Il lavoro al tempo dello spr€ad Proposte da una Calabria che vuol cambiare Pedace, 20 maggio 2012 Buon compleanno Statuto! Si dice che gli italiani dimenticano in fretta. In parte è vero, in parte no. Si dice che la globalizzazione insiste su nuovi modelli di sviluppo, dedicandosi quasi per “costrizione “del mercato, al detrimento dei diritti della persona. Quasi a dire che ciò che conta è solo l’interesse dell’impresa. Molti detentori del capitale dimenticano che dietro una prestazione di lavoro sta un uomo, una sua dignità ed una sua libertà. Molti dimenticano troppo spesso, e tra le tante dimenticanze omettono di ricordare che lo Statuto dei lavoratori non è solo articolo 18 ma anche sede presso cui si parla del valore del lavoro, indipendentemente da qualsiasi requisito dimensionale dell’impresa in cui si opera. Noi non vogliamo dimenticare che l’Italia, la costituzione ce lo ricorda nel suo incipit, è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Indice Costituzione Prefazione S.O.S lavoro in Calabria: Salute – Organizzazione – Sicurezza nel mercato del lavoro in Calabria Parte I Il contesto di riferimento - Il Lavoro a Calopezzati per gli adolescenti nella stagione estiva - Precarietà di senso Parte II Parte III Post-fazione Articolo 1 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Articolo 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Articolo 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Articolo 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Articolo 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Articolo 10 L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici. Articolo 18 I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Articolo 32 La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Articolo 35 La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero. Articolo 36 Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. Articolo 37 La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione. Articolo 38 Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera. Articolo 39 L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Articolo 40 Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano. Articolo 41 L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Articolo 45 La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato. Articolo 46 Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende. PREFAZIONE ANNA ROTA S.O.S. LAVORO IN CALABRIA: SALUTE – ORGANIZZAZIONE – SICUREZZA NEL MERCATO DEL LAVORO IN CALABRIA Premessa Se qualcuno consentisse una banalizzazione della solenne carta costituzionale italiana lascerebbe dire che l’articolo uno della citata Carta sarebbe più conforme a realtà se enunciasse “L’Italia è una Repubblica democratica affondata sul lavoro”. Se invece la banalizzazione di una Carta scritta dagli uomini della Resistenza fosse mal digerita, sarebbe più opportuno sostenere che oggi la realtà delle cose registra, con maggiore insistenza rispetto al passato, la mancanza di effettività della Costituzione. Tale enunciato troverebbe ancor più conferma in un tessuto dai contorni drammatici e scuri come quello della regione Calabria. La mancata attuazione della Carta costituzionale si rintraccerebbe in più parti. È noto ai più che manca una tutela del lavoro, sia dal punto di vista qualitativo, sia dal punto di vista quantitativo. È di tutta evidenza poi che il legislatore non è di grande ausilio per l’affermazione del lavoro dei giovani e delle donne e di tutte le fasce svantaggiate rispetto al momento dell’inserimento/reinserimento nel mercato del lavoro. Si fa ancor più drammatico lo scenario quando il lavoro lo si guarda nel suo rapporto con la norma di legge. Lavoro e non lavoro: il dramma di una regione “sommersa” Dai dati facilmente reperibili è agevole tratteggiare una Regione: con il più alto tasso di disoccupazione giovanile e femminile; con la maggiore frequenza di lavoro irregolare e di soggezione al giogo del caporalato (su cui approfonditamente, A. LAISE), nonostante per tale forma di sfruttamento sia intervenuto apposita legislazione penale; con il numero più alto di lavoratori infortunatasi, malauguratamente (!) al primo giorno di lavoro (cfr. in proposito, diffusamente, A. ROTA). Tanti dati negativi ai quali tuttavia non fanno seguito politiche aggressive che intervengano a diminuire il divario occupazionale, che prevarichino sul dominio del “padrone” di turno che ricorre a reperire manodopera a prezzi che definire modesti è un eufemismo (!), che autorizzino maggiori controlli degli organi di vigilanza nel caso di violazioni di legge in materia di sicurezza e prevenzione negli ambienti di lavoro. È sotto gli occhi di tutti che un fratello rumeno venga pagato quattro soldi al termine di una giornata di lavoro manuale svolto sotto il sole cocente di una località di mare; che una madre di famiglia, alla richiesta della malattia bimbo, venga “pregiata” (ammesso che il datore non avesse provveduto al momento della comunicazione dello stato di gravidanza) delle dimissioni in bianco che le erano state fatte debitamente firmare al momento della conclusione del contratto di lavoro; che un giovane laureato si sottoponga nella migliore delle ipotesi ad uno stage privo di alcun compenso spese ovviamente o a entrare, perché altro non passa il convento, nella selva dei call center pur di non migrare in posti del Nord dove il reperimento di manodopera e professionalità dà dimostrazione di riconoscere maggiori chances; che lavoratori di cooperativa sociale, in realtà, devino, per fattori esterni di varia natura, il loro apporto alla società rispetto allo scopo mutualistico riconosciuto dalla Costituzione. Le coordinate di riferimento del sistema regionale invero si predispongono in un sistema di riferimento assai più complesso. Di ciò v’è traccia nel crescente proliferarsi delle forme di lavoro sommerso. Tutti le vedono ma nessuno, che ha il potere di intervenire, si attiva per mettere un freno a un fenomeno che produce più danno di quanto si pensi. Si richiamino all’uopo alcuni esempi. Quanti bagnini di salvataggio offrono la loro attività in cambio di un compenso (v. in proposito, M. RIBERI)? Quanti parrucchieri di saloni di grandi centri urbani non hanno un contratto di lavoro? Quanti braccianti raccolgono arance senza garanzia di vedersi pagare ferie e malattia perché la loro raccolta sostituisce quella dei tanti braccianti fasulli percepenti l’indennità di disoccupazione agricola pur senza aver mai messo piede in un campo agricolo? Quante segretari di studi professionali percepiscono una busta paga leggera a fronte della pattuizione di un part-time che invece nei fatti si estrinseca più nella forma del tempo pieno e dello straordinario, a richiesta, non preavvisato? Il quadro disegnato sembrerebbe frutto del lavoro di un dilettante! E in tutto questo, dove sta lo Stato? Il silenzio delle istituzioni e degli organi preposti a vigilare sulla sicurezza del (e nel) lavoro è assordante. Il lavoro si brucia, perde forma e sostanza: confonde diritto con elargizione, retribuzione con privilegio, etc… A proposito di sicurezza del lavoro: effetti della precarietà È ormai noto ai più che le nuove strutture della normativa in ambito di forme di lavoro impediscono di creare un progetto di vita, di accendere un mutuo, di progettare un figlio. Tutto passa sotto la lente economica (sul rapporto economia – diritto del lavoro, L. GUARAGNA). Come si fa a ipotizzare un futuro se i contratti si misurano in giorni, o al massimo mesi? E soprattutto, come si chiede di pensare positivo se la maggior parte dei contratti stipulati in Calabria, dati alla mano lo evidenziano, utilizzano la forma del co.co.pro? Ecco dunque tratteggiato il secondo dei mali del mercato del lavoro regionale. Alla “beffa” di un mercato del lavoro governato da un potere forte datoriale spesso misto a collegamenti ndranghetistici, si associa dell’altro. In Calabria s’investe poco. E ciò deriva dal fatto che lo Stato in Calabria non ci vuol mettere piede o se lo fa si serve di braccia che più del loro tornaconto e della propria “clientela” non si muovono. Il ponte Università – aziende manca (così, M. VERCILLO): dati alla mano dicono che gli ingegneri laureati nelle sedi del sapere calabrese scappano in luoghi dove le aziende valorizzano il sapere e pagano attenendosi ai contratti collettivi; ricerche evidenziano che il mercato del lavoro funziona male quando si tratta di mettere in relazione domanda ed offerta: sarà inadeguato forse il personale del centro per l’impiego? O più semplicemente, il problema è da relegare alla mancata conoscenza delle professionalità disponibili a essere occupate nel settore privato? Sarà forse che da noi il divario digitale è forse più marcato che in altri territori (su cui, F. PUGLIESE? Sarà che siamo ancora immaturi rispetto alla comprensione del fatto che il nostro paesaggio potrebbe rappresentare il primo importante motore di sviluppo occupazionale? Sarà ma ad oggi ci affascina ancora troppo l’idea di far economia rispetto a quanto sarebbe a noi spettante dal Fondo sociale europeo! Alla faccia di quanti ci definiscono parassiti, noi siamo la culla della generosità verso il prossimo al punto che i fondi a nostro favore li rispediamo al mittente! Definire da cosa dipenda il problema è alquanto complesso. Non altrettanto oscuro resta un dato. In mancanza di comportamenti proattivi rispetto all’inserimento nel mercato del lavoro, la precarietà e la duratura persistenza dello stato d’inoccupazione/disoccupazione provocano picchi di disagio psicologico così preoccupanti da portare a gesti inconsueti e tragici come quello compiuto poco tempo fa, nella provincia cosentina, da un agente di commercio inattivo da due anni e da una laureata in Ingegneria, madre di una bimba di due anni rifiutata dal mercato del lavoro locale. Muoiono uomini e donne che hanno studiato per disegnare una propria vita, dicono basta alla vita papà e mamme di anime innocenti che un giorno comprenderanno quanto scrivere leggi “cattive” o non intercettare i giusti ammortizzatori sociali per sopravvivere nel momento di inattività possa essere stato pericoloso. Siamo la generazione degli ammalati professionalmente di stress lavoro correlato (in tema, B. FRASCA)? Si sa, le malattie professionali si manifestano molti anni dopo dalla contrazione della patologia. Forse, allora, anche per i “dimenticati dalle tutele” arriverà un briciolo di giustizia… Forse… ammesso che ancora l’Inail e l’art. 38 cost. non siano stati definitivamente spazzati via da riforme avanzate in nome della ingiustizia sociale… (!) Benvenuti in un viaggio fatto di tante stazioni intermedie. A voi la proposta di seguirci in un itinerario che, in 7 fermate, punterà a svelare inganni, promesse non mantenute, fatti nascosti e soprattutto proposte. Fto esistenze resistenti PARTE PRIMA Il lavoro a Calopezzati per gli adolescenti nella stagione estiva Nel Paese in cui vivo, il problema della disoccupazione è endemico. Calopezzati è un piccolo paese che non offre grandi opportunità di lavoro, poiché non ospita uffici e non ha grandi imprese che necessitano di risorse umane, a qualunque livello. Nel primo dopoguerra, si è assistito ad un forte fenomeno di emigrazione verso il Nord Italia, Germania, Canada,Stati Uniti,America del Sud che ha spopolato il Paese. La gente che ha scelto di vivere qui,ha affrontato grandi sacrifici per riuscire a sopravvivere,adattandosi ai lavori più disperati. La maggior parte di queste persone si doveeva dedicare per forza di cose all’agricoltura. La generazione degli Anni 60/70,si adattava a lavori occasionali: cuochi, assistenti tali e camerieri, prevalentemente durante le stagioni estive. Da allora, le cose non sono cambiate di molto. I loro figli, ancora oggi, seguono le orme dei propri padri: una sorta di maledizione ereditata: questi ragazzi,nei periodi circoscritti dell'afflusso turistico che va comunque riducendosi anno dopo anno,cercano lavoro nelle strutture turistico ricettive e nei ristoranti esistenti in Paese. Basta parlare con qualcuno di loro per capire come funziona il lavoro a Calopezzati. L’orario di lavoro è, nella maggioranza dei casi, indegno: dalle 6 del pomeriggio fino a mezzanotte l’una. Per quanto riguarda lo ‘stipendio’,occorre accordarsi con il datore di lavoro,che a seconda del tipo di attività stabilisce un compenso che è sempre iniquo. C’è da dire, poi, che questi sono tutti lavori in nero,e che i datori di lavoro,approfittano della loro situazione economica per farli lavorare più del dovuto (straordinari sempre con paghe inadeguate). Credo che occorra una serie di riforme, che favoriscano lo sviluppo imprenditoriale,che apportino capitali di investimento che portino alla nascita di imprese,industrie in modo da occupare i giovani allontanandoli dalla delinquenza e soprattutto restituire loro una dignità di persone e di lavoratori che oggi appaiono ancora come un miraggio; credo che occorra la consapevolezza di una lotta politica civile, ma serrata. Diversamente il problema rischia di trasformarsi in tragedia… MARIO RIBERI (SEL CALOPEZZATI) [email protected] PRECARIETÀ DI SENSO “Provavo sempre una sorta di ebbrezza quando spiegavo ai miei studenti che le teorie economiche erano in grado di fornire risposte a problemi economici di ogni tipo. Ero rapito dalla bellezza e dall’eleganza di queste teorie. Poi tutto ad un tratto, cominciavo ad avvertire un senso di vuoto. A cosa servivano tutte quelle belle teorie se la gente moriva di fame sotto i portici e lungo i marciapiedi?” Muhammad Yunus, economista premio Nobel per la Pace 2006 La società post-moderna si caratterizza per uno spostamento radicale di interesse dal “Sé reale” al “Sé ideale” (quello dei mass media, quello delle nostre illusorie aspettative, quello proiettato da genitori insoddisfatti con voglia di riscatto sui figli, ecc. ecc.), portando alla luce quello che Alexander Lowen (1985) e moltissimi altri autori definiscono “una società narcisista”. Secondo Lowen (1995), il narcisismo culturale identifica erroneamente l’autorealizzazione con il successo. Egli scrive: “In una società come quella contemporanea, sempre più caratterizzata dalla manipolazione perpetrata dai media, dalla spettacolarizzazione delle immagini e nella quale valori come la dignità e il rispetto hanno lasciato lo spazio alla lotta per il successo e il potere, il narcisista si trova bene perché vive lo spettacolo di sé stesso proiettato a sé stesso. Egli non va oltre le immagini degli altri, il suo è un sapere superficiale, privo di emozioni e sentimenti. Considera la realtà come una estensione di sé, gli altri come uno specchio delle sue esigenze. Vive come una macchina priva di sentimenti e, per questo, spesso ricopre posizioni di tutto rispetto e scala velocemente la salita al successo in un’era dove vige il culto dell’efficienza. L'economia, da mezzo si è tramutata in fine, ma i cambiamenti, il senso della loro presunta razionalità, sfuggono agli stessi protagonisti, i grandi magnati della terra, sempre più simili a giocatori d'azzardo. Una economia “dopata” che ha visto dal 2003 al 2010 crescere l’economia reale del 73% (oggi vale 64.000 miliardi di dollari di prodotto interno lordo) e l’economia finanziaria quasi del triplo (oggi vale 860.000 miliardi di dollari). Il valore dell’import-export mondiale è di 15.000 miliardi di dollari l’anno mentre il solo commercio delle valute con finalità speculative movimenta la stessa quantità di denaro in quattro giorni. In meno di cento ore, i “trafficanti” di valuta spostano 15 trilioni di dollari, cioè il valore complessivo delle merci che tutti i paesi del mondo vendono e acquistano in un anno intero. Secondo Eric Hobsbawm (1999), l’autore de “Il Secolo breve – 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi”, è a metà degli anni ’70 che incomincia “l’Età della frana”, dopo “l’Età dell’Oro” dei trent’anni gloriosi successivi alla guerra, con il crollo degli ideali di pace e solidarietà e l’affermazione dello strapotere del Capitalismo, un sistema che spesso permea e degrada il mondo della tecnica e dell’economia. Anche Lasch (1981) mette in evidenza come dopo le grandi aspettative degli anni ’60 e ’70, negli anni ’80 si è assistito ad un decennio di “aspettative decrescenti”, sfociate in una sorta di depressione negli anni ’90: l’inflazione provocava l’erosione degli investimenti e dei risparmi, il futuro si faceva incerto e minaccioso, e l’unica via di fuga sembrava il divertimento e la “nàrchê” (da qui il termine “narcisismo”): l’addormentamento della coscienza. Nasce il mito del “self-made man”, l’uomo che si realizza da solo, padrone del futuro, il cui unico criterio di autovalutazione è il riuscire a possedere beni di lusso e suscitare l’invidia altrui. Scrive Gilles Lipovetsky (1995), sociologo e filosofo i cui contributi sono diventati cruciali per la lettura di quella post-modernità che egli definisce “Età del vuoto”: “Nella società tutto comincia a essere neutrale e banale. Pare che a questa onda di apatia è sfuggita soltanto la sfera privata. L’uomo si accontenta di curare la propria salute, difendere la propria posizione materiale, liberarsi dai propri “complessi”, aspettare le vacanze. Si può vivere senza ideali e senza i fini trascendentali. […] Vivere per il presente, soltanto per l’oggi, senza riguardi al passato e al futuro. È il “neonarcisismo”, in cui confluiscono tutte le strategie contro il sentimento del vuoto”. Sembra fargli eco Christopher Lasch (1985): “L’emergere del narcisismo significa una perdita di sé stessi, molto più che una forma di auto-affermazione. Implica un’identità minacciata dallo spettro della disintegrazione e da un senso di vuoto interiore. La vita quotidiana ha iniziato a conformarsi alle strategie di sopravvivenza tipicamente necessarie a chi vive situazioni estreme. Apatia selettiva, disimpegno emotivo dagli altri, rinuncia al passato quanto al futuro, determinazione a vivere un giorno per volta. Disimpegno emotivo dagli altri, rinuncia al passato quanto al futuro, determinazione a vivere un giorno per volta, questa l’alchemica diabolica formula che ci ha portati ad accettare placidamente quelle forme di lavoro definite “atipiche” ma ormai sempre più usuali: lavoro part-time, lavoro temporaneo, lavoro a progetto, formazione lavoro, apprendistato, collaborazione occasionale, collaborazione coordinata e continuativa, ecc. Queste tipologie di lavoro, disciplinate dalla legge 14 Febbraio 2003, n ° 30 (Legge Biagi), che nascerebbero in risposta all'esigenza aziendale di assicurare una parziale flessibilità al lavoro e rappresenterebbero un rimedio alla disoccupazione giovanile (il condizionale è più che doveroso), hanno introdotto il concetto di precarietà nella società attuale. I dati Ocse fine 2010 dichiarano che in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è al 27,9%, ben superiore alla media ponderata dell'area Ocse (16,7%). La quota è forte aumento rispetto all'inizio della crisi (2007) quando la disoccupazione giovanile era al 20,3%. Il fallimento dell’introduzione di queste nuove forme di lavoro è testimoniato inoltre dai dati sulla precarietà: in Italia il 46,7% delle persone tra i 15 e i 24 anni che lavorano ha un impiego temporaneo. La percentuale dei giovani precari in Italia, sempre secondo i dati Ocse è in costante aumento dall'inizio della crisi: 42,3% nel 2007, 43,3% nel 2008 e 44,4% nel 2009. Il balzo avanti è ancora più rilevante rispetto al dato del 1994, quando la percentuale di under 25 italiani con un impiego temporaneo era del 16,7%. PRECARIETÀ: DRAMMA ESISTENZIALE Nel titolo dell’intervento ho voluto legare la parola “precarietà” alla parola “senso” proprio per sottolineare come questa condizione, non solo lavorativa ma ormai esistenziale, scende ormai nelle componenti più profonde della natura umana. I lavoratori di oggi sono sempre in “allarme” (ansia), costretti ad inseguire repentini e imprevedibili mutamenti economici, impossibilitati a reggere il ritmo di un gioco a continuo ribasso, angosciati dal futuro e dalla paura del fallimento, senza tempo da dedicare ai figli, senza la possibilità di elaborare una narrazione, personale e lavorativa, che abbia uno sviluppo coerente e consenta loro di costruirsi un'identità coerente con i propri valori e le proprie passioni. Quando la persona è artefice della propria vita può sentirsi soddisfatta, gode di una buona autostima e di un buon senso di autoefficacia, costrutti fondamentali per un reale benessere personale e sociale. La possibilità di costruirsi una storia permette all'individuo di "seguire un filo" e dunque di dare coerenza e continuità alla propria vita, in altre parole, di darle un senso. Purtroppo il concetto attuale di lavoro limita di gran lunga questo processo. I mass media, i nostri politici, i nostri amministratori hanno ben presente il danno che hanno generato ma, come in un circolo vizioso degno delle più croniche coazioni a ripetere psicopatologiche, non fanno altro che negare e per deresponsabilizzarsi mistificano la realtà dando dei bamboccioni e degli sfaticati a coloro che avrebbero dovuto tutelare e servire. Coesione ed equità sociale, tutela dei saperi e delle intelligenze, possibilità di conciliazione tra lavoro e progetti di vita delle persone, passano tutti inesorabilmente in secondo piano : l’imperativo è garantire competitività su scala globale alle imprese attraverso una flessibilità priva di diritti, nell’ illusoria perversa speranza di un ricambio infinito di lavoratori "low-cost". Il dato ormai inconfutabile è la consistente relazione tra lavoro precario e livelli di stress patologici. I dati Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico) di un’indagine condotta nel 2010 evidenziano che: “Su 300 persone tra i 25 e i 55 anni, il 70% ha dichiarato di trovare proprio sul posto di lavoro la maggiore fonte di stress. Di questi, il 60% teme i colleghi mentre il 40% si dice completamente assoggettato al capo per paura di essere licenziato. L’aria che si respira in ogni luogo di lavoro è totalmente artefatta e altamente conflittuale. La paura di perdere il posto dà luogo a dinamiche fortemente competitive, con richieste di prestazioni dei dipendenti da parte dei datori di lavoro che difficilmente possono essere disattese dai lavoratori terrorizzati di perdere la loro fonte di sopravvivenza”. Le risposte allo stress nel breve termine possono essere emotive (ansia, tensione, insoddisfazione), fisiologiche (frequenza cardiaca elevata, aumento della secrezione di catecolamine) e comportamentali (uso di droghe, comportamenti antisociali, assenteismo, ecc.) mentre, più lungo termine, l'accumulo di queste risposte può avere conseguenze negative e più permanenti per la salute mentale e fisica. In alcuni casi, tali condizioni di disagio possono sfociare in vere e proprie patologie: disturbi d’ansia, attacchi di panico, depressione. Nell'articolo "The social and economic burden of social anxiety disorder" 5 September 2003 di Antonio E. Nardi si evidenzia che c'è un'alta percentuale di persone con difficoltà lavorative che mostrano disturbi di ansia e evidenzia come negli USA più del 70 % dei disturbi d'ansia sono correlati al gruppo di persone appartenenti alla fascia economica più bassa. Una ricerca dal titolo “Risultati di un’inchiesta sulla salute mentale:un focus sulla depressione” evidenzia la correlazione fra la precarietà del lavoro e la depressione. La ricerca dimostra come: "..l'analisi congiunta delle risposte relative alle situazioni a rischio e ai sistemi di protezione sociale dei vari Paesi consente di definire alcune strutture latenti del profilo sociale all'interno del quale origina e si alimenta la psicopatologia depressiva.” Il sistema del precariato pone l’individuo nella condizione di dover accettare lavori che nulla hanno a che vedere con il suo percorso di studi, con le sue aspirazioni; in questi casi, alle difficoltà economiche procurate da retribuzioni insufficienti si aggiunge la complessa gestione emotiva di una rappresentazione di sé che modifica i termini con cui il soggetto si percepisce. Nell’esperienza clinica risultano evidentissime le ferite che il paziente coinvolto nelle dinamiche del precariato subisce all’immagine di sé, piegata dall’impossibilità di costruire una propria posizione autonoma nel mondo; sono conseguenza di ciò un forte senso di inutilità, demotivazione a riprendere in mano la propria vita, uno stile di pensiero e di conoscenza che rifiuta l’esplorazione considerandola infruttuosa e illusoria, forte senso di inadeguatezza, ritiro sociale e affettivo. Quest’ultimo spesso causa di disturbi nella sfera sessuale, che a loro volta provocano ulteriori ferite alla già precaria immagine di sé, in una spirale disfunzionale che rende la persona prigioniera di un incubo. E quando dalla precarietà si passa alla disoccupazione, soprattutto in età avanzata quando già gli esigui spazi lavorativi sono diventati chimere, quando lo spettro della miseria viene a bussare non solo alle porte dell’individuo ma dell’intero sistema familiare, il senso di inadeguatezza si trasforma in angoscia e senso di colpa intollerabile; da qui il passo verso gesti estremi diventa davvero insignificante: tra il 2011 e il 2012, 393 suicidi tra i disoccupati e 321 suicidi tra imprenditori e lavoratori dipendenti in bancarotta. I Programmi di intervento progettati per i lavoratori licenziati o disoccupati risultano ormai inadeguati ad affrontare la grave emorragia di posti di lavoro. La valanga di dati a nostra disposizione urlano affinché ci sia una maggiore attenzione, da parte dei governi e dei sindacati, alla precarietà del lavoro e alle sue conseguenze sulla salute pubblica. Possa la politica ripartire dall’individuo, e l’individuo dalle sue aspirazioni più autentiche. Rimane per ora da lanciare un accorato appello a tutti coloro che vivono queste tremende esperienze legate al mondo del “non-lavoro”: ripensatevi, reinventatevi, riprendete contatto con una narrazione di sé che deve ritrovare e scoprire pagine entusiasmanti di senso. Ritrovate la forza di tirare nuovamente fuori dal cassetto il ritratto dei vostri sogni migliori. BIAGIO FRASCA SEL CORIGLIANO [email protected] Hanno collaborato alla realizzazione del volume: Angelo Broccolo (SEL CORIGLIANO CALABRO), Gianfranco Castiglia (SEL LUNGRO), Biagio Frasca (SEL CALOPEZZATI), Luigi Guaragna (SEL LUNGRO), Francesco Imbrogno (SEL CASOLE BRUZIO), Alberto Laise (SEL CORIGLIANO CALABRO), Fabio Pugliese (SEL CALOPEZZATI), Mario Riberi (SEL CALOPEZZATI) Anna Rota (SEL PEDACE), Marco Vercillo (SEL CORIGLIANO CALABRO).