Le terapie
HI-LUX LABORATORIO ODONTOTECNICO di Martello Francesco
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Il contenuto delle pagine che seguono è pensato come spunto per essere trasferito al
paziente.
Esso non vuole assumere alcun tono cattedratico nei confronti della singola preparazione
odontoiatrica. Nel contempo, non deve sembrare banale. Bisogna ricordarsi di non dare tutto per
scontato perché spesso ciò che sembra molto chiaro non lo è per il paziente.
ABALZIONE DEL TARTARO
Spesso l’integrità delle strutture portanti dell’elemento dentario è compromessa dalla placca
e dal tartaro.
È, quindi, realmente indispensabile provvedere alla loro asportazione, per ristabilire
quell’igiene orale che resta la migliore protezione per un buono stato
di saluto del cavo orale.
Il sistema più in uso per tale scopo è l’impiego di un ablatore
che, tramite ultrasuoni, è in grado di sgretolare le formazioni calcaree
presenti sui denti. Nei casi in cui la normale ablazione con ultrasuoni
risultasse – ad un controllo radiologico – insufficiente, si può ricorrere
al curettaggio ed alla levigatura delle
superfici radicolari, al fine di ottenere
una buona adesione tra dente e gengiva, tenendo però presente che
tale procedimento, storicamente conosciuto, è stato di recente
maggiormente indagato e grazie ai nuovi sistemi ingranditori sono
emerse mancanze di continuità sulle superfici trattate con le curette.
Un apposito spazzolino montato sul micromotore, con
l’aggiunta di pasta moderatamente abrasiva, serve solitamente per
detergere lo smalto pigmentato, così come l’impiego di particelle di bicarbonato veicolate con
appositi strumenti.
È della massima importanza tenere presente che qualsiasi intervento nella bocca del
paziente non preceduto da una cultura d’igiene, è inevitabilmente destinato al fallimento.
APICECTOMIA (ENDODONZIA CHIRURGICA)
Questo tipo di intervento rappresenta una delle ultime possibilità per salvare un dente
affetto da un’infezione apicale.
L’intervento di apicectomia consiste in una vera e
propria pulizia chirurgica, con amputazione della parte
terminale del dente (non obbligatoria) per ottenere la massima
rimozione possibile dei batteri presenti.
Nel maggior numero dei casi, questa operazione viene
fatta su denti precedentemente devitalizzati.
Alla fine dell’intervento si chiude il canale dentale con
appositi materiali, atti ad una perfetta sigillatura del canale
radicolare.
Sensibilizzare sempre il paziente che si tratta di un intervento chirurgico supportato da
molta letteratura e che rappresenta una delle ultime
possibilità di recupero di quell’elemento.
Va infatti sempre preferita, quando è possibile, la via
ortograda.
La via retrograda va intrapresa come ultima risorsa di
recupero o, in alcuni casi particolarmente complessi, come
arma di riserva per completare la terapia ortograda.
Il consiglio è quindi, nei casi complessi, di spiegare
con chiarezza al paziente che il recupero di un elemento
tanto compromesso può rendere necessario un doppio intervento sullo stesso, sfruttando al
massimo le performance ottenibili, sia dalla via anterograda che da quella retrograda.
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AVULSIONE DEL TERZO MOLARE
Il terzo molare, specialmente se mal posizionato, può essere responsabile di quadri
complessi che vanno da semplici infiammazioni locali ad altre patologie come: l’erosione del dente
vicino, disturbi di masticazione, d’occlusione ed altre patologie
con sintomi vaghi e saltuari, spesso capricciosi e di non facile
diagnosi.
Per questo ed altri
motivi, si ricorre alla sua
asportazione.
Tale
intervento
comporta l’esecuzione di un
taglio gengivale per scoprire
l’osso sottostante (lembo) e,
spesso, la separazione dell’elemento per facilitarne l’estrazione.
Dopo di che, si riposiziona il lembo con la sutura chirurgica.
Anche se l’argomento è delicato, non ci si deve esimere dall’informare il paziente sul rischio
di lesione del nervo alveolare in caso di interventi complessi sulla mandibola.
Essere chiari e sereni nell’enunciare la cosa è molto meglio che prenderla alla larga.
TERAPIA CONSERVATIVA DELLA CARIE
La carie può svilupparsi su differenti superfici del dente e viene, infatti, classificata in base
alla sua localizzazione.
La terapia consiste nell’asportazione della parte malata
creando una cavità, perfettamente detersa, da riempire
successivamente con un idoneo materiale. L’impiego della dia
di gomma è indispensabile per ottenere un ambiente idoneo nel
quale eseguire il restauro. Vi sono rari casi in cui il paziente è
infastidito dalla diga, e si
tratta molto spesso di uno
stato ansioso facilmente dominabile, specie se si ricorda al
paziente che con tale presidio non corre il rischio di ingoiare
corpi estranei.
La metodica più diffusa è rappresentata dall’impiego di
strumenti rotanti (turbine e micromotori), anche se esistono tecniche alternative, come il getto ad
alta velocità di particelle microscopiche, l’impiego del laser odontoiatrico, e la lisi chimica delle parti
interessate.
Il fine resta in ogni caso lo stesso, ovvero,
l’asportazione meccanica, luminosa o chimica, della parte
malata.
La ricostruzione della parte mancante del dente è
realizzata mediante impiego di materiali appositi, al fine di
ricostruire l’anatomia precedente. Lo spettro merceologico è oggi veramente vasto (amalgama,
intarsi diretti ed indiretti, in resina o ceramica, ecc).
Sta al professionista optare per la scelta più corretta dei materiali per una riabilitazione che
porti al miglior ripristino estetico-funzionale.
CORONA SINGOLA
Quando un dente risulta molto danneggiato da una
patologia cariosa o da un trauma, è indispensabile ricoprirlo
totalmente con una corona.
Questo intervento diviene improrogabile quando un
elemento sopporta un’otturazione così vasta da comportare il
rischio di frattura. Particolarmente sensibili a tale eventualità sono i
premolari e molari con estese ricostruzioni di tipo mesio-occlusodistali (M.O.D.).
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Ricorrere prontamente o preventivamente al totale rivestimento cuspidale con una corona
salva, nella maggioranza dei casi, il destino del dente. Di fronte a questi termini, anche il paziente
solitamente più reticente comprende la necessità di tale procedura terapeutica.
DEVITALIZZAZIONE O TERAPIA CANALARE
In questo atto terapeutico, ricerca clinica e letteratura danno per scontato l’impiego della
diga di gomma, dell’ipoclorito (possibilmente al 5% e riscaldato) e
di una radiologia altamente diagnostica.
Con tale premessa si può descrivere un corretto atto
terapeutico. Infatti, quando la carie è così profonda da entrare in
contatto con il nervo, è necessario ricorrere alla sua asportazione –
devitalizzazione onde evitare dolorose conseguenze e
complicanze che possono portare,
nei casi più gravi, alla perdita
dell’elemento. All’interno di ogni dente sono presenti uno o più
canali contenenti le terminazioni nervose responsabili delle note
sensazioni di caldo e freddo e relativi dolori. Con appositi
strumenti, tali terminazioni vengono asportate dai canali e
successivamente con particolari alesatori si da agli stessi una
forma più conica possibile per agevolarne il riempimento.
Quando la cavità è perfettamente pulita si ottura
tridimensionalmente con un apposito materiale derivato dal caucciù, creando una valida barriera ai
batteri. La ricostruzione di un elemento devitalizzato dipende, in massima parte, dalla percentuale
di dente sano rimasto, anche se si consiglia di ricoprire sempre con una corona il dente trattato
endodonticamente.
Può accadere che, considerato il residuo di sostanza, si valuti come accettabile il rischio di
frattura e si proceda con una semplice otturazione intercettava.
Nel caso in cui la percentuale di dente residuo sia
veramente modesta, con scarso sostegno smalto-dentinale, si può
sfruttando i canale precedentemente devitalizzato, ricorrere ad un
perno utilizzato come struttura di sostegno, per procedere
successivamente ad una ricopertura con una corona.
Si ritiene che in questo capitolo sia doverosa una breve
considerazione sulla diga di gomma, usata da tutti ma acquisita da
pochi.
Di fatto non esiste paziente che non si riesca a motivare: i casi di non accettazione di
questo indispensabile presidio sono sinceramente molto rari. In ogni caso, illustrata la sua assoluta
indispensabilità anche il paziente si convincerà all’impiego, non solo, ma
quei pochi reticenti, diventeranno, dopo poche sedute con campo isolato,
dei veri e propri partigiani.
Per chi si occupa principalmente di endodonzia è veramente difficile
pensare di compiere un tale atto terapeutico senza l’isolamento del campo.
Purtroppo avviene la stessa cosa per chi non è abituato al suo uso e crede
impensabile riuscire ad impiegarla in modo sistematico.
Non esiste una ricetta sicura per vincere l’inerzia mentale
all’impiego, se non fare leva sugli indiscussi vantaggi e sulla discriminante culturale per chi si
arroga raffinata qualità odontoiatrica senza l’isolamento del campo operatorio, cosa
universalmente riconosciuta come un binomio impossibile.
RITRATTAMENTO CANALARE
Un discorso a parte meritano i trattamenti canalare, ovvero la necessità di rifare una
devitalizzazione procedente.
Quando, per diversi motivi, una terapia canalare risulta in qualche modo contaminata da
batteri compare, nella zona apicale del dente, un alone di differente densità, facilmente
individuabile con un radiografia.
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Si ricorre al ritrattamento, anche senza evidenza radiologica di lesione, quando è
necessaria una nuova protesizzazione di un elemento trattato da tempo. Radiografia che si
consiglia sempre di spiegare al paziente.
In questi casi è opportuno privilegiare, quando possibile, la via ortograda, cioè una nuova
terapia,
percorrendo
la direzione corono-apicale,
sostituendo
completamente il vecchio materiale presente nel canale.
Nei casi più complessi può diventare indispensabile ricorrere ai
sistemi ingranditori (microscopio endodontico, lenti, telecamere macro)
che permettono di risolvere ritrattamento altrimenti difficilmente realizzabili.
Se la via ortograda risultasse impraticabile, una delle ultime possibilità per
il recupero dell’elemento è rappresentata dalla terapia endodontica per via
retrograda (micro chirurgia endodontica).
FACCETTE O VENEERING
Se un dente presenta dei difetti senza avere una struttura particolarmente compromessa,
una faccetta vestibolare è in grado di risolvere i problemi d’estetica
senza ricorrere ad una corona completa. Vi è anche un grosso
vantaggio in termini di “prezzo biologico”: infatti, la terapia, in questo
caso, è sicuramente più rispettosa nei confronti dei tessuti smaltodentinali residui.
La faccetta è un manufatto di
spessore molto modesto, che può
essere
utile
paragonare
nella
descrizione ad un’unghia, che viene
applicata sopra il dente, sulla superficie preventivamente pulita e
preparata, grazie alle tecniche di odontoiatria adesiva.
È un intervento superficiale con il quale si ottiene un risultato estetico di ottima qualità.
IMPIANTO SINGOLO
Per rimpiazzare un elemento mancante senza intervenire su quelli vicini con l’applicazione
di un ponte tradizionale, si ricorre sempre più frequentemente all’impianto dentale.
Esso consiste in due parti: una vite che viene
chirurgicamente inserita nell’osso ed il palastro che crea la
connessione fra la vite e la corona protesica.
Dopo aver praticato, con appositi strumenti, un foro
nell’osso, l’impianto è inserito avvitandolo sino ad ottenere una
notevole stabilità: questo è un presupposto da ricercare tutte le
volte che sia tecnicamente possibile.
Dopo un periodo di osteo-integrazione, che varia da due
a sei mesi, a seconda di vari
fattori, fra cui la zona d’inserzione, il tipo di impianto, la qualità
dell’osso stesso, ecc, l’impianto diviene praticamente parte
integrante dell’osso stesso.
A questo punto viene avvitato il pilastro per
l’applicazione del supporto protesico.
Negli ultimi anni la ricerca ha dato nuovi impulsi al
mercato offrendo l’opportunità di impiegare impianti
appositamente studiati per ridurre i tempi di protesizzazione.
Si tratta dei post-estrattivi immediati, in grado di essere inseriti, subito dopo l’estrazione,
nell’alveo disabitato (vantaggiosi nel gruppo frontale).
La loro particolare conformazione, permette di ottenere una buona stabilità primaria così da
supportare un provvisorio immediato evitando i lunghi tempi di attesa.
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IMPIANTI PER TOTALE
(OVERDENTURE AD ANCORAGGIO IMPLANTARE)
Questi impianti sono molto utilizzati nei casi di edentulia (mancanza parziale o totale di
denti) per aumentare la stabilità delle protesi totali.
In una mandibola priva di denti si possono inserire due impianti
nella posizione dei canini, o in altra idonea.
Trascorso il tempo necessario per l’osteo-integrazione, sugli
impianti vengono fissati degli appositi bottoni
(come gli automatici degli abiti) che,
incastrandosi nelle femmine degli attacchi
inseriti nella protesi mobile, ne consentiranno una maggiore stabilità.
Attualmente, la percentuale di successo di questi impianti è
molto alta, come sottolineato dalla recente letteratura, anche grazie alla
semplificazione delle fasi d’intervento per il loro posizionamento.
Ovviamente, i casi devono essere selezionati dal dentista che deve accertarsi dei
presupposti adatti per un buon fine del lavoro: l’età del paziente, l’assenza di gravi malattie, la
presenza della necessaria quantità d’osso ed altri requisiti.
INTARSIO
L’intarsio è una forma di restauro che prevede, dopo l’asportazione della parte malata a
mezzo di strumenti rotanti, la chiusura della cavità con materiale
modellato su misura in laboratorio.
Negli anni passati l’intarsio
era quasi sempre di materiale
aureo. La richiesta dei pazienti e la
ricerca hanno portato oggi ad
avere materiali alternativi all’oro,
come le ceramiche di sintesi e le resine.
L’intarsio, cementato sul dente, garantisce, in casi selezionati dal dentista, una maggiore
resistenza e durata nel tempo rispetto alle normali ricostruzioni con resine composite o amalgama.
LEMBO MUCOSO
Il lembo è il sollevamento del tessuto mucoso che consente di vedere al disotto la
situazione ossea e dentale. Viene praticato per diversi scopi
terapeutici fra i quali: la pulizia dell’osso intaccato da batteri, nel
caso di malattia parodontale profonda, ed in tutti i tipi di chirurgia
atti al raggiungimento dell’osso
(impiantologia, chirurgia endodontica, asportazione di cisti, ecc).
Con un apposito strumento,
si discosta la parte malata dall’osso e, al pulizia avvenuta, il lembo
viene fermato con i punti di sutura.
In tutti questi interventi è vantaggioso dare al paziente un
modulo prestampato su tutto ciò che potrà e non potrà fare nel corso del decorso post-operatorio.
LEMBO CON MEMBRANA OSTE-INDUCENTE
L’utilizzo della membrana oste-inducente è
indicato quando necessita una maggiore presenza
d’osso in un determinato settore della bocca.
La membrana, posta dopo aver praticato un
lembo nella zona interessata, resta sospesa sull’osso,
per mezzo di un’armatura metallica, come un tendone
da circo.
Grazie alla sua proprietà di permeabilità
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selettiva, lascia passare un certo tipo di cellule che consentono nel tempo la crescita dell’osso
sottostante fino al punto più alto del “tendone da circo”.
Secondo altri ricercatori, è invece in grado di proteggere al meglio la zona interessata
creando le condizioni più favorevoli per la ricrescita di osso. Ottenuta tale crescita, la membrana
viene rimossa.
Da qualche anno sono disponibili anche le membrane con analoga funzione, ma
riassorbibili.
Queste ultime evitano così la riapertura, ovvero il re-intervento di rimozione: con il tempo la
ricerca ci dirà se la loro efficacia è uguale alle membrane non riassorbibili ma resta comunque il
grosso vantaggio clinico del non rientro chirurgico.
PONTE
Il ponte, come dice il nome stesso, è una struttura che si estende su due sponde.
I denti che devono accoglierlo – chiamati pilastri – vengono
monoconizzati, cioè ridotti di volume in tutta la loro circonferenza, in
modo da poter accogliere la travata metallica che supporterà il ponte
stesso.
A seconda del loro stato e/o della loro forma si deve, in alcuni
casi, ricorrere al trattamento canalare per poterli protesizzare.
Le caratteristiche dei materiali impiegati garantiscono un
ottimo risultato estetico e funzionale.
Le regole di protesizzazione sono assai complesse e non
vanno assolutamente trascurate: ogni caso andrà valutato dal
professionista al fine di garantire un risultato costante nel tempo.
In proposito, non dimentichiamo di precisare che ogni tipo di
riabilitazione protesica “fissa” sia su pilastri naturali che supportata
da impianti, comporterà una “manutenzione” e “cura” su cui è
fondamentale sensibilizzare il paziente.
Ovvero, si fornisca il “libretto di istruzioni e d’uso”: un elenco di alimenti da evitare che
sottoporrebbero la riabilitazione ad uno sforzo bio-meccanico inutile.
Quindi, come non ci stupiamo che il collega ortopedico raccomandi prudenza assoluta al
paziente operato di protesi all’anca, altrettanto deve fare il dentista.
PROTESI MOBILE TOTALE
Nei pazienti privi di denti, o con denti tanto compromessi
da non poter essere impiegati come supporti, si ricorre alla
protesi totale.
È un manufatto resinoso, realizzato seguendo al meglio
l’anatomia boccale del paziente, sul quale sono stati montati
degli elementi finti rassomiglianti il più possibile a quelli della
dentatura originale.
Si cerca sempre di non modificare né la linea del sorriso
ne le pieghe fisionomiche del paziente per non alterare il suo
aspetto. La componente fisionomica è spesso l’arma vincente
per la soddisfazione del professionista e, soprattutto, del
paziente che se soddisfatto del risultato estetico è più propenso
ad una accettazione psicologia.
Si ricordi al paziente che tale manufatto necessiterà di
una sorta di manutenzione (ribasatura) e che all’inizio potranno
essere necessari piccoli ritocchi.
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RICOSTRUZIONE CON PERNO
Quando la carie è molto estesa, si è costretti ad un’asportazione cospicua di parte malata,
cosicché il dente residuo diviene particolarmente debole e quindi
inadatto ad una normale otturazione.
Per ridare la corretta funzione e la naturale estetica ad un
elemento tanto compromesso, esso deve essere ricoperto con
una corona in oro, ceramica o altro materiale.
Per fare questo, è necessaria una ricostruzione di quanto
è residuato dell’anatomia del dente. Ciò richiede una fase
preparatoria: ovvero il trattamento endodontico atto ad ottenere
un canale idoneo per l’inserimento di un perno in fibra di
carbonio, o di altro materiale idoneo.
Questo consente di creare una struttura che funga
da impalcatura al materiale da restauro. Ottenuto un
moncone si può procedere alla realizzazione, previe
impronte di precisione, di un manufatto protesico,
realizzato dal laboratorio odontotecnico.
Per quanto riguarda l’impiego di un materiale
piuttosto che un altro, si sottolinea che la ricerca
scientifica, universalmente accettata, si orienta su
materiali con caratteristiche meccaniche simili alla
dentina. Questo per garantire una realizzazione dell’unità
ricostruita il più simile possibile al complesso lavoro fatto da “madre natura”.
SCHELETRATO CON ATTACCHI
La protesi scheletrata è utilizzata quando l’area priva di denti
è estesa e non è possibile, per svariati motivi anatomici e dei tessuti
circostanti, ricorrere ad una protesi fissa.
Oppure in altri casi come riabilitazione temporanea, in attesa
di soluzioni di tipo fisso.
Ed in altri ancora, quando le possibilità economiche del
paziente entrano d’ufficio in un’odontoiatria sociale, che è sempre
bene considerare.
L’apparecchio viene costruito dall’odontotecnico su un
modello di gesso ricavato dall’impronta orale del paziente.
Esso è costituito da un’anima di metallo molto resistente e
da una parte in resina di colore simile a quello della gengiva, sulla
quale sono fissati i denti finti.
Sul primo dente dello scheletrato viene inserito un supporto
ad incastro destinato ad attaccarsi in bocca con il dente pilastro,
portatore dell’attacco ricevente. Normalmente viene costruita una
corona apposita con l’attacco già saldato.
SCHELETRATO CON GANCI
La protesi scheletrata con ganci è
utilizzata nei medesimi
casi in cui è impiegato
lo
scheletrato
con
attacco, ed anche la
sua realizzazione è
uguale, salvo che per il
sistema di ancoraggio
in bocca.
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Infatti la protesi è ancorata ai denti residui a mezzo di ganci integrati nella sua stessa
struttura.
Ovviamente si impiega in quei casi in cui un gancio è occultabile in una zona che non viene
interessata dalla linea del sorriso del paziente.
In casi selezionati può essere una valida alternativa, per tempi e costi, nei confronti di
riabilitazioni assai più complesse.
IMPIANTO OMOLOGO DI OSSO
Con questa definizione si intende un atto terapeutico che
ripristina l’osso che è stato danneggiato o perso a seguito di
insulti patogeni.
Poiché l’osso è il supporto della dentatura, un suo
degrado od una sua riduzione compromette inevitabilmente la
stabilità dei denti e, talvolta, rende impossibile il rimpiazzo di
denti persi.
In questo caso, l’unica soluzione è il trapianto di osso
omologo, consistente in un prelievo da un punto intraorale od
extraorale del paziente stesso, della quantità di osso necessaria
per posizionarlo nella zona vuota.
Il sito donatore intraorale è solitamente la zona sinfisiaria
del mento, lo spazio retromolare, o la branca montante della
mandibola. I prelievi extraorali, solitamente spina iliaca e tibia,
richiedono una struttura protetta, mentre quelli intraorali sono
effettuati nello studio dentistico stesso.
Nei casi meno gravi, si ricorre spesso all’impiego di osso
totalmente o parzialmente sintetico in grado di fungere da
riempitivo, ricordando però che dalle valutazioni istologiche risulta
assai diverso rispetto all’osso omologo.
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