RACCONTI DI VIAGGIO | Iran
VIAGGIARE
Tra Occidente ed Oriente
IN IRAN:
un “vicino-oriente”
molto lontano,
PERCHÈ?
un paese da conoscere e
Da un TESORI DI PERSIA SOFT gruppo Landi
P
remesse
L’IRAN (la ex Persia degli elamiti, dei medi e
dei ‘persiani’..) è relativamente vicino, circa
cinque ore di volo da Roma a Teheran. L’IRAN
è geograficamente vicino ma culturalmente, e,
soprattutto, geo-politicamente, molto lontano.
La curiosità nasce in primis da questa circostanza:
un paese ‘vicino’ ma ‘lontano’ allo stesso tempo
attrae sempre.
Ma gli elementi che attivano o disattivano la
trasformazione dell’idea di andare in un paese
in un fatto concreto sono molteplici e a volte
casuali; può essere la casualità della lettura di un
articolo ‘convincente’ sulla Rivista di “Avventure”
(R. Sossi, “Tesori di Persia. Un viaggio che apre uno
scrigno pieno di meraviglie”, 2/2013), o avere tra
le mani il bel libretto di Kapuscinsky (“Shah–in–
Shah”) sulla storia recente di un paese sfortunato
vittima - come tanti altri - delle strategie post
colonialiste e neoimperialiste della guerra fredda.
Nel caso dello scrivente ha anche funzionato
la stessa logica da ‘bastian contrario’ che mi
aveva spinto a visitare la Corea del Nord due
anni fa (cfr. articolo sulla Rivista n. 1/2013, “Il
paese del placido mattino”); è un po’ come se mi
fossi mentalmente inscritto l’elenco dei “paesi
canaglia” che era solito fare l’ex presidente
americano George Bush1 e mi fossi impuntato nel
voler vederli tutti.
Il volo inizia, il sole cala lentamente. Sorvoliamo il
bel mare Egeo e poi la Turchia e, quando è ormai
già notte, ecco apparire sotto l’aereo la prima
grande città dell’IRAN arrivando da ovest: Tabriz,
nell’Azerbaigian iraniano, che, vista dall’aereo in
quota, appare come una stella luminescente con
le vie diritte che partono dal centro e si
1 Il paranoico presidente americano che divideva il mondo tra il bene e il male (“Il bene e il male sono presenti
nel mondo e tra i due è impossibile un compromesso”;
dall’ultimo discorso di Cincinnati del 16.01.2009). Naturalmente per Bush junior il bene è l’America (o meglio, gli
USA, occorre essere precisi) e il male è rappresentato da
tutti coloro (singoli individui, organizzazioni o nazioni) che
in qualche modo sono ‘contro’, o non sono semplicemente
“dalla parte degli USA”
4 - Avventure nel mondo 2 | 2014
capire
espandono a raggiera verso oscure montagne e
oscuri deserti.
Poi Teheran (o Tehran, come preferite) immensa
nella notte (14 milioni di abitanti); quante volte
abbiamo sentito questo nome nei notiziari
televisivi e subito si affollano nella nostra
mente notizie sul ‘presunto’ nucleare iraniano,
manifestazioni ‘verdi’ contro l’impronunciabile
Ahmadinejad, e poi il distensionismo dell’ultimo
presidente Rohani.
Ma..che ne sappiamo ‘realmente’ di questo
paese, grande tre volte l’Italia e popolato da
75 milioni di abitanti (pur avendo buona parte
del territorio coperto da deserti e da montagne
rocciose inospitali, dai monti Zagros alla catena
degli Elburz che dividono la piana di Teheran dal
mar Caspio…)?
Niente, in quanto il sapere e la cultura non
derivano dai media (quasi sempre schierati e
manipolatori in politica estera) ma dalle letture; e
quelle uno deve avere voglia di farle, cercando le
fonti il più possibile ‘neutrali’ (cosa evidentemente
difficile).
Quando eravamo alle elementari l’Iran non
esisteva ancora; c’era la Persia dell’antichità e
così avevamo appreso pappagallescamente i
nomi di Ciro il grande, di Dario (pure lui ‘il grande’:
possibile che fossero tutti di alta statura? eh.eh.),
Serse e Artaserse, nomi facili da ricordare a
memoria!
I Medi e i Persiani, appunto, e poi quel Cambise
che ad un certo punto scompare (?).
Comunque poi arrivava dalla Macedonia greca
Alessandro (il grande pure lui!) che dava a quei
cattivi dei persiani una bella lezione.
E così, in quella mescolanza di tracce mnestiche
residue, la Persia cioè l’attuale IRAN erano in
realtà già in qualche modo presenti nelle nostre
menti.
Se Ciro o Alessandro sono nomi rimasti in qualche
modo nella nostra memoria, nulla ricordiamo
invece della grande espansione dell’Islam che
investe e sottomette anche l’Iran nella sua opera
di ‘conversione’ alla “vera religione” di tutti quei
popoli e di quei paesi che, a partire dal Marocco
affacciato sull’oceano Atlantico, si estendono
Testo di Giuseppe Fumarco
Foto di Marco Landi
RACCONTI DI VIAGGIO | Iran
- da occidente verso oriente con un’incredibile
continuità geografica - fino alle Malaysia ed alle
isole dell’Indonesia immerse nel Pacifico.
E che ne sappiamo degli sciti e dei sunniti, di
questo grande scisma che scuote tuttora il Medio
Oriente?
O ancora: che ne sapevamo (e che ne sappiamo)
dello Shah Reza Pahlavi, di Mossadeq, del colpo
di stato orchestrato dalla C.I.A. all’inizio degli anni
’50, della Savak (la polizia segreta dello Shah),
ecc. ecc …
O ancora: perché otto anni di guerra (erano gli anni
’80) tra l’Iraq di Saddam Hussein (toh, chi si rivede)
e l’Iran, con la sua scia di morti, di distruzione, di
rovina? Di nuovo: occorre leggere, documentarsi. E
imparare la storia in modo corretto … e conoscere
bene la geografia.
Riflettere sulla storia del paese
Diciamo subito che questo è un paese già difficile
da collocare geograficamente nella sua ambiguità
di fondo tra medio-oriente ed Asia (secondo
l’enciclopedia geografica “De Agostini”: “vicinooriente”, o “Asia anteriore”); cioè qualcosa
che non è l’oriente ‘classico’ ma non è già più
occidente. Qualcosa che sta nel mezzo tra le due
più importanti realtà attraverso le quali siamo soliti
interpretare le carte geografiche: l’Occidente e
l’Oriente, appunto.
L’Iran è in effetti un “paese ponte” tra la Turchia e
il mondo arabo ad ovest e il continente asiatico ad
est; ad est esso infatti confina con l’Afghanistan
ed il Pakistan, dopo i quali - come è noto - c’è il
subcontinente indiano e, non più lontana, la Cina,
cioè l’oriente per definizione.
A nord dell’Iran (di Teheran in particolare) c’è il
mar Caspio e la catena montuosa degli Elburz che
separano, spazialmente e culturalmente, l’Iran
dagli ex paesi satelliti dell’Unione Sovietica, quali
l’Azerbaigian e il Turkmenistan (paesi oggi assai
diversi dal nostro …..).
A testimonianza della difficile collocazione
dell’Iran tra oriente ed occidente va ricordato che è
il paese che ha subito allo stesso tempo l’impulso
distruttivo della “conquista” di Alessandro Magno
(vedi sopra) ed uno dei primi ad essere investito
dalla furia delle orde mongole di Gengis Kahn e
Tamerlano da est.
Siamo di fronte ad un paese di anticha civiltà.
Infatti se pensiamo alla Persia si affollano nella
mente i nomi di varie e successive civilizzazioni
e dinastie: gli Achemenidi, i Seleucidi, i Sasanidi,
ecc … che costruirono i primi ‘imperi’ persiani
(dal 500 a.c. al 600 d.c.).
Tutto questo prima della brusca invasione araboislamica del 637 (d.c.); di fronte a questa grande
‘onda’ bastava piegarsi, accettare il nuovo credo
religioso, ed i persiani - in fase di declino con
l’ultima dinastia dei Sasanidi - lo fecero; aderendo
però alla corrente “scissionista” degli sciiti.
Ma chi erano quelle prime civiltà, da dove
venivano? Se i Medi e gli Elamiti erano di fatto
popolazioni mediorientali non del tutto dissimili
dai sumeri e dagli assiro-babilonesi, i Parti (o
Parsi, dalle tribù dei Parsumas) - che diedero vita
al primo grande impero persiano degli Achemenidi
- erano popolazioni che già risentivano delle
invasioni dal nord da parte delle etnie indoeuropee ariane (nome enigmatico e molto carico
di ‘razzismo’ dalle nostre parti, sic!).
Lo stesso termine Iran pare che derivi dagli ‘ari’ o
‘ariani’. La nostra giovane e brillante guida locale
Hamed Ghorbani – che parlava correntemente
italiano - ha insistito molto su questa circostanza,
quasi a voler sottolineare l’antica comunanza
etnica degli attuali persiani con le popolazioni
europee (una segreta aspirazione all’occidente?)
Abbiamo accennato all’invasione araba che
fagocita nella grande famiglia islamica l’antica
civiltà persiana.
Ma, attenzione: occorre fare dei ‘distinguo’ da
queste parti.
Primo: gli iraniani non sono arabi e se li chiamate
arabi si offendono, e a ragione: sono, appunto,
popolazioni persiane islamizzate dagli arabi.
Inoltre, come già accennato, – quasi a sottolineare
questa dissonanza profonda con il mondo arabo –
essi aderirono molto presto alla fazione minoritaria
degli sciiti (ufficializzata come religione di stato
nel 1500/1600 d.c. dalla dinastia dei Safavidi) in
aperto contrasto con i sunniti, gli eredi dei califfati
arabi che si appropriarono – ingiustamente, a dire
degli sciiti - dell’eredità religiosa e spirituale del
profeta Maometto.
Quindi gli iraniani non sono arabi e non sono
islamici della corrente maggioritaria (gli sciiti sono
appena il 10 % degli islamici: un po’ come parlare
tra noi dei protestanti Battisti e/o degli Anglicani e
confonderli con i Cattolici!).
Certo la decisione dell’ayatollah Khomeini di
instaurare in Iran la prima “Repubblica Islamica”
del mondo nel XIX secolo (a base dichiaratamente
teocratica: comandano le gerarchie religiose!) non
poteva non lasciare a dir poco ‘sconcertati’ tutti
quelli che avevano sperato in qualcosa di diverso
dopo la cacciata dello shah Reza Pahlavi, scià che
tanto danno aveva inferto al suo paese.
Ma questa è storia più recente e ve la dobbiamo
raccontare a parte, nel paragrafo successivo.
dell’altopiano e del sud (i kanat).. Insomma una
dinastia che ci fa venire in mente i Medici fiorentini
o i Dogi veneziani del nostro rinascimento, anche
se con le analogie bisogna fare molta attenzione
(si tratta di tempi e luoghi troppo diversi).
Con i safavidi la capitale fu spostata ad Isfahan
resa la più bella città persiana in assoluto; resta
indimenticabile il colpo d’occhio sulla stupenda
piazza centrale, lunghissima e circondata da
moschee dai mosaici verdazzurri, arricchita da
vasche colme d’acqua e da fontane zampillanti,
nonché tutta bordata di verde e dai porticati
del bazar; si tratta della c.d. Imam Hossein
Square o, semplicemente, la “piazza dell’Imam”
(sulla cartina piazza Naqsh-e-Jahan, dichiarata
patrimonio dell’umanità dall’UNESCO).
Ma torniamo ai qagiari ed ai tempi più recenti.
Quando nel 1921 Reza Khan (padre del Mohammad
Reza dei nostri tempi, che tutti chiamavamo
semplicemente lo ‘Scià di Persia’) mise fine con
un colpo di stato militare alla dinastia qagiara la
cosa non dispiacque a nessuno.
Ma non sapevano che sarebbero passati dalla
padella alla brace. A rinfocolare la brace ci pensò
il colonialismo declinante, ma ancora forte, degli
inglesi, ben presenti in tutta quell’area (cfr. sopra il
cenno alla compagnia petrolifera inglese).
E così anche l’antica Persia incorreva nella
maledizione dell’oro nero, con il concorso attivo
degli anglo-americani e della loro mai sopita
volontà di sfruttamento delle risorse naturali
dei paesi del c.d. “terzo mondo”. Reza Khan da
Mossadeq, il colpo di stato orchestrato
dalla CIA, lo Shah e la rivoluzione non
necessariamente “islamica”
Non si può spiegare l’ascesa di Khomeini e del
regime degli ayatollah dopo la fuga dall’Iran
di Reza Pahlavi se non guardando di nuovo alla
storia.
La dinastia Pahlavi era stata preceduta da
un’altra dinastia molto controversa, quella dei
‘Qagiari’ (1780/1920) che svendettero le risorse
del paese all’invadente colonialismo inglese (da
lì viene quella “Anglo-Iranian Oil Company” nata
per sfruttare i giacimenti petroliferi iraniani; ne
riparleremo subito dopo).
Hamed non è stato affatto gentile con i qagiari
dipingendoli come una pessima dinastia, in
contrasto con quella precedente dei safavidi,
promotori di un vero e proprio rinascimento
persiano tra il 1500 e il 1750.
L’Iran in quel periodo fu abbellito da moschee,
città-giardino, ripristino di antichi sistemi di
rifornimento delle acque alle assetate città
Avventure nel mondo 2 | 2014 - 5
RACCONTI DI VIAGGIO | Iran
buon ufficiale governò con il pugno di ferro e
cercò di imitare il processo di occidentalizzazione
messo in atto da Ataturk nella vicina Turchia; ma
fece l’errore di preferire, nella seconda guerra
mondiale, i nazisti tedeschi agli inglesi ed ai russi
e fu per questo costretto all’esilio nel lontano
Sudafrica.
Abdicò e passò il potere nelle mani del pavido
figlio, Mohammed Reza. Intanto l’Iran era andato
culturalmente e politicamente avanti e nel secondo
dopoguerra - aspirando il paese ad una repubblica
democratica di tipo parlamentare moderno - entra
in gioco il governo democraticamente eletto del
liberale Mossadeq (o Mossadegh).
Anche con il sostegno del partito comunista Tudeh
…. imprudenza politica che, insieme al resto, gli
costò cara.
Ma il vero ‘sbaglio’, se così si può dire, di Mossadeq,
è un altro, con un’analogia impressionante con il
caso Allende del ’73 (altri tempi ed altro continente,
ma una forte analogia resta): Mossadeq pensò
la cosa più ovvia, ossia di nazionalizzare la
compagnia petrolifera inglese facendola diventare
la “National Iranian Oil Company”.
Prontamente (’53) fu messo in atto un colpo di
stato orchestrato dalla CIA (non è leggenda, sono
fatti! Andate a controllare su Wikipedia, oppure
sulla diffusissima Lonely Planet) che lo mise fuori
gioco. L’esercito, come da copione, si schiera
contro il presidente eletto e il suo rovesciamento
è cosa fatta.
Non fu ucciso nelle circostanze drammatiche
in cui morì Allende (che voleva nazionalizzare
l’estrazione del rame in mano ad una nota
multinazionale americana) ma fu relegato agli
arresti domiciliari in casa sua per tutta la vita,
senza possibilità di contatti esterni; forse, per un
politico di quella statura, sarebbe stata meglio la
morte … ma in fondo anche Napoleone morì a S.
Elena, e sempre in mano agli inglesi!
La dinastia Pahlavi fin dal suo primo insediamento
aveva suscitato malcontento popolare, soprattutto
per la suntuosità della vita condotta a corte dallo
scià con le varie consorti, in giro per l’Europa e gli
USA (Soraya, Farah Diba… chi non se le ricorda?...
In giro a fare shopping in via Veneto, a Roma).
La condotta dei Pahlavi ricordava sinistramente
quella dei qagiari.
Ne derivava lo sperpero dei fondi dello stato
oltre che ai programmi di occidentalizzazione
e di industrializzazione forzata suggerita dai
malintenzionati affaristi angloamericani. Sì,
perché dopo lo spodestamento di Mossadeq
ed il reinsediamento forzato in qualità di capo
assoluto della nazione dello scià, gli occidentali
e i faccendieri americani lo spinsero all’insensata
cosiddetta “rivoluzione bianca”, una sorta di
utilizzo dei fondi da estrazione petrolifera in
strutture imprenditoriali … occidentali. Oltre che
in armi sofisticate per l’esercito (aerei da caccia,
carri armati, ecc.. non robetta, per intenderci)
sempre importate dal mercato occidentale, con
la scusa che l’Iran non aveva per certo il know–
how e le capacità imprenditoriali per prodursele
in casa. Ma i tempi stavano cambiando ed anche
6 - Avventure nel mondo 2 | 2014
in Iran iniziarono le sommosse studentesche;
sindacalisti, comunisti e ceti medi si unirono ben
presto agli studenti. Tutti in piazza, per diverse
ragioni, contro lo scià. Erano contro il Palazzo
anche i religiosi, i mullah e gli ayatollah, ma per
ragioni ben diverse, se non opposte, a quelle degli
altri manifestanti.
I primi volevano la modernizzazione del paese, ma
non sotto gli auspici e il dominio neocoloniale delle
compagnie petrolifere occidentali; aspiravano ad
uno sviluppo economico autonomo, basato sulle
proprie risorse: le materie prime, innanzitutto, e gli
introiti dell’estrazione del petrolio in particolare;
ma anche quelle manuali e intellettuali della
classe lavoratrice iraniana.
I secondi volevano il ritorno al passato … e
l’ottennero (parzialmente, la storia è sempre
contraddittoria).
Invece di aprire alla ribellione della piazza e
fare qualche concessione lo scià Reza Pahlavi
si irrigidì; costituì un’odiosa e perversa polizia
segreta, la Savak, distrusse con torture, sparizioni
mirate e deportazioni il Tudeh (e chi ne ha mai più
sentito parlare?) e, successivamente, qualsiasi
tipo di opposizione, anche la più blanda e liberale.
La legge marziale e i massacri di piazza divennero
ordinaria routine.
Fino al punto che allo scià venne meno anche
l’appoggio degli Stati Uniti. Tentò a questo punto
di nominare a capo del governo un liberale, lo
sfortunato Shapur Bakhtiar. Ma era troppo tardi e
Reza Pahlavi dovette prendere la via dell’esilio (sia
pur dorato).
Emerge uno su tutti:
l’ayatollah Ruhollah Khomeini
Ora il punto è: come mai se in tanti avevano lottato
contro lo scià alla fine prevalsero gli ayatollah,
Khomeini su tutti? Che fine fecero i Mujahiddin del
popolo islamico (la versione iraniana dei Feda’iyin
palestinesi), i ceti medi e gli intellettuali che pure
avevano contribuito alla caduta dello scià? Nella
storia emerge l’imprevedibile...imprevedibile fino
ad un certo punto, beninteso.
L’Iran non aveva maturato né dei ceti medi né
dei ceti intellettuali sufficientemente influenti, e
nemmeno dei sindacati all’occidentale. I partiti
organizzati di vera opposizione erano stati liquidati
dallo scià.
Tanto meno aveva reale dimestichezza con la
democrazia rappresentativa e parlamentare come
la concepiamo in Europa, sebbene fosse, sulla
carta, una monarchia costituzionale fin dall’inizio
del ‘900. L’unica struttura realmente forte,
unitaria, organizzata e con solide radici in tutto il
paese (nelle campagne e nei villaggi soprattutto)
emerse essere quella dei religiosi, degli imam, dei
mullah, ecc … .
Quando Khomeini cominciò a far girare dal suo
esilio, prima in Irak e poi a Parigi, delle cassette
con la registrazione audio della sua voce che
ripeteva incessantemente “Lo scià se ne deve
andare” forse sapeva che stava realizzando la più
forte campagna ‘mediatica’ della storia del suo
paese. Le cassette entravano clandestinamente
in Iran e grazie alla struttura ramificata del potere
religioso sciita venivano ascoltate in ogni angolo
dell’Iran.
Così quando nel 1979 ritornò a Teheran da vincitore
osannato dalle masse (l’ignoranza popolare resta
pur sempre la gramigna sulla quale tutte le
rivoluzioni si pervertono) organizzò un referendum
che stravinse e poté realizzarla la ‘sua’ rivoluzione
islamica totale. Regnò incontrastato dal 1979
all’89, quando morì (imponenti anche i funerali
video trasmessi in tutto il mondo). In mezzo ci fu la
rovinosa guerra con l’Irak.
Saddam Hussein il ‘temerario’, aizzato dai soliti
occidentali ad attaccare l’Iran sciita, portò in guerra
un paese che pensava nel caos e immaginava di
vincere in quattro e quattr’otto. Non fu così. E non
sono non vinse ma rischiò addirittura di perdere,
clamorosamente impantanato nelle paludi dei
confini meridionali con l’Iran.
La guerra durò otto anni (1980/1988) con centinaia
di migliaia di morti. Ancora oggi girando per le città
iraniane si vedono le gigantografie dei “martiri di
quella guerra”. Qui li chiamano così.
Saddam non c’è più: dopo lo sbaglio commesso
con l’invasione del Kuwait i soliti noti (Bush, padre
e figlio) hanno deciso che poteva essere fatto fuori.
E così fu: morto per impiccagione, chi non ricorda?
Ad ogni buon grado Khomeini insediatosi
saldamente al potere eliminò qualsiasi altro tipo di
opposizione (ma non avevano combattuto insieme
contro lo scià?) e creò un potere degli ayatollah
parallelo a quello del governo e del parlamento
(strano a dirsi: antica tradizione persiana questa
del Majlis, come chiamano il Parlamento da
queste parti, istituito nel lontano 1906 in seguito
alla cosiddetta rivoluzione costituzionale persiana
in regime di monarchia costituzionale).
Il potere parallelo e nemmeno tanto occulto
è quello del “Consiglio dei guardiani della
rivoluzione” prontamente costituito sotto la guida
spirituale della “guida supremo”, Khomeini. Dopo
la sua morte, avvenuta nell’89, gli è successo
Khamenei. I due sono rappresentati in foto appese
in ogni angolo del paese, foto sempre uguali e
significative: sembrano guardarsi l’un l’altro,
quasi come se il primo ispirasse e benedicesse
il secondo (che ha un carisma sicuramente molto
minore).
Il potere del “Consiglio” è semplice e definitivo:
non può essere approvata legge senza il suo
consenso (potere di veto) e non possono essere
attribuite cariche, sia nel Parlamento sia come
primo ministro al governo, senza il suo placet.
”Guardiani della rivoluzione”, appunto!
I pasdaran, molto attivi e rompiscatole in passato
sembrano ora (secondo decennio del 2000, mentre
scriviamo) in ribasso, né noi li abbiamo mai visti in
azione per le strade. Anche i controlli della polizia
sui turisti sembra ispirato alla prudenza. Non si ha
in generale affatto l’impressione di vivere in un
regime autoritario e/o di polizia: questo almeno
allo sguardo “dall’esterno” che il turista può
fuggevolmente dare.
Viaggiando in Iran…..
Le ragazze hanno adottato una nuova moda. Si
fanno una crocchia con i lunghi capelli neri sulla
parte posteriore del capo e la inguainano con una
veletta alla moda che di fatto lascia la buona metà
dei capelli della parte anteriore del capo scoperti.
Ah…sono belle le giovani persiane, spesso
molto carine. Le forme del corpo (blue jeans
e casacchetta aderente sui fianchi) si vedono
benissimo. Sono civettuole, e con quel sistema del
coprirsi un po’ si rendono ancora più appetibili ai
maschietti.. che fanno gli indifferenti per dovere
di ruolo.
Le donne lavorano, guidano i mezzi pubblici, le
trovi negli uffici postali, nei bar e nei luoghi di
ritrovo pubblici insieme ai loro compagni: uno
scenario completamente diverso da quello dei
paesi arabi.
Anche se abbiamo letto che i divorzi crescono, per
quello che abbiamo potuto constatare in diretta
qui la famiglia tradizionale esiste ancora e la
troviamo in tutti i parchi delle città a fare il picnic
insieme (vera e propria passione nazionale!); una
“famiglia allargata”, dai nonni ai nipotini, tutti nei
parchi a mangiare e a svagarsi insieme.
Ancora una piccola ma importante notazione
prima delle conclusioni: se c’è un paese che ti dà
l’impressione di voler comunicare davvero con gli
‘stranieri’ (almeno con i turisti) quello è l’Iran.
Lo dico con franchezza: raramente mi era capitato
nei miei viaggi di sentire, muovendosi in mezzo alla
gente, una sensazione di “desiderio comunicativo”
così esplicito. Appena riesci ad avere uno scambio
di parole (in inglese stentato) con qualcuno, subito
altri vogliono aggiungersi, si fermano, ti guardano
con curiosità ed interesse..; in quei momenti ‘senti’
che quella apertura, quella voglia di comunicare,
è sincera non è falsa ospitalità ritualizzata (come
può succedere altrove).
Per essere un paese sempre dipinto a tinte fosche
dai media occidentali è anche questa una bella
stranezza. E qui chiudiamo, poiché i paradossi, in
questo strano paese, sono infiniti.
Il gruppo di “Avventure” per concludere
Partiamo in 18, numero francamente esagerato
per i viaggi Av.n.M. Ma quando ci riuniamo a Roma
e poi nel primo albergo a Teheran per fare il punto
sulla situazione ed eleggere il ‘cassiere’ (figura
strategica! Ancora grazie Luigi) intuisco che andrà
bene lo stesso, e per diversi motivi:
1. intanto è un viaggio ‘soft’ (non nel ritmo del
viaggio e della quantità delle cose che si vedono
e si fanno: quello è sempre ‘intensive’, tendente
all’hard!); il che vuol dire alberghi prenotati, a volte
‘discreti’, a volte belli.
A parte alcuni dettagli trascurabili per un paese
che, pur avendo un discreto flusso turistico, non
è propriamente inserito nei circuiti internazionali
‘classici’ dei più importanti tour operator europei
e americani (infatti abbiamo visto soprattutto
turisti locali, e poi russi e addirittura asiatici, ma
relativamente pochi occidentali).
Le disfunzioni più frequenti: le chiavi elettroniche
che non aprono (quella a banda magnetica
come il bancomat); le tubature del bagno che
funzionano impropriamente buttando fuori acqua
non si sa bene da dove; qualche ‘incompetenza’
del personale degli hotel fuori Teheran e nella
stessa Isfahan nel dare le chiavi, nell’assegnare
le camere (la stessa a più persone) e in molti casi
con grosse difficoltà con l’inglese;
2. è vero: eravamo 18 persone e l’età media… non
ve la dico. Tutta gente che col tempo si ‘stagiona’ e
acquista valore, sia sul piano dell’esperienza che
su quello della capacità di reggere il gruppo. Niente
screzi, niente grossolane asperità relazionali…
tutto O.K. (con i limiti dell’umana natura);
3. un ottimo e provetto coordinatore, con 15 anni
di esperienza alle spalle (bravo Marco!);
4. un viaggio direi molto organizzato nei binari
prefissati dal corrispondente iraniano, ma
soprattutto, la scelta più che fortunata della guida
locale, Hamed Ghorbani, che è piaciuto proprio
a tutti (e direi molto alla componente femminile/
materna del gruppo).
Ne abbiamo apprezzato la serietà, la preparazione,
e, soprattutto, la grande pazienza: alla terza
domanda identica ripetuta da chi si svagava
rispondeva con la stessa flemma con cui aveva
risposto alla prima, con un self-control, direi, quasi
‘anglosassone’ (meglio non dirglielo: da queste
parti non tutti apprezzano gli inglesi ….).
Ah, forse l’ho già detto: Hamed parla e capisce
benissimo l’italiano (è già vissuto in Italia, e proprio
anche nella ‘nostra’ Torino..); e questo ha contato
molto per la riuscita del viaggio in un paese in cui
si parla quasi esclusivamente la lingua locale, il
farsi.
5. ah, dimenticavo: nel ‘gruppone’ la componente
piemontese era preponderante (sei, cioè un terzo;
gli altri distribuiti tra varie realtà del centro nord,
con il sud più sud in Molise): è già questo fa la
qualità (avanti Savoia!..ha!...ha!..).
Si scherza.
Insomma, per concludere: vale la pena farsi questo
viaggetto in IRAN.
Avventure nel mondo 2 | 2014 - 7
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