La trasformazione dei conflitti. Disciplina accademica sui generis e sapere della vita quotidiana. di Marianella P B Sclavi facilitatrice di processi partecipativi, esperta di arte di ascoltare Sommario L’articolo illustra con ricchezza di aneddoti la nascita e affermazione dell' azione -ricerca come campo di studi sui rapporti fra gestione creativa dei conflitti e democrazia. Distingue due fasi: “L’età degli eretici”, dagli anni ‘30 fino alla fine degli anni ’70 e “L’età della divulgazione e istituzionalizzazione” imperniata sugli sviluppi dell'Alternative Dispute Resolution (ADR) e sue applicazioni specialmente nel campo delle dispute pubbliche, cioè della vita politica. Parole chiave. Azione-ricerca, gestione creativa dei conflitti, dinamiche di gruppo, Alternative Dispute Resolution (ADR), Strategia dell'azione indiretta, l'età degli eretici, l'età della divulgazione e istituzionalizzazione, Confronto Creativo. Summary This paper is a anecdotic narration of the birth and growth of action-research as a field focused upon the relationships between creative conflict management and democracy. It traces two important "ages" in this story: the "Age of Heretics" and "The age of Popularization and Institutionalization". The last centered particularly on the applications of ADR in the field of Public Disputes , that is in the Political Life. Keywords. Action-Research, Creative Conflict Management, Group Dynamics, ADR, Breakthrough Strategy, The Age of Heretics, The Age of Popularization and institutionalization, Consensus Building Approach. Presentazione. Le domande di fondo. L’esigenza di un ripensamento radicale nel modo in cui i conflitti venivano abitualmente percepiti, descritti e gestiti si afferma nel secondo dopoguerra in stretto collegamento con un arco di preoccupazioni teoriche e pratiche efficacemente espresse in testi come La società aperta e i suoi nemici (1947) di Karl Popper e Le origini del totalitarismo (1951) di Hannah Arendt. Come questi autori, i pionieri degli studi sulla gestione creativa dei conflitti nelle scienze sociali s’interrogano sul perchè le democrazie occidentali non sono state in grado di prevenire e combattere l’emergere di regimi totalitari, quali difese sono mancate a livello dei diritti umani elementari, dei processi decisionali, della pedagogia e psicologia sociale; e per converso: quali saperi, dinamiche sociali, diritti e forme di autorità dovrebbero accompagnare un ampliamento della democrazia dal terreno puramente politico a quello sociale, favorire il suo ingresso e radicamento anche nei luoghi di lavoro, nelle istituzioni educative, nella vita quotidiana. La visione dominante, “realista”, si basava sul principio del bastone e della carota. Si dava per scontato che coloro che ricoprono posizioni di potere a qualsiasi livello, dalla famiglia, alla impresa economica, ai rapporti fra stati, sanno qual è la situazione, quali sono i loro interessi e come si fa a farli valere. La negoziazione, in questo approccio, è vista come braccio di ferro e come arena dell’arte dell’argomentazione, dove le parti imparano molto poco l’una dall’altra e assumono come unici risultati possibili o una vittoria schiacciante o dei compromessi più o meno equilibrati a seconda dei rapporti di forza. In contrasto con questa impostazione i fautori degli 2 approcci alternativi vedevano la negoziazione e ancor prima le fasi di pre-negoziazione come momenti topici di apprendimento reciproco (=il conflitto come risorsa, come occasione per acquisire nuove conoscenze), in cui una terza parte, che gode la fiducia di tutti i partecipanti, ha il compito di creare un contesto di “comunicazione controllata” (John Burton, citato in Fisher Ronald,1997) che rende possibile il distacco necessario per elaborare congiuntamente una analisi multi-dimensionale del conflitto e delle sue possibili soluzioni. Un processo dunque che, essendo basato sulla capacità di tutte le parti di vedere ogni singolo problema da una molteplicità di punti di vista, corrisponde a un paradigma di tipo “pluralista” e a una nuova idea di “comunicazione” che faceva riferimento alle emergenti teorie sui “sistemi aperti”(von Bertalanffy,1950 e Ashby, 1964). Il paradigma dell’azione–ricerca. L’indagine sulle dinamiche della gestione creativa dei conflitti ha le sue radici negli studi pionieristici dello psicologo sociale Kurt Lewin il quale, ebreo fuggito dalla Germania nazista prima in Inghilterra e poi negli Usa, inizia nella seconda metà degli anni ’30 ad elaborare un approccio radicalmente nuovo nelle scienze sociali che chiama “azione–ricerca.” Si tratta di un vero e proprio nuovo paradigma che differisce da quello positivista dominante sia nei principi ai quali la ricerca si ispira, sia per i luoghi in cui la stessa si svolge, che per le modalità e dinamiche di osservazione/ascolto. Due parole su ognuno di questi punti. I principi. L’approccio della “azione –ricerca” diverge dalla ricerca accademica tradizionale almeno in tre direzioni: a. una realtà sociale non può esser compresa senza la descrizione di come è vista dalle persone che la vivono; b. un approccio narrativo etnografico, che richiede una specifica capacità di ascoltare e osservare, è un complemento indispensabile alle rilevazioni in termini quantitativi; c. le ipotesi sulla realtà sociale si verificano provando a cambiarla. (Da una intervista a un ex-allievo di Lewin, di nome Chris Argyris, sul Organizational Development Journal, n. 2, estate 2003) “Niente è più pratico di una buona teoria” è lo slogan più famoso di Lewin, divenuto il marchio dell’azione-ricerca. I luoghi. Tipicamente questi studiosi sviluppano i loro esperimenti direttamente sui luoghi di lavoro e di vita, coinvolgendo dirigenti, operatori, abitanti. Alla base di questa impostazione vi è l'idea che in un sistema sociale complesso e turbolento, la prevedibilità e l'ordine sono raggiungibili solo se i soggetti che ne fanno parte si trasformano in una "comunità indagante", cosa a sua volta possibile solo garantendo: 1. una situazione di agio reciproco, dove é assente la minaccia di "perdere la faccia”, 2. dove le persone possono elaborare un quadro di valori condivisi abbastanza ampio da rendere inoffensive le aree di disaccordo, che verranno poi affrontate, ma in un clima di collaborazione e fiducia reciproca 3. dove ciascuno possa intervenire ed essere notato dagli altri come protagonista individuale. Sono condizioni che molto raramente si trovano “spontaneamente” nelle istituzioni tipiche delle società moderne e che i pionieri dell'azione ricerca – come vedremo fra poco - creavano sperimentalmente all’interno degli uffici e delle fabbriche, nelle scuole e nella pianificazione del territorio, in collaborazione con i leader più illuminati delle grandi aziende, delle istituzioni pubbliche e dei governi locali e nazionali. Modalità e dinamiche di osservazione/ascolto. L’azione- ricerca è ricerca partecipativa, basata sull’ascolto pro-attivo. Per l’azione ricerca non esiste partecipazione senza ascolto pro-attivo (che in questo testo chiamiamo semplicemente "ascolto attivo”) e viceversa, l’ascolto attivo è intrinsecamente inclusivo, partecipativo. L'osservazione etnografica, guidata dall’ascolto attivo, comporta che prima di chiedersi se un certo comportamento di un qualsiasi interlocutore è giusto o sbagliato, vero o falso, ci si chieda come mai a lui sembra giusto e vero. In che cosa differisce il suo modo di vedere e interpretare la situazione dal nostro perché a lui una cosa che a noi sembra sbagliata, sembri invece corretta. L’ascolto attivo, nella vita quotidiana tanto quanto nella ricerca scientifica, è la premessa necessaria alla gestione creativa dei conflitti. 3 Una disciplina accademica sui generis. Molte persone, quando sentono parlare di “gestione creativa dei conflitti”, pensano che si tratti di una scoperta recente, di uno dei molti ricettari dalle fragili basi teoriche, nati dalla contingenza e dalla moda del momento. Al contrario si tratta probabilmente del campo nelle scienze sociali in cui si è verificato il massimo di continuità di ricerca e di cumulatività dei risultati dal secondo dopoguerra in poi. Può sembrare paradossale che queste due caratteristiche – continuità e cumulatività dei risultati – agognate da ogni disciplina mainstream, si riscontrino invece in un campo di ricerca ancor oggi considerato con diffidenza e quasi sempre trascurato nei principali manuali e corsi di laurea di sociologia. La spiegazione è che l'azione ricerca, nonostante le difficoltà di dialogo con il resto delle scienze sociali, è stata fin dall’inizio - come vedremo- accolta e coltivata in nicchie di ricerca collocate in alcune delle istituzioni più prestigiose del mondo, come Cornell, Harvard, MIT, George Mason University, Pennsylvania University, Tavistock Institute di Londra e così via. Quindi se di isolamento si vuol parlare, bisogna aggiungere un aggettivo tipo "splendido" o per lo meno "dorato." E’ vero però che l‘espressione “gestione creativa dei conflitti" è entrata in uso solo di recente, anche perchè fino a pochi anni fa bastava usare il termine “creativo” perché un determinato approccio venisse ritenuto automaticamente “non scientifico.” In questa sede la uso come cappello generale e filo conduttore di una serie di scoperte, svolte, interessi, esperienze, che dagli anni ’40 all’inizio anni ’80 erano chiamate “Group Dynamics” e che in seguito spesso vengono etichettate “Alternative Dispute Resolution” (ADR). La prima fase è dominata da centri e istituti di ricerca fondati ad hoc per lo studio delle “Dinamiche di Gruppo” e la formazione di facilitatori del cambiamento sociale (“change agents”) in vari campi: internazionale, relazioni industriali, governance, organizzazioni educative e comunicazione interetnica. Quelli più importanti sono il Tavistock Institute of Human Relations di Londra che vede fra i suoi esponenti Wilfred Bion, Eric Trist e Fred Emery, i National Training Laboratories (NTL) fondati da Kurt Lewin, Ron Lippitt e altri negli Usa con sede a Bethel, una cittadina del Maine, e il Research Center for Group Dynamics del MIT. Quest’ultimo, dove con Lewin lavoravano alcuni suoi ex allievi come Leon Festinger, John R P French e Ronald Lippitt, nel 1948, a causa della prematura morte di Lewin e conseguente carenza di finanziamenti, fu trasferito nello stato del Michigan, noto per i generosi finanziamenti alle scienze sociali. Questi tre istituti, fondati tutti a metà degli anni ‘40, per la ricchezza e originalità delle elaborazioni teoriche e per il ruolo di poli di attrazione intellettuale, segnano una intera epoca, che è stata denominata “l’età degli eretici” (Kleiner, 1996) , la quale arriva a conclusione alla fine degli anni ’70, quando si apre una nuova fase che coincide con la creazione del Harvard Negotiation Center all’ultimo piano della Harvard Law School e con l’uscita del manuale “Getting to Yes” di Roger Fisher e William Ury (1981). E' questa l'età della divulgazione della gestione creativa dei conflitti e della diffusione di questo approccio nelle istituzioni universitarie in tutto il mondo tramite la creazione di nuovi insegnamenti e interi corsi di laurea; dagli anni '90 in poi inizia l'ingresso non più episodico, ma stabile di questi approcci nelle istituzioni pubbliche e private. In questo articolo sostengo che il fatto che la fase della divulgazione ed istituzionalizzazione sia stata preceduta da quella degli eretici, è fondamentale. Il radicamento attualmente in atto di questi saperi ed esperienze nella scuola, nella società e nelle istituzioni governative, avrà tanto più fiato e possibilità di successo quanto più saprà valorizzare lo spessore teorico e respiro ideale delle sue radici alle quali hanno contribuito, oltre agli autori già citati, anche le opere di autori come J. Dewey e G. Bateson (rispettivamente i concetti di learning by doing e di deutero-apprendimento) e l’interessamento personale e vivace di ricercatori come Carl Rogers, Abraham Maslow, Jacob Moreno, Erik Erikson. La scaletta da qui in poi è la seguente: A. L' Età degli Eretici: 1. Folgoranti esperimenti sotto la guida di Kurt Lewin negli anni ’40 ; 2. I "T groups", i National Training Laboratories (NTL) e Warren Bennis; 3. Forme dell’autorità e 4 gestione dei conflitti: Wilfred Bion, Chris Argyris, Donald Schon; 4. Strutture di potere e governance: le fabbriche e il territorio Eric Trist e Frederick Emery. B. L’Età della Divulgazione e Istituzionalizzazione: 1. I principi della Gestione Alternativa dei Conflitti (ADR): Getting to Yes; 2. I principi della Gestione Alternativa dei Conflitti (ADR): Getting Past NO; 3. Il Confronto Creativo: la politica ridefinita sull'onda di un circolo virtuoso Società Civile- PA-Università. A. L'Età degli Eretici. 1. Folgoranti esperimenti sotto la guida di Kurt Lewin negli anni ’40. Kurt Lewin era un professore di psicologia sociale ebreo-tedesco rifugiatosi negli Usa nel 1933, inizialmente all’università dell’Iowa dove un gruppo di suoi allievi diventarono i suoi primi collaboratori. A metà degli anni ’40 venne chiamato al MIT di Boston dove fondò e diresse il Research Center for Group Dynamics e dove morì improvvisamente nel 1947 di attacco cardiaco a soli 57 anni. Lewin e i suoi collaboratori hanno dedicato una grande quantità di tempo allo studio del cambiamento di abitudini profondamente radicate (da quelle alimentari a quelle relative alle dinamiche di potere) mettendo a confronto situazioni di fallimento nel raggiungere cambiamenti desiderati con altre in cui invece tale cambiamento si era risolto felicemente. Man mano che elaboravano delle ipotesi, cercavano metterle alla prova in contesti della vita quotidiana. Persuadere degli interlocutori a far entrar “a casa loro” degli estranei per condurre questo tipo poco ortodosso di ricerca, era tutt’altro che facile per chiunque, tranne che per Kurt Lewin, il cui leggendario carisma personale rendeva affascinante persino il pesante accento tedesco. E’ così che uno degli studenti di Lewin, un certo Alfred Marrow, proprietario di una fabbrica di pigiami in North Carolina, decise di rivoluzionare l’intero ciclo produttivo dello stabilimento, assegnando le decisioni relative ai tempi e metodi di lavoro direttamente ai lavoratori dei reparti, divisi in piccoli gruppi funzionali. Con grande stupore di tutti i benpensanti, ne risultò un notevole miglioramento sia dei livelli di produzione che del morale dei lavoratori. Questa esperienza (e questo da solo basterebbe a spiegare le antipatie nell'accademia) venne non solo ripresa e descritta in numerosi articoli sia accademici che giornalistici, ma ispirò anche un racconto che divenne un best seller (di Richard Bisell, intitolato Seven and a Half Cents), e poi un musical di Broadway intitolato Pijama Game, che dal 1948 in poi tenne il cartellone per parecchi anni e infine nel 1957 divenne un film di Hollywood, con la coreografia di Bob Fosse, starring Doris Day e John Raitt, regia di George Abbott. Contemporaneamente, sempre inizio anni ’40, un altro ex-allievo, Ron Lippitt, ha organizzato un ancor più noto esperimento sui rapporti fra stili di leadership e dinamiche di gruppo. Questa ricerca ha coinvolto un gruppo di ragazzini della scuola media, di circa 11 anni, invitati a diventare membri di un “Club per teen-agers” che funzionava in base a sezioni di cinque membri l’una. Queste sezioni avevano come supervisori degli studenti di college addestrati ad impersonare diversi tipi di leader: autocratico, laissez-faire e democratico. Ad ognuno di questi stili corrispondevano precise istruzioni alle quali attenersi: se i ragazzi dovevano costruire dei modelli di aeroplani, il leader autoritario dava istruzioni precise e pretendeva in modo pignolo che fossero rispettate, il laissez faire non offriva né istruzioni né commenti, e quello democratico aiutava i membri del gruppo a sviluppare un proprio progetto e a darsi una propria organizzazione, nel modo meno coercitivo possibile. Il fatto che Kurt Lewin filmasse tutto non sembrò turbare i ragazzi ai quali venne detto che era un professore che voleva “documentare come procede il club.” I membri dei gruppi con leader laissez-faire dopo un po’ mostravano chiari segni di frustrazione e di disimpegno. Quelli con capi autoritari assumevano comportamenti o molto obbedienti o aggressivi e propensi al vandalismo. Quelli dei gruppi democratici tendevano a comportarsi in modo più tollerante e responsabile, e pur mettendoci più tempo alla fine erano orgogliosi del lavoro svolto collettivamente. Ma il risultato più interessante 5 emerse quando, dopo che uno stile di leadership si era consolidato, veniva improvvisamente cambiato per osservare i conseguenti cambiamenti negli atteggiamenti e interazioni del gruppo. In particolare si notò che mentre il passaggio dallo stile democratico a quello autoritario avveniva seppure con episodi di sconcerto e resistenza, in tempi relativamente rapidi, quello in senso contrario, da autoritario a democratico, incontrava molte più difficoltà, blocchi e incomprensioni. Questi risultati erano ancora freschi quando gli Usa entrarono in guerra. Durante gli anni della guerra a Lewin e Lippitt si aggiunsero in pianta stabile altri due giovani ricercatori: Ken Benne ex allievo di Dewey e Lee Bradford un abile organizzatore. Un quadriumvirato che sarà il fondatore alla fine del 1946 dei National Training Laboratories (NTL). Questa decisione fu preceduta e stimolata da un’ulteriore esperienza sul campo, conosciuta come il “Connecticut Workshop.” Nel luglio del 1946 su richiesta di un dipartimento dello Stato del Connecticut e con la sponsorizzazione della National Conference of Christians and Jews, Lewin organizzò un laboratorio di due settimane su come migliorare le relazioni interetniche e in particolare quelle fra neri ed ebrei. Vi parteciparono una cinquantina di persone, insegnanti, operatori sociali, leader di comunità provenienti dai ghetti urbani, leader sindacali e piccoli imprenditori e negozianti. Il laboratorio era centrato sulla narrazione di episodi conflittuali e loro discussione in piccoli gruppi, che precedevano e seguivano dei giochi di ruolo che inscenavano come la conflittualità interetnica entrava nell’esperienza lavorativa e di vita dei partecipanti. Le riflessioni di gruppo misero in luce in particolare due modalità comportamentali diffuse e ricorrenti: primo, tipicamente gli adulti di fronte a incidenti di incomprensione interetnica, reagivano al disagio proprio e altrui, sforzandosi di ritornare immediatamente in controllo tramite la elaborazione di regole di comportamento “razionali”da imporre all’interlocutore; in secondo luogo evitavano di parlare delle reciproche emozioni in termini soggettivi ( "io mi sento attaccato", "provo rancore" , ecc.) trattandole invece come giudizi da difendere oppure da ignorare e persino nascondere, in quanto distorsioni della conoscenza o sentimenti di cui vergognarsi. Il punto di svolta della conferenza si verificò in una tarda sera della seconda settimana quando un gruppetto di partecipanti di ritorno da una passeggiata, chiesero di entrare ad ascoltare nella stanza dove i facilitatori erano riuniti a commentare la sessione della giornata. A un certo punto, poiché uno dei facilitatori stava parlando di una persona presente, si rivolse direttamente a lei chiedendole di aggiungere le proprie osservazioni. Ne seguì una discussione che tutti i presenti giudicarono molto più interessante e fruttuosa di quelle svolte fino ad allora sia di giorno che di sera. La partecipante rivelò di essere divenuta più consapevole delle dinamiche in atto nella comunicazione interetnica e che era rimasta molto frustrata quando il facilitatore aveva interrotto un gioco di ruolo in cui era impegnata, senza tener conto che lei non aveva ancora finito di portarlo a conclusione. Una risata generale accolse questo commento e Kurt Lewin, padre fondatore della “psicologia partecipativa”, era raggiante: “ Sta emergendo un principio con vaste implicazioni per il nostro lavoro.” (Kleiner 1996, pag 35) Dal giorno dopo tutti i partecipanti al laboratorio che lo desideravano furono invitati anche alle discussioni serali sulle sessioni giornaliere. Le barriere fra operatori e partecipanti si dissolsero e tutti si considerarono membri di una stessa comunità vernacolare con facoltà di correzione reciproca: i partecipanti verso gli scienziati sociali e questi verso i partecipanti. 2. I “T group”, i National Training Laboratories (NTL) e Warren Bennis Il “Connecticut Workshop” aveva inventato un prodigioso nuovo tipo di ricerca e di feedback che ha come oggetto il flusso della conversazione e come strumento l’auto-consapevolezza emozionale, ovvero la scelta di anteporre a qualsiasi giudizio, la comprensione di tutti i punti di vista e tutti i sentimenti. Questa ricerca congiunta che assegna ai soggetti studiati il ruolo di protagonisti venne chiamata “T group”, dove T sta per training. L’approccio “T group” rimane anche oggi la radice di ogni formazione al team-building. Nei mesi successivi piovvero le richieste di ripetere questo tipo di laboratorio nelle situazioni più varie: dai corsi della associazione nazionale degli educatori a quelli per gli ufficiali della Marina. Fu per far fronte a queste richieste che vennero fondati i NTL. Purtroppo subito dopo Lewin morì 6 e l’impresa rimase affidata all'iniziativa e ingegno dei suoi collaboratori. I membri del NTL si concepivano come ricercatori (“fellows”) di una istituzione accademica sui generis, che opera nel nuovo campo delle “relazioni umane” per formare “change agents”, ovvero dei leader di comunità capaci di promuovere organizzazioni egualitarie, democratiche e partecipatorie in tutto il paese. Per cambiare in modo permanente atteggiamenti e comportamenti automatici, dati per scontati, sosteneva Lewin, è necessario che i soggetti e gruppi passino attraverso tre stadi: Scongelamento, Cambiamento, Ricongelamento (Unfreezing, Change, Refreezing). L’errore della ricerca scientifica positivista è di sottovalutare e saltare il primo stadio; il tallone di Achille dei NTL risultò invece localizzato nel terzo stadio: mentre nel primo stadio erano un portento e nel secondo se la cavavano bene, rimase sempre sfuggente e insoddisfacente la stabilizzazione dei risultati nelle avversità della vita quotidiana. Una normale sessione T Group a Bethel durava tre settimane, con arrivo la domenica sera. L’ apprendimento avveniva attraverso la riflessione dal vivo sulle reciproche relazioni e sulle resistenze e difficoltà a condurle in termini non difensivi-offensivi, ma esplorativi e creativi. Per prima cosa tutti i partecipanti si allenavano per diventare dei buoni ascoltatori. Poi, grazie alla nuova capacità di ascolto, si esercitavano a riconoscere e praticare i vari stili di leadership, e infine partecipavano tutti assieme a un grande gioco di ruolo chiamato “Regional City” in cui, nei panni dei principali protagonisti di una comunità, erano impegnati a definire e affrontare i problemi comuni. Erano previste anche delle lezioni frontali, fondamentalmente sulle teorie ed esperienze prodotte dai ricercatori dei NTL e del Tavistock di Londra. Nozioni e racconti come quelli che mi accingo a delineare in questo e nei prossimi due paragrafi. L’intera esperienza dei NTL fu accompagnata dalla costante protezione e simpatia di Douglas McGregor autore di The Human Side of Enterprise (1960) e fondatore del Dipartimento di Studi Organizzativi alla Sloan School del MIT, che la raccomandava a tutti i manager e dirigenti che incontrava, i quali divenivano a loro volta dei promotori, riuscendo a volte a portare queste esperienze direttamente nei loro contesti lavorativi. Fra gli interventi di consulenza più importanti va ricordato quello bilaterale che nel 1958 ha coinvolto contemporaneamente sia i dirigenti aziendali che quelli sindacali della più grande raffineria del New Jersey, la Beway. I due prof. che se ne occuparono, Robert Blake e Jane Srygley Mouton, finirono con il sentirsi così coinvolti in questa esperienza, umanamente intensa e ricca di invenzioni teoriche e metodologiche, che alla sua conclusione lasciarono l’università per dedicarsi totalmente al lavoro di consulenza. Veniva così al pettine uno dei nodi centrali nei rapporti fra scienze sociali "impegnate" e scienze puramente descrittive: a chi è impegnato nel cambiamento le ricerche pre-ordinate e considerate rigorose in ambito accademico appaiono non di rado “una perdita di tempo” e d’altra parte l’accademia considera “prive di rigore scientifico” le riflessioni in stile "T group." Messi di fronte a questo spartiacque, Blake e Mouton fecero la loro scelta. In seguito, in particolare le ricerche di Chris Argyris e le riflessioni di Donald Schon sul “professionista riflessivo” intesero dare un importante contributo a colmare questo gap. Nel 1968 i NTL vanno in crisi per l’impossibilità di corrispondere alle aspettative suscitate e per contestazione interna, quando gruppi di leader neri e di femministe trasformano le sessioni a Bethel in occasioni di denuncia del potere dei bianchi e del ruolo marginale ricoperto fino ad allora dalle donne. Una profonda revisione dell’intera impostazione era necessaria. Nel 1968 la presidenza dei NTL fu offerta a un brillante studioso e consulente di 44 anni, Warren Bennis, autore, fra le altre cose, di un articolo intitolato “Democracy is inevitabile” (scritto col sociologo Philip Slater sulla Harvard Business Review, nel 1964) nel quale veniva prevista l’implosione del regime sovietico “anche se gli Stati Uniti non avessero mosso un dito per combatterlo” e una profonda evoluzione delle forme della democrazia dalla semplice rappresentanza politica a “una società di persone capaci di impegnarsi in comunicazioni piene e libere indipendentemente dalle posizioni gerarchiche e di potere.” Bennis prefigurava una società in grado di affrontare i conflitti con il metodo del consenso invece che con schieramenti e voti di maggioranza e di far tesoro dell'input cognitivo delle emozioni. Questi cambiamenti - sosteneva 7 l'articolo - erano inevitabili perché corrispondevano a mutamenti sistemici in atto a livello mondiale, ma per lo stesso motivo anche le forze impegnate a combatterli si sarebbero mobilitate e questo sarebbe stato il vero fronte di lotta del secolo futuro (Kleiner, 1996, pag 237). Di conseguenza il progetto di Bennis è di trasformare i NTL in una “Università per il cambiamento sociale”, con sede nelle vicinanze di Washington DC perché fosse chiaro che il suo target principale erano i dirigenti degli apparati governativi a tutti i livelli. Un progetto ambizioso ed articolato, che prevedeva un centro di formazione per manager di impresa, dirigenti sindacali e organizzatori di comunità, un centro per pianificatori urbani e giornalisti, dove i primi avrebbero potuto mettere a confronto le loro metodologie ed esperienze e i secondi allenarsi a riconoscere e descrivere le dinamiche di gruppo che sottendono le notizie quotidiane. Era ovviamente previsto anche un “Centro per la soluzione dei conflitti” in grado di inviare squadre di esperti nei luoghi di maggior conflitto nelle varie parti della terra per svolgere lavoro di prevenzione e di de-escalation e aiutare i processi di peace building. Una Università, infine, in prima linea nel porre fine alla guerra nel Vietnam grazie alla “preparazione di corpi di pace” armati di competenze comunicative complesse, empatia, team building, gestione alternativa dei conflitti. (Le stesse armi che Gandhi e gli altri leader della nonviolenza avevano usato così efficacemente.) Questo progetto avrebbe richiesto – si calcolava - da 5 a 15 milioni di dollari e si stabilì che avrebbe potuto iniziare se il primo milione di dollari fosse stato raccolto tramite donazioni entro un anno. Dopo un anno la quota raggiunta era di appena 250 mila dollari e per queste ed altre ragioni il sogno di questa università, che avrebbe dovuto chiamarsi University for Man and for Applied Behavioral Sciences, venne lasciato cadere. Rimane a Warren Bennis il merito di aver “pensato in grande” in linea con un'esigenza da sempre presente nel movimento delle Group Dynamics: quella di non rinunciare a cimentarsi con situazioni in cui si è chiamati a ridisegnare le strutture di potere ripensandole da cima a fondo, quando si valuta che i cambiamenti in corso nel più ampio contesto lo richiedono. Nel 1971 Bennis accettò l’incarico di presidente dell'Università di Cincinnati dove negli anni seguenti realizzò una parte delle idee che aveva in mente in particolare quelle relative alle relazioni umane all'interno degli Istituti e un centro di co-progettazione creativa imperniato su urbanisti, giornalisti e popolazione dei quartieri in crisi. 3. Forme della autorità e gestione dei conflitti: Wilfred Bion, Chris Argyris, Donald Schon. Quello che gli esperti di Group Dynamics (GD) e Organizational Development (OD) chiamano "Modello Tavistock" è una strumentazione euristica (di ricerca) per identificare e comprendere quali processi consci e subconsci avvengono nei gruppi e fra i gruppi di persone. E’ un modello basato su una epistemologia dei sistemi aperti e la sua originalità teorica e pratica consiste nel far emergere la consapevolezza dei processi emozionali contrari e/o favorevoli all'apprendimento di gruppo. Il testo più importante, per molti versi fondativo, è Experiences in Groups (1961), che raccoglie le esperienze svolte dall’autore, Wilfred R. Bion, e dai suoi colleghi, nei primi anni ’40 nell’ospedale militare di Northfield per ufficiali rimandati in patria dal fronte per il manifestarsi di problemi psichici. Si trattava di un numero tale di “pazienti” che era impossibile pensare di curarli individualmente e quindi la domanda che emerse fu: è possibile fare in modo che si curino fra loro invece di dipendere da psicologi e psichiatri? Il primo passo decisivo fu notare che i pazienti se lasciati a se stessi mettevano in atto dinamiche di gruppo che punivano i comportamenti di miglioramento, il secondo fu individuare quali condizioni si dovevano creare per far in modo che il gruppo agisse come una "comunità terapeutica." Il metodo messo a punto diede risultati straordinari e il Tavistock Institute for Human Relations venne fondato nel 1946 allo scopo di approfondire questo tipo di studi e renderli disponibili per tutti i campi della vita sociale. Nel testo sopra citato Bion sostiene che ogni gruppo funziona a un doppio livello, quello operativo ed esplicito che chiama “assunti di lavoro" e quello delle premesse implicite o “assunti di base”, che rimane inconscio. Questo secondo livello è decisivo per capire le dinamiche relazionali e lo si può vedere all’opera osservando le reazioni alle reazioni fra i membri del 8 gruppo e interpretandole in termini di “as if”: il gruppo si comporta “come se” certe premesse implicite fossero date per scontate da tutti i suoi membri . Bion distingue tre tipi di “assunti di base” che scattano automaticamente nei rapporti di gruppo: il modo dipendenza e il modo fight/flight (combatti/fuggi) contrari all’apprendimento di gruppo e il modo accoppiamento (“pairing”) che prepara la strada al sorgere di un nuovo leader carismatico. Per capire di cosa si tratta, è utile pensare a una normale classe scolastica, con i banchi disposti in file parallele e l’insegnante in cattedra che fa una lezione frontale. In un ambiente di questo tipo gli allievi agiscono come se tutto dipendesse dal fare attenzione alle parole del docente e avere fede nella sua competenza e non hanno alcun motivo e/o desiderio di apprendere l'uno dall'altro (dipendenza) ; la frustrazione si sfoga o con atti di “fuga” (si pensa ad altro, non si sta attenti, si bigia la scuola) oppure con atti di protagonismo (prendere la parola) che però sono letti come segni di presunzione e di sfida alla autorità (combatti). Il gruppo che invece opera in base all’assunto dell’accoppiamento si comporta come se i suoi incontri fossero finalizzati all’emergere di un Salvatore o Messia. In questi gruppi di solito un paio di partecipanti (indipendentemente dal sesso) si assumono il compito di preparare le condizioni per l’emergere di un nuovo leader (o mettere al mondo una nuova idea) che risolverà tutti i problemi. Nessuna di queste dinamiche contempla l’apprendimento e insegnamento reciproco, previsto invece dall'approccio di Bion, che in modo estremamente radicale ed esplicito (Bridger, 1990) pone come obbiettivo prioritario non la "soluzione dei problemi", ma la riflessione dal vivo da parte di piccoli gruppi sulle proprie tensioni interne, con l'intento di evidenziare i segni del comportamento nevrotico col loro bagaglio di frustrazioni, sprechi di energia, e di infelicità. Ed è proprio l’assoluta priorità del capire e della riflessione fenomenologica rispetto all’urgenza di trovare delle soluzioni, che sta alla base del successo dell'esperienza, misurato nella percentuale di ufficiali che decidono di non ritirarsi a vita privata,ma di ritornare al fronte. Le implicazioni di questo approccio alle difficoltà di comunicazione e di decisione anche in ambienti lavorativi e della vita quotidiana , sono subito molto chiare fra i membri del Tavistock e dei NTL e l’entourage di intellettuali loro amici. Per esempio Chris Argyris, in un libro del 1957 intitolato Personality and Organization, documenta l’utilità della distinzione fra assunti di lavoro e assunti di base per la comprensione delle tensioni interne al management delle grandi organizzazioni. Argyris, che in gioventù è stato uno dei principali collaboratori dei NTL, nel libro in questione mostra con una pletora di esempi che le grandi corporations trasformano inevitabilmente i propri manager in persone dai comportamenti infantili. In questi ambienti, infatti, da un lato si è tutti convinti che i manager devono essere dotati di grande fiducia in se stessi e grande iniziativa personale, dall’altro la presenza di persone mature, dal pensiero indipendente, viene vissuta come una minaccia. Come già indicato da Bion relativamente ai gruppi di ufficiali in crisi, anche i manager vivono una condizione di doppio legame: se dicono quello che pensano vengono considerati inadatti al lavoro di gruppo, se accettano un ruolo più inoffensivo suscitano dubbi sulle loro capacità di leadership. Di qui il valore dei T groups che mettono gli individui nella condizione di riflettere sui vincoli e automatismi impliciti nelle proprie interazioni e di riconoscere quando stanno mettendo in atto modi di pensare e di relazionarsi distruttivi. Al tempo stesso bisognava ammettere che tutti i progetti più ambiziosi attivati dai NTL, dopo le prime fasi esaltanti, fallivano miseramente. Uno dei più importanti ha riguardato nel 1963 -1964 un intervento formativo rivolto ai funzionari del Dipartimento di Stato Americano, famosi per i loro litigi nonostante fosse loro compito gestire ambasciate, consolati e i rapporti diplomatici in giro per il mondo. Nel 1963, ancora sotto l’impulso innovatore della presidenza Kennedy, un gruppo di esperti dei NTL venne incaricato di fornire a questi funzionari competenze di team building e di gestione creativa dei conflitti. La reazione dei partecipanti fu entusiasta: il laboratorio portò a galla una quantità di incomprensioni e malintesi ricorrenti fra diplomatici e fra diplomatici e amministrativi e insegnò loro come trasformare questi dissensi in modo creativo e costruttivo. I commenti erano del tipo “Pensate se si riuscisse a fare un T group con i russi e gli israeliani !!” Ma non appena si arrivò al terzo 9 stadio (ricongelare) ovvero al tentativo di far funzionare normalmente intere sezioni secondo questi principi, la struttura di potere dominante si mise in moto come uno schiacciasassi e i saperi e relazioni costruiti nei T group si mostrarono privi di difese. Visti con le lenti delle gerarchie tradizionali i dirigenti che “rinunciano al controllo” sono degli incapaci. William Crockett, il sottosegretario che aveva favorito questo progetto, fu emarginato e nel 1967 diede le dimissioni. Il rapporto scritto da Argyris sull’intera vicenda venne considerato oltraggioso e si fece di tutto per impedirgli di circolare. Tutto il lavoro degli anni seguenti di Argyris può essere letto come un impegno ad andare a fondo sulle ragioni di questi fallimenti: come evitare che i dirigenti che avevano imparato a essere co-protagonisti e a mettere al primo posto il futuro aziendale, alla prime situazioni di tensione ridiventino dei burocrati preoccupati solo della loro carriera? Nel 1971 Argyris si trasferisce ad Harvard dove in una ricerca della Fondazione Ford sulla leadership nelle scuole, di nuovo pone al centro i suoi interrogativi impertinenti: come mai anche quando le loro conoscenze si dimostrano palesemente inadeguate, questi professionisti vi rimangono attaccati? Come mai non esplorano altre possibili impostazioni, in primis quelle avanzate dai loro rivali ? (Kleiner, 1996, pag 252) Sono queste le basi per la feconda e durevole collaborazione con il filosofo del MIT, Donald Schon, il quale nel libro intitolato Il Professionista Riflessivo, descrive cosa fanno invece i professionisti quando non rimangono vittime di questa strana mancanza di curiosità per altri mondi possibili e illustra come si trasforma l’idea stessa di competenza professionale, quando il professionista opera in base a una epistemologia per la quale i risultati sono il prodotto di una molteplicità di interazioni contestuali e non frutto di catene causali-lineari. La collaborazione fra Argyris e Schon ha prodotto una “teoria dell’azione-scienza ”(che sostanzialmente rilancia una concezione della ricerca scientifica imperniata sui principi Lewiniani) divenuta un riferimento obbligatorio per chi si occupa di apprendimento nelle e delle organizzazioni. Alla base di questa teoria ci sono due nozioni: la distinzione fra teorie dichiarate e teorie in uso e il concetto di double loop learning. La distinzione fra teorie dichiarate e in uso (che ricorda quella di Bion fra assunti di lavoro e assunti di base) è la seguente. Le prime coincidono con i principi e atteggiamenti sul mondo che scegliamo e che siamo convinti di seguire, le seconde si ricavano dai modi effettivi in cui ci comportiamo in situazioni di tensione e di crisi. I funzionari uscivano dai seminari T group per davvero convinti che il metodo del bastone e della carota non fosse più adatto alla complessità delle loro organizzazioni e che si dovevano adottare approcci più partecipativi e dialogici. Ma quando, tornati sul lavoro, emergevano delle difficoltà, si accorgevano che gli unici principi di cui si fidavano e che sapevano far funzionare erano ancora quelli del bastone e della carota. Il cambiamento delle teorie in uso è più complesso di quello delle teorie dichiarate. Per metterlo in atto bisogna continuare a far emergere le teorie in uso in situazioni sempre nuove (praticando l’osservazione circolare, delle reazioni alle reazioni) e creare spazi e predisporre dei modi operandi che consentono di vivere come se le teorie in uso fossero già cambiate. Il ricorso a facilitatori può servire a questo, nella misura in cui gli stessi sono i garanti erga omnes di nuovi giochi, di nuove regole e di spazi di sperimentazione delle stesse. La formula “simulare per innovare” (Schrage, 2000) ha le sue radici in queste considerazioni teoriche di Argyris e Schon. Il concetto di double loop si ispira a quello di “deutero-apprendimento” di Gregory Bateson e riguarda la distinzione fra cambiamenti che avvengono all’interno di un contesto di cui siamo parte e cambiamenti di quei contesti, e quindi fra cambiamenti che richiedono la messa in discussione di assunti dati per scontati (double loop learning) e cambiamenti che avvengono nel quadro di quegli stessi assunti (single loop learning). Cambiare le teorie in uso richiede una serie di double loop learning, non basta, come nei T group, essere aperti a informazioni sui meccanismi di difesa e sui paraocchi mentali incorporati nelle dinamiche della propria identità, del proprio ruolo professionale e della vita organizzativa. L’azione-scienza, secondo questi due autori, aiuta l’azione- ricerca a porsi queste distinzioni e apre la strada alla implementazione di decisioni che richiedono il cambiamento di abitudini radicate. 10 4. Strutture di potere e governance: le fabbriche e il territorio, Eric Trist e Frederick Emery. L’approccio del Tavistock di Londra si intreccia e in parte sovrappone a quello dei NTL anche con “scoperte parallele”, ma, pur essendo non meno visionario e radicale, è espressione di un ambiente teoricamente più sofisticato e sperimentalmente meno ingenuo. In particolare qui mi riferisco ai lavori di due esponenti dell’ala “non psichiatrica” del Tavistock, Eric Trist ed Fred Emery che hanno lavorato e insegnato entrambi in molti paesi di quasi tutti i continenti. La teoria inbase alla quale operano e che hanno contribuito a sviluppare è quella dei sistemi aperti, per la quale hanno un rilievo decisivo le caratteristiche dei contesti, in particolare se l’ambiente in cui opera è statico, in lento cambiamento o rapida evoluzione. Le burocrazie moderne, per esempio, efficaci in ambienti in lento cambiamento, sono totalmente inadeguate in ambienti complessi e “turbolenti”, dove è necessaria un’organizzazione a rete (che chiamano “democrazia organizzativa”). Eric Trist e Federick Emery definiscono “turbolenti” i contesti caratterizzati da: fragmentazione e differenziazione sociale, interdipendenza e diffusa conflittualità. Una prima straordinaria occasione di mettere alla prova le teorie dei sistemi aperti in un tale contesto si presentò nel 1960 quando venne loro chiesto di realizzare un corso di “leadership” per i manager di due grandi industrie produttrici di motori aerei, la Armstrong-Siddeley e la Bristol AeroEngines, che si stavano fondendo per reggere la concorrenza della Rolls Royce, ma i cui stili di lavoro e filosofie imprenditoriali non potevano essere più diversi (Weisborg, 1992). Al posto del corso richiesto venne organizzata una settimana di clausura durante la quale i manager dei due gruppi sperimentarono una modalità di indagine e di soluzione dei problemi, dalla quale uscirono con un nuovo senso di comune appartenenza basato sulla elaborazione di una visione condivisa del futuro aziendale e perfino col progetto di un airbus, un aereo di piccole dimensioni per collegamenti lungo linee territoriali oberate dal traffico automobilistico. Era nata la “Search Conference” (Weisborg,1992 pp 24-30) che negli anni seguenti fu praticata nei cinque continenti, su problemi di progettazione aziendale, sviluppo di comunità, progettazione urbana, risoluzione di conflitti internazionali (Weisbord 1992, M Emery e R.Purser, 1996, R. J. Fisher,1997). Poi, negli anni ’80 vi è stato un periodo di calo, in cui i trend di tipo economico e tecnocratico in atto nel mondo sono stati assunti o come positivi e intoccabili, e infine negli anni ’90 la Search Conference è stata riscoperta come progenitrice di una fioritura di approcci analoghi che vanno sotto il nome di “Large Group Interaction Methods” (Bryson e Anderson, 2000) e Consensus Building Approach (CBA), di cui mi occuperò più avanti. Un altro parallelo e fertile filone di intervento ebbe origine nel 1947, quando un allievo di post – dottorato al Tavistock invitò Trist a visitare una miniera di carbone a Haighmoor che aveva questa peculiarità: a causa della sua conformazione non era stato possibile riorganizzare il lavoro secondo i principi della rivoluzione industriale e tuttavia i suoi livelli di produzione erano più alti di quelli nelle miniere concorrenti. Trist e il suo allievo si fermarono a studiare il caso e scoprirono che i minatori avevano inventato una struttura organizzativa che era un ibrido di tradizioni antiche di lavoro e tecnologie post belliche. Lavoravano in gruppi nei quali ognuno di loro era in grado di effettuare una mezza dozzina di mansioni e i cui membri decidevano autonomamente sia la quantità e qualità del lavoro da svolgere che la vendita del carbone ricavato e si facevano carico di provvedere al mantenimento delle rispettive famiglie in casi di incidenti o decessi. I vari gruppi collaboravano nel fissare i principi organizzativi generali, ma erano anche in competizione fra loro arrivando a volte a vere e proprie risse. Nel complesso, la miniera di Haighmoor era molto più sicura e produttiva di quelle industrializzate perché i lavoratori sentendosi padroni del proprio lavoro vi apportavano continue modifiche che aumentavano assieme la loro sicurezza e la produttività. Trist ne ricavò una idea guida dei suoi lavori futuri: che aspetti vernacolari e industriali potevano diventare complementari invece che rivali. Il termine coniato per questa idea fu: “sistema socio-tecnico”. Ma quando egli, in stile Kurt Lewin, chiese di sperimentare questo tipo di organizzazione in altre miniere, si trovò di fronte un muro di allarme e di rifiuto. Il sistema socio-tecnico approdò invece nel 1962 in Norvegia dove l’università di Oslo chiese a Trist ed Emery di far parte di un team di lavoro sulla “democrazia 11 industriale” e dove numerosi manager delle imprese di stato norvegesi riconobbero nei principi del decentramento decisionale socio-tecnico una modalità organizzativa molto simile a quella che da giovani avevano praticato per combattere l’invasione nazista. Questi studi ed esperienze ispirarono in seguito il design (“da capo a piedi”) di interi stabilimenti industriali negli Stati Uniti (Kleiner, 1996, pag 71 e sgg) e poi in India, Canada, Australia e sono ancora oggi riferimenti fondamentali per chi si occupa di studi organizzativi, democrazia deliberativa e progettazione territoriale partecipata. Detto questo, si tratta pur sempre di esperienze veramente “eretiche” il cui successo è l’altra faccia del loro isolamento e della dichiarata condizione di “eccezionalità.” B. L’Età della Divulgazione e Istituzionalizzazione. 1. I principi della Gestione Alternativa dei Conflitti (ADR): Getting to Yes. Nel 1981 esce negli Stati Uniti Getting to Yes. Negotiating Agreement Without Giving in, di Roger Fisher e William Ury, che diventa rapidamente "il testo" della Alternative Dispute Resolution(ADR). E' un libro veramente "americano", sia come titolo che come stile espositivo, un libro di know how apparentemente spicciolo, del tipo "basta sapere come si fa e il problema è risolto." Niente teoria, niente citazioni, solo una serie di esempi, frutto di una casistica molto ampia che va dal conflitto sull'entità dell'affitto col padrone di casa, all'accordo di Camp David del 1979 (al quale effettivamente i due autori hanno contribuito in veste di consulenti del Presidente Carter). Diventa subito un bestseller strepitoso, che vende milioni di copie, ma, per quanto riguarda il nostro discorso, i nessi con gli interrogativi e raffinatezze epistemologiche dell'azione-ricerca, non sono evidenti. Eppure, anche grazie ad arricchimenti e adattamenti successivi che cercherò di illustrare in questa sezione, l'ADR è divenuto il perno di una rilettura e rilancio di tutti i motivi ed esperimenti sui quali l'azione-ricerca si era misurata nei cinquant' anni precedenti. In altri termini: l'impostazione dell'ADR, anche se a prima vista può apparire semplicistica, di fatto aiuta a comprendere meglio certi aspetti e dinamiche dell'ascolto proattivo, rendendolo per davvero più facilmente praticabile da chiunque sia interessato a farlo. Vediamo di che si tratta. Quando siamo parte in causa di una dinamica conflittuale o impegnati in un negoziato difficile ci fa notare Getting to Yes - il repertorio di comportamenti al quale facciamo riferimento è descrivibile in termini di due ideal-tipi: il negoziatore "mite" e quello "duro." Quasi tutti noi oscilliamo, chi più chi meno, fra l'uno e l'altro, oppure (sempre più spesso) se possiamo "divorziamo", rompiamo il rapporto. Se scorrete le prime due colonne della tabella qui sotto, vedrete che il negoziatore o negoziatrice mite tratta gli interlocutori come "amici", ha come scopo trovare un accordo e a questo fine è disposta a fare concessioni, è mite con l'interlocutore e disponibile sul merito del problema, ha un atteggiamento fiducioso, è flessibile, fa continuamente nuove proposte ed è anche disposta se necessario a sacrifici unilaterali. Il negoziatore duro, intransigente, al contrario, vede l'interlocutore come un avversario, ha come scopo la vittoria, minaccia ritorsioni, è duro sia con l'interlocutore che sul merito del problema, è convinto che non ci si deve mai fidare, non si smuove dalle proprie posizioni di partenza e gli sembra ovvio che gli vengano concessi vantaggi unilaterali. E' chiaro a tutti noi che se un negoziatore/negoziatrice mite ha a che fare con un interlocutore duro, è spacciata. Anche un negoziatore duro che ha a che fare con un altro duro, non ha una vita molto facile. Ma che altro si può fare? Provate da soli a riempire la terza colonna, che dovrebbe descrivere i comportamenti del negoziatore alternativo/creativo, il quale non è né mite né duro, esce dalle strettoie dei due ideal tipi. Se i protagonisti di una disputa, di un conflitto, di un negoziato con posizioni molto divergenti, non sono né amici né avversari, cosa altro possono essere? Se lo scopo non è né un accordo né la vittoria, che altro sarà ? Le risposte dell'ADR le riportiamo qui sotto, ma prima di leggerle prendete una matita e provate a rispondere da soli. E' un esercizio molto utile che, proiettato su uno schermo, ha fatto toccare con mano a intere scolaresche e platee (oltre che a milioni di lettori), uno dei limiti principali della 12 nostra educazione e cultura: la nostra ignoranza in gestione creativa dei conflitti e saperi correlati. Nelle società contemporanee è sempre più vitale saper trasformare i conflitti in occasioni di crescita e apprendimento sia individuale che collettivo e invece, in assenza di questi saperi di base, è come se l’umanità si trovasse a dover correre con una gamba sola. Adesso, leggendo i contenuti della terza colonna (sotto la tabella) vediamo assieme quali sono i comportamenti e le dinamiche che "cambiano il gioco." Gestione Creativa dei Conflitti: Schema Generale NEGOZIATORE POSIZIONALE: Mite Duro NEGOZIATORE ALTERNATIVO: Creativo I PARTECIPANTI SONO Amici Avversari Che altro ? LO SCOPO É L'accordo La vittoria ? Pretese Duro con la gente e sul problema ? ? Sfiducia ? Cambia Bloccato ? LE OPZIONI Fa proposte Si sacrifica unilateralmente Fa minacce Esige vantaggi unilaterali ? CONCESSIONI Fatte Mite con la gente e sul problema FIDUCIA Fiducia CAMBIARE LA POSIZIONE Terza colonna. I partecipanti non si considerano né amici, né avversari, ma "solutori di problemi." Questo implica un passaggio dal "io - tu" al "noi." Da:"Spendi troppo!" "No, sei tu che hai le mani bucate!" a: "Come facciamo ad arrivare a fine mese senza il conto in rosso?" Scopo: un esito equo, efficace, duraturo, saggio. E specialmente diverso da quelli che ognuno aveva in mente in partenza, in quanto rifletterà ciò che si riuscirà ad imparare grazie alle divergenze. Gli interlocutori concentrano l'attenzione non sul difendere/spiegare le proprie ragioni, ma sul capire bene le ragioni dell'altro, senza per questo rinunciare alle proprie. Sono: miti con l'interlocutore e duri sul problema. Questa formuletta, divertente perché risponde ad un o/o (o mite o duro) con un e/e (sia mite, con la persona, che duro sul merito del problema), non è però molto chiara. Sembra quasi un suggerimento ad essere ipocrita. Nel gioco del mite o duro, essere gentili con la persona implica una disponibilità anche nei contenuti, oppure un tentativo di circuirla. E quindi, che suggerimento è mai questo? Per capire di cosa si tratta bisogna scendere lungo la colonna (saltando per il momento la questione della fiducia) a "cambiare la posizione." Il mite la cambia spesso, è "flessibile", come si dice oggi; il duro non molla. Il creativo fa la mossa del cavallo: passa dalle posizioni agli interessi. Usa cioè le posizioni di partenza per risalire agli interessi e preoccupazioni più generali che le giustificano. In Getting to Yes questo passaggio è molto ben illustrato da una serie di esempi. Ne riporto due. Quello più semplice e più famoso, è il seguente: 13 Primo Esempio: La finestra della biblioteca. Due persone in una biblioteca pubblica litigano perché una vuole tenere la finestra spalancata e l'altra la vuole chiusa. Il primo si offre di lasciarla socchiusa, all'altro non va bene, ecc.. La bibliotecaria interviene e chiede al primo perché vuole la finestra aperta. Risposta: "Ho bisogno di aria fresca" Chiede al secondo perché la vuole chiusa: "Per evitare la corrente che mi fa venire i reumatismi." La bibliotecaria ci pensa un po’ e poi va a spalancare la finestra della stanza accanto: cosí nella stanza ci sarà aria fresca senza corrente. La posizione é ciò che le parti chiedono (finestra aperta/ chiusa), Gli interessi sono ciò che le ha portate a prendere quella posizione (bisogno di aria/ evitare correnti) . Per il negoziatore creativo il problema è trovare delle risposte non alle posizioni, ma agli interessi. E' importante sottolineare che in questo caso la bibliotecaria non fa emergere alcun elemento nuovo di conoscenza. Che l'uno avesse bisogno di più aria e l'altro volesse evitare le correnti, i due nel corso del litigio se l'erano ovviamente già detto. La differenza sta nel modo e qualità dell'ascolto. Nel diverbio fra i due litiganti la finestra rimane sempre in primo piano: "più aria" = "finestra aperta", "no alla corrente" = "finestra chiusa." Chi adotta l'ascolto attivo lascia sullo sfondo la finestra e si chiede: "Come si fa a garantire all'uno di respirare meglio e all'altro di evitare le correnti?" E' il mettere in primo piano gli interessi al posto della specifica rivendicazione che consente la moltiplicazione delle opzioni: se c'è una stanza adiacente, si userà quella, se non c'è si può proporre ad uno dei due di spostarsi in un'altra sala o portarsi i libri a casa o al bar , o fotocopiare quel articolo o quel capitolo e così via. E' il senso di essere ascoltati ("mi faccio carico dei tuoi problemi e m'impegno in tutti i modi a cercare di risolverli") che crea le condizioni della fiducia. Dunque: è il passaggio dalle posizioni agli interessi la mossa cruciale, caratteristica dell'ascolto pro-attivo, che apre la porta alla ricerca di altre opzioni e alla individuazione di soluzioni alternative inedite ( Sclavi e Susskid, settembre 2011) . Secondo Esempio: L’accordo di Pace di Camp David del 1979. Israele aveva occupato i territori del Sinai dal 1967 (guerra dei sei giorni). Nel 1978 per iniziativa di Jimmy Carter, iniziano gli incontri nella residenza Presidenziale di Camp David, nel Maryland, fra i rappresentanti di Israele (Pres. Begin) e dell’Egitto (Pres. Sadat). Posizioni: Israele: Disposti a restituire solo parte del territorio occupato. Egitto: Restituzione dell'intero territorio nazionale. Discussione sulle posizioni: vari tracciati di nuovi confini, tutti rifiutati. Interessi: Israele: Sicurezza. Egitto: Sovranità. Accordo: L’intera parte occupata del Sinai restituita all’Egitto, ma dichiarata zona smilitarizzata. Ovunque bandiere egiziane, nessun fucile o carro armato. Le domande generali per identificare gli interessi sono: a ) Quali sono i bisogni, le speranze, i timori, i desideri che quella posizione soddisfa? b) Come percepiscono le posizioni e rivendicazioni dell'altra parte? Come mai le rifiutano; cosa impedisce loro di accettarle? c) In che modo sono coinvolti gli interessi umani basilari e cioè: sicurezza - benessere economico - senso di appartenenza - riconoscimento sociale - controllo sulla propria vita? Risalire dalle posizioni agli interessi conviene perché: A. per ogni interesse generale ci sono di solito una quantità di opzioni possibili. (Spesso la meno ovvia é quella più efficace); B. le domande e risposte per mettere a fuoco una definizione condivisa degli interessi sono già dialogo, la ricerca congiunta di altre opzioni è già collaborazione e C. dentro un paniere più ampio di opzioni si possono trovare più facilmente delle soluzioni di mutuo gradimento e reciproco vantaggio. 14 Tendiamo ad assumere che poiché le posizioni sono opposte, anche gli interessi dai quali derivano siano opposti. Non è così. Passare dalle posizione agli interessi sovrastanti permette di far emergere interessi condivisi e compatibili, oltre che quelli opposti. In sintesi: ogni volta che la negoziazione si presenta come complessa (cioè non arriva ad una soluzione soddisfacente per le parti) quello posizionale non è un buon metodo di negoziazione in quanto lascia sullo sfondo le preoccupazioni e gli interessi più generali e produce accordi meno soddisfacenti e creativi di quanto sarebbe possibile; di solito accordi che sono una via di mezzo fra le due posizioni iniziali. 2. I principi della Gestione Alternativa dei Conflitti (ADR). Getting Past NO. Fisher e Ury nel loro testo avevano individuato quattro principali ostacoli all’invenzione di nuove opzioni nel corso delle negoziazioni: 1. Giudizio prematuro 2. Ricerca della risposta giusta (the one best way ) 3. Assumere che la torta è data, non si può espandere (gioco a somma zero) 4.Considerare “i loro problemi”, “cosa loro” Dieci anni dopo, nel 1991, escono contemporaneamente, la seconda edizione di Getting to Yes e un libretto di William Ury intitolato Getting Past No. Negotiating Your Way From a Confrontation to Cooperation. Getting to Yes 1991 vede l'aggiunta di un nuovo autore, Bruce Patton, e di una appendice con le domande e critiche suscitate dal libro, molte delle quali riguardano una difficoltà sottovalutata dagli autori: cosa fare quando una parte non ha alcun desiderio di arrivare a un accordo. Il libro di Ury è interamente dedicato a queste situazioni, in cui l’interlocutore è reticente, vede lo stesso instaurarsi di un negoziato come un cedimento. Si tratta di una integrazione fondamentale e per molti versi innovativa, che sviluppa quella che l’autore chiama una “strategia di azione indiretta.” Vediamo di che si tratta. L’interlocutore: difensivo, ostile, sospettoso, chiuso in se stesso, non desideroso di accordo che interpreta come un fallimento. Strategia dell’approccio indiretto: aggira gli ostacoli, usa la loro forza, la loro resistenza per giungere alla meta. Metafora: come quando si va a vela e per arrivare in porto, di fronte alla resistenza dei venti e delle maree, si procede a zig zag sfruttando la loro forza. Azione indiretta: richiede che si adotti un comportamento opposto a quello che ci verrebbe spontaneo e naturale in situazioni di tensione e ostili. Obiettivo: Abbattere le barriere non è tuo compito. Solo loro possono abbattere le barriere, sfondare i muri della loro resistenza. A te spetta aiutarli creando le condizioni più favorevoli per farlo. Altra metafora: judo, aikido: non offrire con la tua resistenza ai loro attacchi dei punti di appoggio sui quali possono continuare a far leva. Accogli quello che dicono o fanno come un contributo alla soluzione del problema. "Adesso capisco meglio.” “ Siamo qui proprio per trovare una soluzione a queste tue preoccupazioni" " Aiutami a capire meglio perchè vuoi questo”..ecc. " Scopo: gli interlocutori devono riuscire a vedere se stessi non faccia a faccia, non gli uni contro gli altri, ma impegnati fianco a fianco su un problema comune, che si cerca di inquadrare da una serie di angolazioni inedite. Cercare un accordo non è in questa fase lo scopo prioritario. Tavola sinottica della Strategia di Azione Indiretta. Scopo: Soluzione cooperativa Ostacolo: Barriere alla coop. Strategia: Approccio indiretto Dalla stessa parte del tavolo Le tue reazioni Le loro emozioni Va sul balcone Schierati al loro fianco Affrontare Le loro Metti a fuoco gli interessi 15 il problema posizioni non le posizioni Raggiungere un accordo mutualmente soddisfacente O duri o perdenti Inventa nuove opzioni che accolgono gli interessi di entrambe le parti Nota Bene: Il rispetto della sequenza strategica è fondamentale: senza “andare sul balcone” non si può schierarsi al loro fianco, senza queste premesse non si possono mettere a fuoco gli interessi, senza aver messo a fuoco gli interessi non si possono esplorare nuove opzioni e ampliare le scelte possibili. Ogni passo successivo trae forza e legittimazione da quelli precedenti, i quali tuttavia vanno continuamente riverificati e ribaditi. Quindi: non si può saltare in avanti, ma si può e si deve tornare indietro quando risulti necessario. Le reazioni più naturali di fronte a una persona che reagisce in modo difensivo-aggressivo, sono ( Watzlawick et al, 1971) : a.Simmetrica: lui attacca, io contrattacco, lui urla, io urlo ancor più forte. b. Complementare: subisci, ti adegui. c. Rompere il rapporto. (Divorzio) In tutti e tre questi casi non si esce dalle cornici iniziali. Nel primo ci opponiamo dal punto di vista delle nostre azioni, ma collaboriamo sul piano relazionale: ci ha proposto di confliggere e noi lo facciamo. Nel secondo di nuovo accettiamo la relazione, questa volta subendola. Nel terzo abbandoniamo la nave, rinunciando a cambiarla col rischio che la prossima volta che ci imbarchiamo ci troveremo nelle stesse condizioni. La ricetta dell’azione indiretta al contrario, in modo molto simile alle ricette della pragmatica della comunicazione umana, che però non è conosciuta dagli autori di Harvard, è basata sul ridefinire e cambiare la relazione: va sul balcone, schierati al loro fianco, prendi tempo, agisci in modo indiretto. 3. Il Confronto Creativo: la politica ridefinita sull'onda di un circolo virtuoso Società CivilePA-Università. Alcuni scorci di storia. Nel 1983 una decina di pionieri di "Soluzione Alternativa delle Dispute Pubbliche" si riunì a Florissant, in Colorado, per discutere come sviluppare una terminologia condivisa e trovare i fondi per sopravvivere. Dieci anni dopo gli stessi professionisti più una cinquantina di nuovi adepti si trovarono a Charlottesville, in Virginia, in una atmosfera completamente diversa: ai mediatori di dispute ambientali (per lo più esperti in casi “not in my backyard”) si affiancavano mediatori e facilitatori di (così si era deciso nel frattempo di chiamarlo ) Consensus Building Approach (CBA), i quali collaboravano su un vasto arco di problemi con numerosi settori delle pubbliche amministrazioni a tutti i livelli, da locale a federale. Erano presenti anche una decina d'imprese di consulenza nel campo delle dispute pubbliche, con bilanci annui di tutto rispetto. Il problema principale non era più come trovare i fondi per campare, ma come far fronte alle crescenti richieste in termini di formazione del personale e di strumentazione teorica e pratica efficace e condivisa. Ancora dieci anni dopo, oltre che nel campo dei conflitti ambientali e di comunità, il Confronto Creativo era presente sia sul terreno della progettazione partecipata a livello urbanistico che su temi di riforma istituzionale ed era divenuto un metodo ufficialmente adottato nella legislazione federale e di vari stati per la stesura dei regolamenti legislativi più controversi (“negotiated rule-making” o “reg-neg”). Il libro che per primo ha proposto in modo sistematico il Consensus Building come metodo per risolvere le dispute pubbliche è Breaking the Impasse. Consensual Approaches To Resolving Public Disputes (1987) di Lawrence E. Susskind e Jeffrey Cruikshank. Questo libro illustra attorno a una serie di “casi” una quantità di processi decisionali pubblici partecipati messi in atto negli anni ’80. Dal punto di vista della storia che qui stiamo delineando è un testo molto interessante perché l’orizzonte in cui si muove è la crisi della democrazia e i suoi rimedi in 16 termini di più democrazia (come per gli “eretici” di cui abbiamo parlato), realizzata fondendo assieme l’impostazione e il linguaggio della ADR con le solide radici teoriche ed epistemologiche della tradizione delle Group Dynamics e dell'azione-ricerca. Il Consensus Building, che da qui in poi in italiano (cercando una traduzione fedele al senso e non alla lettera) chiamerò “Confronto Creativo”(CC), si presenta come un metodo di discussione multi-attoriale altamente specializzato che richiede una svolta altrettanto radicale, specifica e rigorosa, di quella che ha fondato il metodo della discussione parlamentare agli inizi della democrazia. Il messaggio generale è che i negoziatori e facilitatori alternativi riusciranno ad affermarsi solo se la cultura dell'ADR e del CC diventerà luogo comune per i comitati di cittadini, operatori sociali, imprenditori, sindacalisti e se l'adozione di queste metodologie verrà promossa dai leader politici e dai manager e funzionari della PA. Così come l'ascolto attivo rimanda alla gestione creativa dei conflitti e viceversa, entrambi questi know-how confluiscono nel Confronto Creativo, che ne è lo sviluppo sul piano delle decisioni collettive. Mentre la ADR nasce dallo studio di situazioni di contrattazione e negoziazione fra posizioni divergenti, il CC nasce sul terreno della progettazione. Il CC non ha bisogno dell' esistenza di uno o più conflitti per mettersi in moto, prende le mosse dalla necessità di sviluppare decisioni su temi complessi in ambienti complessi e di trasformare le divergenze di interessi, di soggettività, di livelli di lettura, in ricchezza progettuale. Nei suoi termini generali il mutamento prefigurato segue una direzione più che conosciuta e assodata, ovvero che la soluzione efficace di problemi gestionali e decisionali complessi solo raramente può avvenire sezionandoli e affrontando ogni parte come un tutto a sé, lasciando il coordinamento a un vertice. All'opposto, la gran parte dei problemi risultano irrisolvibili o mal risolvibili a causa dell'eccesso di semplificazione delle questioni in gioco. Quindi si tratta di sfruttare la diversità sociale, la molteplicità dei punti di vista, per ridare corpo alla complessità (che non è complicazione) e saperla usare per la soluzione creativa dei relativi problemi. Per poter connotare un processo decisionale come “Confronto Creativo” sono necessarie una serie di condizioni, così riassumibili (Sclavi e Susskind, settembre 2011) : 1. inclusione di una cerchia più ampia e completa possibile di tutti i portatori di interessi, di preoccupazioni e di punti di vista relativi al tema in discussione; 2. un tema che sia significativo per i partecipanti e che abbia un impatto duraturo nel tempo; 3. i partecipanti costruiscono delle regole ad hoc relative ai propri comportamenti e al processo decisionale che vogliono adottare; 4. un processo che parta dalla comprensione dei reciproci interessi e non dalla negoziazione delle posizioni; 5. un dialogo in cui la comprensione degli interessi, preoccupazioni, desideri sottostanti alle posizioni porti alla invenzione congiunta di nuove proposte giudicate “migliori” dal numero più vasto possibile di partecipanti; 6. la ricerca di un esito riconosciuto da tutti come risultato di un lavoro creativo condiviso, nel quale non vi sono vincitori e perdenti e giudicato “accettabile” anche dai partecipanti meno entusiasti. 7. la comprensione del fatto che il “consenso” è raggiunto solo quando tutti gli interessi in campo sono stati esplorati e tutti gli sforzi sono stati fatti per soddisfare quanto li concerne. In sintesi, l’approccio del Confronto Creativo espande enormemente le dimensioni dell’ascolto e della esplorazione congiunta di nuove idee e nuove possibilità, che nel processo democratico classico vengono sacrificate dall’enfasi sul contraddittorio ( e quindi sulle posizioni di partenza) e sulla decisione a maggioranza. 17 E' del 1999 l'altro libro che, grazie alla narrazione minuziosa e presentazione critica di venti esperienze di CC in campi estremamente diversi, si propone di dimostrare che il Confronto Creativo è un metodo con una struttura ben definita e al tempo stesso, come tutti gli approcci adatti a situazioni complesse, dotato di una cassetta degli attrezzi ampia e in continua evoluzione, fatta apposta perché ogni caso, ogni contesto possa essere valutato e valorizzato anche per le sue caratteristiche singolari e oggetto di un percorso flessibile ad hoc. Il libro, intitolato The Consensus Building Handbook (a cura di L. Susskind et al) nelle sue abbondanti 1500 pagine non noiose porta ampia evidenza che questo risultato è stato possibile grazie all'instaurarsi, in alcune località del mondo occidentale, di un circuito virtuoso fra: 1. Esigenze di trasparenza, partecipazione e progettazione creativa nella società civile. 2. Centri universitari e di ricerca che offrono una formazione sia di cultura generale che professionale centrata su queste nuove competenze. 3. Una pubblica amministrazione che avverte l'utilità di questi nuovi strumenti ed è disposta a favorirne la sperimentazione. Per dare in questa sede una idea di come può cambiare la politica grazie a questo nuovo approccio e anche per ribadire la tesi qui sostenuta e cioè che il CC è discendente diretto (forse nipote) della azione ricerca, chiudo questo paragrafo con un elenco di domande che sono state la base di altrettanti interventi, nelle due "età", quella degli eretici e quella dei divulgatori. Le prime ci ricordano cose già dette in precedenza in questo articolo, le seconde sono tratte dal libro sopra nominato e da un altro che uscirà in Italia a settembre 2011, di Sclavi e Susskind, intitolato Confronto Creativo. Dal diritto di parola al diritto di essere ascoltati. Ecco l'elenco, sotto forma di altrettante domande. Alcune pietre miliari dell'età degli eretici: 1. 1942, Ospedale Militare di Northfield, Birmingham. Come trasformare un ospedale psichiatrico che deve rimettere in sesto centinaia di giovani ufficiali traumatizzati dalla guerra in un contesto in cui siano i pazienti stessi a curarsi vicendevolmente? (Wilfred Bion, nascita del concetto e della esperienza di "comunità terapeutica") 2. 1946, Connecticut Workshop. Come trasformare una situazione di escalation dei conflitti interetnici in occasione per riflettere sistematicamente sulle dinamiche dei conflitti nella vita quotidiana e i loro rapporti con l'auto-consapevolezza emozionale? (Kurt Lewin, invenzione dell'approccio "T group") 3. 1960, Londra, Tavistock Institute. Come creare un contesto in cui i manager di due grandi industrie produttrici di motori aerei che si stavano fondendo, ma i cui stili di lavoro e filosofie imprenditoriali non potevano essere più diversi, fossero in grado di usare le loro diversità per il rilancio su nuove basi della nuova azienda e per costruire un nuovo senso di comune appartenenza? (Eric Trist e Fred Emery, prima esperienza di "Search Conference") Alcuni casi sui quali il CC si è fatto le ossa dal 1993 al 2008. 1. 1994, Colorado. Come utilizzare nel modo più efficace i fondi federali per la prevenzione dell’AIDS-HIV ? 2. 1995, Massachusetts. Città di Chelsea, commissariata. Come far partecipare gli abitanti alla stesura di un nuovo statuto capace di ristabilire la democrazia ed evitare che le cosche criminali rimettano le mani sulla città ? 3. 1996, Washington DC. Vertenza fra il governo Federale Usa e 500 governi Tribali Indiani. Come scrivere i regolamenti attuativi di una legge sul decentramento in modo da renderne facile ed efficace l’implementazione ? 4. 1998, Sud Africa. Le relazioni sindacali nel dopo Apartheid. E’ possibile strutturare le dinamiche negoziali sulla base del confronto creativo invece che della contrattazione ottocentesca tradizionale ? 5. 2007-08, Italia. Modena e Livorno. Come far partecipare tutti i cittadini interessati alla decisione sul che fare di un prezioso fabbricato di proprietà del Comune da ristrutturare ? 18 Sono tutti casi che i partecipanti hanno giudicato alla fine "risolti positivamente" e il cui accordo finale è stato sottoscritto all'unanimità o quasi. Sempre l'esito più importante sono i nuovi rapporti di collaborazione e capacità di iniziativa e leadership diffusa fra le parti in gioco. Bibliografia Argyris, Chris Personality and Organization, New York: Harper& Row, 1957 and Donald Schön Theory in Practice: Increasing Organizational Effectiveness, San Fracisco: Jossey-Bass, 1974 - The Unintended Conseguences of Rigorous Research. ( 2003 ) Ashby, Ross - Introduction to Cybernetics, New York: Routledge Kegan, 1964 Bateson, Gregory - Verso una Ecologia della Mente, Milano: Adelphi , 1976 Bennis, Warren An Invented Life: Reflections on Leadership and Change, Boston: Addison –Wesley, 1993 Bertalanffy (von ) Ludwig - “A theory of open systems in science and biology” in Science, 111: 23-30, 1950 - General System Theory, New York: George Braziller,1976 Bion, Adolf Experiences in Groups , London, Tavistock Press, 1961 Bridger Harold "The Discovery of the Therapeutic Community" in E: Trist e H Murray, The Social Engagement of Social Science Vol I, op cit. pp 68-87 Bryson, John N. e Sharon R. Anderson “ Applying Large Group Interaction Methods” in Public Administration Review, 2000 Vol 60, No.2 Bunker Barbara Benedict e Billie T. Alban - Large Group Interventions, Engaging the whole system for rapid change, San Francisco, Jossey&Bass 1997 Emery Merrelyn e Fred - "Searching: for new directions, in new ways.. for new times " in Sutherland John ( a cura di ) Management Handbook for Public Administrators , New York 1978 pp 257- 300 - e Ronald E. Purser: The Search Conference. A powerful Method for Planning Organizational Change and Community Action, San Francisco: Jossey-Bass 1996 Fisher, Roger , William Ury e Bruce Patton - Getting to Yes, New York: Penguin Books 1991 Fisher Ronald J. - Interactive Conflict Resolution, Syracuse, NY: Syracuse Univ Press, 1997 - Paving the Way. Contributions of Interactive Conflict Resolution to Peacemaking Isaacs, William - Dialogue and the art of thinking together, New York, Currency-Doubleday, 1999, introduzione di Peter Senge Kleiner, Art The Age of Heretics, New York: Doubleday, 1996 Lewin, Kurt - I Conflitti sociali, Franco Angeli, Milano, 1980 Mc Gregor Douglas - The Human Side of Enterprise, New York: McGraw-Hill, 1960 Podziba, Susan L. - Chelsea Story. Come una cittadina corrotta ha rigenerato la sua democrazia, Milano: Bruno Mondadori, 2006 Reason, Peter e Hilary Bradbury, - Handbook of Action Research: Participative Inquiry and Practice, Sage, 2001 Schon, Donald A 19 - Il professionista riflessivo, Bari, Dedalo, 1993 Sclavi, Marianella Arte di Ascoltare e Mondi Possibili, Milano: Bruno Mondadori, 2003 “The position of Play and Humor in Creative Conflict Management”, in Negotiation Journal, April 2008, Harvard Law School Sclavi, M e Lawrence E Susskind Confronto Creativo. Dal diritto di parola al diritto di essere ascoltati., Milano: et al/Edizioni, sett. 2011 Schrage, Michael - Serious Play. How the world’s best companies simulate to innovate, Harvard Business School Press, 2000 Susskind Lawrence and Jeffrey Cruikshank Breaking the Impasse: Consensual Approaches To Resolving Public Disputes, New York, NY: Basic Books, 1987 Susskind Lawrence et al a cura di) - The Consensus Building Handbook, London: Sage, 1999 Trist Eric "Developing an Adaptive Planning Capability in Public Enterprise and Government Agencies", in Sutherland John ( a cura di ) Management Handbook for Public Administrators, New York 1978 Van Nostrand Reinhold, pp 389-422 ( a cura di ) The Social Engagement of the Social Sciences. A Tavistock Antology., London Tavistock Press Vol 1, 2 e 3 1996 Trist Eric e Hugh Murray ( a cura di ) The Social Engagement of Social Science. Vol I. The Socio-Psychological Perspective, London, Free Association Books, 1990 Ury, William Getting Past No, New York: Bantam Books 1991 Watzlawick, Paul, J. H. Beavin, D. D. Jackson, - Pragmatica della Comunicazione Umana, Roma, Astrolabio, 1971 Weisbord Marvin R. Discovering Comon Ground. San Francisco.CA Berrett-Koehler Publishers, 1992 Whyte, William Foote ( a cura di ) - Creative Problem Solving in the Field, Sage, 1997 Whyte, William Foote, Davydd Greenwood, Peter Lazes ( a cura di ) - Participatory Action Research, Sage, 1991 Capitolo 2 Il circolo virtuoso società civile - pubblica amministrazione. (I casi sui quali il Confronto Creativo si è fatto le ossa) Il Confronto Creativo è oggi un metodo decisamente maturo, con una struttura ben definita e al tempo stesso, come tutti gli approcci adatti a situazioni complesse, dotato di una cassetta degli attrezzi ampia e in continua evoluzione, fatta apposta perché ogni caso, ogni contesto possa essere valutato e valorizzato anche per le sue caratteristiche singolari e oggetto di un percorso flessibile ad hoc. Questo risultato è stato possibile grazie all'instaurarsi, in alcune località del mondo occidentale, di un circuito virtuoso fra: 1. Esigenze di trasparenza, partecipazione e progettazione creativa nella società civile. 2. Centri universitari e di ricerca che offrono una formazione sia di cultura generale che professionale centrata su queste nuove competenze. 3. Una pubblica amministrazione che avverte l'utilità di questi nuovi strumenti ed è disposta a favorirne la sperimentazione. L'uscita di questo volume in Italia, sarà accompagnata da una serie di seminari1 sui requisiti necessari a dei corsi di formazione che vogliano offrire queste competenze a una nuova classe dirigente capace di promuoverle e su come sfruttare a questo fine un circuito internazionale già operante. Mentre i capitoli seguenti si occupano di illustrare il congegno del confronto creativo nelle sue dinamiche specifiche e risvolti pratici, questo capitolo intende dare una idea, per quanto un po' sommaria, di come può cambiare la politica grazie a questo nuovo approccio. Nei suoi termini generali il mutamento prefigurato segue una direzione ormai più che conosciuta e assodata, ovvero che la soluzione efficace di problemi gestionali e decisionali complessi solo raramente può avvenire sezionandoli e affrontando ogni parte come un tutto a sé, lasciando il coordinamento a un vertice. All'opposto, la gran parte dei problemi risultano irrisolvibili o mal risolvibili a causa dell'eccesso di semplificazione delle questioni in gioco. Quindi si tratta di sfruttare la diversità sociale, la molteplicità dei punti di vista, per ridare corpo alla complessità (che non è complicazione) e saperla usare per la soluzione creativa dei relativi problemi. Qui di seguito, dopo una premessa relativa ai rapporti fra diversità e competenza, sintetizziamo alcune esperienze cardine, pionieristiche, grazie alle quali il CC si è fatto le ossa. In ognuna l'interazione fra le tre facce del circolo virtuoso sopra nominato, cioè fra nuove esigenze della società civile, formazione, e PA, è fondamentale. Quando si parla a questo proposito di "rivoluzione culturale", bisogna aver chiaro che non ha senso oggi una rivoluzione culturale dalla quale in particolare la PA sia esclusa2. I criteri in base ai quali queste esperienze sono state scelte da un archivio ormai molto vasto sono i seguenti: 1. casi che fanno venire in mente annose situazioni italiane (es: una cittadina travolta dalla corruzione e relazioni industriali bloccate da ideologie ottocentesche del comandare e della lotta di classe); 2. casi che illustrano come le caratteristiche dell’inclusività e della trasparenza influiscono sulla qualità dell'esito (es: evitare la distribuzione a pioggia dei fondi pubblici, garantendo invece la partecipazione di tutti i soggetti interessati alla definizione delle linee guida sul loro uso); 3. leadership facilitativa e i concetti di "pluri-empatia" e di “equi-vicinanza”; 4. gli anticorpi alle derive autoritarie, al ricorso alla violenza e ancor prima alla sciatteria nella gestione della cosa pubblica. Infine (5) i casi sono presi fra quelli ben documentati nella letteratura, per cui chi voglia approfondirli ulteriormente (visto che in questa sede dobbiamo limitarci alle grandi pennellate) potrà farlo. Sono tutte situazioni estremamente intricate che solo dopo aver dato spazio, con una dinamica che ricorda le teorie del caos, alla propria specifica e contingente complessità, man mano si dipanano per lasciar emergere soluzioni riconosciute unanimemente come sorprendenti e valide. Ma come questo avviene si vedrà meglio nei capitoli seguenti. 1 Ai quali sono invitati tutti coloro che già si muovono su questi terreni, per cui per favore, se non vi avremo contattato, fatelo voi. Oggi sul Web trovate facilmente le mail degli autori e/ o dell'editore. 2 Vedi Sclavi M.: “Quando la costruzione di common ground è un problema di ordinaria amministrazione”. Territorio, Politecnico di Milano, vol. 29-30, Franco Angeli, 2004 (Anche scaricabile dal Web, reperibile digitando il titolo dell’articolo ) 16 Premessa: la diversità e i suoi rapporti con la competenza. Nel 1995 un giovane professore di economia che lavorava a Cal Tech (California Institute of Technology a Pasadena, Los Angeles) di nome Scott Page ha costruito col computer un modello matematico per studiare l’ottimizzazione delle condizioni e strategie nella soluzione dei problemi. Il modello, che metteva a confronto gli esiti di gruppi composti dai migliori esperti con quelli di gruppi scelti in maniera casuale, diede un risultato inaspettato e contro intuitivo: quasi sempre "la diversità dava scacco alla competenza."3 Trasportato nel sociale questo modello può essere così ridefinito: se presentiamo uno stesso problema a due gruppi, uno dei quali composto esclusivamente di esperti e l’altro “differenziato”, in cui cioè sono presenti tutte le posizioni di tutte le persone che hanno a cuore quel problema, il secondo gruppo arriva sistematicamente a soluzioni migliori. A ben pensarci, la differenza è che del secondo fanno parte anche gli esperti, mentre del primo solo gli esperti. Ovvero: l’inclusività è vincente. Piuttosto che di scacco, sarebbe dunque più giusto parlare di un principio della maggiore efficacia delle decisioni inclusive. Le pratiche del CC sono una sistematica applicazione e dimostrazione di questo principio. Un esempio. La definizione del piano strategico quinquennale per lo sviluppo dell’Estuario di Casco Bay nel Maine (un’area vasta e complessa piena di fiumi, boschi, insediamenti abitativi, isole e con forti problemi d'inquinamento) facilitata nel 1992 con l’approccio del CC4, ha coinvolto oltre a gruppi di scienziati ed esperti anche le seguenti categorie: agricoltori, amministratori locali, operatori delle coste fluviali e marine, proprietari di casa, pescatori, imprenditori e commercianti, forestali, gruppi di ambientalisti, operatori dei servizi sociali e della salute. Tutte queste categorie sono state coinvolte non solo per indicare le loro rispettive preoccupazioni e priorità, ma anche per riflettere e discutere sull’insieme delle conoscenze così raccolte e contribuire a definire sia la mission, cioè i valori e ideali ai quali il piano deve ispirarsi, che gli interventi specifici. In Italia per contrasto viene immediatamente in mente il caso dei Treni ad Alta Velocità (TAV) in Val di Susa, dove l'esclusione degli abitanti dal progetto ha provocato la loro rivolta e il blocco dei lavori. Varrebbe la pena confrontare il piano-TAV del 2005, presentato come indiscutibile perché elaborato “da tecnici ed esperti secondo direttive elaborate a livello europeo" con il progetto della fine del 2009, risultato di un vasto anche se tardivo processo di consultazione e coinvolgimento della popolazione. Noi abbiamo pochi dubbi che il secondo, molto più complesso e articolato, se sottoposto a referendum, sarebbe giudicato migliore sia dai cittadini locali che dalla generalità dei cittadini europei. Viviamo nell'epoca di Internet e di Wikipedia. Wikipedia è certamente presentabile come uno "scacco della diversità alla competenza" nella misura in cui mette in campo una gamma di competenze, di saperi e d'informazioni che vanno molto al di la di quelli in uso nella redazione di una classica enciclopedia. Perché un sistema, basato su centinaia di milioni d'informazioni provenienti da fonti diverse, funzioni, deve soddisfare certe condizioni: 1. le conoscenze devono essere possedute in modo dispersivo, 2. la gente non deve temere svantaggi nel rendere pubbliche le proprie informazioni, 3. una percentuale significativa di tali informazioni deve rivelarsi utile e 4. gli errori e giudizi sbilanciati devono essere identificabili e correggibili. Wikipedia è diventato uno strumento indispensabile nelle vite di molti di noi perché soddisfa tutti questi requisiti; contribuirvi è relativamente facile e ognuno lo fa unicamente su base volontaria e sugli argomenti e temi che conosce, la maggior parte delle informazioni sono utili e accurate e gli errori possono essere identificati sia dagli utenti che dagli editori, i quali possono correggerli5. Coloro che nel XXImo secolo si occupano di Confronto Creativo hanno, rispetto ai loro predecessori, due grandi vantaggi: che l'esperienza della diversità che diviene ricchezza collettiva è oggi (almeno sullo schermo del computer) un "luogo comune" e che la globalizzazione rende un tale approccio al tempo stesso possibile e obbligatorio. Condizioni per trasformare la diversità in capitale sociale. 3 Page Scott: The Difference, Princeton University Pres, 2007 L'espressione usata dall'autore è: "In my model diversity trumped ability". 4 Facilitatrice Susan Podziba, per più informazioni su questo specifico intervento, vedi : www.podziba.com 5 Page Scott, op cit, pag. xvi 17 Come abbiamo accennato nella Introduzione, il CC ha le sue radici negli studi pionieristici di Kurt Lewin ed altri negli anni ’40 e seguenti. I due principali centri di ricerca, entrambi fondati nel 1946, erano il Tavistock Institute of Human Relations di Londra e il Group Dynamics Laboratory del MIT di Boston. Non è questa la sede per tracciare la storia di questa fase decisiva e pionieristica6, ma è importante sottolineare che tipicamente si tratta di ricerche che si sviluppano direttamente sui luoghi di lavoro e di vita, coinvolgendo dirigenti, operatori, abitanti. Si tratta di un approccio multi professionale, prima ancora che multi disciplinare. Alla base di tutti questi esperimenti e invenzioni vi è l'idea (ancor oggi valida) che in un sistema sociale complesso e turbolento, la prevedibilità e l'ordine sono raggiungibili solo se i soggetti che ne fanno parte si trasformano in una "comunità indagante", cosa a sua volta possibile solo garantendo: 1. una situazione di agio reciproco, dove é assente la minaccia di "perdere la faccia”, 2. dove le persone possono elaborare un quadro di valori condivisi abbastanza ampio da rendere inoffensive le aree di disaccordo, che verranno poi affrontate, ma in un clima di collaborazione e fiducia reciproca 3. dove ciascuno possa intervenire ed essere notato dagli altri come protagonista individuale. Sono condizioni che molto raramente si trovano “spontaneamente” nelle istituzioni tipiche delle società moderne e che i pionieri dell'azione ricerca e gestione creativa dei conflitti sperimentavano all’interno degli uffici e delle fabbriche, nelle scuole e nella pianificazione del territorio, in collaborazione con i leader più illuminati delle grandi aziende, delle istituzioni pubbliche e dei governi locali e nazionali. L’ostacolo principale, ne erano ben consapevoli e lo constatavano quotidianamente, era che cambiare le forme di governo e di organizzazione implica, come gia affermava Aristotele, cambiare le forme di autorità date per scontate, mettere in discussione abitudini profondamente radicate relative al senso del sé e degli altri. Solo per dare un'idea, elenchiamo sotto forma di domande tre casi classici di questa fase. 1. Come trasformare un ospedale psichiatrico che deve rimettere in sesto centinaia di giovani ufficiali traumatizzati dalla guerra in un contesto in cui siano i pazienti stessi a curarsi vicendevolmente? (Wilfred Bion, nascita del concetto e della esperienza di "comunità terapeutica", Ospedale Militare di Northfield, Birmingham, 1942) 2. Come trasformare una situazione di escalation dei conflitti interetnici in occasione per riflettere sistematicamente sulle dinamiche dei conflitti nella vita quotidiana e i loro rapporti con l'auto-consapevolezza emozionale? (Kurt Lewin, invenzione dell'approccio "T group", Connecticut Workshop, 19467) 3. Come creare un contesto in cui i manager di due grandi industrie produttrici di motori aerei che si stavano fondendo, ma i cui stili di lavoro e filosofie imprenditoriali non potevano essere più diversi 8, fossero in grado di usare le loro diversità per il rilancio su nuove basi della nuova azienda e per costruire un nuovo senso di comune appartenenza? (Eric Trist e Fred Emery, prima esperienza di "Search Conference", Londra, 1960) I casi che adesso prenderemo in considerazione sono i pronipoti di quelli qui sopra accennati. Coprono un arco temporale dal 1993 al 2008 e spaziano dagli Usa, al Sud Africa, all'Italia. Li sintetizzeremo per mezzo di rapide schede, seguendo un ordine cronologico. Eccone i titoli, di nuovo sotto forma di domande. 1. 1994, Colorado. Come utilizzare nel modo più efficace i fondi federali per la prevenzione dell’AIDS-HIV ? 6 Per maggiori informazioni, Cfr M Sclavi: "Nascita e affermazione della gestione creativa dei conflitti come disciplina accademica sui generis e come sapere della vita quotidiana" in Riflessioni Sistemiche, semestrale on line dell'AIEMS, N. 4, 2011 7 Nel luglio del 1946 su richiesta di una agenzia statale del Connecticut e con la sponsorizzazione della National Conference of Christians and Jews, Lewin organizzò un laboratorio di due settimane su come migliorare le relazioni interetniche in generale e in particolare quelle fra neri ed ebrei. Vi parteciparono cinquanta persone fra insegnanti, operatori sociali, leader di comunità cresciuti nei ghetti urbani, leader sindacali e piccoli imprenditori. "T Group" è l'abbreviazione di "Training Group." 8 La Armstrong-Siddeley e la Bristol Aero-Engines che si stavano fondendo per reggere la concorrenza della Rolls Royce. Con una battuta di F. Emery: “ Era come voler mettere insieme il gesso col formaggio” 18 2. 1995, Massachusetts. Città di Chelsea, commissariata. Come far partecipare gli abitanti alla stesura di un nuovo statuto capace di ristabilire la democrazia ed evitare che le cosche criminali rimettano le mani sulla città ? 3. 1996, Washington DC. Vertenza fra il governo Federale Usa e 500 governi Tribali Indiani. Come scrivere i regolamenti attuativi di una legge sul decentramento in modo da renderne facile ed efficace l’implementazione ? 4. 1998, Sud Africa. Le relazioni sindacali nel dopo Apartheid. E’ possibile strutturare le dinamiche negoziali sulla base del confronto creativo invece che della contrattazione ottocentesca tradizionale ? 5. 2007-08, Italia. Modena e Livorno. Come far partecipare tutti i cittadini interessati alla decisione sul che fare di un prezioso fabbricato di proprietà del Comune da ristrutturare ? Sono tutti casi che i partecipanti hanno giudicato alla fine "risolti positivamente" e il cui accordo finale è stato sottoscritto all'unanimità o quasi. In ogni caso l'esito più importante sono i nuovi rapporti di collaborazione e capacità di iniziativa e leadership diffusa fra le parti in gioco. Scheda. 1. 1994, Colorado. Come utilizzare nel modo più efficace i fondi federali per la prevenzione dell’AIDS-HIV ? Il problema. Il Dipartimento alla Sanità del Colorado ha deciso che l’approccio più efficace per la prevenzione del HIV-Aids, consiste nel coinvolgere le popolazioni locali nelle decisioni su come impiegare i fondi stanziati dal governo federale a questo fine. Ha costituito un comitato ad hoc con l’incarico di costituire un gruppo deliberativo composto da tutte le tendenze ed esigenze presenti sul territorio. Facilitatori. Il compito di assistere questo gruppo (che risulterà di 110 persone) è stato assegnato a una equipe di due mediatori, con l’incarico di facilitare la elaborazione di linee guida condivise su questo tema. L'approccio adottato dai mediatori è il “confronto creativo”, che in questo caso doveva fare i conti con la presenza fra i partecipanti di credenze e valori di fondo fra loro incompatibili e con una intensità emozionale fuori dal comune. I partecipanti. Sono stati selezionati in modo da garantire una presenza di gay, bisex, ed etero, abitanti locali e immigrati di varie etnie, le associazioni che hanno promosso un referendum contro i diritti civili di gay e lesbiche e quelle per i diritti civili delle coppie gay, quartieri bene e ghetti; evangelici ultra conservatori ed esponenti di gruppi ultra radicali. Raramente si era visto prima di allora nella stessa stanza una così grande varietà di profili sociali in conflitto fra loro riuniti per lavorare gomito a gomito. Erano presenti malati di vario grado, parenti di malati e operatori della sanità, esponenti delle varie associazioni e istituzioni impegnate in questo campo. Totale: 110 persone, con un numero variabile di presenze, mai comunque al sotto della metà. Regole. Nel corso della prima riunione i due mediatori hanno spiegato in cosa consiste l'approccio del CC. Ognuno dei presenti ha il diritto di veto, per cui basta uno contrario per bloccare qualsiasi decisione, ma questo li obbliga alla creatività, a risalire dalle reciproche proposte e rivendicazioni alle preoccupazioni e motivazioni di fondo che le sottendono e ad inventare soluzioni diverse da tutte quelle di partenza. "Questo metodo ha due gambe: ascolto e creatività. Una sola non basta." E se entro una certa scadenza (nel caso specifico sei mesi) non si trova una soluzioni che va bene a tutti, la decisione torna alle Istituzioni preposte. Comportamenti e dinamiche. All'inizio erano tutti rigidi e diffidenti. Gli stessi mediatori, anche se non lo davano a vedere, con metà del loro cervello pensavano: "E' impossibile, sono troppo diversi." Invece il bilancio della prima giornata è stato molto positivo. Uno dei primi obiettivi era fare conoscenza e creare un senso di agio reciproco, per cui si sono riuniti a parlare in piccoli gruppi designando poi uno di loro a presentare i membri del gruppetto alla assemblea plenaria. Sebbene fosse stato chiarito che non era necessario scendere in particolari di storie personali spesso delicate e dolorose, ogni gruppetto ha deciso autonomamente che, quando si ha a che fare con il dolore, la morte, la malattia, non si ha tempo né voglia di perifrasi. E infatti la maggior parte delle presentazioni sono state nello stile: “Noi siamo Giovanni, Debora, Giuseppe. Giovanni è HIV positivo, Debora faceva la prostituta ed ha l’Aids, Giuseppe è infermiere al tale istituto.” E così via. Questo atteggiamento d’impaziente rifiuto di formule di presentazione generiche e ipocrite, che i mediatori non si aspettavano, ha prodotto almeno provvisoriamente un clima di commossa e quasi solenne solidarietà al di là di ogni divisione 19 religiosa, etnica e politica. Il secondo passo è consistito nell'individuare e scrivere, fermandosi a discutere parola per parola, i valori comuni sui quali orientare il lavoro successivo. Nel documento sottoscritto da tutti, dal titolo: “In Questo Crediamo” ci si impegna a considerare ogni singolo partecipante una risorsa per il processo decisionale, a dare ad ognuno ugual spazio, e tener presenti tutti i punti di vista all’interno di ogni decisione in un clima di rispetto reciproco. Inoltre i partecipanti dichiaravano di voler lasciare da parte la rivalità per i fondi pubblici e far sì che ogni parte si sentisse garante di un progetto comune più ampio e organico, entro il quale inscrivere le proprie attività e iniziative specifiche. Bisognava evitare che il successo degli incontri fosse valutato in base alla quantità di “bottino” (sia in termini di soldi che di "io vinco tu perdi") da portare a casa. Giochi linguistici. Fin dall’inizio si è data molta attenzione alla ricerca di un vocabolario accettabile da tutti e alla creazione di un linguaggio comune. Nei dissensi, al posto di “Come faccio a fargli cambiare idea?” i mediatori proponevano di chiedersi “Quali parole possiamo trovare che ci accomunano?” Questo slittamento dalla disputa alla collaborazione è poi stato rafforzato da una batteria di giochi, tecniche e congegni comunicativi. Uno dei giochi è stato il disegno a coppie. Due persone senza poter parlare fra loro e impugnando contemporaneamente una stessa matita, devono tracciare un disegno su un foglio bianco. Questo le costringe ad alternarsi nella guida del disegno e a fare molta attenzione alle reciproche leggere pressioni delle mani. I disegni prodotti sono stati tutti bene auguranti ed esilaranti; hanno suscitato risate e aperto i cuori. Infine, sempre nella prima riunione, si è stabilito l’ordine del giorno delle riunioni seguenti e il “sistema segnaletico del consenso” per ogni decisione. Quest'ultimo consisteva nella richiesta, che ognuno può rivolgere agli altri in qualsiasi momento, di esprimere il proprio parere col sistema dei pollici: verso l’alto per il consenso, orizzontali per la necessità di ulteriori discussioni e verso il basso per il dissenso. Solo quando tutti i pollici sono coralmente verso l’alto si può procedere al punto seguente. Training in ascolto attivo. Infine vi è stata un’ora di training su come trattare i conflitti in modo produttivo. Quando qualcuno è irritato su qualcosa o quando ritiene di non essere ascoltato e considerato, cosa può fare? I mediatori hanno proposto dieci idee chiave su come trattare i conflitti in modo da far valere le proprie ragioni senza offendere e senza escalation. Sono state discusse e scritte su grandi fogli appesi ai muri. Eccole: 1. Ogni volta che devi affrontare un tema controverso, prima di tutto prenditi cura di te stesso. Rilassati, respira profondamente e trovati una sistemazione comoda prima di iniziare. 2. Dai importanza alla tempistica. Qual’è il momento migliore per sollevare quella questione? 3. Chiarisci bene a te stesso quali sono le tue priorità e preoccupazioni centrali. 4. Esprimiti in prima persona, usa “io”. Evita di colpevolizzare e di accusare. 5. Concentrati sul futuro e sul positivo. Comunica come vorresti che le cose funzionassero piuttosto che cosa- non -ti -piace di come funzionano. 6. Metti in luce i tuoi sentimenti piuttosto che le tue rivendicazioni: “Questo è importante per me”, piuttosto che " Questo è ciò che voglio." 7. Assumi che sono sempre possibili anche altri punti di vista, oltre al tuo. 8. Non aver fretta di comunicare la tua soluzione preferita. 9. Non imprimere un'escalation al conflitto insistendo sulle tue ragioni. 10. Ognuno ha diritto ai propri sentimenti ed emozioni. Sforzati di accogliere benevolmente le emozioni forti, sia quelle degli altri che le tue. Al termine della prima giornata, ha visto tutti i pollici verso il basso la proposta di rivedersi al prossimo appuntamento con gli stessi orari. Dalle 8 di mattina alle 5 del pomeriggio per una persona sieropositiva, e forse anche per una che non lo è, è troppo. Sviluppi. Nel corso del secondo incontro, dedicato al profilo epidemiologico, praticamente tutti i dati ufficiali presentati sono stati contestati e la fiducia è stata restaurata solo dopo aver fissato modi e criteri per un autonomo ampliamento delle informazioni. Nel terzo incontro è stata contestata la disposizione delle sedie "a teatro" e sostituita con le sedie in cerchi concentrici attorno a un tavolino con quattro sedie. Chi voleva proporre un tema alla discussione andava a sedersi al tavolo e incominciava a parlare. Coloro che volevano interloquire, senza bisogno di alzare la mano o chiedere la parola, andavano a sedersi al tavolo. Esaurito un intervento, la sedia tornava vuota, a disposizione di qualcun altro. C’era anche una quinta sedia, di colore rosa, 20 quasi sempre vuota, per i mediatori, se ritenevano di dover intervenire. Questo sistema9 è piaciuto moltissimo ed ha consentito di far venire allo scoperto il dissenso profondo fra coloro che vedevano il lavoro di prevenzione fondamentalmente come un discorso morale e coloro che lo vedevano sotto il profilo sanitario. Dal confronto emotivamente molto potente, ma civile fra le diverse posizioni si è giunti infine ad un accordo sottoscritto da tutti che riconosce la necessità di usare, nella campagna di prevenzione, linguaggi diversi nelle diverse comunità di intervento. Insegnamento principale. L'importanza di un atteggiamento e comportamenti che uno studioso che ha seguito e commentato questo caso ed altri analoghi, ha definito “non lasciare il dolore fuori della porta10”. Il CC, quando sono in gioco divergenze in valori fondamentali, richiede che sia chiaro fin dall’inizio che l’obiettivo non è un compromesso fra questi valori. L’ascolto proattivo creando un contesto di riconoscimento e rispetto reciproco, fa emergere altri valori e altri piani di collaborazione, che diventano l’oggetto dell’accordo. Scheda 2. 1995, Massachusetts. Città di Chelsea, commissariata. Come far partecipare gli abitanti alla stesura di un nuovo statuto capace di ristabilire la democrazia ed evitare che le cosche criminali rimettano le mani sulla città ? Premessa. Una più ampia e dettagliata narrazione di questo caso la trovate nel volume di Susan Podziba: Chelsea Story. Come una cittadina corrotta ha rigenerato la sua democrazia. Milano, Bruno Mondadori, 2006. Introduzione di Vittorio Foa e Marianella Sclavi. Il problema. La città di Chelsea (30 mila abitanti), alla periferia di Boston, nel 1991 era stata commissariata perchè travolta dalla corruzione e dal malgoverno. Il commissario dello Stato del Massachusetts, dopo aver favorito in vari modi, in tandem con la magistratura, il ricambio quasi totale dei dirigenti della PA, della Polizia e dei principali Servizi, ha deciso di chiedere la collaborazione di tutti gli abitanti alla stesura di un nuovo statuto della città, tale da garantire che la stessa non ricada nelle mani delle cosche criminali. Si trattava di coinvolgere migliaia di cittadini inizialmente totalmente scettici nella discussione sugli ideali di buon governo e nelle decisioni sulle forme di governo (composizione del consiglio comunale, periodicità del voto, disegno delle circoscrizioni elettorali, poteri del sindaco e del city manager, criteri di eleggibilità e tutto il resto) più adatte a perseguire questi ideali. Facilitatori. L'incarico di dirigere questo processo partecipativo viene assegnato a due giovani facilitatrici la prima, Susan Podziba, esperta in confronto creativo e la seconda, Roberta Miller specialista in costruzione di comunità. La prima regola della costruzione di comunità prevede che gli organizzatori non convochino riunioni, ma chiedano di essere invitati alle riunioni dei gruppi e associazioni già presenti sul territorio. E' Maometto che va alla montagna e che, bussando alla porta, comunica "sono qui per ascoltare", "raccontami cosa è importante per te." Primo passo del processo partecipativo: una cinquantina di lunghe chiacchierate di Susan con i leader locali, per sentire quali sono le loro idee e proposte e farsi indicare dei nominativi di cittadini che dovrebbero comporre il Comitato per la stesura materiale del nuovo statuto. Secondo passo: una lettera aperta del commissario a tutte le famiglie con la illustrazione della proposta e l'invito a partecipare. Terzo: un corso di formazione per "facilitatori locali volontari", ovvero cittadini che si rendono disponibili ad organizzare gruppi di discussione su questi temi in tutta la città e a sintetizzarne gli esiti su un'apposita scheda. I partecipanti e la mappa del percorso partecipativo. La mappa che vedete qui sotto è stata essa stessa uno strumento fondamentale di questo coinvolgimento, in quanto stampata in migliaia di copie ha consentito a facilitatori locali e abitanti di identificare ad ogni momento a che punto si era delle varie fasi del processo partecipativo (durato nove mesi) ed essere informati dei diversi modi e gradi di possibile partecipazione: leggere il notiziario e assistere ai dibattiti alla 9 Che corrisponde al metodo del “Circolo di Samoa”, descritto in modo molto efficace assieme ad altri come il “Conflict Spectrum”, in ( scaricabile dal Web), Ron Kraybill : “Facilitation Skills for Interpersonal Transformation”, Berghof Handbook for Conflict Transformation. Vedi anche in Luigi Bobbio (a cura di) A più voci, Edizioni Scientifiche Italiane, 2005 (scaricabile dal sito : “cantieripa.it” , cliccando sulla voce “manuali”) 10 Cfr. John Forester: “Deliberazione politica, pragmatismo critico e storie traumatiche: ovvero non lasciare il dolore fuori della porta”, CRU n° 4, secondo semestre, 1995 e “Dealing with deep value differences.” in L. Susskind, S. McKearnan, and J. Thomas-Larmer. (a cura di) The consensus building handbook, London: Sage, 1999 21 televisione locale, ricorrere alla “linea rossa” per informazioni, partecipare a vari forum o invitare i facilitatori locali alle riunioni della propria associazione, assistere alle riunioni del Comitato che deve redigere il nuovo Statuto col metodo del Confronto Creativo (l’ovale al centro della mappa), commentare e criticare la prima bozza di statuto pubblicata dai giornali locali e inviata in tutte le case, andare a votare nel referendum finale sul testo definitivo. Tutte queste scelte e la loro sequenza o contemporaneità, senza una buona mappa sarebbero molto difficili da trasmettere; la comunicazione visiva e spaziale in processi così complessi è assolutamente fondamentale. Comportamenti e dinamiche. L'esperta di CC insieme ai suoi aiutanti ha sintetizzato in un documento tutti gli spunti, per quanto contradditori, emersi dalla discussione preliminare fra la popolazione. Adesso si trattava di consegnarlo al "Comitato dei saggi", al massimo una ventina di persone. Ma i nominativi raccolti erano più di sessanta e nel clima di diffidenza tipico delle città abituate ad essere dominate dalla malavita, qualsiasi scelta era esposta all’accusa di "favorire i propri amici". I nemici del processo partecipativo fin dall’inizio denunciavano ai quattro venti che era tutta una farsa, che le decisioni importanti erano in realtà già state prese. Una soluzione brillante a questo dilemma (una delle molte soluzioni creative che sono state necessarie) è venuta da un anziano insegnante della Podziba: "E' vero - ha detto - che scegliere venti persone su sessanta si presta ad accuse di favoritismo, ma sceglierne solo tre, le tre assolutamente al di sopra di ogni sospetto, no. " E così la scelta dei venti saggi è stata totalmente messa nelle mani di quei tre fra i sessanta che avevano ricevuto gli attestati di più alta considerazione in assoluto. Sviluppi. E' affascinante il processo con il quale queste persone, precisamente diciotto, più un esperto in stesura di statuti e due rappresentanti del potere politico (uno del commissario e l'altro dello stato del Massachusetts), in disaccordo fra loro quasi su tutto, sono riuscite ad arrivare a un accordo creativo e per certi aspetti saggio. Il risultato è una forma di governo, ratificata dal referendum, che, pur nel rispetto delle leggi federali e statali, è tagliata su misura per Chelsea, come si può intuire, fra l'altro, dal fatto che il nuovo statuto prevede l'esclusione a vita dalle cariche pubbliche di tutti coloro che in precedenza in questa veste siano stati incriminati e trovati colpevoli di concussione e corruzione. Training in Ascolto Attivo. La facilitazione dei lavori del Comitato dei saggi, con l'approccio del confronto creativo, è stata essa stessa, per i partecipanti e per gli osservatori, un corso molto efficace ed accelerato di gestione creativa dei conflitti. Primo motivo di conflitto, del tutto inaspettato: se nominare o no il nome di Dio nel preambolo11. Insegnamenti principali. Questa storia di un'intera città che passa dal consenso alle cosche al consenso alla democrazia, ha dei punti in comune (pur nelle differenze) con la storia della Commissione per la Verità e Riconciliazione nel passaggio dall'Apartheid alla Democrazia in 11 Vittorio Foa, nella introduzione al libro di Susan Podziba citato all’inizio di questa scheda, ricorda come si è presentato e come è stato risolto lo stesso problema, nominare o no Dio nel preambolo, nella stesura della Costituzione Italiana. 22 Sud Africa. In entrambi i casi c'è una commissione o comitato di saggi ed in entrambi i casi l'intera popolazione viene coinvolta in un processo che ha il suo perno nel diritto di essere ascoltati. In entrambi i casi il passaggio avviene attraverso un intervento congiunto e convergente di riforma istituzionale, magistratura e partecipazione dei cittadini. Scheda 3. 1996, Washington DC. Vertenza fra il governo Federale Usa e 500 governi Tribali Indiani. Come scrivere i regolamenti attuativi di una legge sul decentramento in modo da renderne facile ed efficace l’implementazione ? Premessa: Il Negotiated Rulemaking Act del 1990, poi potenziato nel 1996, è una legge del Governo Federale Statunitense che prevede il ricorso al metodo del Confronto Creativo nella stesura dei regolamenti attuativi di leggi particolarmente controverse e complesse. Il problema. Nel 1975 il Congresso aveva approvato una legge (L’Indian Self-Determination and Education Assistance Act) che riconosceva ai governi delle tribù indiane presenti sul territorio statunitense, la facoltà di gestire direttamente e autonomamente i principali servizi educativi e sociali. Questa legge, spostando i poteri decisionali a livello locale intendeva aumentare l’efficacia dei servizi e delle politiche. Ma un po’ come nel caso della nostra legge sull’autonomia della scuola, invece di un effettivo ed efficace decentramento, ciò che venne prodotto fu una giungla di direttive contraddittorie e il proliferare di controlli paralizzanti. Nel 1988 il Congresso ha preso atto di tale situazione e dato ai due Dipartimenti di pertinenza, quello dell’Interno e quello della Salute e Servizi Sociali, dieci mesi di tempo per arrivare a una nuova formulazione di tali regole, questa volta con la attiva partecipazione delle tribù e delle loro organizzazioni. Dal 1988 al 1990 i funzionari dei due Dipartimenti si rivolsero ai membri delle diverse tribù chiedendo di avanzare proposte ed effettuarono vari incontri anche a livello locale. Nel 1990 ritenendo completata la fase di consultazione, si chiusero nelle loro stanze a scrivere la nuova versione (secondo loro "partecipata") dei regolamenti attuativi: 80 cartelle in puro gergo burocratico, di nuovo duramente contestate dai destinatari. Ricorso al CC. Nel 1994 il Congresso passa degli emendamenti migliorativi della legge sulla Autodeterminazione nei territori indiani e, questa volta, sulla base del Negotiated Rulemaking Act del 1990, prescrive il ricorso al metodo del Confronto Creativo per i relativi regolamenti attuativi. Tempo massimo 18 mesi, pena la perdita da parte dei dipartimenti interessati della loro autorità regolatoria.Una posizione molto dura, che traeva delle implicazioni drastiche dal bilancio sul funzionamento della PA nei vent’anni precedenti. Di conseguenza si stabilì che l’intero documento, dalle prime stesure a quella finale, sarebbe stato frutto del lavoro di un Comitato di Consulenza formato da 48 rappresentanti delle varie tribù, 6 funzionari del Dipartimento della Sanità e Servizi Sociali e 9 funzionari del Dipartimento degli Interni, per un totale di 63 persone. Facilitatori. Quattro facilitatori di grande esperienza si dichiararono disponibili: due uomini, uno dei quali Americano-Coreano di terza generazione e due donne di cui una Americana – Messicana di seconda generazione. I rappresentanti indiani si riservarono di approvare questi facilitatori dopo averli visti al lavoro nella prima riunione e così fu. Da parte loro i facilitatori accettarono l’incarico solo dopo aver avuto assicurazioni su: lo spettro decisionale del Comitato, la disponibilità dei Ministri (= Secretaries of the Departments) a ratificare le decisioni prese all’unanimità dal Comitato (di cui i loro funzionari erano parte) e la copertura finanziaria dell’intera operazione. Regole, linguaggi e giochi linguistici. I facilitatori dopo aver consultato vari libri ed esperti sulle tradizioni di soluzione dei conflitti e approcci decisionali nelle culture indiane e averne discusso informalmente con i membri del Comitato, hanno proposto le seguenti linee guida, accolte da tutti: 1. Iniziare ogni giornata di lavoro con una preghiera e chiudere in modo analogo ogni sessione di lavoro, di solito della durata di due o tre giorni. Questa pratica era intesa a sottolineare che ci si incontrava e lasciava ogni volta in uno spirito di conciliazione e di fiducia nel processo in corso. 2. Creare spazi di negoziazione sia formali che informali fra i quali tutti i membri del Comitato possano muoversi liberamente. 23 3. Riconoscere come parte intrinseca del dialogo anche il prolungato silenzio e procedere con i lavori solo quando ognuno dichiari di sentirsi a proprio agio su quello svolto e di aver chiari i motivi del passo successivo. 4. La soluzione dei problemi nelle culture indiane avviene abitualmente in modo più olistico e circolare che non nella cultura anglosassone; l’ambiguità viene non solo tollerata, ma apprezzata mentre la puntigliosità nelle definizioni viene vista con sospetto. Accettare quindi che mentre si discute una questione, qualcuno ne sollevi un’altra e poi si ritorni alla prima per portare entrambe a soluzione simultaneamente. 5. Un amichevole senso dell’humor è molto apprezzato e uno speciale rispetto per i più anziani è di rigore. Dare spazio e importanza ai momenti di socialità (intervalli, ricevimenti serali, cene comuni in ristoranti, celebrazioni di compleanni o altri anniversari). Comportamenti e dinamiche. La prima riunione, l’11 aprile del 1995 in un Holiday Inn a Arlington, in Virginia, venne aperta da una preghiera di un anziano rappresentante indiano e poche parole di benvenuto di un funzionario federale, per proseguire con l’auto presentazione dei 63 membri. Un avvocato indiano ha poi ricostruito la storia della legge del 1994 sull’autogoverno dei territori indiani; dopo pranzo il capo del team dei facilitatori e un rappresentante dell’ACUS (Administrative Conference of the United States) hanno illustrato il Negotiated Rulemaking Act e i principi del Confronto Creativo. In particolare l’indicazione di non discutere le singole posizioni in quanto tali, ma riportarle agli interessi e preoccupazioni più generali è piaciuta molto ai rappresentanti indiani, per i quali l’intercalare: “Questa è la posizione, adesso vediamo quali sono gli interessi che la sostengono” divenne il marchio del nuovo stile di negoziazione sia con le controparti federali che fra di loro. Il secondo giorno venne distribuito un elenco di regole sui comportamenti individuali e di gruppo12 formulate dai partecipanti in altre sessioni di Confronto Creativo. Su questa base, i 63 membri del Comitato, discutendo in piccoli gruppi e in plenaria, stabilirono e approvarono alla unanimità le proprie regole. Poi un avvocato indiano propose di organizzare i lavori per sei aree tematiche e altrettanti gruppi di lavoro, lasciando ognuno libero di iscriversi anche a più di un gruppo. Questa proposta fu approvata all’unanimità dopo essere stata esaminata e discussa sia per gruppi separati degli indiani e dei funzionari federali che in plenaria. Infine si decise di sperimentare come criterio generale che i dissensi emersi all’interno di ogni gruppo di lavoro (misto o no) dovessero trovare una soluzione creativa a questo livello prima di presentare i risultati in plenaria. I facilitatori, ai quali veniva riconosciuta libera circolazione e presenza in tutte le riunioni sia di gruppo che plenarie, si assunsero il compito di redigere dei sintetici verbali da distribuire quotidianamente per tenere tutti informati sul procedere di tutti i lavori. Veniva raccomandato di evitare ogni linguaggio gergale in favore di una comunicazione comprensibile a tutti. Sviluppi. Ultimo e importantissimo punto: il carattere aperto e pubblico dell’intero processo. Durante l’intero arco dei lavori i risultati man mano raggiunti e i punti di dissenso sono stati resi pubblici, e i suggerimenti e commenti pervenuti venivano discussi all’inizio di ogni incontro seguente. Lo sforzo di arrivare ad un accordo più ampio possibile era incentivato dall’impegno dei Ministri di ratificare il testo senza modifiche qualora fosse sottoscritto da tutti. In realtà la stesura finale, di 34 pagine in inglese corrente, conteneva anche un allegato con quattro tematiche sulle quali l’accordo unanime non era stato raggiunto. Ciononostante il testo definitivo venne ufficialmente sancito con rapidità e accolto con piena soddisfazione sia dai membri del Comitato che dai loro referenti sociali ed elettori. Insegnamenti principali. Esperienze come questa illustrano la possibilità e l’utilità che le parti vengano non solo consultate, ma divengano partner in contesti di apprendimento reciproco e di co-progettazione entro i quali l’autorità pubblica è al tempo stesso garante dell’intero processo e una delle parti in causa. Lo stesso testo del Negotiated Rulemaking Act definisce “adversarial rulemaking” i metodi tradizionali e li contrappone al “negotiated rulemaking”, come segue: “L’adversarial rulemaking priva le parti interessate e il pubblico dei benefici della negoziazione faccia a faccia e della cooperazione nella attività di sviluppo e creazione di una regola. Li priva 12 Analoghe a quelle contenute nella Appendice A di questo volume. 24 anche dei benefici di condividere le informazioni, conoscenze, pareri di esperti ed esperienze e abilità tecniche possedute dalla parti interessate13” Scheda 4. 1998, Sud Africa. Le relazioni sindacali nel dopo Apartheid. E’ possibile strutturare le dinamiche negoziali sulla base del confronto creativo invece che della contrattazione ottocentesca tradizionale? Il problema. Come gestire l’arduo passaggio delle relazioni sindacali in Sud Africa da una realtà “muro contro muro”, con un alto livello di politicizzazione, metafore belliche, scioperi, boicottaggi, violenze e bracci di ferro, a una stagione sempre difficile, ma nella quale i diritti sindacali sono stati legalmente riconosciuti così come l’obbligo di assicurare condizioni di lavoro e di vita “umane” e il diritto di negoziarle. In sintonia con il concetto di "ubuntu"14 sul quale s'impernia l'esperienza della Commissione per la Verità e la Riconciliazione, anche nel sindacato è in atto un intenso ripensamento su altri modi di impostare i rapporti di potere e negoziare. Facilitatori. Un gruppo di sindacalisti ed esperti di diritto del lavoro sperimentano in alcune vertenze modalità di negoziazione direttamente ispirate all'approccio dell’Alternative Dispute Resolution (ADR) e Confronto Creativo (CC), da loro conosciuti negli anni precedenti in una serie di seminari e incontri con professionisti e studiosi di varie parti del mondo15. I partecipanti. Una delle prime esperienze ha coinvolto i lavoratori dei trasporti su strada, dove le controparti sono molto differenziate e sparpagliate e dove un approccio alternativo nella negoziazione ha consentito di entrare nel merito di tutta una serie di aspetti (per es: orari giornalieri massimi, lotta all’Aids, cure mediche in generale, pause di riposo, ecc.) che la negoziazione frontale eliminava come temi troppo complessi, attestandosi sui soli livelli salariali.16 Le regole. Ecco in un prospetto il confronto fra il vecchio protocollo e quello nuovo17. Trattative vecchio modo: Il sindacato apre con una serie di rivendicazioni molto superiori all’esito finale previsto. Esige una risposta immediata dalla controparte. Controparte: risponde con un’offerta molto più bassa dell’esito finale da lei previsto. Sindacato. Manifesta rabbia e indignazione. Entrambe le parti svalutano sia le rivendicazioni che le contro-offerte della controparte e celano e distorcono le rispettive informazioni. Entrambe le parti alternano il ricorso ai rapporti di forza e il fare “concessioni”, esagerano il valore delle proprie e svalutano quello delle altrui. Le parti alla fine raggiungono un compromesso e nonostante lo presentino come una vittoria, rimangono fondamentalmente insoddisfatte sia della negoziazione che del suo esito. Trattative col Confronto Creativo. Il sindacato apre illustrando i problemi dal punto di vista dei lavoratori dipendenti e fornendo una varietà di informazioni.Controparte: risponde chiedendo ulteriori chiarimenti e informazioni. 13 § 561.2 del Negotiated Rulemaking Act, del 1996 , traduzione di M Sclavi 14 Il concetto di ubuntu è centrale nella risoluzione dei conflitti in diverse tradizioni tribali africane e comporta due aspetti: prima di tutto che l’odio, il continuo lacerante risentimento, è una catena che tiene la vittima prigioniera del suo persecutore; in secondo luogo che una violenza inferta non è mai una questione che interessa unicamente la vittima e l’agente della stessa, ma è uno strappo nel tessuto sociale che tutti devono contribuire a ricucire. Le riunioni alla presenza dei “saggi” del villaggio in cui ognuno narra come ha vissuto l’episodio sono considerate catartiche, nel senso che la solidarietà sociale che si sviluppa ripaga la vittima liberandola dalla necessità del risentimento. In questo contesto anche la “punizione” del colpevole si configura come il suo peculiare contributo all’opera collettiva di ritessitura del rispetto e riconoscimento reciproco. 15 Per una documentazione sulla diffusione dei modelli di negoziazione alternativi, basati sulla ADR e sulla frmazione congiunta delle parti in causa in vari Paesi del mondo, vedi gli Working Papers dell’ILO (International Labor Office) di Ginevra. In particolare, Cfr di Clive Thompson: Dispute prevention and resolution in public services labour relations: Good Policy and practice, WP 277, ILO, 2010. E di Ratnam, V e Tomoda, S: Practical guide for strengthening social dialogue in public service reform ( ILO, 2005) 16 Cfr John Brand: “The National Bargaining council for the road Freight Industry. A South African Case Study”, paper presentato al PON di Harvard, nel maggio 2006 17 Cfr in particolare gli articoli di John Brand e Felicity Steadman in: Labour Dispute Resolution, di J Brand, C Lotter, F. Steadman, T Ngcukaitobi, Juta & Co, Cape Town, 2a ed. 2008 25 Sindacato: illustra in modo ancor più preciso e particolareggiato le cause di disagio, bisogni e desideri della sua base ( per es: illustra le difficoltà nei trasporti casa-lavoro, con esempi e casi precisi) Controparte: identifica le proprie precise necessità e vincoli (es: di solvibilità finanziaria) Le parti: A. prendono sul serio i reciproci interessi e bisogni e dimostrano la volontà di essere creative e flessibili nella ricerca di una soluzione. B. generano un ventaglio più ampio possibile di soluzioni. C. valutano queste soluzioni potenziali sulla base del criterio del reciproco vantaggio e mutuo gradimento. La negoziazione è concepita come momento di reciproco apprendimento e i suoi esiti come il frutto di un’esperienza di co- progettazione creativa. Le parti alla fine individuano una combinazione di soluzioni che offrono risposte ai rispettivi interessi e bisogni. Comportamenti e dinamiche. Il passaggio da una modalità antagonistica a una di confronto creativo si è rivelata difficile da gestire perché sia i negoziatori che specialmente i loro referenti sociali sono abituati a ragionare in termini di rivendicazioni - risposte e rapporti di forza. L’esperienza sindacale in Sud Africa, ha evidenziato che il CC quando s’innesta in precedenti relazioni profondamente antagonistiche, viene vissuto in modo contraddittorio: da un lato si riconosce che gli esiti sono incomparabilmente migliori per entrambe le parti e dall’altro entrambe le parti soffrono di un profondo senso di insoddisfazione per la mancanza del confronto muscolare, hanno la sensazione di rimanere “orfani” del diritto al conflitto sanguigno e di essere vittime di qualche manipolazione. Invece la trattativa tradizionale, basata su una concezione del potere a somma zero ( se vinci, io perdo, se vinco tu perdi) nonostante gli esiti di gran lunga inferiori (sia in termini monetari che specialmente su orari, diritti acquisiti e condizioni del lavoro), viene vissuta come una esperienza dignitosa e “vera.” Questa contraddizione assume il profilo di un vero e proprio paradosso della negoziazione creativa18. Training e sviluppi. Questo paradosso- è stato sostenuto - va dichiarato apertamente e discusso con tutti i referenti, perchè le difficoltà relazionali ed emozionali diventano preminenti quando il confronto si basa sull' invenzione e implementazione di soluzioni creative. A questo fine si sono dimostrati molto utili degli incontri di training congiunto prima delle trattative vere e proprie. Inoltre, riflettendo su come è facile tornare ai vecchi moduli, anche a causa del frequente ricambio di personale, là dove è stato possibile si è sperimentato con successo un periodico training congiunto, nel corso del quale i partecipanti anche su come coinvolgere la base sociale in questo complesso processo di indagine creativa e su come far divenire questo tipo di esperienze senso comune. Giochi linguistici. Si tratta di passare da modi di esprimersi centrati sul rivendicare a modi centrati sulla esplorazione congiunta di una realtà complessa. E quindi da: “Noi chiediamo” “Noi insistiamo” “Ci devono dare quanto chiediamo” “Noi abbiamo diritto a..” (ovvero da giochi linguistici basati sull’io ho ragione tu hai torto) ad altri del tipo: “Ciò che realmente ci preoccupa è..” “Noi temiamo che..” “Siamo disposti a cercare altri modi per soddisfare questi bisogni.” “ Noi preferiamo” “ Lasciateci spiegare i nostri sentimenti al riguardo”, ecc. ( Ovvero giochi linguistici tipici degli esploratori e costruttori di mondi possibili.) Insegnamenti principali. L’adozione del CC nelle relazioni sindacali ha come requisito il pieno riconoscimento dei diritti sindacali e della persona sul luogo di lavoro e una chiara valutazione comparativa degli esiti ottenibili con i due approcci, quello tradizionale e quello basato sul CC. L’esperienza sudafricana differisce da tutte quelle europee per due aspetti. Da un lato la relativa rapidità e drammaticità del passaggio da una concezione della lotta di classe come gioco a somma zero a una concezione della trasformazione sociale ed economica come gioco a somma positiva, dall’altro l’esperienza della Commissione per la Verità e Conciliazione e l'ampia riflessione sulle dinamiche trasformative dei conflitti di tipo nonviolento. Scheda 5. 2007-08, Italia. Modena e Livorno. Come far partecipare tutti i cittadini interessati alla decisione sul che fare di un prezioso fabbricato di proprietà dl Comune da ristrutturare ? 18 Ibidem 26 Premessa. Questa scheda è divisa in due parti, dedicate rispettivamente alla esperienza di Modena e di Livorno. Poiché per molti versi le due esperienze sono simili, nel tratteggiare la seconda ci si limiterà a sottolineare alcuni tratti distintivi e la rubrica “insegnamenti” si riferirà ad entrambe le esperienze. M odena Problema. Nella città di Modena (180.000 abitanti) da un paio d'anni era in corso un dibattito molto acceso su cosa fare di uno stabilimento industriale abbandonato, di circa 22.000 metri quadrati su un'area di circa 44.000: le ex Fonderie Riunite. L'Amministrazione Comunale, proprietaria dell'intera area, aveva avanzato varie proposte, ultima delle quali, abbattere il vecchio edificio, vendere parte del terreno e costruire nella parte restante degli uffici comunali, che si stimava avrebbero fatto risparmiare al Comune circa un milione e trecento mila euro di affitti annui. Questo aveva suscitato proteste molto vivaci da parte di esponenti della cultura e del mondo sindacale. Infatti questo stabilimento industriale, oltre ad essere uno dei pochi sopravvissuti nel panorama architettonico e urbanistico cittadino a ricordare la grande storia industriale della città, è stato anche teatro di una tragedia che ha impresso una ferita profonda nella vita cittadina, quando, nel 1950 (precisamente il 9 gennaio) la polizia ha sparato su un gruppo di dimostranti, uccidendo sei giovanissimi operai. Facilitatori. Alla fine del 2006 il sindaco e l'assessore all'urbanistica, su proposta di un giovane assessore al Bilancio e Partecipazione che stava seguendo un corso sulla progettazione partecipata alla università19, stabiliscono di coinvolgere ufficialmente e formalmente gli abitanti della città nella discussione e decisione sulla futura destinazione di questo edificio. In un pranzo di lavoro la prof Marianella Sclavi del Politecnico di Milano (l'autrice del libro letto dal giovane assessore) scrive sul retro di una busta le due parole chiave che avrebbero contraddistinto il processo partecipativo: Confronto Creativo e Open Space Technology20. Marianella Sclavi dirigerà il processo con la collaborazione di due ex allievi, Sara Seravalle e Matthias Reuter, e ( per la parte Open Space Technology) di Gerardo De Luzenberger di Genius Loci e con la generosa assistenza dell'intera staff dell'assessorato al Bilancio e Partecipazione. Partecipanti e training. Uno dei modelli più chiari che Sclavi aveva in mente era quello di Chelsea (Vedi Caso 2 qui sopra) e infatti anche a Modena il processo partecipativo inizia:1. con un elenco di una cinquantina di leader locali negli ambiti politico, economico e sociale da intervistare per conoscere le loro idee e per invitarli a dare il loro contributo al processo partecipativo 2. con un corso per “facilitatori locali volontari”, cioè abitanti disposti a dar una mano nel coinvolgimento dei loro concittadini. Questo corso, divenuto poi standard nei processi partecipativi successivi condotti dalla stessa facilitatrice, è composto di quattro incontri di quattro ore l'uno(di solito dalle 18 alle 22, cioè in orario di dopo-lavoro). I temi trattati sono: Ascolto Attivo, Gestione creativa dei conflitti, Open Space Technology e Confronto Creativo. Inoltre viene presentata e discussa una mappa del percorso partecipativo che, come nel caso di Chelsea, servirà ad illustrare le varie tappe del processo partecipativo a tutti gli interlocutori, a tutti i livelli. Comportamenti e dinamiche: la mappa. Riportiamo qui sotto la mappa che illustra il percorso del progetto partecipativo “Ex Fonderie” di Modena, con dei brevi commenti. 19 Precisamente, il sindaco GiorgioPighi, l’ssessore all’urbanistica Daniele Sitta e l’assessore al Bilancio e Partecipazione: Francesco Raphael Frieri. 20 Owen, H. (2009), Open Space Technology, istruzioni per l’uso, Geniusloci, Milano, a cura di Gerardo de Luzenberger 27 La mappa illustra cinque fasi. La prima, "I primi passi", prevede le interviste, il corso e gli incontri con vari gruppi di cittadini, di cui abbiamo già parlato. Seconda Fase: "La città esplora", prevede di: a. visitare di persona i siti e le aree interessate alla progettazione partecipata, b. svolgere delle indagini sulle migliori pratiche di riconversione di edifici industriali dismessi a livello nazionale e internazionale, c. organizzare una mostra per esporre e discutere i risultati di queste esperienze e indagini. Terza Fase: "La città propone", ruota attorno ad una giornata di lavoro aperta a tutti coloro che sono interessati alla tematica in questione ed organizzata secondo le modalità di un Open Space Technology (OST), che consente a chiunque lo desideri di avanzare delle proposte e di discuterle con chi fra i presenti le trova per un motivo o per l’altro interessanti21. Quarta fase: "La città sceglie": i portavoce delle proposte discusse nell’OST, le elaborano, con l’aiuto di una facilitatrice, secondo i principi e le regole del Confronto Creativo allo scopo di arrivare a un progetto unico giudicato da tutti migliore di ogni singola proposta originaria. Quinta fase: "La città decide e realizza", dove il potere politico presenta alla cittadinanza i risultati del processo, illustra le proprie decisioni e stabilisce i tempi e modi della loro realizzazione, anch’essi secondo modalità trasparenti e partecipate22. Proposte, Mission e Regole. Le proposte avanzate e discusse nella giornata di Open Space Technology e sintetizzate nel Report Istantaneo sono state venti e spaziavano da quella del Rettore della Università di Modena e Reggio Emilia, che ha proposto una Nuova Facoltà di Design Industriale, ad esponenti di gruppi e associazioni culturali che parlavano di un Centro Multiculturale e Multietnico23. I portavoce di queste proposte, alla prima riunione del Tavolo del Confronto Creativo, hanno discusso e sottoscritto la seguente "Dichiarazione Comune": 21 Sull’Open Space Tecnology e i suoi rapporti con il Confrono Creativo vedi la scheda nella Appendice B di questo volume 22 Vedi “ex-fonderie” sul sito del Comune di Modena. 23 Le altre proposte: un gruppo di giovani artisti e attori hanno proposto "La fonderia delle Arti", cioè un Centro di arti performative ad alto livello, due gruppi di docenti universitari degli spazi espositivi interattivi per le giovani generazioni, rispettivamente sull'ideazione e lavorazione dei prototipi nella industria metal meccanica modenese ("Officina Emilia") e un Centro della Scienza su modello di iniziative analoghe a Firenze e Trieste. Altre proposte 28 Noi sottoscritti partecipanti al Tavolo del CC per il progetto partecipativo Exfonderie Riunite di Modena, ci impegniamo a mettere concretamente a fuoco tutte le proposte emerse dall'Open Space, non per contrapporle l'una all'altra, ma come punto di partenza per l'individuazione e invenzione di nuove proposte complesse e composite che sappiano contemporaneamente:1. rispondere al più vasto possibile arco di esigenze; 2. attingere al passato per avventurarsi nel futuro con i valori della solidarietà, convivialità, creatività; 3. risultare in un progetto di grande vitalità sociale e intellettuale, di cui la città sia fiera; 4. un progetto importante e bello anche esteticamente nel rispetto dell' identità storica del luogo e dell'edificio. Poi, in gruppetti di tre o quattro, i membri del Tavolo, sulla base degli esempi che trovate nella Appendice A di questo volume, hanno proposto, discusso e approvato le Regole per guidare i loro comportamenti e procedure decisionali in quanto membri del Tavolo. Ci limitiamo a riportarne due. Sui comportamenti: "Ogni persona concentrerà l'attenzione sugli aspetti positivi di ciò che viene detto, sforzandosi in piena buona fede di comprendere le preoccupazioni altrui. Le domande tese a capire meglio sono le benvenute, quelle retoriche vanno evitate ed i giudizi negativi vanno motivati." Sulle decisioni: "La convergenza è raggiunta quanto il pacchetto di proposte elaborato risulta come minimo "accettabile" a tutti i partecipanti. Alcuni possono non essere completamente d'accordo con ogni aspetto, ma le loro riserve non sono così forti da indurli ad opporsi all'intera proposta." Creatività e giochi linguistici. Fin dall’inizio gli aspetti metaforici del progetto da elaborare sono stati fortemente sottolineati e ogni proposta è stata esaminata da quattro punti di vista: gli interessi in gioco, le emozioni, i valori e l’ identità storica e culturale della città. Le dinamiche principali che hanno favorito la co-progettazione sono state tre: 1.Una particolare enfasi sulle “parole chiave” che emergevano dalla discussione, come “officina” e “prototipo”, che fanno entrambe riferimento all’alta professionalità dell’industria modenese (in particolare quella metalmeccanica, ma non solo) con la sua capacità di produrre pezzi unici e attenzione agli aspetti di design. 2.Il ricorso alle “bisociazioni multiple”, ovvero chiedersi come può trasformasi un progetto alla luce di un altro. Per es: come cambia la Facoltà di Design Industriale se sono presenti anche dei corsi di Arti Performative? E Viceversa, dei corsi di Arti performative come possono essere arricchiti dalle competenze e attrezzature di una Facoltà di Design? 3. “L’andare nei luoghi assieme”: la visita ad una fonderia ancora in funzione o al laboratorio di un operaio prototipista e le “visite reciproche” come nella sede di Officine Emilia con la loro collezione di torni, trasformata in un laboratorio interattivo, o nella sede dell’Istituto Storico della Resistenza. E così via. Dopo ognuna di queste visite i partecipanti sono invitati a chiedersi se questa esperienza è servita in qualche modo a mettere meglio a fuoco il progetto comune. In ogni caso l’ospitarsi reciprocamente, il trovarsi ad offrire e accettare un passaggio in auto e le occasioni di scambi di vedute “personali”, contribuiscono a consolidare la conoscenza e fiducia reciproca. Vincoli. L’incarico, su esplicita richiesta della facilitatrice, era soggetto a tre vincoli: uno temporale, ovvero il 31 maggio 2007 come data massima entro la quale presentare il progetto finale e condiviso alla Amministrazione (il che corrispondeva a 5 mesi di lavoro); e due relativi agli aspetti finanziari dell’operazione. Il gruppo di lavoro si impegnava sia a suggerire come raccogliere fondi per sostenere economicamente il progetto finale, sia a fare in modo che le attività e iniziative da svolgersi nell’edificio ristrutturato non gravassero sul pubblico erario. erano: una discoteca protetta, un museo sulle tecnologie dei motori automobilistici ("Expotecnica"), un centro di pratiche del benessere e qualità della vita. Ancora: trasformare il cortile della fabbrica in una piazza coperta e adottare un approccio gestionale innovativo, anch'esso partecipato e non condominiale, di questi spazi. I nomi dei membri del Tavolo sulle ex Fonderie Riunite sono: Zoella Benincasa, Mauro Bompani, Giacomo Caliri, Gianpieto Cavezza, Corinto Corsi, Angelo Fanfara, Alessandra Ferraris, Guido Guidotti, Nadia Luppi, Luciana Magnanini, Simona Mari, Gian Carlo Pellicani, Ivano Pioppi, Federica Rocchi, Margherita Russo, Claudio Silingardi, Stefano Trippi, Giuliano Vecchi, Alessandr Villa, Fanny Zangelmi. 29 Questi vincoli ai quali nessuno dei partecipanti ha obbiettato, hanno aiutato a tenere assieme, nei lavori del Tavolo, le dimensioni della creatività e del dialogo col senso di responsabilità organizzativa e gestionale. E questo nonostante le divisioni che pure ovviamente erano presenti e anche persistenti. Il tre vincoli sono stati onorati con la sottoscrizione del progetto finale la notte del 31 maggio, con il suggerimento di vendere una specifica parte del terreno e di costruire in un’altra parte i famosi uffici comunali che avrebbero fatto risparmiare più di un milione di euro annui d’affitto e infine con il suggerimento di istituire una Fondazione Partecipata per gestire la parte progettuale nata dal Confronto Creativo come un tutto unico con impegno a equilibrare i costi di gestione in modo da non pesare sulla PA , a parte un contributo iniziale di avvio. Il progetto finale. Il progetto finale, battezzato con l’acronimo “DAST” (Design, Arti, Scienza e Tecnica, delle Ex-fonderie di Modena) è nato quando la parola “Design”, gira e rigira, ha incominciato ad essere vista come una continuazione post-moderna della tradizione artigiana e industriale locale: “ i modenesi sono sempre stati dei designers !!” E questo non solo grazie ai rapporti fra industria di piccole e medie dimensioni e scuole professionali locali di alto livello,ma anche nella governance del territorio. Infatti, il Comune di Modena è famoso in tutto il mondo ( il “modello modenese di sviluppo”) perché nell’immediato dopoguerra per far fronte alla diffusa disoccupazione, ha inventato i “Villaggi artigiani”, dove il territorio acquistato dal Comune, suddiviso in lotti, veniva assegnato praticamente a costo zero a chi ne faceva richiesta per usi produttivi. Con ciò innestando un circolo virtuoso (governance-esigenze della società civile-conoscenze tecnologiche) antenato di quello che il Tavolo del CC intendeva rivitalizzare e riportare al centro dell’identità e memoria della città all’inizio del XXI secolo. Il progetto DAST, per complessivi 7500 metri quadrati del futuro centro culturale e residenziale, è concepito come luogo della Memoria storica della città e Centro di studi, ricerca e sperimentazione dei linguaggi e delle pratiche della co-progettazione creativa in tutti gli ambiti della vita sociale, culturale, formativa ed economica. Un luogo molto energetico dove i giovani possono entrare in contatto, grazie a congegni interattivi in 2D e 3 e 4D e all’espressività artistica in tutte le sue forme, con le tradizioni d’imprenditorialità locale e possono appassionarsi alla ricerca e sperimentazione tecnologica e scientifica. Sviluppi. Dal 31 maggio 2007 in poi i membri del Tavolo proseguono il dialogo con l’Amministrazione e attuano successive precisazioni e riadattamenti del progetto senza bisogno di altri interventi della facilitatrice24. Nel marzo del 2008 il Consiglio Comunale di Modena ha approvato la proposta DAST, impegnando 5 milioni di euro provenienti prevalentemente dalla valorizzazione dell’area ex-Fonderie. Nel luglio del 2008 viene bandito un concorso internazionale di idee volto a dare un disegno architettonico alla proposta DAST in senso lato (cioè la configurazione dell’intera area e non solo gli spazi che le attività DAST occuperanno). Vengono presentati 60 progetti e nel gennaio 2009 la giuria, di cui fanno parte due membri del Tavolo, decreta il vincitore25. Livorno Premessa. Il percorso di democrazia partecipata a Livorno conosciuto come Cisternino2020 è nato dal successo di una serie televisiva “Livorno400” gestita dalla prof Susan George, presidente e direttrice di un corso di laurea in Comunicazione Pubblica, Sociale e d'Impresa 24 Il presidente dell’Ordine degli Architetti di Modena, Claudio Gibertoni, che fin dall’inizio ha partecipato ai lavori del TCC in qualità di traduttore delle varie idee nelle loro dimensioni spaziali, ha invece proseguito in questo suo ruolo di facilitatore. 25 Un quadro più attuale della situazione, con anche la descrizione dei vari mutamenti operati per far fronte alle mutate condizioni connesse alla crisi economica. è reperibile nel documento intitolato “EXFO ovvero il DAST 4” del dicembre 2010, scritto da Margherita Russo e Giulia Piscitelli di Officina Emilia, nella cui attuale sede (in attesa di spostarsi nello spazio DAST) è conservata tutta la documentazione prodotta dal TCC. 30 dell'Università di Pisa e da ottanta suoi allievi. Il progetto di training “hands on” sulle tecniche della comunicazione pubblica, si è concretizzato da ottobre 2005 a marzo 2006, in 16 trasmissioni di 40 minuti ciascuna sul passato e presente di Livorno, con interviste, servizi speciali e domande-quiz su “ciò che della città ognuno dovrebbe sapere” da rivolgere ai giovani e formulate dai Livornesi più anziani. Durante l'ultima trasmissione, svolta nella sala del consiglio comunale alla presenza del sindaco e di un certo numero di consiglieri, era emersa la proposta di organizzare un Laboratorio per il Futuro di Livorno in grado di coinvolgere la cittadinanza nella riflessione su “dove sta andando” e “dove vogliamo che vada” la città nel XXI secolo. Nel luglio 2006 una parte delle persone impegnate in questo progetto partecipano a un workshop sulla gestione creativa del conflitto gestito da Marianella Sclavi in collaborazione con il Teatro Verdi di Pisa e col corso di laurea di Susan George26. L’idea che prende corpo in questo incontro e quelli successivi è che la natura irriverente e il piacere del confronto brusco tipici della vita sociale e culturale livornesi, il gusto della sfida e l’orgoglio di essere “riserva indiana”, potrebbero in realtà predisporre la città ad avventurarsi in una esperienza radicalmente innovativa. Il problema e il processo. La riunione nell’ufficio del sindaco di Livorno, menzionata nell’introduzione di questo libro27, da un’idea di com’è nata la decisione di fare del Cisternino di città una sede di iniziativa culturale per i giovani, gestita dai giovani della città. Il processo partecipativo denominato Cisternino 202028 ha ufficialmente preso il via il giorno 14 gennaio 2008 su incarico del Comune di Livorno il quale, sulla base di una proposta del Laboratorio per il Futuro di Livorno e nello spirito della nuova legge regionale n° 69 del dicembre 2007 dal titolo “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”, ha deciso di sperimentare una metodologia innovativa rispetto ai tradizionali criteri di consultazione. In particolare fino al 23 maggio il percorso partecipativo, aperto a tutti gli interessati, ha seguito quattro fasi: La città ascolta, La città esplora, La città propone, La città decide. Dal 24 maggio in poi si è aperta un’ulteriore fase denominata “Tavolo del Confronto Creativo”, che ha avuto come obiettivo quello di vedere se le trentasette proposte avanzate e discusse nel corso della giornata di OST potevano fecondarsi a vicenda e divenire un progetto unitario. Età e tema. A Livorno (più che a Modena) è stata data fin dall’inizio grande enfasi al doppio scopo di un processo partecipativo: oltre al stabilire il “che fare ?”, imparare “come fare”. Nei volantini e interventi vari viene posto in risalto che “un processo partecipativo è una opportunità straordinaria per praticare e apprendere, non in una aula scolastica, ma direttamente nel vivo di un vero processo decisionale, la gestione dialogica delle divergenze e la soluzione creativa e congiunta dei problemi29” E’ quindi particolarmente significativo che al corso per facilitatori locali si siano iscritte ben novantanove persone, la gran parte sotto i 40 anni30. All’OST, tenutosi il 22 maggio hanno partecipato 200 persone che hanno presentato e discusso 37 proposte. I facilitatori. Direzione generale di Marianella Sclavi, Politecnico di Milano, con la collaborazione di Susan George dell’Università di Pisa, di Luca Biagiotti del Teatro Verdi di Pisa, del mediatore e abitante di Livorno Yoga Patti, e dei dirigenti amministrativi del Comune di Livorno. La formazione sull’Open Space Technology e il relativo evento sono stati affidati a Gerardo de Luzenberger di Genius Loci. 26 Luca Biagiotti del Teatro Verdi aveva appena tradotto dall’inglese una serie di stupende simulazioni sui conflitti internazionali ideate dal Consensus Building Institute di Boston, che stavano per essere pubblicate. Cfr: Consensus Building Institute (a cura di ) Costruire una Pace. Bruno Mondadori, 2006, introdotto da una conversazione fra Marianella Sclavi e l’ambasciatore Sergio Romano. 27 Cfr pag iii. Un ruolo fondamentale , accanto al sindaco Alesandro Cosimi, l’hanno avuto gli assessori “ai Giovani e Partecipazione” Emiliano Chirchietti, l’assessore alla Scuola Carla Roncaglia , l’assessore alle Politiche Culturali Massimo Guantini e quello alle Politiche Sociali Alfio Baldi. 28 Il numero “2020” sta ad indicare “fra 20 anni”, ovvero “progettare guardando al futuro.” Il progetto ha infatti preso il via con la redazione di un documento intitolato “I have a dream”, su come desideriamo che sia Livorno nel 2028, firmato da sedici illustri abitanti di Livorno : Elena Battazzi , Daniela Bertelli, Renato Butta, Rosangela Carvalho Amorim, Paolo Castignoli, Simona Cerrai, Paolo Dario, Stefano Ranieri, Fiorenza Dini,Maurizio Giacobbe, Lamberto Giannini, Mauro Grossi, Valentina Lucchini, Darya Majidi, Andrea Pellegrini, Paolo Ruffini. 29 Cfr : Che fare ? del Cisternino di città. Il Progetto Cisternino 2020. Proposta finale sottoscritta da tutti I partecipanti al Tavolo delConfronto Creativo, il 20-11- 2008 30 A Modena i partecipanti a titolo volontario erano stati trentasei. 31 Dalle 37 proposte al Tavolo. Il “giorno dopo l’Ost”, tutti i partecipanti erano invitati ad un incontro pomeridiano per un’analisi dei risultati e per decidere, assieme alle autorità politiche preposte, come proseguire. In questa riunione, di nuovo molto affollata (più di cento persone) la trasformazione dalle proposte originarie a quelle invitate al Tavolo del CC è avvenuta in due tappe. A. Individuazione di una serie di parole chiave comuni, sottostanti tutte le proposte. Ovvero : 1. Progettazione permanente partecipata e sostenibile, 2. Gestione creativa e costruttiva dei conflitti e diversità, 3. Cisternino 2020 come nodo di una rete, 4. Autofinanziamento e individuazione di modalità trasparenti e partecipate di gestione. B. Raggruppamento delle 37 proposte in cinque aree più una trasversale, relativa agli aspetti “Cisternino luogo accogliente” e “Cisternino luogo autofinanziato”. Le altre cinque, sono: Area 1. Multi-funzionale: lettere, dibattiti, formazione, laboratori, atelier. Area 2. Produzione: registrazione video e musicale, sede radio locale. Area 3. Incubatore di progetti partecipativi. Spazi e organizzazione di capacità progettali, teoriche e professionali, attorno a temi e problemi dell’urbanistica partecipata, altra economia, sostenibilità ambientale, design nautico, sicurezza, traffico. Area 4. Sportelli e Servizi. Informazioni su mercato del lavoro e impieghi, volontariato, turismo sostenibili e proposte analoghe. Area 5. Eventi e mostre. Esposizioni di pittura, scultura, foto, eventi musicali e teatrali, ecc.. (Con possibilità di prevedere degli spazi di foresteria per ospiti della struttura provenienti da altre città) Il mese di giugno vede incontri e lavori molto intensi per ogni Area, che poi designa dei portavoce disposti a impegnarsi nei lavori del Tavolo del CC. Dichiarazione di intenti. Il 24 giugno viene presentata ufficialmente alle autorità e alla stampa un primo corposo documento che ruota attorno a una Dichiarazione di Intenti approvata da tutti i partecipanti che indica come obiettivo comune un progetto che risponda a tre criteri generali. Eccoli: 1.Vitalità e convivialità: il Cisternino di Città dovrà essere un luogo ospitale e accogliente, dove i giovani ( e meno giovani ) si sentano a casa loro , con ampi orari di apertura, spazio per l’Information Technology, la musica, il cinema, il teatro, le arti visive e con un bar e/o un punto di ristoro. 2. Co-protagonismo e pratica delle dinamiche del dialogo e della gestione creativa dei conflitti: dovrà rappresentare un punto di interscambio provocatorio per freschezza e creatività sia con la città che con il resto del mondo. 3. Servizio alla città: attraverso iniziative e sportelli rivolti a specifiche tipologie di utenti, dai bambini ai giovani in cerca di prima occupazione, imprenditorialità giovanile, scambi culturali, viaggi, ecc. Progetto finale. Il progetto culturale unitario elaborato dai membri del TCC, è stato chiamato “Laboratorio per l'Arte, la Partecipazione, l'Innovazione e la Sostenibilità” (LAPIS ). Il LAPIS nel Cisternino di città intende essere un centro culturale che ha come missione quella di promuovere l'ampliamento delle opportunità e scelte di vita individuali e collettive nel rispetto di quattro dimensioni centrali: persona, creatività, cura, accoglienza della diversità. Le specifiche proposte culturali del LAPIS verranno decise annualmente tramite un Open Space Technology aperto a tutti coloro che sono interessati a livello cittadino. E’ un progetto che, anche a confronto con esperienze analoghe a livello europeo, si presenta come genuinamente innovativo sia sotto il profilo dei contenuti culturali che per le modalità di gestione dello spazio31. Sviluppi. Siamo nel 2011, la ristrutturazione dell’edificio Cisternino di Città è ultimata (anche seguendo le indicazioni spaziali contenute nel documento del TCC) e si è ancora in attesa che l’Amministrazione Comunale promuova una qualche forma di concorso32 per assegnarne la gestione a una associazione o gruppo che risponda alle caratteristiche indicate nel documento finale del Tavolo. Nel frattempo un sottogruppo di partecipanti ha fondato l’associazione Lab31 Il progetto, consultabile e scaricabile sul sito del Comune di Livorno, si articola in quattro parti più allegati.: 1. UN LAPIS per disegnare il FUTURO di Livorno: presentazione per parole chiave; 2. UN LAPIS nel Cisternino di città: presentazione spaziale; 3. Stile di gestione e stili decisionali; 4. Stile di gestione finanziaria; 5: Allegati. Partecipanti al Tavolo e firmatari: Paolo Bruciati, Lauro Lubrano, Carlo Ruberti, Giovanna Di Lieto, Giuseppina Lo Re, Patrizia Romano, Valeria Giuliani, Cristina Olivieri, Jessica Manzella, Jacopo Fiampiani, Claudia Casini, Mario Francini, M Grazia Petreschi, Federico Aliberti, Maria Frangioni, Giovanni Gimelli, Federico Nenci, Maurizio Giacobbe, Marco Bennici. 32 La Amministrazione ha chiarito già nel 2009 che intende ricorrere a un avviso pubblico con richiesta di manifestazione d’interesse a prendere in gestione la struttura. 32 Lab ( Laboratorio Labronico) che si occupa di promuovere esperienze di cittadinanza attiva e di progettazione partecipata. Insegnamenti (Modena e Livorno). In entrambe le esperienze, Modena e Livorno, si è rivelato molto utile l’accoppiamento di Ost come momento centrale del percorso partecipativo e CC come momento di elaborazione multiattoriale del progetto. Questo uso dell’Open Space organico a processi partecipativi non ci risulta per ora presente in altri Paesi33 e infatti non lo troverete previsto nei capitoli seguenti che descrivono le varie fasi del Confronto Creativo nella loro versione più comune e classica. In entrambe le città un piccolo nucleo di partecipanti sia della società civile che della PA hanno continuato ad interessarsi a queste metodologie e a promuovere esperienze di questo tipo, anche se gli orientamenti di fondo della politica locale proseguono secondo i canoni precedenti. Ma il fatto che non si lascino demoralizzare e non demordano, può significare che avvertono che l’interesse verso questo tipo di cambiamenti radicali, è vivo e crescente. In entrambe le esperienze è rimasta scoperta e carente la parte finale del processo partecipativo secondo i canoni del CC, e cioè quella che in questo libro chiamiamo e descriviamo come “autoimplementazione.” Le ragioni sono molte, ma se avessimo avuto a disposizione questo libro, avremmo certamente fatto meglio. Infine, in entrambi i casi, il periodo di tempo fra la consegna del progetto finale del Tavolo e la sua implementazione ha subito continui slittamenti. Ci pare un segno della vitalità dell’approccio che dopo tre o quattro anni vi siano ancora nuclei di protagonisti combattivi, che non hanno rinunciato a vedere la realizzazione del loro progetto. Ma questi slittamenti, se in parte sono addebitabili alla crisi economica e alla crisi delle finanze pubbliche, in parte maggiore sono connessi alla marginalità che, per ora, viene assegnata a queste esperienze dall’insieme della classe politica in particolare e più in generale all’inerzia delle vecchie abitudini e modalità di operare e decidere. I training congiunti sudafricani e il concetto di “paradosso della negoziazione creativa” meriterebbero una seria riflessione e potrebbero ispirare iniziative analoghe che coinvolgano rappresentanti della società civile, amministratori pubblici e giovani che si stanno impegnando nella vita politica. *** Le esperienze sopra tratteggiate sembrano molto diverse fra loro, e per molti versi lo sono. Ma al tempo stesso, come già acennato nel primo capitolo, esiste una struttura che le connette fra loro. I rimanenti capitoli di questo libro descrivono in modo particolareggiato questa struttura, composta di cinque fasi o tappe. La prima è la convocazione, nella quale si redige una mappa delle posizioni divergenti e ci si assicura che siano presenti al tavolo e che coloro che hanno l'autorità formale sostengano tale approccio. La seconda riguarda l'assegnazione dei ruoli e responsabilità, la definizione della mission e delle regole di base. Nel CC ci deve essere qualcuno che facilita, un altro che prende appunti, ecc ecc. La terza tappa del CC è la soluzione alternativa dei problemi del gruppo, attraverso l’ascolto pro-attivo, il brainstorming e la moltiplicazione delle opzioni. La quarta tappa, il raggiungimento di un accordo, comporta il verificare che ognuno sia stato per davvero ascoltato e che le sue preoccupazioni di fondo abbiano trovato una risposta. La tappa conclusiva consiste nello stabilire dei meccanismi di controllo sull’andamento dell’implementazione e nel far in modo che tutte le parti coinvolte (e i gruppi che rappresentano) onorino gli impegni assunti. Concetti chiave del Capitolo 2. Circolo virtuoso Società Civile- PA- Università “La diversità da scacco alla competenza” Principio di maggiore efficacia delle decisioni inclusive Mission Le condizioni di efficacia di Wikipedia 33 Cfr Garramone V. e M. Aicardi (a cura di) Paradise l’OST ?, Milano, Franco Angeli, 2010 33 Trasformare la diversità in capitale sociale Comunità indagante Gli antenati ( secondo dopoguerra): nascita delle comunità terapeutiche, nascita del “T group”, nascita della Search Conference. “Questo metodo ha due gambe: ascolto e creatività. Una sola non basta” Quali parole possiamo trovare che ci accomunano ? Quali regole ci diamo su come trattare le divergenze e i conflitti ? Quali procedure per arrivare a una decisione condivisa? Giochi linguistici Un amichevole senso dell’humor Ubuntu ADR ( Alternative Dispute Resolution ) Trattative col CC Negoziazione come apprendimento reciproco “Insoddisfazione per mancanza di confronto muscolare” Paradosso della negoziazione creativa Training congiunto Open Space Technology 34 Merrelyn and Fred Emery : "Searching: for new directions, in new ways.. for new times " in Sutherland John (a cura di) Management Handbook for Public Administrators, New York 1978 pp 257- 300 Outline dalle lezioni di Marianella Pirzio Biroli Sclavi Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura Merrelyn and Fred Emery : Search Conference. pag 267 SEARCH CONFERENCE. Scopo: mettere in atto e sostenere dei modi di relazionarsi che favoriscono processi di apprendimento reciproco e la progettazione adattiva pag; 276-277 " Modello Tavistock " = una strumentazione euristica (di ricerca ) per identificare e comprendere quali processi consci e inconsci avvengono nei gruppi e fra i gruppi di persone. Basato su una epistemologia dei sistemi aperti. Testo centrale : Wilfred R. BION : " EXPERIENCES IN GROUPS " ( 1961) trad. it: Armando Armando = essere consapevoli e controllare i processi emozionali contrari all'apprendimento di gruppo, favorire quelli che lo consentono Modi di relazionarsi 1.fight-flight (aggredire- sfuggire) contrari ad apprendimenti di gruppo: 2. dipendenza Il modo fight-flight: le persone non hanno alcun desiderio di apprendere l'una dall'altra. Invece tendono a : - sottrarsi al soggetto trattato - o a vincere/ perdere Il modo dipendenza: persone non lavorano per la crescita reciproca Invece protese a: imparare solo dal = agiscono come se tutto dipendesse dal fare attenzione alle parole del docente e avere fede nella sua competenza. Figura 5 Progettazione della comunità di Gungahlin ( M.Emery & F. Emery ) 1. Ambiente generale esterno 2. Futuri desiderabili 3. Futuri desiderabili per la città, Città desiderabili 4. Ostacoli: misurarsi con la realtà e con giudizi di valore iniziali ( fase 1 ) 5.scopo comunità indagante continua (Per identificare gli scopi ideali più rilevanti per il processo di progettazione, i partecipanti devono aver prima costruito un ritratto condiviso su da dove viene il sistema di cui sono parte e dove va: i suoi possibili futuri ) Fase 1. L'ambiente generale o i futuri in atto. Compito: indagare tutti i possibili trend in atto nella società attraverso un elenco di eventi recenti sintomatici: tecnici, ambientali, sociali, attitudinali, demografici ecc.. Fase 2. Futuri desiderabili. ( Valori - ideali ) Avendo deciso che il compito precedente é completato, il gruppo sulla base di questo elenco ricava un elenco di valori condivisi espliciti o impliciti che stanno alla base di futuri desiderabili Fase 3. Città desiderabili. I valori condivisi elencati nella fase precedente vengono tradotti in ritratti di città desiderabili. Fase 4. Ostacoli. Elenco delle difficoltà e ostacoli che si incontreranno per realizzare le città desiderabili. Implica una nuova presa in considerazione degli elenchi delle Fasi 1 ( tendenze in atto ) e 2 ( valori desiderabili ) . Alcune delle osservazioni di queste due fasi precedenti possono essere modificate in questa fase. ( Lasciare gli ostacoli per ultimi affinché i valori desiderati rimangano espliciti e in evidenza e non siano oscurati come succede quando i ragionamenti si basano prevalentemente su considerazioni economiche e tecnologiche. ) Fase 5. Scopo . Il presente. Come implementare i city design "fattibili" Placidi-Reattivi Turbolenti La natura delle situazioni. Problem-solving Puzzle -solving gli esperti pensano di conoscere il problema / cercano entro le conoscenze esistenti un ventaglio di soluzioni probabili da comparare fra loro per scegliere la migliore ogni situazione é talmente complessa e imprevedibile che bisogna muoversi con cautela. ogni passo ci fa capire qualcosa di quella situazione unica e particolare e quali altri passi sono possibili La relazione fra le parti é una Le decisioni Processo razionale Processo basato sul valore ( valori estrinseci; mezzi-fini ) intrinseco di un certo corso di azione per i soggetti Probabilità che i soggetti si mobilitino per realizzarlo Efficienza probabile dei diversi percorsi indipendentemente dai soggetti Conoscenze cruciali verifica dei fatti verifica dei valori motivazioni della gente: come convincerla che la soluzione degli esperti é la migliore possibile quando il percorso da A a B può essere deciso solo mentre si procede i soggetti devono poter valutare i tragitti possibili alla luce dei valori-ideali condivisi Per creare una identità di gruppo che consenta l'apprendimento di gruppo é necessario: 1. creare una situazione in cui é assente la minaccia di "perdere la faccia", di agio reciproco, 2. dove i membri possono elaborare un quadro di valori condivisi abbastanza ampio da rendere inoffensive le aree di probabile disaccordo, 3. e contemporaneamente consenta a ciascuno di intervenire ed essere notato dagli altri come persona individuale Il ruolo degli organizzatori della Search Conference é quello di creare e mantenere nel tempo questo clima. Conoscenze generali necessarie per i leader di co-progettazione: 1) mettere in moto un processo di indagine entro il quale i soggetti interessati possano chiaramente identificare gli ideali che devono guidare il cambiamento 2) mettere in moto un processo di cambiamento che favorisca l'apprendimento reciproco e collettivo a ritmi appropriati rispetto le esigenze 3) sostenere un modo di rapportarsi e di partecipazione che consenta di valutare e scegliere i percorsi in base al loro valore intrinseco per coloro che ne sono protagonisti e/o coinvolti Conoscenze specifiche per co-progettazione: a) sapere riconoscere e gestire le dinamiche di contesti aperti all'apprendimento reciproco e collettivo b) sapere come tenere sotto controllo le forze emozionali di gruppo e in particolare l'ansia e tensioni connesse al muoversi con spirito esplorativo, senza certezze, in una situazione orientata a dei risultati La soluzione Search-Conference: il ricorso a "isole sociali" riunirsi in un luogo appartato e riposante, dove i partecipanti possono formare una comunità isolata per tutto il tempo che ritengono necessario fuori dall'urgenza di giungere in tempi stretti a decisioni esplicite e senza la possibilità di trovare delle scuse per sottrarsi al compito ( lavoro-famiglia ) Principali temi delle search conferences organizzate negli anni: progettazione aziendale, sviluppo di comunità, progettazione urbana, risoluzione di conflitti internazionali principio unificatore, pur nelle differenze: mettere gli individui in condizioni favorevoli per accedere a un livello di responsabilità condivisa.