Note
per la presentazione
alla stampa
della XXXIV Edizione
Ufficio Stampa
Simona Barabesi
Segreteria Ufficio Stampa
Giacomo Mariotti
Immagine grafica coordinata
Massimo Dolcini
Progettazione grafica
Antonio Trebbi
Stampa
Studiostampa, Repubblica di San Marino
giugno 2013
Stampato su carta Pordenone
Vergata/Laid Avorio
del Gruppo Cordenons spa
Sotto l’Alto Patronato
del Presidente della Repubblica
XXXIV edizione
10~23 agosto 2013
Gioachino Rossini,
dipinto su porcellana di Adrien Tournachon
(Collezione Sergio Ragni, Napoli)
www.rossinioperafestival.it
Regione Marche
Il Rossini Opera Festival è una fondazione promossa
dal Comune di Pesaro, dalla Provincia di Pesaro e Urbino,
dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro,
dalla Banca dell’Adriatico e dalla Fondazione Scavolini.
Il Festival si avvale della collaborazione scientifica
della Fondazione Rossini.
Il Festival 2013 si attua
con il contributo di: Ministero per i Beni
e le Attività Culturali, Comune di Pesaro, Regione Marche,
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, Provincia di Pesaro e Urbino;
con l’apporto di: Banca Marche,
Banca dell’Adriatico, Peter Moores Foundation;
con la partecipazione di: Abanet Internet Provider,
AMI-Azienda per la mobilità integrata e trasporti,
Carifano, Concessionarie Gruppodiba, Harnold’s,
Grand Hotel Vittoria - Savoy Hotel - Alexander Museum Palace Hotel,
Ratti Boutique, Retina Web Agency;
Enti fondatori
Comune di Pesaro
Provincia di Pesaro e Urbino
Fondazione Scavolini
collaborano: ASPES Spa, Azienda Ospedaliera San Salvatore,
Centro IAT- Informazione e accoglienza turistica,
Conservatorio di musica G. Rossini.
Il Festival è membro dell’Associazione Europea dei Festival.
Sovrintendente
Gianfranco Mariotti
Direttore artistico
Alberto Zedda
Direttore generale
Flavio Cavalli
Presidente
Luca Ceriscioli
Sindaco di Pesaro
Consiglio d’amministrazione
Maurizio Gennari
Stefano Pivato
Riccardo Paolo Uguccioni
Maria Rosaria Valazzi
Collegio sindacale
Alessandro Cicolella (presidente)
Gabriele Angelini
Franco D’Angelo
Amministrazione e coordinamento
sicurezza del personale
Marco Angelozzi
Assistente del Sovrintendente
Maria Rita Silvestrini
Segreteria artistica
Sabrina Signoretti
Segreteria Sovrintendenza
Alexia Mariotti
Contabilità, Economato
e Servizi informatici
Loris Ugolini
Segreteria amministrativa
Paola Vitali
Servizi di Biglietteria e Promozione
Patricia Franceschini
Edizioni e Archivio storico
Carla Di Carlo
Archivio musicale
Federica Bassani
Direzione allestimenti scenici
Mauro Brecciaroli
Coordinamento tecnico
Claudia Falcioni
Ufficio tecnico
Katia Ugolini
Coordinamento di Produzione
Caterina de Rienzo
Ufficio Produzione
Daniela Ridolfini
Produzioni e Relazioni esterne
Francesca Battistoni
Collaborazioni esterne
Ludovico Bramanti
Pubbliche Relazioni
Welleda Fochesato Donovan
Ufficio Stampa
Simona Barabesi
Segreteria Ufficio Stampa
Giacomo Mariotti
Virtù contra furore
Virtù contra furore / prenderà l’arme, e fia ’l combatter corto
ché l’antico valore / ne li italici cor non è ancor morto.
Sono i versi di Petrarca che Niccolò Machiavelli pone a epitome e suggello
al termine del suo Principe. Riferiti all’Italia, e lo sono, questi versi sono
ancora attuali. Declinati in termini moderni, infatti, possono corrispondere
a bellezza contro forza (forza economica, politica, militare) ed esprimere
così il motivo conduttore che presiede a tutta la nostra storia e anche alla
vocazione e al destino del nostro Paese.
Da quanti anni tutti noi, parlando di cultura, ripetiamo invano le stesse cose?
Che l’Italia detiene la maggior parte dei beni culturali del pianeta, e che
questo è il suo petrolio inutilizzato; che, al contrario, cultura, istruzione,
ricerca, formazione e tutela dell’ambiente sono regolarmente marginalizzate; che la cultura non è una spesa, ma un investimento; che la cultura “si
mangia” e può produrre ricchezza; che l’istruzione, musicale, scientifica e
umanistica, è il fondamento, l’architrave di una nazione civile, lo strumento
indispensabile per qualunque programma di crescita e sviluppo.
Quante volte siamo tornati, inutilmente, sugli stessi concetti? Allora, dobbiamo avere la chiara consapevolezza che questi discorsi non hanno, e non
avranno, alcun riscontro politico. Il problema reale è dunque l’irrilevanza di
ogni proposta che riguardi la cultura, al di là della sua validità. È spontaneo
attribuire tutto ciò alla sordità della classe politica (come dimostrerebbero i
programmi delle ultime campagne elettorali), ma c’è di più e di peggio, ed è
il diffuso disinteresse dell’opinione pubblica. L’Italia ha perso il senso della
sua identità, della sua storia, del suo legame col passato, forse anche per
l’uso distorto e invasivo dei mezzi di comunicazione, in primo luogo delle TV
commerciali. Manca all’immaginario collettivo del Paese la coscienza della
irripetibilità italiana, il fatto che l’Italia è il più grande produttore di bellezza
del pianeta, e riveste questo ruolo, senza interruzione, da quasi tremila anni,
ed è chiaro che qui si parla di bellezza non solo ambientale e paesaggistica,
ma anche monumentale, pittorica, letteraria, poetica, musicale.
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Sappiamo bene che vi sono state nei millenni altre civiltà che hanno contribuito al progresso spirituale dell’umanità: in Egitto, in Mesopotamia, in
Cina e soprattutto in Grecia, vera culla della cultura europea. È in Grecia
che poesia, letteratura, filosofia, matematica, arti visive, architettura hanno
incarnato lo spirito dell’Occidente. Eppure nessuna di queste civiltà ha retto
tutti i popoli della Penisola ed è basata su tre pilastri: la lingua, la religione e la storia. È noto che Metternich, nel 1849, fece infuriare i patrioti del
Risorgimento sostenendo che l’Italia era solo “un’espressione geografica”.
In realtà l’affermazione non era in sé priva di fondamento: piuttosto il politico austriaco avrebbe dovuto aggiungere a “geografica” anche “storica e
culturale”.
Del resto, non c’è solo il ricordato Machiavelli a rivolgersi agli “italici cor”.
C’è l’esempio di Dante con la sua invettiva: Ahi serva Italia, di dolore ostello…, cui fa eco Petrarca con: Italia mia, benché il parlar sia indarno…, e
la geniale sintesi linguistica dantesca: …del bel paese là dove il sì suona…,
e quella geografica, ancora di Petrarca: …il bel paese / ch’Appennin parte,
il mar circonda e l’Alpe. Di cosa parlano questi spiriti illuminati? Di una
terra sconosciuta? Di un regno immaginario? O parlano del nostro Paese,
l’Italia? E a chi rivolge Leopardi, qualche secolo dopo, la sua appassionata
invocazione: O patria mia, vedo le mura e gli archi… quando l’unità d’Italia
è ancora di là da venire?
alla prova del tempo: tutte, prima o poi, hanno perduto l’energia creatrice
e la forza propulsiva e adesso, direbbe Leopardi, più di lor non si ragiona.
Pensiamo a città come Atene, il Cairo, Corinto, Alessandria, Bagdad, Damasco: furono splendide e illustri, ma oggi, a parte le residue testimonianze
monumentali, sono diventate città come le altre. Roma no, l’Italia no: per
quasi trenta secoli essa è sempre saldamente restata il luogo privilegiato
della bellezza nel pianeta, malgrado le guerre, le invasioni, la debolezza
politica, le dittature.
Una parentesi sulle dittature. Di regola esse, imponendo una cultura di stato, impediscono la libera espressione artistica come autonoma lettura del
mondo. In tempi moderni ne abbiamo avuto due esempi drammatici nella
Germania di Hitler e nell’Unione sovietica di Stalin. Nella prima il ministro
Goebbels diceva di mettere mano alla pistola appena sentiva parlare di
cultura, nella seconda il “realismo socialista” soffocava in partenza ogni
voce fuori dal coro. In entrambi i casi si verificò una imponente diaspora di
scrittori, scienziati, artisti e musicisti, in fuga verso i paesi democratici. Nello
stesso periodo, anche l’Italia ha avuto la sua dittatura, con la fuga all’estero
di grandi personalità (come Arturo Toscanini, Rita Levi Montalcini, Enrico
Fermi…). Una dittatura non meno oppressiva delle altre, con abolizione
della libertà di stampa e della libertà di opinione, carcere e confino per gli
oppositori, militarizzazione dei giovani, qualche assassinio di stato, leggi
razziali, spirito guerrafondaio e infine il famigerato Minculpop che condizionava tutte le attività culturali attraverso le veline. Eppure, incredibilmente,
anche in queste condizioni il Paese, imperturbabile, ha continuato a produrre
bellezza. Proprio in questi giorni nella vicina Forlì è stata aperta una mostra
dedicata all’Arte italiana dal 1920 al 1940. Essa mostra plasticamente non
solo il livello qualitativo, ma anche la dimensione quantitativa del fenomeno.
Persino i manifesti dedicati alla goffa retorica di regime attorno al mito della
romanità e dell’impero sono bellissimi. E allora?
L’irripetibilità italiana è il frutto della sua storia complessa e inquieta: l’avvicendarsi di papi, monarchi, principi, condottieri, tribuni, tiranni, demagoghi
ha fatto dell’Italia il crogiuolo culturale dell’Occidente.
Si obietterà che l’Italia è l’ultimo dei grandi paesi europei ad aver raggiunto
la dignità di nazione politicamente unita e indipendente: appena un secolo
e mezzo fa. È vero, ma il concetto storico di Italia è in realtà antichissimo
e ben delineato. Esiste da sempre una precisa koinè italica che accomuna
La particolarità della bellezza italiana non sta solo nei monumenti, nelle
cattedrali, nei borghi umbri e toscani, nelle colline marchigiane, nei castelli
piemontesi, nelle costiere amalfitane, nelle ville venete, nelle rocche, nei
campi disegnati secondo antiche armonie dal genius loci, tutte cose non
riproducibili, ma nella storia dell’arte tutta, nel miracolo del Rinascimento,
il più impressionante accumulo di genio umano mai raggiunto sulla terra,
nell’Umanesimo, che mette l’uomo – il suo gesto, la sua fatica, il suo talento
– al centro delle cose, nel Melodramma, di cui l’Italia è la culla e il centro
propulsivo, nell’architettura, dai Romani, costruttori di ponti, acquedotti e
arene spesso ancora funzionanti, fino a Giò Ponti, Giovanni Michelucci e
Renzo Piano, nelle biblioteche, negli archivi, nella rete dei teatri. Nessun
altro Paese ha altrettanta possibilità di riassumere nella sua storia la trama
del tempo e il divenire della civiltà, di raccontare l’Europa e il mondo attraverso una successione di culture fra le maggiori e più universali (si pensi
all’essere il centro della Cristianità) mai fiorite su questa terra. L’Italia è
dunque una parte decisiva della coscienza del mondo.
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Curiosamente, si può arrivare alle stesse conclusioni anche invertendo il
punto di vista, considerando cioè l’atteggiamento degli stranieri, oggi e lungo
la storia, nei riguardi del nostro Paese. Pensiamo al Grand tour, il viaggio
iniziatico che i rampolli delle nobili famiglie del Nord Europa facevano nel
della cultura: siamo uno dei pochi grandi paesi d’Europa a non averlo. Non
si tratterebbe di accorpare le diverse funzioni oggi disperse fra vari ministeri
(beni culturali, istruzione, ambiente, turismo, ricerca…) ma di un soggetto
veramente diverso, nuovo, fortemente identitario, che fosse uno dei più importanti dell’esecutivo, e che si facesse carico dei temi legati a un’identità
di nazione unica nel pianeta, che ha proprio nella cultura e nell’arte, intrecciate ai beni paesaggistici e ambientali, la sua vocazione storica e la sua
cifra caratteristica. Dunque un dicastero fondamentale (come quello della
difesa in Israele o dell’industria in Germania) autorizzato anche a operazioni
di peso e di grande respiro, come il Beaubourg e la piramide del Louvre a
Parigi, o il MoMA a New York. Finora hanno fatto ostacolo forse la paura di
un altro Minculpop o la nascita di una cultura di stato, cioè l’occupazione
da parte di una forza politica che voglia dettare regole in campo artistico.
Ma ormai, nel XXI secolo, è un rischio che si può correre, e che le maggiori
nazioni europee hanno corso senza danni. Si tratta davvero di una strada
obbligata per il nostro Paese.
XVIII secolo in Italia per completare la loro cultura. Esso è l’epifenomeno
di un’attrazione più antica, complessa e anche contraddittoria che l’Europa
ha avuto (e ha) per l’Italia. Nella prima metà del ’500, di fronte al consolidamento dei grandi regni europei (Francia, Inghilterra e Spagna) l’Italia si
presentava come una realtà frammentata e disomogenea, caratterizzata da
uno straordinario sviluppo artistico e una totale fragilità politica. Nasce di
qui la spinta, la voglia di appropriarsi di questa ricchezza diversa, fatta di
città libere e ricche, ma militarmente imbelli, sedi di una cultura evoluta e
affascinante. Questo motivo correrà lungo i secoli e influenzerà generazioni
di moderni viaggiatori, non solo quelli del Grand tour, fino ai giorni nostri.
Cosa affascina così tanto gli stranieri? Quale frutto proibito cercano, a quale
carenza vogliono rimediare? Si muove lungo i secoli uno strano sentimento
di attrazione-diffidenza per questo paese meraviglioso e pericoloso, infido
giardino di delizie, paradiso e luogo di perdizione: anche perché abitato –
secondo l’antico stereotipo – da un popolo disordinato e allegro, simpatico
e superficiale, accogliente e inaffidabile. Ma in realtà al fondo di tutto c’è
una speciale invidia, un’ammirazione incoercibile, un atteggiamento forse
inizialmente altezzoso, ma subito contraddetto dallo spettacolo schiacciante
della bellezza. Sono in gioco alcuni miti: il mito della classicità (le rovine, i
monumenti…), il mito del clima (la luce, il sole, l’amore…), il mito del Rinascimento (l’indiscusso vertice spirituale della storia del mondo). A tutto ciò
si aggiunga l’evidenza di un popolo, erede legittimo di tanto patrimonio, che
vive da sempre immerso nella grazia e nell’armonia. Ne deriva un sentimento contrastante che, seppure declinato nelle forme più affabili, ritroviamo
persino nei più appassionati dei nostri spettatori al Rof.
Bellezza contro forza, si diceva all’inizio. Ebbene, finora, malgrado le innumerevoli vicissitudini storiche che hanno agitato nel tempo la Penisola, e
malgrado la brevità della nostra vicenda unitaria nazionale, la bellezza ha
sempre vinto la sua sfida. Perché non dovrebbe vincere ancora?
Gianfranco Mariotti
Sovrintendente
Allora, tutto ciò detto: la crisi economica è anche una crisi culturale e d’identità, una crisi di saperi, di conoscenze e di competenze. Non si dà crescita
né sviluppo possibili senza un consapevole investimento sulla cultura, la
formazione, la ricerca, l’istruzione (si pensi che la Germania ha tagliato 80
miliardi di spesa pubblica e ne ha investiti 13 nella cultura!); senza l’orgoglio
per la nostra identità e la nostra storia, il legame fra passato e presente
che fa inimitabile il nostro Paese. Occorre cioè un moderno umanesimo,
che combini il patrimonio storico con una nuova creatività, e individui la
cultura non come uno strumento, ma come un fine, un obiettivo in sé. C’è
bisogno di una svolta, di un soggetto nuovo. Ciò che occorre è un Ministero
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Il programma
Mettere in scena il Guillaume Tell è sempre stato compito arduo; farlo
oggi, e al Rossini Opera Festival, diventa problematico. L’opera richiede
un’orchestra di grande caratura: per l’organico magno e per l’importanza di
sinfonie, balli, tempeste, introduzioni strumentali, accompagnamenti vocali
di inusitata tensione e amplitudine. Basti pensare alle battute iniziali della
Sinfonia, affidate ai soli violoncelli: abissale meditazione sulla vita e la morte
che cela il segreto del prossimo, tragico silenzio del compositore. Pretende
ancora un coro numeroso e possente, non più chiamato a scandire pagine
omofonico-omoritmiche, ma guidato da una polifonia luminosa e coloratissima ad assumere il ruolo palpitante di popolo che vive, soffre, gioisce, subisce,
insorge, conquista dignità e libertà, quest’ultima salutata con tale esultanza
da siglare uno dei più emozionanti finali d’opera mai concepiti. Soprattutto
esige una compagnia di canto in grado di definire una cifra coerente in un
discorso drammatico aperto a interpretazioni molteplici, anche contrastanti.
Il Guillaume Tell può concludere la stagione del proto-romanticismo poetico
dello Sturm und Drang o prefigurare gl’impeti del romanticismo eroico e passionale che infiammerà i nazionalismi libertari. Ma il romanticismo di Rossini
non nasce con quest’opera: nell’Otello, nella Donna del lago, nel Maometto
II, perfino nel giovanile Tancredi gli attori del dramma respirano la malìa di
una natura immanente, che nel Guillaume Tell si fa partecipe delle vicende
umane. La scelta dei protagonisti, segnatamente quella di Arnold, è risorsa
per premiare l’una o l’altra tesi. Rossini ha indicato con chiarezza la sua
preferenza, quando all’esordio parigino ha lodato la prestazione di Adolphe
Nourrit, tenore di estrazione belcantistica che, come di regola, ricorreva
all’uso del falsettone per risolvere i passaggi acuti, e ha invece duramente
bollato quella di Gilbert-Louis Duprez che, con sommo gaudio del pubblico,
aveva applicato l’emissione di petto anche ai crudeli sovracuti della parte.
Altrettanta chiarezza non si ravvisa però all’analisi del dettato musicale: Arnold, che nei pezzi d’insieme deve confrontarsi con le robuste voci del basso
e del soprano caricate da grande tensione drammatica, è sicuramente ruolo
pensato per un bari-tenore d’importanza, ma la sua parte, che indugia nella
zona del passaggio superiore e si spinge alle note estreme della tessitura,
sembra in più occasioni idonea all’agile tenore contraltino che amoreggia
nell’Italiana in Algeri, Cenerentola, Gazza ladra, piuttosto che all’intrepido
guerriero che dovrà guidare la rivolta vittoriosa. Pochi sono stati gli autentici
bari-tenori capaci di rispondere adeguatamente alle richieste del ruolo (Chris
Merritt, Gregory Kunde della maturità): poiché oggigiorno al vocalista non
è dato ricorrere all’artificialità del falsettone, il dilemma si sposta fra l’ele-
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zione di un tenore eroico di estrazione tardoromantica (prototipo Giacomo
Lauri Volpi), al quale però è utopico chiedere di cantare il ruolo senza tagli
devastanti, e un tenore rossiniano equilibrato nei registri, dotato di squillo
autorevole e padrone di chiaroscuri che inteneriscano l’amore per Mathilde
e inaspriscano lo sdegno per il tiranno. Sono queste preziosità che fanno
di Juan Diego Flórez il più apprezzato belcantista del nostro tempo e conferiscono il rango di evento eccezionale al suo debutto nel ruolo di Arnold,
nella cornice del Rossini Opera Festival. La presenza di Flórez ha condizionato la scelta degli altri protagonisti. La voce e la figura di Nicola Alaimo,
Guillaume, incarnano benissimo un eroe senza medaglie, padre prima che
capopopolo, in lotta per assicurare alla sua gente il diritto di vivere secondo
le proprie ragioni e le proprie credenze, non per difendere interessi dinastici
o inseguire illusorie ideologie. La Mathilde di Marina Rebeka possiede la
nobiltà necessaria per attenuare l’inconsistenza di un amore impossibile; il
ruolo di Walther è stato affidato alla voce morbida e rotonda di Simon Orfila
per favorire gli equilibri vocali con Arnold e Mathilde. All’inizio dell’opera,
il canto stratosferico e terribilmente scoperto del pescatore Roudi trova in
Celso Albelo, tenore fra i più quotati, un interprete prestigioso. Un debutto
d’interesse sarà l’Hedwige di Veronica Simeoni, giovane mezzosoprano già
distintasi in ruoli di mitica complessità. Gli altri ruoli, tutti di rilievo, saranno
rivestiti da Amanda Forsythe, Simone Alberghini, Baurzhan Anderzhanov,
Alessandro Luciano, Luca Tittoto.
L’impostazione classicamente rossiniana della compagnia di canto a disposizione ha influenzato la regia di Graham Vick (trionfatore del Mosè
in Egitto) e la scenografia di Paul Brown, che puntano su uno spettacolo
concettualmente severo, fedele alle didascalie del libretto anche se riferite
a vicende e luoghi diversi da quelli immaginati da Rossini. L’opera ritroverà
l’umana quotidianità di gente fiera e pacifica opposta all’arroganza di un
potere prepotente e senz’anima, simile al finanzcapitalismo che oggi priva
tanti giovani della libertà di sperare. Scompare ogni traccia di magniloquenza
da grand opéra, così lontana dall’intima spiritualità della musica di Rossini,
sostituita da simboli che traducono la realtà in immagini ideali di poesia.
Dopo gli esiti impressionati del Sigismondo del 2010 e della Matilde di
Shabran del 2012, il concertatore di questo ambizioso Guillaume Tell non
poteva essere altri che Michele Mariotti, il direttore pesarese che sta inanellando successi. Mariotti potrà giovarsi del Coro e dell’Orchestra del Teatro
Comunale di Bologna, compagine quest’ultima che nel repertorio rossiniano
non ha rivali al mondo.
2011. Dall’Accademia provengono ancora, meritatamente promossi, Elena
Tsallagova, intensa Amenaide nel Tancredi della scorsa stagione, Enea Scala,
incisivo Mambre nell’ultimo Mosè in Egitto, Paolo Bordogna, ormai intronizzato fra i grandi buffi rossiniani, Viktoria Yarovaya, Siveno nel Demetrio
e Polibio del 2010 e Giorgio Misseri, Egoldo nella Matilde di Shabran dello
scorso anno. Il veterano Roberto De Candia completa un cast che appare
difficilmente migliorabile. In quest’opera, come nel tradizionale Viaggio a
Reims che premierà i laureati della prossima Accademia Rossiniana, suonerà
l’Orchestra Sinfonica G. Rossini, da anni apprezzata presenza al Festival.
Torna a Pesaro L’Italiana in Algeri, a bilanciare con la leggerezza della gioiosa follia l’epopea del Tell. L’opera è stata scelta perché ha consentito di
riunire interpreti che nelle ultime edizioni del Rossini Opera Festival hanno
conseguito l’en plein di consensi di pubblico e critica. A cominciare dal team
creativo, formato dal regista Davide Livermore, dallo scenografo Nicolas
Bovey e dal costumista Gianluca Falaschi (recente vincitore del Premio
Abbiati per i fantasmagorici e bellissimi costumi del Ciro), lo stesso team
che l’anno scorso ha firmato il Ciro in Babilonia trasmesso in diretta dalle
televisioni di mezzo mondo, giudicato uno dei migliori spettacoli della storia
del Festival. Quest’anno i tre amici ritentano la giocata puntando su uno
spettacolo mozzafiato ispirato alla commedia americana del cinema d’autore
degli anni sessanta, nella fattispecie strizzando l’occhio all’indimenticabile
The party di Blake Edwards. Nel difficile compito di trasformare la grevità
dell’assunto nel raffinato divertimento iperrealistico che propone la musica,
saranno affiancati da un gruppo di rilevanti talenti, capitanati dalla fresca e
bella Isabella di Anna Goryachova (l’anno scorso rivelatasi nella Matilde di
Shabran con una sorprendente interpretazione dell’ingrato ruolo di Edoardo)
e dal suo spasimante Mustafà (Alex Esposito, un beniamino assoluto del
pubblico pesarese). Grande attesa anche per il Lindoro di Yijie Shi, il tenore
cinese che canta e fraseggia nel segno della più alta tradizione italiana; per
il Taddeo di Mario Cassi, Figaro applauditissimo nell’ultima edizione concertante del Barbiere di Siviglia; e per l’Haly di Davide Luciano, la Zulma
di Raffaella Lupinacci, l’Elvira di Mariangela Sicilia, distintisi nell’ultima
tornata dell’Accademia Rossiniana.
L’Orchestra e il Coro di Bologna saranno diretti da José Ramón Encinar, per
la prima volta a Pesaro. Il Maestro Encinar, colto e apprezzato compositore
formatosi in Italia alla scuola di Franco Donatoni (una sua opera lirica, rappresentata per la prima volta a Madrid nel 1988, si intitola Figaro), stimato
fra i migliori interpreti del repertorio contemporaneo, assicurerà una lettura
intelligente della lucida partitura rossiniana.
L’allestimento dell’Occasione fa il ladro è il più antico fra quelli in circolazione
al Rof. Deve la sua longevità all’ispirata regia di Jean-Pierre Ponnelle, ultima
fatica a pochi mesi dalla prematura scomparsa, nel 1988, a soli 46 anni. Lo
rimette in scena Sonja Frisell, apprezzata regista e diretta sua collaboratrice
in quest’opera, e lo dirige una giovane musicista cinese, Yi-Chen Lin, che
aveva conquistato orchestra e pubblico quando guidava i coetanei ragazzi
dell’Accademia Rossiniana, nel Viaggio a Reims conclusivo dei corsi del
Proseguirà l’integrale dei Péchés de vieillesse, giunta alla sua quinta tornata, in collaborazione con l’Ente Concerti di Pesaro, l’Accademia pianistica
napoletana e la Fondazione Rossini.
Nella sezione dedicata alla Rossinimania, un concerto del chitarrista pesarese Eugenio Della Chiara farà conoscere, oltre a musiche originali di
Paganini, sei nuove composizioni, centrate su spunti rossiniani, di autori
italiani delle ultime generazioni. I consueti Concerti di Belcanto sono stati
perfidamente selezionati per accendere una sanguinosa contesa divistica
fra tenori di livello superiore, contesa che si muterà in giubilo al concerto
verdiano di Marina Rebeka, omaggio del Rof al Maestro che a Rossini dedicò,
nell’occasione della sua scomparsa, un Libera me domine destinato a diventare una pagina capitale del suo Requiem. Il programma sarà accompagnato
dall’Orchestra Sinfonica G. Rossini diretta da Daniele Agiman.
Il Festival si concluderà con un’esecuzione in forma di concerto di una delle
più affascinanti opere “napoletane” di Rossini, La donna del lago, come da
tradizione ritrasmessa simultaneamente nella piazza maggiore della città.
La dirigerà il patriarca Alberto Zedda, che compenserà la sua vetustà promuovendo un cast di interpreti giovani e giovanissimi, taluni debuttanti in
ruoli leggendari, come l’Elena di Carmen Romeu, il Malcom di Chiara Amarù,
l’Uberto di Dmitry Korchak, il Rodrigo di Michael Spyres, il Duglas di Simone
Alberghini, l’Albina di Mariangela Sicilia, il Serano di Alessandro Luciano.
Una programmazione che sfida crisi e scoraggiamento: prosit.
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Alberto Zedda
Direttore artistico
Accademia Rossiniana 2013
XXV edizione dell’Accademia Rossiniana:
1989-2013
Seminario di studio sui problemi
dell’interpretazione rossiniana,
diretto da Alberto Zedda
L’Accademia, che si tiene ogni anno a Pesaro durante il periodo del Festival,
riguarda le tematiche, vocali e drammaturgiche, connesse alla restituzione
rossiniana e allo sviluppo dell’Edizione critica ed è aperta ai professionisti
dello spettacolo e agli studiosi.
L’Accademia Rossiniana 2013 si svolge dal 4 al 19 luglio.
È possibile prendere parte ai corsi in qualità di Effettivo o Uditore. La frequenza ai corsi è gratuita e a numero chiuso. Il piano didattico prevede un
seminario teorico, la presenza a prove del Festival e un corso di interpretazione vocale, incentrato principalmente sull’opera Il viaggio a Reims.
Alberto Zedda sarà coadiuvato dai Maestri Lanfranco Marcelletti e Anna
Bigliardi.
Agli Effettivi ammessi all’Accademia saranno fornite indicazioni per lo studio e il materiale musicale: spartito, variazioni e cadenze delle parti vocali
assegnate.
In prosecuzione del corso, gli elementi risultati idonei parteciperanno al
Concerto conclusivo dell’Accademia, in programma il 19 luglio 2013;
inoltre un gruppo selezionato di allievi prenderà parte allo spettacolo Il
viaggio a Reims che verrà messo in scena i giorni 13 e 16 agosto 2013,
con prove dal 22 luglio, nell’ambito del “Festival giovane”.
Per i soli partecipanti allo spettacolo è prevista un’apposita borsa di studio.
A conclusione del corso l’Accademia Rossiniana rilascia ai partecipanti
Effettivi e Uditori un attestato di frequenza.
Un quarto di secolo è un lasso di tempo sufficiente per trarre il bilancio
di un’esperienza come quella dell’Accademia Rossiniana, impostata sin
dall’inizio su una prospettiva di lungo periodo.
Nata in seno al Rof sulla base di precise esigenze teatrali e strategiche, è
stata sempre diretta da Alberto Zedda, anche Direttore artistico del Rossini
Opera Festival. Nei suoi corsi ha formato un’intera generazione di nuovi
talenti che a Pesaro hanno rifinito il proprio bagaglio tecnico, musicale e
culturale.
Molti di loro hanno trovato al Festival il primo sbocco professionale, per poi
proseguire la carriera nei teatri di tutto il mondo.
Nomi come quelli di Daniela Barcellona, Olga Peretyatko, Marianna Pizzolato, Marina Rebeka, Nicola Alaimo, Paolo Bordogna, Saimir Pirgu, Yijie Shi
e Antonino Siragusa sono solo i più recenti di una scintillante serie di voci
cresciute sotto la guida del Maestro Zedda.
Tutto ciò ha contribuito a cambiare radicalmente il panorama della lirica
internazionale: opere che fino a ieri erano considerate ineseguibili per l’assenza di cantanti in grado di interpretarle sono oggi entrate nel repertorio
dei maggiori teatri; si pensi alle innumerevoli rappresentazioni del Viaggio a
Reims, riscoperto al Rof dopo più di un secolo e mezzo di oblio e ora ospite
abituale nei cartelloni di tutto il mondo.
Accademia Rossiniana
del Rossini Opera Festival
Via Rossini, 24
61121 Pesaro
Tel. 0721.3800214
[email protected]
Il Festival ringrazia
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Le opere:
notizie storiche e soggetti
L’Italiana in Algeri
Atto II
Mustafà vuol far visita ad Isabella, che intanto ha incontrato Lindoro: accertato il disinteresse per Elvira, ella gli espone l’idea di fuggire insieme.
Per ottenere l’appoggio di Taddeo, Mustafà gli concede il titolo di «Gran
Kaimakan». Isabella riceve da Elvira l’annuncio della visita di Mustafà;
fingendosi sconcertata, istruisce la moglie del Bey sull’arte di trattare gli
uomini. Intanto Mustafà prende accordi con Taddeo perché si allontani al
segnale di uno starnuto. Ma ai ripetuti «eccì» di Mustafà, Taddeo finge di non
intendere. Isabella e Lindoro se la ridono, mentre il Bey freme e protesta.
Lindoro burla Mustafà, comunicandogli che anche Isabella lo ama e desidera
elevarlo a suo «Pappataci», titolo concesso agli amanti esemplari. Intanto
Zulma, schiava di Elvira, commenta con Haly le astuzie di Isabella, che sta
preparando la festa al Bey. Ella intende favorire la fuga di tutti gli italiani
prigionieri del Bey, abbigliandoli da Pappataci, per rendere verosimile la
cerimonia in onore di Mustafà. Inizia il rito: un coro veste Mustafà che deve
prestare un giuramento solenne di immobilità e silenzio; il nuovo Pappataci
dovrà solo mangiare, bere e tacere. Isabella mette subito alla prova il candidato, scambiando parole d’amore con Lindoro. Ecco che arriva il vascello
della salvezza: Isabella invita Lindoro a seguirla per salpare insieme; Taddeo capisce di esser stato anch’egli burlato e cerca di scuotere Pappataci
dal torpore, rivelandogli il tradimento da entrambi subìto. Ma Mustafà ha
imparato troppo bene la lezione per non mostrare la più imperturbabile
indifferenza alle parole di Taddeo, a cui non rimane che scegliere fra il palo
e lo spiacevole ruolo di reggimoccolo sulla nave insieme a Lindoro e Isabella. E quando finalmente Elvira, Zulma ed Haly riescono a scuotere Mustafà
dall’indolenza, l’ordine d’allarme gridato ad Eunuchi e Mori è inefficace:
grazie alla previdenza di Isabella, sono tutti ubriachi.
Al Bey non resta che farsi perdonare dalla fedele sposa.
L’Italiana in Algeri, dramma giocoso in due atti su libretto di Angelo Anelli,
fu rappresentata per la prima volta al Teatro San Benedetto di Venezia il
22 maggio 1813.
Interpreti della prima rappresentazione: Filippo Galli (Mustafà), Luttgard
Annibaldi (Elvira), Annunziata Berni Chelli (Zulma), Giuseppe Spirito (Haly),
Serafino Gentili (Lindoro), Maria Marcolini (Isabella), Paolo Rosich (Taddeo).
La partitura, quasi interamente autografa, è conservata presso l’Archivio
di Casa Ricordi.
Rossini diresse quest’opera a Vicenza (1813) e a Napoli (1815).
Soggetto
Atto I
Il Bey di Algeri Mustafà, stanco delle donne del suo paese, desidera ottenere
i favori di una femmina di ardua conquista. Secondo quanto narra Lindoro,
un marinaio italiano caduto in schiavitù, la donna dei suoi sogni non può
che essere italiana. Il Bey ripudia perciò la moglie Elvira e la offre in sposa
a Lindoro, che ha nel cuore un amore lasciato in patria. Ordina poi ad Haly,
capo dei suoi corsari, di procurargli in breve una donna italiana (e il palo
punirà un suo eventuale insuccesso). La burrasca fa naufragare un vascello
sulla spiaggia di Algeri. Haly fa preda delle merci e cattura i passeggeri, tra
cui c’è la splendida Isabella, l’innamorata di Lindoro, partita da Livorno alla
sua ricerca insieme a Taddeo, da lei ammaliato. Haly trova la soluzione: la
bella italiana può essere la nuova favorita di Mustafà. Isabella non si perde
d’animo e per proteggersi convince Taddeo a fingersi suo zio. Frattanto
Mustafà offre a Lindoro la possibilità di ritornare in patria con una nave conducendo con sé Elvira. Haly, raggiante, reca la bella notizia al suo padrone.
Mustafà è preso dalla frenesia, ordina di affrettare la partenza della moglie
e di accogliere con fasto l’ospite bramata, proponendosi però di trattarla
con distacco. In una ricca sala Mustafà riceve Isabella, che lo colpisce al
cuore. Quando Elvira e Lindoro si presentano per l’addio a Mustafà, Isabella
ritrova insperatamente il suo amato. I due, senza tradirsi, si riconoscono
all’istante. Isabella interviene perentoria sul Bey: che abbandoni pure l’idea
di conquistarla, a meno che non rinunci ai suoi costumi barbari, non congedi
la moglie e ponga lo schiavo Lindoro al suo servizio. Irretito nelle maglie
d’amore, Mustafà non può che cedere.
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Guillaume Tell
Mathilde si allontana, mentre Arnold è sorpreso da Guillaume e Walter, che
cercano di incitarlo al fervore patriottico, rivelandogli che suo padre Melcthal
è stato ucciso da Gesler. Arnold giura di combattere contro l’oppressore. Si
radunano i rappresentanti di vari cantoni e Tell sollecita la pronuncia del
giuramento, che tutti compiono mentre sorge l’aurora.
Guillaume Tell, opéra in quattro atti su libretto di Étienne de Jouy e
Hippolyte-Louis-Florent Bis, fu rappresentata per la prima volta al Théâtre
de l’Academie Royale de Musique il 3 agosto 1829.
Interpreti della prima rappresentazione: Adolphe Nourrit (Arnold), HenriBernarde Dabadie (Guillaume Tell), Nicholas-Prosper Levasseur (Walter),
Bonnel (Melchtal), Alex Prévost (Gesler), Jean-Étienne Massol (Rodolphe),
Ferdinand Prévost (Leuthold), Alexis Dupont (Pêcheur), Laura CintiDamoreau (Mathilde), Louise-Zulme Dabadie (Jemmy), Mori (Hedwige).
Gli autografi sono conservati a Parigi, presso il Conservatorio e l’Opéra.
Il soggetto è tratto dal Wilhelm Tell di Friedrich Schiller (1804). Rossini
elaborò anche una versione in tre atti di quest’opera, probabilmente nel 1831.
Atto III
Arnold confida a Mathilde di voler vendicare il padre. Pur essendo innamorato
di lei, egli sa che la situazione politica minaccia di dividerli per sempre. La
donna, disperata, lo implora di fuggire, mentre Arnold è deciso a difendere
la propria terra. Intanto giungono gli echi di una festa che Gesler ha fatto
bandire nel villaggio di Altorf per celebrare il diritto di sovranità che
l’impero germanico esercita da oltre un secolo sui paesi svizzeri. In segno
di sottomissione, tutti dovranno inchinarsi davanti a un trofeo d’armi eretto
nella piazza. Durante la cerimonia, i soldati portano davanti a Gesler il ribelle
Guillaume con il figlio Jemmy, perché entrambi rifiutano di rendere l’omaggio
dovuto. Rodolphe riconosce in lui l’uomo che ha posto in salvo Leuthold:
Gesler ordina di arrestarlo e gli impone la prova della mela per aver salva la
vita sua e del figlio. Tra la commozione generale, Guillaume raccomanda al
figlio di rimanere immobile, e supera la prova brillantemente. Per l’emozione
Guillaume cade e dalle pieghe della giacca esce un’altra freccia: gli sarebbe
servita per uccidere il figlio qualora avesse mancato il bersaglio. Gesler,
adirato, fa arrestare di nuovo Guillaume. Interviene Mathilde che prende
sotto la sua protezione il ragazzo, mentre Guillaume è condotto a morte.
Gli svizzeri imprecano contro il crudele Gesler.
Soggetto
Atto I
La scena si apre in un villaggio svizzero del cantone di Uri, presso un
torrente. Guillaume Tell con la moglie Hedwige e il figlioletto Jemmy insieme
agli abitanti del villaggio si preparano a festeggiare le nozze di tre coppie
di pastori. Mentre si appresta a benedirle, il saggio Melcthal esorta il figlio
Arnold ad accostarsi al matrimonio; tuttavia egli reagisce con stizza: il suo
cuore batte per una principessa degli Asburgo, Mathilde, che vive alla corte
del governatore austriaco Gesler. Ma il suo sentimento è privo di speranza per
la differenza di rango e Mathilde è troppo vicina a Gesler, l’odiato tiranno che
opprime la comunità svizzera. Mentre cerca di allontanarsi, Arnold incontra
Guillaume, che lo invita ad unirsi ai ribelli decisi a liberare la patria dallo
straniero. Tell, ignaro della sua passione, sa che il giovane si è arruolato
nell’esercito nemico e tenta di riconquistarlo agli ideali di patria e di libertà.
Arnold gli promette che si unirà ai ribelli. Iniziano i festeggiamenti per le
nozze e Melcthal esorta i novelli sposi a perpetuare le tradizioni degli avi,
mentre Guillaume va in cerca di Arnold. La festa continua, si intrecciano
le danze e Jemmy, il figlio di Tell, vince la gara di tiro al bersaglio con la
balestra. L’esultanza è interrotta dal pastore Leuthold, che ha ucciso un
soldato di Gesler perché aveva tentato di rapire sua figlia. Leuthold deve
attraversare il torrente per salvarsi: il pescatore si rifiuta di aiutarlo, è
Guillaume che lo traghetta sull’altra sponda. Mentre la barca si allontana,
irrompono gli inseguitori, comandati da Rodolphe, che cerca di scoprire chi
stia aiutando Leuthold. Melcthal, che impone al popolo di tacerne il nome,
viene arrestato e trascinato via.
Atto II
Al calar della notte, in una valle profonda sul lago dei Quattro Cantoni,
mentre risuona il corno di Gesler, cacciatori e pastori rientrano alle loro case.
Mathilde sa che Arnold l’ha seguita; anch’essa lo ama. Il giovane le manifesta
i propri sentimenti: egli l’ama al punto che fuggirà per cercare l’oblio o la
morte. Ella lo esorta a partire per coprirsi di gloria e ritornare vittorioso
a sposarla. I due si promettono un incontro per il giorno successivo, poi
Atto IV
Arnold si aggira in attesa di vendetta. Da fuori giungono le grida degli svizzeri
che vengono a cercare armi per liberare il loro eroe. Arnold sa dove il padre
le aveva nascoste e parte con i compagni per la battaglia. La scena torna
sul lago dei Quattro Cantoni, orlato da dense nubi di tempesta. Un gruppo di
donne tenta di trattenere la moglie di Guillaume che vorrebbe unirsi al marito
e al figlio per morire con loro. Ma Jemmy riappare, salvo, accompagnato da
Mathilde. Poco dopo, scoppia la bufera che sconvolge il lago. Jemmy incendia
la casa per dare il segnale della rivolta a tutti gli abitanti dei luoghi vicini,
mentre Hedwige rivolge a Dio una preghiera perché salvi Tell. Guillaume
viene trasportato al luogo del supplizio, ma sul lago imperversa la burrasca:
egli riesce ad accostare l’imbarcazione alla riva e balza sopra uno scoglio,
quindi respinge la barca su cui si trovano Gesler e le sue guardie. Dopo
aver riabbracciato la moglie e il figlio, colpisce il tiranno con una freccia
mortale: Gesler cade tra i flutti dell’uragano. Mentre tutti acclamano Tell,
sopraggiunge Arnold annunciando che Altorf è stata liberata. La tempesta
si quieta: acclamazioni di vittoria e di libertà si levano verso il cielo.
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L’occasione fa il ladro
Quando le due coppie si trovano in presenza di Don Eusebio, ne nasce una
scena di gran confusione: non si sa chi dei due pretendenti dica il vero sulla
propria identità, ma Parmenione è favorito dal possesso del passaporto di
Alberto.
Il cerchio inizia a stringersi. Alberto dichiara a Ernestina, che egli crede la
sposa destinatagli, di essere disponibile a sciogliere ogni precedente vincolo
se non c’è reciproco amore, e mostra così sincerità d’animo. Parmenione
intanto tratta con scostante sufficienza la cameriera Berenice; non sa poi
se crederle quando questa dichiara d’essere la vera sposa, ed interrogato da
lei cade più volte in errore mostrando di sapere ben poco sulla vita privata
di Alberto. Martino intanto, imbarazzato dalle domande di Don Eusebio ed
Ernestina sulla reale identità del proprio padrone, cerca di barcamenarsi.
In presenza di Berenice, i due pretendenti giungono ad un confronto. Esso
rivela, se non le loro identità, almeno i loro veri sentimenti: Parmenione
ha scelto Ernestina, e se Berenice ricambia l’amore di Alberto, questi la
sposerà che sia marchesa o meno.
Malgrado ciò, Berenice è infuriata: vuol essere lei la padrona del suo destino
e vuol sapere la verità. È infine lo stesso Parmenione che, di sua spontanea
volontà, si presenta a Don Eusebio ed Ernestina con il suo vero nome: si
scopre che proprio Ernestina è la fanciulla sulle cui tracce Parmenione si
era messo in viaggio. L’uomo con cui era fuggita l’aveva poi abbandonata
non riuscendo a vincerne il rigore. Parmenione le si offre in sposo, e lei
accetta. Tutto va così al suo posto: Alberto può sposare Berenice, e perdonare
Parmenione. Si scopre inoltre che fu un equivoco a fare di Parmenione un
ladro: il ritratto nella valigia effigiava in realtà la sorella di Alberto, e questi
lo stava portando in dono alla futura sposa.
L’occasione fa il ladro, burletta per musica in un atto su libretto di Luigi
Prividali, fu rappresentata per la prima al Teatro San Moisè di Venezia il
24 novembre 1812.
Interpreti ne furono Gaetano Del Monte (Eusebio), Giacinta Canonici (Berenice), Tommaso Berti (Alberto), Luigi Pacini (Parmenione), Carolina Nagher
(Ernestina), Filippo Spada (Martino).
L’autografo è conservato a Parigi, presso il Conservatorio.
Soggetto
In una notte di tempesta, trovano riparo nello stesso albergo di campagna
Don Parmenione ed il Conte Alberto. Il primo è sulle tracce della sorella di
un suo amico, fuggita con un seduttore. Il secondo è in viaggio per Napoli,
dove vedrà per la prima volta la sua promessa sposa.
Nel riprendere la strada, il domestico del Conte Alberto porta via per errore
la valigia di Don Parmenione. Rimasti soli, Parmenione e il suo servo
Martino si accorgono dello scambio avvenuto. Martino, convinto che si
possa approfittare del caso, forza la valigia. Essa contiene tra le altre cose il
passaporto di Alberto ed il ritratto di una giovane, che incanta Parmenione.
Ritenendo che si tratti della donna promessa ad Alberto, Parmenione decide
di sostituirsi a lui per sposarla.
Fervono intanto i preparativi in casa della sposa, la marchesina Berenice.
La giovane però non è serena: suo padre, prima di morire, l’ha destinata
ad Alberto, ma lei non si risolverà a sposarlo se prima non sarà convinta
dei propri sentimenti e della sincerità di quello. Decide perciò di cambiare
i propri panni con quelli di Ernestina, sua cameriera e confidente. Si vedrà
così di chi è innamorato veramente il Conte. Don Eusebio, zio e tutore di
Berenice, asseconderà il piano.
Giunge Don Parmenione, nei panni del Conte Alberto, ed incontra Ernestina
in quelli della marchesa. Alla giovane piace immediatamente colui che crede il
promesso della sua padrona; e lui sembra ricambiarla, anche se non somiglia
al ritratto. Arriva poi il vero Alberto, che s’imbatte in Berenice (in veste di
cameriera). Anche loro si innamorano a prima vista, e mentre lei esulta in
cuor suo per lo sposo destinatole, egli si lagna tra sé che la sua sposa non
sia questa, che ha suscitato in lui un sentimento tanto immediato.
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La donna del lago
lega a Malcom. L’arrivo di Rodrigo, la sua durezza e lealtà introducono una
nota di concretezza nello smarrimento delle coscienze. L’entrata a ondate
successive dei clan ribelli è di trascinante irruenza. II drammatico scontro
d’animi viene bruscamente interrotto dal richiamo della battaglia.
La donna del lago, melodramma in due atti su libretto di Andrea Leone
Tottola, fu rappresentata per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli il
24 settembre 1819.
Esecutori furono Giovanni David (Giacomo), Michele Benedetti (Duglas),
Andrea Nozzari (Rodrigo), Isabella Colbran (Elena), Rosmunda Pisaroni
(Malcom), Maria Manzi (Albina), Gaetano Chizzola (Serano), Massimo
Orlandini (Bertram).
Gli autografi sono conservati presso la Fondazione Rossini di Pesaro e presso
il Conservatorio di Parigi.
Il soggetto è tratto dal poema The Lady of the Lake di Walter Scott (1810).
Atto II
Giacomo, ancora sotto le spoglie di Uberto di Snowdon, torna a cercare
Elena e le rivela il suo amore con sincerità. Elena è sconvolta da questa
confessione, incredula di averne suscitato la passione con atteggiamenti
che il giovane le rammenta fra rimprovero e nostalgia. Ma quando Uberto
si accinge a lasciarla, accogliendo le sue suppliche, Elena è smarrita. Sopraggiunge Rodrigo e l’incontro fra i due, rivali in amore prima ancora che
sul campo di battaglia, arroventa l’azione. Tentando di interrompere il furibondo duello, Elena leva un grido che tradisce un coinvolgimento emotivo
impossibile da indirizzare a un estraneo, come vorrebbe che fosse Uberto,
o a un nemico della sua felicità, come il detestato Rodrigo.
Con Rodrigo cade la prima vittima di una femminilità che unisce al fascino
inebriante un presagio di sventura. Quindi Malcom annuncia la rovina del
secondo pretendente, che, nel tentativo di salvarla, va a perdersi in una
battaglia dove verrà fatto prigioniero insieme a Duglas. Elena, accogliendo
un suggerimento che Uberto le aveva insinuato, si rivolge a un re che crede
di non conoscere per ottenere salva la vita del padre e di Malcom. Duglas è
liberato e Malcom riceve da Re Giacomo l’attestazione di stima che la buona
fede dei suoi comportamenti merita, ma non una parola da Elena.
Elena avverte che il destino felice si è irrimediabilmente dissolto con l’immagine di Uberto.
Soggetto
Atto I
Re Giacomo, cui la preoccupazione di difendere il trono insidiato da principi ribelli non impedisce di rincorrere i propri sogni, finge di perdersi nel
bosco inseguendo una cerva. In realtà ha seminato i compagni di caccia per
ritrovarsi solo sulle sponde di un lago dove ogni giorno all’alba compare
una fanciulla di straordinaria bellezza. La scorge e ne resta abbagliato.
Accesa dai pensieri amorosi rivolti al suo Malcom, giovane guerriero, Elena
si presenta con una canzonetta semplice e accattivante. Spacciandosi per
Uberto di Snowdon, Giacomo chiede aiuto per ritrovare la via smarrita. Elena
non esita a traghettarlo sulla sua barca e a ospitarlo. In Giacomo sboccia
l’amore, ma subito apprende di essere in una dimora ostile: Elena infatti
è la figlia di Duglas, un tempo amato precettore e ora capo delle fazioni
ribelli. Apprende che la giovane è promessa sposa a Rodrigo ch’ella non
ama, prescelto dal padre per averlo potente alleato nella lotta contro il re.
Giacomo deve fuggire, ma l’ansioso languore che la sua presenza ha destato
in Elena gli lascia una speranza. Elena attribuisce il proprio turbamento
alla nostalgia per Malcom.
Giunge Malcom che, per amore di Elena più che per fede politica, ha tradito il suo re e disertato le di lui schiere, unendosi ai ribelli. Con l’entrata
del padre di Elena, assistiamo allo scontro fra dovere e sentimento. Ella
deve cedere alla ragion di stato: Rodrigo ottiene l’assenso alle nozze, ma
comprende che non avrà mai il cuore di Elena, intuendo il legame che la
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Il lavoro
della Fondazione Rossini
Con l’insediamento dell’Assemblea e del nuovo Consiglio d’amministrazione
della Fondazione Rossini si completa il percorso iniziato con l’approvazione
del nuovo Statuto.
Avere attorno a Rossini le istituzioni locali e regionali, le banche, che da
sempre ci sostengono, e altri importanti istituti, come l’Accademia Raffaello
e il Centro Studi Leopardiani, significa indicare nelle eccellenze culturali
della Regione Marche la leva per mantenere alto il nostro livello di civiltà e
organizzare un qualificato modello di sviluppo socio-economico.
Nell’ambito di questo progetto riveste particolare importanza, per impegno
e profilo, l’adesione di Salvatore Settis al Comitato d’Onore presieduto da
Bruno Cagli. Siamo convinti che il prestigio culturale della Fondazione Rossini sarà sempre più rilevante laddove più strategica sarà la sua proiezione
internazionale, una strada obbligata per ampliare gli orizzonti dell’attività di
ricerca e soprattutto per rispondere alla crescente domanda di cultura, che
va di pari passo alla domanda di beni italiani di qualità, da parte dei paesi
ormai affermatisi come le nuove potenze economiche globali.
Prosegue con continuità il lavoro editoriale: la pubblicazione del Bollettino
del Centro Rossiniano di Studi, i volumi delle collane “I libretti di Rossini”,
“Iconografia rossiniana”, “Tesi rossiniane”.
Il principale impegno scientifico, ovvero il lavoro di restituzione delle opere
di Rossini, ci vede affrontare ancora una volta un’opera senza autografo, Aureliano in Palmira, composta per il Teatro alla Scala nel 1813, affidata alle
cure del musicologo e direttore d’orchestra Will Crutchfield.
In elaborazione anche l’edizione critica delle Sei Sonate a quattro, a cura di
Matteo Giuggioli, scritte da Rossini nel 1804 mentre era ospite del contrabbassista Agostino Triossi.
Operiamo ormai da alcuni anni con una squadra giovane, qualificata e tanto
generosa verso la nostra Fondazione, guidata da Ilaria Narici assieme a Cesare Scarton, Daniele Carnini e all’apporto e collaborazione dei componenti
il Comitato scientifico: Emilio Sala, Damien Colas, Davide Daolmi, Renato
Meucci, Reto Müller, Benjamin Walton. Questo intreccio di professionalità, di
‘continuità’ e apertura, attenzione alle nuove tendenze della filologia, ravviva
il laboratorio pesarese che ha fatto della collaborazione fra la Fondazione
Rossini, il Rof e Casa Ricordi un unicum mondiale nel campo della restituzione
musicale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: affermazione di nuovi titoli,
riscoperte, stabilizzazione nei repertori teatrali di alcune opere sepolte da
ormai due secoli di oblio.
Insomma Rossini, oggi come al suo tempo, continua a essere protagonista
indiscusso sulle scene del mondo. È questo in fondo il vero orgoglio che, da
pesaresi e da italiani, sentiamo e intendiamo condividere con tutti gli amanti
della musica e della cultura.
I tagli ai finanziamenti alla cultura si sono fatti sempre più pesanti e ne
avvertiamo tutto l’onere. Per farvi fronte abbiamo messo in campo azioni
virtuose nella gestione del patrimonio, frutto del lascito di Rossini alla città
di Pesaro, e ricercato collaborazioni importanti come quella con l’azienda
Fratesi e con la Fondazione Ortolani di Riz Ortolani e Katyna Ranieri. L’auspicio è che proprio per favorire una più stretta collaborazione anche con
soggetti privati si possa affermare una politica fiscale premiante per chi fa,
gestisce e finanzia la cultura.
Queste collaborazioni sarebbero oggi ben più difficili da reperire se fossimo
soli, come è accaduto per decenni, a promuovere l’eredità culturale del grande
Maestro. La scelta di procedere alla completa restituzione delle opere in edizione critica e successivamente la collaborazione con il Rossini Opera Festival
ha cambiato, ormai da oltre quarant’anni, quel vecchio contesto. Per questo
la Fondazione Rossini non dimentica che quello che noi chiamiamo “progetto
Rossini”: è il progetto di una squadra che può contare su ottime relazioni
istituzionali. Chi a questo progetto ha collaborato ha potuto percepire che
non si è mai trattato di una partita giocata per un interesse particolare, per
sopravvivere o per smania di apparire quanto piuttosto per la crescita di un
disegno che riguarda lo Stato come la Regione, il Comune come la Fondazione
Cassa di Risparmio, il Conservatorio come il Rof. E così continuerà ad essere.
Un particolare ringraziamento voglio rivolgerlo al CdA che ha concluso il suo
mandato unitamente all’augurio di buon lavoro ai nuovi consiglieri.
Oriano Giovanelli
FONDAZIONE ROSSINI
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Presidente
Oriano Giovanelli
Consiglio d’amministrazione
Alberto Berardi, Maurizio Gennari, Francesca Matacena,
Lucio Carlo Meale, Stefano Pivato
Assemblea
Luca Ceriscioli presidente, Giorgio Cerboni Baiardi, Fabio Corvatta,
Franca Mancini, Achille Marchionni, Matteo Ricci,
Gianfranco Sabbatini, Massimo Tonucci
Segretario generale
Catia Amati
Direttore dell’Edizione critica
Ilaria Narici
Comitato d’Onore
Bruno Cagli presidente, Giovanni Carli Ballola, Jeremy Commons,
Johan Eeckeloo, Maurizo Pollini, Antonio Pappano, Salvatore Settis
Stato di elaborazione
dell’Edizione critica
al 31 maggio 2013
Volumi pubblicati
Zelmira
a cura di Kathleen Kuzmick Hansell e Helen Greenwald.
Due volumi di partitura di LXII-1141 pgg. Un volume per la Banda
di 109 pgg. e un volume di commento critico di 185 pgg.
Semiramide
a cura di Philip Gossett e Alberto Zedda. Tre volumi di partitura di
LX-1556 pgg. Un volume per la Banda di 172 pgg. e un volume di commento critico di 236 pgg.
Il viaggio a Reims
a cura di Janet Johnson. Due volumi di partitura di LX-960 pgg. Un volume di commento critico di 216 pgg.
Guillaume Tell a cura di M. Elizabeth C. Bartlet. Quattro volumi di partitura di LXXIV-
2050 pgg. Un volume di commento critico di 324 pgg. e uno di Fonti di 253 pgg.
Edipo Coloneo a cura di Lorenzo Tozzi e Piero Weiss. Un volume, comprensivo di commento critico, di XXXIII-175 pgg.
Le nozze di Teti, e di Peleo a cura di Guido J. Joerg.
Un volume, comprensivo di commento critico, di XLI-390 pgg.
Tre cantate napoletane
a cura di Ilaria Narici, Marco Beghelli e Stefano Castelvecchi.
Un volume, comprensivo di commento critico, di LI-305 pgg.
La riconoscenza /
Il vero omaggio
a cura di Patricia B. Brauner. Un volume di partitura di LXVIII-576 pgg. Un volume di commento critico di 180 pgg.
Sinfonie giovanili
a cura di Paolo Fabbri.
Un volume, comprensivo di commento critico, di XXXIII-179 pgg.
La scala di seta a cura di Anders Wiklund. Un volume di partitura di XXXIII-487 pgg. Un volume di commento critico di 85 pgg.
L’occasione fa il ladro
a cura di Giovanni Carli Ballola, Patricia B. Brauner e Philip Gossett. Un volume di partitura di XXXIX-544 pgg. Un volume di commento critico di 107 pgg.
Il signor Bruschino
a cura di Arrigo Gazzaniga. Un volume di partitura di XXXV-426 pgg. Un volume di commento critico di 79 pgg.
Tancredi a cura di Philip Gossett. Due volumi di partitura di XLIX-818 pgg.
Un volume di commento critico di 299 pgg.
L’Italiana in Algeri
a cura di Azio Corghi. Un volume di partitura di XLV-781 pgg. Un volume di commento critico di 191 pgg.
Il Turco in Italia a cura di Margaret Bent. Due volumi di partitura di LIII-1040 pgg. Un volume di commento critico di 259 pgg.
Sigismondo
a cura di Paolo Pinamonti. Due volumi di partitura di LIX-728 pgg. Un volume di commento critico di 168 pgg.
Torvaldo e Dorliska
a cura di Francesco Paolo Russo. Due volumi di partitura di L-752 pgg. Un volume di commento critico di 207 pgg.
Il barbiere di Siviglia
a cura di Alberto Zedda. Due volumi di partitura di LIX-953 pgg. Due volumi di commento critico e fonti.
Ciro in Babilonia
a cura di Daniele Carnini e Ilaria Narici.
La gazzetta
a cura di Philip Gossett e Fabrizio Scipioni. Due volumi di partitura
di LVI-828 pgg. Un volume di commento critico di 196 pgg.
L’equivoco stravagante
a cura di Marco Beghelli e Stefano Piana. Disponibile per l’esecuzione.
La pietra del paragone
a cura di Anders Wiklund e Patricia B. Brauner. Disponibile per l’esecuzione.
Otello
a cura di Michael Collins. Due volumi di partitura di LX-966 pgg. Un volume di commento critico di 176 pgg.
Aureliano in Palmira
a cura di Will Crutchfield. Disponibile per l’esecuzione.
Adelaide di Borgogna
a cura di Gabriele Gravagna e Alberto Zedda. Disponibile per l’esecuzione.
La Cenerentola
ossia la Bontà in Trionfo
a cura di Alberto Zedda. Due volumi di partitura di LIX-1115 pgg.
Un volume di commento critico di 216 pgg.
Ricciardo e Zoraide
a cura di Federico Agostinelli e Gabriele Gravagna.
Disponibile per l’esecuzione.
La gazza ladra a cura di Alberto Zedda. Due volumi di partitura di XLIX-1197 pgg. Un volume di commento critico di 220 pgg.
Petite Messe Solennelle
Versione orchestrale e versione per due pianoforti e harmonium.
A cura di Davide Daolmi. Disponibile per l’esecuzione.
Armida
a cura di Charles S. Brauner e Patricia B. Brauner. Due volumi di partitura di L-1235 pgg. Un volume di commento critico di 181 pgg.
Mosè in Egitto
a cura di Charles S. Brauner. Due volumi di partitura di LV-1150 pgg. Un volume di commento critico di 170 pgg.
Adina
a cura di Fabrizio Della Seta. Un volume di partitura di LVIII-842 pgg.
Un volume di commento critico di 248 pgg.
Ermione a cura di Patricia B. Brauner e Philip Gossett. Due volumi di partitura di XLVIII-846 pgg. Un volume di commento critico di 119 pgg.
La donna del lago a cura di H. Colin Slim. Due volumi di partitura di XLVI-952 pgg. Un volume per la Banda di 135 pgg. e un volume di commento critico di 194 pgg.
Bianca e Falliero
a cura di Gabriele Dotto. Due volumi di partitura di LV-1150 pgg. Un volume di commento critico di 170 pgg.
Cantata in onore
a cura di Mauro Bucarelli.
del Sommo Pontefice Pio Nono Un volume, comprensivo di commento critico, di XLI-415 pgg.
Musique anodine Album italiano a cura di Marvin Tartak.
Un volume, comprensivo di commento critico, di XL-314 pgg.
Album français Morceaux Réservés a cura di Rossana Dalmonte.
Un volume, comprensivo di commento critico, di XL-404 pgg.
Quelques Riens pour Album
a cura di Marvin Tartak.
Un volume, comprensivo di commento critico, di XXI-223 pgg.
Volumi in corso di incisione e stampa
Demetrio e Polibio
a cura di Daniele Carnini. Disponibile per l’esecuzione.
Volumi in preparazione
Elisabetta, regina d’Inghilterra a cura di Vincenzo Borghetti.
Maometto II
a cura di Claudio Scimone. Disponibile per l’esecuzione.
Matilde di Shabran
a cura di Jürgen Selk. Disponibile per l’esecuzione.
Messa di Gloria
a cura di Giovanni Acciai.
Sei Sonate a quattro
a cura di Matteo Giuggioli.
I volumi rendono possibile l’esecuzione delle varie versioni autentiche delle singole opere. La Casa Ricordi
distribuisce le partiture edite dalla Fondazione e realizza le parti e gli spartiti per canto e piano.
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Scheda del Festival
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Il Rossini Opera Festival è un ente autonomo che promuove l’omonima manifestazione lirica internazionale interamente dedicata a Gioachino Rossini.
Suo scopo è il recupero, la restituzione teatrale e lo studio del patrimonio
musicale legato al nome del Compositore, che lasciando erede universale
di tutta la sua cospicua fortuna il Comune di Pesaro, consentì la nascita
dell’attuale Conservatorio di musica e della Fondazione Rossini.
Il Rossini Opera Festival è stato istituito nel 1980, sempre ad opera del
Comune di Pesaro, con l’intento di affiancare e proseguire in campo teatrale l’attività scientifica della Fondazione Rossini: è nato così un originale
laboratorio interattivo di musicologia applicata, finalizzato al recupero
musicologico, teatrale ed editoriale di tutto il sommerso rossiniano.
La manifestazione ha potuto svilupparsi e crescere anche grazie al contributo di istituzioni pubbliche e private, come i Ministeri dello Spettacolo
e dei Beni culturali, la Regione Marche, la Provincia di Pesaro e Urbino,
la Cassa di Risparmio di Pesaro (ora Banca Marche), la Banca Popolare
Pesarese (ora Banca dell’Adriatico) nonché, per un trentennio, l’industria
pesarese Scavolini.
Il Rossini Opera Festival è stato gestito per i primi cinque anni direttamente
dal Comune di Pesaro, e si è poi trasformato, nel 1985, in un ente autonomo
promosso dalle Amministrazioni comunale e provinciale pesaresi.
Dall’aprile 1994 il Festival ha assunto veste giuridica di fondazione, pur
mantenendo la sua denominazione originaria. Soggetti promotori del nuovo
ente sono il Comune di Pesaro, la Provincia di Pesaro e Urbino, la Fondazione
Cassa di Risparmio di Pesaro, la Banca dell’Adriatico, la Fondazione Scavolini. Nel nuovo assetto istituzionale l’assemblea dei soci fondatori nomina il
consiglio di amministrazione, che è presieduto dal sindaco di Pesaro.
La responsabilità delle scelte artistiche è affidata al sovrintendente, nominato dalla stessa assemblea: egli si avvale della collaborazione del direttore
artistico. Referente musicologico del Festival è la Fondazione Rossini, cui
compete la responsabilità scientifica dei testi eseguiti.
Il 20 dicembre 2012 il Parlamento ha approvato la Legge n. 238, che comprende il Rof nel ristretto novero dei “festival musicali e operistici di assoluto
prestigio internazionale”. Tale provvedimento legislativo ribadisce la storica
attenzione dello Stato verso la restituzione rossiniana realizzata dal Rof,
inclusa ufficialmente tra le operazioni che tutelano il patrimonio artistico del
Paese sin dalla Legge n. 319/13 agosto 1993 “Norme a sostegno del Rossini
Opera Festival”, il cui contributo è andato in seguito a regime confluendo
nella attuale Legge n. 237/12 luglio 1999.
Il Rossini Opera Festival è membro dell’Associazione Europea dei Festival,
e gode dell’alto patronato del Presidente della Repubblica.
Il Festival ringrazia
Amici del Rossini Opera Festival
L’associazione, fondata nel 1997, consente agli appassionati di sostenere
con le loro donazioni, in cambio di benefit esclusivi, le attività del Rossini
Opera Festival, contribuendo così a conservarne ed accrescerne la vitalità.
Amico under 30
Amico
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Sostenitore
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Sostenitore Oro
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Sostenitore Platino
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65
$ 200
$ 700
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$ 5.000
Iscrizione regalo
Regala ad un amico l’iscrizione agli Amici del Rossini Opera Festival e noi
lo informeremo del tuo dono.
Donazione libera
Anche se quest’anno non vieni al Rof, sostienilo con un contributo a tua
scelta. Il tuo nome sarà menzionato nei programmi di sala del Festival. Con
le stesse modalità puoi ricordare una persona a te cara.
Friends of the Rossini Opera Festival
L’associazione americana, fondata nel 2008, si rivolge specificamente ai
residenti negli Stati Uniti ed ha le stesse finalità dell’associazione italiana.
Fanno parte del Comitato d’Onore: Claudio Abbado, June Anderson,
Rockwell Blake, Marilyn Horne, Chris Merritt, Samuel Ramey, Luca Ronconi.
Junior Friend under 30
Friend
a partire da
Supporter
a partire da
Golden Supporter
a partire da
Patron
a partire da Amici del Rossini Opera Festival
Via Rossini 24 • 61121 Pesaro
Tel. 0721 3800210 • Fax 0721 3800220
[email protected][email protected]
www.rossinioperafestival.it
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