Anno XII - Numero 1 - 16 gennaio 2007 L'intervista Parlano il regista Albertazzi il soprano Patanè ed il direttore Neuhold A Pag 2 La danza dei Sette Veli L’erotico e scandaloso cuore dell’opera A Pag 8 a 9 Metamorfosi del personaggio Salome nella tradizione letteraria A Pag 10 I tagli di Strauss Salome più casta e testo essenziale A pag. 14 SALOME di Richard Strauss Salome 2 Il La Stagione 2007 al Teatro Costanzi Parlano il regista Albertazzi, il soprano Patanè ed il baritono Golesorkhi L «Nel nostro “prologo” la fusione tra opera letteraria e musicale» a Salome di Richard Strauss apre la stagione 2007 del Teatro dell’Opera di Roma, con un’edizione molto attesa per la regia di Giorgio Albertazzi, alla sua quarta esperienza lirica. «Lavoro veramente piacevole, la mia più importante regia lirica. Sono almeno quindici anni che desideravo fare la Salome, per la sua carica erotica dirompente, per l’avanguardismo che in essa si respira: il Manifesto dell’Espressionismo del 1905, Schönberg, Kandinskij e Klee, tutto questo è alle porte». Parla da innamorato Albertazzi, che per l’occasione ha scritto un prologo in prosa che introduce l’opera di Strauss. «Il prologo di circa venti minuti, in italiano, riassume il testo di Wilde introducendo lo spettatore al musikdrama e creando una fusione, senza soluzione di continuità, tra l’opera letteraria e quella musicale», spiega il Regista collaboratore Tito Schipa Jr, curatore del commento sonoro con Mario Distaso. Gli attori in scena durante il prologo sono Maruska Albertazzi (nella parte di Salome), Anita Bartolucci (Erodiade) e Sergio Romano (Erode). Giorgio Albertazzi interpreta la voce fuori campo di Jochanaan. «I tre attori – commenta Albertazzi - ci conducono dentro il mondo di Strauss. Penso, infatti, che lo sbocco naturale della tragedia di Wilde sia proprio la musica di Strauss». «Quello del musicista continua il Regista - è uno scenario fatto di passioni non corrisposte, dominato dalla luna ed al cui centro vi è un’eroina, Salome, creatura adorabile e allo stesso tempo vergine fatale e necrofila. ‘Voglio’ è il suo verbo: Salome è eccessiva, in preda a qualcosa di furibondo. E’ bambina e ragazzo insieme, forse un androgino: è Alfred Douglas, il bellissimo Bosie amato da Wilde». L’opera al Teatro Costanzi Salome è stata rappresentata 10 volte, la prima il 9 marzo 1908. Nel 1924 a dirigerla fu lo stesso autore, mentre l’edizione del 1977, con la regia di Margherita Wallmann, fece scandalo per il soprano Felicia Weathers (Salome) che rimaneva nuda al termine della danza dei sette veli. L’ultima volta è stata rappresentata nella stagione 1977/78. In questa edizione è la stessa Francesca Patanè (soprano nel ruolo di Salome) ad eseguire la cele- ~ ~ La Copertina ~ ~ A.C. da Gustav Klimt - Salome o Giuditta II (1909) Coll. priv. Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak Easyshare V705 Visitate il nostro sito internet www.giornalegrandieventi.it dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale bre “Danza dei sette veli”, la ‘Salomes Tanz’ di Strauss. «Il corpo di Salome seduce perchè è schivo e sessualmente ambiguo – sostiene Albertazzi - appassionato e cinico, pronto al riso e alle lacrime. Una danza che è una drammaturgia, un racconto, il racconto di una perdizione estetizzante e di una passione necrofila». In merito alle caratteristiche canore della protagonista, Francesca Patenè sostiene che «Quello di Salome è un ruolo difficile, nel monologo finale che segue la Danza così come all’inizio con Jochanaan. Per fortuna la natura mi ha dotata di una voce adatta a ruoli come questo o quello di Turandot che è una delle figure da me più spesso interpretate. Nel ruolo di Salome cerco di ottenere le sfumature d’espressione, la capacità di destreggiare con i colori, cosa nient’affatto semplice che richiede una tecnica particolare». La direzione dell’orchestra è affidata al Maestro austriaco Günter Neuhold, scelto per sostituire in extremis Alain Lombard, che ha dovuto rinunciare all’incarico per motivi di salute. «Il mio primo contatto con la Salome – afferma il Direttore - è stato vari anni fa al Teatro Regio di Parma. Questo nuovo allestimento del Costanzi mi sembra molto bello e affascinante». Appassionate anche le parole del Baritono Annoshan Golesorkhi (nel ruolo di Jochanaan): «Questa produzione è veramente bella, con un’orchestra eccellente in un’opera così difficile non solo per il canto ma anche per gli strumentisti, anche i costumi, di immaginario storico, sono molto belli. Insomma un nuovo allestimento davvero speciale». «Abbiamo lavorato con gioia. La musica – conclude Albertazzi – è insieme rapimento e pitagorica razionalità, non ti lascia ed è inafferrabile». Si. Men. Giornale dei Grandi Eventi 8 - 14 Marzo WERTHER Direttore Interpreti di Jules Massenet Alain Lombard Rolando Villazon, Beatrice Uria-Monzon, Natale De Carolis, Yvette Bonner Direttore Interpreti di Giuseppe Verdi Gianluigi Gelmetti Angela Gheorghiu, Vittorio Grigolo, Renato Bruson, Giuseppe Filianoti Direttore Interpreti di Gaetano Donizetti Bruno Campanella Carmela Remigio, Aldo Caputo, Alberto Rinaldi, Anna Procleme 20 Aprile - 3 Maggio 16 - 22 Maggio LA TRAVIATA LA FILLE DU RÉGIMENT 15 - 23 Giugno MANON LESCAUT Direttore Interpreti 27 Novembre - 2 Dicembre Direttore Interpreti 21 - 30 Dicembre di Giacomo Puccini Donato Renzetti Norma Fantin, Marco Berti MOSÈ IN EGITTO di Gioachino Rossini Antonino Fogliani Michele Pertusi, Giorgio Surian, Anna Rita Taliento, Stefano Secco LA VEDOVA ALLEGRA di Franz Lehàr Daniel Oren Fiorenza Cedolins, Vittorio Grigolo, Markus Werba Direttore Interpreti La Stagione Estiva 2007 alle Terme di Caracalla NABUCCO, TURANDOT, PAGLIACCI ~~ La Locandina ~ ~ Terme Costanzi, 16 - 21 gennaio 2007 Opera inaugurale della stagione 2007 SALOME Musikdrama in un atto Libretto di Hedwig Lachmann (traduzione tedesca del dramma di Oscar Wilde) Musica di Richard Strauss .. Günter Neuhold Prima rappresentazione: Dresda, Konigliches Opernhaus, 9 dicembre 1905 Maestro concertatore e Direttore Regia Regista collaboratore Scene Costumi Movimenti coreografici Disegno Luci Giorgio Albertazzi Tito Schipa Jr. Lorenzo Fonda Elena Mannini Gabriella Borni Alessandro Santini Personaggi / Interpreti Francesca Patanè / Morenike Fadayomi (17, 19/1) Salome (S) Annoshah Golesorkhi Jochanaan (Bar) Reiner Goldberg Erode (T) Graciela Araya Erodiade (MS) Mario Zeffiri Narraboth (T) Paggio di Erodiade (A) Monica Minarelli Primo Ebreo (T) Aldo Orsolini Secondo Ebreo (T) Aldo Bottion Terzo Ebreo (T) Gianluca Floris Quarto Ebreo (T) Ulfried Haselsteiner Carlo Di Cristoforo Quinto Ebreo (B) Robert Holtzer Primo Nazareno (T) Secondo Nazareno (B) Christian Sist Primo Soldato (B) Markus Hollop Secondo Soldato (B) Danilo Serraiocco Uomo della Cappadocia (B) Fabio Tinalli / Francesco Luccioni Una Schiava (B) Piera Lanciani / Susanna CristoFanelli / Arianna Morelli Danzatrici del Corpo di Ballo Alessandra Amato / Francesca Bertaccini / del Teatro dell’Opera Micaela Grasso / Daniela Lombardo ORCHESTRA DEL TEATRO DELL'OPERA In lingua originale con sovratitoli in italiano L’opera sarà preceduta da un Prologo da Oscar Wilde (traduzione e drammaturgia di Giorgio Albertazzi) Voce off Erodiade Erode Salome Personaggi / Interpreti Giorgio Albertazzi Anita Bartolucci Sergio Romano Maruska Albertazzi E Il Salome Giornale dei Grandi Eventi rano alcuni anni che nei corridoi del Teatro dell’Opera di Roma si vociferava della Salome del compositore tedesco Richard Strauss come titolo d’apertura di una stagione. Alla vigilia si dava per certo nelle ultime due stagioni, superata poi, per diversi motivi, dalla Semiramide di Rossini e dal Don Giovanni di Mozart. Ora finalmente a lei spetta l’onore di aprire questa stagione con la regia di un “leone” del Teatro italiano, quel Giorgio Albertazzi, mai piegato ai compromessi, per la quarta volta alle redini di un’opera lirica. In questa edizione la musica di Strauss sarà preceduta da un “prologo” in prosa, della durata di una ventina di minuti, scritto dallo stesso Albertazzi, che vedrà in scena degli attori accompagnati dalla voce narrante fuori campo di Jochannan, interpretato dello stesso Albertazzi. Salome è personaggio narrato fin dai Vangeli, immortalato da numerose opere pittoriche con il piatto d’argento sul quale le viene offerta da Erode la testa di San Giovanni Battista da lei freddamente chiesta. Un personaggio riportato in primo piano nella tradizione letteraria da Oscar Wilde – cui si rifà il libretto di Strauss - come simbolo decadente di fine ‘800. E’ un fantasma della fine di quel secolo, fine che è an- che grande mutamento di costumi, di gusti, conclusione di un’epoca. A dirigere l’orchestra in questo atto unico, non è il maestro Alain Lombard, che purtroppo – come già altre volte – ha dovuto rinunciare all’ultimo momento per motivi di salute, sostituito dal direttore austriaco Günter Neuhold. Le scene sono del pittore-scenografo Lorenzo Fonda , il quale alterna l’attività in teatro con l’arte. Dopo una 3 Le Repliche mercoledì 17 gennaio, ore 20,30 giovedì 18 gennaio, ore 20,30 venerdì 19 gennaio, ore 20,30 sabato 20 gennaio, ore 18,00 domenica 21 gennaio, ore 16,30 serie di ritratti di personalità di altissimo livello (da Madonna a Re Hussein di Giordania), sta attualmente ultimando una grande pala d’altare per la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a San Pietroburgo. Salome, simbolo decadente di un’epoca La vicenda si svolge in una notte di luna a Gerusalemme, nella reggia di Erode tetrarca di Giudea. rità delle sue affermazioni. Per distrarsi, il Tetrarca, invaghito della figliastra, le chiede di danzare per lui: Salome acconsente a condizione che Erode le lasci scegliere la ricompensa. Così, davanti alla coppia regale, Salome inizia la sua celebre danza dei Sette Veli. Al culmine dell'eccitazione per l'erotica esibizione, Erode chiede a Salome quale sia la ricompensa. Ed ella chiede la testa di Jochanaan su un piatto d’argento. Erodiade si compiace della richiesta della figlia, mentre il Tetrarca, inorridito, supplica Salome di accettare una qualsiasi altra ricompensa e arriva ad offrirle anche metà del suo regno purché desista dalla propria richiesta. Ma la giovane è irremovibile. Così Erode, esasperato, si vede costretto a pagare il suo debito e consegna al carnefice l'anello della morte. Questi entra nella prigione, riemergendo poco dopo con la testa di Jochanaan su un vassoio d'argento. Salome riceve il vassoio, contempla la testa sanguinante e le si rivolge con un canto pieno di voluttà, affermando «perché non mi guardasti?...». Poi, al colmo dell’eccitazione, stringe la testa sanguinante, baciandone la bocca. Inorridito, Erode ordina alle guardie di ucciderla. Salome soccombe schiacciata sotto gli scudi dei soldati. La Trama Atto Unico – Mentre Erode banchetta con i cortigiani, si leva nella notte la voce del profeta Jochanaan, rinchiuso prigioniero in una cisterna. Nella reggia si aggira solitaria Salome, figlia della regina Erodiade, che viene attirata dalla voce del profeta e, nonostante gli avvertimenti dei soldati e del capitano Narraboth, innamorato di lei, pretende di vedere il prigioniero. Così Jochanaan viene condotto dinanzi a Salome contro cui scaglia violente invettive. La sua ira è rivolta contro il tetrarca Erode e la moglie Erodiade che hanno macchinato l'assassinio di Filippo, fratello di Erode e primo marito di Erodiade. Mentre il Profeta inveisce, Salome s'invaghisce di lui e accecata dal desiderio non ascolta le sue parole. Narraboth, folle di gelosia, si suicida ai suoi piedi, ma Salome, incurante, continua la sua opera di seduzione. Ma invano, perché il Profeta non si piega e ritorna nella sua prigione. Sopraggiunge Erode, che rimane inorridito per la morte del capitano Narraboth e per le cupe minacce di Jochanaan che si odono provenire dalla cisterna, mentre i giudei si schierano contro di lui e i nazareni difendono la ve- Paccocelere Internazionale. Il nuovo Corriere Espresso di Poste Italiane. Arriva ovunque. Anche a New York. Chiedi nel tuo Ufficio Postale. Raggiunge 190 paesi e 5 miliardi di persone. Veloce, sicuro, conveniente. Il Giornale dei Grandi Eventi I Salome 5 Annoshah Golesorkhi Francesca Patanè e Morenike Fadayomi Jochanaan, ascetico profeta indifferente al fascino di Salome Salome, seduttrice sensuale e vendicativa l baritono Anooshah Golesorkhi presta la voce a Jochanaan. Il cantante, ospite regolare dei maggiori teatri europei e statunitensi, ha debuttato al Metropolitan di New York con il ruolo di Nabucco. Sempre al Metropolitan ha cantato come Scarpia in Tosca, in Rigoletto, come il Conte di Westmoreland in Sly di Wolf-Ferrari, collaborando con Placido Domingo; come Jago in Otello, diretto dal Maestro Gherghiev, come Amonasro in Aida ed Alfio in Cavalleria Rusticana. E' stato protagonista presso la Staatsoper di Vienna (Germont in Traviata), la San Francisco Opera (come protagonista in Arshak II), la Deutscheoper Berlin (Rigoletto, Nabucco, Cavalleria rusticana, I Pagliacci, ed Aida) e ad Amburgo (Macbeth). Reiner Goldberg I Erode, sovrano insicuro e patrigno di Salome l tenore Reiner Goldberg interpreta il ruolo di Erode. Nato a Crostau, ha studiato con Arno Schellenberg alla Musikhochschule di Dresda. I suoi primi ingaggi risalgono al 1967, presso il Teatro Popolare di Salisburgo, e al 1973, presso l’Opera di Dresda, dove, nel 1977, diventa Kammersänger. Nel 1981 è nell’Ensemble di solisti dell’Opera di Berlino, ed inizia la sua carriera internazionale. L’artista si è esibito nei principali ruoli del repertorio tedesco a Vienna, Monaco, Salisburgo, Bayreuth, al Metropolitan di New York, Zurigo, Amburgo, Barcellona, Lisbona. Ha collaborato con i più grandi direttori, quali Herbert von Karajan, Lorin Maazel, Claudio Abbado, Daniel Barenboim, Georg Solti, Giuseppe Sinopoli. Sono numerose anche le sue partecipazioni a concerti cameristici e sinfonico-corali. E Graciela Araya Erodiade, malvagia madre di Salome rodiade è interpretata dal mezzosoprano Graciela Araya. Nata in Cile, l’artista ha debuttato a Santiago nel ruolo di Enrichetta ne I Puritani. Alla Staatsoper di Vienna ha interpretato Octavian nel Cavaliere della Rosa di R. Strauss, la Contessa Geschwitz in Lulu di Berg, Elisabetta nella Maria Stuarda di Donizetti, Donna Maria D’Avalos in Gesualdo di Alfred Schnittke (nella prima esecuzione mondiale, diretta da M. Rostropovich), Orlofsky in Die Fledermaus di J. Strauss. Al Teatro dell’Opera di Amsterdam ha interpretato di Monteverdi il ruolo di Penelope ne Il Ritorno di Ulisse in Patria e di Ottavia ne L’Incoronazione di Poppea; è stata inoltre Cornelia nel Giulio Cesare di Händel, diretto da Marc Minkowski, Clairon in Capriccio di R. Strauss; Agni in Kopernikus di Claude Vivier (in prima esecuzione europea), Maddalena in Rigoletto. Il suo repertorio prevede anche i ruoli di Carmen, Charlotte in Werther, Maddalena in Rigoletto, Federica in Luisa Miller, Concepción ne L’Heure Espagnole di Ravel, Mrs. Quickly in Falstaff, Laura ne La Gioconda, Marcellina ne Le Nozze di Figaro. la protagonista ne La Lupa di Marco Tutino, Herodias nella Salome e Annina nel Rosenkavalier. L a voce di Salome è quella dei soprano Francesca Patanè (16, 18, 20, 21 gennaio) e di Morenike Fadayomi (17 e 19 gennaio). Francesca Patanè proviene da una illustre famiglia di musicisti italiani ed è cresciuta tra Berlino e New York. La sua preparazione musicale è avvenuta presso la Manhattan School of Music. Dopo aver lavorato alcuni anni nel campo della moda come modella è rientrata in Italia dove, avendo partecipato al Concorso Voci Verdiane di Busseto, ha seguito gli stage del M° Carlo Bergonzi. La sua carriera come soprano lirico-spinto inizia a Torino con l’opera Adriana Leucovreur che la vede acclamata protagonista Francesca Patanè sotto la direzione del maestro Daniel Oren. Da allora si è specializzata nel versante drammatico d’agilità, diventando specialista nei ruoli quali Lady Macbeth e Turandot. Tuttavia la duttilità della sua voce le permette di spaziare in un repertorio come Tosca, Manon Lescaut, Il Tabarro, La Forza del destino. L’abbiamo ascoltata lo scorso aprile al Teatro dell’Opera di Roma, come protagonista in La leggenda di Sakùntala. Morenike Fadayomi, nata a Londra, vive tra l’Inghilterra, l’Africa e la Svizzera. La sua attività artistica è iniziata con la danza per proseguire con il canto. Dal 1993 al 1996 è stata solista al Teatro di Basilea, dove ha cantato nei ruoli principali del grande repertorio lirico. Contemporaneamente è stata ospite al Festival Bregenzer, all’Opera del Morenike Fadayomi Cairo, a Vienna, a San Paolo del Brasile, a Tokio, a Bologna, a Ravenna, a Los Angeles. E’ particolarmente apprezzata per i ruoli operettistici, che ha cantato nei principali festival del mondo. Mario Zeffiri Narraboth, vittima del fascino della principessa N arraboth è interpretato dal tenore Mario Zeffiri. Il cantante è nato ad Atene, dove si è laureato in Giurisprudenza e ha iniziato lo studio del canto. Grazie ad una borsa di studio della fondazione "Maria Callas" ha continuato gli studi musicali in Italia. Membro dell'Accademia del Teatro della Scala, ha avuto come maestro Alberto Zedda. Predilige la vocalità del belcanto italiano ottocentesco e del barocco italiano e francese. E' stato invitato nei più importanti teatri nazionali ed internazionali; in particolare, per il Teatro dell'Opera di Roma ha eseguito la Messa di Gloria di Rossini, diretto da J. Lopez Cobos, ha debuttato nel ruolo di Argirio nel Tancredi; recentemente, nel 2006, ha interpretato il ruolo di Evino ne La Sonnambula. Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto: Corrado M. Falsini Salome 6 Il Giornale dei Grandi Eventi Storia dell’opera Censurata a Vienna, in scena con successo a Dresda L a Salome di Strauss fu composta a partire dal 1903. Pochi mesi prima il compositore bavarese aveva avuto modo di assistere, al Kleines Theater di Berlino, ad una rappresentazione dell’omonima tragedia di Oscar Wilde con la regia di Max Reinhardt e Gertrud Eysoldt nel ruolo della protagonista. Il dramma di Wilde, originariamente scritto in francese, venne Richard Strauss dato per quell’occasione nella traduzione in lingua tedesca di Heidwig Lachmann. Strauss rimase folgorato dal soggetto e ne affidò immediatamente la riduzione librettistica al poeta viennese Anton Lindner, che era già stato autore del testo dell’Hochzeitlich Lied (canzone nuziale), presente nella raccolta straussiana dei lieder op. 37. Anton Lindner iniziò subito a lavorare, ma la prima bozza che inviò a Strauss non piacque affatto al compositore, il quale lo sollevò dall’incarico. «Niente libretto di tipo tradizionale!», affermò il compositore «Comincerò direttamente col testo di Wilde: “Com’è bella questa sera la principessa Salomè”» e si mise lui stesso a lavoro, conscio che avrebbe saputo far meglio da solo. Il te- sto del libretto rimase piuttosto fedele alla traduzione dell’originale francese, se non per qualche taglio dettato dalle esigenze della musica. Strauss fu impegnato nella stesura dell’abbozzo dai primi mesi del 1902 al settembre 1904, poi fino al giugno 1905 si dedicò all’orchestrazione. Terminata l’opera bisognava mandarla in scena. Naturalmente Strauss aveva in mente Vienna, ma la storia fu diversa. Il compositore partì per la città austriaca, confidando nell’aiuto di Mahler, al tempo direttore artistico dell’Hofoper Theatre. Ma giunto in città, iniziarono a manifestarsi le prime difficoltà. Mahler fece notare che il calendario della Hofoper di Vienna era tutto occupato, per le celebrazioni dell’onomastico dell’Imperatore Franz Joseph (4 ottobre) e per il 150° anniversario della nascita di Mozart (27 gennaio 1906). Su suggerimento dello stesso Mahler, Strauss si rivolse al direttore del Deutsches Volkstheater - secondo teatro viennese Rainer Simons, il quale rifiutò di rappresentarela nel suo teatro per motivi di censura. L’11 ottobre Mahler comunicò al compositore che la censura avrebbe vietato l’opera in tutta Vienna per motivi morali e religiosi. Al fine di aggirare la censura Mahler suggerì, come estremo tentativo, di mutare il nome di Giovanni Battista in “Bal Hanaan”. L’escamotage però fu presto smascherato dai giornali che sollevarono un gran polverone. Il 25 ottobre 1905, il giornale “Illustriertes Wiener Extrablatt” ricordò che al tempo della direzione artistica di Wilhelm Jahn, predecessore di Mahler alla Hofoper, la censura aveva vietato tre opere che offendevano la religione e lo Stato: Herodiade (1881) di Massent, I medici (1893) di Leoncavallo e Andrea Chenier (1896) di Giordano. Era la fine di ogni speranza per la Salome a Vienna. Il 31 ottobre arrivò formalmente il preannunciato rifiuto da parte del capo censore Emil Jettel von Ettenach, con la motivazione «la rappresentazione scenica di eventi rientranti nel dominio della patologia sessuale non si addice ai nostri teatri di corte…». Strauss alla prima prova per restituire le parti, la cui difficoltà vocale sembrava loro insormontabile. Tuttavia l’entusiasmo mostrato da Karl B u r r i a n Manifesto prima edizione di Salome (Erode) ma il ritocco fortunatache già aveva imparato mente non fu inserito la propria parte a memonella partitura a stampa. ria - incoraggiò gli altri colleghi e le prove poteCritiche solo morali rono effettivamente iniziare. Il ruolo di Salomè Aneddoti a parte l’opera fu quello che creò le ebbe un ottimo consenso maggiori difficoltà: il sodi pubblico e le poche criprano wagneriano Marie tiche che seguirono furoWittich, suggerita a no esclusivamente di tipo Strauss direttamente da morale. Nel 1096 andò in Da Vienna a Dresda Cosima Wagner, aveva scena al Comunale di problemi ad interpretare Breslvia con la cantante Fortunatamente però la scabrosa parte di della croata Fanchette Strauss aveva proposto principessa sedicenne. Verhunc, la prima ad esel’opera anche a Dresda, Spesso la Wittich alla guire personalmente la dove non ci furono partiprove si mostrava seccaDanza dei Sette Veli. In Itacolari problemi. Salome ta dalle richieste del regilia il debutto dell’opera fu andò, così, in scena il 9 sta di un atteggiamento il 23 dicembre 1906 a Todicembre 1905 al Köniai limiti della decenza. rino, diretto dallo stesso gliches Opernhaus, con All’indignato grido Strauss, ma anticipato di la direzione di Ernst Von «Questo non lo faccio, sono qualche ora da una prova una donna per bene», seSchuch, ottenendo uno generale pomeridiana, guì il secco rifiuto di successo strepitoso. Il caaperta al pubblico, alla spogliarsi sulla Scala di Milano, diretta scena durante la da Arturo Toscanini. Danza dei Sette In occasione della ripresa Veli. Alla fine per all’opera di Dresda, 25 quella scena la anni dopo la sua compocantante fu sostisizione, Strauss apportò tuita da una balalcuni ritocchi alla strulerina, espedienmentazione e chiarì come te che sarà riperealizzare la Danza dei tuto da molte alSette Veli: «una danza tre interpreti. orientale pura e semplice, Un altro gustoso più seria e moderata che si aneddoto racconpossa, assolutamente decenta che il conte te, eseguita quanto più posVon sibile sullo stesso posto, quaMarie Wittich prima interprete di Salome Nikolaus Seebach - sovrinsi sopra un tappeto di oratendente dell’opera di st era composto da Mazioni». Una esecuzione, rie Wittich nel ruolo di Dresda – era preoccupato dunque, ben lontana daSalomè, Karl Burrian in dell’ilarità che avrebbe gli eccessi seduttivi e sesquello di Erode e Carl suscitato il suono framsuali a cui ci hanno abiPerron in quello di Jokamentato del contrabbastuato le lascive rapprenaan, con la regia di Wilso solo, nel passo in cui sentazioni succedutesi li Wirk e un orchestra di questo strumento imita la negli anni, poco attente 102 elementi. Nonostanlussuria di Salomè in atalle reali intenzioni delte le difficoltà sorte nelle tesa della decapitazione l’autore. Eccessi che però prove, anche i cantanti del Battista. Durante le con il tempo si sono conottennero un buon sucprove il Conte chiese al solidati in una prassi esecesso personale. Alcuni compositore di coprire cutiva, ormai attesa anche aneddoti narrano che gli quel suono e Strauss agdal pubblico. giunse il corno inglese, artisti si recarono da Claudia Capodagli Il Salome Giornale dei Grandi Eventi A 7 Analisi Musicale Salome, uno scandalo fortunato lla prima berlinese di Salome l’imperatore Guglielmo II, scandalizzato dall’argomento, dichiarò che Strauss si era molto danneggiato componendo un’opera così amorale. Molti anni dopo, Strauss annotò, riprendendo la frase del Kaiser: «Ma come? Grazie a Salome mi sono fatto costruire la mia villa di Garmisch!». Quirino Principe, attento e acuto studioso di Strauss, ricorda un altro significativo aneddoto che risale all’aprile del 1945 quando le truppe americane occuparono Garmisch. Un ufficiale statunitense, il maggiore Kramers, aveva scelto la splendida villa del musicista come quartier generale e voleva dunque che l’artista se ne andasse con tutta la sua famiglia. Il nipote diciottenne di Strauss affrontò il militare: «Lei non sa che mio nonno è l’autore di Salome e del Rosenkavalier?». A quelle parole il maggiore Kramers si inchinò e si ritirò. Due episodi che dimostrano la fortuna arrisa a Strauss grazie proprio a Salome (ed al Cavaliere della Rosa). In effetti l’opera ispirata al dramma di Oscar Wilde costituì un momento fondamentale nella carriera di Strauss. Reduce dal grande successo incontrato nel campo del poema sinfonico, ma anche da due avventure teatrali non entusiasmanti (Guntram e Feuersnot) proprio con Salome Strauss si impose come uno dei più geniali autori di teatro del primo Novecento. L’atto unico Il primo elemento di novità è costituito dalla scelta dell’atto unico, sulla scia dell’esperienza già vissuta con Feuersnot. L’atto unico non era nella tradizione tedesca, abituata, anzi, agli interminabili drammi wagneriani. Il modello era, caso Casa di Strauss a Garmisch mai, italiano con Cavalleria rusticana che pochi anni prima (1890) aveva entusiasmato l’Europa e che aveva annoverato fra i suoi più accesi estimatori anche Gustav Mahler, grande amico di Strauss. L’atto unico consentiva una efficacia drammaturgica notevole, una narrazione essenziale. Strauss ne fece tesoro non solo in Salome” ma anche nella successiva Elektra. Il debito nei confronti di Wagner si vede essenzialmente nella struttura interna e nella orchestrazione. La struttura privilegia il discorso musicale aperto, con il ricorso al leitmotiv come elemento costruttivo delle trame musicali, di natura più sinfonica che lirica. E poi l’orchestra, ampliata ed estremamente dinamica sul piano del colore. Percussioni infoltite, organo ed armonium a dare corposità, nutriti archi e fiati variati con l’inserimento dell’”Heckelphon”, un tipo di oboe baritono costruito nel 1904 e usato anche in Elektra. Di natura wagneriana, ancora, l’eccesso di cromatismi, la verbosità armonica con un uso sempre più acceso della dissonanza. Ma qui la natura delle scelte è di segno differente. Il cromatismo non è, come in Tristano, segno di una sensualità calda e profondamente umana, ma l’affermazione gridata di un erotismo sfrenato, voluttuoso, calato in atmosfere esotiche, di sapore orientaleggiante. E l’armonia è più aggressiva, tagliente, urtante: non è in gioco l’impossibilità di amarsi da parte di Tristano e Isotta (le dissonanze irrisolte), è in campo tutt’altro: il gusto per il macabro, la necrofilia, una passione sfrenata e immorale. Nell’offrirci il quadro di un ambiente decadente e votato all’inferno, Strauss si Richard Strauss lasciava inevitabilmente alle spalle il tardoromanticismo per abbracciare il nascente espressionismo. Si guardino le date: Salome è del 1905, Elektra del 1909, lo stesso anno di Erwartung con cui Schoenberg varò il teatro espressionista, appunto. Orgia di suoni Magnifico manipolatore della strumentazione (il virtuosismo orchestrale fu una delle doti peculiari di Strauss: basti pensare alla varietà espressiva e formale dei suoi poemi e alla incredibile ricchezza di sfumature delle sue tavolozze timbriche) fu abile nel giocare con le voci abbandonandole al canto lirico, ma obbligandole anche a urla terrificanti. Si pensi all’austera vocalità di Jochanaan, oppure alla capricciosa voluttà di Salome o ancora alla complessa figura (vocale e psicologica) di Herodes combattuto da atteggiamenti differenti. Strauss, insomma, costruì con Salome una partitura perfetta nei suoi contrasti interni e soprattutto un geniale dramma teatrale che rinuncia a qualsiasi preludio introduttivo, si apre nel silenzio e poi trascina lo spettatore in un’orgia di suoni che ha il suo momento culminante nella strepitosa “Danza dei sette veli”: un saggio di orchestrazione in un crescendo di tensione (il pensiero corre, pur nella consapevolezza di due situazioni musicali ben differenti, al Bolero raveliano) e di vitalità orgiastica assolutamente straordinario. A Salome, come si è detto, seguì Elektra, più o meno sulla stessa strada musicale (la novità era rappresentata dall’ingresso, come collaboratore, del poeta Hoffmansthal). E poi nel 1911 arrivò Der Rosenkavalier con il quale Strauss seppe mutare totalmente rotta, rinverdendo la propria fortuna, ma soprattutto, dimostrando che l’itinerario seguito nei suoi due precedenti atti unici, così violento ed esasperante, aveva il valore di una rottura, premessa necessaria ad una nuova “armonia”, interiore ed esteriore. Alla “danza dei sette veli” subentrava la nostalgia sognante del “Valzer del Cavaliere della rosa”. Strauss poteva serenamente ampliare i propri possidenti a Garmisch. Roberto Iovino Salome 8 Il Giornale dei Grandi Eventi La danza nella letteratura M Da sempre a cavallo tra ritualità omento di incontro a scopo rituale, occasione di puro divertimento, atto creativo con finalità estetiche proprie, la danza nella letteratura ha assunto nei secoli significati simbolici differenti. Nella Bibbia non è soltanto l’episodio di Salomè a soffermarsi sulle armoniose movenze di un corpo che cede al richiamo musicale per disegnare nell’aria arabeschi che magicamente diffondono nell’atmosfera energia e sensualità. C’è anche la gioia collettiva – che diviene ballo delle donne del popolo d’Israele mentre acclamano David vittorioso sul nemico, causando l’invidia di Saul: «… le donne danzavano e cantavano alternandosi “Saul ha ucciso i suoi mille, David i suoi diecimila”…» (Samuele 1-18). O ancora il tripudio festoso e danzante degli Ebrei di fronte al vitello d’oro, che accende questa volta l’ira di Mosè, reduce dalla montagna e furioso di fronte alle manifestazioni incontrollate della sua gente in onore dell’idolo pagano. (Esodo, 32-6). O, infine, la danza individuale dello stesso David, che si lascia andare a suon di tromba dinanzi all’Arca del Signore (Samuele, 2-14). Nella tradizione classica Ma è la tradizione classica greca e romana a fornire le prime interpretazioni culturali ed antropologiche del fenomeno. L’importanza della danza nella vita di allora si riflette anche nella ricchezza linguistica a riguardo (in latino esiste una terminologia assai varia per designare i vari tipi di ballo), indice anche del ruolo primario e onnipresente che essa rivestiva in ogni performance di carattere musicale: la parola “orchestra” deriva da “orcheo”, ballare in greco, e “coro” delle giostre festose e danzanti descritte da Lorenzo il Magnifico e dal Poliziano nel secolo successivo. Nel Rinascimento da “choros”, danza in giro accompagnata da canti. Platone attribuisce al ballo un ruolo fondamentale nell’educazione dei giovani: «la musica riesce a mettere in relazione due anime facendole vibrare in maniera identica. E’ un ponte che getta l’uomo di là da un abisso per raggiungere un altro uomo». Parole bellissime che il filosofo greco scrive nel secondo libro delle “Leggi” e che riprende nel settimo, tornando a riflettere sull’importanza della musica nella formazione giovanile, in cui danze e cori appaiono momenti di aggregazione fondamentali per la crescita del cittadino. Esiodo nella “Teogonia” ci offre un’immagine elegantissima delle fanciulle sul monte Elicona che, coi «piedi delicati», si muovono armoniosamente sulle note di una melodia attorno alle sorgenti, mentre Virgilio descrive un più virile e atletico ballo rituale nel brano dell’ Eneide in cui racconta i funerali di Anchise. Nella tradizione cristiana Nel simbolismo cristiano medievale fa invece la sua comparsa il tema iconografico della danza dei beati e degli angeli, che ritroviamo ovviamente nel Paradiso dantesco: nel settimo canto, gli “spiriti attivi” si muovono «come pesci in peschiera» manifestando la loro gioia con aumento di fulgore; nel decimo gli “spiriti attivi”, disposti in tre corone concentriche, danzano intorno a Dante e Beatrice come «donne non da ballo sciolte». Corrispettivo in negativo delle carole angeliche è la “Danza Macabra”, topos figurativo e letterario con funzione di “memento mori”, che si diffonde nel tardo Medioevo, soprattutto in seguito alla grande peste del 1348: scheletri – personificazioni della morte che eguaglia - ballano insieme ad uomini abbigliati in modo da rappresentare le diverse categorie della società dell’epoca. Ed è ancora per esorcizzare il terribile morbo che, nella cornice del Decameron, i dieci ragazzi ingannano il tempo con movimenti coreografici a suon di musica: nell’autunno del Medioevo il tema riconquista con il Boccaccio la sua valenza profana come momento di spensieratezza associato soprattutto alla giovinezza e anticipa così lo spirito carnascialesco Nel Cinquecento si afferma la danza di corte, in cui passi e posizioni dei ballerini vengono disciplinati in codici che costituiscono parte integrante dell’educazione degli aristocratici: nel Cortegiano, Baldassar Castiglione traccia il ritratto ideale della nobildonna: «…abbia ella notizie di lettere, di musica, di pittura e sappia danzar e festeggiare» (libro III, cap. IX). A poco a poco la danza va affermando la propria identità artistica all’interno di un mondo, quello del teatro, che troverà il suo apogeo nella spettacolarità del L’ Barocco. La letteratura teatrale stessa è ricchissima di riferimenti in proposito: basti pensare alla scena shakesperiana del ballo in cui Romeo e Giulietta si conoscono e si innamorano. Un intero campionario delle danze in voga nel Seicento è contenuto inoltre nel ventesimo canto dell’ Adone, il più lungo poema della letteratura italiana: anche in questo caso il Marino non smentisce la consueta creatività verbale ritraendo il “contrapasso”, la “gagliarda”, la “sarabanda”, la “ciaccona” e il “riddon” con sfoggio di metafore e lessico pirotecnico, per terminare con un assolo di Tersicore, musa protettrice della Danza. Celebre, nelle Grazie del Foscolo, la descrizione del ballo di una Danze orientali, nuova Le Salome del T aspetto più evidente, ed erotico, è la scoperta del ventre. Dimenticato sotto ai maglioni, mortificato dalla cintura a vita bassa che lo fa intravedere, il ventre scoperto è un’immagine che riporta al benessere estivo. E alla Danza del Ventre, che rivaluta i centri di gravità permanente e gli ombelichi del mondo, li esalta e ci ricorda che, molto prima di volerlo piatto ad ogni costo grazie a penalizzanti “diete mangiagrassi”, il ventre è sorgente di vita, simbolo della donna madre, della fecondità e delle fertilità. Aspetti che derivano dal passato remoto delle “Danze Orientali”, nome esatto rispetto “Danza del Ventre”, soprannome inventato dai viaggiatori occidentali quando secoli fa videro danzare liberamente le donne in Oriente. Colpiti, allora come oggi, dalle incredibili vibrazioni del ventre di danzatrici che pur ferme, sembrano volare, come se la magia prendesse possesso del corpo con il ritmo della musica. Il nome più esatto di questa danza è “raks el sharqi”, danza orientale, praticata anche da uomini e dotata di molti aspetti e varianti in base agli strumenti che si usano (veli, bastoni, cimbali) ed ai Paesi di provenienza. Soprattutto negli ultimi anni la Danza Orientale ha trovato terreno fertilissimo in tutta Italia, per moda, ma non solo: è paragonabile, infatti, a una ginnastica dolce, agisce sulle articolazioni e dà molti benefici, a partire dal rilascio delle tensioni muscolari. E poi determina un miglioramento della circolazione sanguigna, a livello psicologico favorisce l’acquisizione di una maggiore Il Salome Giornale dei Grandi Eventi à e seduzione delle tre fanciulle: «Ma se danza, vedila! tutta l'armonia del suono/scorre dal suo bel corpo, dal sorriso/della sua bocca; e un moto, un atto, un vezzo/manda agli sguardi venustà improvvisa…»(Vesta). Nell’Ottocento recuperano la tradizione medievale della Danza Macabra Goethe, con una grottesca ballata (“La danza della morte”) in cui un campanaro assiste ad una coreografia notturna di zombie, e Baudelaire con una lirica contenuta nei “Fiori del Male” in cui le piroette grottesche di una donna ridotta a scheletro sono occasione per una profonda riflessione sulla fugacità della vita. Se la festa da ballo è una delle scene topiche della grande narrativa ottocentesca (pensiamo soltanto a Flaubert, Stendhal, Tolstoj, Hugo), l’immagine più impressa nei ricordi delle letture infantili è quella delle scarpette rosse, emblema della ribellione adolescenziale, nella fiaba omonima di Andersen. Ballerino e cantante in gioventù, nonché figlio di un calzolaio, lo scrittore danese aveva seguito con gran- de interesse la nascita e l’evoluzione delle scarpette da punta che proprio nei primi decenni del diciannovesimo secolo facevano la loro comparsa sulle scene europee. Tra le numerose opere dedicate al tema nella narrativa novecentesca, infine, ricordiamo Festa da ballo di Francis Scott Fitzgerald che ritrae con vivacità, attraverso gli occhi della protagonista, l’energia elettrizzante e contagiosa delle 9 nuove danze del secolo: «… Cominciò a ballare. Non avevo mai visto niente di simile prima di allora…Era il Charleston… Ricordo il doppio ritmo di tamburo simile a un grido… e l’inconsueto oscillare delle braccia e il bizzarro effetto dell’incrociarsi delle ginocchia… Quella musica selvaggia mi aveva turbata già dalle prime battute… Per poco non gridai quando, incidentalmente, una mano mi sfiorò la schiena!». Ines Aliprandi Cuore dell’opera di Strauss La sensuale danza dei Sette Veli L passione anche in Italia Terzo Millennio consapevolezza corporea, di un senso di rinascita e di riscoperta della femminilità. La musica d’accompagnamento amplifica le potenzialità terapeutiche della danza ed è di per sé un elemento benefico e curativo: possiede peculiarità, studiate nell'ambito della musicoterapia, che hanno influenze fisiche e psichiche definite di "effetto di rilassamento". Forse ciò che la fa più apprezzare, oltre ad esaltare la propria sensualità, è che la Danza del Ventre può essere iniziata a qualunque età. Diversamente dalle altre danze occidentali già in un anno di studio si riesce a ottenere un livello discreto in quella che è considerata espressione perfetta del femminino (ecco perché nella danza del ventre riescono bene anche le europee!). A diffondere l’arte antica, che fu anche di Salomè, è oggi un fiorire di Mouna, Aziza, Amar, Noor, Anahita, non odalische del Terzo Millennio, ma danzatrici-insegnanti molto spesso italiane che, abbracciata l’arte orientale, si identificano e totalizzano col nuovo mondo. «Perché la danza orientale è un’arte e come ogni arte consiste in tre cose: la teoria, la pratica ed il cuore», dicono gli esperti. Il primo atto di amore, infatti, lo si deve compiere verso sé stessi, scegliendo anche un nome arabo non per rinnegare la propria identità, ma per abbracciare una nuova vita. Le prossime adepte hanno l’imbarazzo della scelta: se ci si sente “principesse” ci si può ribattezzare Amira, Amina se “donna di pace e di armonia”, o Jamilah e Jumanah se “bella ed elegante” o “perla”. Monica Corbellini a danza dei Sette Veli si ricollega ad antichi miti orientali ed è strettamente connessa alla figura della divinità mesopotamica Ishtar, Grande Madre e dea dell’Amore venerata ad Uruk. Per nulla considerata una manifestazione di “lussuria”, la danza aveva un forte carattere rituale, di grande sacralità. Secondo il mito la dea Ishtar, recatasi nell’Oltretomba alla ricerca del marito Tammuz, per poter varcare ciascuno dei sette cancelli degli Inferi, fu costretta da un Demone a togliersi uno ad uno i sette veli che indossava, fino a rimanere completamente nuda. Solo dopo aver ceduto l’ultimo velo la dea poté riabbracciare il suo amato ed ottenere che per tre mesi l’anno Tammuz potesse tornare sulla terra. Non è difficile ravvisare nella leggenda uno dei tanti miti che rimandano al ciclo della fertilità, al ritorno della vita-primavera dopo la morte-inverno, ma Ishtar potrebbe rappresentare anche la Verità, che non ha bisogno di veli… Infinite, poi, le simbologie legate al numero Sette, fin dall’Antichità considerato magico e misterioso, il risultato della somma del 3 (lo spirito, il maschile) con il 4 (la materia, il femminile): i sette sigilli, il candelabro a sette luci, e poi i chak- ra, i cieli del sistema tolemaico, i sapienti, le maraviglie del mondo… Anticamente la danza dei Sette Veli era anche parte di un dramma sacro in cui la sacerdotessa che rappresentava la Dea era chiamata Salomè, ovvero “Pace”, dalla parola ebraica Shalom. Come spesso avviene tuttavia le leggende si intersecano, stratificano fino a confondersi in numerose versioni. Nella Bibbia Salomè è Maruska Albertazzi nella danza dei Sette pure identificata Veli nel “Prologo” di Salomè come una delle Tre elusivo nella sua sensuaMarie ai piedi della croce lità, permea di sé l’intera ed i suoi veli rappresentaopera e culmina proprio no in questo caso i vari linella danza dei Sette Veli. velli dell’apparenza mateIl ritmo di questa danza è riale, della nostra perceziopercepibile nel testo stesso, ne sensibile, che vengono a pervaso da una musicalità poco a poco abbandonati diffusa, in cui la parola cesnel progressivo avvicinarsi sa di essere descrittiva, preal cuore del Mistero. cisa, univoca: la tessitura Ma nei passi biblici più nopare una polifonia di frasi ti si carica di erotismo l’epimusicali; non domande e sodio di Salomè, figlia di risposte coerenti, ma un Erodiade, che danza per fluire continuo di trame socompiacere la lussuria di nore, fluttuanti e instabili Erode ed ottenere da lui in come lo sono i corpi in mocambio la testa del Battista. vimento, soprattutto quelli Ed è a questa interpretazioche accettano di perdere la ne che si riallaccia Oscar propria autocoscienza per Wilde nella sua rivisitaziofluidificarsi nella malincone teatrale del mito, in cui nia dell’amore… la rappresentazione del I. A. corpo, ora invadente, ora Salome 10 Il Giornale dei Grandi Eventi Le metamorfosi del personaggio S Salome nella tradizione letteraria ul finire del I sec. d. C. è lo storico Giuseppe Flavio nelle sue Antiquitatum Iudaicarum a darci notizia di Salfime come figlia di Erodiade ed Erode Filippo. Quando nel 28 d.C. Erode Antipa, fratello di Filippo, sposato con la figlia del re arabo Areta e governatore romano delle regioni della Galilea e della Perea, fece un viaggio a Roma, conobbe la cognata Erodiade e ne nacque una reciproca passione. Unendosi Erodiade in concubinato con Erode Antipa, Salfime entrò nella casa dello zio-patrigno. Nessuno osò protestare contro il pubblico scandalo, tranne Giovanni il Battista. L’episodio, associato a Salfime, lo troviamo citato per la prima volta nelle Sacre Scritture e precisamente nel Nuovo Testamento. E? nei Vangeli di Marco e Matteo che compare la figlia di Erodiade come colei che chiese, sotto ordine della madre, la testa di Giovanni Battista su un vassoio d’argento. Tutto ciò che emerge dai testi sacri riguardo a Salfime - di cui peraltro non viene menzionato il nome - è la figura di una fanciulla completamente asservita al volere della madre, della quale rappresenta lo strumento di vendetta nei confronti di colui che ha osato giudicarla. Nel tardo Medioevo due grandi poeti allusero alla fanciulla danzatrice, ma anch’essi senza farne il nome: Dante (Paradiso, XVIII, 135) e François Villon nella Double ballade. Erodiade amante del Battista In età romantica Heinrich Heine si allontanò dal contesto tradizionale, introducendo il motivo d’amore come movente della richiesta della testa del Battista da parte della vendicativa Erodiade. Nel suo Atta Troll Erodiade, colpevole della morte del Battista di cui era segretamente innamorata, appare nella cavalcata degli spiriti che si vedono dalla Oscar Wilde in costume da Salome finestra della strega Uraka. Erodiade diventa, dunque, un’eroina moderna, “malata” d’amore, un amore violento e irrazionale. La Salomè di Oscar Wilde è senza dubbio figlia di questa visione. A fine Ottocento circolavano a Parigi tante Salomè. Matteo, 14, 1 - 12 Tra le versioni che Oscar Wilde senza dubbio conobbe, vi furono Herodias e Salambò di Gustave Flaubert. In Herodias Flaubert si mantiene fedele alla fonte Biblica, seppur arricchendola di particolari narrativi e facendo della danza di Salomè il punto focale del racconto. I Vangeli In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui». Erode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di Erodiade, moglie di Filippo, suo fratello. Giovanni, infatti, gli diceva: «Non ti è lecito tenerla». Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo perché lo considerava un profeta. Venuto il compleanno di Erode, la figlia di Erodiade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re ne fu contristato, ma a causa del giuramento e dei commensali ordinò che le fosse data e mandò a decapitare Giovanni nel carcere. La sua testa venne portata su un vassoio e fu data alla fanciulla, ed ella la portò a sua madre. Marco, 6, 17 - 29 Erode, infatti, aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, che E’ ancora Erodiade però il personaggio principale, la cui figlia, Salomè, non è altro che uno strumento nelle sue mani, indispensabile al fine di realizzare la sua vendetta nei confronti del Battista. Nel romanzo Salambò la protagonista è invece una giovane fanciulla, una bellissima vergine devota della luna: Salambò, appunto, figlia del re cartaginese Amilcare. La Salomè di Wilde riprende molto pure da questa fanciulla: anch’essa amante della sua verginità, devota della luna, insoddisfatta dal mondo che la circonda e incapace di affrontare la nuova realtà che attraverso il profeta Battista le si presenta dinanzi. La difesa della propria castità diventa un’ossessione, origine di morbose fantasticherie nella Erodiade di Stèphane Mallarmé. In questo lavoro, come in Heine, Erodiade si sovrappone al personaggio di Salomè, realizzando una fusione emblematica tra le due figure femminili. Sempre in clima decadente, Ju- egli aveva sposato. Giovanni diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello». Per questo Erodiade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodiade, danzò e piacque ad Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le fece questo giuramento: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». La ragazza uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista». Il Re ne fu rattristato; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto. E subito mandò una guardia con l’ordine che gli fosse portata la testa. La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre. les Laforgue dedica una della sue Moralitès Legendaires al personaggio di Salomè: si tratta però di una Salomè squisitamente caricaturale, un’abile parodia del mito della principessa ebrea, svuotato di tutto il suo contenuto tragico. La Salome di Oscar Wilde Nel 1893 venne pubblicata contemporaneamente a Parigi ed a Londra la Salomè di Oscar Wilde. La tragedia fu composta da Wilde a Parigi subito dopo il successo londinese de Il ventaglio di Lady Windermere, nel corso dei due mesi che nell’autunno del 1891 lo scrittore irlandese trascorse nella capitale francese. Il personaggio di Salomè ossessionava all’epoca la mente di Wilde per la sua complessa natura di mistica: vergine innocente e casta ed al tempo stesso esempio supremo dell’incarnazione crudele della bellezza. La sua, in particolare, diventa una Salomè non più strumento passivo nelle mani della madre conferendole per primo una propria vita, un proprio protagonismo. La giovane fanciulla sarà separata nettamente dalla figura della madre e caricata di quella lussuria necrofila che, dopo Wilde e Strauss, non possiamo più separare dalla sua immagine e dalla sua danza. Salomè si muove ora solo nel proprio interesse, per poter richiedere ciò che lei in prima persona desidera. Nella tragedia di Wilde, infatti, rivolgendosi al tetrarca, afferma: «Io non ascolto mia madre. E’ per me stessa che io chiedo la testa di Jokanaan in un bacile d’argento». Nella danza dei sette veli Salomè è divenuta energia libera, significante fluttuante, in movimento nel magico regno del desiderio e della seduzione. Dotato di concisione verbale e linearità narrativa, basato su profondi contrasti interiori, il dramma di Wilde, come lo stesso Strauss affermò dando inizio al suo lavoro, «reclama la musica!». Silvia Mendicino Il Salome Giornale dei Grandi Eventi 11 L’autore del poema alla base del libretto U Oscar Wilde: ritratto di un dandy mesi gli editori fanno a n nome altisogara per accaparrarsi il nante ed eccentrisuo Poems (1881). Affaco come il persoscinato dall’estetismo, naggio che lo indossa, segue le evoluzioni di Oscar Fingal O'Flaherty questa corrente filosofica Wills Wilde, nasce a Due letteraria ispirandosi a blino il 16 ottobre 1854. Il John Ruskin ed a Walter padre, Sir William, è un Pater. I suoi atteggiainsigne oculista, la mamenti sregolati e dissoludre, Jane Francesca Elti stuzzicano la critica e gee, è un’emancipata l’opinione pubblica. Uno donna di cultura ed alla nascita di Oscar il salotto dei Wilde è un crogiuolo di saperi ed opinioni, un punto di riferimento per la Dublino colta di metà Ottocento. Dopo aver collezionato brillanti risultati al Trinity College della capitale irlandese, il giovanissimo Wilde viene mandato a Oxford, dove si distingue nello studio dei classici e per il particolare abbigliamento che sfoggia nelle aule. I pantaloni di velluto e le collane di piume sbigottiscono i professori ed accendono i rifletto- Oscar Wilde nel 1882 ri su quell’eccentrico dei suoi celebri aforismi ragazzo venuto dall’Irdiventa così la sua maslanda. Dopo la laurea, sima per la vita: «Per ennel 1880 si trasferisce a trare nella migliore soLondra, dove in pochi N cietà, oggi, bisogna servire buone colazioni alla gente. Divertirla o scioccarla, nient’altro!». I viaggi, le amicizie La popolarità del giovane Wilde accresce grazie alle vignette pubblicate dal giornale umoristico “Punch” ed alla satira teatrale del librettista William Gilbert, che nelle sue opere-parodie prende di mira l’estetismo e le sue frivolezze. L’occasione per un ciclo di readings negli Stati Uniti permette allo scrittore irlandese di conoscere alcuni tra i più importanti esponenti della letteratura statunitense dell’epoca. Tornato in Europa, Parigi diventa la sua seconda casa. Quì subisce il fascino letterario di Balzac ed ha modo di incontrare Victor Hugo, Paul Verlaine ed Emile Zola. Mentre frequenta i salotti dei Mardis de la rue de Rome, redige i suoi due primi drammi romantici, Vera (1883) e The Duchess of Padua (1883). Diventa amico dell’attrice Sarah Bernhardt, per la quale inizia a scrivere Salomé. Nel 1884 si sposa con Constance Lloyd, figlia di un importante avvocato, dalla quale ha due figli. Grazie a loro, Wilde si dedica alla stesura di racconti e fiabe, raccolti nel celebre The Happy Prince and Other Tales (1888). In questo periodo di forte ispirazione, lo scrittore partorisce le sue opere più celebri: del 1891 sono i racconti Lord Arthur Savile’s crime and other stories e il suo unico e illustre romanzo Il ritratto di Dorian Gray, perfetta sintesi dei principi estetici, da lui incarnati. Nei successivi cinque anni, scrive le commedie che lo portano al successo teatrale: Lady Windermere’s fan (1892), A woman of no importance (1893), An ideal husband (1895), e The importance of being Earnest (1895), ritratto satirico dell’alta società. Già dal 1893, però, la sua vita privata inizia ad alienargli i favori di quei salotti che egli schernisce con ironia. A Londra si vocifera della relazione con Lord Alfred Douglas, figlio ribelle del Marchese di Queensberry e giovane poeta, che nel 1894 traduce in inglese il suo Salomé. Dopo le denunce del padre di Alfred, irritato per il coinvolgimento del nobile nome di famiglia nello scandalo, Wilde subisce una condanna per omosessualità e viene recluso per due anni nel carcere di Reading. In prigione, scrive The ballad of Reading Gaol (1897) e l’amaro De Profundis (1897), raccolta di brani estrapolati da una lettera scritta al suo amore clandestino. Scontata la pena, si stabilisce a Parigi, dove, rimasto con pochi spiccioli, dorme all’hotel d’Alsace e si fa chiamare Sebastian Melmoth. Alla morte per meningite, il 30 gennaio 1900, il suo vero nome cessa di essere una condanna ed entra nella leggenda. Ja. Ma. La nuova Opera venne inaugurata nel 1985 con Der Freischutz di Carl Maria Von Weber e da allora è un susseguirsi di successi dovuti soprattutto all’eccellenza dell’Orchestra, la Sächische Staatskapelle Dresden, tra le più importanti del mondo intero ed al valore artistico dei Maestri che si contendono l’onore di dirigerla. La tradizione è, infatti, di tutto rispetto. Hanno diretto la Staatskapelle geni immortali come J. Sebastian Bach, Christoph Gluck, Domenico Cimarosa, Wolfgang Amadeus Mozart, Carl Maria von Weber, Richard Wagner, Johann Brahms, Hector Berlioz, Richard Strauss. Grazie alla tradizione musicale della città e all’alta qualità artistica degli interpreti e dei musicisti, la “Semperoper ” si annovera oggi tra i più noti teatri dell’opera. Il successo e la condanna Il Teatro della prima rappresentazione Königliches Opernhaus di Dresda el 1838 fu posta a Dresda la prima pietra del nuovo teatro d’opera di Corte. Su progetto di Gottfried Semper, situato nella bellissima Theaterplatz, il Königliches Opernhaus fu inaugurato il 12 Aprile del 1841 con la messa in scena del Torquato Tasso di Goethe e la Jubel – Ouverture di Weber. Per il teatro iniziò così una fervida attività fino al 1869, quando fu distrutto da un incendio. Nel 1871 Manfred Semper, figlio di Gottfried, cominciò la ricostruzione della seconda "Semperoper" su progetto del padre, da lui rispettato anche nelle decorazioni e negli ornamenti. Il 2 Febbraio 1878 s’inaugurò il nuovo tea- tro con l’Ifigenia di Goethe. Lo stile dell’edificio è ispirato al Rinascimento italiano: la facciata presenta due piani d’arcate semicircolari sovrapposte ed un terzo livello in rientranza. Sulla sommità del prospetto una quadriga bronzea trainata da pantere con Dioniso ed Arianna, opera dello scultore Schilling. A sinistra ed a destra della facciata vi sono delle nicchie ospitanti rispettivamente le statue di Shakespeare e Sofocle e di Molière ed Euripide. All’ingresso troviamo Schiller e Goethe. Ai primi del Novecento il teatro fu al centro dell’attenzione mondiale rivelando Richard Strauss operista con le prime assolute di Feuersnot (21 Novembre 1901), Salome (9 Dicembre 1905) e Rosenkavalier (26 Gennaio 1911). La “Semperoper” fu distrutto una seconda volta sotto i bombardamenti anglo-americani del febbraio 1945 ma, come novella Araba Fenice, rinacque dalle proprie ceneri in virtù di un accuratissimo lavoro di ricostruzione che si mantenne fedele al progetto originario. Poche, infatti, sono le differenze tra la vecchia “Semperoper” e l'attuale: la platea è stata ingrandita, anche se i posti si sono ridotti; la scena é stata ampliata di 12 metri per consentire l'utilizzo delle più moderne tecniche scenografiche. Salome 12 I Il Giornale dei Grandi Eventi Analogie e differenze tra Wagner e Strauss Richard & Richard: compositori a confronto n una simpatica vignetta pubblicata il 15/16 febbraio 1896 sul foglio umoristico genovese “Sacripante di Circassia”, sotto il titolo “Una nuova ditta” è raffigurato Wagner che prende per mano due bambini (Verdi e Rossini) e li conduce alla sua scuola della “musica dell’avvenire”. Né Rossini né tantomeno Verdi furono appassionati seguaci di Wagner, la cui arte era lontanissima dalle loro concezioni. Ma furono effettivamente pochi i compositori che tra la seconda parte dell’Ottocento e il primo Novecento riuscirono a sfuggire alla influenza del grande cantore di Tristano ed Isotta. Tutta la cultura a cavallo dei due secoli ne rimase coinvolta. Si pensi ai poeti maledetti francesi, si pensi a tutta la produzione teatrale del tardo Ottocento parigino (Massenet, ad esempio), si pensi, al travaglio che dovettero affrontare i musicisti italiani, eredi di Verdi (Puccini, Mascagni, Franchetti, Leoncavallo) eppure costretti a misurarsi con un nuovo modo di concepire il discorso musicale (l’armonia in primo piano) e la struttura teatrale. Naturalmente per molti l’infatuazione per Wagner ebbe il valore di una “sbornia” benefica, di una spinta a proiettarsi in avanti in una fase di evidente crisi del linguaggio musicale europeo. Così, passata la sbronza, qualcuno si pose addirittura in posizione antiwagneriana: pensiamo a Stravinskij il cui teatro, razionalmente fu concepito in chiave, appunto, opposta a quella del Tedesco. Per altri Wagner costituì, invece, un punto di riferimento irrinunciabile per tutta la vita. Basta pensare ad Anton Bruckner, sinfonista dalla vena quasi schubertiana, eppure wagneriano convinto e fedele: si ascolti la sua Settima Sinfonia il cui Richard Wagner Richard Strauss Adagio nacque sotto fra i due c’era e riguardal’impressione della morva le scelte formali. La te del suo idolo. E, su tutmusica dell’avvenire priti, Richard Strauss che, vilegiava due forme per pur con evidenti diffecerti aspetti nuove nella renze di personalità e di cultura tedesca: l’opera obbiettivi artistici, fu il (o meglio il dramma mupiù lucido continuatore sicale) e il poema sinfonidel teatro wagneriano. Nella Germania di fine Ottocento un giovane studente di Conservatorio doveva fare i conti con Wagner e con Brahms che il musicologo Eduard Hanslick aveva posto su opposte barricate: il primo, con Liszt rappresentava la “musica dell’avvenire”, il Una nuova ditta secondo era il poderoso difensore della co (creato proprio da Liszt). Richard Strauss pritradizione. Tutte storie, naturalmente, che vilegiò proprio queste due forme, dedicandosi Schoenberg e altri smonal poema nella prima fatarono senza problemi negli anni immediatase della propria carriera e mente successivi. Tanto al teatro nella seconda. Wagner quanto Brahms Richard & Richard erano legati indissolubilmente alla storia (enIl suo legame con Watrambi discepoli, idealgner è avvertibile innanmente, dell’ultimo zitutto nel trattamento Beethoven) e nello stesso orchestrale. L’ampliatempo progressisti. Ma mento degli organici (a una differenza sensibile fronte del sinfonismo brahmsiano, sonoro, certo, ma più contenuto rispetto a quello di Bruckner e del successivo Mahler) è il risultato di una ricerca di effetti e di colori che ha nella tavolozza wagneriana il punto di partenza. In Strauss, poi, questo ampliamento si accompagna ad un più deciso intento virtuosistico, all’idea di “stupire” l’ascoltatore con effetti di particolare impatto emotivo ed espressivo. C’è, a volte, una esteriorità quasi “teatrale” nell’orchestra straussiana che la distingue da quella di Wagner, più seriosamente calata nella sua buca, lontana dagli occhi indiscreti del pubblico, tesa alla creazione di atmosfere adatte alla rievocazione del “mito”. Wagneriano è il ricorso al leitmotiv, termine abusato nel primo Novecento, quando un qualunque tema conduttore pareva legare indissolubilmente l’autore alla causa wa- gneriana. Così Puccini in “Boheme” nell’accompagnare la tenera Mimì con una melodia a tratti appena sussurrata entrava di diritto nella schiera dei seguaci di Wagner! Il leitmotiv è in realtà qualcosa di più complesso e profondo che non un semplice tema associato a un personaggio; assume la funzione di un elemento-guida nella intricata architettura sonora di un sinfonismo denso quale è quello del teatro wagneriano. E straussiano, si può aggiungere. Anche qui il meccanismo compositivo è di tipo sinfonico, coinvolgendo voci e strumenti in un tessuto complesso, denso, irto, nel quale gli sviluppi musicali passano dalla buca al palcoscenico in un coinvolgimento totale della massa esecutrice. Da Wagner, infine, discende l’uso plateale del cromatismo e di una tonalità sempre più allargata, alla ricerca di orizzonti armonici inediti. Raccogliendo il testimone dal suo grande maestro, Strauss seppe andare in questo campo molto avanti. Con l’amico Mahler traghettò la cultura tedesca nel Novecento rivestendola di nuovi significati e di inedite tensioni. Lo fece, tuttavia, senza rinnegare il passato, al contrario, continuando ad amare i suoi maestri. Non solo Wagner, ma anche Bach e soprattutto Mozart. Proprio l’amore per Mozart, portò Strauss, in un suo scritto del 1940, a criticare il Maestro Wagner, quando a proposito del testo di quest’ultimo, “Opera e dramma”, annotò: «Questo libro straordinario ha solo una piccola lacuna: manca il pieno apprezzamento della melodia pura di Mozart… dalla fantasia dei nostri classici sono scaturite melodie che vanno considerate tra i simboli più alti in cui si manifesta l’anima umana…». Progressista, sì, ma nel rispetto della storia. Roberto Iovino Il Salome Giornale dei Grandi Eventi N 13 Effetti dei tagli di Strauss sul libretto Una Salome casta ed un testo essenziale el 1903 al Kleines Theatre di Berlino, con la regia di Max Reinhardt, Strauss ebbe per la prima volta modo di assistere ad una Salomè in tedesco. Il dramma di Wilde fu dato nella nuova traduzione di Hedwig Lachmann. Il poeta viennese Anton Lindtner aveva già offerto al compositore la propria collaborazione per realizzare un libretto d’opera da questo splendido dramma; al tempo della prima berlines Strauss aveva già ricevuto il libretto di Lindtner, si trattava di un’abile versificazione che però lo ispirava poco. La traduzione della Lachmann, al confronto, gli parve splendida e già le prime parole «Wie schon ist die Prinzessin Salome heute Nacht!» (Com’è bella, questa sera, la Principessa Salomè!) gli parvero mirabilmente adatte alla musica. Strauss decise, dunque, per la traduzione in prosa tedesca. Tuttavia egli non si accontentò di mettere in musica la pura e semplice traduzione tedesca del dramma (le poche modifiche apportate dalla Lachmann avevano come fine esclusivo quello di dare una maggiore risonanza poetica alle frasi a volte eccessivamente secche di Wilde, tramite la scelta di un verbo o di un aggettivo più ricercato, più intenso), bensì annotò personalmente sulla propria copia della traduzione modifiche affatto irrilevanti non solo per la consistente quantità dei tagli apportati al testo, ma anche e soprattutto per la comprensione della visione personale del musicista riguardo all’opera. I tagli L’obiettivo principale di Strauss era quello di eliminare dal testo tut- Richard Strauss to quanto potesse essere superfluo e non strettamente necessario alla comprensione del dramma interiore della giovane principessa. Vengono pertanto eliminate tutte le disquisizioni di ordine religioso riguardo ai Giudei, ai Romani e ai Farisei, con l’eccezione della sola discussione tra i cinque giudei all’interno della quarta scena (la suddivisione in scene è introdotta da Strauss) in merito alla natura del loro Dio. Tale discussione è stata addirittura protratta più a lungo da Strauss, molto probabilmente per accentuare la pedanteria degli interlocutori. Vengono snelliti gli interventi dei personaggi secondari ed eliminate frasi relative alla comprensione di loro tratti caratteriali. Strauss elimina, inoltre, le informazioni circa i rapporti di parentela tra i personaggi, il loro passato. Ciò che il compositore realizza è una concentrazione dell’azione sia a livello “macroscopico”, ossia a livello di trama, sia a livello “miscroscopico”, cioè a all’interno dei singoli interventi mediante sintesi di più fra- si in una, semplificazioni di costrutti grammaticali, soppressione delle frasi “relative”. Questi ultimi interventi sono dettati soprattutto dal bisogno di adattare il testo alla musica, esigenza per la quale Strauss spesso modifica anche il ritmo della frase, ossia l’ordine delle parole. E’ opportuno soffermarsi su una modifica in particolare apportata dal compositore. Durante la prima comparsa in scena di A Salome, Wilde fa così esprimere la principessa: «Io non resterò qui. Non posso restarvi. Perché il tetrarca mi guarda continuamente con quegli occhi di talpa sotto le palpebre tremolanti?... E’ strano che il marito di mia madre mi guardi così. Non so cosa significhi…non è vero, lo so bene.» Strauss elimina l’ultima frase («Non so cosa significhi...non è vero, lo so bene») conferendo al personaggio un’ingenuità, una pu- rezza ed un’innocenza estranee all’eroina di Wilde. La forte carica di sensualità ed erotismo presente in Wilde è quasi del tutto assente nella Salome di Strauss. La protagonista del dramma musicale è una vergine non più che quattordicenne. Molte delle modifiche apportate da Strauss al testo di Wilde tendono proprio a questo obiettivo: rappresentare l’innocenza della giovane principessa, di contro all’immagine di “mostro sanguinolento” riservatale dalla tradizione. Il testo della Salome di Strauss è qualcosa di particolare: non un libretto, nè una messa in musica di un dramma parlato in forma inalterata. Si tratta di un adattamento, ad opera del compositore stesso, dell’omonimo dramma teatrale di Wilde nella traduzione in lingua tedesca ad opera di Lachmann. Strauss, in linea con i suoi tempi, rappresenta il compositore dotato di competenza teatrale e letteraria oltreché musicale, capace pertanto di dominare ogni aspetto del proprio lavoro. Si. Men. Curiosità La pronuncia di Sàlome ll’epoca della composizione di Salome (inizi 1902 – giugno 1905) risalgono anche i primi contrasti del lungo e difficile rapporto tra Richard Strauss ed il suo futuro librettista Hugo von Hofmannsthal che con lui firmerà opere come Elektra, Il Cavaliere della Rosa, Arianna a Nasso, La Donna senz’ombra, Elena Egizia, Arabella. Hofmannsthal aveva sottoposto al musicista un proprio soggetto ed al rifiuto di Hugo von Hofmannsthal questi impegnato nella Salome, per ripicca reagì facendogli notare come la corretta pronuncia del nome della sensuale e spietata fanciulla protagonista dell’opera non fosse né “Sàlome” alla tedesca, né “Salomé” alla francese e come compare nell’opera di Oscar Wilde, bensì “Salòme” alla greca. Strauss, ignorando il puntiglioso letterato, continuò a considerare il nome secondo la pronuncia tedesca “Sàlome”. Mi. Mar. Salome 14 D Il Giornale dei Grandi Eventi Il compositore Richard Strauss iscendente di una famiglia nella quale la tradizione musicale si tramandava da generazioni, Richard Strauss nacque a Monaco di Baviera , l’11 giugno 1964 con una straordinaria sensibilità artistica. Gli agi economici che, grazie ad una fabbrica di birra, il ramo materno assicurò alla famiglia, gli offrirono la possibilità di studiare e di affinare questo talento. A quattro anni Richard suonava il pianoforte ed a sei il violino, manifestando fin da subito la volontà di dedicarsi alla composizione. Ancora studente nelle scuole elementari, diede alle stampe una sinfonia in re minore, la Festmarch op. 1, compose diversi lieder, concerti e composizioni da camera. La prima produzione straussiana ligia agli accademismi romantici e priva di intemperanze ed in particolare la Serenade op. 7, scritta a soli diciassette anni, gli attirarono le simpatie e la stima di Hans von Bulow, il quale nel 1885 gli affidò la guida dell’orchestra di Meiningen. In un periodo particolarmente fecondo e stimolante per l’ambiente musicale diviso tra la seducente scuola “neotedesca” di Listz e Wagner e la più radicata tradizione romantica che faceva capo a Brahms, Strauss aderì inizialmente alla seconda, fedele all’indirizzo antiwagneriano che il padre aveva tentato, con ostinazione, di trasmettergli, ma successivamente finì col cedere alla tendenza tutta wagneriana della musica a programma. Questa virata stilistica è attribuita all’amicizia che Strauss strinse a Meiningen con Alexander Ritter, apostolo listziano dell’anarchico potere evocatore della musica, sciolta dai limiti e dai vizi formali. Nel 1896, abbandonata, la carica offertagli da von Bulow, Strauss compì il suo primo viaggio in Italia e compose Aus Italien, con cui si gettò alle spalle il romanticismo accademico e si misurò con il poema sinfonico che caratterizzò la sua produzione fino al 1903. I furenti ritmi dispari e gli scalmanati cromatismi, lo fe- cero apparire un rivoluzionario della scena musicale, ma si rivelarono un amore passeggero che andò scemando con la scoperta del Richard Strauss nel 1870, al tempo della sua prima composizione teatro e l’incontro con il librettista Hugo von Hofmannsthal. All’attività compositiva Strauss affiancò sempre la direzione d’orchestra. Dal 1889 al 1894 fu direttore del Teatro di Corte di Weimar, dal 1894 al1898 fu scritturato dalla Hofoper di Monaco e nel 1898 fu primo direttore d’orchestra a Berlino, carica che lasciò solo nel 1918 per l’impegno con l’Opera di Vienna, dove rimase fino al 1924 quando si ritirò per dedicarsi esclusivamente alla composizione. Una prima ed incosciente incursione nel teatro era avvenuta con Guntram nel 1894, a cui la neosposa Pauline de Anha partecipò come cantante e che si rislose in un insuccesso. Strauss fece allora più tranquillamente ritorno alla sua musica a programma. Solo qualche anno più tardi comprese che le possibilità espressive del poema sinfonico erano giunte al limite ed intuì che il tempo del dispotismo del dramma wagneriano aveva esaurito il suo corso e la sua potenza. Tornò, quindi, a rivolgere il proprio sguardo creativo al teatro musicale. La prima opera teatrale davvero matura fu Salome (1905), seguita dall’Elektra (1909) opera questa suggestiva che si colloca al confine tra la produzione postwagneriana e quella espressionista per i marcati tratti barbarici e che segna l’inizio della feconda collaborazione con von Hof- mannsthal. Questo incontro produsse un’ulteriore svolta nello stile straussiano verso una semplicità ed una raffinatezza dei mezzi espressivi che trovò la sua migliore concretizzazione nel Rosenkavalier (1911) e che spinse Strauss a saggiare con alterne fortune i più diversi generi di teatro musicale, dal neoclassico Ariadne auf Naxos (1912, seconda versione 1916) al mitologico Die aegyptische Helena (1928, nuova versione 1933), alla commedia di intrigo Araberlla (1933) fino al più semplice ma riassuntivo Capriccio (1941) una sorta di commedia conversata in cui la musica si fa discreta, reagendo in direzione diametralmente opposta all’eredità dei trionfi wagneriani. Il periodo più interessante della vita del musicista coincise certamente con l’instaurazione del regime nazista che nel 1933 gli offrì la presi- H Richard Strauss al tavolo da lavoro denza della Musikkammer del Reich, carica che egli accettò pur non simpatizzando per la causa. Alla morte di von Hofmannsthal avvenuta nel 1929, Strauss aveva però stretto collaborazione con Stefan Zwig, librettista viennese di origine ebraica, fatto che lo indusse per ragioni di opportunità alle dimissioni nel 1935. Al termine del conflitto mondiale, Strauss fu esiliato in Svizzera sotto l’accusa di collaborazionismo con il regime, ma l’ingiusta disposizione fu poi revocata nel 1947 e permise al musicista di fare ritorno nella sua amata dimora di Garmisch che gli era stata requisita dagli americani per farne il comando della zona, dove si spense due anni più tardi, l’8 settembre 1949. Solo tre mesi prima, in occasione dei festeggiamenti per il suo ottantacinquesimo compleanno, durante le prove del Rosenkavalier salì per l’ultima volta sul podio per dirigere il terzetto finale dell’opera che fra tutte rimaneva la sua preferita e che per espressa volontà dell’autore accompagnò i suoi funerali. Lu. San. La librettista Hedwig Lachmann edwig Lachmann nasce nel 1865 nel villaggio di Stolpe, nella Germania nordorientale. Il padre, corista, si rivela essere una figura fondamentale per l’educazione artistico-letteraria della giovane Hedwig. Nel 1880 la ragazza va a studiare ad Augsburg, dove muove i primi passi nell’insegnamento delle lingue e nella professione di traduttrice. Dopo una breve esperienza in Inghilterra e prima di intraprendere un viaggio a Budapest che le rimarrà caro nei suoi Poemi Ungheresi (1889), si trasferisce a Dresda. Nel 1892 a Berlino conosce il poeta Richard Dehmel, con il quale stringe un rapporto d’amicizia che durerà tutta la vita. Qualche anno più tardi, nel 1899, si innamora di Gustav Landauer, all’epoca giovane anarchico e brillante studente di filosofia, oltre che un giornalista free-lance. Gustav ed Hedwig si sposano ed hanno due figlie. All’inizio del nuovo secolo, probabilmente nel febbraio 1900, Hedwig decide, insieme al marito, di cimentarsi nella traduzione in tedesco della versione inglese del Salomé, già tradotta dall’originale francese nel 1894 da Lord Alfred Douglas, giovane amante di Oscar Wilde. Dopo qualche mese è già pronta una prima versione. Nonostante il testo tedesco sconti il disagio di un doppio passaggio ri- spetto all’originale, il risultato della Salomé di Lachmann resta comunque fedele ed il testo appare soltanto poco più rude, ma al contempo energico, in grado di suscitare un maggiore effetto retorico. A Richard Strauss, che cerca una traduzione tedesca del Salomé, la versione di Lachmann piace molto, anche più di quella del celebre poeta viennese Anton Lindner, che per primo ha suggerito al compositore di musicare il testo di Wilde. Hedwig Lachmann diventa così la “librettista” della nuova opera di Strauss, che la renderà famosa. All’inizio della Prima Guerra Mondiale si conclude l’amicizia con Richard Dehmel: la Lachmann non perdona al poeta la sua vigorosa posizione interventista. Quasi al termine del conflitto, il 21 febbraio 1918, in una Germania profondamente colpita dalla guerra, Hedwig Lachmann muore, per una polmonite. Un anno più tardi, una raccolta dei suoi ultimi poemi viene data alle stampe dal marito, la cui storia personale, delle sue ferventi posizioni anarchiche e della sua energica battaglia ideologica, si conclude nel 1919 in un carcere bavarese, dopo aver tentato invano, alla testa di un manipolo rivoluzionario, di instaurare a Monaco una “repubblica sovietica”. J. M. Il Salome Giornale dei Grandi Eventi R Nella mostra al Quirinale “Turchia 7000 anni di Storia” L’enigna del medaglione con i capelli dei Donizetti imane un enigma la storia di quel piccolo medaglione d’oro, apribile, con all’interno due ciocche di capelli e sulle due facce esterne i nomi e le date di morte dei due fratelli Giuseppe e Gaetano Donizetti. E’ normalmente conservato al Palazzo di Topkapi a Istanbul ed ora è uno dei 43 reperti protagonisti della mostra allestita nelle Sale delle Bandiere del Palazzo del Quirinale, organizzata in occasione della visita del Presidente della Repubblica Turca in Italia. Di forma ovale e fattura italiana del XIX secolo, decorata con fiori e foglie in smalto viola, giallo e verde, la piccola “reliquia” raccoglie due ciocche di capelli, una bianca ed una castana. Su un lato vi è l'iscrizione «Giuseppe Donizetti - 12 febbraio 1856», mentre sul rovescio, anch'esso decorato, la scritta «Gaetano Donizetti 8 aprile 1848»: entrambe le date sono quelle di morte dei due compositori, il primo noto per N 15 aver lavorato come direttore d'orchestra presso la corte del sultano Mahmud II, introducendovi la musica classica occidentale e finendo lì la sua vita con il titolo di Pascià, mentre il secondo è il celebre compositore dell’Elisir d’Amore. Quarantatrè reperti, dice- vamo, per ripercorrere 7000 anni di storia, che vanno dal 7° millennio a.C., alla fine dell'Impero Ottomano nel 1923, con i fasti della corte del Topkapi. Dall'Anatolia, infatti, cul- la delle civiltà, si può dire che tutto è partito. Fin dal neolitico quando, intorno alla fine dell' 8° millennio a.C., nella piana di Konya gli uomini di Çatalhöyük, dopo aver selezionato semi e piante, da semplici raccoglitori di alimenti divennero contadini ed allevatori. Fu la grande svolta. Da quel momento iniziò una catena creatrice di civiltà che si diramò verso l'Europa e verso Oriente. Si iniziò a stoccare i raccolti ed ecco nascere gli strumenti amministrativi per la loro gestio- ne: i sigilli, la contabilità. Si affermarono le prime forme di scrittura, esportate poi verso la Mesopotamia. Si divulgò il culto della Madre Terra, dea della fertilità, che divenne Demetra per i greci e Cerere per i romani. Alcuni oggetti, come una piccola figura femminile del 3° millennio a.C. in oro ed elettro (lega naturale di oro ed argento con cui furono realizzate le prime monete), escono per la prima volta dal museo delle Cività Anatoliche di Ankara. Via via si ripercorre la storia, si riscendono i secoli, fino ai capolavori che accompagnavano, meno di un secolo fa, la vita fastosa all’interno della Corte dell’Impero Ottomano. Ori e smalti per i bacili, pietre incastonate sulle copertine dei Corani. Talvolta stupisce come il gusto d’Oriente si avvicini a quello d’Occidente. "Turchia. 7000 anni di storia", Roma, Palazzo del Quirinale, Sale delle Bandiere, fino al 31 marzo. Ingresso gratuito da Piazza del Quirinale. Aperta dal lunedi al sabato dalle 9.30 alle 13.30 e dalle 15.30 alle 19.00; la domenica, ore 8.30-12.00. Informazioni: www.quirinale.it El. Ca. Il Concerto per i 50 anni dalla morte di Toscanini Una celebrazione da dimenticare on è stato certo il modo migliore per celebrare i 50 anni dalla scomparsa di Arturo Toscanini avvenuta a Rivardele, New York il 16 gennaio 1957. Il Concerto rigorosamente ad inviti tenutosi il 9 gennaio scorso al Teatro dell'Opera (trasmesso da Rai3 alle 12,30 di martedì 16 gennaio - con l’ascolto immaginabile -, nella “Giornata Toscanini” della Rai, n.d.r.), organizzato dal Comitato per le celebrazioni di questo Cinquantenario, ha lasciato il pubblico piuttosto perplesso, per musiche annunciate da programma ma non concordate con l'orchestra, per il forfait - ufficialmente a causa di una influenza - dei due cantanti, il soprano Anna Rita Taliento ed il tenore Vittorio Grigolo, egregiamente sostituiti da una amica dell'Opera di Roma come Fiorenza Cedolin e dal volenteroso Massimiliano Pisapia. Un programma corto, troppo corto, tanto da lasciare il pubblico in platea ad interrogarsi. Ironico spettacolo quello delle persone che non volevano abbandonare i posti e si intrattenevano, come in un intervallo, mentre sul palco gli attrezzisti provvedevano a smontare i microfoni. In pratica solo tre brani, aperti da una Suite, un collage di arie dalla Carmen di Bizet, opera con la quale il Toscanini debuttò al Teatro Costanzi di Roma nel 1892, sei anni dopo il suo rocambolesco esordio sul podio come direttore, avvenuto a Rio di Janeiro sostituendo - lui violoncellista - il direttore brasiliano Miguez che aveva abbando- nato bacchetta ed orchestra dopo il primo atto di una Aida. Certo, se le esigenze televisive richiedevano un programma contenuto, si sarebbe dovuto guardare al Concerto di Capodanno da Vienna, dove in mondovisione viene trasmessa solo la seconda parte dell’appuntamento. Paradossalmente questo senso di improvvisazione a mezzo secolo dalla sua morte ha caratterizzato il ricordo di Toscanini, passato alla storia proprio per il suo rigore, per la sua puntigliosità. Poi, nel programma il Maestro Gelmetti, sempre appassionato dal podio, ha voluto unire – lasciando però più di qualcuno qualcuno dubbioso - senza soluzione di continuità il Preludio del III atto di Traviata ed il preludio alla morte di Isotta dal Tristan und Isolde di Wagner, opera quest’ultima dopo aver diretto la quale Toscanini - per ammirazione - smise di comporre. A chiudere il concerto il finale del primo atto, quello della «gelida manina», della Bohème di Puccini, opera da Toscanini diretta nella prima esecuzione assoluta. Questo il concerto d’apertu- ra delle celebrazioni. Forse se ci possiamo permettere tali Comitati, che nascono da nessuno invocati - per commemorazioni che, invece, andrebbero realizzate da istituzioni pubbliche od in coordinamento tra i vari teatri italiani, piuttosto che rastrellare a destra e sinistra patrocini - e forse fondi istituzionali, dovrebbero curare con maggiore professionalità le organizzazioni, ma soprattutto permettere al pubblico – che si dimentica sempre, è il primo protagonista – di potervi assistere. Soprattutto se si vuole “ricordare” qualcuno, sarebbe meglio una azione “divulgativa”, piuttosto che un concerto per presunti VIP che neppure intervengono, lasciando enormi e tristi buchi in platea. And. Mar.