all’opera — 25 Fabio Biondi dirige l’Orchestra della Fenice N morte, Georg Friedrich Händel è omaggiato al Teatro Malibran con la messinscena dell’Agrippina, curata per quanto riguarda regia, scene e costumi dalla Facoltà di Design e Arti dello Iuav di Venezia, e diretta da Fabio Biondi, che – dopo aver rivitalizzato, alla testa dell’ensemble Europa Galante, La Didone e La virtù de’ strali d’Amore di Francesco Cavalli ed Ercole sul Termodonte e Bajazet di Vivaldi – potrà ora contare sull’Orchestra della Fenice. L’Agrippina ha una storia strettamente intrecciata con quella della Venezia teatrale del XVIII secolo, essendo stata rappresentata proprio in laguna esattamente trecento anni fa, durante il soggiorno italiano che permise al musicista di visitare le capitali culturali del Belpaese, da Venezia appunto a Firenze, Roma e Napoli. Ferruccio Civra, nel primo volume di Musica in scena, la grande opera della Utet che analizza capillarmente la storia e la fortuna del teatro Fabio Biondi musicale occidentale, el duecentocinquantesimo anno dalla cembre del 1709 al Teatro San Giovanni Crisostomo, il più sontuoso e ricco della famiglia Grimani (è quasi certo che l’autore del libretto sia proprio Vincenzo Grimani, cardinale e ambasciatore imperiale presso la Santa Sede e successivamente viceré austriaco di Napoli) ebbe un successo strepitoso: la vicenda dell’imperatrice romana madre di Nerone, che si serve della bella Poppea per favorire l’ascesa al trono del figlio tramite i sotterfugi e gli intrighi tipici di ogni commedia veneziana, conquistò sia gli spettatori abituali che anche osservatori privilegiati come il londinese John Mainwaring, che fu il primo biografo di Händel. Ma l’opera non mancò di suscitare ai suoi tempi anche qualche dura rimostranza e protesta. Ancora Civra ci dà notizia di uno degli aspetti più curiosi di questo capolavoro: «Il lato forse più stupefacente di una situazione che vede freschezza e completezza sì ben definite da strappare tanto l’ammirazione del Mainwaring quanto l’entusiasmo del pubblico, è che solo cinque arie sono scritte appositamente per l’occasione, mentre tutto il resto, più di qua- ranta numeri, è derivato da materiale preesistente e per di descrive l’opera con queste più non tutto dell’autore. […] Quella dei prestiti nell’opera parole: «Fu Agrippina a sedi Händel è una domanda che per lungo tempo ha lasciagnare la prima importante to perplessi gli studiosi, trovando poi facile risposta in una tappa del compositore sulla rassegnata considerazione: prima di tutto con l’arrendersi via dello sviluppo drammaall’idea che tale procedimento era pratica comune all’epotico, iniziando di qui il camca; in secondo luogo, che i prestiti, alterati o letterali, osmino che lo avrebbe portasia veri e propri plagi, in Händel hanno sempre una giuto lentamente a liberarsi dai stificazione drammatica e sono risposta a precise esigengrovigli linguistici e struttuze creative». rali che lo imbrigliavano asAl di là delle analisi musicologiche, il successo dell’opesorbendo completamente lo stira in parte fu dovuto anche al cast d’eccezione della prima, le italiano e compiendo i primi siche comprendeva soprani all’epoca molto conosciuti e apcuri passi per superare l’impianprezzati come Margherita Durastanti e Diamante Scarato accademico di stile scarbelli, rispettivamente nei ruoli di Agrippilattiano». na e Poppea. Nella versione odierna le due L’Agr ippina, al- Venezia – Teatro Malibran parti sono interpretate da Ann Hallenberg e Veronica Cangemi, mentre Lorenzo Relest ita 9, 14, 16 ottobre, ore 19.00 gazzo veste i panni di Claudio. (l.m.) ◼ il 26 di11, 18 ottobre, ore 15.30 all’opera L’«Agrippina» di Händel in scena al Malibran 26 — all’opera La «Vedova allegra» di Hugo de Ana al Verdi di Padova che vanta precedenti illustri come Il ratto del serraglio o Il flauto magico, e in parte dall’inesauribile repertorio di danze e marce, di cui Suppé e gli Strauss ne fecero un’arte leggera, piacevole e carezzevole. A differenza di quanto avveniva in Austria e in Europa, vi era un disprezzo dell’«intelligenza» italiana nei riguardi di questo genere, considerato appannaggio della plebe nonché, come si direbbe oggi, quasi «a luci rosse»*. «L’operetta è come l’anitra: vorrebbe cantare, volare, camminare, nuotare: ma in realtà non sa far niente di tutto questo»*, queste le parole della grandissima Eleonora Duse, che sintetizzano molto bene l’opinione diffusa della classe intellettuale nei confronti dell’operetta. di Federica Bressan Diversa, invece, la posizione dei frequentatori più intelliL’operetta, figlia dell’opera comica, genti e dei critici più aperti, i quali riconoscevano che, quaè come una ragazza di buona famiglia lora fossero stati tolti i «frizzi indecenti»* e le «sconcezze»*, che si sia lasciata traviare: tutti sanno però che esistono nell’operetta restava comunque, tra musica e libretto, qualdelle traviate attraentissime. cosa che apparteneva alla vera e sana arte, mentre se a molte delle opere serie che comparivano nei teatri di tradizione Camille Saint-Saëns fossero stati tolti gli apparati scenici grandiosi, qualche nota acuta dei «divi strapagati»*, vi sarebbe rimaer molto tempo l’operetta è stata consisto molto meno. In linea con tale orientamento derata figlia minore dell’opera lirica, ma nel corso dei secoli Padova – Teatro Verdi anche l’opinione espressa il 18 novembre 1888 da Nietzsche in una lettera a Peter Gast, dopo e con l’aiuto del favore 13-14-16-18 ottobre aver assistito a uno spettacolo al Teatro Caridel pubblico è riuscignano di Torino: un vero e proprio inno all’operetta, ma nel ta pian piano a sgancontempo anche una critica a come essa veniva eseguita nel ciarsi da questo luonostro paese. «Domandate dunque come Monsieur Audran go comune che l’ha definisce l’operetta: «il paradiso di tutte le cose delicate e spesso messa in seraffinate, comprese le sublimi dolcezze». Ho ascoltato condo piano, smirecentemente la Mascotte. Tre ore, e non una sola batnuendo talvoltuta di vienneseria (= porcheria). Leggete un qualunta il suo valore que feuilleton su una nuova operetta parigina; vi artistico. sono in Francia, in quest’ambito, veri geni di moNei paenelleria, di malizia indulgente, d’arcaismi, d’esosi di lingua tismo, di cose affatto ingenue. Occorrono dieci tedesca, e numeri di prim’ordine perché un’operetta, stretta soprat t utda un’enorme concorrenza, possa restare in proto in Augramma. Vi è una vera scienza delle finesses del gustria, il gusto sto e degli effetti».[…] «Morale: non l’Italia vecchio dell’operetamico! Qui, dove ho la prima compagnia d’operetta si è semta italiana, sono tuttavia obbligato a convenire ad ogni pre basato su gesto delle graziose, talvolta troppo graziose donnine, di una tradiche d’ogni operetta esse fanno una caricatura. È che eszione raffinase non hanno alcun esprit nelle loro piccole gambe, e tissima, derimeno ancora nelle loro testoline... In Italia, Offenbach vata in parte mi pare oscuro (voglio dire di una volgarità abdal Singspiel bietta) come a Lipsia».* In realtà, il fa(opera popovore del pubblico per l’operetta, che lare tedesca), andò sempre più crescendo, non era altro che una reazione naturale alle condizioni in cui versava l’opera lirica. Erano state bandite, infatti, dall’operetta, tutte le «scarrucolate rossiniane»* dei passaggi di agilità, le cabalette, le ripetizioni simmetriche, le fioriture, i gruppetti, i trilli, l’eleganza delle melodie: «tutte cose che piacevano nel secolo passato»*, che avevano fatto la gloria dell’opera italiana, erano state sostituite «dalle frasi drammatiche, dalla filosofia, dal Daniela Mazzucato colore locale, sino a finire al continuo recitativo».* È interessan- La nuova stagione lirica s’inaugura con un pizzico d’operetta all’opera P all’opera — 27 sia impegnativa un’operetta, anche dal punto di vista propriamente fisico, tra il canto, i balletti e la recitazione è molto faticoso». E ancora la diva dell’operetta, che sarà Hanna Glavari nella produzione della Vedova allegra in scena il 1314-16-18 ottobre 2009 al Teatro Verdi di Padova (in replica poi a Bassano del Grappa e a Rovigo), ritiene che «per fare l’operetta bisogna avere delle qualità di attore di prosa e bisogna saper ballare e, soprattutto saper passare dal parlato al cantato poggiando correttamente la voce: un cantante non ha una preparazione da attore di prosa, quindi sa impostare solo la voce cantata e non quella parlata. Deve riuscire a cantare ballando senza far sentire il fiatone, far sentire la voce fino in fondo alla sala senza ricorrere all’uso di microfoni. Ma, alla fine, tutti questi sforzi sono ricompensati dal pubblico che ride e si diverte». S a r à un piacere potersi divertire insieme a Daniela Mazzucato, Alessandro Safina, Gladys Rossi e a tutto il cast in questa nuovissima Vedova allegra, con una regia tutta da scoprire di Hugo de Ana, coproduzione Li.Ve. (Associati Lirica Veneto), tra i Comuni di Bassano del Grappa, Padova, Rovigo-Teatro Sociale e Teatri Spa di Treviso. ◼ * citazioni dal saggio Intorno all’operetta dall’archivio del Teatro Reinach (http://www.lacasadellamusica.it/reinach/index.htm) all’opera te anche notare quello straordinario scambio diretto e fisico tra spettatore e attore che solo nell’operetta avveniva e avviene tutt’ora. Richiedeva nell’attore, in modo particolare, un grande fiuto della situazione e degli umori del pubblico, intelligenza e gusto dell’improvvisazione. Per fare l’operetta bisognava saper fare tutto: cantare, ballare, recitare, raccontare freddure. Primo requisito che dovevano avere l’attore, e in particolare il comico e la soubrette, era la comunicativa: senza di questa non c’era modo di far strada. La prova del fuoco era costantemente una: il pubblico. Se questo si agitava, rumoreggiava, non si divertiva, non applaudiva o, peggio, fischiava, se qualcosa non funzionava, se qualche motivo musicale o balletto non piaceva, bisognava saper correre ai ripari immediatamente, mentre lo spettacolo era in scena. L’attore doveva essere in grado di cogliere l’occasione imprevista, insistendo sull’effetto riuscito: doveva a ogni costo evitare che gli spettatori giudicassero lo spettacolo «da fischi». Chi era abile, non si perdeva per strada e aveva fortuna, con gli anni affrontava parti sempre più impegnat ive, in compagnie sempre più prestigiose, aspirando a una compa g n i a pro pria, «dove ancora si circondava di fratelli, figli, nuore, nipoti»*... I cantanti di operetta studiavano una vera e propria arte di recitazione, e nel passaggio dal canto alla prosa non si riscontrava alcuna caduta di tono e di stile. La grande preparazione degli artisti fece sì che spettacoli come La vedova allegra o Il pipistrello potessero essere presentati nei cartelloni dei teatri a un livello di parità con le opere di Mozart, interpretate da esecutori e direttori d’orchestra di fama mondiale. Anche Gustav Mahler diresse una ripresa del Pipistrello di Strauss ad Amburgo nel 1894. Ancora ai giorni nostri spesso l’operetta viene sottovalutata, soprattutto per quanto riguarda le risorse fisiche e artistiche che richiede agli artisti. Daniela Mazzucato, una delle interpreti più applaudite, estremamente duttile e in grado di passare con estrema disinvoltura dall’opera all’operetta, in un’intervista a cura di Maria Fuchs con queste parole si esprime in merito alla questione, prendendo le parti dell’operetta: «Gli agenti teatrali non capiscono quanto Friedrich Nietzsche 28 — all’opera Un inedito Albinoni per Claudio Scimone tempi grazie al successo dell’esecuzione della Serenata Il Nascimento dell’Aurora riportata alle scene in forma teatrale dai Solisti Veneti al Teatro Olimpico di Vicenza nel 1983, registrata in cd per Erato e poi eseguita a Venezia, Parigi, Roma e altre capitali. Si tratta di una vocalità affascinante come poche altre che inebria con le sue volute virtuosistiche e nei tempi lenti intensamente cantabili tocca profondamente le corde del sentimento. Nel Concilio de' Pianeti (nato come molte opere dell’epoca come composizione d’occasione) i pianeti, in particolare Giove e Marte, guidati nelle parti vocali dall’Eternità, si ritrovano per cantare le lodi del nuovo nato (nella circostanell’anno delle celebraza il delfino del Re di Francia), ma zioni per il cinquantenanon mancano nel testo e soprattutrio della fondazione, i SoPadova – Sala della Ragione to nella musica il senso mistico e il listi Veneti, guidati da Claudio Sci28 e 30 settembre, ore 21.00 rispetto scientifico (che si riflette mone, propongono un evento di Il concilio de’ pianeti di Tommaso Albinoni nell’accuratezza del linguaggio argrande importanza sul piano musiI Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone monico). Si tratta di un’opera grancale e culturale: si tratta della prima regia, coreografia, scene, costumi e luci Stefano Poda diosa per l’entusiasmo e la poesia rappresentazione scenica in temche la animano e per lo splendopi moderni della serenata teatrale Il re musicale con cui è strutturata. È Concilio de’ Pianeti di Tommaso Alil regista Stefano Poda, reduce dal binoni, composta nel 1710. Questa trionfo della Thais al Teatro Regio operazione assume ancora magdi Torino che ha segnato il suo rigiore rilievo grazie al luogo preentro in Italia dopo più di sessanscelto per lo spettacolo, la padovata regie realizzate all’estero, a nona Sala della Ragione, dove sono tare che sin dall’antichità astronoconservati straordinari affreschi mi e filosofi hanno cercato di codue-trecenteschi che fanno spesgliere ordine e simmetria nel moso riferimento a simboli esoterici vimento dei pianeti, musicisti e are a concreti elementi astronomici. tisti in genere si sono volti a espriL’evento – realizzato in collaboramere nei rispettivi linguaggi il mizione con il Comune di Padovastero di quest’ordine immaginanAssessorato alla Cultura e con il done l’interrelazione con la vita depatrocinio della Fondazione Angli uomini. Ecco quindi che Il concitonveneta e della Regione Veneto lio de’ Pianeti di Albinoni idealmen– si colloca inoltre all’interno della te collega la stupore del primo uogrande serie di manifestazioni demo che levò lo sguardo alla meradicate all’anno dell’astronomia (in viglia del cosmo alla contemporacui si commemora il quattrocenteneità dell’uomo del Duemila, che simo anniversario degli studi sulla proietta il proprio futuro al di fuori Luna di Galileo Galilei. ChiediaClaudio Scimone dei confini della terra, direttamenmo al Maestro Scimone di fornirte verso gli altri pianeti dell’univerci qualche elemento in più su queso, trasfigurati e sintetizzati in questo componimento: «La partitusto spettacolo fatto di musica, di voci, di gesti e movimenti che, ra della Serenata ci rivela lo straordinario talento vocale di Alevocando pianeti‚ atmosfere e orbite, si intrecciano ai corpi debinoni, che al pari di Vivaldi è stato al centro della vita veneziagli artisti in un illusorio spazio siderale racchiuso dalle raffiguna come autore di opere anche se nei tempi moderni è conorazioni astronomiche e astrologiche degli affreschi del Palazsciuto quasi esclusivamente come compositore struzo della Ragione, significativamente immersi nel tempo e nelmentale. Lo splendore lirico dell’opera albinoniana la sua misurazione, vera e ultima chiave di lettura dell’immenera già noto ai nostri sa sala medievale». (l.m.) ◼ I Solisti Veneti affrontano la serenata «Il Concilio de’ Pianeti» all’opera N I Solisti Veneti Luigi Nono alFestivaldiSalisburgo La bacchetta di Ingo Metzmacher per il maestro veneziano di Roberta Reeder P My future is in my past Mary Stuart erché ci vuole un festival non italiano per ridare vita a una grande opera di un compositore veneziano? È infatti a Venezia che la vita e l’opera di Luigi Nono erano radicate e meglio comprese. Ma il 2 agosto del 2009 è al Festival di Salisburgo, nell’immensa sala del Felsenreitschule, che la prima di questa nuova versione del più grande lavoro di Nono, Al gran sole carico d’amore, è stata presentata. Con la messinscena della regista inglese Katie Mitchell e la direzione di Ingo Metzmacher, la musica è stata eseguita magistralmente dalla Vienna Philarmonic e dal Vienna State Opera Chorus con il supporto dei nastri originali creati da Nono per il pezzo. Le opere di Nono hanno sempre dato luogo a controversie. Dopo la seconda guerra mondiale tre nuovi compositori si fecero notare ai corsi estivi di Darmstadt: Pierre Boulez, KarlHeinz Stockhausen e appunto Luigi Nono. Facevano tutti parte dell’avanguardia, desiderosi di infrangere le regole e andare oltre quello che era ritenuto accettabile fino a quel momento. Sotto l’influenza di John Cage, i primi due ruppero con il passato intraprendendo un cammino di sperimentazione formale basato su matrici matematiche o combinazioni casuali di materiale sonoro. Nono invece obbiettava fortemente a quest’impostazione e in un discorso a Darmstadt nel 1959 affermò che «a dar vita a un’opera d’arte non è mai l’ubbidienza a un principio schematico (sia esso scientifico o matematico), bensì solo la sintesi – intesa come risultato dialettico – tra un principio e la sua realizzazione nella storia, cioè la sua individuazione in un momento storico assolutamente determinato, non prima e non dopo». Continuò a perseguire la ricerca di un’arte impegnata, usando il suo talento per comunicare importanti idee politiche e socia- li. Ed è questo il motivo per cui Al gran sole è stato scelto per essere presentato al Festival di Salisburgo di quest’anno. Jürgen Flimm, direttore del festival, ha intitolato la manifestazione Das Spiel der Mächtigen (Il gioco dei potenti), e ha scelto opere, concerti e pièce teatrali legate a questo tema. Ci sono state altre opere nel passato il cui tema era la rivoluzione, come il balletto di Boris Asafiev Flammes de Paris (Le fiamme di Parigi) del 1932 e Die Tage der Commune (I giorni della Comune) di Brecht. Ma ciò che rende il lavoro di Nono diverso da tutti gli altri è l’attenzione posta alle eroine rivoluzionarie. L’opera è una meditata selezione compilata attingendo a un’ampia gamma di fonti, inclusi Marx, Lenin, Che Guevara, Gramsci e Brecht. Katie Mitchell, la regista, caratterizza il suo allestimento come una combinazione di «drammatizzazioni di eventi» che sono «brevi punti di riferimento operistici in un paesaggio frammentato di citazioni». Ma in ogni caso questi frammenti non sono scelti casualmente. Al contrario, sono selezionati con cura e tessuti assieme in modo da formare un tessuto compatto. L a solu z ione de l l a Mitchell ha trasformato le forti donne rivoluzionarie di Nono in soggetti silenziosi e passivi, che siedono nelle loro stanze pensando alla rivoluzione e all’oppressione dei lavoratori. All’estrema sinistra del palcoscenico è montata una scenografia realistica, delle stanze singole nelle quali compaiono le protagoniste, e centrale, sullo sfondo, è posto un grande schermo che ripropone in tempo reale ciò che le attrici fanno sul palcoscenico, a volte utilizzando primi piani. Nella seconda parte compare la madre del romanzo omonimo di Gorky: invece che osservare la donna dell’opera di Gorky morire mentre distribuisce volantini ai lavoratori, vediamo una gentile vecchia signora che prepara la zuppa; dopo qualche tempo, senza una causa ovvia, giace assassinata, Birgit Walter sanguinante sul pavimento in Al gran sole carico d'amore della sua cucina. di Luigi Nono a Salisburgo (foto di Stephen Cummiskey) La varietà di possibilità musicali si manifesta imponente: dalla voce di un singolo soprano accompagnata da musica elettronica su nastro a grandiosi insiemi di solisti, da una piccola e una grande orchestra a un piccolo e un grande coro. E, basandosi sull’esperienza di Nono a proposito della musica policorale, è stato creato un suono che proveniva da altoparlanti dislocati in tutta la sala. Assistere a questa esecuzione è stata un’esperienza davvero travolgente. E questa performance ha realizzato ciò che Metzmacher ha scritto nel suo saggio su Al gran sole: un monumento alle donne che sacrificano la loro vita per la rivoluzione, anche se si tratta di un monumento fatto non di pietra, ma di suono. ◼ all’opera all’opera — 29