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data
23/10/2004
Contesto
ALTRO
Relatore
Contri GB
Liv. revisione
Pubblicazione
Lemmi
Amore
Donna facile
Lavoro
Partnership
Pensiero
Profitto
Sonno
Teoria presupposta
Veglia
Virtù
STUDIUM CARTELLO 2004/05
ASSOCIAZIONE CULTURALE “EDITH STEIN” - RIMINI
GIORNALISMO FREUDIANO OVVERO IL QUOTIDIANO DELLA
POLITICA
23 OTTOBRE 2004
Sfuggire il desiderio: un nuovo comandamento?
Freud, Psicologia della vita amorosa (1910-1917)
GIACOMO B. CONTRI
Provo a dare un titolo a quello che abborraccerò. Un titolo anzi più di uno.
Uno è “sveglia!!!” oppure “La Sveglia” (con lo stato di veglia). È già una parola che si avvicina al titolo
generale di questa serie che è “Giornalismo”. Lo stato di veglia non comporta l’essere sempre svegli, include
il dormire bene. Non è vero che l’insonne è sveglio.
Un altro titolo è “Un quarto d’ora prima” o anche – in onore del mio nuovo amico Fabrice – “Monsieur
de Lapalisse”.
Mi spiegherò subito. Il titolo “la sveglia” mi è venuto accorgendomi che non sono – io personalmente –
ancora sveglio. Non si tratta solo di stanchezza. Non sono ancora sveglio perché questa mattina qualcosa mi
ha depresso, dall’esterno di me.
La mia intenzione oggi era di arrivare al nostro incontro senza avere preparato niente, questo non per
irresponsabilità, ma per il motivo che mi attendevo (anche io ho le mie illusioni, ed infatti era un’illusione) di
arrivare qui e, dato il titolo generale “Giornalismo”, io mi aspettavo di comperare i giornali, sfogliarli e fare
dei commenti a questo e a quello, almeno ai titoli. Appunto lavorare così, mettendo sul tavolo una serie di
prime pagine e fare un salto da qui a lì. Guardate che cosa mi è capitato! – È solo per dire che tante cose sono
fatte solo per addormentarci, appena svegli per ritornare nel sonno. Qualcuno lo chiamava anche il sonno
della ragione. Un titolo, anzi una vignetta di Altan – che pur ho sempre stimato, però delle volte anche lui no
– in cui uno dice all’altro: «Facciamoci valere in Europa» e l’altro: «Mostriamogli come sa scusarsi un
italiano». È deprimente! Non importa che c’entri o non c’entri il nostro Buttiglione, è indifferente. È
puramente deprimente la battuta e lo spirito della battuta. È per ritornare ad addormentarci. È svegliarsi,
diciamo così, col pollice verso. Il giornale, per svegliarci, ci sveglia col pollice verso; sicché ci ricaccia
indietro.
Oppure, articolo a sinistra (di Repubblica - NdT): «Quando il paese si sente povero»; ancora una volta ci
svegliamo col pollice verso. Il primo accento è sulla povertà del paese.
Guardate che non sto facendo apologia di ottimismo; l’ottimismo della volontà, il pessimismo della
ragione, sono sciocchezze, non gioco a questa robaccia.
Poi c’era un altro articolo – credo sul Corriere della Sera – (e poi basta per non deprimere io voi). Un
articolo di Claudio Magris – persona che rispetto e onoro – in cui però dà una notizia, anzi un commento,
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unito alla notizia, che secondo me non è buono. Lui narra del giovane poeta Umberto Saba, che all’inizio ha
scritto una poesia che ha mandato ad un giornale. Questa poesia parla di un soldato che faceva la leva
militare assieme a lui.
Ha, dunque, mandato questa – che è fra le prime delle sue poesie – ad un giornale, e per questa poesia è
stato ricompensato in denaro: 50 lire (non di oggi però, di molto tempo fa, e quindi una discreta ricompensa).
Il compagno di servizio militare – quello su è stata imbastita la poesia – lo viene a sapere e gli va a dire: le
50 lire le hai prese anche per merito mio e dunque me ne dovresti dare una parte. E mi pare che Saba sia
stato d’accordo, hanno fatto “fifty-fifty”. Ecco, io non sono d’accordo! Anche qui c’è qualcosa che non va.
Perché sarebbe stato più che equo se il commilitone, in un modo o nell’altro avesse dato un apporto alla
poesia, se fosse stata una compagnia nella costruzione di quella poesia – ad esempio se Saba gliel’avesse
fatta leggere e quello con i suoi commenti avesse contribuito a migliorare la poesia. Ma al di fuori di una
compagnia che è come questa, non si vede perché spartire il bottino.
Non è una buona notizia – sempre a proposito di giornalismo – che gli abbia dato una parte. È il
compagno quello con cui si condivide la ricchezza – piccola o grande – altrimenti è condiscendenza,
elargizione. Donativo, ma come idea molto equivoca del donativo. Io personalmente non amo i doni, – invito
tutti a stare attenti su questo – e anche se adesso ricevete voi, mi piacerebbe che qualche “donativo”, per
esempio verbale, o qualche contributo, finanziamento verbale fra poco quando chiacchiereremo un po’
arrivasse; non mi piace lavorare da solo.
Allora, io dico che, anche quando siamo in piedi, fisiologicamente vigili, noi dormiamo. Vi do una
caratterizzazione aforistica, ma credo completa del nostro stato di sonno quasi permanente.
È una battuta che è uscita ieri sera e che mi sono subito appuntato: «noi viviamo tra lo studio e lo stadio».
Semmai in seguito allo studio potete aggiungere il lavoro ma così come è fatto ordinariamente nel nostro
mondo in cui i giochi sono già fatti: devo solo imparare qualcosa che è già stato fatto da qualcuno prima di
me. Per questo ormai da tanti anni faccio la distinzione tra studiare e leggere. A scuola ci insegnano a
studiare anzi, ci fanno studiare – ed è già diverso – mentre il leggere non è incoraggiato, da nessuna parte o
quasi. E anche allo stadio, il nostro vivere ha come modello lo stadio, il gioco lo fanno altri, lo stato di veglia
è di altri!
Anche nella relazione prostituiva illustrata prima da Alberto Colombo, non è stato di veglia.
Mi sono sempre accorto di avere sempre nutrito un senso stima – stima generica che un tempo non sapevo
motivarmi – per la mia infanzia. Giusto, giusto come si stima, in modo generico, una cosa che si può
chiamare seria, non dico seriosa. Un giorno ho messo a fuoco il perché, e proprio come autodescrizione
corretta di cosa è stata la gran parte della mia infanzia.
Io sono stato quello che si dice un bambino di strada, non dico uno “scugnizzo” napoletano, solo perché
sono nato qui anziché là, altrimenti sarei stato anche uno “scugnizzo”, per la ragione che, in modo più
vistoso, in periodi di vacanza, il mio comportamento più ordinario era quello di scendere in strada.
Cos’era scendere in strada? Non con intenzione già costituita, ma per trovare qualcuno, perché qualcuno –
come partner – anzi, perché qualcuno mi mettesse in moto. E con tutta quella circospezione infantile che
viene scambiata per timidezza infantile ma non lo è affatto, è prudenza. È quello scendere in strada
guardandosi in giro per individuare o questo o quello con il quale si potrà cominciare a combinare qualcosa.
Se questa fosse la massima dell’adulto, finalmente avremmo delle persone normali che non cominciano la
giornata come nelle prime pagine del Corriere e della Repubblica di oggi, ossia che cominciano per
deprimerci. Scendiamo in strada e non troviamo nessuno o peggio, il pollice verso su come andrà il resto
della giornata.
E verrò subito al “quarto d’ora prima” e a “Monsieur de Lapalisse”.
Rappresentarvi il breve sogno a cui accennerò adesso, come esempio di sveglia, esempio principe di
sveglia, anche questo valido per un’intera vita, io dico che lo stato di veglia, che l’essere svegli è la
congiunzione fra quella veglia, vera e propria veglia nel sonno che è il sogno, stato di veglia nel sonno: il
pensiero non dorme mai. È difficile mettersi in mente questo, è così ovvio ma ce ne vuole! Il pensiero non
dorme mai! È la coscienza che per fortuna ogni tanto se ne va a dormire e la smette di romperci le scatole.
Guardate che non sto dicendo niente di strano, faccio appello alla vostra esperienza di lettori di romanzi, voi
leggete bene il romanzo o guardate bene un film che vi interessa se la coscienza se ne sta buona buona a
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cuccia. Consumo la lettura esattamente come il cibo che mangio, quando lo mangio volentieri, se voi vi
mettete ad essere coscienti del piatto che state mangiando, non mangiate più, diventate innervositi, vi prende
l’angoscia. Quando Freud ha estratto la parola inconscio, non voleva dire nessuna inconsci età; voleva
soltanto dire che prima della coscienza c’è un altro pensiero ben più fondamentale, ben più pratico, ben più
serio e ben più logico. Quindi la parola inconscio è solo un aggettivo del sostantivo pensiero, non il
sostantivo “l’inconscio”. C’è un pensiero che si chiama inconscio solo perché si distingue dalla coscienza:
basta, non c’è altro significato della parola.
Allora, dicevo un sogno e lo porto ad esempio del sognare come stato di veglia, mentre si dorme e bene.
Freud ha l’accortezza di osservare che il sogno è il protettore del sonno, il continuare a pensare mentre si
dorme fa dormire. È questa la grande novità. Non ho nessun pudore a dire che questo fu un sogno mio all’età
di otto anni e che faccio mio anche oggi. Un sogno così meriterebbe la prima pagina di Repubblica. Ve lo
racconto: otto anni, al mare, avevo due cugini coetanei che nuotavano già molto bene, “come dei pesci”,
come si dice. Io invece no! Io stavo lì sul bagnasciuga a guardare loro. Una notte ho sognato che nuotavo –
unica immagine del sogno – e al mattino nuotavo! Potere del pensiero, niente di magico. Mi spiego. Perché
fino al giorno prima io non nuotavo? Fatto il sogno nuotavo, certamente non da olimpionico. Ci è voluto un
po’ per eguagliare i miei cugini, ma neanche tanto.
Cosa era successo? Quale fu il potere del mio pensiero di bambino ottenne? Nessun potere, secondo l’idea
rozza e peggio che rozza che abbiamo del potere, cioè un’idea di tipo muscolare, di forza maggiore di
un’altra, cioè un concetto puramente comparativo cioè agonistico del potere. Niente affatto! Che cosa era
successo? Era successo che io che fino al giorno prima avevo soggiaciuto ad una precisa teoria di mia madre
su di me, anzi sul mio corpo, – badate adesso non mi metto a parlarvi male della mia povera mamma, si starà
facendo il suo bravo purgatorio anche lei, anche per la ragione che vi sto dicendo ma per tanti versi era una
persona eccellente, diciamo un compromesso – la teoria di mia madre su di me era che io non ero adatto a
nuotare, i cugini si! Ma che io col mio fisico – e chissà perché, perché ero un bambino sano e normale come i
cugini, – non ero adatto a nuotare. E questa teoria era piombata su di me. Io non ero fatto per le cose
normalmente da esercizio fisico, da prestanza, nessuna speciale prestanza intendiamoci, in questo caso si
trattava del semplice di nuotare. Ho detto Teoria, e questa parola la scrivo persino con la t maiuscola. Poi
imparai ad individuare questa teoria come ben più complessa ed articolata della semplice informazione che
vi ho appena dato – e alcuni qui già sanno l’importanza che do e diamo alle cosiddette teorie presupposte che
sono piombate su di noi e che ci dominano fin quando, per esempio, non facciamo un sogno come quello di
cui vi ho detto.
Cosa ha fatto il mio sogno? Il mio pensiero nel sogno, con tanto di Io davanti? Il mio pensiero ha
esercitato un atto di pensiero critico: «Posso nuotare!», cosa per altro ovvia in tutti i bambini, comunque ho
contrastato in forma critica la teoria che mi aveva sovrastato. La teoria era «non puoi», il pensiero ha detto
«posso».
Mi sento di sostenere che tutti quelli che sono convinti di non capire la matematica – è una convinzione
generale – siamo stati massacrati dalla teoria che noi, salvo alcuni geni – quella maledetta teoria del genio
che è piombata sull’umanità da secoli e millenni: avevo già detto che Pitagora è all’inferno, sicuramente, per
aver promosso il modello dell’intelligenza come matematico, adesso non so se lo butterei nell’ultimo girone,
ma comunque abbastanza in basso, certo Dio nella Sua misericordia magari l’ha messo in purgatorio,
dopotutto bisogna sempre dare una chance, ma anche lì abbastanza malmesso –, come la stragrande
maggioranza degli studenti che sono persuasi dalla teoria di tutta la cultura secondo la quale solo alcuni sono
dotati per la matematica e gli altri no, come diceva il mio professore liceale «due valide braccia strappate alla
terra» per dire che proprio uno non era in grado; se uno sognasse di capire la matematica, come io a otto anni
ho sognato che nuotavo, il giorno dopo vi assicuro capisce la matematica. Provare per credere!
Adesso porto un ulteriore senso di sveglia, a proposito di un quarto d’ora prima, non so se conoscete la
poesiola di Monsieur de Lapalisse, è nata appena dopo la battaglia di Pavia (1525): Francesco I sconfitto
dall’esercito spagnolo e fra questi è morto anche questo Monsieur de Lapalisse che era un personaggio
altissimo, all’epoca ormai era maresciallo di Francia, stimatissimo, amatissimo ecc., ma com’è, come non è
(è anche uscito un libretto diversi anni fa), appena dopo la battaglia di Pavia in cui i cavalieri erano morti
tutti in una disastrosa carica perché si sono fatti impallinare, e fra questi è morto anche questo signore. Uomo
apprezzato, stimato, nessuno aveva motivo di biasimarlo, eppure a Parigi, di lì a poche settimane, si è messa
a circolare questa strofetta dedicata a Lapalisse che diceva: «Monsieur de La Palisse est mort, est mort
devant Pavie. Un quart d'heure avant sa mort il était encore en vie» [Il Signore di Lapalisse è morto, egli è
morto davanti a Pavia. Un quarto d’ora prima di morire egli era ancora in vita], e donde l’aggettivo
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lapalissiano. È ovvio che un quarto d’ora prima di morire era ancora vivo. Solo che noi non siamo
lapalissiani e la nostra patologia è connessa al fatto che, nella coscienza, sappiamo usare l’aggettivo
lapalissiano, per esempio che quando piove ci si bagna, ma nel pensiero no! Ve lo dimostro subito.
Tutti, salvo che accada un qualche cosa, per esempio un analisi e ben fatta, siamo persuasi che il mio papà
e la mia mamma, sono «Il mio papà e la mia mamma»: niente di più falso. Sono un uomo e una donna, e un
quarto d’ora prima di conoscersi non si conoscevano!
Bisogna farne di strada per arrivare a trarre questa conclusione.
Se io non avessi pensato già a otto anni che mia mamma era anzitutto mia mamma, non sarei caduto nella
sua teoria: sarebbe stata una donna che ha le sue idee su di me, diversamente da altri e sarei stato libero.
Mentre avevo il dogma che mia mamma è anzitutto mia mamma e non una donna, e una donna che, un
quarto d’ora prima di conoscere mio padre – come il Signore di Lapalisse – non lo conosceva. Ma non ho
detto ciò solo per questo ma per dirvi forse la più importante esperienza di “Sveglia!” che può darsi nelle
nostre vite, anche se subito ci fanno riaddormentare: Freud l’ha chiamato complesso di Edipo.
Adesso vi dico una conclusione che ancora due anni fa in forma così chiara io non avevo, anche se il
Pensiero di Natura, libro che alcuni conoscono, ha al cuore il riferimento a Monsieur de Lapalisse e a quello
che sto dicendo. Pigliamo il caso della bambina, nella sua relazione tenera con il padre: è il primo uomo della
sua vita, (la versione di Sofocle di Edipo, è la versione patologica: in quel caso si tratta di figlio con madre).
Prendiamo il caso di cui ho portato spesso l’esempio: ci sono il papà e la mamma, la bambina si avvicina e
rivolgendosi al papà gli dice: «papà, quando la mamma muore ti sposo io». Forse che si tratta del terzo
danneggiato, in questo caso la madre? Non sto affatto contrastando ciò che ha detto Colombo, è nella
patologia che si tratterà di rivalità. Perché non si tratta di rivalità? In questa relazione tenera
onnicomprensiva di ogni possibile relazione col padre, perché non si tratta di rivalità? – io stesso ho
impiegato molti anni ad arrivare alla conclusione che ora dico, che è appunto quella di Monsieur de
Lapalisse –. Perché nel momento del formarsi o in cui si è formata questa relazione – autentica relazione – da
adulti, (tra un uomo e una donna si può spendere la parola amore se, e solo se, è la medesima, non crediate
che sia una cosa da bambini), la bambina, ciò facendo ha realizzato intellettualmente di collocarsi nella
posizione in cui era la madre un quarto d’ora prima di conoscere quell’ uomo. Si è messa nello stesso punto
di una donna, un quarto d’ora prima di conoscere quel uomo. Quindi, nel cosiddetto complesso edipico –
ahimè! Freud ha fatto questa scelta che voleva essere esplicativa, ma poi è diventata piena di equivoci perché
si è pensato che il complesso edipico fosse un qualcosa di corrispondente a quei due deficienti che si
chiamavano Edipo e Giocasta, con lui che si acceca e lei che si impicca: è sbagliato tutto. Cominciava già
con lo “sbagliato tutto”, perché Edipo non è che ammazza il papà. Edipo è questo baldo giovane, cretino,
come diventerà Padre Cristoforo nei Promessi Sposi, un galletto idiota che incontra un altro galletto idiota e
per il diritto di passare prima sul marciapiedi si sbudellano. Si chiama essere cretini! È la stessa identica cosa
che accade all’inizio dell’Edipo Re, si tratta di uno stretto passaggio, ambedue sul suo bravo cocchio o carro
più volgarmente, e per il passaggio prima si sbudellano. E poi dopo perde il più vecchio ma non c’è nulla che
abbia a che vedere con la rivalità con il padre, sono solo due idioti pronti a farsi fuori, l’altro o sé stessi, per
una idiozia. È importante l’aspetto dell’idiozia, ossia dell’intelletto addormentato all’inizio di Edipo Re.
Allora, io ho detto che nella relazione figlia-padre, (che poi verrà distrutta e ricominceranno tutti a
dormire, magari nell’iperattivismo ma, scambiare l’iperattivismo con stato di veglia è un altro errore
patologico) è la più importante sveglia per quella bambina; dopo accadrà che per colpa del padre, o della
madre, anzitutto, questa finalmente iniziata relazione viene distrutta. La parola distrutta è usata da Freud:
annullata, nullificata.
Poi i giochi diventano fatti, come ho detto prima; viviamo addormentati perché viviamo tra lo studio e lo
stadio, ossia per i giochi fatti. I giochi da bambini, diventano fatti perché il padre e la madre non sono più un
uomo e una donna – che un quarto d’ora prima di conoscersi non si conoscevano – ma sono diventati due
feticci, il papà e la mamma. Autentica teoria e con la t maiuscola e priva di riscontro nella realtà, perché ad
ogni buon conto appena si diventa un po’ adulti, anche se si hanno dei figli abbiamo tutte le nostre storie e
problemi da uomini e da donne ancor prima dei nostri figli. Quindi, noi da adulti un pochino ci ricordiamo
che prima di conoscerla o conoscerlo non ci conoscevamo. Ossia che nel pensiero diventiamo incapaci di
essere lapalissiani.
Il secondo esempio, di stato di veglia lo prendo dai Vangeli: la Madonna. Ma non è perché io sono un
Orsolina al maschile, figlio di Maria... lo prendo come esempio perché sono un lettore e ho letto anche quella
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storia lì. In effetti io tradurrei oggi la parola Vangeli – che come dovreste sapere vuole dire “notizia”, anzi
“buona notizia”, non quelle del giornale, ma non perché dia la notizia che è scoppiata la guerra, perché se è
scoppiata la guerra si da la notizia che è scoppiata la guerra: non si tratta di tacere che è scoppiata la guerra o
che l’economia va a rotoli, non è questione di tacere – vi dicevo che tradurrei la parola Vangelo con Sveglia.
C’è stato un momento in cui siamo stati svegliati, non è passato un secolo che abbiamo ricominciato ad
addormentarci. Alberto Colombo fa menzione di “amore umano, amore divino”, “amore basso, amore alto”,
“amore carnale, amore spirituale”, “eros, agape” ecc., ossia abbiamo ricominciato a dormire.
Per quale ragione faccio riferimento a quel fatto e a proposito della donna facile? Io lo dico sempre,
alcuni lo sanno già: «Magari la donna fosse facile!». Tutte le donne sono difficili, e lo sono per gli altri e per
se stesse, perché c’è anche l’imbarazzo dell’essere donna difficile. Anche le donne, nelle loro fantasie
erotiche, sognano di poter essere almeno una volta tanto delle donne facili ossia delle donne che non fanno
difficoltà. E quindi, basta con l’equivalenza concettuale di: donna facile-prostituta. Donna facile significa:
finalmente una donna. Basta con questa equivalenza.
Ora, mi piace tanto l’Annunciazione perché finalmente abbiamo una donna facile! Una donna facile su
ambedue le facce delle sue relazioni, perché ne ha due. Una che ha con un certo uomo che non si capisce mai
bene se è il fidanzato, non è molto chiaro, ma diciamo il fidanzato, il promesso sposo. E poi arriva un altro
soggetto – chiamiamolo pure Dio, si tratta di Dio Padre senz’altro – il quale peraltro è vero che lavora come
dice Gesù «mio Padre lavora sempre», ma non è uno stacanovista, tanto è vero che per mettere incinta la
Madonna chiede al Santo Spirito di provvedere lui alla bisogna: è il concetto di Spirito Santo. Ora, la cosa
interessante – e che non ci dicono mai – e ritorno all’esserci addormentati diciannove secoli fa,
riaddormentati diciannove secoli fa – è che in seguito a questa annunciazione, annuncio, è vero che la
Madonna dà questo suo assenso, che questa donna dà il celebre assenso, e quello che c’è in seguito, ma
quello che va osservato sono le parole che Lei dice – Luca 1 –: «Ma come faccio ad avere un bambino se non
conosco uomo?». È una delle frasi più fresche che conosca in tutta la storia della letteratura. Perché cosa dice
con questa frase? Dice due cose, primo: so alla perfezione cosa vuol dire conoscere uomo, secondo: ma sono
qui pronta a conoscere uomo, aspetto giusto che arrivi il momento. Quindi, la disposizione della Madonna
nei confronti di Dio e la disposizione della Madonna nei confronti di un uomo sono pari! Sono la medesima.
Non è affatto una donna che ha un proprio sistema morale, una teoria morale e che ci dice meglio l’amore
alto dell’amore basso, non se ne parla nemmeno – se volete andatevi a rileggere Luca,1 e vedrete che è come
dico io – non ha nessuna teoria in testa per cui sarebbe meglio una specie di amore piuttosto che un'altra.
Anzi la famosa parola verginità, andrebbe spesa proprio per designare l’equivalenza del suo pensiero sia che
andasse in una direzione sia che andasse nell’altra. Non aveva quella vera e propria corruzione morale del
pensiero consistente nel classificare l’amore in due piani: uno superiore ed uno inferiore. Errore morale o
patologia che in questo caso io sovrappongo. È quello che da tempo io chiamo non avere obiezione di
principio.
Che cosa è la donna difficile? Non è la prostituta; è quella che ha obiezione di principio a che succeda una
certa cosa con il partner – guardate che su questo punto fra 2 o 3 millenni saremo ancora lì, non crediate che
abbia speranza che cambi qualche cosa a questo riguardo – ed è proprio per questo che ha senso dire che la
Madonna è stata concepita senza peccato originale: non aveva l’obiezione di principio. La famosa frase «sia
fatto di me secondo la Tua volontà», è la frase che qualsiasi sposa dovrebbe avere verso lo sposo, e lo sposo
verso la sposa. Lo dice anche S. Paolo questo, quando dice alla donna «il tuo corpo non è tuo ma di tuo
marito» e dice al marito “«il tuo corpo non è tuo ma della donna» – Corinti 1 –. Su questo punto Paolo aveva
le idee chiarissime, ha formulato un pensiero normale.
Per usare una frase lacaniana, ma che lui usava con significato opposto: il desiderio è il desiderio
dell’altro. Io cito sempre la frase la frase latina «Quod principi placuit, legis habet vigorem», ciò che piace al
principe è la mia legge, in questo caso ciò che piace al partner. In quel caso come nell’Edipo, come l’ho
descritta, nella storia c’è stata una sveglia – ripeto tutto congiura a che ci riaddormentiamo –
Finisco con questo cenno, sempre a proposito di ciò che fa vegliare, compreso il dormire bene, perché si
sta pensando bene: è quello che è chiamato sogno – per esempio il mio di prima.
C’è un sogno che mi va di aggiungere, perché le esemplificazioni hanno un valore d’uso anche spicciolo.
Un mio paziente sposato da poco ha fatto un sogno in cui faceva l’amore con un’altra donna, una sua
conoscenza con cui non c’era alcuna relazione specifica. Si è posto il dubbio di avere dei pensieri di
infedeltà. Non è un pensiero di infedeltà – gli ho detto io – lei ha fatto il migliore dei sogni, anche verso sua
moglie, che lei potesse fare. Lei ha sognato di fare l’amore con una donna. Chi è sua moglie? È una donna.
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Quand’è che le nostre madri ci fregano? Quando cancellano da sé l’essere anzitutto una donna per essere
anzitutto La Madre, ossia una teoria inverificata ed inverificabile. Prendendo spunto da quello che Colombo
diceva, a proposito della perdita di realtà, usiamo le due categorie dell’infortunistica, delle assicurazioni, le
due categorie medico-legali al fine del risarcimento in caso di lesione fisica. Le due note sono il lucro
cessante – uno ha perso un braccio quindi potrà lavorare e guadagnare meno – l’altra perdita di realtà è il
danno emergente.
(...)
Facciamo passare l’espressione “donna facile” dal pollice verso come farebbe il giornale, non importa se
Repubblica, ad essere la designazione stessa del concetto di virtù: altro che le solite frottole che ci
raccontano sulla virtù! La virtù è la non obiezione di principio, non è l’obiezione, ma lo si capisce se si vede
qual è la terza perdita di realtà e la terza perdita di realtà io la chiamo “il lucro non emergente”, cioè la
possibilità che, con i mezzi a mia disposizione potrei avere del profitto, non dei donativi, ma non mi ci metto
a produrre del profitto. E qui è l’obiezione, è l’obiezione che alberghiamo tutti nei nostri pensieri.
(...)
che dopo un anno saranno andati a rotoli se tutto si riduce a questo, al cosiddetto innamoramento, ma se i
due si concepiscono e si praticano come società produttiva di qualcosa che prima non c’era, ossia profitto.
Guardate che anche qui sto parlando di vita quotidiana. Provate a pensare se conoscete due amici che si sono
sposati un anno fa, sei mesi fa e magari siete stati alle nozze, essendo amici li conoscevate bene, e fin lì voi
pensate che questi si amano, intensamente, appassionatamente ecc… Eh, no! Un momento! Aspettate sei
mesi per sapere se si amano! Sul puro piano osservativo entro sei mesi saprete se si amano, le osservazioni
sono semplici; se dopo sei mesi sono più belli di prima – osservazione facile – se dopo sei mesi, un anno,
sono più ricchi di prima, se dopo sei mesi, un anno, le loro amicizie sono migliorate o cresciute, se... se...
se... , e andate avanti voi con tutti gli item possibili. Allora potrete dire che si amano. Solo allora.
Considerate come pura menzogna sia pure pietosa, non dico da mandare all’inferno, ma comunque
menzogna pietosa, se i due dicono: «Sì, fra noi va tutto a rotoli, ma ci amiamo». No! Non si amano.
Alcuni qui sanno che porto sempre ad esempio dell’amore, in quanto produttivo di profitto, ossia di
qualcosa che prima non c’era, e non è necessario essere solo materialistici a concepire il profitto – meglio
essere anche materialistici tenere i piedi sulla terra ma, anche gli altri profitti sono sulla terra – dicevo, quello
che porto ad esempio è il rapporto Diabolik ed Eva Kant, che sono due co-produttori di profitto l’uno per
l’altro. Con qualche tendenza a delinquere.., ma insomma, non è il caso di insistere troppo: la donna facile
non è una che insiste troppo.
Finisco con l’apologia del capitalista, proprio il vecchio capitalista analizzato da Marx.
Che cos’è il profitto? Lui porta l’esempio – Colombo me l’ha già sentito dire chissà quante volte –: il
capitalista investe 27 scellini – nella moneta di allora – e lui vuole portarne a casa 30, altrimenti smetterebbe
di lavorare, se portasse a casa solo 27, ossia ciò che ha investito, non gli interesserebbe più andare avanti,
allora, il profitto sono 3 scellini. Interessante, i 3 scellini sono solo una piccola parte, allora, ciò significa che
il capitalista tratta il livello di partenza, i 27 scellini, come fosse zero, non gli interessa neanche che il finale è
30, gli interessa che il finale della giornata è stato “+3”. Se invece dei soliti esami di coscienza fossimo
capaci di passare all’esame di pensiero, all’esame di inconscio, il nostro esame di pensiero – ma se vi va
chiamatelo pure di coscienza – alla sera di ogni giornata consisterebbe tutto nel rispondere alla domanda:
quali sono i 3 scellini di cui ho profittato in questa giornata? Dov’è il profitto di questa giornata? Non come
negli esami di profitto che sono a pura somma zero, non è vero che c’entra il profitto. Il profitto sono i 3
scellini, voi trovateli a qualsiasi livello dell’esperienza, potreste anche avere letto una poesia che prima non
vi interessava neanche, non importa, individuate il profitto in ciò che vi pare, ma l’esame di pensiero è nei 3
scellini, sia pura metaforici, ripeto, in qualsiasi campo. Ma che l’esame di coscienza o di pensiero si
interroghi se questa sera ho portato a casa i 3 scellini. Perché? Perché la frase i 3 scellini che ho o non ho
portato a casa risulteranno dall’averli trafficati con qualcun altro – c’est l’amour –; l’amore è i 3 scellini
risultanti dal lavoro che ho fatto tramite un compagno o compagna – e questo è il caso coniugale –. I 3
scellini vuole dire “per questa giornata la parola amore è meglio scordarsela”: avrò mentito un po’ meno
sull’amore – noi di solito mentiamo sull’amore –; senza i 3 scellini in qualsiasi ambito dell’esperienza,
l’amore non c’era e basta. Un po’ di pulizia morale ed intellettuale.
Ciò che vi sto dicendo sono alcuni cenni di quello che sarà il nostro corso a Milano intitolato La logica e
l’amore e la logica non si è mai occupata dei 3 scellini: io sono per l’introduzione nella logica dei 3 scellini,
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non solo del capitalista, ma della libera iniziativa di ciascuno nella misura in cui abbia realizzato il proprio
pensiero, il proprio pensiero in quanto fatto per essere compagnia, cioè per avvalersi come mezzo del profitto
anche del pensiero di un altro.
Un nostro amico e collaboratore a Milano (di professione è un economista lavora a New York), nel
giugno scorso ha fatto un commento da economista in particolare alla parabola dei talenti. Non sto a
riassumere, chi la sa la sa e chi non la sa si attacchi.
Scusate un po’ la mia bruschezza, ma non credo che sia grossolanità dello spirito; bisogna anche saper
usare i mezzi grossolani ma senza grossolanità, un po’ di teatro popolare. Una volta che avevo visto uno di
quei filmacci che mi rivoltavano lo stomaco con Franco Franchi e Ingrassia, ho acceso per caso un
pomeriggio la televisione e c’era un intervista con Franco Franchi, vestito molto elegantemente, con un volto
da persona normale, e anche meglio, bello, simpatico e che ha tenuto una lezione migliore anche di Dario Fo
su cosa è il teatro popolare e perché lui rivestiva quel ruolo ributtante, ma ha spiegato che questo faceva
parte dei ruolo del “teatraccio” popolare per il popolino dei film. Mai sentito parlare in modo così colto del
teatro come in quell’intervista a Franco Franchi.
Dicevo, questo amico economista che ci ha commentato la parabola dei talenti, e non per fare il prete,
come io non sto facendo il prete – il prete è una dimensione dello spirito – diceva che il primo, quello che ha
ricevuto 5 talenti, li raddoppia e ne porta 10, il secondo ne ha ricevuti 2 li raddoppia e ne porta 4, e
l’investitore è soddisfatto, ma alla fin fine, commentava Luca Flabbi, si potrebbe anche interpretare la
parabola come un espediente dell’investitore, neanche per incrementare un gran che il suo capitale. In quel
caso si potrebbe interpretare la parabola anche come un test, un test fatto dall’investitore – o dal Signore –
per capire di chi può fidarsi, ossia per tirarsi intorno una compagnia di amici; in questo caso il test sarebbe un
test di affidabilità, mi posso fidare solo di chi incrementa il capitale, ossia di chi vicino a me produce
profitto. Fantastico criterio! Vivo per questo e spero di essere capace nel resto della mia vita di non
demordere dall’avere questo criterio. Come diciamo ormai assumendo una categoria economica, il criterio
dell’affidabilità è nella riconoscibilità del partner, ma il partner è quello con il quale nella condivisione del
lavoro con il quale o, divisione del lavoro con il quale si troverà del profitto: allora ci si può fidare. E anche
potremmo usare la parola amore senza doverci vergognare.
DOMANDE E RISPOSTE

Ad una domanda formulata in relazione all’allagamento del Liceo Classico Parini, relativa al fatto che
una delle autrici si dichiari “idiota” ma non “criminale” il dott. Contri risponde:
Io l’avrei strangolata, perché io sono un “pariniano”, io ho fatto tutto il Parini, 8 anni di fila; ammetto
anche l’impulso, ma prima dell’impulso ho un giudizio. Il giudizio è più chiaro dopo la dichiarazione che
anche io ho leggiucchiato questa mattina. Ma come «non volevo essere una fallita»!? Compie un atto che la
farà fallire o che incrementa il suo avere già fallito. Ma come? Compie un atto di fallimento per riparare al
fatto che era una fallita. È questo il punto. È una menzogna, quindi non è un’idiota, è una bugiarda. È una
bugiarda sul senso dell’atto.
Vi porto un altro esempio, ma io lo metto sullo stesso piano, qualche anno fa i giornali fanno sapere che
due ragazze di non so che zona d’Italia, due studentesse, si sono suicidate, e lasciano la letterina per i
genitori e ambedue, o almeno una delle due, nella letterina scrive: «mi suicido perché vado male a scuola e vi
do tanti dispiaceri. Per non darvi più dispiaceri mi ammazzo» ossia, il massimo dispiacere che poteva dare ai
suoi genitori lo fa per non dargli più dispiaceri. In questo caso io non ho alcuna pietà per la suicida, capite,
prevale il mio giudizio, poi se la vedrà lei con Domine Dio, con tutto quello che le pare, con Satanasso, con
Minosse ecc. ecc.
Ha mentito sul senso dell’atto, voleva far dispiacere! Del resto alle spalle di questo, con questo esempio
assume ulteriore – non spendo neanche la vecchia parola filosofica evidenza, mi sono stufato della parola
evidenza – ovvietà (come Lapalisse, che un quarto d’ora prima ...) l’osservazione di Freud che il suicidio non
è puramente un suicidio; la frase di Freud è: un suicidio è un omicidio, ossia è per uccidere o danneggiare un
altro, portato sulla propria persona. Ma è un giro, il suicidio, passa per l’altro, fai un danno a qualcun altro. È
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come se io andassi in giro “puzzolente” ma proprio “rivoltantemente puzzolente” e poi io pretendessi la
vostra pietà per il fatto che sono “puzzolente”. Ma niente affatto, se sono “puzzolente” sono un aggressore
nei vostri riguardi, vi sto facendo del male, con l’intenzione di farlo.

Lei ha detto che “ci fanno addormentare”. Qual è il modo per evitare ciò e svegliarci?
Prima ho portato due esempi, uno il sogno del bambino: le auguro di fare sogni analoghi! Ma dato che ho
una ragionevole certezza che lei di sogni ne abbia, veda un po’ di farne un qualche uso, magari se li annoti da
qualche parte. Poi ne ho detta un’altra citando, con stima, me stesso bambino che scendevo in strada. Scenda
in strada e non avrà nulla a che vedere con la prostituzione, ma proprio no. Un po’ breve come risposta ma, a
mio parere, abbastanza completa.
Ma che cos’è la donna facile? Avrei anche potuto rispondere «Sia una donna facile», ma fin qui qualcuno
avrebbe potuto dire: intrattengo ancora un equivoco. No. Perché non c’è l’equivoco? In virtù di quello che ho
detto prima. Donna facile, o uomo facile – perché poi la cosa riguarda pari pari anche gli uomini non c’è
differenza a questo riguardo – uomo o donna facile: con chi ha il mio affidamento, ossia con qualcuno nei
cui confronti ho potuto esprimere il giudizio di affidabilità, da quel momento il tuo desiderio è mio, e ti
chiamerò “il Signore” o, perché no?, Signora o, come dice San Paolo «il mio corpo non è più mio ma tuo e il
tuo corpo non è più tuo ma mio».
Nel giudizio di affidabilità, ossia nei 3 scellini, diciamo così coprodotti, di questo ci si può fidare, allora il
tuo desiderio è il mio desiderio. In seguito avremo quello che alle scuole, alle scuolette, alle scuole primarie
chiamavamo la prova del 9.
Qual è la prova del 9? Perché il giudizio di affidabilità non è dato una volta sola e non per dubbio
sull’altro, ma perché nella natura del giudizio di affidabilità il fatto che dopo avere trattato il tuo desiderio
come il mio, anche la conseguenza di ciò sarà proficua, il passaggio è di profitto in profitto, ed è incremento
del giudizio di affidabilità. Io non sono per il concetto di “eternità”, sono per il concetto di “tempo in due
tempi”: il tempo antecedente con la conferma del giudizio di affidabilità, il tempo successivo con l’ulteriore
conferma del giudizio di affidabilità. Diciamo così che se Dio esiste, io non mi fido di Lui una volta per tutte,
ma la cosa si ripete. È quell’una volta per tutte che anche su Dio finirà per dare quel giudizio di Dario Fo –
avete presente – che fa finire una storia d’amore tra due dicendo che si sposarono «e vissero a lungo insieme
felici e contenti. Il giorno dopo»: si applica anche a Dio, io mi ci ritrovo bene.
Io suggerisco tre termini maggiori: amore, lavoro, pensiero.
Non conosco altri capitoli, diciamo così, che amore, lavoro e pensiero. L’intera nostra esperienza è
inclusa in questi termini e nelle loro relazioni, non ce n’è un quarto, né sono solo due: amore, lavoro,
pensiero. Freud era arrivato a sottolineare solo i primi due, e in modo implicito anche il terzo – pensiero –
ma in modo esplicito ha sempre insistito che la nostra vita si ripartisce in amore e lavoro; io sono stato
sempre d’accordo, semplicemente mi è sembrato il caso di portare a galla, in piena luce, quello che in Freud
era fortemente implicito ossia il terzo termine che è pensiero.
© Studium Cartello – 2007
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23/10/2004 - 1° - pubblicazione