2012 OTTOBRE DAL VANGELO IL VERO STILE DELLA MISSIONE IL DIALOGO LA BELLEZZA DEL NOSTRO DIO è fatto così: vuole tanto bene a tutti don BRUNO MAGGIONI H o predicato la Bibbia ai missionari, l’ho predicata alle suore, l’ho predicata in clausura. Stranamente, le mie prediche erano uguali. Perché c’è una spiritualità di fondo, che è il vangelo, e che è per tutti e che sorregge tutti. Questa spiritualità - che viene dal vangelo e che è comune a tutti - in pratica si deve poi esprimere nei vari impegni che ognuno si trova a fare, nei vari ambienti in cui ognuno vive e deve intervenire. Questa è l’unica cosa che posso e che so fare. Io non conosco la tecnica missionaria né la tecnica della preghiera in clausura. Dovunque e a tutti io parlo della preghiera di Gesù Cristo. E vedo che va bene. Si sente dire che le monache di clausura hanno una loro spiritualità, i missionari ne hanno un’altra e così via. Io ho sempre trovato che, se gratti in fondo, la spiritualità è uguale. Nel mio libretto, “Alle radici della sequela”, descrivo la sequela come una struttura spirituale che è di tutti i cristiani. È chiaro che poi questa si manifesta in forme diverse. Ma il messaggio di Gesù Cristo è uguale. Non può essere diversamente. C’è un rischio missionario Sembra che oggi i missionari più giovani sentano una maggiore esigenza di spiritualità: è giusto che la sentano. Perché c’è un “rischio missionario”, che d’altra parte è necessario correre, perché l’attività missionaria non mira solo all’evangelizzazione e alla conversione, ma anche ad aiutare le persone a diventare libere. È chiaro che all’interno di questa scelta, complessa e giusta, si può esagerare. C’è infatti il rischio di concentrarsi troppo sulle attività; c’è il rischio di legare troppo la spiritualità all’attività. Si può fare solo promozione umana, costruire scuole e ambulatori eccetera, e non parlare di Gesù Cristo, di conversione, di fede cristiana. Ma è anche vero che non esiste una vera spiritualità che non si impegni anche in queste cose. Comunque, il missionario è colui che annuncia come può - con la testimonianza e con le parole - Gesù Cristo e il suo vangelo, senza prevaricare su nessuno. E dicendo sempre: “il mio Dio vuole bene a tutti gli uomini e le donne: ha dato la vita per tutti noi”. Un “sì” libero per amore Gesù Cristo voleva bene, tanto bene all’uomo in nome del Padre Celeste. Ma proprio perché gli voleva bene, voleva che fosse libero. Intendo dire che, dentro all’idea religiosa che tu annunci e testimoni, c’è sempre anche un’idea di uomo: che non è l’uomo schiavo, ma l’uomo libero; un uomo che se dice “sì”, lo dice liberamente; non è costretto. Gesù ci rivela e ci testimonia un Dio diverso; ed è una diversità bellissima! Un Dio che, proprio perché è Amore, ci dà il comandamento dell’amore, ma non ci costringe. Puoi anche rifiutarlo; ma se lo rifiuti, la colpa sarà solo tua. E comunque, non è mai una costrizione, come farebbe un dittatore o un despota. L’attività missionaria non mira solo alla conversione e all’evangelizzazione, ma anche ad aiutare le persone a diventare libere; nella foto, p. Luigi Brioni, Sierra Leone SEMPLICE, RADICALE, UNIVERSALE Dio non ha bisogno di schiavi C’è un racconto della Genesi che mi piace molto, anche perché c’è una cosa strana a cui non avevo mai badato prima. Quando il serpente chiede a Eva, “perché vi ha proibito di mangiare i frutti del giardino?”, Eva risponde: “Non è vero; possiamo mangiarne, eccetto quelli di un albero”. “E perché?”, continua il serpente. “Per non morire!”, Eva risponde. Ma il diavolo corregge: “Perché non vuole che diventiate come lui!”. In questo modo il serpente vuole affermare l’idea di un «Dio padrone», un padrone per il quale devi lavorare come uno schiavo! Invece, se Dio ti dà un comandamento è un bene per te: è per essere più uomo. Sempre. Perciò - forse esagerando - io dico sempre ai miei ascoltatori: “Se ricevete un comandamento che vi umilia come persone, guardate che viene dagli uomini, non da Dio!”. È una cosa così evidente leggendo il vangelo, che mi meraviglio come non ci si accorga. Che idea hai tu di Dio? Un padrone? Allora è un disastro! Dio non ha bisogno di schiavi. Siccome ci vuole bene, vuole che viviamo nel modo più dignitoso per noi. ENZO BIANCHI L’evangelizzazione è sempre annuncio di una novità: la novità di Gesù Cristo. La semplicità emerge a ogni passo della riflessione di don Bruno Maggioni; ne costituisce la vera spiritualità, la tela di fondo. È una semplicità che fa rima con radicalità. Non potrebbe essere diversamente, perché tutto l’argomentare di don Maggioni è inerente al vangelo e al servizio del vangelo. Una semplicità che non ha nulla a che fare con la facilità, perché è frutto di ascesi, di lavoro interiore e di studio, e si manifesta come equilibrio tra conoscenza biblica e capacità di dire il vangelo oggi nella storia agli uomini, in modo comprensibile a tutti, colti e ignoranti. La semplicità è universale: raggiunge tutti, parla la lingua dello spirito, annuncia a tutti senza distinzione l’opera di Dio, proprio come avvenne nel giorno della Pentecoste. La semplicità è universale come è universale la Bibbia. Universale è la Buona Notizia destinata a Enzo Bianchi, biblista e amico ogni uomo, come universale è l’Amore di Dio e la midi mons. Bruno Maggioni sericordia di Gesù. L’universalità è uno dei fili che rivelano la sua qualità di uomo, non solo innamorato del vangelo, ma anche mosso dalla compassione per l’uomo e dall’anelito per la comunità riconciliata. Don Maggioni situa la nuova evangelizzazione nell’orizzonte dell’essenzialità evangelica, fuori dalla quale essa rischia di vedersi impoverita in prospettive prevalentemente sociologiche o culturali o pastorali. Anche in chiesa, la domenica, un prete deve fare una spiegazione del vangelo che serva alla conversione di quella gente; ma nella conversione di quella gente c’è che appena uscita di chiesa deve fare un servizio agli altri. Se no, è inutile. Perché la gente che va in chiesa è tanta, non è poca, anche se se ne infischia degli altri. La semplicità del Maggioni è anche quella con cui egli pone l’oggi della chiesa e della storia davanti alla Parola di Dio. E riesce a farlo senza cadere in attualizzazioni banalizzanti. Ma sempre facendo seguito alla Parola che ha la sua forza nella mitezza. 4 2012 OTTOBRE “Il mio Dio vuole bene a tutti” Secondo me questo messaggio aiuta molto anche il dialogo religioso, almeno come lo intendo io. In certi momenti, ci può essere anche una discussione su Gesù Cristo, supponiamo, fra te e un musulmano. Ma il dialogo non consiste nel discutere. Il dialogo è invece questo: che io credo nel mio Dio, e lui nel suo; io però gli dico che credo in un Dio che ha questa idea dell’uomo. Il dialogo religioso, infatti, ha sempre una forte caratteristica antropologica, che si riflette su Dio. Anche nel mio libretto citato sopra tocco questo aspetto facendo il seguente ragionamento. Se uno mi dice, “il mio Dio è arrabbiato con te, perché tu non lo onori come faccio io”, io rispondo che “il mio Dio vuole bene anche a te”. Questa è la novità del nostro Dio, che sta alla base del dialogo religioso. Io do un piatto di minestra anche a chi è musulmano: perché? Perché il mio Dio vuole bene anche a lui. Lui non sarà d’accordo, ma si accorgerà - spero! che il mio Dio è più bello del suo. Altrimenti pazienza: si tenga il suo Dio. Però io cristiano ho qualcosa che è mio, a cui tengo molto: il mio libero rapporto con Dio che ama tutti! ■ L’ANNUNCIO VI RACCONTO IL BEL DIO DI GESù CRISTO a cura di p. LINO MAGGIONI, sx saveriani siamo molto riconoscenti a don Bruno N oiMaggioni e ci sentiamo onorati di celebrare i suoi ottanta anni di vita, ringraziandolo per l’aiuto che lui - grande biblista - continua ad offrirci da oltre quarant’anni. È sempre stato disponibile a ogni nostro invito, in Italia e dall’estero. Così don Bruno ha avuto l’opportunità di visitare molte nostre missioni, specialmente dopo il concilio Vaticano II, per predicare gli esercizi spirituali biblici ai missionari e alle missionarie. Ancora adesso, ogni anno, egli offre un corso di esercizi spirituali su un tema biblico nella nostra casa di spiritualità di Tavernerio (Como). Don Bruno è conosciuto e letto anche nei paesi di missione. In Burundi, dove non è ancora terminato il lavoro di traduzione della Bibbia in lingua locale, ho trovato nell’unica libreria di Bujumbura “Il racconto di Marco” di don Maggioni, tradotto in lingua kirundi. In Giappone ho incontrato un missionario che stava meditando il suo commento all’Apocalisse; un confratello in Brasile mi ha parlato con entusiasmo del suo commento al Qoèlet; in Bangladesh tra i libri nella biblioteca saveriana ho trovato “I racconti evangelici della Passione”... Molti di noi abbiamo imparato da lui la spiritualità evangelica nella nostra vita missionaria. Una spiritualità che ci spinge a contemplare le opere di Dio nel nostro animo e a raccontarle a tutti coloro che egli ama con amore infinito e liberatorio. In queste due pagine offriamo il testo di una lunga intervista che don Bruno Maggioni mi ha concesso. Sono certo che i nostri lettori si lasceranno entusiasmare e convincere dalle sue parole semplici, che manifestano le sue profonde convinzioni missionarie. ■ tempo fa c’è stato un incontro a Como, cui hanQ ualche no partecipato in tanti (ma io non c’ero). Una persona mi ha riferito: “Don Bruno, stiamo andando indietro a vista d’occhio. Perché c’è ancora l’idea: «Con questi sì, con quelli no! Se si costruisce una scuola in Africa, è per aiutare i bambini che si convertono; non per aiutare i bambini dei musulmani eccetera...». Questa idea ci fa andare mille anni indietro! Qualcuno ha fatto presente che don Bruno invece sostiene che «Dio vuol bene anche ai musulmani»; ma hanno subito reagito...”. Ne sono convinto e lo ripeto. Sì, Dio vuole bene anche a loro. E tu che sei un cristiano devi dimostrarlo e devi voler bene anche a loro! Don Bruno Maggioni, al centro, con due sposi da lui battezzati quando erano in fasce che gli presentano il loro bimbo; a destra p. Lino Maggioni LA TESTIMONIANZA Quando per strada ti sorridono... p. GIOVANNI GARGANO, sx Padre Gargano - noto come “padre Giuà” - è un saveriano originario di Salerno. Da vari anni è missionario in Bangladesh, incaricato dell’animazione missionaria tra i giovani. Vive a Dhaka, l’immensa capitale con numerosi quartieri di baraccati, che spesso visita. È il suo modo per annunciare il vangelo. S La vera differenza sta nel servizio don BRUNO MAGGIONI Foto archivio MS IL VANGELO SOLIDALE DEI POVERI ABBIAMO QUALCOSA DA DIRE Andando avanti, continuiamo a offrire il tè. Un ragazzo ci chiede di ascoltare una preghiera. Inizia con l’invocazione a Dio Onnipotente. Gli chiedo di quale religione è. Mi dice che è musulmano. Al termine, chiede di dire un’altra preghiera: è un’invocazione per la pace nel mondo, ai nostri giorni... Poi ci confida che lui si drogava; da quattro mesi ha finito il programma di riabilitazione e adesso lavora in un negozio. Andiamo avanti. Incontriamo di nuovo la coppia con un bambino nel mezzo: come Maria, Giuseppe e il Bambino. Oggi il papà ci ha rallegrato con il suo flauto: una melodia che penetra nelle ossa e commuove. Verso la fine, incontriamo la banda dei bambini: appena abbiamo chiesto loro se volevano il tè, si sono lanciati a capofitto. Poi mi hanno detto i loro nomi: Sumon, Sahin, Ridoe... E mi hanno chiesto se conoscevo “Brother Lucio”, un fratello del Pime che con alcuni volontari organizza la scuola per strada. ono convinto di una cosa: “quando per strada la gente semplice e povera ti saluta e ti sorride, allora la città in cui vivi inizia a diventare la tua famiglia”. Da alcuni mesi ho lanciato ai giovani di Dhaka la proposta di portare del tè a coloro che dormono per strada in questo periodo di freddo. I giovani, entusiasti della proposta, si sono “La mia città è la mia famiglia” resi disponibili. Insieme, con i nostri thermos in mano, iniziaIl nostro gruppo, formato da giovani del Bangladesh, contimo il nostro pellegrinare. È una giornata speciale. nua il suo impegno accanto a questi nostri fratelli e sorelle. Ci Partiamo sempre dalla grande rotonda: lì incontriamo le siamo dati una sorte di slogan: “amar shohor amar poribar prime persone. Ci invitano a la mia città è la mia famiglia”. Padre Giuà Gargano tra i poveri che vivono sederci e iniziamo il dialogo Usciamo due volte la settimain una delle bidonville di Dhaka, in Bangladesh della vita: come stanno, cosa na. Attraverso il tè, stiamo rifanno, e altre domande semuscendo a capire anche la vita plici. Ci muoviamo più avanti: delle persone, i loro bisogni e altre quattro persone che lavole loro difficoltà. Scendiamo rano tutto il giorno spostando veramente per strada e andiaterra con rudimentali carretti mo incontro agli altri con tutta tirati a mano. Mi stendono a la nostra naturalezza di esseri terra la loro coperta per sederumani, nella gioia di quel Crimi e iniziamo a parlare. sto che è venuto a piantare la sua tenda in mezzo a noi. Ascoltiamo le loro storie Credetemi: sono senza paroIl nostro vero obiettivo non le; è un’esperienza unica. Anè solo offrire una tazza di tè che questa sera - come le tante caldo, ma incontrare la gente, altre sere - mi porto dentro gli ascoltare le loro storie. sguardi profondi e belli della Il pellegrinare continua. tanta gente che ho incontrato. Mentre diamo il tè, un giovaVi lascio con un altro racne mi dice che anche lui deconto: un giovane, che chiasidera unirsi al nostro gruppo. mo “il guru”, mi ha domandaGli chiedo se è cristiano, visto to: “Perché tu mi ami così tanche mi aveva chiamato “father to?”. Gli ho risposto: “Perché - padre”. Risponde: “No, sono gli altri non ti amano”. Lui mi hindu; vedendovi, mi è venuguarda ed esclama: “Manush ta voglia di seguirvi”. L’ho manushe - gli uomini sono chiamato: “il miracolo della uomini”. Che altro dire? Una testimonianza, del vangelo grande lezione di vita! Pace a vivente”. tutti. ■ “Tu da che parte stai?” Ricordo due medici missionari di Milano, giovani e simpatici, che tornati in Italia, la prima domanda che hanno loro fatto è stata: “Quanta gente avete convertito?”. Hanno risposto: “Nessuno”. E la gente: ”Ma allora cosa siete stati lì a fare?”. “Siamo medici e cerchiamo di guarire i malati; vedono l’esempio e la gente ci vuole bene”, rispondono i due giovani medici. “Non capite che c’è una differenza fra noi e loro? Se ci mandate delle medicine per i bambini, noi le usiamo per i bambini malati cattolici e per i bambini malati musulmani. Cosa che loro non faranno mai. Questa è la vera differenza tra cristianesimo e islam; e non perché uno fa il segno della croce e l’altro no”. Ricordo anche un altro episodio avvenuto durante un convegno di religiose in un paese di missione. Mi dicevano alcune suore che, quando tornavano in Italia, la gente voleva sapere: “da che parte stai, da che parte non stai...”. Anche ai missionari rivolgevano la domanda: “ma tu sei di destra o di sinistra?”. I missionari rispondevano come potevano... Anche a me hanno chiesto: “lei, cosa ne dice, di che parere è?”. La via per migliorare il mondo Ma Gesù Cristo perché è venuto al mondo? È o non è venuto per tutti? È o non è morto per tutti? O solo per i cattolici? Che poi, uno vada in paradiso o no, non sta a me dirlo. Il nostro Dio ci lascia liberi; non ci costringe con la forza. Abbiamo la libertà di fare il bene; e se c’è il male nel mondo, lo facciamo noi. Io aggiungo che l’amore lascia sempre liberi. Se non lascia liberi non è amore. È un grande mistero! C’è da meravigliarsi come Dio, pur essendoci al mondo tanto male, lo lasci così. Però ci ha indicato la strada per farlo andare bene. La croce di Cristo ha lo scopo di farci vedere come vivere nel mondo, se vogliamo farlo andar bene, se vogliamo vincere il male. Ci diranno che così non faremo mai carriera! Anche Gesù non ha fatto carriera: l’hanno messo in croce, ma ha fatto vedere che si risorge! Uno che vuole far carriera e dominare sugli altri a tutti i costi, non so se risorgerà: io spero di no; e comunque sono affari suoi... Sono cose ovvie, ma si dimentica di dirle, perché abbiamo una concezione un po’ sbagliata. Il nucleo del nostro annuncio Al di fuori del mondo cosiddetto “occidentale” - in Africa, Asia e America latina - c’è un senso religioso naturale: vedono le cose in rapporto a Dio e hanno un forte senso di spiritualità, che noi non abbiamo più. In questo contesto, che senso ha per i missionari “andare a predicare il vangelo”? La risposta è semplice e importante: loro avranno una loro spiritualità; ma il nostro compito è di dire come è fatto il Dio in cui crediamo. Punto e basta! I musulmani difficilmente diranno, “il nostro Dio vuole bene a tutti gli uomini in modo uguale”. Non lo diranno, perché credono che Allah vuole bene a loro, e sono disposti a tutto per farlo trionfare. Fino a poco tempo fa, anche noi ragionavamo così... La verità è che il nostro Dio è Amore. Quindi il nostro compito è dire: ”Noi crediamo in Gesù Cristo, che è vissuto così, che ha fatto questo e ha detto quest’altro. Ecco il punto principale del nostro “annuncio”. Quello che Dio fa per noi... La prima notizia del vangelo non riguarda ciò che noi dobbiamo fare per Dio, ma ciò che Dio fa per noi; e da lì noi capiamo chi egli è. Gesù ci rivela il vero Dio: è diventato uomo per farci vedere come un uomo deve guardare Dio. Nel vangelo ci sono dei testi formidabili. Ad esempio, il pastore in cerca della pecora smarrita. La parabola non dice niente di ciò che la pecora deve fare per farsi trovare. Racconta, invece, ciò che Amare servendo gli altri è anche il modo che noi abbiamo per far vedere Gesù Cristo; nella foto, padre Marcello Zurlo, Amazzonia fa il pastore per trovarla. Per convertire la gente, io devo annunciare ciò che Dio fa per loro; devo spiegare cosa vuol dire essere uomini secondo Gesù Cristo. Io sono qui ad annunciarti il mio Dio, perché io sono contento di lui (e forse sei contento anche tu!). Ed è un Dio liberante: non è venuto a farti soffrire per andare in paradiso. Credendo nel vangelo, tu vivi meglio anche nel mondo. Un Dio... “capovolto” Amore è che volendo bene all’altro, lo servi. Gesù dice questo: “Non sono venuto per farmi servire, ma per servire”. Non è un Dio capovolto? Se viene Dio, noi dobbiamo metterci a servirlo. Invece, no. Dio è venuto per servire noi. (Spero che lo capiscano anche certi vescovi e cardinali... e si rendano più accessibili!). Quando il vangelo parla di “servizio”, intende il rapporto vicendevole fra di noi: se uno ha fame, Dio lo aiuta; ma tocca a me aiutarlo, se voglio testimoniare Gesù Cristo. Altrimenti come fa l’affamato a vedere Gesù Cristo? Dobbiamo capire - ed esserne convinti - che amare gli altri, servirli nei loro bisogni, è il massimo della nostra gloria. Non è una gloria “trionfale”, che non permette di vedere Dio. Amare servendo gli altri è anche il modo che noi abbiamo per far vedere Gesù Cristo. Come lui ci ha fatto vedere Dio amando, così anche noi: questa è la nostra potenza e la nostra spiritualità. Ognuno può ragionare a modo suo. Ma se voglio dare testimonianza a Dio - come cristiano e come missionario - devo fare cose normali che fanno vedere il servizio, senza preoccuparmi di far vedere lo splendore di Dio. Lo splendore di Dio è l’Amore! ■ VE LI RACCOMANDIAMO ! Due bei libri di don Bruno Maggioni Vale la pena conoscere più in profondità l’amico biblista, “innamorato del vangelo e dell’umanità”. Perciò raccomandiamo due suoi ultimi libri: il primo è più adatto ai consacrati e ai sacerdoti; il secondo è per i fedeli laici e per tutti. Bruno Maggioni, “ Alle radici della sequela”, Ancora 2010, pp. 112 - € 13,00 L’identità di troppi cristiani è “liquida “. La vita consacrata, considerata per secoli la roccaforte della Chiesa, è in affanno. Don Maggioni propone come principale rimedio a questo stato di crisi generale il ritorno alle radici della sequela. L’identità di Gesù è alla base dell’identità del discepolo che, a sua volta, si riflette nell’identità del consacrato. Bruno Maggioni, “La pazienza del contadino. Note di cristianesimo per questo tempo”, Vita e Pensiero, 2006, pp. 285, € 14,00 L’immagine del contadino esprime la fiducia insista nel gesto di chi semina: dalla piccolezza del seme verrà in futuro la copiosità del raccolto. Così è la Parola di Dio. Ma questo prodigio avviene nel segreto della terra, durante il tempo invernale, quando al contadino è chiesta la confidente pazienza dell’attesa: il seme del regno cresce nella storia grazie alla potenza di Dio, che resta nascosta. Questa consapevolezza libera il cristiano dalla presunzione di far dipendere il destino del vangelo dalle proprie capacità. Queste “note di cristianesimo” sono offerte ai cristiani del nostro tempo, frettolosi e ansiosi di vedere, ma poco capaci di attesa. Il discepolo invece si fida di Dio. 5