PROSECCO
l’Italiano
che conquista
il mondo
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La Storia
Prosecco. Unico e inimitabile. Come il Palladio.
La patria del Prosecco è il Nordest d’Italia, una regione resa
famosa nel mondo anche da Andrea Palladio. L’eleganza dei
suoi edifici pubblici, come chiese, ville e palazzi, da cinque secoli
lascia un’impronta nell’architettura di tutto il mondo.
Il Congresso degli Stati Uniti d’America, nel dicembre 2010,
l’ha consacrato “padre” dell’architettura americana.
Il suo stile, che trasforma la memoria in raffinatezza senza
tempo, non nasce per caso.
E proprio questo è lo stile del Prosecco. Le architetture di
Palladio non si possono comprendere se non inserite nel
territorio che le ha generate. Il vino racconta il medesimo
paesaggio veneto. I suoi colori sono il bianco della pietra delle
3.500 ville storiche edificate fra Veneto e Friuli-Venezia Giulia;
il rosso e ocra della natura d’autunno; il verde delle colline che
dolcemente scendono verso la pianura; il blu della laguna di
Venezia e del mare.
Andrea Palladio, Villa Barbaro a Maser, Treviso.
L’imperatrice Livia (58 a.c. - 29 d.c.)
e il Prosecco “medicinale”
È vicino a Trieste che va cercato un indizio per definire l’identità
del Prosecco. La coltivazione della vite è introdotta nel nordest
d’Italia dagli antichi Romani: questo territorio veniva chiamato
la “X Regio - Venetia e Istria”. Durante il I sec. a.C., i Romani
avevano completato l’opera di centuriazione della zona.
Il territorio agricolo, cioè, era stato suddiviso tra accampamenti
fortificati, città e terreni destinati all’agricoltura.
Questi erano affidati, come premio, agli ex legionari, che prima
di tutto piantavano la vite.
Oltre duemila anni fa, dunque, dopo la scoperta in Grecia e
Sicilia, dalla natìa Georgia, la vite si era diffusa nel Nordest
d’Italia. Lo testimonia il poeta romano Publio Virgilio Marone,
anche lui di queste terre.
Nelle “Georgiche”, scritte nel 30 a.C. parla a lungo della
coltivazione della vite selvatica, quella che da bambino aveva
ammirato sul lago di Garda.
Dominio Veneto - Joan Blaeu, Atlas Maior, 1622
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La conferma della coltivazione
del Prosecco giunge da Plinio il
Vecchio, contemporaneo di Virgilio:
lo storico, autore della “Naturalis
Historia”, afferma che l’imperatrice
romana Livia, moglie di Augusto,
riconosceva il merito di aver
raggiunto 82 anni grazie ad un
vino che si produceva in prossimità
dell’Istria. Esattamente “sulle
Livia Drusilla - I secolo a.C.
ripide balze che, poco oltre le foci
Museo del Louvre
del Timavo, dal castello di Duino,
giungono sino alle porte di Trieste”. Ciò è quanto afferma
il professore Giovanni Dalmasso, vissuto nella prima
metà del secolo scorso, uno dei più autorevoli studiosi di
viticoltura ed enologia in Italia e direttore della Scuola
Enologia di Conegliano.
Quel vino tanto caro all’imperatrice, la quale sosteneva che
“nessun altro vino è più indicato per uso medicinale” si
chiamava Pùcino, che era il “nonno” del Prosecco.
È vero che, con lo stesso nome, nei secoli, è stato indicato
anche un vino rosso, il Terrano del Carso triestino, quello che
più genericamente si chiama Refosco.
Ma il professor Dalmasso spiega che è un errore e dà credito
al Villifranchi, che nel suo saggio del 1773 ricorda come “tra
quelli (i vini) d’Italia era dai Romani infinitamente gradito il
Pùcino, latinamente Puxinum, oggigiorno detto Prosecco che
tutt’ora si raccoglie nel pendio del Monte di Contuel in faccia
al Mare Adriatico, poche miglia da Trieste ...”.
Un altro storico, il nostro contemporaneo Gianpiero Rorato,
si allinea a questa tesi: ricorda gli studi di Dalmasso e le
prove addotte, che ripercorrono cinquecento anni di storia.
Dimostra che il Pùcino friulano-giuliano è il Prosecco.
Tant’è vero che, alle porte di Trieste, esiste un paese che ha
questo nome.
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Origini veneto-friulane
Da almeno due secoli, tuttavia, il Prosecco è legato alla Marca
Trevigiana, che lo ha reso famoso affinando, grazie ad Antonio
Carpené nel 1868, anche le tecniche di spumantizzazione.
È accertato che a metà del XVIII secolo, mentre Carlo Goldoni
a Venezia scrive le sedici commedie che ribalteranno la filosofia
del teatro e Jean Jacques Rousseau in Francia pubblica i suoi
“Pensieri”, nel Vicentino il Prosecco è talmente celebre e
affermato da meritare la citazione in un dotto libro. E questa è la
prima volta che compare questo nome nel Veneto, prima ancora
che a Conegliano e Valdobbiadene.
Il “melaromatico Prosecco” prodotto nei dintorni di Monte
Berico, a Vicenza, dal canonico conte Jacopo Ghellini fu
cantato ne “Il Roccolo”, ditirambo di Aureliano Acanti.
Secondo queste rime, il vino era “un po’ fosco e sembra
torbido”, ma di qualità sicuramente non inferiore a quella
degli analoghi vini di altri paesi. Si tratta della prima
segnalazione veneta del Prosecco.
Aureliano Acanti (pseudonimo dell’abate berico Valerio
Canati), nel suo libretto pubblicato a Venezia nel 1754,
immagina che Bacco, giunto a Vicenza per insegnare agli
uomini l’arte della viticoltura, si innamori della ninfa
Calidonia (la ninfa delle risorgive, da cui il nome di
Caldogno) e dal loro amore nasca il Bacchiglione, il fiume di
Vicenza e Padova, il cui nome deriva dal dio Bacco.
Il libretto di Acanti, commissionato per le nozze dei
veneziani conti Ghellini, è decisivo per ripercorrere questa
parte di storia del Prosecco.
Ecco, nella pagina seguente, lo stralcio di alcuni versi.
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“Ed or immollarmi voglio il becco
con quel melaromatico Prosecco.
Di Monteberico questo perfetto
Prosecco eletto ci dà lo splendido
nostro Canonico. Io lo conosco
egli è un po’ fosco, e sembra torbido,
ma pur è un balsamo sì puro e sano,
che il Sanlorano
il Fontignasco
sol un Macacco
sguaiato
impazzito
dir potria, ch’è il miglior vino
del Prosecco del Ghellino”.
…….
…….
Tanto val questo Prosecco
Ch’io per me nol cambierei
Coll’ambrosia degli Dei
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Se la provincia di Treviso non è stata la terra in cui il vino ha
avuto origine, da qui però il nome s’è diffuso ed è diventato
sinonimo di spumante apprezzato in Italia e oggi conosciuto in
tutto il mondo come unico ed inimitabile.
Fino al termine del ‘700 il Prosecco non era mai stato nominato
fra le vecchie varietà della zona. Solo all’inizio dell’ ‘800
Francesco Maria Malvolti, Accademico di Conegliano, ne
annota la presenza “… chi non sa quanto squisiti siano i nostri
Marzemini, Moscatelli, Prosecchi, Malvasie ed altri che in varie
parti di queste colline si fanno…” Anche la Società Enologica
Trevisana, fondata a metà dello stesso secolo da Antonio
Carpenè e dall’Abate Felice Benedetti, cita il Prosecco come
vino fine, emblematico e fortunatissimo delle colline di
Conegliano e Valdobbiadene, che nasceva da un’uva non
autoctona di quelle colline.
E certamente fu il conte Marco Giulio Balbi Venier che
selezionò e isolò, dopo il 1850, il tipo particolare di Prosecco
detto più tardi Prosecco Balbi e ne iniziò la specializzazione
della coltura e la sua coltivazione e vinificazione in purezza.
In un aureo libretto del 1868, lo stesso Balbi Venier diceva
testualmente di un suo podere “… tutto a vigneto, che piantai
a viti prosecchi, più sicure ed ubertose di ogni altra qualità e che
danno un vino bianco sceltissimo, pieno di grazia e di forza”.
Uva “Glera”
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Glera: un vitigno storico, legato al territorio
L’ipotesi più accreditata sulla provenienza del vitigno Glera
colloca la zona di origine a Prosecco (da cui il nome) in un
paesino vicino a Trieste, da dove, con la denominazione di
“Glera”, si sarebbe spinto poi sino ai Colli Berici e ai Colli
Euganei (provincia di Padova). Si tratta, comunque, di un
vitigno autoctono, italico, diffuso nella fascia nordorientale
del Paese e con formidabile concentrazione nel Veneto e nel
Friuli-Venezia Giulia (con le zone storiche di Conegliano e
Valdobbiadene).
Ampelograficamente il vitigno Glera è in realtà una
“popolazione”, composta di diversi biotipi che fanno capo
principalmente al Prosecco bianco ed al Prosecco lungo.
Morfologicamente il Glera presenta un grappolo medio-grande,
di forma piramidale, con acini medi o piccoli e buccia di colore
giallo dorata, leggermente punteggiata. Agronomicamente
predilige terreni non troppo asciutti, e teme sia la siccità estiva
sia le gelate primaverili.
Quando il paesaggio finisce in bottiglia
Scrive Guido Piovene nel suo insuperato Viaggio in Italia:
“Tutto il Veneto intimamente è la meno drammatica delle
terre italiane… La civiltà del Veneto è piuttosto sentimentale,
che significa appagamento e delizia in se stessi e perciò scarsa
inclinazione a mutare …Lo si avverte anche dal paesaggio,
dovunque presente nel Veneto come una persona viva”.
Viva, perciò vivace, armonica, vitale: esattamente come una
bottiglia di Prosecco. Ma cosa ha determinato questo Veneto?
Furono i quaranta anni che cambiarono il mondo. Quel mondo
compreso tra Vicenza e Udine, tra i Lessini e l’Adriatico. Tra
il 1540 e il 1580 la Serenissima Repubblica affidò ad Andrea
Pallado un compito che ancora oggi resta a testimonianza
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della lungimiranza del governo veneziano e della genialità del
grande architetto. Doveva il Palladio, su commessa dei Dogi,
ridisegnare il paesaggio. Ma da quella trasformazione nacque
anche il modello di sviluppo veneto con le ville inserite nel
contesto rurale, con i corsi d’acqua e le strade che davano un
senso armonico del territorio. Del resto lo stesso Palladio scrive:
“ Il vero giardino è la natura e il mio giardino è ciò che vedo
dalla finestra della mia casa.
Quando costruisco la mia casa
cosa vedo dalla mia finestra?”.
Ecco la centralità della ruralità
intesa come essenza e potenza
della natura e come presenza e
intelligenza dell’uomo.
E’ questo il terroir del Prosecco,
vasto e variato ma che ha un
denominatore comune in quella
sorta di paesaggio progettato
che i Dogi affidarono al
Palladio. Per comprenderlo
Arco Bolani, Udine
bisogna attraversare tutte le
Andrea Palladio, 1556
terre del Prosecco. Dai Colli
di Conegliano e Valdobbiadene fino alle antiche vigne romane
di Aquileia. Ovunque la campagna è un disegno di architetture
neoclassiche che traggono alimento dalle vestigia antiche,
ovunque i corsi d’acqua delimitano con un confine liquido il
contado dall’urbanizzato, ovunque il rincorrersi dei filari delle
vigne è un reticolo poggiato sul tappeto della terra a disegnare
arabeschi di fatica, d’intelletto, al fine di piacere. Così come la
Serenissima plasmò tutte le sue terre al bello, così oggi il Prosecco
è il tratto unificante di questo territorio e lo condensa nelle
sue armonie di bouquet, nella gaiezza della sua spuma, nella
assoluta confidenza ai sensi. In un calice di Prosecco si riconosce
il biancheggiare nitido delle perdute forme delle ville palladiane
di Vicenza, il fondo d’oro dei mosaici di Aquileia, il romanico di
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Treviso, il gotico delle fortezze medievali dei colli di Conegliano.
E ancora si sentono refoli montani e brezze marine, e profumi
di pascolo e di bosco. Il Prosecco è un giardino palladiano
nella sua intensa armonia e nella sua più profonda essenza è il
vino che esprime – per dirla con gli stilnovisti – un intelletto
d’amore. Amore per una terra che è ancora Serenissima, che
è opima, che è operosa, che è un’opera d’arte. Una terra che è
patrimonio dell’umanità con le ville palladiane del Veneto, ma
è patrimonio della ruralità con la terra di Conegliano e delle
province friulane, e diviene patrimonio della Storia a Treviso e
si fa motore economico in un’area viticola di assoluta eccellenza.
Ecco, il Prosecco si descrive attraverso questi elementi: storicità,
tradizione, modernità e si iscrive in questo universo d’armonie.
Di un paesaggio come lo volle Palladio: natura artefatta. Cioè
fatta ad arte. Esattamente come il Prosecco che è natura che si fa
prodotto: dunque universale e perciò attuale.
Se il vino racconta il terroir, se esprime un paesaggio e una
cultura come l’architettura di Palladio, qual è l’immagine delle
terre del Prosecco? “È un paesaggio lievemente malinconico
– risponde il giornalista Bruno Donati – è quella inafferrabile,
elegante malinconia aristrocratica, vaporosa come seta, tutto
il contrario del lusso volgare del villano arricchito, che deve
ostentare le sue attuali possibilità economiche. Il biancheggiare
delle ville palladiane ricorda una civiltà sempre viva, inquieta
d’intrapresa. Una nobiltà nascosta per innato buon gusto nelle
sue dimore che colorano di giglio, senza rumori né tripudio,
con quell’incontrarsi pacato, il conversare sorridente, il gergo
dialettale che fa capolino a ogni frase come spumeggiando.
È un paesaggio fiabesco che ormai molti produttori di Prosecco
sanno far affiorare nel bicchiere”.
L’area sottesa al nuovo disciplinare di produzione abbraccia
diverse province dell’Italia nordorientale, con caratteristiche
paesaggistiche anche differenziate. Le aree vitate del Prosecco
sono però spesso di elevatissimo valore “estetico”, oltre che
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produttivo: è il caso di Vicenza e delle Ville del Palladio, in
Veneto, riconosciute dall’Unesco già dal 1994 come siti facenti
parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Lo splendore architettonico di queste zone ha radici lontane:
nasce nel ‘500, che fu per Vicenza un secolo di grande rinascita
delle arti e della cultura, grazie ad un lungo periodo di
tranquillità sotto l’ala protettrice della Serenissima Repubblica
di Venezia. Fu soprattutto il secolo di Andrea Palladio, artista
che in questa città trovò la patria d’adozione. Considerato il
più innovativo architetto del suo secolo e tra i più grandi di
ogni tempo, produsse opere intrise di un classicismo e di una
purezza mai eguagliata. Fra queste appunto le Ville Palladiane
di Vicenza, simbolo di un’eleganza classica e moderna, uno stile
perfetto, senza tempo, che funge da sfondo ideale all’immagine
del Prosecco.
Il Prosecco, infatti, è un vino innovativo e fortemente tradizionale
al tempo, ben saldo nel suo passato ma energicamente proteso
al futuro, da sempre conosciuto nel luogo di produzione
ed oggi ricercato in tutto il mondo come prodotto giovane,
anticonformista e dinamico.
Andrea Palladio, Villa Almerico Capra, La Rotonda, Vicenza.
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Il Prosecco e la sua nuova DOC
Una complessa procedura di rivisitazione del disciplinare e
delle zone di produzione ha portato, dal primo agosto 2009,
ad ottenere la Doc “Prosecco” unitamente alle due Docg per
le sottozone storiche di “Conegliano Valdobbiadene” e “Colli
Asolani” o “Asolo”. Una copertura totale per la massima tutela
del Prosecco, grande vino italiano. Era indispensabile avere
questa copertura per difendersi dalle imitazioni. Il Prosecco
nella sua recente storia ha infatti rischiato un eccesso di successo.
La sua prepotente e inarrestabile ascesa nel gradimento
dei consumatori di tutto il mondo ha innescato nei quattro
continenti imitazioni, contraffazioni, continui tentativi di
sfruttamento del cosiddetto “italian sounding” che rischiavano
di confondere operatori e consumatori sia in Italia sia all’estero,
danneggiando uno dei prodotti più apprezzati dello “stile
italiano”. Per questo motivo il 17 luglio 2009 è stato approvato
dal Ministero delle Politiche Agricoli Alimentari e Forestali il
riordino della denominazione, e dunque anche dei disciplinari
del Prosecco, che ha prodotto l’innalzamento dei controlli e delle
garanzie, ma soprattutto sancito un cambiamento radicale:
Prosecco infatti non è più il vino ottenuto dall’omonimo
vitigno, ma il vino che nasce da un preciso territorio. Ne sono
scaturiti due definiti livelli quali-quantitativi: l’attribuzione
della Docg per le già citate sottozone storiche e la creazione
di una DOC che comprende le province di Treviso, Trieste,
Pordenone, Udine, Venezia, Belluno, Padova, Vicenza.
Copyright per il nome Prosecco, vietate le imitazioni
Serviva un marchio forte per difendere un vino inimitabile dai
tentativi di contraffazione. E serviva dare un’origine certa al
marchio e al nome Prosecco. A livello internazionale solo i nomi
geografici sono opponibili come esclusivi.
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Così per il Prosecco andava definito un toponimo che lo mettesse
al riparo dagli imitatori. Insomma bisognava dare un nome, un
cognome, una residenza a questo eccellente prodotto della nostra
più raffinata capacità vitienologica.
Errando si riteneva che Prosecco fosse il nome del vitigno da cui
si ricava questo inebriante spumante.
In realtà il vitigno da sempre si è chiamato Glera e solo per
assonanza dialettale si era trasferito il vero identificativo
ampelografico con quello gergale.
Dall’agosto del 2009 si è finalmente fatta chiarezza: Prosecco,
un piccolo borgo friulano, è la residenza di questo vino che
prende il nome da queste terre della Serenissima, prodotto
con uve Glera.
E questa è l’esatta identità del Prosecco che poi viene
declinato nelle sottozone storiche e negli areali di
produzione della Docg e della Doc per coprire il territorio
costituito dalle nove province del Veneto e del Friuli
Venezia Giulia dove da tempo immemore si coltiva l’uva
Glera: la madre del Prosecco. Ma per saperlo con certezza
andiamo a leggere le antiche carte. Scrive Plinio del
Domenichi (Venezia 1580): “Questo vino Pucino nasce in
Prosecco non lungi del Timavo, nel contado di Goritia; ed è
sottile, chiaro, lucido, proprio di color d’oro, odorifero et al
gusto gratissimo. Ed oggi ancora i villani del Carso, chiamato
già Lapidia, fanno fede delle parole di Plinio, i quali vivono
lungamente perché bevono i vini simili al Pùcino”. E cos’era
il Pùcino? Niente altro che il Prosecco. Una conferma?Nel
1950 Montanari e Ceccarelli sulla viticoltura e l’enologia
nelle Tre Venezie scrivono sul vitigno Glera: “Questo vitigno,
ad uva bianca, è alquanto coltivato nelle provincie di Gorizia
e di Trieste. Da quest’ultima provincia dove è maggiormente
diffuso nel territorio di Prosecco, il vitigno è stato importato
nella provincia di Treviso, e quivi appunto favorevolmente
conosciuto con il nome di Prosecco.”
Ecco questi sono i natali del Prosecco, questa la sua identità.
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Prosecco, un vino di successo in Italia e nel mondo
Il Prosecco è uno dei pilastri della nostra economia. E non solo di
quella agricola. La produzione è aumentata del 40% in soli cinque
anni, l’export viaggia ad incrementi di due cifre.
Il fatturato complessivo del Prosecco sfiora i 500 milioni di euro.
La suddivisione del mercato vede, per le versioni spumante e
frizzante, il mercato nazionale attestarsi sul 70% e l’export al
30%, con il mercato europeo che rimane comunque il principale
sbocco. Nell’ambito dei mercati extraeuropei, aumenta la quota
della tipologia spumante con un’incidenza che tende al 30% e
risulta assai significativo l‘incremento del Nord America con oltre
il 15% delle esportazioni totali. In termini di volumi esportati,
si conferma il ruolo della Germania come mercato driver delle
vendite rispetto a tutte le tipologie della denominazione. Per
lo spumante, va segnalato anche l’aumento significativo delle
vendite destinate a Svizzera e Regno Unito, dove il consumatore
anglosassone vive il Prosecco come qualcosa di diverso dallo
Champagne, ovvero un prodotto alternativo ma non imitativo,
apprezzato perchè viene da una ben definita area geografica,
sensorialmente assai gradevole e con un’immagine raffinata.
La conquista del mercato globale da parte del prosecco è testimoniata
dagli incrementi di vendita anche nei mercati potenziali come
Russia, Brasile, Giappone e Australia dove la bottiglia di prosecco
sta già diventando una categoria di prodotto.
La famiglia Zonin celebra 190 anni di storia...
Dal 1821 la famiglia Zonin è legata al mondo del vino e nel 2011
ha festeggiato i 190 anni di attività viticola nella zona DOC di
Gambellara, un paese del vicentino dove l’uva più pregiata è
ancora oggi la Garganega. Una storia secolare che si tramanda
da sette generazioni nel cuore del Veneto. Queste le origini della
famiglia Zonin, che controlla una delle più importanti realtà
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vitivinicole italiane e tra le prime anche in ambito internazionale.
“ Viticultori dal 1821 “. Sarà Domenico Zonin nei primi anni
del XX secolo a dare una svolta alle attività della famiglia
implementando sempre a Gambellara, dove ancora oggi si trova
la sede storica, una nuova cantina di produzione con un moderno
centro di imbottigliamento. Secondogenito di dieci fratelli,
Domenico Zonin nacque nel 1899 da una famiglia di piccoli
viticoltori e visse a cavallo di tre secoli fino all’età di 101 anni. A
fianco di Domenico si forma Gianni Zonin, il nipote che studia
enologia e che già a 29 anni assume la presidenza dell’Azienda.
Su input dello zio, egli comincia a esplorare il mondo con gli
occhi di chi vuole fare del vino un asset vincente della nostra
cultura imprenditoriale
e un emblema del nostro
patrimonio ideale. Da
quel momento la crescita
non ha conosciuto
pause e con questo
amore per la terra e
per la vigna Gianni
Zonin, ha iniziato,
con lungimiranza e
competenza, un percorso
di espansione che ha
avuto come linea guida
la qualità totale, la terra
come generatrice del
vino. Il tutto riassunto in una sorta di impegno morale prima
ancora che imprenditoriale: dare valore alla terra, dare valore
al lavoro, dare valore al vino. Da un decennio ha fatto ingresso
la nuova generazione: i figli Domenico, Francesco e Michele,
sono chiamati a continuare con successo la sfida dell’azienda
nel mondo del vino. Oggi la famiglia Zonin possiede duemila
ettari di vigne ed ha aziende agricole nelle sette regioni d’Italia
a più alto valore aggiunto vitivinicolo -Veneto, Friuli, Toscana,
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Piemonte, Lombardia, Sicilia e Puglia - oltre ad una significativa
presenza negli Stati Uniti a Barbousville, Virginia.
... e nasce “Cuvée 1821”: prestigioso Prosecco DOC
190 anni di storia, uniti ai 2000 ettari di vigne in proprietà di
cui 200 coltivati a Prosecco DOC , vanno festeggiati: è così
che nasce l’esclusiva “Cuvée 1821”, dalle uve dei migliori
vigneti di Glera della Famiglia Zonin e dalla continua ricerca
dell’eccellenza enologica. Il Prosecco “Cuvée 1821” è una
selezione che esalta le doti di questo vino spumante, puntando
decisamente sull’eleganza e sul fruttato. È una bottiglia frutto
di attentissime selezioni in vigna e in cantina, di una tecnica di
spumantizzazione rispettosa della qualità delle uve ma anche
del metodo tradizionale italiano di fermentazione in autoclave
particolarmente adatto ad esaltare la freschezza e l’aromaticità.
È una bottiglia che coniuga il valore della terra con il
sapere tradizionale e le più attuali conoscenze tecnologiche.
Esattamente il profilo del vero grande Prosecco: un vino storico
dalla bevibilità attualissima, ora più che mai emblema delle
migliori bollicine “made in Italy”.
La “Cuvée 1821” è l’essenza più pura della produzione di
Prosecco Doc della famiglia Zonin che intende così ricordare la
prima bottiglia di Prosecco Zonin imbottigliata a Gambellara
nell’anno 1966. È uno spumante di alta classe con toni fruttati e
floreali al naso, un perlage di rara persistenza, un gusto pieno e
al tempo stesso carezzevole, una lunghezza al palato invidiabile.
È un Prosecco da tutto pasto: perfetto come aperitivo, inimitabile
con primi piatti, cristallino nell’abbinamento con i crostacei,
impeccabile con la cucina di mare come con le carni bianche.
Un vino esclusivo che esalta il Prosecco e sintetizza armonicamente
i valori della famiglia Zonin: fare grandi vini per la felicità di chi
li degusta. Così dal 1821.
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Prosecco doc
SP UM AN T E
B R UT
uve
Glera in purezza
vinificazione e affinamento
Le uve sono sottoposte ad una delicata
pigiatura e ad una pressatura soffice
per estrarre solo il mosto di migliore
qualità.
La fermentazione si svolge a
temperatura controllata di 18°C per
una frazione di mosto mentre
il rimanente viene conservato a 0°C
fino al momento della presa di spuma
che avviene in recipienti adatti a
mantenere una pressione di circa
5 atmosfere.
colore
Giallo paglierino chiaro luminoso.
Spuma bianca e fine con perlage
molto sottile.
profumo
Gradevolmente intenso, molto
fruttato, aromatico con ricordo di fiori
di glicine e mela renetta.
sapore
Fresco e di grande armonia con una
leggerissima nota di mandorla dolce,
tipica delle uve Prosecco.
temperatura di servizio
Va servito intorno ai 5-7°C.
abbinamenti gastronomici
È il vino per eccellenza dell’aperitivo.
Quando il menù propone piatti leggeri
e delicati può accompagnare l’intero
pasto, dessert compreso.
gradazione alcolica
11% in volume.
produttore
Casa Vinicola Zonin S.p.A.
Via Borgolecco, 9
36053 Gambellara - Vicenza
Tel. 0444 640122 - Fax 0444 640203
e-mail: [email protected]
www.casavinicolazonin.it
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