RACCONTI DI VIAGGIO | Iran VIAGGIARE Tra Occidente ed Oriente IN IRAN: un “vicino-oriente” molto lontano, PERCHÈ? un paese da conoscere e Da un TESORI DI PERSIA SOFT gruppo Landi P remesse L’IRAN (la ex Persia degli elamiti, dei medi e dei ‘persiani’..) è relativamente vicino, circa cinque ore di volo da Roma a Teheran. L’IRAN è geograficamente vicino ma culturalmente, e, soprattutto, geo-politicamente, molto lontano. La curiosità nasce in primis da questa circostanza: un paese ‘vicino’ ma ‘lontano’ allo stesso tempo attrae sempre. Ma gli elementi che attivano o disattivano la trasformazione dell’idea di andare in un paese in un fatto concreto sono molteplici e a volte casuali; può essere la casualità della lettura di un articolo ‘convincente’ sulla Rivista di “Avventure” (R. Sossi, “Tesori di Persia. Un viaggio che apre uno scrigno pieno di meraviglie”, 2/2013), o avere tra le mani il bel libretto di Kapuscinsky (“Shah–in– Shah”) sulla storia recente di un paese sfortunato vittima - come tanti altri - delle strategie post colonialiste e neoimperialiste della guerra fredda. Nel caso dello scrivente ha anche funzionato la stessa logica da ‘bastian contrario’ che mi aveva spinto a visitare la Corea del Nord due anni fa (cfr. articolo sulla Rivista n. 1/2013, “Il paese del placido mattino”); è un po’ come se mi fossi mentalmente inscritto l’elenco dei “paesi canaglia” che era solito fare l’ex presidente americano George Bush1 e mi fossi impuntato nel voler vederli tutti. Il volo inizia, il sole cala lentamente. Sorvoliamo il bel mare Egeo e poi la Turchia e, quando è ormai già notte, ecco apparire sotto l’aereo la prima grande città dell’IRAN arrivando da ovest: Tabriz, nell’Azerbaigian iraniano, che, vista dall’aereo in quota, appare come una stella luminescente con le vie diritte che partono dal centro e si 1 Il paranoico presidente americano che divideva il mondo tra il bene e il male (“Il bene e il male sono presenti nel mondo e tra i due è impossibile un compromesso”; dall’ultimo discorso di Cincinnati del 16.01.2009). Naturalmente per Bush junior il bene è l’America (o meglio, gli USA, occorre essere precisi) e il male è rappresentato da tutti coloro (singoli individui, organizzazioni o nazioni) che in qualche modo sono ‘contro’, o non sono semplicemente “dalla parte degli USA” 4 - Avventure nel mondo 2 | 2014 capire espandono a raggiera verso oscure montagne e oscuri deserti. Poi Teheran (o Tehran, come preferite) immensa nella notte (14 milioni di abitanti); quante volte abbiamo sentito questo nome nei notiziari televisivi e subito si affollano nella nostra mente notizie sul ‘presunto’ nucleare iraniano, manifestazioni ‘verdi’ contro l’impronunciabile Ahmadinejad, e poi il distensionismo dell’ultimo presidente Rohani. Ma..che ne sappiamo ‘realmente’ di questo paese, grande tre volte l’Italia e popolato da 75 milioni di abitanti (pur avendo buona parte del territorio coperto da deserti e da montagne rocciose inospitali, dai monti Zagros alla catena degli Elburz che dividono la piana di Teheran dal mar Caspio…)? Niente, in quanto il sapere e la cultura non derivano dai media (quasi sempre schierati e manipolatori in politica estera) ma dalle letture; e quelle uno deve avere voglia di farle, cercando le fonti il più possibile ‘neutrali’ (cosa evidentemente difficile). Quando eravamo alle elementari l’Iran non esisteva ancora; c’era la Persia dell’antichità e così avevamo appreso pappagallescamente i nomi di Ciro il grande, di Dario (pure lui ‘il grande’: possibile che fossero tutti di alta statura? eh.eh.), Serse e Artaserse, nomi facili da ricordare a memoria! I Medi e i Persiani, appunto, e poi quel Cambise che ad un certo punto scompare (?). Comunque poi arrivava dalla Macedonia greca Alessandro (il grande pure lui!) che dava a quei cattivi dei persiani una bella lezione. E così, in quella mescolanza di tracce mnestiche residue, la Persia cioè l’attuale IRAN erano in realtà già in qualche modo presenti nelle nostre menti. Se Ciro o Alessandro sono nomi rimasti in qualche modo nella nostra memoria, nulla ricordiamo invece della grande espansione dell’Islam che investe e sottomette anche l’Iran nella sua opera di ‘conversione’ alla “vera religione” di tutti quei popoli e di quei paesi che, a partire dal Marocco affacciato sull’oceano Atlantico, si estendono Testo di Giuseppe Fumarco Foto di Marco Landi RACCONTI DI VIAGGIO | Iran - da occidente verso oriente con un’incredibile continuità geografica - fino alle Malaysia ed alle isole dell’Indonesia immerse nel Pacifico. E che ne sappiamo degli sciti e dei sunniti, di questo grande scisma che scuote tuttora il Medio Oriente? O ancora: che ne sapevamo (e che ne sappiamo) dello Shah Reza Pahlavi, di Mossadeq, del colpo di stato orchestrato dalla C.I.A. all’inizio degli anni ’50, della Savak (la polizia segreta dello Shah), ecc. ecc … O ancora: perché otto anni di guerra (erano gli anni ’80) tra l’Iraq di Saddam Hussein (toh, chi si rivede) e l’Iran, con la sua scia di morti, di distruzione, di rovina? Di nuovo: occorre leggere, documentarsi. E imparare la storia in modo corretto … e conoscere bene la geografia. Riflettere sulla storia del paese Diciamo subito che questo è un paese già difficile da collocare geograficamente nella sua ambiguità di fondo tra medio-oriente ed Asia (secondo l’enciclopedia geografica “De Agostini”: “vicinooriente”, o “Asia anteriore”); cioè qualcosa che non è l’oriente ‘classico’ ma non è già più occidente. Qualcosa che sta nel mezzo tra le due più importanti realtà attraverso le quali siamo soliti interpretare le carte geografiche: l’Occidente e l’Oriente, appunto. L’Iran è in effetti un “paese ponte” tra la Turchia e il mondo arabo ad ovest e il continente asiatico ad est; ad est esso infatti confina con l’Afghanistan ed il Pakistan, dopo i quali - come è noto - c’è il subcontinente indiano e, non più lontana, la Cina, cioè l’oriente per definizione. A nord dell’Iran (di Teheran in particolare) c’è il mar Caspio e la catena montuosa degli Elburz che separano, spazialmente e culturalmente, l’Iran dagli ex paesi satelliti dell’Unione Sovietica, quali l’Azerbaigian e il Turkmenistan (paesi oggi assai diversi dal nostro …..). A testimonianza della difficile collocazione dell’Iran tra oriente ed occidente va ricordato che è il paese che ha subito allo stesso tempo l’impulso distruttivo della “conquista” di Alessandro Magno (vedi sopra) ed uno dei primi ad essere investito dalla furia delle orde mongole di Gengis Kahn e Tamerlano da est. Siamo di fronte ad un paese di anticha civiltà. Infatti se pensiamo alla Persia si affollano nella mente i nomi di varie e successive civilizzazioni e dinastie: gli Achemenidi, i Seleucidi, i Sasanidi, ecc … che costruirono i primi ‘imperi’ persiani (dal 500 a.c. al 600 d.c.). Tutto questo prima della brusca invasione araboislamica del 637 (d.c.); di fronte a questa grande ‘onda’ bastava piegarsi, accettare il nuovo credo religioso, ed i persiani - in fase di declino con l’ultima dinastia dei Sasanidi - lo fecero; aderendo però alla corrente “scissionista” degli sciiti. Ma chi erano quelle prime civiltà, da dove venivano? Se i Medi e gli Elamiti erano di fatto popolazioni mediorientali non del tutto dissimili dai sumeri e dagli assiro-babilonesi, i Parti (o Parsi, dalle tribù dei Parsumas) - che diedero vita al primo grande impero persiano degli Achemenidi - erano popolazioni che già risentivano delle invasioni dal nord da parte delle etnie indoeuropee ariane (nome enigmatico e molto carico di ‘razzismo’ dalle nostre parti, sic!). Lo stesso termine Iran pare che derivi dagli ‘ari’ o ‘ariani’. La nostra giovane e brillante guida locale Hamed Ghorbani – che parlava correntemente italiano - ha insistito molto su questa circostanza, quasi a voler sottolineare l’antica comunanza etnica degli attuali persiani con le popolazioni europee (una segreta aspirazione all’occidente?) Abbiamo accennato all’invasione araba che fagocita nella grande famiglia islamica l’antica civiltà persiana. Ma, attenzione: occorre fare dei ‘distinguo’ da queste parti. Primo: gli iraniani non sono arabi e se li chiamate arabi si offendono, e a ragione: sono, appunto, popolazioni persiane islamizzate dagli arabi. Inoltre, come già accennato, – quasi a sottolineare questa dissonanza profonda con il mondo arabo – essi aderirono molto presto alla fazione minoritaria degli sciiti (ufficializzata come religione di stato nel 1500/1600 d.c. dalla dinastia dei Safavidi) in aperto contrasto con i sunniti, gli eredi dei califfati arabi che si appropriarono – ingiustamente, a dire degli sciiti - dell’eredità religiosa e spirituale del profeta Maometto. Quindi gli iraniani non sono arabi e non sono islamici della corrente maggioritaria (gli sciiti sono appena il 10 % degli islamici: un po’ come parlare tra noi dei protestanti Battisti e/o degli Anglicani e confonderli con i Cattolici!). Certo la decisione dell’ayatollah Khomeini di instaurare in Iran la prima “Repubblica Islamica” del mondo nel XIX secolo (a base dichiaratamente teocratica: comandano le gerarchie religiose!) non poteva non lasciare a dir poco ‘sconcertati’ tutti quelli che avevano sperato in qualcosa di diverso dopo la cacciata dello shah Reza Pahlavi, scià che tanto danno aveva inferto al suo paese. Ma questa è storia più recente e ve la dobbiamo raccontare a parte, nel paragrafo successivo. dell’altopiano e del sud (i kanat).. Insomma una dinastia che ci fa venire in mente i Medici fiorentini o i Dogi veneziani del nostro rinascimento, anche se con le analogie bisogna fare molta attenzione (si tratta di tempi e luoghi troppo diversi). Con i safavidi la capitale fu spostata ad Isfahan resa la più bella città persiana in assoluto; resta indimenticabile il colpo d’occhio sulla stupenda piazza centrale, lunghissima e circondata da moschee dai mosaici verdazzurri, arricchita da vasche colme d’acqua e da fontane zampillanti, nonché tutta bordata di verde e dai porticati del bazar; si tratta della c.d. Imam Hossein Square o, semplicemente, la “piazza dell’Imam” (sulla cartina piazza Naqsh-e-Jahan, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO). Ma torniamo ai qagiari ed ai tempi più recenti. Quando nel 1921 Reza Khan (padre del Mohammad Reza dei nostri tempi, che tutti chiamavamo semplicemente lo ‘Scià di Persia’) mise fine con un colpo di stato militare alla dinastia qagiara la cosa non dispiacque a nessuno. Ma non sapevano che sarebbero passati dalla padella alla brace. A rinfocolare la brace ci pensò il colonialismo declinante, ma ancora forte, degli inglesi, ben presenti in tutta quell’area (cfr. sopra il cenno alla compagnia petrolifera inglese). E così anche l’antica Persia incorreva nella maledizione dell’oro nero, con il concorso attivo degli anglo-americani e della loro mai sopita volontà di sfruttamento delle risorse naturali dei paesi del c.d. “terzo mondo”. Reza Khan da Mossadeq, il colpo di stato orchestrato dalla CIA, lo Shah e la rivoluzione non necessariamente “islamica” Non si può spiegare l’ascesa di Khomeini e del regime degli ayatollah dopo la fuga dall’Iran di Reza Pahlavi se non guardando di nuovo alla storia. La dinastia Pahlavi era stata preceduta da un’altra dinastia molto controversa, quella dei ‘Qagiari’ (1780/1920) che svendettero le risorse del paese all’invadente colonialismo inglese (da lì viene quella “Anglo-Iranian Oil Company” nata per sfruttare i giacimenti petroliferi iraniani; ne riparleremo subito dopo). Hamed non è stato affatto gentile con i qagiari dipingendoli come una pessima dinastia, in contrasto con quella precedente dei safavidi, promotori di un vero e proprio rinascimento persiano tra il 1500 e il 1750. L’Iran in quel periodo fu abbellito da moschee, città-giardino, ripristino di antichi sistemi di rifornimento delle acque alle assetate città Avventure nel mondo 2 | 2014 - 5 RACCONTI DI VIAGGIO | Iran buon ufficiale governò con il pugno di ferro e cercò di imitare il processo di occidentalizzazione messo in atto da Ataturk nella vicina Turchia; ma fece l’errore di preferire, nella seconda guerra mondiale, i nazisti tedeschi agli inglesi ed ai russi e fu per questo costretto all’esilio nel lontano Sudafrica. Abdicò e passò il potere nelle mani del pavido figlio, Mohammed Reza. Intanto l’Iran era andato culturalmente e politicamente avanti e nel secondo dopoguerra - aspirando il paese ad una repubblica democratica di tipo parlamentare moderno - entra in gioco il governo democraticamente eletto del liberale Mossadeq (o Mossadegh). Anche con il sostegno del partito comunista Tudeh …. imprudenza politica che, insieme al resto, gli costò cara. Ma il vero ‘sbaglio’, se così si può dire, di Mossadeq, è un altro, con un’analogia impressionante con il caso Allende del ’73 (altri tempi ed altro continente, ma una forte analogia resta): Mossadeq pensò la cosa più ovvia, ossia di nazionalizzare la compagnia petrolifera inglese facendola diventare la “National Iranian Oil Company”. Prontamente (’53) fu messo in atto un colpo di stato orchestrato dalla CIA (non è leggenda, sono fatti! Andate a controllare su Wikipedia, oppure sulla diffusissima Lonely Planet) che lo mise fuori gioco. L’esercito, come da copione, si schiera contro il presidente eletto e il suo rovesciamento è cosa fatta. Non fu ucciso nelle circostanze drammatiche in cui morì Allende (che voleva nazionalizzare l’estrazione del rame in mano ad una nota multinazionale americana) ma fu relegato agli arresti domiciliari in casa sua per tutta la vita, senza possibilità di contatti esterni; forse, per un politico di quella statura, sarebbe stata meglio la morte … ma in fondo anche Napoleone morì a S. Elena, e sempre in mano agli inglesi! La dinastia Pahlavi fin dal suo primo insediamento aveva suscitato malcontento popolare, soprattutto per la suntuosità della vita condotta a corte dallo scià con le varie consorti, in giro per l’Europa e gli USA (Soraya, Farah Diba… chi non se le ricorda?... In giro a fare shopping in via Veneto, a Roma). La condotta dei Pahlavi ricordava sinistramente quella dei qagiari. Ne derivava lo sperpero dei fondi dello stato oltre che ai programmi di occidentalizzazione e di industrializzazione forzata suggerita dai malintenzionati affaristi angloamericani. Sì, perché dopo lo spodestamento di Mossadeq ed il reinsediamento forzato in qualità di capo assoluto della nazione dello scià, gli occidentali e i faccendieri americani lo spinsero all’insensata cosiddetta “rivoluzione bianca”, una sorta di utilizzo dei fondi da estrazione petrolifera in strutture imprenditoriali … occidentali. Oltre che in armi sofisticate per l’esercito (aerei da caccia, carri armati, ecc.. non robetta, per intenderci) sempre importate dal mercato occidentale, con la scusa che l’Iran non aveva per certo il know– how e le capacità imprenditoriali per prodursele in casa. Ma i tempi stavano cambiando ed anche 6 - Avventure nel mondo 2 | 2014 in Iran iniziarono le sommosse studentesche; sindacalisti, comunisti e ceti medi si unirono ben presto agli studenti. Tutti in piazza, per diverse ragioni, contro lo scià. Erano contro il Palazzo anche i religiosi, i mullah e gli ayatollah, ma per ragioni ben diverse, se non opposte, a quelle degli altri manifestanti. I primi volevano la modernizzazione del paese, ma non sotto gli auspici e il dominio neocoloniale delle compagnie petrolifere occidentali; aspiravano ad uno sviluppo economico autonomo, basato sulle proprie risorse: le materie prime, innanzitutto, e gli introiti dell’estrazione del petrolio in particolare; ma anche quelle manuali e intellettuali della classe lavoratrice iraniana. I secondi volevano il ritorno al passato … e l’ottennero (parzialmente, la storia è sempre contraddittoria). Invece di aprire alla ribellione della piazza e fare qualche concessione lo scià Reza Pahlavi si irrigidì; costituì un’odiosa e perversa polizia segreta, la Savak, distrusse con torture, sparizioni mirate e deportazioni il Tudeh (e chi ne ha mai più sentito parlare?) e, successivamente, qualsiasi tipo di opposizione, anche la più blanda e liberale. La legge marziale e i massacri di piazza divennero ordinaria routine. Fino al punto che allo scià venne meno anche l’appoggio degli Stati Uniti. Tentò a questo punto di nominare a capo del governo un liberale, lo sfortunato Shapur Bakhtiar. Ma era troppo tardi e Reza Pahlavi dovette prendere la via dell’esilio (sia pur dorato). Emerge uno su tutti: l’ayatollah Ruhollah Khomeini Ora il punto è: come mai se in tanti avevano lottato contro lo scià alla fine prevalsero gli ayatollah, Khomeini su tutti? Che fine fecero i Mujahiddin del popolo islamico (la versione iraniana dei Feda’iyin palestinesi), i ceti medi e gli intellettuali che pure avevano contribuito alla caduta dello scià? Nella storia emerge l’imprevedibile...imprevedibile fino ad un certo punto, beninteso. L’Iran non aveva maturato né dei ceti medi né dei ceti intellettuali sufficientemente influenti, e nemmeno dei sindacati all’occidentale. I partiti organizzati di vera opposizione erano stati liquidati dallo scià. Tanto meno aveva reale dimestichezza con la democrazia rappresentativa e parlamentare come la concepiamo in Europa, sebbene fosse, sulla carta, una monarchia costituzionale fin dall’inizio del ‘900. L’unica struttura realmente forte, unitaria, organizzata e con solide radici in tutto il paese (nelle campagne e nei villaggi soprattutto) emerse essere quella dei religiosi, degli imam, dei mullah, ecc … . Quando Khomeini cominciò a far girare dal suo esilio, prima in Irak e poi a Parigi, delle cassette con la registrazione audio della sua voce che ripeteva incessantemente “Lo scià se ne deve andare” forse sapeva che stava realizzando la più forte campagna ‘mediatica’ della storia del suo paese. Le cassette entravano clandestinamente in Iran e grazie alla struttura ramificata del potere religioso sciita venivano ascoltate in ogni angolo dell’Iran. Così quando nel 1979 ritornò a Teheran da vincitore osannato dalle masse (l’ignoranza popolare resta pur sempre la gramigna sulla quale tutte le rivoluzioni si pervertono) organizzò un referendum che stravinse e poté realizzarla la ‘sua’ rivoluzione islamica totale. Regnò incontrastato dal 1979 all’89, quando morì (imponenti anche i funerali video trasmessi in tutto il mondo). In mezzo ci fu la rovinosa guerra con l’Irak. Saddam Hussein il ‘temerario’, aizzato dai soliti occidentali ad attaccare l’Iran sciita, portò in guerra un paese che pensava nel caos e immaginava di vincere in quattro e quattr’otto. Non fu così. E non sono non vinse ma rischiò addirittura di perdere, clamorosamente impantanato nelle paludi dei confini meridionali con l’Iran. La guerra durò otto anni (1980/1988) con centinaia di migliaia di morti. Ancora oggi girando per le città iraniane si vedono le gigantografie dei “martiri di quella guerra”. Qui li chiamano così. Saddam non c’è più: dopo lo sbaglio commesso con l’invasione del Kuwait i soliti noti (Bush, padre e figlio) hanno deciso che poteva essere fatto fuori. E così fu: morto per impiccagione, chi non ricorda? Ad ogni buon grado Khomeini insediatosi saldamente al potere eliminò qualsiasi altro tipo di opposizione (ma non avevano combattuto insieme contro lo scià?) e creò un potere degli ayatollah parallelo a quello del governo e del parlamento (strano a dirsi: antica tradizione persiana questa del Majlis, come chiamano il Parlamento da queste parti, istituito nel lontano 1906 in seguito alla cosiddetta rivoluzione costituzionale persiana in regime di monarchia costituzionale). Il potere parallelo e nemmeno tanto occulto è quello del “Consiglio dei guardiani della rivoluzione” prontamente costituito sotto la guida spirituale della “guida supremo”, Khomeini. Dopo la sua morte, avvenuta nell’89, gli è successo Khamenei. I due sono rappresentati in foto appese in ogni angolo del paese, foto sempre uguali e significative: sembrano guardarsi l’un l’altro, quasi come se il primo ispirasse e benedicesse il secondo (che ha un carisma sicuramente molto minore). Il potere del “Consiglio” è semplice e definitivo: non può essere approvata legge senza il suo consenso (potere di veto) e non possono essere attribuite cariche, sia nel Parlamento sia come primo ministro al governo, senza il suo placet. ”Guardiani della rivoluzione”, appunto! I pasdaran, molto attivi e rompiscatole in passato sembrano ora (secondo decennio del 2000, mentre scriviamo) in ribasso, né noi li abbiamo mai visti in azione per le strade. Anche i controlli della polizia sui turisti sembra ispirato alla prudenza. Non si ha in generale affatto l’impressione di vivere in un regime autoritario e/o di polizia: questo almeno allo sguardo “dall’esterno” che il turista può fuggevolmente dare. Viaggiando in Iran….. Le ragazze hanno adottato una nuova moda. Si fanno una crocchia con i lunghi capelli neri sulla parte posteriore del capo e la inguainano con una veletta alla moda che di fatto lascia la buona metà dei capelli della parte anteriore del capo scoperti. Ah…sono belle le giovani persiane, spesso molto carine. Le forme del corpo (blue jeans e casacchetta aderente sui fianchi) si vedono benissimo. Sono civettuole, e con quel sistema del coprirsi un po’ si rendono ancora più appetibili ai maschietti.. che fanno gli indifferenti per dovere di ruolo. Le donne lavorano, guidano i mezzi pubblici, le trovi negli uffici postali, nei bar e nei luoghi di ritrovo pubblici insieme ai loro compagni: uno scenario completamente diverso da quello dei paesi arabi. Anche se abbiamo letto che i divorzi crescono, per quello che abbiamo potuto constatare in diretta qui la famiglia tradizionale esiste ancora e la troviamo in tutti i parchi delle città a fare il picnic insieme (vera e propria passione nazionale!); una “famiglia allargata”, dai nonni ai nipotini, tutti nei parchi a mangiare e a svagarsi insieme. Ancora una piccola ma importante notazione prima delle conclusioni: se c’è un paese che ti dà l’impressione di voler comunicare davvero con gli ‘stranieri’ (almeno con i turisti) quello è l’Iran. Lo dico con franchezza: raramente mi era capitato nei miei viaggi di sentire, muovendosi in mezzo alla gente, una sensazione di “desiderio comunicativo” così esplicito. Appena riesci ad avere uno scambio di parole (in inglese stentato) con qualcuno, subito altri vogliono aggiungersi, si fermano, ti guardano con curiosità ed interesse..; in quei momenti ‘senti’ che quella apertura, quella voglia di comunicare, è sincera non è falsa ospitalità ritualizzata (come può succedere altrove). Per essere un paese sempre dipinto a tinte fosche dai media occidentali è anche questa una bella stranezza. E qui chiudiamo, poiché i paradossi, in questo strano paese, sono infiniti. Il gruppo di “Avventure” per concludere Partiamo in 18, numero francamente esagerato per i viaggi Av.n.M. Ma quando ci riuniamo a Roma e poi nel primo albergo a Teheran per fare il punto sulla situazione ed eleggere il ‘cassiere’ (figura strategica! Ancora grazie Luigi) intuisco che andrà bene lo stesso, e per diversi motivi: 1. intanto è un viaggio ‘soft’ (non nel ritmo del viaggio e della quantità delle cose che si vedono e si fanno: quello è sempre ‘intensive’, tendente all’hard!); il che vuol dire alberghi prenotati, a volte ‘discreti’, a volte belli. A parte alcuni dettagli trascurabili per un paese che, pur avendo un discreto flusso turistico, non è propriamente inserito nei circuiti internazionali ‘classici’ dei più importanti tour operator europei e americani (infatti abbiamo visto soprattutto turisti locali, e poi russi e addirittura asiatici, ma relativamente pochi occidentali). Le disfunzioni più frequenti: le chiavi elettroniche che non aprono (quella a banda magnetica come il bancomat); le tubature del bagno che funzionano impropriamente buttando fuori acqua non si sa bene da dove; qualche ‘incompetenza’ del personale degli hotel fuori Teheran e nella stessa Isfahan nel dare le chiavi, nell’assegnare le camere (la stessa a più persone) e in molti casi con grosse difficoltà con l’inglese; 2. è vero: eravamo 18 persone e l’età media… non ve la dico. Tutta gente che col tempo si ‘stagiona’ e acquista valore, sia sul piano dell’esperienza che su quello della capacità di reggere il gruppo. Niente screzi, niente grossolane asperità relazionali… tutto O.K. (con i limiti dell’umana natura); 3. un ottimo e provetto coordinatore, con 15 anni di esperienza alle spalle (bravo Marco!); 4. un viaggio direi molto organizzato nei binari prefissati dal corrispondente iraniano, ma soprattutto, la scelta più che fortunata della guida locale, Hamed Ghorbani, che è piaciuto proprio a tutti (e direi molto alla componente femminile/ materna del gruppo). Ne abbiamo apprezzato la serietà, la preparazione, e, soprattutto, la grande pazienza: alla terza domanda identica ripetuta da chi si svagava rispondeva con la stessa flemma con cui aveva risposto alla prima, con un self-control, direi, quasi ‘anglosassone’ (meglio non dirglielo: da queste parti non tutti apprezzano gli inglesi ….). Ah, forse l’ho già detto: Hamed parla e capisce benissimo l’italiano (è già vissuto in Italia, e proprio anche nella ‘nostra’ Torino..); e questo ha contato molto per la riuscita del viaggio in un paese in cui si parla quasi esclusivamente la lingua locale, il farsi. 5. ah, dimenticavo: nel ‘gruppone’ la componente piemontese era preponderante (sei, cioè un terzo; gli altri distribuiti tra varie realtà del centro nord, con il sud più sud in Molise): è già questo fa la qualità (avanti Savoia!..ha!...ha!..). Si scherza. Insomma, per concludere: vale la pena farsi questo viaggetto in IRAN. Avventure nel mondo 2 | 2014 - 7