindi, fu un uomo tutto trasformato in preghiera. Questa sua
continua preghiera, questa preghiera vivente, frutto dell’incontro con
Gesù povero e crocifisso e del desiderio di stare con lui, di seguire le
sue orme, l’ha reso uomo eucaristico, Eucaristia vivente. Egli, infatti,
ha ricevuto da Dio il dono delle
stimmate che visibilmente lo hanno
manifestato tale. Questo è stato il
cammino anche di un grande figlio
di san Francesco: san Pio da Pietrelcina. Egli soleva dire di sé: “Sono un
povero frate che prega”. Sappiamo bene che in lui la preghiera era continua, incessante, frutto di un amore
grande, vitale e appassionato per
Gesù e, come in san Francesco, questa continua preghiera l’ha reso Eucaristia vivente. Anch’egli ha ricevuto il dono delle stimmate, rendendolo fisicamente e visibilmente
uomo eucaristico. Questo cammino
di conformazione a Cristo si è realizzato, in quanto la loro preghiera
incessante trovava nella celebrazione eucaristica la fonte e il culmine.
Conclusione
L’Eucaristia, ci insegna il Concilio
Vaticano II, è “fonte e culmine della vita cristiana” (LG 11). Dall’Eucaristia
scaturisce il nostro cammino spirituale, il nostro desiderio di imitare
Gesù sempre più profondamente, di
seguire le sue orme, e all’Eucaristia
questo cammino deve tornare. In
questa circolarità spirituale (Eucaristia – vita quotidiana, vita quotidiana –
Eucaristia) si realizza quel cammino
di preghiera incessante che fa della
nostra vita un altare vivente, che fa
delle nostre persone uomini e donne eucaristici, segno eloquente della
presenza di Cristo risorto.
SPIRITUALITÀ
VALENTINO SALVOLDI
Sull’onda della devota immaginazione…
Jeshua, dolcemente,
la chiamava “Immah”
“E
hi, tu, dove vai?”. Con voce roca il soldato
apostrofò quella donna che, col favore delle
tenebre, cercava di avvicinarsi al sepolcro. I suoi
commilitoni dormivano, mentre egli non riusciva a
prendere sonno, pensando a quell’uomo appeso alla
croce e a quelle sue parole: “Padre, perdona loro.
Non sanno quello che fanno”. Non solo l’aveva perdonato, ma anche scusato…
“Pilato ha comandato che nessuno si accosti a
quella tomba”.
“Sono la mamma di Jeshua”.
“Jeshua, Jeshua… Dio salva! Se Dio esistesse, non
l’avrebbe lasciato morire così”.
“Lasciami andare, pregherò anche per te”.
“Che cosa mi dai?”.
“Ho qui solo un po’ di aromi, per ungere quella
grande pietra, visto che non posso toccare il corpo di
mio Figlio”.
“Tuo figlio, il crocifisso… ‘Maledetto chi pende
dal legno’ ”.
Maria porse gli unguenti al soldato.
Quanti denari si
potrebbero ricavare? Ma al
soldato venne
in mente sua
madre, nell’atto di ungere il corpo
di suo fratello, morto lui
pure in giovane età.
“Vai, vai!
Ma se capita qualche cosa, io non ti ho visto!”.
Trepidante Maria corse alla tomba. Posò il capo
sulla fredda pietra. La baciò. La unse e la baciò ancora, sussurrando dolcemente: “Jeshua. Jeshua. Jeshua”.
E mentre così lo chiamava, pensò a Gabriele, l’arcangelo che dopo quell’ “Ave” le aveva predetto come
si sarebbe chiamato suo Figlio: “Jeshua: Dio salva”.
Ma chi mai Dio ha salvato? Non ha ascoltato suo
Figlio nel Getsemani, né quando tutti lo sfidavano:
“Scendi dalla croce e noi crederemo in te”. Jeshua
non ha salvato se stesso…
E riandò al momento del parto. Le doglie. Che fatica mettere al mondo un figlio! Ma con molta più fatica si muore. Forse l’essere Jeshua, Figlio di Dio, gli
ha reso ancora più straziante l’agonia.
Chi mai il Signore ha salvato? Non certo quei
bambini innocenti che a causa sua furono ammazzati da Erode. Maria si rivide con la Sacra Famiglia in
fuga verso l’Egitto, mentre nel suo animo risuonavano le parole, pesanti come pietre, del vecchio sacerdote Simeone: “E a te una spada trafiggerà l’anima”.
E là, in Egitto, aveva sussurrato mille e mille volte
alle orecchie del suo piccolo: “Jeshua”, perché facesse del suo nome un atto di fede: “Dio salva”. E lui,
tra una poppata e l’altra, rispondendo alla mamma
con ineffabile sorriso, aveva appreso a chiamarla con
il dolce nome di “Immah”, “mamma”. Jeshua, vinta
l’iniziale fatica di emettere i primi suoni, non cessava mai di chiamarla: “Immah. Immah. Immah”. Tre,
quattro, cinque volte al minuto: “Immah!”. Nome
che estasiava Maria.
Lì, con la testa appoggiata alla fredda pietra, lei,
la donna del Sabato Santo, attendeva il grande risveglio. Non una speranza, ma una certezza rendeva luminose le sue lacrime: “Jeshua, Figlio mio, sve-
Modesto Faustini, Madonna con il Bambino, particolare dal Ritorno dall’Egitto, Loreto, Cappella Spagnola (1890). «E là in Egitto, aveva sussurrato
mille volte alle orecchie del suo piccolo: “Jeshua”… E lui aveva appreso a
chiamarla con il dolce nome di “Immah”, “mamma”».
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
129
SPIRITUALITÀ
130
gliati dai morti. Torna dal Padre e chiamami presto
con te. Per tutta l’eternità accanto a te invocherò il
tuo nome, intercedendo per quanti mi hai lasciato
come figli”.
Figli che avevano ignorato, deriso, insultato,
schiaffeggiato, flagellato e crocifisso suo Figlio. Che
scarnificante scambio: il più bello tra i figli dell’uomo scambiato così con un’umanità che non sollevò
Jeshua da terra, anzi… “lo schiacciò come un verme”, in accordo con le antiche profezie.
Maria lo rivede nelle sue cadute mentre saliva il
Calvario con quella croce che solo un Dio poteva
portare, dopo quella barbara flagellazione. Le cadute… Quando il piccolo Jeshua cadeva a terra sugli
incerti suoi piedini, lei, la mamma, correva subito a
sollevarlo e lo consolava, inondandolo di baci. Ma
sulla via del Calvario ella era stata impotente a soccorrerlo. Ogni caduta la straziava. E ogni sacrilego
ghigno degli aguzzini rendeva ancora più disumano il dolore. Aguzzini… ora suoi figli! Soprattutto
per loro una preghiera.
Passarono tutte le stelle sopra il capo di Maria. E
lei era lì, presso la muta tomba, a ricordare gioie e
dolori, condivisi con Giuseppe e con Jeshua che, se
non fosse stato Figlio di Dio, sarebbe ancora suo, ancora vivo. Lui, vita della sua vita.
Passarono tutte le stelle sopra il suo capo ed ecco,
spuntò l’alba del primo giorno dopo il sabato. Quel
sepolcro non poté restare indifferente alle lacrime di
una madre e all’amore che, invano, la fredda pietra
cercava di occultare.
Terremoto.
Esplosione di
luce. Palingenesi. E tutto
quel fulgore si
fece sussurro:
“Immah”.
“Il coraggio”
SOR. FRANCESCA ENTISCIÒ
FFB
“Il primo ufficiale del Pequod era Starbuck,
nativo di Nantucket. Era un uomo lungo e severo e, sebbene venuto al mondo su di una costa di ghiacci, pareva ben adattato a sopportare le latitudini calde, avendo una pelle dura
come le gallette biscottate.
Un uomo fermo, saldo, la cui vita era in
massima una rivelatrice sceneggiata di azione
e non un addomesticato capitolo di parole. Diceva spesso: «Io non voglio nella lancia nessuno che non abbia paura della balena». Con
questo pareva intendesse non soltanto che il
coraggio più sicuro e più utile è quello che nasce da un giusto apprezzamento del pericolo
che si affronta, ma che un compagno totalmente privo di paura è un compagno molto più pericoloso di un vigliacco.
Forse pensava anche che il coraggio è uno
dei grandi generi essenziali per la nave, come
la carne e il pane, e che non si deve sprecarlo
scioccamente. Non era un crociato alla ricerca
di pericoli: in lui il coraggio non era un sentimento, ma semplicemente una cosa utile e
sempre disponibile in tutte le occasioni pratiche della vita”.
(H. Melville, “Moby Dick”)
I
Gesù risorto appare alla
Madre, miniatura del secolo
XV, Parma, Biblioteca Palatina, ms 169.
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
l coraggio degli avventurieri continua ad affascinare generazioni e generazioni di lettori.
Quando si parla di eroi subito l’attenzione cresce e
nel cuore nasce un non so che di strano che è un
misto tra desiderio e ammirazione per gesta che
richiedono una forza e una determinazione incredibili. È una virtù da tanti ricercata e sinonimo
spesso di approvazione e di fama.
Questo vale anche nella vita spirituale: ci vuole
del coraggio per farsi santi, un coraggio e una determinazione fuori dal comune, eppure tutti i santi sono passati attraverso quella debolezza che si
chiama paura. Un binomio strano, ma imprescindibile.
Non si affrontano grandi battaglie se non si comprende
che la forza, quella vera, non viene da noi, ma da Colui
che ha vinto prima di tutti il peccato e la morte.
In questo tempo che ci separa dalla Pasqua proviamo
a riflettere sul nostro desiderio di seguire Cristo fino in
fondo, anche dove la paura di affrontare la croce fa sudare sangue e la solitudine ci rende vulnerabili agli attacchi del nemico.
Valutare il pericolo
La prima domanda che ci dobbiamo porre è questa:
chi siamo disposti ad accogliere sulla nostra lancia? Una
domanda semplice ma essenziale, perché l’errore che
spesso commettiamo è quello di circondarci di persone
che vedono in ogni cosa un pericolo e questo diventa in
realtà il più grande dei pericoli! Di fronte a situazioni
difficili che richiedono un discernimento particolare,
davvero a volte ci sentiamo soli, senza nessuno con cui
parlare e allora è facile accogliere il consiglio di chi ci dice che è meglio non pensarci e lasciar perdere: la santità
è un affare troppo complicato e quindi è meglio non avventurarsi. Così come quando si cercano come compagni coloro che il pericolo non lo avvertono mai e così eccedono all’opposto, buttandosi in esperienze estreme
che non sono da santi, ma da veri pazzi.
Percorrere la strada del Vangelo è un’esperienza che
non è affatto esente dalla paura e dal pericolo, ma proprio il giusto apprezzamento di quest’ultimo consente
di mettere in pratica quella parola di Gesù che invita a
valutare il nemico che ci viene incontro con una truppa
ingente: se possiamo affrontarla, bene; altrimenti, prima
che le perdite siano più dei guadagni, è meglio inviare
messi di pace per accordarsi prima della battaglia. Questo non è un indietreggiare, ma calibrare con maturità le
proprie forze e soprattutto lasciare a Dio ogni merito e
conquista nel campo della vita spirituale.
Il cristiano coraggioso è colui che ama senza misura,
ma non spreca il suo coraggio in azioni che non portano
a Dio solo la gloria e il merito della vittoria.
Coraggio di accogliere
Ecco allora la seconda domanda che ci poniamo: consideriamo il coraggio un genere essenziale per il nostro
equipaggiamento spirituale? Si parla di coraggio e si pensa ad azioni eroiche, ma non è forse coraggio affrontare col
sorriso una giornata di duro lavoro, accogliere con gioia le
piccole sofferenze fisiche o morali come possibili offerte
da donare al Signore? Non è coraggio credere senza misura nei giovani e preparare per loro un futuro degno di essere vissuto o continuare a confidare nell’amore anche
quando è bistrattato, violentato e ridicolizzato dai media?
Il coraggio non è questione di sentimento, ma un habitus da vestire ogni giorno con pazienza attraverso le
scelte quotidiane della nostra vita semplice. Sì, ci vuole
coraggio ad essere semplici, ma nella luce della Pasqua
possiamo ritrovare la risposta, nuova per ciascuno di
noi, e cioè che Dio ci ama, ci ha donato Gesù sapendo
come lo avremmo accolto e trattato, e lui per salvarci
non si è tirato indietro. Ora sta a ciascuno di noi accoglierlo nella propria vita e affrontare con coraggio la
strada luminosa della santità.
«Io non voglio
nella lancia
nessuno che
non abbia paura
della balena».
(Foto Sbrascini)
131
SPIRITUALITÀ
SR. MARIA ELISABETTA PATRIZI
SFM
L’alfabeto della cultura cristiana, dalla A alla Z
L’URGENZA DEL NOME
N
N
ome di Dio, nome degli uomini e delle donne: oggi
questo tema è urgente. Esso non
richiede un “excursus” storico, ad
es. “quando nasce l’uso di dare
un nome proprio alle persone?”.
Esso sollecita, piuttosto, un approfondimento teologico,
antropologico e sociale. Infatti, l’uso appropriato del
nome ha conseguenze psicologiche, esistenziali, culturali e vitali. Vediamo perché.
QUEL NOME CHE DÀ LA SALVEZZA
132
Ecco un esempio salvifico: quando Gesù ci insegna a
chiedere al Padre suo e nostro: «sia santificato il tuo Nome» (Mt 6,9) ne va della sua gloria e della nostra vita!
«Nell’acqua del Battesimo siamo stati “lavati… santificati… giustificati nel Nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (1Cor 6,11)”. Lungo tutta la nostra vita
il Padre nostro ci chiama “alla santificazione” (1Ts 4,7) (1) e
(…) ne va della sua Gloria e della nostra vita che il suo
Nome sia santificato in noi e da noi»(2).
IL NOME È COME UN “PORTALE”
Il nome è come un portone d’ingresso. Oggi, forse, si
direbbe un “portale”, in senso telematico, oppure è come
un PIN, o codice, che ci consente di accedere all’altro
per comunicare, dare e ricevere… Però è sempre più a
rischio se a quel “nome” corrisponda verità o menzogna.
Non basta la soggettività egocentrata! Il nome è anche
“una chiave interpretativa” di sé e degli altri… della loro
realtà individuale (= chi sono). Tradizionalmente, il nome era anche un “dato referenziale” (su di te) e radicale (le
tue radici o “background” socio-culturale): aveva un
contenuto epistemologico e valoriale, descrittivo e
operativo, assai importante. Era come “un biglietto da
visita” piuttosto serio ed affidabile… ma oggi, su “Facebook”, scrivono ciò che vogliono. E il codice a barre? Altri lo leggono… ma tu non sai cosa dice!
Fino ad ora il nome e il cognome non erano avulsi
dalla realtà e solo gli “pseudonimi” entravano nel criptico o nell’immaginario.
Nell’Antico Testamento, il nome era una realtà importante, addirittura vitale, come lo era il Nome di Dio
per il suo popolo. Nel Nuovo Testamento lo è ancor più
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
come Nome
per quanti, in Cristo, sono i «familiari di Dio» (Ef 2,19). In
Cristo, infatti, la rivelazione del Nome di “Padre” e
del suo amore «svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»(3).
OGGI, DOVE ANDIAMO?
Oggi, invece, da quando la relazionalità «non è più
accostata secondo il canone di strutture oggettive, ma
lasciata alla libera scelta del soggetto in tutto e per tutto»(4), si auto-creano “monadi fluttuanti”, sempre più
avulse dalla realtà, in una storia dove la maleducazione
e l’incomunicabilità imperano, e preludono già al “manicomio collettivo” nel quale ognuno si crede l’unico attore e signore, in una libertà senza contenuti oggettivi,
perché ormai privata delle relazioni autentiche che “costruiscono” la persona. Un esempio, sempre più diffuso
e alienante, è l’essere uomo o donna a proprio piacimento… come se tutto ciò che è implicato nella sessualità dipendesse esclusivamente da fattori sociali! Scrive
don Francesco Pilloni, esperto in spiritualità nuziale:
oggi «la cultura stessa si pone come “creatrice” del
concetto di uomo e di donna, trasferendolo al potere
del singolo mediante la teorizzazione del “gender” [=
genere], patrimonio elaborabile, reimpastabile, perennemente riorientabile»(5). Il che è gravemente alienante.
VERSO LA PAZZIA COLLETTIVA?
Oggi il nome varia, anche più volte nella vita, per es.
nella scelta di un “avatar”. Fin dalla nascita è facilmente
svuotato dei riferimenti storico-culturali e genealogici.
Con l’esaltazione della soggettività del “mi piace” e del
delirio d’onnipotenza, i nomi vengono a significare solo
“ciò che voglio, finché lo voglio, perché lo voglio” e posso
cambiarli quando voglio, creandomi un nuovo personaggio, virtuale o no, ma sempre più spesso “onirico”. Stiamo
diventando un mondo di camaleonti dove alla tinta del
momento si vuol dare un nome fugace, quasi che “il soggetto sottostante” non fosse, in realtà, uno solo. Così «l’uo-
mo non si trova più “collocato” e “posto” nel mondo, ma sembra egli stesso il
creatore»(6). È un po’ come un bimbo che
gioca con una realtà tanto più grande di
sé… mentre un adulto perverso lo lascia
fare… per poi allettarlo in giochi sempre
più rischiosi e alienanti. Un grande massmediologo scriveva: «Le Rete non invita la gente all’introspezione, al contrario
incoraggia all’estrospezione»(7).
ANTICA POLIVALENZA
STORICO-SOCIALE
E RELIGIOSA DEL NOME
Un bimbo nato in incognito e subito
abbandonato non ha nome fintanto
che qualcuno non lo soccorra e lo
“adotti”. «Razza senza nome» (Gv
30,8) è un epiteto amaro che Giobbe
dà ai suoi nemici. Avere più di un nome, invece, poteva significare l’importanza d’un uomo che ha più di un
LA SOLITUDINE
ruolo da svolgere o in cui, per nozze,
«Fin d’ora siamo chiamati ad esseÈ in atto un vero smarrimento gno- re abitati dalla Santissima Trinità». erano confluiti due casati illustri, di
seologico e valoriale: fonte di estrecui non si voleva perdere memoria,
ma solitudine dovuta anche all’incertezza referenziale anche perché confluivano “in uno” pure i beni immobiche ci aliena dagli altri, da noi stessi e da Colui che ci ha li relativi alle due famiglie. Così il nome dato alla nascicreati per una appartenenza precisa: famiglia dei figli di ta esprimeva l’attività familiare o il destino di chi lo
Dio. Spesso l’uomo d’oggi vive lontano da una vera fa- portava. Talvolta, invece, “agire sul nome” era aver presa
miglia e dalla Casa del Padre, dalla sorgente dell’amore sull’essere personale, attraverso Dio o gli idoli e i demoe della libertà, che è Dio stesso(8).
ni, fino a volerne esaltare, o cancellare, l’esistenza.
Cambiare il nome, invece, quando uno veniva accolto
“per
sempre” in un dato ambiente, religioso o politico, poL’AMORE DIVINO
teva significare l’assunzione di un nuovo titolo di apSolo l’amore-carità, o almeno un’alta filantropia, può partenenza, una “rinascita” che si rifletteva onorevolmenrenderci capaci di rispondere a Dio, essendo attenti an- te sulla personalità. Ma è soprattutto Dio che, prendenche al prossimo e all’universo. L’amore vero, infatti, ci do possesso della vita d’un uomo o di una donna (con il
rende simili a Colui che ci ha creati: dotati d’intelligenza loro consenso), la trasforma e perciò cambia il nome
e volontà perché sapessimo “leggere” il creato, stupirci dell’eletto/a adeguandolo alla missione eternamente
della sua armoniosa bellezza e risalire al Creatore. Egli stabilita. Così Abraham (Gen 17,5)… Così Pietro (Mt
poi ci ha anche rivelato il suo Nome (= la propria intima 16,18-19). Ciò vale anche per “il nome nuovo” di carattere
essenza dinamica), restaurando l’uomo fatto «a immagine profetico o escatologico: ad es. nel caso di Gerusalemme,
del suo Creatore» (Col 3,10) e innalzandolo a vero figlio nel che diviene la “Desiderata” (Is 62,12) e “Mia gioia” (Is 62,4),
Figlio. Ma l’uomo, resosi schiavo del peccato e delle sue esprimendo la piena conformità, ormai raggiunta, col
cupidigie (cfr. Rm 5,12), è ammalato e bisognoso d’una progetto d’amore del suo Dio… Come per Maria, la «pieprofonda guarigione. Cristo gliela dona, per volontà del na di grazia» (Lc 1,28)(11). Pure noi, se fedeli dell’Agnello diPadre e l’azione dello Spirito. In Lui, l’uomo ritrova la vino, saremo contrassegnati col suo Nome «e col nome del
rettitudine primitiva e giunge alla vera conoscenza mo- Padre suo» (Ap 14,1) e gli apparterremo per sempre!
rale (Col 1,9; Eb 5,14), per non mentire più a sé e agli altri.
DIO RIVELA IL SUO NOME
«I DONI E LA CHIAMATA DI DIO
SONO IRREVOCABILI» (Rm 11,29)
In effetti, «il fine ultimo dell’intera Economia divina è
che tutte le creature entrino nell’unità perfetta della Beata
Trinità (Gv 17,21-23). Ma fin d’ora siamo chiamati ad essere abitati dalla Santissima Trinità: “Se uno mi ama”, dice il Signore, “osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e
noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv
14,23)(9)». Capire la cultura cristiana del Nome, quindi, ci
aiuta ad entrare in una relazione stabile, umano-divina,
perché il nostro Dio «è unico ma non solitario»!(10)
Sull’Oreb, detto “il monte di Dio”, l’angelo del Signore
apparve a Mosè «in una fiamma di fuoco dal mezzo di un
roveto» (Es 3,2). E Dio lo chiamò per nome: «Mosè, Mosè!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo,
il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,5-6). La citazione
di quei nomi propri non poté lasciare alcun dubbio
sull’identità di Colui che gli parlava. Ma Mosè volle
una “credenziale”, il Nome preciso di Colui che lo mandava dal faraone e nel cui nome avrebbe parlato. Voleva dire: “per conto di chi sono qui e chiedo questo e
quello?”. Infatti, fino a questo preciso momento, il Dio
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
133
di Israele era conosciuto solo come “il Dio dei nostri padri” e quindi in modo abbastanza generico. Ma che ne
poteva sapere il faraone di quei “padri”?
Ed eccoci all’epicentro della storia religiosa d’Israele: Dio si rivela. Dice a Mosè: «Io son colui che sono»
(Es 3,14). È come se dicesse: «Sono colui che è. Sono l’esistente», o «La mia fedeltà è perenne».
IL NOME DEL PADRE
134
Alla rivelazione del Nome di Dio, fatta nell’Antico
Testamento, nel Nuovo corrisponde la rivelazione che
Gesù fa ai suoi discepoli del Nome del Padre(12) suo
con questo unico scopo: «perché l’amore con il quale mi hai
amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26).
Gesù, pertanto, ci rivela il nome che esprime più
profondamente l’essere di Dio e ci insegna ad invocarlo, a chiedere di poterlo santificare, nel senso di riconoscerne la santità e di farla conoscere.
Così, nella preghiera del “Padre nostro”, insegnataci
da Gesù stesso, questa prima petizione esprime un ottativo, cioè «un desiderio e un’attesa in cui sono impegnati Dio e l’uomo (…). «Chiedendogli che il suo Nome
sia santificato ci coinvolge nel Disegno che “nella sua
benevolenza aveva… prestabilito”, “per essere santi e
immacolati al suo cospetto nella carità” (Ef 1,9 e
1,4)»(13). I cristiani, infatti, hanno il dovere di lodare Dio
e di vigilare affinché la loro condotta non induca altri a
bestemmiare il Nome di Dio (cfr. Rm 2,24).
IL NOME DEL SIGNORE GESÙ
unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv
1,14). Perciò, per avere la vita eterna è necessario credere
nel Nome (= nella divinità e potenza) del Figlio unigenito di Dio (Gv 3,16-17) consustanziale al Padre. Ma è anche
necessario non amare «di più le tenebre che la luce (…)
Chiunque, infatti fa il male odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate» (ivi, 19-20).
Dunque: bisogna credere nel Nome di Gesù – almeno implicitamente(14) - e amare la Luce, aderendo a Lui nella verità e nella carità. Molte persone oneste e buone, servendo
il prossimo, hanno servito Dio che non conoscevano.
I PRIMI CRISTIANI
I primi cristiani non esitano a riferire a Gesù una delle denominazioni più caratteristiche del giudaismo, nel
parlare di Dio “il Nome” di Gesù. Infatti si autodefiniscono volentieri con questo titolo: «quelli che invocano il
nome del Signore» (At 9,14.21) e lo riconoscono come Dio,
dicendo: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà
salvato» (Rm 10,13).
Per i primi cristiani il Nome di Gesù è inseparabile
dalla sua persona (cfr. At 3,16). Vi sono poi due espressioni, fra loro equivalenti, che possiamo considerare “il
cuore” dell’annuncio di fede: «Gesù è il Signore!» e «Dio
lo ha risuscitato dai morti» (Rm 10,9).
BATTEZZATI NEL NOME DEL SIGNORE
Con questo sacramento veniamo lavati, santificati,
«giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio» (1Cor 6,11). Da “terreni”, resi “spirituali”, e Dio «ci permette di partecipare alla gloria divina, di
essere figli ed eredi del Padre, di renderci conformi all’immagine del Figlio suo (…) destinati ad essere un
giorno glorificati e regnare con lui»(15).
Il neofita invoca il nome del Signore (At 22,16) e il nome del Signore è invocato su di lui (Gc 2,7). Egli viene, così, a porsi sotto il potere di Colui che liberamente riconosce
come suo Signore. Ne diviene la “proprietà” e “membro” del
suo Corpo mistico. Ora è “di Cristo”, cioè “cristiano”, per
«camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Sant’Ambrogio ci
ricorda: «In Lui tu sei redento, in Lui tu sei salvato»(16).
Nel risuscitare Gesù dai morti e nel farlo sedere alla sua
destra, Dio gli ha donato «il Nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9), cioè il nome “Signore”, fino allora riservato a Dio, il suo «nome nuovo» (Ap 3,12), che Gesù stesso,
«il Santo, il Veritiero, Colui che ha la chiave di Davide» (ivi, 7)
inciderà sugli eletti, resi partecipi della sua vita nuova e
del suo trionfo glorioso. Questo nome ineffabile trova
l’espressione più adeguata nell’appellativo: Signore. Esso conviene a Gesù Risorto allo stesso titolo che a Dio, poiché a Cristo compete la preziosa designazione di Figlio e
ciò in modo fontale, originario, oltre che meritorio. Inoltre, Gesù Cristo è «l’α e l’ω» (Ap 1,8),
il principio e la fine, nonché “il fine”, Filippo Bellini (secolo XVI), San
o il compimento, di tutto. Egli stesso, Bernardino da Siena (part.), Lorein principio, era «presso il Padre» (1Gv to, Cappella del Nome di Gesù,
1,2) e «tutto è stato fatto per mezzo di lui decorata nel 1592. San Bernardino è stato un grande apostolo
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che
della devozione del Nome di
esiste» (Gv 1,3). Di lui l’Apostolo pre- Gesù, anche con la diffusione
diletto – quasi nuovo Mosè – contem- del suo trigramma, che nel diplò la gloria: «gloria come del Figlio pinto indica con la mano destra.
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
ANNUNCIARE IL NOME DI GESÙ
Per essere battezzati occorre la fede, ma questa esige
l’annuncio ascoltato ed accolto. È necessario proclamare che Gesù è il Signore, testimoniarlo, parlare «in
quel nome» (At 4,17), cioè nella potenza dello Spirito
Santo, come Gesù stesso ha comandato (cfr. Lc 24,47).
PATIRE PER IL NOME DEL SIGNORE
Gli apostoli e i discepoli di Gesù – in ogni epoca – dovranno patire per il suo Nome (Mc 13,9), ma essi non
dovranno preoccuparsi di ciò che dovranno dire «davanti a governatori e re» (ivi) a causa sua, perché sarà lo
Spirito Santo, in loro, a parlare. Sì, «voi sarete odiati da
tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» (Mc 13,13). Gli apostoli sono
detti “felici” (o beati) per «essere stati giudicati degni di
subire oltraggi per il nome di Gesù» (At 5,41).
RIUNITI NEL NOME DEL SIGNORE
Nel “giorno del Signore”, quando i cristiani si riuniscono per «la frazione del pane» e per rendere grazie a Dio
nel nome di Gesù, si ha la vera sorgente della comunione con Dio e tra di noi(17). Poi dobbiamo vivere ed irradiare l’amore ricevuto nell’àgape.
VERSO LA PATRIA
IN COMPAGNIA DEI SANTI
Questa è la via: credere, amare, operare il bene, “in
Cristo, con Cristo, per Cristo”, con tenacia, mitezza,
umiltà, rimanendo «saldi nel Signore» (Fil 4,1) affinché
anche il nostro nome sia iscritto «nel libro della vita» (ivi,
4,3). In questo pellegrinaggio terreno è anche importante
essere affidati ad un santo e riceverne il nome al Battesimo (anziché quello di una pietra, d’un luogo, d’un personaggio inventato!) Ricevere il nome di un santo significa essere affidato ad un amico sicuro che conosce
“la via”, ha percorso il difficile cammino della vita ed
è stato giudicato meritevole vincendo il premio eterno!
Inoltre, conoscendo il nostro santo patrono, potremo invocarlo e cercare di imitarlo. «Il contemplare infatti la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, è un
motivo in più per sentirsi spinti a ricercare la Città futura (cfr. Eb 13,14; 11,10); nello stesso tempo impariamo la
via sicurissima per la quale (…) potremo arrivare alla
perfetta unione con Cristo, cioè alla santità» (LG, 50). Infatti, il mio santo patrono desidera ardentemente che anch’io divenga discepolo e fedele collaboratore di Gesù
perché, nel suo Nome, «allontanato ogni ostacolo nel no-
stro cammino verso il Padre, possiamo dedicarci liberamente al suo servizio»(18). Perciò è «sommamente giusto
che amiamo questi amici e coeredi di Gesù Cristo, che
sono anche nostri fratelli e insigni benefattori» (LG, 50).
Note
La santità è la perfezione della carità (cfr. CCC, 1709),
raggiungibile nel vivere uniti a Cristo e al Padre nostro,
nello Spirito Santo.
(2)
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (=
CCC), LEV, Città del Vaticano, 1992, n. 2813.
(3)
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. pastorale “Gaudium et Spes”, n. 22.
(4)
F. PILLONI, “Centro Studi P. Enrico Mauri”, in: «La Voce della Madonnina», anno LXXXI, 1, 2010, p. 19.
(5)
Ibidem.
(6)
Ibidem.
(7)
D. DE KERCKHOVE, “Web tra magia e religione”, in «Avvenire», 21/04/2010, p. 27.
(8)
M. E. PATRIZI, L’alfabeto dei valori cristiani, dalla A alla Z
- “A” come Amore, in: «Il Messaggio della Santa Casa - Loreto», n. 1, anno 2010, pp. 9-10.
(9)
CCC, n. 260.
(10)
Fides Damasi: DENZ.-SCHÖNM., 71.
(11)
Cfr. M. E. PATRIZI, L’alfabeto dei valori cristiani, dalla A
alla Z - ”I” come Immacolata, in: «Il Messaggio della Santa
Casa - Loreto», n. 9, anno 2010, pp. 329-332 ed “M” come
Maria, in: «Il Messaggio della Santa Casa - Loreto», n. 3, anno 2011, pp. 91-95.
(12)
Cfr. Gv 17, vv. 5.11.21.24.25 e l’invocazione in Gv 12,28
con la risposta dal Cielo.
(13)
CCC, n. 2807.
(14)
Cosa intendiamo dicendo “almeno implicitamente”?
Quanto Gesù dice in Mt 25,31-40: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria (…) Davanti a lui saranno
radunati tutti i popoli (…) Allora il re dirà a quelli che
saranno alla sua destra: “Venite (…) perché ho avuto fame
e mi avete dato da mangiare (…) ero straniero e mi avete accolto”, ecc. Alla domanda di questi: “Quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e
ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto straniero e
ti abbiamo accolto?”, Gesù risponderà loro: “In verità vi
dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”» (Mt 25,40).
(15)
DIDIMO DI ALESSANDRIA, “Sulla Trinità”, Lib. 2,12; PG
39, 667.
(16)
SANT’AMBROGIO, De Sacramentis, 2,6: PL 16, 425C.
(17)
Cfr. M. E. PATRIZI, L’alfabeto dei valori cristiani, dalla A
alla Z - “E” come Eucaristia”, in: «Il Messaggio della Santa
Casa - Loreto», n. 5, anno 2010, p. 169.
(18)
Nostra rielaborazione della colletta della 32a domenica (cfr. Messale Romano).
(1)
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
135
SIMBOLOGIA MARIANA
FILIPPO DI CUFFA
C
136
e ne sono di legno impiallaczione a Maria”.
ciato e di legno li“Gesù è venuto al
stellato.
mondo per mezzo di
Le più scadenti
Maria; per mezzo di
son fatte di compenMaria deve regnare
sato; quelle robuste,
nel mondo”. Questo
invece, sono di legno
lapidario “incipit” è
massello e i più fail biglietto da visita
coltosi le impreziosidelle riflessioni di
scono di vetrate ricsan Luigi Maria de
che di rilievi, immaMontfort, che spiegini e colori. Sono le
gano in maniera
porte, che riempiono
esauriente il ruolo
le nostre case, i nodella Madonna nel
stri uffici, le nostre
disegno di Dio.
scuole. Ci consentoMaria, dunque,
no di passare da un
porta del Cielo anambiente all’altro,
che su questa terra. È
da un luogo all’altro,
grazie a lei che, perdall’esterno all’intersino su queste polveno e viceversa.
rose strade, dissestaEsiste, tuttavia,
te dal peccato e dal
una porta che non è
male, possiamo scorrealizzata in legno,
gere il Regno di Dio
che non appare coe contribuire a edifime un complemencarlo col nostro picto d’arredo, ma è
colo mattoncino.
addirittura una perIn questa opera architettonica di costruzione spirisona. C’è una porta che è in grado di condurci in un’altra dimensione, di portarci (verbo appropriato…) dalla tuale, Maria ci prende per mano anche quando cominciamo ad avvertire il profumo del Cielo attraversando
terra al Cielo.
È Maria la nostra porta celeste, quella “ianua Coeli” un’altra porta, anzi un vero portale: il portale delle chieche invochiamo, alla fine del Rosario, nelle meraviglio- se, anch’esso “ianua Coeli”.
Entrando in chiesa (tutte le chiese, dalla disadorna
se Litanie Lauretane.
parrocchia di campagna alla più sontuosa cattedrale goPorta del Cielo, prega per noi…
“Ianua”, in latino, vuol dire per l’appunto “porta”. “Ia- tica), attraversiamo un portale, più o meno scolpito, che
nuarius”, gennaio, è denominato in tal guisa proprio per- ci introduce al cammino verso Dio. È il cammino che
ché rappresenta il mese che ci conduce al nuovo anno, che ogni fedele compie lungo la navata centrale, il cammino
ci fa immergere in un nuovo contesto cronologico, in un che lo conduce all’altare, verso il mistero dell’Eucaristia.
Entriamo così in uno spicchio di Cielo, accompagnati
nuovo tempo. Anche Maria ci rinnova, nel tempo e nello
spazio, ma ci conduce anche in un’altra realtà, la realtà del da Maria.
Ecco, allora, la vera e decisiva missione, comune a
Cielo: è la porta che lei ci chiede di attraversare per giungere a Gesù. Ed è la porta più semplice, più accogliente, Maria ed alla Chiesa (non a caso, nell’iconografia, enpriva di lussi e di orpelli. Ma, paradossalmente, l’ “umiltà” trambe rappresentate dal simbolo della Luna, illuminata dal Sole-Cristo): farci lasciare alle spalle le vanità del
di questa porta è proprio il suo aspetto più prezioso.
“Per Mariam ad Jesum”: attraverso Maria, solo attraver- mondo e spingerci ad oltrepassare il varco, la soglia che
conduce a Dio.
so di lei, arriviamo a Gesù. Su questo tema, ardiMaria, insomma, è il vero “gennaio”, Ianuato e affascinante, san Luigi Maria Grignon de
In alto: portale
Montfort, nel XVIII secolo, scrisse il libro più caro della Cattedrale rius Celeste, il “mese” che vuole portarci nel calendario dell’eternità.
di Chartres.
a Giovanni Paolo II, il “Trattato della vera devo-
La Porta del Cielo
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
OGNI SANTITÀ PASSA A LORETO
P. MARCELLO MONTANARI
Enrico Medi,
servo di Dio
(1911-1974)
È
nato cento anni fa, il 26 aprile
1911, a Porto Recanati (MC),
nei pressi del santuario di Loreto.
Compì gli studi superiori a Roma,
dove ricevette anche una solida formazione cristiana e fu tra i fondatori della Lega Missionaria Studenti.
Laureatosi in Fisica Pura sotto la
guida di Enrico Fermi nel 1932, fu
docente di Fisica Terrestre. Formò
una famiglia profondamente cristiana unendosi in matrimonio
(1938) con Enrica Zanini, dalla quale ebbe sei figlie.
Nel 1942 vinse la cattedra di Fisica Sperimentale all’Università di
Palermo. Durante la Seconda Guerra Mondiale si prodigò per alleviare le sofferenze di persone e famiglie. Nel 1946 venne eletto all’Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana e nel 1948 deputato
al Parlamento. Tre anni dopo divenne presidente dell’Istituto di
Geofisica e nel 1952 fu chiamato alla cattedra di Fisica Terrestre all’Università di Roma.
Rinunziò alla carriera politica per
dedicarsi completamente alla scienza e all’apostolato. Dal 1958 al 1965
fu vicepresidente dell’EURATOM e
poté organizzare vari centri per la
ricerca scientifica. Nel 1970 si ammalò di tumore e morì a Roma il 26
maggio del 1974. È sepolto nella
tomba di famiglia a Belvedere
Ostrense (AN). Nel 1995 si è aperto
nella diocesi di Senigallia il processo per la sua beatificazione.
Enrico Medi a
Loreto, a fianco di mons.
Aurelio Sabattani, delegato
pontificio, il 22 gennaio 1966, in occasione dell’inaugurazione dell’Istituto Cattolico
di Cultura, mentre tiene la sua relazione su «Le virtù sociali di Maria e il Concilio
Vaticano II».
Brillante scienziato
e grande cristiano
Enrico Medi, oltre ad essere un
genio della scienza, è stato un grande uomo di fede, impegnato a testimoniare con gioioso ardore la propria fede nella vita e nella cultura. La
prima tesi sul neutrone è opera sua e
pure le prime esperienze sul radar,
non capite all’inizio ma confermate
dalle scoperte degli anni successivi.
Aveva anche spiccate doti di scrittore e di oratore. Sapeva trasmettere
la sua fede ardente attirando folle di
ascoltatori con il suo linguaggio poetico e suasivo. Con chiarezza e semplicità di espressione sapeva proporre al pubblico l’esistenza di Dio e le
verità della fede, intrecciando mirabilmente le prove razionali con le argomentazioni scientifiche che possedeva a menadito.
Il professor Medi era fermamente
convinto che scienza e fede fossero
in continuo dialogo. Da qui il suo
stupore davanti all’ateismo, che considerava una vera e propria follia.
Non vedere infatti nella scienza la
suprema manifestazione del Divino
era assolutamente impossibile per
qualunque essere umano sano di
mente e dotato di raziocinio: ”L’uomo fa della vera scienza quando dimentica se stesso e si affida interamente alla luce che dalla natura promana: egli sa di non essere creatore
di nulla e che la sua grandezza è solo
nella fedeltà con cui accetta il vero”.
Fu un vero messaggero di fede e
d’amore, servendosi anche della televisione. Restò famoso il suo commento in diretta, il 21 luglio 1969,
dello sbarco del primo uomo sulla
Luna. Colpivano il suo sorriso e il
suo ottimismo, segno di fede viva e
profonda. Lo manifestava soprattutto attraverso le innumerevoli
conferenze, i dibattiti, gli scritti e gli
interventi televisivi e radiofonici.
Nel suo apostolato aveva due
punti di riferimento: l’Eucaristia e
la Madonna, e due categorie gli stavano soprattutto a cuore: i giovani e
i sacerdoti.
Famoso il seguente appello in un
discorso ai sacerdoti: “Sacerdoti, io
non sono un prete e non sono mai
stato degno di poterlo diventare. Come fate a vivere dopo aver celebrato
la messa? Ogni giorno avete il Figlio
di Dio nelle vostre mani. Ogni giorIL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
137
no avete una potenza, che l’arcangelo Michele non ha. Con la vostra bocca voi trasformate la sostanza del pane in quella del Corpo di Cristo; voi
obbligate il Figlio di Dio a scendere
sull’altare. Siete grandi. I più potenti
che possono esistere. Sacerdoti, ve
ne scongiuriamo, siate santi! Se siete
santi voi, noi siamo salvi. Se non siete santi voi, siamo perduti…”.
Ebbe un grande amore
per la Madonna
Nella spiritualità di Enrico Medi la
Madonna occupava un posto privilegiato. Lo testimonia anche il fatto che
le sei figlie del professore portano tutte il nome di Maria come primo nome.
Per lui la Madonna era la “Bella
Signora” e a lei dedicava preghiere
138
soavi e bellissime. “Il Signore ha
creato Maria, e in lei ha raccolto tutto ciò che di bello e di grande, di
meraviglioso, di stupendo e di armonico, può essere nel disegno di
una creatura umana” ha scritto in
“Astronauti di Dio”. Lei è per eccellenza la Madre che ci accompagna,
la mediatrice di tutte le grazie, e soprattutto la mediatrice della misericordia: “Lasciamo nelle sue mani la
libertà di tessere la tela del mondo;
essa che legge negli occhi di Dio, saprà trarre il più meraviglioso disegno d’amore e di gioia”.
La Madonna era per lui una sorta
di riassunto universale, in lei tutto
era spiegato e chiaro, e per poter vivere nella luce si doveva far riferimento a lei, alla sua presenza vera e
luminosa, pura e radiosa, sempre
NOVITÀ EDITORIALI
Una monografia sul pittore
loretano Arturo Gatti
ancava una monografia documentata sul pittore
loretano Arturo Gatti, autore, tra l’altro, degli affreschi nella Cappella del Sacro Cuore o Polacca della basilica di Loreto. Su interessamento di Carla Berardi, nipote
dell’artista, hanno egregiamente colmato questa lacuna padre Floriano Grimaldi, archivista emerito della
Santa Casa, e Massimo Mascii, storico dell’arte.
Nella premessa viene messo in risalto che il Gatti è l’unico artista di Loreto che
abbia eseguito nella basilica della Santa Casa un’opera impegnativa. Questo perché, lungo i secoli, i Papi committenti hanno inviato a Loreto artisti famosi, attivi a
Roma alle loro dipendenze. Il saggio storico-monografico si compone di due parti.
La prima,dovuta al padre Grimaldi,è una rassegna biografica del pittore sulla base
di numerosi documenti; la seconda, dovuta al Mascii, propone un’analisi dell’opera
artistica del Gatti realizzata a Loreto e della tecnica pittorica che vi ha impiegato.
Il pittore fu artista meticoloso, dai tempi lunghi di esecuzione e dai continui ripensamenti, per cui ebbe con i committenti rapporti talora non facili. Ciò emerge
chiaramente dalla sua ricca corrispondenza epistolare, reperita dal padre Grimaldi. La rara abilità tecnica del Gatti quale freschista, appresa alla scuola di Cesare
Maccari, autore dei dipinti nella cupola lauretana, è ben messa in risalto dallo storico dell’arte Mascii in tutti i suoi risvolti. Questi ripercorre anche tutte le fasi dei lavori della Cappella Polacca e le fonti storiche che stanno a supporto delle scene dipinte dal Gatti, soprattutto la Battaglia di Vienna e il Miracolo della Vistola.
Questa monografia, integrata con i contributi apparsi sul volume Cantiere Loreto Arte sacra europea del 1995, a cura di Mariano Apa, consente finalmente di conoscere in profondità un artista meritevole di maggiore considerazione e fama.
M
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
pronta a indicare la strada e a schiarire la mente, liberandola da dubbi e
tormenti. Fin dall’infanzia, vissuta a
Porto Recanati, vicino al santuario
della Santa Casa di Loreto, aveva sviluppato con la Madonna una familiarità sconvolgente e commovente.
La Madonna era per lui il simbolo della perfezione di Dio incarnata
in un essere simile a lui in tutto e
per tutto, e quindi più possibile da
raggiungere e avvicinare. Per questo recitava il Rosario con passione,
anche più volte al giorno, per godere della sua presenza.
I cari ricordi
della Santa Casa di Loreto
Nato a pochi chilometri da Loreto, visitò più volte, fin da piccolo, la
Santa Casa di Maria; ma le cronache
ricordano le sue visite quando era
ormai un uomo famoso: nel 1952,
nel 1957 e nel 1966.
Nel 1966 tenne una brillante conferenza sulle virtù sociali della Madonna e il Concilio Vaticano II (foto
a lato): tratteggiò l’immagine di Maria con afflato lirico, illustrando le
virtù della Madonna riferite alla sua
vita trascorsa nella casa di Nazaret.
Al termine invitò tutti a recarsi
nella Santa Casa di Maria “per palpitare del suo stesso mistico respiro,
per gioire del sorriso della mamma,
per meritare la sua carezza, in attesa
di essere accolti tra le sue braccia
materne nella gioia dei cieli”.
Questo invito a mettersi in ‘ascolto’ delle pietre della Santa Casa nasceva dalla sua cultura scientifica.
Parlando confidenzialmente, da uomo di scienza, con alcuni frati cappuccini del santuario di Loreto durante una delle sue visite alla Santa
Casa, disse che il progresso scientifico un giorno forse ci avrebbe dato la
possibilità di ascoltare le parole e i
colloqui tra Gesù, Maria e Giuseppe
rimasti registrati negli atomi delle
pietre della Santa Casa di Nazaret.
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Tradurre
EDITORIALE
DON GIACOMO RUGGERI
[email protected]
erché parlare di
Giovanni Paolo II.
Gli uomini e le donne che la Provvidenza del Padre ha posto nella storia come persone definite successivamente «grandi», sono il segno di
una santità destinata ad espandersi. Oserei dire: incarnarsi. Per mezzo
dei santi, Dio continua la sua opera
di salvezza nella storia dell’umanità. La forza della santità consiste
proprio nella debolezza dell’uomo
che accoglie la Grazia di Dio. Le testimonianze che seguono, del card.
Angelo Comastri e di Lorena Bianchetti, sono due voci che raccontano il passaggio significativo nella loro vita, con ruoli e compiti diversi.
Una domanda, però, va posta: come
declinare la grandezza e lo spessore
di Giovanni Paolo II nella vita personale, nella nostra vita quotidia-
P
la santità
nel quotidiano
na? Il santo, per suo “statuto” potremmo dire, viene definito come
colui che è irraggiungibile, troppo
lontano per la vita di tutti i giorni e
per i poveri mortali! Ma è una concezione sbagliata, distorta della
santità e del santo. Egli è colui che
nella sua vita, dall’infanzia all’anzianità, ha cercato di accogliere il
seme buono del Vangelo e della vita, seminandolo nella sua esistenza;
e il frutto, nel tempo, è stato abbondante. Santi non ci si nasce, ci si
diventa. La scelta di Dio, e la storia
della Chiesa lo insegna, sarà sempre quella di incarnare la sua divinità nelle pieghe dell’umanità. Il
santo ha il profumo della terra.
Declinare Giovanni Paolo II nella vita ordinaria e personale significa cogliere quelle intuizioni che ha avuto
nella sua vita di adolescente, giovane, sacerdote e poi vescovo, cardina-
le; porle come interrogativo nella
propria vita perché stimolino il tanto bene presente in ogni uomo. Significa, inoltre, far emergere doni e
talenti che Dio ha seminato in ogni
persona, perché la bellezza della
santità consiste nello stupirsi dell’agire di Dio, giorno dopo giorno. La
santità non è un premio, una conquista, un merito, un riconoscimento. Pensare questo significa non aver
capito il cristianesimo e la logica,
semplice, del Vangelo e di lo accoglie
con cuore buono e sincero.
L’augurio che rivolgo ad ogni lettrice
e lettore è quello di non voler essere
la fotocopia di altri, nemmeno dei
santi. Imitare Cristo e i santi significa orientare cuore, mente, azioni
sull’esempio da loro tracciato, consapevoli, poi, che a ciascuno è chiesto di trovare la propria modalità e
forma per dare gloria a Dio.
dal Centro Giovanni Paolo ll • Aprile 2011
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della famiglia: era necessario questo
contributo di dolore da parte del Papa
a difesa della famiglia”.
Penso che Giovanni Paolo II abbia provato una
lacerante ferita al cuore, quando si sparse la notizia che il Parlamento Europeo non era riuscito
a trovarsi d’accordo nel dare una definizione della famiglia: il fatto era gravissimo ed era un indice dello smarrimento della coscienza europea.
“Un uomo coraggioso”
2004
È
Giovanni Paolo II in visita al Centro Giovanile a lui dedicato…
possibile delineare le linee portanti della
santità di Giovanni Paolo II?
A me sembra cha a Giovanni Paolo II debba essere riconosciuto un merito non piccolo: è stato un
uomo coraggioso nell’epoca delle grandi
paure; è stato un uomo deciso e coerente…
nell’epoca dei compromessi e della indecisione
programmatica e dei camaleontismi diffusi.
È stato coraggioso nel difendere la pace, mentre soffiavano venti di guerra. Chi
non ricorda il coraggio dei suoi ripetuti e accorati appelli, anche quando non venivano ascoltati? Talvolta sembrava un profeta che parlava
nel deserto dell’indifferenza: eppure Giovanni
Paolo II non si è lasciato scoraggiare, ma ha
continuato a dire ciò che lo Spirito di Gesù gli
suggeriva nel santuario della coscienza.
Il giorno di Natale del 1990 il Papa esprime la
sua preoccupazione e la sua sofferenza per la
partecipazione di tante nazioni cristiane alla
“concetrazione massiccia di uomini e armi” nel
Golfo Persico. E nel messaggio natalizio rivolto
al mondo si esprime così: “La luce di Cristo è
con le nazioni tormentate del Medio
Oriente. Per l’area del Golfo, trepidanti,
aspettiamo il dileguarsi della minaccia
delle armi. Si persuadano i responsabili
che la guerra è avventura senza ritorno”.
Giovanni Paolo II non venne ascoltato, ma la
storia gli sta dando ragione: oggi più di ieri!
E chi non ricorda con emozione e ammirazione il grido del 16 marzo 2003, al termine del
corso di Esercizi Spirituali, con i quali egli abitualmente iniziava la santa Quaresima? Affacdal Centro Giovanni Paolo ll • Aprile 2011
ciandosi dalla finestra del suo appartamento,
senza paura esclamò: “Io so, io so che cosa
è la guerra! Io ho il dovere di dire a costoro (= a coloro che credono nella guerra!)
che la guerra moltiplica l’odio e non risolve i problemi”.
Che coraggio! In quel momento questo linguaggio era assolutamente controcorrente, ma
Giovanni Paolo II ha sfidato più volte l’impopolarità per restare tenacemente fedele al suo
compito di servo della verità: quella verità che
Gesù ha consegnato alla Chiesa e, in particolare, ha consegnato a colui che Egli ha soprannominato “pietra”.
Giovanni Paolo II è stato un uomo coraggioso nel difendere la famiglia in un’epoca in cui si è persa la consapevolezza dell’ineliminabile dualità sposo-sposa e padre-madre. Papa Wojtyla, con occhio profetico, aveva
nitidamente percepito che oggi è in pericolo l’umanità dell’uomo, cioè il costitutivo progetto
dell’umanità come famiglia, come uomo e
donna che, attraverso l’amore fedele, diventano culla della vita e luogo insostituibile di crescita e di educazione della vita umana.
Nella notte tra il 28 e il 29 aprile 1994, Giovanni Paolo II ebbe la caduta che gli procurò la frattura del femore. Il giorno dopo
doveva recarsi in Sicilia al santuario della
Madonna delle Lacrime; il viaggio saltò,
con grande rammarico del Papa. A chi lo
soccorse nella notte, Giovanni Paolo II disse: “Forse era necessaria questa sofferenza per l’anno
Forse, spinto da questo allarmante dato, il Papa
si buttò, come un atleta, a difendere la famiglia.
Le Giornate Mondiali della Famiglia, il Giubileo
delle Famiglie, i continui messaggi agli sposi e alle famiglie sono il frutto di un amore tenace e,
nello stesso tempo, sono un’azione intelligente
per rieducare i popoli e i parlamenti delle
nazioni ai valori che formano un’autentica civiltà. Se cade la famiglia, che
cosa resta di una società? Se si smarrisce la famiglia, quale segnaletica guiderà i figli nel cammino della vita?
Giovanni Paolo II capiva tutto questo e,
pertanto, dal suo cuore è partito
un insistente e qualificato
magistero sul valore e
sul significato della
famiglia. Forse, fra
qualche anno o fra
qualche decennio, potremo meglio apprezzare l’opera svolta da
Giovanni Paolo II per ricostruire il senso della famiglia, nell’annebbiamento dell’intelligenza dei nostri
contemporanei. Col passare del tempo capiremo sempre di più la verità di questa affermazione di Giovanni Paolo II: “Quanto
più la famiglia è
sana ed
unita,
tanto
più lo
… e sul palco di Montorso, per la Festa dell’Azione Cattolica Italiana.
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è la società.Al contrario, lo sfacelo della
società ha inizio con lo sfacelo della famiglia. È una convinzione espressa da
uno dei maggiori scrittori spagnoli del
Novecento, Miguel de Unamuno, il quale disse: l’agonia della famiglia è l’agonia del cristianesimo”. Ed è anche l’agonia
dell’umanità.
Egli è stato un uomo coraggioso nel cercare i giovani e nel parlare ai giovani. All’inizio del suo pontificato sembrava che la
Chiesa non riuscisse più a intercettare il linguaggio dei giovani e non avesse più la credibilità presso le nuove generazioni. Giovanni Paolo II non ha accettato la fuga o la politica dello
struzzo. Egli sapeva che i giovani, senza Cristo,
non avrebbero mai potuto trovare il senso della vita e non avrebbero mai potuto assaporare
la verità affascinante dell’amore, che è dono di
sé e non capriccio che tutto e tutti piega a sé.
Il Papa ha cercato i giovani e i giovani l’hanno
sentito amico: amico vero, amico sincero, amico
che non scende a compromessi per avere audience, amico che non annacqua la proposta
evangelica per diventare popolare, amico che
non usa la demagogia per strappare gli applausi giovanili.
E i giovani… l’hanno applaudito con calore,
con spontaneità, con manifestazioni di simpatia, che spiazzavano tutti coloro che avevano
già previsto il funerale della Chiesa e l’estinzione del nome cristiano.
Una tappa decisiva fu l’incontro con i giovani al
Parco dei Principi, a Parigi, il 1° giugno 1980: la
veglia durò tre ore, fu una grande festa e un
dialogo serrato con ragazzi e ragazze che facevano domande e il Papa rispondeva. Ma erano
testi preparati, come quasi sempre.Tra gli altri
andò al microfono un giovane e, con totale
spontaneità, parlò così:“Io sono ateo, rifiuto ogni
credenza e ogni dogmatismo.Voglio dire inoltre
che non combatto la fede di nessuno, però non
comprendo la fede, Santo Padre: in che credete?
Perché credete? Che vale il dono della nostra vita e com’è quel Dio che adorate?”.
Dirà Giovanni Paolo a Frossard d’essersi subito
accorto che le domande di quel giovane “non
figuravano nella lista” che gli era stata consegnata. Le memorizzò e si propose di rispondere come poteva, improvvisando. Ma poi il “dialogo a cinquantamila voci” di quella serata lo
distrasse ed egli non rispose a quel ragazzo,
che aveva detto le cose più impegnative.
Tornato a Roma, Giovanni Paolo, “desolato per
quella omissione”, scrive al cardinale Marty
“per chiedergli di ritrovare quel giovane e di
1995
presentargli le mie scuse”. Il giovane viene rintracciato, le scuse sono accettate. Ma il Papa
non dimentica quella sfida e praticamente fa di
ogni suo incontro con i giovani un tentativo di risposta a quelle domande fondamentali, perché
“oggi non è più possibile parlare della
fede senza tener conto dell’incredulità”.
I giovani hanno amato intensamente Giovanni
Paolo II e l’hanno cercato come si cerca un padre che, all’opportunità, sa anche correggere,
perché sa amare veramente e lealmente.
Mi vengono i brividi, quando ripenso a come
accolse i giovani in Piazza San Pietro all’inizio
della Giornata Mondiale della Gioventù, nell’agosto caldo dell’anno 2000! Li apostrofò con la
sua voce ancora robusta e disse: “Chi cercate?”. Ricordo che anche noi vescovi restammo
sorpresi e catturati dalla forza di questa domanda. E il Papa subito chiarì che non voleva
abbassare la proposta per conquistare i giovani, ma coraggiosamente li invitava ad alzarsi
per dare dignità e significato alla loro vita.
E i giovani capirono che quel “vecchio” conosceva il segreto della vita giovanile e si fecero
attenti e divennero pensosi.
E la sera della lunga veglia di preghiera, nella
spianata immensa di Tor Vergata, accadde un
altro fatto che non va dimenticato, perché è
un segno del singolare rapporto che si era stabilito tra il Papa e i giovani. Mentre l’assemblea dei giovani dei cinque continenti riempiva
di canti il cielo sereno di Roma, improvvisamente un giovane saltò come una gazzella,
superò le linee di guardia, sfuggì alla presa di
un robusto poliziotto… e riuscì ad avvicinarsi
al Papa: il Vecchio e il Giovane si guardarono
per un istante e poi si abbracciarono con un’intensità con cui un padre abbraccia il proprio figlio. L’emozione si diffuse come un’onda nel
cuore di tutti! Io piansi!
Nella grande piana di Montorso, per “EurHope”.
Card.Angelo
Comastri
“Voce
vera per le
donne del
mondo”
“La crescita di una donna e di un’artista come te e il contributo in questa
maturazione di Giovanni Paolo II”.
iovanni Paolo II è stato un faro, un papà
e soprattutto un testimone dell’amore. In
un’epoca in cui non si sa più scegliere, in un
tempo in cui ci vogliono far credere che il cattivo è quello che ha la meglio, il “Globetrotter di
Dio” è stato esempio di coerenza, di virtù, di
bellezza. I suoi occhi erano luce calda, il suo
sorriso abbraccio incondizionato. E come non
sentire addosso quella voce capace ogni volta
di leggere il cuore della gente! Come non plasmare la coscienza di fronte alla proposta di
essere sentinelle del mattino!
Giovanni Paolo II ha vissuto ogni pagina del Vangelo. Ha trasmesso un amore capace di cambiare le cose, un amore non negoziabile ma da
applicare ovunque, in una fabbrica come in una
banca, in politica come in televisione. “I mezzi
della comunicazione sociale devono essere al
servizio della verità”, “devono promuovere la
giustizia e la solidarietà nelle relazioni, a tutti i
livelli della società”. Le ricordo ancora queste
parole, erano parte del messaggio rilasciato in
occasione della 37esima Giornata delle Comunicazioni Sociali. Non potevo non accettare
quella sfida, la bellezza di essere al servizio, con
il mio lavoro, del bene comune, della promozio-
G
ne della dignità della persona umana a prescindere dai contesti in cui io mi misuro, trasmissioni di approfondimento o intrattenimento. Ha insegnato a perdonare, il Papa, ha ricordato che non c’è pace senza giustizia e non c’è
giustizia senza solidarietà. Ha sottolineato la
gratuità della carità da vivere non come obolo
umiliante ma come condivisione. Ha sofferto, il
Papa. Ha trasmesso che il dolore ha un significato, è redentivo, avvicina al volto di
Cristo; e negli incontri con i gio-
vani, che lui ha tanto amato, ha ribadito che sopra il male c’è una legge che vince sempre: è
quella dell’amore. Nel corso di questi anni, nella
vita come nella professione, mi ha ricordato che
l’interezza d’animo, quella trasparenza che lui
quotidianamente ha respirato, è la via da percorrere per essere veramente liberi.
“Cosa ha saputo cogliere Giovanni Paolo II del genio ed intuito femminile delle
donne di oggi?”
Le prossime iniziative…
25 APRILE - 2 MAGGIO 2011
Pellegrinaggio sul tratto
Assisi-Loreto della Via Lauretana
1° MAGGIO “Dalla Casa alle piazze!”
Un momento di festa per la beatificazione di Giovanni Paolo II
L’“Associazione Amici del Centro Giovanni Paolo II e del Santuario Lauretano”
in collaborazione con il Centro “Giovanni
Paolo II - Ecco la vostra casa”, la Delegazione Pontificia per il Santuario della Santa Casa di Loreto, con il patrocinio e il sostegno della Conferenza Episcopale Marchigiana, dell’Associazione “Via Lauretana”, dell’Anci - Marche, della Fondazione
Cassa di Risparmio di Loreto e della Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata,
nell’ambito del recupero, valorizzazione e
riattivazione dell’antica via di pellegrinaggio «Via Lauretana», organizza il Pellegrinaggio Assisi-Loreto da lunedì 25 aprile a
lunedì 2 maggio 2011.
Domenica 1° maggio i pellegrini parteciperanno alla festa della Beatificazione di Giovanni Paolo II al Centro Giovanni Paolo II.
Domenica 1° maggio 2011 la comunità del Centro invita tutti coloro che lo desiderano ad un momento di festa per la
beatificazione di Giovanni Paolo II presso
questo Centro, da lui stesso voluto per i
giovani italiani ed europei.
Al mattino condivideremo la celebrazione
della beatificazione in Piazza S. Pietro a
Roma attraverso un maxischermo e, dopo il pranzo insieme, continueremo a ricordare questo grande Papa attraverso testimonianze, spettacoli e preghiere.
Nel pomeriggio mons. Giovanni Tonucci,
arcivescovo di Loreto, presiederà una celebrazione eucaristica di ringraziamento
sulla spianata di Montorso, da dove Giovanni Paolo II ci ha detto: “Ecco la vostra casa”. L’iniziativa vuole sensibilizzare le varie realtà stimolandole ad organizzare proposte simili per coinvolgere chi
fosse impossibilitato a raggiungere Roma: affinché “Dalla Casa si raggiungano le piazze!”.
Per chi volesse c’è la possibilità di pernottare al Centro. Si è pregati di avvisare la
segreteria entro il 26 aprile al numero 071.7501552.
Puoi scaricare il programma e la scheda
di iscrizione da inviare al Centro Giovanni
Paolo II.
Per informazioni puoi rivolgerti a:
• segreteria del Centro
tel. 071.7501552, fax 071.7504305;
[email protected];
www.giovaniloreto.it;
• don Francesco, tel. 333.9771270.
Campo ecumenico (27 LUGLIO - 3 AGOSTO)
“Il cristiano, uomo delle beatitudini”
Giovanni Paolo II ha saputo parlare alle donne e
delle donne con verità. Ha parlato a quelle famose e a quelle semplici, a quelle che agiscono
nel quotidiano. Ha riconosciuto il contributo che
esse hanno dato alla storia dell’umanità, un’umanità che le ha spesso emarginate. Ha ribadito il debito che la storia ha nei loro confronti. Le
ha difese dunque, le ha protette, le ha considerate figlie, amiche, sorelle. Ha denunciato la disuguaglianza che esse vivono nei contesti professionali, la violenza sessuale e psicologica che
continuano a subire, la schiavitù fisica e psicologica alla quale sono spesso sottoposte. E in una
società che con la maschera della parola progresso inietta loro il veleno del non rispetto di loro stesse e del loro corpo, Giovanni Paolo II ha
espresso ammirazione per le donne di buona
volontà, per quelle che hanno pieno rispetto della propria dignità. Ha saputo essere padre, Giovanni Paolo II, le ha sapute ascoltare. Ha dato
voce alla forza che le contraddistingue, al ruolo
centrale che hanno nella Chiesa e ne ha ribadito la bellezza espressa nelle Sacre Scritture.
Non le ha giudicate, ne ha riconosciuto il genio
e ha parlato della loro complementarietà con
l’uomo. Apertura, rispetto, accoglienza: ecco cosa hanno avvertito le donne da Giovanni Paolo
II.A loro è arrivato un amore che la società, con
la spregiudicatezza che a volte la contraddistingue, non sempre è in grado di dare. La donna
oggi deturpa spesso la sua interiorità in nome
di una falsa emancipazione che rappresenta
soltanto il brutto dell’universo maschile. Volgarità, scorciatoie che in realtà portano solo ad un
deserto interiore, sono proposte loro come segni di forza. Ma è alla loro bellezza spirituale
che Giovanni Paolo II si è rivolto, una bellezza
capace di trasformare il mondo, e per la quale
le ha volute ringraziare.
Lorena Bianchetti
Volete scriverci? Volete
mettervi in comunicazioPOINT ne coi vostri coetanei attraverso questo giornale? Allora mettetevi in contatto con noi.
La nostra Comunità:
Don Francesco Pierpaoli
[email protected]
Don Gianpaolo Grieco
[email protected]
Suore Oblate di Maria Vergine di Fatima:sr.Michela,sr.Alfonsina,sr.Cecilia
[email protected]
Editoriale a cura di
Don Giacomo Ruggeri
parroco e direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali - Fano
[email protected]
CENTRO GIOVANNI PAOLO II
INFO
Via Montorso n. 3 - 60025 Loreto (AN)
tel. 071.7501552 [email protected]
Per saperne di più, visitate il sito
www.giovaniloreto.it
IL “MESSAGGIO” INTERVISTA…
VITO PUNZI
UFFICIO STAMPA SANTUARIO DI LORETO
Luigi Accattoli
Lei ha seguito Giovanni Paolo II durante tutto il suo
lungo pontificato, dunque anche nelle visite che fece a
Loreto: che ricordi ha di quelle visite e del forte attaccamento di papa Wojtyla al santuario lauretano?
Giovanni Paolo II è venuto cinque volte a Loreto e io
c’ero sempre. La prima volta nel 1979, a meno di un anno
dall’elezione, e l’ultima volta nel 2004: il suo ultimo viaggio in assoluto. Credo che il motivo del forte attaccamento lo possiamo cogliere già nella prima visita, quando
andò a pregare anche nel cimitero polacco e lo vedemmo
piangere su quei morti a vent’anni che erano suoi coetanei. Ma non va ovviamente trascurato il fatto che ogni
santuario mariano era una meta ambita per il Papa polacco e Loreto ha una posizione preminente – dal punto
di vista storico e di storia del Papato – su ogni altro.
Come giudica il libro-intervista del giornalista tedesco Peter Seewald a Benedetto XVI, “Luce del mondo”?
È un ottimo strumento per imparare ad amare Benedetto XVI. Un po’ come il libro Gesù di Nazaret (Rizzoli
2007), del quale tra poco arriverà in libreria un secondo
volume e poi un terzo. Trattandosi di un Papa teologo, timido per indole, razionale e controllato in ogni suo atto,
alcuni osservatori hanno parlato a più riprese di una sua
freddezza, o difficoltà di comunicazione. Il libro su Gesù
e ora questo libro-intervista ce lo avvicinano e lo rendono comunicativo al suo proprio livello, che è quello della
parola e dell’argomentazione. Con queste pubblicazioni
egli scende dal trono e si avvicina alla comune umanità.
Si spoglia quasi del ruolo magisteriale per dire la sua, come testimone, sulla figura di Cristo e sul lavoro del Papa.
Questo avvicinamento è utile per imparare ad amarlo.
Di quali novità è portatore il libro-intervista nel
rapporto tra l’autorità della Chiesa cattolica e il mondo contemporaneo, sempre più condizionato dagli strumenti di comunicazione?
Questo è il primo vero libro-intervista di un Papa, dal
momento che non potevano essere considerati tali i tre
volumi di ‘colloqui’ con Papi che si erano avuti in precedenza: uno di Jean Guitton con Paolo VI e due di Andrè Frossard e Vittorio Messori con Giovanni Paolo II.
Stavolta l’intervista è diretta e dal vero, non come quella di Messori che fu fatta per iscritto. A differenza poi
dei volumi di Guitton e Frossard, questo è tratto dalla
registrazione,
non è liberamente rielaborato dall’autore dopo alcune ore di conversazione. La
scelta di farsi
intervistare da
un giornalista
secondo le regole proprie di questo genere giornalistico,
sta a dire la modernità del Papa teologo e il suo desiderio di parlare a tutti, azzardandosi a un passo che nessun altro Papa aveva tentato fino a oggi. La vera intervista è accattivante per il fruitore esigente dell’attuale comunicazione di massa; il Papa lo sa e ha deciso di mettersi alla prova. Abbiamo in questo libro, infatti, tutta la
ricchezza, l’umore, l’intelligenza dell’uomo Ratzinger e
anche qualche suo scatto polemico. Chi lo considera un
professore ingessato avrà da ricredersi”.
Lei è di origini marchigiane e torna spesso nella sua
terra: al di là delle radici e dei rapporti familiari, che
cosa ha rappresentato e rappresenta per lei il santuario
della Santa Casa, delle pietre che ricordano il mistero
dell’Incarnazione?
Sono nato nel comune di Recanati, a dieci chilometri
dal santuario, e non ho mai avuto difficoltà a immaginare
Giuseppe, Maria e Gesù tra quelle mura annerite, così simili a quelle della casa contadina in cui ho vissuto i miei
primi undici anni. La vigilia di Natale, quando uscivamo
per andare alla messa della notte, lasciavamo un lume acceso su un davanzale che dava sulla strada maestra. Quel
lume stava a dire – spiegava la mamma – che offrivamo la
nostra casa a Maria e Giuseppe, se avessero voluto fermarsi da noi, in quella notte in cui non trovavano posto
nell’albergo. Siccome la strada – da cui si intravedeva il
lume, tremolante tra gli stecchi della siepe – era la stessa
che portava a Loreto, noi bambini immaginavamo che
Maria e Giuseppe non lo vedevano, il nostro piccolo lume, e continuavano a cercare fino a quando arrivavano alla Casa di Loreto e lì si fermavano. Ma se l’avessero visto,
Gesù avrebbe potuto benissimo nascere nella nostra casa
e noi ve l’avremmo trovato tornando a piedi dalla chiesa.
È con questa familiarità che ho sempre pensato a Loreto.
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
143
STORIA ARTE E CULTURA LAURETANA
P. GIUSEPPE SANTARELLI
Verso il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona (3-11 settembre 2011)
L’istituzione dell’Eucaristia
nell’arte lauretana /3
N
el santuario di Loreto esistono tre dipinti che raffigurano l’istituzione dell’Eucaristia. Si tratta di
tre raffigurazioni dell’Ultima Cena, ciascuna con una
specifica connotazione biblico-teologica. Qui i tre dipinti vengono illustrati secondo l’ordine cronologico
di esecuzione.
L’“Ultima Cena” dipinta dal Damiani:
il “Tradimento di Giuda” e l’“Agnello pasquale”
144
Nella Sala del Tinello - oggi intitolata a Pasquale
Macchi - subito dopo la decorazione della volta ad
opera di Gaspare Gasparini, fu collocata una tela raffigurante l’Ultima Cena, commissionata nel 1585 dall’amministrazione del santuario a Felice Damiani di
Gubbio (1530-1608). Il dipinto (cm 215x390) era esposto in un locale destinato alla refezione dei pellegrini e
aveva quindi una sua specifica funzione devozionale.
Restò nella Sala fino al secolo XVII-XVIII. Attualmente
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
è custodito nel Museo-Antico Tesoro.
La scena, che ha sviluppo orizzontale, presenta al
centro la figura di Gesù, sul cui petto reclina il capo Giovanni l’evangelista. Questo particolare fa intendere che
il pittore ha voluto fissare il momento in cui Gesù fa allusione al tradimento di Giuda, secondo il quarto Vangelo. Ivi infatti si legge che Giovanni, «chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: Signore, chi è?» (Gv 13,23-24).
Dietro Giovanni si scorge un apostolo che dovrebbe
identificarsi con Pietro, il quale lo invitò a chiedere a
Gesù chi fosse il traditore. Giuda è raffigurato sulla destra, in primo piano, rivolto verso l’osservatore, con volto scuro, come crucciato per essere stato smascherato
dal Maestro. Con la mano sinistra nasconde il sacchetto
dei trenta denari, prezzo e simbolo inquietante del suo
tradimento. Due degli apostoli accanto al Signore - Felice Damiani (1530-1608),
uno dei-quali dovrebbe esUltima Cena, Loreto,
sere Pietro - sembrano riMuseo-Antico Tesoro.
volgergli la domanda: “Sono forse io il traditore?” Gli altri, in due gruppi di quattro,
ai lati della scena, simmetricamente distribuiti, discutono concitatamente sul tradimento di Giuda.
Un altro tema emergente di questo dipinto è l’agnello pasquale, raffigurato con
icastica evidenza al centro della mensa, su
un vassoio. È l’agnello della Pasqua ebraica, confezionato e pronto per la manducazione. Esso ha una forte valenza figurale
nel Vangelo di Giovanni, che fa esclamare
al Battista con riferimento a Gesù: «Ecco
l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il
peccato del mondo» (Gv 1,29).
L’Agnello di Dio è uno dei simboli principali della cristologia giovannea (vedi Apocalisse 5,6-12). Esso fonde in una sola realtà
l’immagine del Servo del profeta Isaia
(cap. 53) che porta il peccato degli uomini
e soffre come «agnello di espiazione» (Levitico 14) e il rito, appunto, dell’agnello pasquale (Esodo 12; Giovanni 19,36).
L’antico rito dell’agnello pasquale era
connesso con l’istituzione stessa della Pasqua ebraica. Il sacrificio di quell’agnello è
diventato figura tipica del sacrificio redentore di Cristo sulla croce, di cui l’Eucaristia
è rinnovazione incruenta.
Nella tela si colgono due aspetti di tepore familiare e conviviale: uno nell’inserviente che si affaccia sulla porta e l’altro
nel cagnolino sotto la mensa. Sul piano stilistico la tela del pittore eugubino sembra
riecheggiare modulazioni venete e romane
ben raccordate, ma denuncia fissità nei
volti e durezza nei panneggi delle vesti.
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Simon Vouet (1590-1649), Ultima Cena, Loreto Museo-Antico Tesoro.
L’“Ultima Cena” del Vouet:
la “Comunione”
La confraternita del Sacramento, istituita nel santuario
di Loreto nel 1528, un secolo dopo, nel 1627, volle ornare
il proprio altare con una tela raffigurante l’Ultima Cena,
commissionandola al celebre pittore francese Simon
Vouet (1590-1649), dimorante per lungo tempo in Italia e
convinto seguace del naturalismo caravaggesco. Al 1630
risale l’ultima rata di pagamento al pittore, che firmò la
tela sullo scanno di un apostolo, a sinistra: Simon Vouet.
Nel 1792 il dipinto (cm 318x210) fu trasferito a Roma
negli Studi Vaticani per essere riportato su un mosaico
delle stesse dimensioni che poi, nel 1830, sostituì nella
stessa cappella il dipinto, finito, dopo vari passaggi, nel
Museo-Antico Tesoro.
L’artista francese imposta verticalmente la scena dell’Ultima Cena, conferendole così una maggiore concentrazione, con gli apostoli stretti e raggruppati intorno a
Cristo, fulcro della raffigurazione.
Il tema è quello della Comunione che Gesù distribuisce agli apostoli, prima ancora della manducazione dell’agnello che si scorge integro su un vassoio, sopra il tavolo. Il Signore è raffigurato infatti nell’atto di porgere
un frammento di pane consacrato a un apostolo che si
protende verso di lui.
Il particolare è desunto dal racconto evangelico:
«Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Prendete, queIL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
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sto è il mio corpo… » (Mc 14,22). La consacrazione del
vino avviene in un secondo momento, dopo la comunione con il pane consacrato, come lascia intendere la figura dell’apostolo in primo piano, che con la mano sinistra tiene un orcio e con la destra solleva una coppa colma di vino rosso, non ancora consacrato. Nello stesso
Vangelo si legge che Gesù «poi prese un calice e rese
grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti» (Mc 12,23).
Nella raffigurazione si notano atteggiamenti diversi
negli apostoli, che per lo più sono intenti a discutere tra
loro o sono presi da faccende, quasi distratti e poco partecipi al mistico rito.
La critica d’arte da tempo ha messo in evidenza, in
questo eccellente dipinto, il realismo caravaggesco, evidente nella scelta luministica che genera efficaci chiaroscuri. Esso si coglie in special modo nel personaggio in
primo piano, ritratto nell’atteggiamento di un crudo verismo con il piede nudo e rozzo rivolto verso l’osservatore, e nel cane, sulla sinistra, che lecca un piatto, in stridente contrasto con la ieraticità del rito e così diverso
dal mite cagnolino che si vede nel dipinto del Damiani.
L’“Ultima Cena” della Sala del Tinello:
la “Benedizione”
Sulla parete frontale della Sala del Tinello - decorata
nel 1584 da Gaspare Gasparini e ora intitolata a Pasquale Macchi - si scorge un affresco raffigurante l’Ultima Cena, che nel secolo XVII o, secondo altri, nel secolo XVIII,
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
Pittore del secolo
sostituì la tela di Felice DaXVII-XVIII, Ultima Cena,
miani, sopra illustrata.
Sala del Tinello
Non si conosce l’autore
di «Pasquale Macchi».
dell’affresco, che sembrerebbe opera di un pittore locale.
Nel tempo in cui esso fu eseguito era attivo in zona Pier
Simone Fanelli (1641-1703), nato ad Ancona e vissuto
per lungo tempo a Recanati.
Non escluderei a priori che il dipinto possa essere
uscito dal suo pennello. L’analisi stilistica non sembra
smentirlo. Solo però un raffronto rigoroso con le altre
sue opere può confermare l’ipotesi.
L’ideazione scenica è simile a quella dell’Ultima Cena
del Damiani, con Gesù al centro della mensa e con san
Giovanni reclinato sul suo petto, con due gruppi di apostoli ai lati, consapevolmente partecipi del rito, pur nella diversificazione dei gesti, e con Giuda in primo piano, sul lato destro, che dà di tergo allo spettatore. Le varianti compositive e tematiche però sono notevoli. Qui
Gesù è nell’atto di benedire con tre dita spiegate della
mano destra. Forse il richiamo è al passo evangelico che
dice: «Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane,
pronunciò la benedizione… » (Mt 26,26).
Si può osservare che il vassoio sulla mensa è vuoto,
senza l’agnello pasquale, che si scorge invece nei dipinti del Damiani e del Vouet. La scena quindi è priva di riferimenti simbolici e si concentra essenzialmente sul gesto benedicente di Gesù, anche se non esclude il tema
del tradimento di Giuda.
STORIA ARTE E CULTURA LAURETANA
Mostra del Lotto al Quirinale,
Loreto presente con due tele
I
l 2 marzo, presso le Scuderie del Quirinale, è stata inaugurata una prestigiosa mostra delle opere di Lorenzo Lotto (14801556), il quale ha trascorso gli ultimi suoi anni di vita - come
oblato della Madonna - nel santuario di Loreto, dove ha chiuso
i suoi giorni, lasciandovi otto pregevoli tele. Due di esse, custodite come le altre nel Museo-Antico Tesoro, sono state date
in prestito dalla Delegazione Pontificia per la mostra del Quirinale. Si tratta dell’ampia tela raffigurante i Santi Cristoforo, Sebastiano e Rocco (cm 275x235) e di quella raffigurante la Presentazione del Signore al Tempio (cm 172x176). Ambedue, prima di
essere esposte, sono state sapientemente restaurate a spese dello Stato e sono tornate al primitivo splendore.
La prima tela con i Santi Cristoforo, Sebastiano e Rocco è firmata
ed è stata eseguita dal pittore intorno agli anni 1532-1533. Per lungo tempo ha ornato un altare laterale della basilica che era dedicato proprio a san Cristoforo. Ciò spiega
l’imponente figura del titolare che torregLorenzo Lotto (1480gia sugli altri due santi. Dipinto comples1556), Santi Criso, dai molteplici simboli, si fa ammirare,
stoforo, Sebastiano e
oltre che per la sapiente composizione a
Rocco, Loreto, Museo-Antico Tesoro.
piramide, per la luminosa colorazione che
costruisce e definisce le splendide forme.
La Presentazione è stata dipinta dal Lotto a Loreto dopo il
suo atto di oblazione alla Madonna, negli ultimi tempi della
sua vita, quando era diventato ormai quasi cieco. Ispirata al
Vangelo dell’infanzia di Gesù (Lc 2,22-28), è considerata la sua
ultima opera e un autentico capolavoro, quasi un «testamento»
artistico e spirituale. Il famoso critico d’arte Berenson, che ha
riscoperto e rivalutato il genio del Lotto, ha definito quest’opera «la più moderna pittura che mai antico maestro abbia dipinto» e ne ha esaltate talune suggestive anticipazioni di segno
impressionistico. Altri vi sottolineano il fascino dell’incompiuto per le immagini sbozzate, in un impiego nuovissimo di luce
resa a colpi improvvisi, a macchia. Ha scritto recentemente Antonio Paolucci che il pittore «nei suoi anni tardi ha dato immagine alla fantasmatica e quasi pregoyesca Presentazione al Tempio» (L’Osservatore Romano, 22 febbraio 2011). C’è chi scorge nella figura
Lorenzo Lotto (1480del vecchio che, nel piano superiore, a
1556), Presentazione
destra, si affaccia sulla porta, lo stesso
del Signore al Tempittore quasi ormai pronto a uscire dalla
pio, Loreto, MuseoAntico Tesoro.
scena di questa vita.
147
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE
bibliografiche
I
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n vista dei restauri della decorazione della Sala del Tesoro, padre
Giuseppe Santarelli, per conto delle
Edizioni Santa Casa, ha curato una
pregevole pubblicazione che ne ripercorre le vicende, ne illustra i dipinti e l’arredo con dovizia di notizie e di illustrazioni.
La Sala del Pomarancio o del Tesoro del santuario di Loreto costituisce un raro esempio di pittura, di
scultura a stucchi e di
ebanisteria, ideato e concluso in uno stesso periodo secondo un gusto prevalentemente tardo manierista di derivazione
romana. Per il suo grande pregio e il suo splendore è stata denominata
la «Cappella Sistina delle
Marche».
La Sala fu costruita per
volontà di Clemente VIII
per raccogliervi gli ex-voto di inestimabile valore
provenienti da molte corti reali e da numerose famiglie principesche di
tutta Europa. La storia
del santuario ricorda con
particolare risalto il dono
dei reali di Francia Luigi
XIII e Anna d’Austria
che, nel 1638, per ringraziare la Vergine Lauretana della nascita del sospirato erede Luigi XIV, inviarono al santuario due
corone d’oro tempestate
di diamanti del valore
astronomico di 75 mila scudi e un regio bambino d’oro del peso del neonato. Cristina di Svezia, nel 1655,
dopo l’abdicazione al regno, portò
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
Una pubblicazione delle Edizioni
Santa Casa sulla decorazione della
Sala del Pomarancio a Loreto
personalmente in dono alla Vergine
Lauretana il suo scettro d’oro. Napoleone Bonaparte, nell’invasione del
1797, depredò il Tesoro portando
via, secondo le cronache, 97 chili
d’oro e 17 quintali d’argento!
La Sala (alta m 11,80, larga m 14 e
lunga m 24) fu costruita con una
volta a carena dagli architetti Muzio
Oddi, Giambattista Cavagna e Ventura Venturi e fu portata
a termine nel 1603. A lavori compiuti, fu indetto
a Roma il concorso per
la decorazione pittorica,
al quale, secondo le fonti archivistiche, parteciparono Lionello Spada,
Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, Guido
Reni e, secondo il biografo Giovanni Baglione, Michelangelo da Caravaggio. La presenza a
Loreto del Caravaggio è
testimoniata tra la fine
del 1603 e gli inizi del
1604 anche da alcuni segni di una porta del Rivestimento marmoreo
della Santa Casa, riportati dal pittore nel suo
celebre dipinto La Madonna di Loreto o dei Pellegrini di Sant’Agostino
a Roma. La letteratura
del tempo narra il concorso con toni romanzeschi, mettendo in risalto
la rivalità tra il Caravaggio e il Pomarancio. Secondo il Baglione, il Pomarancio vinse il concorso per l’appoggio del potente ecclesiastico Pier Paolo Crescenzi, che
PERSONAGGI ILLUSTRI A LORETO
«con larghezza e vari pretesti tutti
ne escluse». La critica d’arte odierna
però fa notare che a quel tempo il
Pomarancio a Roma era considerato
il numero uno per committenze ecclesiastiche e gentilizie e che il Caravaggio veniva dopo di lui.
Il Pomarancio ha raffigurato nella volta a carena, negli anni 16051610, le «istorie» della Beata Vergine tra Sibille e Profeti: Natività di
Maria, Sposalizio, Presentazione al
Tempio, Annunciazione, Visitazione,
Fuga in Egitto, Ritrovamento di Gesù
nel Tempio, Transito della Madonna,
Assunzione, Traslazione della Santa
Casa e Incoronazione della Vergine.
Una copiosa serie di figure allegoriche e di emblemi mariani, sostenuti
da putti alati, si insinua nelle intersezioni della volta, mentre una fantasiosa decorazione a stucchi e a rilievo dipinto percorre la volta per
mille alacri svolgimenti. Gli armadi
della Sala, lavorati dal bolognese
Andrea Costa e messi in opera nel
1614, costituiscono una straordinaria opera di ebanisteria. Nel complesso, si tratta di un autentico capolavoro di pittura, di decorazione
e di ebanisteria.
Il ciclo degli affreschi del Pomarancio è oggi giudicato il più importante del tardo manierismo romano,
ai cui canoni il pittore si attenne, coniugando lo stile di Michelangelo
con quello di Raffaello, in una suggestiva propensione verso il barocco. Si
tratta di una decorazione di altissima
qualità, resa piacevole dai colori chiari e iridescenti e sostenuta da un sapiente e vigoroso disegno e da un’eccezionale tecnica di affresco, che ha
consentito l’intatta conservazione del
ciclo dopo quattrocento anni.
Il restauro prevede interventi sugli affreschi, sulle ornamentazioni
pittoriche, sugli stucchi e sui voluminosi armadi che custodiscono gli
ex-voto. Si auspicano sponsor che
possano rendere possibile l’impegnativa opera di restauro.
Nel 150° dell’Unità d’Italia
Vittorio Emanuele II,
primo re d’Italia,
a Loreto
GIUSEPPE SANTARELLI
U
n posto di rilievo occupa
nella storia del santuario la visita
a Loreto di Vittorio Emanuele II,
primo re d’Italia, uno dei protagonisti del Risorgimento e dell’Unità d’Italia.
Vittorio Emanuele nacque da
Carlo Alberto nel 1820 e fin dalla
giovinezza si rivelò avverso all’Austria, partecipando alle campagne militari del 1848 e 1849, dove si distinse per fierezza e valore.
Il 23 marzo 1849, dopo la sconfitta di Novara, successe al padre sul trono
di Sardegna, prendendo a cuore la causa dell’Unità d’Italia.
Mostrò determinazione ed equilibrio nel convegno di Vignale con il
generale Radetzky. Mantenne piena fede allo Statuto, confortato dall’aiuto di persone illuminate, come Massimo D’Azeglio, e diede inizio
all’importante decennio di preparazione (1849-1859) all’Unità d’Italia. Si
avvalse in special modo dell’opera del grande statista Camillo Benso,
conte di Cavour, che con la sua freddezza e oculatezza di diplomatico
seppe temperare l’impulsività del sovrano.
Con l’appoggio della Francia, sotto Vittorio Emanuele II furono condotte le campagne vittoriose che aprirono all’annessione di una gran
parte dell’Italia del nord. Con l’impresa poi dei «Mille», condotta da Garibaldi, seguì l’annessione del Regno di Napoli e, contemporaneamente,
con la vittoriosa battaglia di Castelfidardo, quella di una parte dello Stato Pontificio. Dopo la conquista di Venezia e di Roma, nel 1870, l’impresa unitaria era sostanzialmente attuata e il re, nella prima convocazione
del Parlamento a Roma, nuova capitale d’Italia, poteva asserire: «L’opera a cui consacrammo la nostra vita è compiuta».
Tra i vari contrasti politici che attraversarono il suo regno, Vittorio
Emanuele II si mantenne sempre leale e determinato, tanto da meritare
dal D’Azeglio l’appellativo di «Re galantuomo». Morì nel 1878.
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
Carlo Filippo Boni, Ingresso di Vittorio
Emanuele II ad Ancona dalla Scalo di Lamoricière, Ancona, Pinacoteca Comunale.
150
La visita del primo re d’Italia al
santuario di Loreto si ricollega alla
battaglia di Castelfidardo, combattuta il 18 settembre 1860 tra le truppe pontificie, comandate dai generali francesi Cristophe Léon Louis
Lamoricière e Georges de Pimodan,
e l’esercito piemontese, agli ordini
del generale Enrico Cialdini. È noto
che la vittoria arrise ai piemontesi e
che le Marche e l’Umbria furono annesse al Regno d’Italia. Il combattimento sul piano militare fu modesto, ma la portata
politica fu grande anche per la risonanza internazionale dell’evento.
Il 10 ottobre successivo, Vittorio Emanuele II, proveniente da Macerata e diretto al Regno di Napoli per incontrare Garibaldi, giunse a Loreto entrando da Porta
Romana e attraversando la Via dei Coronari, attuale
Corso Boccalini. Sotto i portici del Palazzo Apostolico
gli andarono incontro alcuni ecclesiastici e il penitenziere conventuale padre Serra, sardo, gli spiegò che il vescovo era fuori Loreto per un improrogabile impegno e
si dichiarava pronto ad accompagnarlo. Il re entrò in basilica per ammirare le opere d’arte, ma restò male impressionato per il grave stato di degrado e di abbandono in cui versava il santuario.
Salì poi nel Palazzo dove incontrò la Giunta provvisoria del governo municipale. Qui consumò un pasto
frugale e quindi si recò a visitare i soldati feriti nella battaglia di Castelfidardo, sistemati nel Palazzo Illirico. Era
una giornata piovosa. Quando il tempo si rimise al bello, il sovrano partì alla volta di Civitanova, ma prima
volle firmare un decreto del seguente tenore:
«Abbiamo decretato e decretiamo.
Art. 1. È assegnata sulla nostra cassetta particolare la
somma di Italiane Lire cinquantamila per restauri e decorazioni della Chiesa della S. Casa di Loreto.
Art. 2. Il nostro Commissario Generale Straordinario
per le Provincie delle Marche è incaricato a fare eseguire gli studi relativi.
Art. 3. Fatti gli studi, il Ministero della nostra Casa dovrà porre a disposizione del predetto Nostro Commissario Generale la somma preannunciata.
Art. 4. I lavori dovranno intraprendersi nel corrente anno.
Dato da Loreto addì 10, Ottobre 1860».
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
In una stampa diffusa a mo’ di manifesto per quella
circostanza, si legge: «Vittorio Emanuele ha visitato il
Santuario di Loreto, lo trovò ben sucido (sic) e in modo
indegno della B. Vergine. Ha perciò ordinato di farlo
più bello in ogni parte. Viva il nostro Re cristiano. Viva
l’annessione».
Anche se la cospicua somma fu versata molto più tardi, solo nel 1889, al tempo di Umberto I, tramite il ministro Rattazzi, a lavori ormai avviati, si deve sottolineare
che il regio commissario delle Marche Lorenzo Valerio
subito diede disposizioni per l’erogazione della stessa, e
incaricò Domenico Ferri, architetto decoratore dei Regi
Palazzi di Torino, di recarsi a Loreto per ispezionare la
basilica e preparare un duplice progetto di ripristino
edilizio e di restauro decorativo.
Per merito di Vittorio Emanuele II, così, partiva la
grandiosa e lunga opera di ristrutturazione architettonica e di abbellimento pittorico della basilica, che nell’arco di qualche decennio, tra Otto e Novecento,
avrebbe rinnovato il volto del santuario. Il re perpetuava in tal modo la tradizione di Casa Savoia, che sempre
ebbe devozione verso la Santa Casa, arricchendola con
cospicue donazioni.
Il 28 dicembre 1860 Vittorio Emanuele II, di ritorno dal
felice incontro con Garibaldi a Teano, ripassò a Loreto,
ancora in una giornata battuta dalla pioggia. Non scese
neppure dalla carrozza. Ivi però diede udienza al marchese Girolamo Solari, capo della Giunta municipale, e al
padre Serra. Questi approcci, come quelli del 10 ottobre,
ebbero i loro benefici effetti, perché il cospicuo patrimonio del santuario di Loreto non fu espropriato, come lo
furono gli altri beni ecclesiastici in esecuzione delle «leggi eversive». I beni e le rispettive risorse restarono tutti a
Loreto e furono amministrati dal Pio Istituto della Santa
Casa e utilizzati per la manutenzione, i restauri e gli abbellimenti della basilica e per opere di utilità sociale.
LORETO NEL MONDO
Pregevole dipinto lauretano nel Messico
UNA SOLENNE PROCESSIONE CON L’IMMAGINE
DELLA MADONNA DI LORETO
L
a rivista messicana Encrucijada ha pubblicato nel
2010 un interessante saggio su una “Solenne processione con l’immagine di nostra Signora di Loreto; l’epidemia del Sarampiò nel 1727” (pp. 22-51).
Il dipinto è legato storicamente al Collegio di San
Gregorio a Città del Messico, che fu costruito nel 1573
per l’insegnamento della dottrina cristiana ai figli della
nobiltà indigena. I gesuiti, che diffusero capillarmente il
culto della Vergine di Loreto nell’America di colonizzazione spagnola, introdussero la devozione lauretana anche nel Collegio ad opera di padre Giovan Battista Zappa e di padre Giovanni Maria Salvatierra.
Il primo, nel 1675, portò dall’Italia una statua della
Madonna di Loreto, che era stata messa a contatto con
l’originale, e introdusse nel Messico la novità di una
cappella costruita nelle forme della Santa Casa. Questa fu edificata e annessa al Collegio di San Gregorio e
inaugurata nel 1680. Quella replica purtroppo non
esiste più.
Nel 1727 fu organizzata una solennissima processione
con la statua della Madonna di Loreto per scongiurare
gli effetti esiziali di una terribile pestilenza che devastava Città del Messico. Nell’ottobre di quell’anno, la statua
fu trasferita nella cattedrale della capitale, dove fu celebrata una solenne novena, e di qui, il giorno 28, fu riportata processionalmente nel Collegio di San Gregorio con
una straordinaria partecipazione di clero e di popolo.
L’evento è stato raffigurato da un pittore anonimo in
un vasto dipinto a olio su tela (cm 290x380). Un recente
studio di Luisa Elena Alcalà, Patricia Dìaz Cayeros e
Gabriele Sànchez Reyes, pubblicato sulla rivista Encrucijada, offre notizie abbondanti sulla processione e sul
quadro che la rappresenta.
Il dipinto, conservato nella località di San Pietro Zacatenco, è restato per lungo tempo in oblio, nonostante
la sua importanza messa in evidenza dalle tre studiose,
relativamente alla struttura urbana del tempo, compre-
151
sa la facciata della cattedrale, alle caratteristiche delle
processioni di allora e all’intensa devozione verso la
Madonna di Loreto in quelle regioni.
L’immagine della Vergine Lauretana, al centro della
rappresentazione, cattura immediatamente l’attenzione
dell’osservatore. Nel suo gesto, con la testa leggermente
volta verso sinistra, la Vergine ispira fiducia nella sua potente intercessione presso il popolo che la accompagna.
Si tratta di un recupero iconografico lauretano di notevole valore, sia per il luogo e sia per il tema, e conferma
la grande devozione verso la Vergine Lauretana nel Messico, introdottavi dai gesuiti, soprattutto nel secolo XVII.
(G. S.)
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
VITA DEL SANTUARIO
Presentati gli atti sulle
l 2 febbraio, nella Sala Paolo
I
VI, sono stati presentati gli
«Nuove forme di vita consacrata» Atti del I Convegno Interna-
152
zionale sulle «Nuove forme di
vita consacrata», promosso dalla Fraternità Francescana di Betania e dal “Coordinamento Storici Religiosi” (CSR Roma). Il Convegno si è svolto a Roma il 5-6 ottobre 2007 presso la Pontificia
Università Urbaniana, che ha offerto il suo patrocinio.
Davanti a un folto pubblico di religiosi e religiose, dopo il saluto
e le parole introduttive dell’arcivescovo Giovanni Tonucci, gli autori della pubblicazione hanno illustrato il contenuto degli Atti. Padre Roberto Fusco, della Fraternità Francescana di Betania, docente
di Teologia spirituale, ha illustrato l’iter del censimento delle nuove
comunità, mentre padre Giancarlo Rocca, direttore del «Dizionario
degli istituti di perfezione» e docente di Storia delle istituzioni di
vita consacrata, si è soffermato sulle caratteristiche delle nuove forme degli anni 1911-2009 (soprattutto dell’ultimo cinquantennio),
sorte in numero di circa 775, delle quali 80 già scomparse. Ha moderato l’incontro p. Stefano Vita, della Fraternità Francescana di Betania, vicario generale della Delegazione Pontificia.
Gli Atti sono raccolti in due volumi di grande interesse per l’argomento, pubblicati dall’Università Urbaniana
(Via Urbano VIII, 16 - 00120 Città del Vaticano; tel. 06.69889652).
Nella foto, sul tavolo della presidenza, da sinistra a destra: l’arcivescovo Tonucci, padre Vita, padre Fusco e padre Rocca. (Foto Stefanelli)
Convegno in
preparazione
del 25° Congresso
Eucaristico
Nazionale
L’
Associazione Laicale Eucaristica Riparatrice ha organizzato un convegno in
preparazione al Congresso Eucaristico Nazionale che si terrà ad Ancona dal 3 all’11
settembre prossimo. Il convegno - rivolto a quanti nelle parrocchie si impegnano quali catechisti, ministri straordinari della comunione e operatori pastorali - si è tenuto nel Tinello «Pasquale Macchi» il 19 febbraio.
Dopo il saluto di Paolo Baiardelli, presidente dell’Associazione, e dell’arcivescovo Giovanni Tonucci, sono seguite le relazioni. La dott.ssa Paola Bignardi, componente del Comitato Progetto Culturale della CEI, ha trattato il
tema: «Dall’emergenza educativa all’impegno quotidiano»; mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e assistente nazionale dell’Azione Cattolica, ha parlato della «Chiesa e l’impegno educativo»; la prof.ssa Laura Boccati,
preside di Liceo Classico, ha parlato su «L’arte di sperare, il coraggio di educare»; mons. Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona, ha dettato una riflessione su «L’Eucaristia per la vita quotidiana». Ha moderato l’incontro il
cappuccino padre Franco Nardi, assistente nazionale dell’Associazione. Nella foto, sul tavolo della presidenza, da
sinistra a destra: Paolo Baiardelli, Paola Bignardi, l’arcivescovo Giovanni Tonucci e padre Franco Nardi. (Foto Montesi)
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
VITA DEL SANTUARIO
Adamo Volpi
Un grande musicista da ricordare
l 18 febbraio, nel Teatro Comunale di Loreto, è stato ricordato,
nel trentennio della morte. Adamo Volpi, per lunghi anni organista della basilica di Loreto. La cerimonia è stata organizzata dal Comune, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Loreto e il patrocinio della Delegazione Pontificia. Si sono esibiti Andrea Nespi, Alessando Mugnoz e
Claudia Menghi (fisarmonica e
pianoforte), e Valentino Lorenzetti alla fisarmonica elettronica.
Gervasio Marcosignori, rinomato
fisarmonicista, ha rievocato la figura del Volpi, di cui fu caro amico
ed estimatore, notando fra l’altro
che il maestro fu uno dei primi in
Italia a scrivere musica originale
per fisarmonica. Angelo Biancamano ha presentato al pubblico
l’inno popolare dei fisarmonicisti
composto da Adamo Volpi. Nel
contesto dell’incontro, è stato
presentato il volume «Adamo Volpi organista, concertista e compositore», scritto da Sandro Strologo. Ha fatto seguito l’inaugurazione della mostra fotografica e
I
documentale, allestita nelle sale
espositive Sangallo. Grande è stata la soddisfazione del sindaco
Paolo Niccoletti e dell’assessore
alla Cultura M. Teresa Schiavoni.
Il 20 febbraio, in basilica, ha
avuto luogo una solenne celebrazione eucaristica, presieduta dall’arcivescovo Tonucci, nella quale
sono stati ricordati i fratelli Remo
e Adamo Volpi, l’uno maestro della
Cappella Lauretana e l’altro organista del santuario. Ha animato la
messa la Cappella della Santa Casa, diretta dal m° Giuliano Viabile.
Sopra: presentazione del libro su
Adamo Volpi, curato da Sandro Strologo; in basso: i partecipanti alla
messa celebrata in basilica in memoria dei fratelli Volpi. (Foto Montesi)
Rassegna
Internazionale di Musica Sacra
«Virgo Lauretana»
27 aprile - 1° maggio 2011
I
cori selezionati tra 87 domande d’ammissione pervenute sono dodici: Belgrado (Serbia), Bratislava (Slovacchia), Matera (Italia), Minsk (Bielorussia), Mosca (Russia), Praga (Rep. Ceka), Quezon City (Filippine), Sliven (Bulgaria), Taipei City
(Taiwan), Trier (Germania), Varsavia (Polonia), Vilnius (Lituania). Nel contesto della Rassegna saranno tenuti due concerti straordinari: uno il 28 aprile, ore 21.00, dal Coro «Blagovest» di Minsk, e l’altro il 29 aprile, alla stessa ora, dal Coro della Fondazione Domenico Bartolucci, ora cardinale, direttore dell’esibizione. La Rassegna si chiuderà con la messa delle ore 11 di domenica 1° maggio, presieduta dall’arcivescovo Giovanni Tonucci con esecuzione collettiva dei cori.
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
VITA DEL SANTUARIO
Giornata del
Malato a Loreto
L’
11 febbraio, memoria della Madonna
di Lourdes, nella basilica di Loreto, alle ore 18, si è tenuta una solenne celebrazione eucaristica, presieduta da mons. Decio
Cipolloni, vicario della Prelatura della Santa Casa e responsabile della pastorale sanitaria della Conferenza Episcopale delle
Marche. Alla celebrazione sono intervenuti
gli operatori sanitari e i volontari unitalsiani e di altre associazioni impegnate nell’assistenza degli infermi. Suggestiva è stata la
cerimonia della luce con l’accensione delle
fiaccole, mentre nella basilica venivano
spente tutte le lampade. (Foto Stefanelli)
154
Giornata della Vita
A
Loreto la Giornata della Vita viene celebrata ogni
anno con particolare solennità, soprattutto con una
messa del pomeriggio, alla quale sono invitate a partecipare le donne che nell’ultimo anno sono diventate mam-
me, portando i loro bambini. Il 6 febbraio, dopo la celebrazione eucaristica presieduta dal rettore padre Giuliano Viabile, le mamme sono passate in Santa Casa, mettendo i loro figlioletti sotto la protezione della Madonna, che, proprio nella Casa di Nazaret, ha portato nel
grembo il Bambino Gesù e, dopo il ritorno dall’esilio in
Egitto, lo ha cresciuto con ineffabile amore. (Foto Montesi)
VITA DEL SANTUARIO
I vigili urbani festeggiano il loro patrono a Loreto
I
l 29 gennaio, si sono dati
appuntamento a Loreto circa 150 vigili urbani della provincia di Ancona per celebrare
il loro patrono, san Sebastiano. L’arcivescovo Giovanni
Tonucci ha presieduto la celebrazione eucaristica, alla quale, oltre ai numerosi vigili,
hanno partecipato i sindaci di
49 municipalità, il consigliere
regionale Moreno Pieroni, il
questore di Ancona Maurizio
Piccolotti e altre autorità del
mondo politico e amministrativo. Sono intervenuti anche i
gruppi comunali di Protezione Civile, guidati dal presidente regionale Roberto Oreficini. L’arcivescovo ha sottolineato l’importanza di celebrare i santi patroni, perché ci aiutano con il loro esempio a bene operare, e ha ricordato l’importante compito
svolto dai vigili urbani per l’ordine dei cittadini. Nel Teatro Comunale il comandante Fulgi ha tenuto un’importante relazione sugli aspetti inerenti all’attività dei vigili urbani. (Foto Montesi)
I neo-presidenti unitalsiani a convegno
N
ei giorni 18, 19, 20 febbraio i neo-eletti presidenti delle sezioni e sottosezioni dell’Unitalsi si sono dati appuntamento a Loreto per
tre giorni di riflessione e di dibattiti. Sono giunti al santuario in 650 circa e, nella serata del 18,
hanno partecipato a un tempo di preghiera nella basilica inferiore. Le riunioni si sono svolte al
Palacongressi. Vi ha preso parte anche il presidente nazionale Diella. Sono state messe in evidenza le difficoltà inerenti del momento, causate anche dal fatto che le Ferrovie mettono a disposizione solo treni con non meno di undici
carrozze, da pagare per intero anche se non sono completamente utilizzate. È stata studiata la programmazione per l’anno corrente, con una particolare attenzione alla Giornata del Malato di tutte le sezioni che si terrà a Loreto il 7 settembre prossimo, nel contesto del Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona.
Nel pomeriggio del 19 hanno partecipato ai lavori anche l’arcivescovo Giovanni Tonucci e il rettore del santuario p. Giuliano Viabile, mettendo in risalto la situazione dei pellegrinaggi unitalsiani a Loreto. È stato presente costantemente ai lavori mons. Decio Cipolloni, già assistente nazionale dell’Unitalsi. (Foto Montesi)
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
155
NOTIZIE FLASH
Appello per la Sala del Pomarancio
156
Conferenze stampa, tavole rotonde e servizi televisivi hanno sensibilizzato il pubblico sul progetto di un
urgente restauro degli affreschi del Pomarancio, nella
Sala del Tesoro di Loreto. Numerosi giornali e riviste
ne hanno dato l’annuncio. Piace qui menzionare la segnalazione dell’autorevole «Corriere della Sera», il
quale, il 30 gennaio scorso, a p. 41, tra l’altro ha scritto
che l’arcivescovo Giovanni Tonucci ha rivolto a tutte le
istituzioni pubbliche e private, ma anche a singoli pellegrini, un appello, «destinato al restauro della Sala del
Pomarancio nella basilica della Santa Casa di Loreto. A
rischio è la volta con ciclo di affreschi sulla Vita di Maria (uno dei capolavori del tardo manierismo), eseguiti
tra il 1605 e il 1610 dal Pomarancio (che venne preferito a Guido Reni e a Caravaggio)».
Un servizio su Loreto al TG2
Il 1° febbraio, alle ore 18.30, nella rubrica «Sì viaggiare» del TG2, condotta da Bruna Fattenotte, è andato in onda un servizio sul santuario di Loreto, all’interno del telegiornale, durato circa cinque minuti, con
interviste all’arcivescovo Giovanni Tonucci, al padre
Giuseppe Santarelli e alla guida turistica Loredana
Papi. Anche in questo servizio si è parlato del restauro del Pomarancio.
Sottoscrizione per
i restauri degli affreschi
della Sala del Pomarancio
ontinuano a giungere i contributi per i lavori di
restauro degli affreschi della Sala del Tesoro o
del Pomarancio, propiziati anche dai mass media
che ne hanno parlato e ne parlano, trattandosi di un
importante capolavoro di arte italiana degli inizi
del Seicento.
Offerente anonimo € 20,00; Michele Ramello (Torino) € 600,00; offerente anonimo € 20,00; M. G. di
Gravina € 500,00; offerente anonimo € 20,00; prof.
Italo D’Angelo e famiglia (Ancona) € 650,00; offerente anonimo € 20,00; offerente anonimo € 10,00.
C
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
Sede dell’Aeronautica: dalla Scuola per Allievi
Sottufficiali a quella di Lingue Estere
Il 2 febbraio la Scuola per Sottufficiali della sede dell’Aeronautica di Loreto, dopo venti anni, ha chiuso i
battenti con una cerimonia alla presenza del generale
Pasquale Preziosa. L’attività è passata alla Scuola Marescialli di Viterbo, mentre a Loreto è stata conservata e
potenziata la Scuola di Lingue Estere, che ha lo scopo di
fornire al personale una conoscenza linguistica professionale per l’impiego in organismi e staff internazionali
o in reparti della Nato di carattere internazionale. Si
prevede che nell’anno corrente saranno più di duemila
le unità che transiteranno nelle strutture didattiche e
linguistiche della Scuola. A dirigere questa Scuola resterà il colonnello Angelo Balestrino. Alla cerimonia di
chiusura della Scuola per Sottufficiali sono intervenuti
l’arcivescovo Tonucci, il prefetto di Ancona Orrei, il sindaco di Loreto Niccoletti e altre autorità. Il generale Preziosa ha assicurato che «Loreto resta un punto di riferimento dell’Aeronautica, una vera punta di diamante
nell’insegnamento delle lingue straniere».
In memoria di Pietro Zampetti
Missioni mariano-lauretane
Il 26 gennaio, all’età di 98 anni, è morto a Treviso Pietro Zampetti, anconetano, forse il più insigne storico
dell’arte marchigiana della seconda metà del Novecento, docente universitario e autore di importanti studi,
tra i quale eccelle l’opera Pittura nelle Marche, in quattro
ponderosi volumi (Firenze, 1988-1991), dove egli ha dedicato numerose e approfondite pagine sulle opere
d’arte nel nostro santuario. Il suo nome, in ambito lauretano, è legato anche all’edizione critica de Il Libro di
spese diverse di Lorenzo Lotto, relativo agli anni 15381556 (Venezia-Roma, 1969). I funerali si sono svolti nella
chiesa di San Bartolomeo a Treviso.
Scolaresche al santuario
e al Museo-Antico Tesoro
Si moltiplicano i gruppi di scolari che, guidati dai loro
insegnanti, visitano il santuario e il Museo-Antico Tesoro. Per loro sono state approntate dalle Edizioni Santa
Casa due pubblicazioni specifiche che facilitano la comprensione della storia e dell’arte fiorite intorno alla Santa
Casa: A volo d’angelo sul Santuario di Loreto, opera di diversi autori, con tavole didattiche che coinvolgono gli
alunni in un’avvincente e proficua ricerca; e Quello strano
viaggio a Loreto, una storia a fumetti curata da Francesco
Rizzato intorno a una visita affascinante di una scolaresca al santuario, accompagnata da una guida turistica.
Numerose sono le missioni già effettuate e programmate per l’anno in corso con la statua della Madonna di
Loreto. Dopo la missione nella parrocchia di San Paolo
di Ravona (Bologna) nei giorni 11-26 gennaio, il parroco
mons. Ivo Manzoni ci scrive: «La Beata Vergine Lauretana è sempre la prima missionaria! Quanto bene e quante
grazie in questi giorni. Mai tanti giovani, tanta assiduità
all’adorazione eucaristica, e enormi i frutti di penitenza,
in confessionale. Deo gratias». Il 28 gennaio la statua è
passata nella parrocchia di San Venanzio in Gallura,
sempre in diocesi di Bologna. Inoltre, la diocesi di Palestrina, su iniziativa del vescovo Domenico Sigalini, tramite don Luois Armando, ha organizzato una missione
mariana con la statua della Vergine Lauretana nelle varie parrocchie, in preparazione del prossimo Congresso
Eucaristico Nazionale (Ancona, 3-11 settembre) durante
tutta la Quaresima, fino alla Domenica in albis.
Gruppo di Studio sulla Via Lauretana
Il 23 febbraio si è riunito a Loreto il Gruppo di Studio
sulla Via Lauretana, che ha preso in esame il tratto AssisiLoreto, da rivitalizzare con un progetto concreto. Dopo
una breve relazione storica sulla Via Laretana di p. Giuseppe Santarelli, ha preso la parola mons. Paolo Giulietti,
vicario generale dell’arcidiocesi di Perugia, il quale ha proposto un primo itinerario peregrinatorio a piedi da Assisi
a Loreto lungo antichi percorsi che toccano centri di interesse storico, artistico e devozionale. Il Gruppo si è diviso
il lavoro per la redazione di un documento ufficiale da
presentare alle autorità competenti, introdotto dalle lettere
dell’arcivescovo di Loreto mons. Giovanni Tonucci e del
vescovo di Assisi mons. Domenico Sorrentino. Ha moderato l’incontro padre Stefano Vita, vicario generale della Delegazione Pontificia.
IN MEMORIA DI…
Romolo Appignanesi
l 22 gennaio, colpito da infarto, è passato al Signore Romolo Appignanesi, all’età di 64 anni. Distintosi per la
sua militanza politica in ambito cattolico, si è dedicato generosamente al volontariato. Negli ultimi anni ha prestato il suo generoso e qualificato servizio, quale volontario, anche nella basilica di
Loreto. Ai funerali, insieme ad altri cappuccini, è intervenuto anche il rettore padre Giuliano Viabile, che ha espresso alla vedova
e alla famiglia, a nome del santuario, i sentimenti della più viva
gratitudine per quanto Romolo ha fatto per il buon funzionamento della basilica nei giorni festivi.
I
IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
157
PUBBLICAZIONI
promosse dalla Delegazione Pontificia del Santuario della Santa Casa
di Loreto - c.c.p. 311605 - Tel. 071970104
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artistica, Ancona 1996, edizioni italiana,
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G. SANTARELLI, Guida illustrata in polacco, 1992, € 10,00.
G. SANTARELLI, Loreto nella storia e
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Casa di Loreto, Loreto
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Ai sensi del d.lgs 196 del 30/06/2003 la informiamo che i dati personali che verranno
forniti saranno oggetto di trattamento a mezzo di sistemi informatici. La Redazione,
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IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA - LORETO • Aprile 2011
CONGREGAZIONE UNIVERSALE DELLA SANTA CASA
Fondata nel 1883, ha le seguenti finalità:
• Diffondere la conoscenza e la devozione verso la Madonna e la sua Santa
•
•
Casa, dove ha avuto inizio la storia della nostra salvezza con l’Annunciazione
e l’Incarnazione;
Curare la promozione e il decoro del santuario con offerte e lasciti vari;
Accogliere i pellegrini orientandoli a vivere i messaggi del santuario, la vita
della S. Famiglia, le feste della Madonna.
L’ISCRIZIONE alla Congregazione è aperta a quanti desiderano collaborare alle sue
finalità. Con l’iscrizione si partecipa in perpetuo ai benefici spirituali delle preghiere e di una Messa che si celebra ogni giorno alle ore 8 nel santuario (Messe
Perpetue); agli iscritti è concessa inoltre l’indulgenza plenaria alle solite condizioni nel giorno dell’iscrizione e nella festa della Madonna di Loreto (10 dicembre).
NORME PER L’ISCRIZIONE
• Farne richiesta, anche con lettera, alla Direzione. Possono essere iscritti vivi e defunti, persone singole e
famiglie. Viene rilasciato un diploma di iscrizione.
• La partecipazione ai beni spirituali, comprese le Messe perpetue, è perpetua, cioè per sempre.
• Gli iscritti non hanno obblighi particolari, tranne l’impegno di vivere cristianamente.
• Si raccomanda la recita dell’Angelus tre volte al giorno e la recita frequente del Rosario e delle Litanie
Lauretane.
• La quota d’iscrizione è di € 10,00 (per l’iscrizione individuale) o di € 16,00 (per l’iscrizione di più persone
o di una famiglia).
La Congregazione Universale pubblica la rivista mensile “IL MESSAGGIO DELLA SANTA CASA”, che informa sulla vita
del santuario e funge da collegamento con gli animatori e gli iscritti. Promuove inoltre gli studi e le pubblicazioni
sulla storia della S. Casa e del santuario. Chi desidera collaborare più intensamente agli scopi della Congregazione
Universale può chiedere di far parte del gruppo degli AMICI DELLA SACRA FAMIGLIA che riunisce gli Zelatori e le
Zelatrici della Santa Casa. Essi riceveranno particolari incarichi insieme ad un nostro tesserino d’iscrizione. Per l’invio di corrispondenza e di offerte servirsi del seguente indirizzo:
DELEGAZIONE PONTIFICIA - CONGREGAZIONE UNIVERSALE DELLA SANTA CASA
60025 Loreto (AN), Italia - Tel. 071.97.01.04 - Fax 071.97.47.176 - C.C.P. n. 311605
MESSE PERPETUE
Iscrivi te stesso e i tuoi familiari alla Congregazione Universale della Santa Casa.
Potrai usufruire di vari benefici spirituali, in primo luogo delle messe perpetue:
cioè, di una messa celebrata ogni giorno nel santuario della Santa Casa alle ore 8.
Puoi iscrivere te stesso o altra persona singola, viva o defunta (offerta € 10,00)
Puoi iscrivere la tua famiglia o altre famiglie, per vivi e/o defunti (offerta € 16,00)
Invia la tua offerta tramite C.C.P. n. 311605 intestato a:
Delegazione Pontificia - Congregazione Universale Santa Casa - 60025 Loreto (AN)
oppure tramite bonifico bancario:
Banca delle Marche cod. IBAN: IT70O0605537380000000000941 BIC: BAMAIT3A
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Chi intende inviare l’offerta tramite bonifico bancario è pregato di comunicare il proprio recapito tramite lettera, fax o e-mail per consentire una risposta.
Per contattarci: tel. 071.970104 - fax 071.9747176 Sito: www.santuarioloreto.it e-mail: [email protected]
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MSG Aprile 2011