Storia del Pensiero
Economico
Esplicazione
F.F.V.
Esplicazione liberamente tratta da “A. Roncaglia, La ricchezza delle idee. Storia
del pensiero economico, Roma-Bari, Laterza, 2001” L’acquisto di questo lavoro è
subordinato al manuale dal quale è tratto. Leggi gli altri termini e condizioni su
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Sommario
Chi siamo ........................................................................................................................... 4
CAPITOLO 1: LE ORIGINI PIÙ ANTICHE ............................................................................... 6
CAPITOLO 2: TRA IL MERCANTILISMO E LA FISIOCRAZIA .................................................. 11
CAPITOLO 3: DAL TABLEAU ECONOMIQUE AD ADAM SMITH........................................... 17
CAPITOLO 4: ADAM SMITH .............................................................................................. 21
CAPITOLO 5: RIVOLUZIONARI, CONSERVATORI E RIFORMISTI. ALLE ORIGINI DELLA
DIFFERENZA ..................................................................................................................... 25
CAPITOLO 6: DAVID RICARDO E GLI ECONOMISTI RICARDIANI ......................................... 28
CAPITOLO 7: KARL MARX ................................................................................................. 35
CAPITOLO 8: LA RIVOLUZIONE MARGINALISTA (prima parte) .......................................... 41
CAPITOLO 9: RIVOLUZIONE MARGINALISTA/EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE (seconda
parte) .............................................................................................................................. 48
CAPITOLO 10: LA RIVOLUZIONE MARGINALISTA/ALFRED MARSHALL (terza parte) .......... 54
CAPITOLO 11: JOHN MAYNARD KEYNES........................................................................... 60
CAPITOLO 12: JOSEPH ALOIS SCHUMPETER ..................................................................... 64
CAPITOLO 13: PIERO SRAFFA ........................................................................................... 67
CAPITOLO 14: LE POSIZIONI CONTEMPORANEE ............................................................... 70
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Premessa
Chi siamo
Appunti Luiss è un progetto nato per rendere meno difficoltosa e più soddisfacente
la vita universitaria.
Questo è stato possibile perché il team di appunti Luiss ha fatto una scoperta tanto
banale quanto geniale: la collaborazione tra studenti tramite la condivisione di
esperienze universitarie facilita il superamento degli esami. Tale collaborazione e
condivisione, molto spesso, si concretizza nella produzione, anche involontaria, di
lavori come appunti, compendi o esplicazioni.
Ora, dato che la diffusione di questo tipo di lavori aiuta lo studio e il superamento
degli esami, il favorire tale diffusione è il primo obbiettivo che Appunti Luiss si
propone.
Il secondo obbiettivo che ci proponiamo è quello di valorizzare questo tipo di lavori.
Tale valorizzazione, per natura, produce un doppio effetto: favorisce la diffusione,
incentivando gli studenti a produrne sempre di più, e costituisce la giusta
ricompensa per gli studenti che li hanno prodotti agevolando anche il
sostentamento dello studente stesso.
Insomma, quello che Appunti Luiss vuole fare è aiutare gli studenti e premiare
coloro che hanno reso questo possibile.
Appunti Luiss Team
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STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO
CAPITOLO 1: LE ORIGINI PIÙ ANTICHE
Considerazioni di carattere economico si rinvengono nelle opere più antiche della storia
del’uomo convenzionalmente si ritiene che l’economia come disciplina autonoma sia nata
intorno all’Ottocento. Quando si parla di contributi di autori storicamente lontani occorre
essere principalmente consapevoli di due cose:

In passato ogni questione legata all’economia era trattata come problema etico.

La vita nelle comunità antiche era estremamente precaria e ciò imprimeva un
andamento “singolare” alla organizzazione economica.
Si può sicuramente affermare che l’ampia commistione tra scienza economica e dottrina
morale sia il tratto che più marcatamente distanzia l’economia antica da quella insegnata
nelle università. In taluni autori, tale problema era stato però abilmente superato. Il
riferimento è ad Aristotele che faceva coincidere il buono con il conforme a natura.
Il mondo greco contribuisce alla scienza economica in vari modi, a cominciare dalla stessa
parola economia che deriva dai termini oikos (casa) e nomos (legge). L’economia, dunque,
originariamente viene concepita come nel senso di amministrazione degli affari e dei beni
di famiglia. Platone ed Aristotele statuiscono i cardini del pensiero economico nel mondo
greco. Platone assegna l’attività economica alle classi inferiori. La divaricazione più forte
nelle trattazioni dei due filosofi riguarda il tema della proprietà privata: per Platone, che
delinea l’utopia di una società completamente collettivista, sarebbe da abolire; per
Aristotele è invece necessaria per la natura umana che trascura le cose che appartengono
a tutti. Una sostanziale convergenza tra gli autori si riscontra in merito alla divisione del
lavoro che per entrambi discende da diversità intrinseche della natura degli uomini.
Aristotele, affrontando il problema della giustizia, introduce una differenza fondamentale
per la teoria del valore e dello scambio, ossia la differenza tra valore d’uso e valore di
scambio. Aristotele non fa coincidere la giustizia distributiva con l’eguaglianza assoluta e
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intende per giustizia distributiva un concetto relativo che si trasforma rispetto alle diverse
costituzioni politiche. Ben più interessante è il contributo rispetto alla giustizia
commutativa. In uno scambio egli identifica due valori da attribuire alla merce soggetta a
compravendita: quello intrinseco derivante dal consumo (valore d’uso) e quello che si
concretizza nello scambio (valore di scambio), quest’ultimo deve rendere uguale il
sacrificio dell’alienante alla sua ricompensa nell’ottenimento della giusta quantità di
moneta che gli consentirà di acquistare un’altra merce parimenti utile o desiderata.
Infine, Aristotele accenna anche al fatto che le merci sono frutto del lavoro umano.
Il filone della Patristica raccoglie i contributi del pensiero degli autori cristiani,
successivamente i teologi e filosofi si riunirono in scuole che nel loro insieme diedero vita
alla Scolastica. La Patristica non si esprime attraverso una formulazione analitica
compiuta e coerente, la numerosità degli autori e la clandestinità che contraddistinse le
prime fasi del Cristianesimo giustificano tagli ed omissioni anche radicali nella
individuazione della corrente. In generale i padri della Chiesta Cattolica si mantengono
estranei alle questioni del mondo, tuttavia esprimono pareri sufficientemente omogenei
su alcune questioni di fondo. La proprietà privata è giustificata in quanto limite alla
cupidigia umana. Parimenti equanime è il loro atteggiamento rispetto all’elemosina. Nei
confronti della schiavitù vi è una certa tolleranza. La differenza più rimarchevole rispetto
alla posizione aristotelica riguarda il diniego di una differenza intrinseca tra gli uomini.
Rispetto al commercio vi è una posizione guardinga ma, pur disprezzando il lusso, i padri
non condannano le attività commerciali quando condotte con un comportamento
corretto dal punto di vista etico. Anche nella Scolastica fu mantenuto un atteggiamento
normativo rispetto alle questioni della economia. Un tema centrale del periodo che
determinò ampi strascichi di natura non solo ideologica è quello dell’usura. L’autore di
riferimento in questo caso è Tommaso d’Aquino. Il linea di principio condannò l’usura. Su
questo punto l’accordo tra il dettato evangelico e il pensiero aristotelico è perfetto
(“prestate senza sperarne nulla”); quest’ultimo infatti considerava la moneta sterile, ossia
inadatta a produrre altre monete. Non si arriva però ad una regola generale di condanna
o di giustifica dell’usura. La posizione più chiara al riguardo è espressa alla fine del
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Medioevo da sant’Antonino da Firenze, il quale distingue tra denaro e capitale,
attribuendo soltanto al primo termine la prerogativa di sterilità. Un’interessante
distinzione, legata allo scopo del prestito, viene introdotta da Calvino. Per il religioso non
devono sorgere divieti per i prestiti commerciali con tassi di interesse moderati, mentre
sono decisamente da esecrare i crediti al consumo che, nell’epoca, sfruttavano la
condizione di debolezza e di bisogno del debitore. Rispetto alla teoria del valore,
nell’ambito di questo movimento si scorgono entrambe le posizioni che successivamente
divisero gli economisti. Taluni autori infatti attribuirono ad ogni merce un valore
oggettivo che esula dal desiderio o dall’utilità del compratore. In generale l’idea del valore
di una merce basata sul costo di produzione deriva da questa stessa visione. Altri autori
della Scolastica seguirono un approccio di tipo soggettivistico. Tra loro sicuramente Pietro
di Giovanni Olivi che definì tre parametri concorrenti ad identificare il prezzo di una
merce. Di questi soltanto il primo è oggettivo, la virtuositas, e quantifica la capacità
effettiva di una merce di soddisfare il bisogno; gli altri due sono soggettivi e dipendono
dal desiderio del compratore e sono la raritas (scarsità) e la complacibilitas (rispondenza
alle preferenze degli utilizzatori). In generale la maggior parte degli Scolastici si limitò a
distinguere, nell’ambito dei contratti, quali fossero quelli illeciti da un punto di vista
morale.
L’emergere del pensiero bullionista, che poi evolse in quello mercantilista, si ebbe in
concomitanza con la costituzione degli Stati nazionali, caratterizzati essenzialmente da
elementi quali:
1. Amministrazione accentrata;
2. Esercito permanente;
3. Sistema fiscale che sostenga le ingenti spese delle politiche espansionistiche.
Bullionisti furono principalmente i consiglieri dei principi; essi si preoccuparono di
mantenere forte il potere centrale e considerarono come elemento determinante della
ricchezza e della prosperità dello Stato la consistenza degli stock di moneta che doveva
essere in grado di sorreggere il potere militare della Nazione. Aspramente criticati dagli
immediati successori per la superficialità dell’analisi, vennero parzialmente riabilitati in
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epoche recenti in base alla considerazione che essi vissero in periodi troppo oscuri per
consentire un calcolo della produzione nazionale. Inoltre i bullionisti ebbero l’indubbio
merito di aver contribuito a separare i problemi economici da quelli etici; in pratica un
processo di laicizzazione dell’economia. Identica sorte di giudizi controversi toccò al
mercantilismo. Sorse in una epoca ancora precoce di costituzione dello Stato e pertanto i
suoi esponenti si preoccuparono di difendere gli interessi nazionali caldeggiando per
l’adozione di misure fortemente protezionistiche che si spinsero ad impedire la fuoriuscita
di lavoratori dal Paese. Le Nazioni dovevano costruire istituzioni politiche ed economiche
adeguate, un sistema fiscale equo e certo, un catasto che garantisse la proprietà privata
ed un sistema bancario in grado di sostenere il commercio. Il passaggio al mercantilismo
avvenne essenzialmente ad opera di Thomas Mun, esponente di rilievo della Compagnia
delle Indie. Nel suo England’s Treasure by Foreign Trade, il mercante chiarì che, per
valutare il risultato del commercio internazionale, non bisognava limitarsi a calcolare il
saldo del commercio con un singolo paese, bensì valutare il saldo della bilancia
commerciale nella sua totalità. Inoltre Mun evidenziò che la bilancia commerciale
positiva, provocando l’afflusso di monete nel Regno, produceva l’aumento dei prezzi
interni e rendeva le merci nazionali meno competitive sui mercati esteri. Il passaggio
logico successivo fu compiuto dallo scozzese David Hume che affermò che la bilancia
commerciale non deve restare sempre in attivo in quanto un costante afflusso aureo
genera un altrettanto costante aumento dei prezzi con un conseguente crollo della
competitività internazionale. Si giunse così alla prima definizione compiuta di quella che
sarà poi nota come teoria del riequilibrio automatico dei conti esteri in regime di moneta
aurea. Mun e Hume delinearono la base della teoria quantitativa della moneta. Le loro
intuizioni sulla non neutralità della moneta, condivise da tutti i mercantilisti,
determinarono il plauso di Keynes per il movimento. La consapevolezza del rischio di
inflazione stimolò una riflessione sull’uso della moneta in eccesso. Il maggior contributo si
ebbe da Josiah Tucker, il quale, condividendo la teoria del suo movimento di utilizzare la
quantità di moneta in eccesso in produzioni che usavano grandi quantità di manodopera,
coniò l’espressione “bilancia del lavoro favorevole”. Un saldo positivo indica che le merci
esportate sono maggiori di quelle importate. Una costante del filone è ritenere che il
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profitto derivi della compravendita e che nell’ambito di questo rapporto vi sia sempre una
parte vittoriosa ed una soccombente. Questa convinzione spinge Charles Davenant a
concludere che il commercio interno non produce profitto generalizzato nella nazione
perché il totale dei vantaggi uguaglia il totale delle perdite. I rapporti con gli altri Paesi
stranieri si svolgono però, generalmente, secondo gli schemi della violenza e della
sopraffazione.
Nell’Italia dei Comuni spicca il pensiero economico del cosentino Antonio Serra. Di Serra
colpisce, in particolare, la capacità di porre in relazione aspetti economici e politici,
questioni legate alla bilancia commerciale e questioni legate alla bilancia dei pagamenti o,
più in generale, al sistema politico ed economico del Regno di Napoli. Analizzando le
caratteristiche generali di una nazione, alla base della floridezza economica ovvero della
povertà ed arretratezza, egli distingue due componenti: le risorse naturali, accidenti
propri, e le condizioni favorevoli, accidenti comuni. Le prime rappresentano una sorta di
capitale di origine che però deve accompagnarsi alle condizioni favorevoli. La “novità” del
pensiero dell’autore consiste nel prendere in considerazione elementi molto eterogenei e
nell’analizzarli nella loro reciproca interferenza e sinergica giustapposizione; inoltre,
veramente singolare per l’epoca, è la sua capacità di collegare i fenomeni monetari a
quelli reali. Un interesse per i metalli preziosi è presente e vigile nell’autore, tanto che egli
arriva a definire la giusta proporzione tra oro e argento nella composizione delle monete,
ma l’accuratezza dell’analisi sul sistema produttivo del Regno lo pone ben al di là dei limiti
dei movimenti sopra descritti, in particolare il rilievo sugli aspetti antropologici ed
istituzionali connessi alla prosperità della nazione.
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CAPITOLO 2: TRA IL MERCANTILISMO E LA FISIOCRAZIA
William Petty, inglese, fondò tra il 1660 ed il 1662 la Royal Society per il miglioramento
delle conoscenze naturali. Durante la sua movimentata esistenza accumulò esperienza di
viaggiatore, scienziato ed inventore, prosperò sotto Cromwell e divento baronetto
durante la Restaurazione. Petty rappresenta l’esempio più calzante di intellettuale ed
uomo d’azione del XVII secolo. Aritmetica politica è il nome comunemente attribuito al
suo metodo che intende estendere alle scienze umane la trasformazione già in atto nella
fisica che assumeva la fisionomia di materia quantistica abbandonando la veste obsoleta
che limitava il suo campo d’azione alla semplice descrizione qualitativa degli oggetti. Per
Petty anche nelle scienze umane era arrivato il momento di ragionare in termini di
numero, peso e misura. Il metodo si contrappone sia al razionalismo aristotelico che
all’empirismo puro. Per Petty, a partire da una necessaria rilevazione degli eventi,
sottopone i dati empirici a laboriosi ragionamenti che si servono di sofisticate catene
deduttive basate su regole matematiche e soprattutto aritmetiche. Petty, a partire da una
necessaria rilevazione degli eventi, sottopone i dati empirici a laboriosi ragionamenti che
si servono di sofisticate catene deduttive basate su regole matematiche e soprattutto
aritmetiche. La scelta di Petty di impegnarsi nell’indagine delle cose in questi termini,
riposa sulla convinzione, già affermata da Galileo e poi da Hobbes, per la quale la realtà è
costruita sulla base di relazioni quantitative. A questo punto la scissione tra morale e
scienze sociali si palesa quanto mai netta. La costituzione dello Stato nazionale viene dai
più intesa come prerequisito alla nascita del capitalismo. Petty parla di corpo politico
intendendo discutere sia di sistema politico che di sistema economico, risentendo dei
limiti del suo tempo che lasciano indistinte le due entità. Nello Stato nazionale occorre
stabilire a quale livello di aggregazione si colgono le relazioni economiche e politiche più
significative. Petty individua questo livello in quello che collega i cittadini fra loro ed i
cittadini con il sovrano, pertanto la sua indagine non si sofferma su relazioni di entità
minore o di entità maggiore. Del resto la fase storica in cui si svolge l’analisi risulta ancora
ricolma di elementi feudali che impediscono una visione precisa dei diversi comparti
dell’economia, alterando profondamente il senso del diritto di proprietà dei fattori
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produttivi. Rispetto alla moneta in questo autore appare del tutto superata la questione
dell’importanza dei metalli preziosi. Senza discutere il ruolo di riserva di valore e di mezzo
di scambio della moneta e dei metalli preziosi, Petty non auspica un afflusso incontrollato
di tali beni nel Paese se non accompagnato da alti livelli di occupazione e produzione. Le
sue teorie sul sistema fiscale appaiono compiutamente espresse nel Treatise of Taxes and
Contribution. Petty espone gravi critiche all’apparato tributario, deplorando le condizioni
in cui avviene il prelievo fiscale. Occorreva una poderosa opera di revisione attraverso cui
giungere a definire norme chiare e trasparenti che avrebbero limitato le controversie e gli
sprechi di denaro pubblico dei prelievi fiscali forzosi. Petty ritiene che il prelievo fiscale:

Debba basarsi sul sistema proporzionale.

Debba colpire unicamente il consumo, in quanto evita la doppia tassazione.

Colpendo il consumo, possa stimolare la parsimonia che viene giudicata
positivamente.
Le idee di Petty sui mercati e sulle categorie economiche di merce e prezzo possono
desumersi dallo scritto Dialogue of Diamonds, l’autore immagina un dialogo tra un
venditore di diamanti ed un occasionale acquirente. Per l’avventore occasionale la
determinazione del prezzo di scambio può sembrare determinata dalla maggiore o
minore bravura del venditore nel mercanteggiare. In realtà esiste sempre un prezzo di
riferimento che si basa sulla definizione di un tipo ideale astratto di diamante cui viene
attribuito un determinato valore monetario. Il prezzo del diamante materialmente
presente nello scambio viene fissato per differenza. Dallo scritto emergono spunti
interessanti sulla definizione di mercato. Esso è, in primo luogo, un’astrazione utile a
trarre indicazioni normative nei singoli atti di compravendita. In assenza di una idea di
mercato, ogni scambio diventerebbe un episodio fortuito di accaparramento agito o
subito dai contraenti. Anche il concetto di merce è un’astrazione, costruita facendo
largamente uso di criteri di approssimazione che collocano nella stessa categoria
merceologica singoli beni caratterizzati da inevitabili diversità individuali. Con riferimento
alla categoria economica del prezzo, Petty definisce tre diverse entità:

Prezzo naturale; dipende dal livello acquisito della tecnologia e dalle condizioni
che assicurano la sussistenza dei lavoratori.
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
Prezzo politico; più alto del precedente perché ingloba i costi sociali.

Prezzo corrente; corrisponde al prezzo politico espresso nella quantità di merce
che funge da unità di misura.
Il prezzo naturale è quindi quello ottimale che potrebbe imporsi sul mercato in assenza di
sprechi. Il modo in cui esso si discosta dal prezzo politico offre una misurazione della
inefficienza del sistema produttivo. L’insistenza dell’autore sulla necessità di portare il
prezzo politico al livello del prezzo naturale è un’importante indicazione per orientare la
politica economica. Probabilmente si deve alla definizione del concetto di sovrappiù la
grande ammirazione espressa da Marx nei confronti di Petty. Ma nella semplice
definizione di rendita, ossia di sovrappiù di grano prodotto una volte compiute le
opportune deduzioni, anticipazioni di capitale e voci di costo, non appare il problema dei
prezzi relativi. Volendo invece esprimere il rapporto tra i valori delle diverse merci, Petty
valuta equivalenti i sovrappiù dei settori che impiegano le stesse quantità di lavoro.
Particolarmente interessante è la sua visione della disoccupazione. Un eventuale residuo
di disoccupati rappresenta uno spreco del sistema, inoltre questi potenziali lavoratori non
utilizzati costituiscono un pericolo sociale. Così Petty suggerisce di impiegare tutti i
potenziali lavoratori al fine di far aumentare sia il reddito che la ricchezza della nazione.
Tornando alla questione dei prezzi relativi, l’autore affronta il problema affermando che:
“la questione più importante per l’economia politica è quella di trovare una parità ed
un’equazione fra la terra ed il lavoro in modo da poter esprimere il valore di una cosa
mediante uno solo dei due”. Purtroppo però l’autore non si avvede della circolarità del
suo ragionamento. I limiti del pensiero di Petty sono quelli del suo tempo.
Pierre Le Pesant di Boisguilbert, francese, incarnò lo spirito dell’aristocrazia agricola
d’oltremanica. Esercitando la sua competenza giudiziaria in materia feudale ebbe modo di
rendersi conto della miseria che allignava nella campagna francese. Inizio così a scrivere
per una riforma del sistema fiscale e per l’abolizione di tasse e gabelle che avrebbero
dovuto essere sostituite da un prelievo sul prodotto netto pari ad una decima dello
stesso. Si esprime contro il mito mercantilista del metallo prezioso che in un periodo di
crisi, poiché tesaurizzato, rende più atroce la penuria delle merci. Nelle congiunture
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avverse il pensatore ritiene che vadano favoriti i consumi, da incoraggiare attraverso
l’alleggerimento della pressione fiscale e l’attuazione di una politica economica
improntata al laissez-faire di cui è convinto sostenitore. L’autore parla anche
dell’esistenza di un prezzo proporzionale che si raggiunge come valore di equilibrio tra
domanda ed offerta attraverso il meccanismo a ragnatela. Vi è l’abbozzo di una teoria di
equilibrio economico generale, in cui ogni operatore, perseguendo il proprio interesse,
realizza un’armonia complessiva in virtù di una provvidenza superiore, simile alla mano
invisibile di Smith. Il livello di equilibrio generale o stazionario è caratterizzato da due
elementi:

Il denaro viene retrocesso ad “umile valletto del commercio”.

La distribuzione del reddito assicura livelli di consumo omogenei tra tutti gli attori
economici.
Nell’autore francese vi è una profonda e dolente consapevolezza della distinzione della
società in classi sociali, che viene avvertita come profondamente ingiusta e per questo
accusata.
John Locke, filoso inglese, incarna la consueta figura del pensatore dell’epoca. Si mosse
abilmente tra ambiti disciplinari molto diversi. Il suo contributo alle teorie di circolazione
della moneta appare indubbiamente interessante e fertile. All’epoca l’idea dominante era
quella propugnata da Josiah Child. Questi sosteneva che bassi tassi di interesse
determinano prosperità della nazione e che pertanto lo Stato dovesse impegnarsi a
mantenere il denaro a buon mercato. Per Locke la relazione esiste ma funziona nella
maniera inversa, ossia la prosperità della nazione può far abbassare i tassi di interessa,
viceversa un loro forzoso abbattimento non può che avere effetti destabilizzanti e
scoraggiare il risparmio e la crescita economica, rallentando l’accumulazione. Locke
propose una prima versione della differenza tra valore d’uso e valore di scambio. Il prezzo
di un bene è così determinato non dalla sua utilità ma sulla scorta di qualche altro
parametro e l’autore indicò, da antesignano, che questo parametro doveva essere la sua
scarsità rispetto alla richiesta. Sulla proprietà privata, contrapponendosi ad Hobbes, nega
che essa venga riconosciuta per convenzione a seguito di un accordo, il contratto sociale.
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Per il nostro, la proprietà del creato è comune ed indivisa per tutti, ogni uomo però è
padrone del suo corpo e di quello che realizza con esso; tali opere creative aumentano il
valore delle cose esistenti in natura. Ogni uomo si appropria di quanto da lui prodotto.
Per Locke il lavoro rappresenta un dovere morale di natura religiosa. La sua difesa della
proprietà privata è rivolta all’eliminazione delle vestigia feudali presenti nell’Inghilterra a
lui contemporanea.
Bernard De Mandeville, olandese, appartiene a quella categoria di medici per i quali la
loro professione di Ippocrate non si disgiunge dall’esercizio intellettuale e pratico della
filosofia. L’autore trae spunto dal pensiero libertino in voga tra Seicento e Settecento, ed
afferma la basilare inconciliabilità all’interno della natura umana tra il “rigore morale” e
l’“utilitarismo pratico”, facendo ciò entra in polemica con chi sosteneva la coincidenza di
Buono e Bello nell’armonia universale. Per il medico olandese la natura umana è
spontaneamente rivolta alla soddisfazione di esigenze e desideri personali. Tali passioni
non necessariamente coincidono con comportamenti antisociali o devianti, ma piuttosto
con azioni ispirate da motivazioni egoistiche. Queste azioni sarebbero il modo di agire
universale degli esseri umani. Dall’unione degli egoismi individuali possono però trarsi dei
vantaggi comuni. Possono, in quanto non esiste in ciò nessun automatismo, tutt’altro,
occorre l’intervento di una autorità pubblica che convogli tutte le azioni individuali verso
il bene comune. Questa teoria contribuisce alla formulazione di quella visione del
mercato nota come doux commerce che domina il Settecento e attribuisce ai rapporti
commerciali il ruolo di ingentilire gli animi e di promuovere comportamenti affidabili e
corretti, necessari al mantenimento delle relazioni di mercato. La conclusione di
Mandeville è quella di utilizzare le leggi e l’educazione al fine di dominare le passioni
egoistiche conducendole alla realizzazione di progresso, civiltà e miglioramento delle
condizioni di vita generali.
Richard Cantillon fu autore del Saggio sulla natura del commercio in generale. Il Saggio è
composto da tre parti, più una presunta appendice matematica con calcoli simili a quelli
praticati nell’aritmetica politica da Petty. La prima parte del libretto descrive il
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funzionamento del sistema economico, la seconda si occupa della moneta e della sua
circolazione, la terza affronta la questione degli scambi internazionali. In Cantillon si
sviluppa l’idea di un legame tra le diverse parti del sistema economico. Tale legame viene
analizzato a partire dalla definizione di tre ordini di categorie entro cui sistemare tutti gli
elementi, umani e materiali, che concorrono alle attività produttive. Avremmo così una
distinzione in:

Classi sociali;

Settori di produzione;

Compartimenti geografici.
Tra queste ripartizioni si sviluppano legami e connessioni che definiscono la
corrispondenza tra le diverse categorie. Un punto di assoluto accordo con Petty lo si
ritrova nella definizione di valore intrinseco di una merce, valore che può esprimersi come
quantità di terra e lavoro impiegate nella sua produzione. Tuttavia i tentativi di Petty di
trovare una equivalenza tra i due fattori sono considerati bizzarri dal nostro, il quale
sostiene che è possibile ridurre il lavoro in termini di terra attraverso la sua
quantificazione in termini di costo di produzione. Anche Cantillon prende i rapporti di
cambi tra merci come dati. Una teoria molto nota dell’autore è quella che individua in
ambito agricolo tre tipi di rendita:

La prima rendita viene utilizzata dai fittavoli (imprenditori agricoli) per sostenere i
costi di produzione incluso il mantenimento dei lavoratori.

La seconda retribuisce il lavoro di gestione degli stessi fittavoli.

La terza viene versata al proprietario della terra.
In un altro passo del Saggio viene riconosciuto il ruolo dei capitalisti finanziari. Poiché il
denaro viene prestato e matura interessi, al quantità di denaro di cui i capitalisti finanziari
sono creditori supera il denaro realmente esistente nello Stato. Si colga, nell’affermazione
circa il valore nominale dei prestiti, l’intuizione del keynesiano meccanismo di
accelerazione della moneta. Anche Catillon nega la coincidenza dei metalli preziosi con la
ricchezza, quest’ultima dipende infatti dal sistema economico e dalla efficienza degli
scambi. Il tasso di interesse va collegato alla domanda ed all’offerta di capitali, piuttosto
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che all’offerta di moneta. Sul meccanismo di circolazione della moneta, infine, influisce
fortemente il livello di modernità dei sistemi di credito.
CAPITOLO 3: DAL TABLEAU ECONOMIQUE AD ADAM SMITH
Francois Quesney fu aspramente criticato per la sua teoria nella Francia dei Lumi in
quanto ritenuto reazionario perché difendeva la classe agricola, disconoscendo il ruolo
della borghesia imprenditrice. Le condizioni di forte arretratezza rendevano l’agricoltura
scarsamente produttiva mentre la gravosa macchina statale veniva sostenuta attraverso
un prelievo fiscale massiccio e concentrato sul terzo stato. Ad aggravare il tutto vi era la
circostanza per la quale gli esattori fiscali erano appaltatori che avevano acquistato il
diritto di riscuotere le tasse al posto del governo, pertanto il loro operato era spesso
arbitrario e avulso da qualsiasi interesse per il benessere della collettività. I fisiocratici
segnarono due importanti primati:

Furono la prima Scuola di economisti caratterizzata da univocità di pensiero;

Si dotarono di propri organi di stampa.
Di concezione illuminista e cartesiana, essi credevano nell’esistenza di un ordine naturale
cui spontaneamente l’universo tenderebbe, la cui esistenza non poteva essere negata da
una mente illuminata. Anche le leggi umane dovevano conformarsi a tale ordine naturale
per realizzare un ordine positivo. La proprietà privata era parte integrante di tale ordine. Il
convincimento essenziale di questa scuola era la centralità dell’agricoltura nell’apparato
produttivo. Soltanto il settore primario veniva ritenuto in grado di produrre un sovrappiù.
Tra Quesney e i suoi seguaci vi era però una differenza. Secondo il nostro, un’agricoltura
realizzata con tecnologie moderne realizzava dei prodotti che potevano essere venduti ad
un prezzo tale da consentire il recupero di tutti i costi di produzione più un sovrappiù. Per
i seguaci di Quesney era la fertilità della terra a generare quel sovrappiù. Tornando a
Quesney, la sua interpretazione del sistema produttivo si riferiva ad un’agricoltura
moderna, condotta con metodi ad alto impiego di capitale (grande culture). Questa
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concezione si richiamava un famoso diktat fisiocratico: sostituire i cavalli ai buoi nel
trascinamento dell’aratro. Il cavallo rappresentava un sistema di produzione più moderno
e a maggiore intensità di capitale. Per Quesney era necessario assicurare il bon prix, ossia
un prezzo sufficientemente alto, ai prodotti della terra, in modo che l’agricoltura
diventasse remunerativa e fosse possibile attuare l’accumulazione di capitale. La
realizzazione del bon prix doveva diventare l’obbiettivo della politica economica ed
andava perseguita attraverso un adeguato sostegno alle esportazioni dei prodotti agricoli
nonché incoraggiando i consumi interni di tali prodotti. L’autore, trattando del capitale e
degli investimenti produttivi distingueva tra:

Investimenti iniziali per mettere a cultura il terreno.

Investimenti a lungo termine, che per durano nel sistema per più cicli produttivi.

Investimenti in capitale circolante, ossia fattori produttivi interamente distrutti
nell’ambito di un solo ciclo di produzione.
Il contributo più significativo e noto dell’autore fu certamente quello di aver individuato
le relazioni esistenti tra i vari settori dell’economia. Nacque l’idea dell’interdipendenza tra
i settori produttivi e quella di ciclo economico. All’interno di un sistema economico si
possono distinguere tre classi:

Classe produttiva; imprenditori agricoli e contadini.

Classe sterile; artigiani, operai e commercianti.

Classe aristocratica.; nobiltà e clero.
L’analisi di Quesney venne esposta con una serie di grafici a zig zag di non semplice
comprensione che mostrano le relazioni intercorrenti tra i diversi settori economici,
queste ultimi si ripropongono ad ogni ciclo produttivo. Si tratta di un sistema di
riproduzione semplice in cui il sovrappiù viene prodotto esclusivamente nel settore
agricolo e interamente consumato dalla classe aristocratica. Il limite più grosso di questa
analisi consiste nel negare la possibilità che altri settori produttivi generino un sovrappiù.
I fisiocratici, in ogni caso, ritenevano che il prelievo fiscale dovesse gravare unicamente
sul sovrappiù, e quindi sulla nobiltà e sul clero, ciò per non intralciare il ciclo produttivo e
per non ostacolare l’accumulazione ed il rinnovamento tecnologico.
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Anne Robert Jacques Turgot fu vicino al pensiero degli Illuministi ed amico personale di
Voltaire. Con Luigi XVI intraprese una notevole carriera politica, fu membro del Consiglio
reale, ministro della marina militare e infine ministro delle finanze. Il suo scritto
economico più famoso fu Reflexions sur la Formation et la Distribution des Richesses, un
breve saggio sulla pubblica amministrazione, con alcuni contributi teoretici. Forte
sostenitore del liberalismo economico, avversò ogni limite ai commerci e riconobbe il
valore propulsivo dei capitalisti imprenditori. A tal proposito, Turgot prese posizione
contro i fisiocratici che a sua parere erano incapaci “di distinguere tra mercanti illuminati
che solo desiderano la libertà e piccoli, avidi, ignoranti commerciati”. Egli attribuì alle
merci un valore soggettivo, ritenendo che il prezzo di scambio andasse sempre a
collocarsi a metà strada tra i valori estimativi che i due contraenti conferiscono alla
merce. Tali valori rappresentano un limite inferiore (quello del venditore) e superiore
(quello del compratore). Un elemento oggettivo nella determinazione del prezzo di una
merce veniva però riconosciuto: il prezzo fondamentale, che inglobava il costo di
produzione più un moderato profitto, tale valore rappresentava il limite soglia al di sotto
del quale la produzione sarebbe cessata. In un sistema produttivo efficiente esso
tenderebbe a diventare basso. Anticipò anche la teorie dei rendimenti decrescenti
osservando che vi sarà una graduale caduta di produttività in un terreno su cui si
applicano dosi crescenti di lavoro. Il francese anticipa anche la teoria del saggio di profitto
uniforme. Il capitale monetario poteva essere utilizzato in cinque modi diversi:

Comprare un pezzo di terra e diventare proprietario terriero.

Comprare mezzi di produzione e mettere in piedi una industria.

Investire in agricoltura e diventare imprenditore agricolo.

Investire nel commercio e diventare mercante.

Dare il denaro in prestito.
Ogni impiego ha un rendimento proporzionale al rischio collegato, ma poiché il denaro è
una ricchezza mobile che fluttua tra le diverse tipologie di impiego, questi movimenti
tenderanno ad uniformare il saggio di profitto.
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Lontano da Parigi, il pensiero illuminista abbandonò la sua impostazione cartesiana e
propese piuttosto per un’idea dell’esistenza di un ordine spontaneo che, attraverso
adattamenti successivi, condurrebbe ad un sistema sociale ben funzionante, non
prevedibile all’inizio del processo. David Hume, spirito cosmopolita e fine conoscitore
dell’animo umano, attribuisce all’utilità e all’egoismo, solo lievemente smussati dalla
benevolenza, la spinta determinante per ogni azione. Nei Discorsi politici espose in nove
saggi i suoi concetti economici, criticando fortemente le teorie mercantiliste ed
affermando che la ricchezza di una nazione non dipendeva dalla quantità di monete
presenti bensì dalla quantità di beni e di lavoro disponibili. Il commercio internazionale
poteva, nella sua visione, favorire il benessere di tutti i contraenti, giungendo a spostare
le produzioni verso i paesi più poveri dove inizialmente i salari sarebbero stati più bassi. A
questa teoria si accompagnò in Hume la condivisione dell’idea del doux commerce. La
visione illuminista della società di Hume era estremamente egalitaria. Egli ritenne
innaturale che la ricchezza si concentrasse nelle mani di pochi ed affermò che la
tassazione doveva generare una migliore distribuzione delle risorse.
Gli interessi per l’economia dell’abate Ferdinando Galiani iniziarono con la traduzione
degli scritti di Locke sul denaro. Da questi studi trasse il suo Della moneta. Nel testo viene
analizzato il problema del valore, affrontando il famoso paradosso tra utilità e scarsità. La
relatività e la soggettività di ogni cosa vengono affermate con vigore. L’autore non
condivise la fede cieca che gli illuministi francesi riponevano nella ragione e nella sua
capacità di disciplinare la natura umana. L’italiano si soffermò maggiormente sulle
imperfezioni che alterano e corrompono le azioni ed i comportamenti. Galiani sostenne
che, anche se può esistere una regola generale, i ragionamenti economici dovevano
riferirsi a circostanze specifiche. Ogni cosa era legata ad un tempo e ad un luogo e ogni
regola sembrava applicabile soltanto come eccezione. Il suo estremo relativismo lo
collocò nell’ala degli illuministi scettici. Galiani non negò l’esistenza di un ordine naturale
e di leggi verso cui il sistema economico tenderebbe spontaneamente, ritenne
semplicemente che l’essere umano fosse troppo limitato nel tempo e nello spazio per
attendere che queste leggi diventino reali. La sua dimensione fu quella dell’irrazionalità,
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