CONFRONTO DI IDEE
ADELMO MANNA
Riflessioni introduttive sulle recenti riforme
in tema di “svuota-carceri”*
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Sovraffollamento carcerario e misure di urgenza: la conversione in
legge del d.l. n. 146 del 2013. – 3. La nuova disciplina della messa alla prova per gli adulti di cui all’art.
168-bis c.p. – 4. Sintesi dei risultati raggiunti: le ragioni della mancata utilizzazione di sanzioni penali
diverse dalla pena detentiva, correlate ad un sistema penale ancora di carattere “carcerocentrico”.
1. Introduzione
Siamo qui riuniti per questo importante Convegno, onde stabilire in particolare non solo l’evoluzione e/o involuzione della pena da Beccaria ad oggi, ma
soprattutto se il pensiero del grande illuminista lombardo sia o no ancora attuale.
Il Beccaria, nel noto aureo “libretto”1, sosteneva in primo luogo un passaggio
davvero epocale, cioè quello da una giustizia “espiatoria”, tipica, ma non solo,
come si potrà constatare in seguito, di una stagione pre-illuminista, ad una
giustizia “preventiva”. «Siano dunque inesorabili le leggi, inesorabili gli esecutori di esse nei casi particolari, ma sia dolce, indulgente, umano il legislatore.
Saggio architetto, faccia sorgere il suo edificio sulla base dell’amor proprio, e
l’interesse generale sia il risultato degl’interessi di ciascuno…»2.
Già da questi brani emerge, dunque, la concezione della pena del Beccaria: in
primo luogo la pena non svolge una funzione repressivo-espiatoria, bensì di
natura preventiva.
Da ciò consegue che la pena deve, in primo luogo, essere giustamente severa,
nel senso che già il grande illuminista lombardo non credeva alle supposte
virtù taumaturgiche degli aumenti indiscriminati delle pene. La sanzione penale, al contrario, deve soprattutto essere “certa e pronta”, perché solo in tal
modo può efficacemente svolgere la sua funzione preventiva, sia a livello della
generalità dei consociati, affinché, così ammoniti, si astengano dal delinquere,
che nei confronti del singolo reo, che, se sa che la pena arriva inesorabile ed a
* Testo, riveduto, ampliato e con l’aggiunta delle note, dell’Intervento al Convegno su “La pena da
Beccaria ad oggi”, Roma, Università “La Sapienza”, 11 dicembre 2014.
BECCARIA, Dei delitti e delle pene. Con una raccolta di lettere e documenti relativi alla uscita
dell’opera e alla sua fortuna nell’Europa del Settecento, a cura di Venturi, Torino, 1994.
Cfr., in argomento, PORRET, Beccaria - Il diritto di punire, Bologna, 2013, 90, che riporta, infatti, sul
punto il pensiero del Nostro; v., altresì, Speciale - 250° Anniversario della pubblicazione dell’opera di
Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene”, in Riv. it. dir. pen. proc., 2014, 2025 ss.
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relativamente breve distanza di tempo dal fatto, si asterrà più facilmente dal
delinquere di nuovo.
Tanta acqua sotto i ponti è passata dall’epoca di Beccaria e tante concezioni
sulla pena si sono avvicendate3, ma la sorprendente modernità del pensiero
del Beccaria sta, almeno a nostro avviso, nella concezione per cui la pena in
tal guisa non si giustifica ex se, in un’ottica kantiana da “imperativo categorico”4, bensì solo se risulta funzionale agli scopi preventivi che sono ad essa
propri.
Sarebbe, in questa sede, sicuramente un fuor d’opera ripercorrere le diverse
concezioni della pena, in quanto crediamo che possa risultare assai più proficua l’analisi delle recenti riforme legislative in materia c.d. “svuota-carceri”,
non solo per verificare se le aspettative siano o no andate deluse, ma, soprattutto, quale concezione della pena emerga da queste ultime riforme e se sia o
no rispettosa degli insegnamenti del grande giurista lombardo.
2. Sovraffollamento carcerario e misure di urgenza: la conversione in legge
del d.l. n. 146 del 2013
Le misure urgenti varate in tema di tutela dei detenuti e di riduzione della
popolazione carceraria con d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, conv. con l. 21
febbraio 2014, n. 10, si inseriscono nel quadro articolato dei provvedimenti
adottati negli ultimi anni per porre rimedio alla difficile situazione carceraria5.
Preliminarmente6, preme evidenziare come il decreto legge in oggetto giunge
a distanza di pochi mesi dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, di conversione del d.l. 1
luglio 2013, n. 787, e faccia sue quelle che sono state le proposte avanzate sia
dalla Commissione Giostra che, in seguito, dalla Commissione Palazzo, inca-
Sia consentito, sul punto, il rinvio a MANNA, Corso di diritto penale, Padova, 2012, 3 ss.; 535 ss., con
la bibliografia ivi citata.
Cfr., a questo proposito, EUSEBI, La funzione della pena: il commiato da Kant e da Hegel, Milano,
1989.
CAPRIOLI, SCOMPARIN Sovraffollamento carcerario e diritti dei detenuti – Le recenti riforme in materia di esecuzione della pena, Torino, 2015; DEGL’INNOCENTI, FALDI, I benefici penitenziari, Milano,
2014; DELLA BELLA, Emergenza carceri e sistema penale, Torino, 2014.
DI GIUSEPPE, Sovraffollamento ed emergenza carceraria, ovverosia il D.L. n. 146 del 23 dicembre
2013: “palliativo” o cammino verso una reale soluzione della problematica?, in Trattato di diritto penale, diretto da Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Parte generale, Torino, 2014, 565 ss.; TAMBURINO,
La sentenza Torreggiani e altri della Corte di Strsburgo, in Cass. pen., 2013, 11; DELLA CASA, Il risar3
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cimento del danno da sovraffollamento carcerario: la competenza appartiene al giudice civile (e non al
magistrato di sorveglianza), ibidem, 2013, 2260.
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D.l. 1° luglio 2013, n. 78, contenente “Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena”.
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ricate di elaborare una «proposta di interventi in tema di ordinamento penitenziario e in particolare di misure alternative alla detenzione».
Lo stesso si muove lungo due linee di intervento, tese da un lato ad incidere
sui flussi in entrata dei detenuti, riducendoli, e aumentando quelli in uscita e
dall’altro, prevedendo interventi idonei a rafforzare la tutela dei diritti delle
persone detenute, intervento ritenuto prioritario dalla Commissione Giostra,
alla luce delle prescrizioni imposte dalla Corte di Strasburgo nella sentenza
Torreggiani.
Nel primo indirizzo di intervento possono farsi rientrare le soluzioni intraprese in tema di misure alternative alla detenzione.
Una delle novità del decreto è, infatti, quella disposta dall’art. 4, disciplinante
la “liberazione anticipata speciale”8, la quale si caratterizza per la previsione di
una detrazione di 75 giorni ogni semestre di pena scontata, differenziandola
dalla libertà anticipata prevista e disciplinata dall’art. 54 ord. penit. che ne
prevede solo 45.
Sicuramente merita un plauso il legislatore nell’ambito della corretta applicazione della disposizione in discorso con efficacia retroattiva ai condannati, che
a partire dal 1º gennaio 2010, abbiano usufruito di liberazione anticipata, riconoscendo agli stessi una maggiore detrazione di trenta giorni ogni semestre
trascorso, purché abbiano continuato a «dare prova di partecipazione
all’opera di rieducazione». Non di meno, occorre però rilevare come indice
di un intervento idoneo solo a svuotare il carcere dall’innumerevole presenza
di detenuti e non un passo ulteriore, sia la disposizione del comma 5 che prevede la non applicazione della disposizione sulla liberazione anticipata speciale ai condannati ammessi all’affidamento in prova o alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali
misure alternative.
Ulteriore strumento sul quale, in forma deflattiva, è intervenuto il decreto
concerne l’istituto dell’affidamento in prova, previsto e disciplinato dall’art. 47
ord. penit., come forma alternativa alla detenzione. Prima della riforma, avvenuta col decreto, il beneficio poteva essere richiesto per i condannati a pena detentiva non superiore ai tre anni, oggi, a seguito dell’intervento legislativo, il co. 3-bis, aggiunto all’art. 47 ord. penit., statuisce che la misura possa
essere richiesta anche da chi ha un residuo di pena non superiore ai quattro
anni. L’agevolazione concessa è “mascherata” dal vincolo di osservazione della personalità del reo per un periodo più lungo di quello ordinario, serbando
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GASPARI, Liberazione anticipata speciale fino a Natale 2015, in Guida dir., 2014, 4, 49 ss.
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un controllo sul comportamento del condannato tenuto sin dall’anno precedente a quello della richiesta.
È, inoltre, previsto, con la sostituzione del co. 4 dell’art. 47 ord. penit., modifica dettata probabilmente in ottica di maggiore celerità e flessibilità del vaglio
della richiesta di affidamento, che il magistrato di sorveglianza possa, «offerte
concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per
l’ammissione all’affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla
protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga», disporre
con sua ordinanza in via provvisoria l’applicazione dell’affidamento in prova,
conservando efficacia per sessanta giorni, termine ultimo entro il quale deve
intervenire il Tribunale di sorveglianza.
Interventi mirati, in ottica deflattiva, dell’istituto penitenziario, sono poi previste per i soggetti, tossicodipendenti e stranieri, che, in realtà, maggiormente
contribuiscono al fenomeno del sovraffollamento carcerario.
Primo intervento di rilievo è quello previsto dal co. 1 dell’art. 2 d.l. n. 146 del
2013 che modifica l’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309 del 1990, relativo alle condotte minori, definite di “lieve entità”, nelle ipotesi di spaccio.
Sul punto, invero, preme evidenziare come la giurisprudenza sia unanimemente concorde nel ritenere che la disposizione in oggetto, essendo essa prevista per punire diversamente rispetto al co. 1 dell’art. 73 d.p.r. 309 del 1990
quelle forme di manifestazione del reato che hanno una carica offensiva più
lieve, determinata o dal modesto quantitativo di sostanza detenuta, o dalla
qualità della stessa, nonché dai mezzi, dalla modalità o dalle circostanze
dell’azione9, trovi applicazione quando la fattispecie concreta risulti di trascurabile offensività.
Il legislatore, oltre alla modifica del profilo sanzionatorio che viene determinato non più da uno a sei anni di detenzione, ma giunge al limite massimo di
cinque, trasforma la condotta in esame da ipotesi attenuante a figura autonoma di reato10.
Vieppiù, va rilevato come tale soluzione giunga espressamente da quelle che
sono le linee di indirizzo della Commissione Giostra - in seguito riprese dalla
Commissione Palazzo - la quale suggerisce la suddetta trasformazione legislativa «allo scopo di sottrarre la stessa al giudizio di comparazione tra circostanze, che allo stato comporta – in alcuni non infrequenti casi – risultati sanzionatori ingiustificatamente pesanti».
Cfr. Cass., Sez. IV, 24 febbraio 2005, in Riv. pen., 2006, 599; ZAINA, Stupefacenti: lieve entità e ingente quantità, Santarcangelo di Romagna, 2007, 409 ss.
AMATO, Il fatto di lieve entità diventa un reato autonomo, in Guida dir., 2014, 4, 38 ss.
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La linea indicata dalla Commissione e fatta propria dal legislatore trova la sua
matrice nella decisione della Corte costituzionale n. 251 del 2012 che ha abbattuto la sua scure sull’art. 69 c.p. nella parte in cui faceva divieto di prevalenza del fatto di lieve entità riconosciuta dal co. 5 dell’art. 73 d.p.r. n. 309 del
1990, sulla recidiva di cui all’art. 99, co. 4, c.p., fondando il suo ragionamento
sulla riscontrata irragionevolezza delle risultanze eccessivamente sanzionatorie
cui si sarebbe pervenuti.
La Corte costituzionale, inoltre, nella sua decisione sottolineava come si giungesse al paradosso per cui il «minimo della pena detentiva previsto per il fatto
di lieve entità nei confronti del recidivo reiterato, che subiva così di fatto un
aumento incomparabilmente superiore a quello specificatamente previsto
dall’art. 99, co. 4, c.p. per la recidiva reiterata che, a seconda dei casi, è della
metà o dei due terzi». Si precisava come il giudizio di equivalenza, imposto
dalla norma, oggetto di impugnazione determinasse, pertanto, un aumento di
ben cinque anni.
Comprensibile, indi, come il legislatore abbia, con la modifica effettuata al co.
5 d.p.r. n. 309 del 1990, inteso risolvere le possibili questioni interpretative in
tema di bilanciamento. Ad oggi, infatti, la nuova qualifica di ipotesi autonoma
del co. 5 lo mette al riparo dal giudizio di prevalenza o equivalenza, rendendo
inapplicabili i criteri di bilanciamento dell’art. 69, co. 4, c.p. anche ad altre
eventuali circostanze attenuanti o aggravanti, caratterizzanti la nuova fattispecie.
Ancora in ottica agevolativa per soggetti dipendenti da sostanze alcoliche e
stupefacenti deve essere letto l’ulteriore rilievo contenuto nel decreto, cioè
l’abolizione dell’art. 94, co. 5, d.p.r. n. 309 del 1990, teso a prevedere
l’eliminazione del divieto di reiterata concessione delle misure
dell’affidamento cosiddetto terapeutico, in considerazione delle particolari
caratteristiche di tale categoria di condannati, che spesso soffrono di ricadute
conseguenza della loro patologia.
Per i detenuti stranieri11, il decreto ha previsto un ampliamento del raggio di
azione dello strumento dell’espulsione dirigendolo verso i detenuti stranieri,
anche non appartenenti all’UE, ampliando il novero dei reati per cui questo
possa essere irrogato ed, in più, snellendo e garantendo maggiore coordinazione tra gli organi competenti coinvolti nella procedura. Viene, inoltre, prevista già dall’ingresso in carcere la procedura di identificazione per rendere
effettiva l’esecuzione dell’espulsione.
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CISTERNA, Aumentano le espulsioni degli stranieri condannati, in Guida dir., 2014, 4, 52 ss.
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In tema di detenzione domiciliare, il decreto prevede, all’art. 5, l’estensione
legislativa della disposizione che consente di scontare presso il domicilio la
pena detentiva, anche se residua, sino ad un termine non superiore a diciotto
mesi.
Relativamente al secondo indirizzo del decreto, idoneo ad incidere in materia
di tutela dei diritti dei detenuti, lo stesso prevede l’istituzione di una nuova
figura presso il Ministero di Giustizia, il Garante nazionale dei diritti delle
persone detenute o private della libertà personale, denominato Garante nazionale12.
Organo collegiale, composto da un presidente e due membri, nominati tra
soggetti competenti nelle discipline afferenti la tutela dei diritti umani, ha il
compito di vigilare affinché «l’esecuzione delle misure della custodia cautelare
in carcere o altre forme di limitazione della libertà personale siano attuate in
conformità ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle Convenzioni internazionali sui diritti umani».
Nel suo operare ha il potere di visita, senza autorizzazione, degli istituti di detenzione, compresi i CIE, può richiedere informazioni alle amministrazioni
responsabili delle strutture, formulare e destinare raccomandazioni alle stesse.
Ulteriore novità prevista dal decreto, l’aggiunta del nuovo art. 35-bis ord. penit. recante la formulazione di una nuova ipotesi di reclamo giurisdizionale,
esperibile davanti al magistrato di sorveglianza, precipuamente funzionale a
fornire risposte alle esortazioni della nota sentenza Torreggiani della CEDU
e, precisamente, relativamente alla prescrizione che fa obbligo di introdurre
un ricorso interno, idoneo ad offrire un effettivo rimedio preventivo (rimozione immediata delle cause) e compensativo (una riparazione adeguata del
pregiudizio subito), rispetto alle situazioni di contrasto con l’art. 3 CEDU.
La norma stabilisce che il reclamo venga trattato secondo il combinato disposto degli artt. 666-678 c.p.p., il c.d. procedimento di sorveglianza, con la novità della previsione della partecipazione dell’amministrazione interessata al
reclamo stesso, che viene così messa in grado di poter esporre proprie osservazioni comparendo in udienza o mediante la trasmissione per iscritto di note
al magistrato di sorveglianza.
Qualora il reclamo del detenuto venga accolto, il magistrato di sorveglianza
può: a) ordinare l’ottemperanza, indicando modalità e tempi di adempimento; b) dichiarare nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito; c) se non sussistono ragioni ostative, può, su richie12
GASPARI, Istituito il Garante nazionale dei diritti del detenuto, in Guida dir., 2014, 4, 55 ss.
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sta delle parti, determinare la somma dovuta al detenuto a titolo di riparazione, entro il limite massimo di 100 euro per ogni giorno; d) può, infine, nominare un commissario ad acta (art. 3, co. 6, lett. a), b), c), d).
Da ultimo, il decreto all’art. 8 dispone la proroga per l’adozione dei decreti
relativi alle agevolazioni ed agli sgravi per l’anno 2013 da riconoscersi ai datori di lavoro in favore di detenuti ed internati.
3. La nuova disciplina della messa alla prova per gli adulti di cui all’art. 168bis c.p.
La legge n. 6713 del 201414, prevede al capo I (artt. 1 e 2) deleghe al Governo
in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio; al capo II (artt. da 3 a 8), disposizioni in materia di sospensione del
procedimento nei confronti degli irreperibili. Tale legge non rappresenta certamente una rivoluzione copernicana, ma un tentativo, seppur timido, di razionalizzazione del sistema sanzionatorio15.
I temi centrali delle deleghe di cui agli artt. 1 e 2 legge n. 67 del 2014 sono
tre: la non punibilità per irrilevanza del fatto; l’aumento del novero delle pene
principali attraverso sanzioni diverse dalla carcerazione e irrogabili dal giudice
della cognizione; la depenalizzazione di alcuni reati.
Focalizzando l’attenzione sull’istituto della messa alla prova, la matrice di ispirazione la si riscontra nei numerosi documenti europei che invitano gli Stati
Membri ad introdurre istituti che diano una risposta alternativa al processo
penale16.
L’istituto della messa alla prova, disciplinato dagli artt. da 3 a 8 della legge in
esame, ha apportato modifiche al codice penale, introducendo gli artt. 168bis, ter e quater c.p.; al codice di procedura penale, introducendo gli artt. da
464-bis a 464-novies c.p.p. e 657-bis c.p.p.; alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p., introducendo gli artt. 141-bis e ter e al
Contenente deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema
sanzionatorio, pubblicata in Gazz. Uff., 2 maggio 2014, n. 100.
BARTOLI, La sospensione del processo con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento?, in Dir. pen. e proc., 2014, 661; MURRO, Le nuove dimensioni del probation per
l’imputato adulto, in www.Treccani.it; BOVE, Messa alla prova per gli adulti: una prima lettura della l.
67/2014, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.
CONTI, MARANDOLA, VARRASO, Le nuove norme sulla giustizia penale, Padova, 2014, 98; PALAZZO,
Le deleghe sostanziali: qualcosa si è mosso tra timidezze e imperfezioni, ibidem, 145 ss.; ID., Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture (A proposito della legge n. 67/2014), in Riv. it. dir. pen.
proc., 2014, 1693 ss.
In dottrina DEL TUFO, La tutela della vittima in una prospettiva europea, in Dir. pen. proc., 1999, 889
ss.; CATALANO E.M., La tutela della vittima nella Direttiva 2012/29 UE e nella giurisprudenza delle
corti europee, in Riv. it. dir. pen. proc., 2014, 1789 ss.
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d.p.r. n. 313 del 2002 lett. i-bis all’art. 3. Diversamente dall’istituto previsto
nel sistema penale minorile, quello introdotto dalla legge n. 67 del 2014 prevede alcuni limiti di applicabilità, due di natura oggettiva ed uno di natura
soggettiva. Per quel che concerne il primo limite17, la legge stabilisce che la
sospensione del procedimento con messa alla prova è ammesso soltanto per i
reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla
pena pecuniaria, e per i delitti di cui all’art. 550, co. 2, c.p.p.; il secondo limite
è rappresentato dal fatto che tale istituto non può essere concesso più di una
volta.
Mentre il limite di carattere soggettivo si sostanzia nella impossibilità di applicazione della messa alla prova a coloro i quali sono stati dichiarati delinquenti
professionali, abituali o per tendenza.
Una novità introdotta dalla normativa in esame attiene ai contenuti della misura, in particolare le prescrizioni possono essere suddivise in tre “macrocategorie”: prescrizioni riparatorie e, ove possibile, risarcitorie; affidamento al
servizio sociale per lo svolgimento del programma; lavoro di pubblica utilità,
ovvero attività di volontariato.
Se la prestazione di condotte riparatorie e risarcitorie non si discostano di
molto dall’omologo istituto del processo minorile, la prestazione di lavoro di
pubblica utilità merita un discorso autonomo.
Se anche in questo caso l’oggetto della sanzione in esame si sostanzia in una
prestazione non retribuita in favore della collettività, che deve tener conto delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato e le cui modalità di svolgimento non devono pregiudicare le esigenze di lavoro, studio,
famiglia e salute, la sua durata è invece fissata nel minimo (dieci giorni) ma
non anche nel massimo.
Diverso è anche il luogo di svolgimento della prestazione che può essere
presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le aziende sanitarie, ma
anche presso enti, eventualmente internazionali, di assistenza sociale e di volontariato.
Per quanto concerne gli effetti (art. 168-ter c.p.), l’istituto in esame, oltre a
sospendere il procedimento, sospende anche il corso della prescrizione del
reato, in modo da evitare che la messa alla prova si trasformi in una sorta di
“gratuita impunità”, per l’imputato.
VIGANÒ, Sulla proposta legislativa in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova , in
Riv. it. dir. pen. proc., 2013, 1302.
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Altro effetto è l’estinzione del reato che rappresenta la conseguenza automatica nell’ipotesi di esito positivo del periodo di prova. L’estinzione lascia però
impregiudicate le sanzioni amministrative accessorie eventualmente previste
dalla legge. L’art. 47, co. 3, del Progetto Pisapia18 vietava di concedere più di
una volta la sospensione condizionale della pena a chi avesse usufruito della
sospensione del processo con messa alla prova per un reato punito con pena
detentiva. Il testo approvato non impedisce invece, in astratto, che possa godere per due volte della sospensione condizionale della pena chi abbia già
beneficiato della messa alla prova; né che possa essere ammesso alla prova
chi abbia già “interamente” consumato il beneficio della sospensione condizionale della pena. In concreto, queste evenienze devono tuttavia fare i conti
con le prognosi giudiziali sul comportamento futuro dell’imputato e con la
previsione dell’art. 6 della legge che introduce, tra i provvedimenti da annotare nel casellario giudiziale (ex art. 3, co. 1, d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313),
«l’ordinanza che ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p. dispone la sospensione del
procedimento con messa alla prova».
Seppur si comprende la ratio della iscrizione, cioè evitare che il soggetto ne
benefici ad libitum, pur tuttavia resta l’irragionevolezza dell’iscrizione di un
provvedimento comunque estintivo del reato, beninteso se l’esito della prova
è stato positivo, il che da’ luogo ad un’evidente antinomia.
La disciplina sostanziale si chiude con i casi di revoca di cui all’art. 168-quater
c.p., e le ipotesi sono: a) grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle sue prescrizioni; b) il rifiuto opposto alla prestazione del lavoro
di pubblica utilità; c) la commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole di quello per cui si
procede.
Il nuovo istituto, seppure carente in alcuni punti, rappresenta, senza dubbio,
un importante passo verso le prescrizioni europee in materia di mezzi stragiudiziali di risoluzione delle controversie.
È dunque evidente che il ruolo dell’u.e.p.e. diventa cruciale ai fini della buona riuscita della riforma, rappresentando il punto nodale della stessa. Infine,
sarà necessaria una sinergia tra i Tribunali e le articolazioni territoriali facenti
capo ai Provveditori Regionali e, quindi, ai Direttori degli uffici locali di esecuzione penale esterna e, tra questi, e gli enti pubblici e le associazioni del
“privato sociale”, presso cui è destinata ad essere svolta l’attività della messa
alla prova.
MONTAGNA, Sospensione del procedimento con messa alla prova e attivazione del rito, in Le nuove
norme sulla giustizia penale, cit., 375 ss.
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4. Sintesi dei risultati raggiunti: le ragioni della mancata utilizzazione di sanzioni penali diverse dalla pena detentiva, correlate ad un sistema penale ancora di carattere “carcerocentrico”
Dall’analisi effettuata delle riforme già varate e di quelle in cantiere relative al
sovraffollamento carcerario, si può, in sintesi, concludere nel senso che quelle
già varate, peraltro rilevanti, come, in particolare, la sospensione con la messa
alla prova, ruotano, tuttavia, sempre attorno al modello della pena detentiva
ed infatti le ulteriori modifiche riguardano, non a caso, le misure alternative
alla detenzione.
La prima dimostrazione di quanto stiamo testé affermando deriva già dalle
difficoltà che sta incontrando il varo del decreto legislativo in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
A questo proposito va rilevato che il primo dicembre 2014 il Consiglio dei
ministri aveva approvato lo schema di decreto delegato e successivamente, nel
febbraio del 2015, dopo la trasmissione del suddetto schema alle Camere per
il parere, le stesse hanno espresso il loro punto di vista, ove, però, emerge
una netta differenziazione tra i punti di vista della Camera dei deputati e del
Senato delle Repubblica, da un lato, e del Governo, dall’altro.
Mentre, infatti, in sede governativa è emerso chiaramente l’indirizzo per cui la
particolare tenuità del fatto rientrerebbe nella più ampia tematica relativa alla
depenalizzazione, viceversa entrambi i pareri delle due Camere hanno categoricamente escluso che il nuovo istituto possa essere inteso come una forma,
nemmeno indiretta, di depenalizzazione19.
La difformità tra l’impostazione politico-criminale del Governo e quella
espressa, invece, dalle Camere mostra, evidentemente, non solo una semplice
divergenza di opinioni ma, chiaramente, sottende anche una sorta di “resistenza” nei confronti dell’introduzione di tale importante istituto, che, fra
l’altro, ha già dato buona prova di sé nel processo penale minorile e
nell’ambito della competenza penale del giudice di pace, a causa in particolare dei dubbi riguardanti l’incidenza di tale istituto sul principio
dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Tali dubbi, tuttavia, dovrebbero essere risolti soprattutto se si allarga
l’orizzonte a livello comparatistico, con particolare riferimento ai §§ 153 a e b
dello StPO, ove, infatti, l’analogo istituto ha condotto non già ad una discre-
Cfr. in argomento, CISTERNA, Tenuità del fatto. Quel “dilemma” della depenalizzazione, in Guida
dir., 28 febbraio 2015, 16 ss.; nonché MORAMARCO I pareri parlamentari a confronto sugli articoli del
codice penale che innovano l’istituto, ibidem, 19 ss.; e CISTERNA, Per droga e ambiente si apre la questione delle soglie di pena, ibidem, 21 ss.
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ARCHIVIO PENALE 2015, n. 1
zionalità dell’azione penale, ma soltanto ad una c.d. obbligatorietà “temperata”.
Discorso addirittura più evidente riguarda, poi, il mancato varo del decreto
legislativo in tema di detenzione domiciliare, ove anzi l’attuale Governo in
carica, evidentemente a causa delle pressioni esercitate dalla pubblica opinione e dai mezzi di comunicazione di massa circa gli scarsi margini di sicurezza
che consentirebbe tale forma di sanzione, ha addirittura deciso di non prorogare la legge di delega sul punto che, essendo già scaduta, rende impossibile,
almeno allo stato, il varo di tale importante riforma a livello sanzionatorio.
Già da questi due esempi emerge, a nostro avviso, in maniera eclatante come,
laddove il legislatore intenda spingersi al di là del ristretto settore relativo alla
pena carceraria, emergono immediatamente resistenze di vario tipo, che conducono poi al mancato varo di riforme così importanti a livello sanzionatorio.
Il problema, tuttavia, non può essere sicuramente limitato a queste due osservazioni in quanto sono ormai conosciute e sperimentate non solo in dottrina,
ma soprattutto negli ordinamenti stranieri, pene diverse da quella carceraria,
che fra l’altro sono state anche da noi proposte, seppure senza esito effettivo,
nei più recenti progetti di riforma del codice penale italiano, anch’essi, però,
purtroppo rimasti soltanto sulla carta20.
Intendiamo riferirci in primo luogo alla pena pecuniaria, che, fra l’altro, è già
stata introdotta nel dlgs n. 231 del 2001 in tema di responsabilità da reato degli enti, mediante, però, il sistema di commisurazione “per quote”, ovverosia
mutuando dai Paesi del nord Europa il sistema c.d. dei tassi giornalieri. Tale
sistema, com’è noto, consiste in una duplice operazione, che deve effettuare il
giudice penale, nel senso che nello stabilire il numero delle quote o dei tassi,
deve tener conto sia della gravità del fatto, che del quantum di colpevolezza
mostrato dal soggetto, mentre, nel calcolare l’ammontare della quota o del
tasso, deve tener conto della capacità economico-finanziaria del reo. In tal
modo la pena pecuniaria, abbassando sensibilmente lo standard di vita del
In argomento cfr. in particolare FIORELLA, Ripartire dai progetti ministeriale di un nuovo codice penale? Prospettive non avveniristiche di trasformazione del sistema delle sanzioni penali, in questa Rivista, 2014, 389 ss.; per un quadro riassuntivo della riforme in materia di sovraffollamento carcerario, cfr.
SELVAGGI, La depenalizzazione e le altre politiche deflattive nelle più recenti iniziative di riforma (con
particolare riferimento alle novità introdotte dalla L. 28 aprile 2014 n. 67), ibidem, 417 ss.; d’altro canto
20
lo stesso Presidente della Commissione ministeriale incaricata di elaborare sia le leggi di delega che i
decreti legislativi delegati in materia di sovraffollamento carcerario, si è mostrato critico in ordine alle
“timidezze” mostrate a livello governativo in materia: cfr. PALAZZO, Le deleghe sostanziali: qualcosa si è
mosso tra timidezze e imperfezioni, in CONTI, MARANDOLA, VARRASO, Le nuove norme sulla giustizia
penale, etc.cit., 145 ss.; nonché, BERNARDI, Il progetto di ricerca “Prison overcrowding and alternatives
to detention”: contesto e linee programmatiche, in Riv. it. dir. pen. proc., 2014, 1739 ss.
11
ARCHIVIO PENALE 2015, n. 1
soggetto, funge da reale alternativa alla pena detentiva, tanto è vero che in
Germania si è stimato come l’85% delle condanne in sede penale siano ad
una pena pecuniaria e solo il restante 15% ad una pena detentiva21.
Ciò nonostante, il legislatore della riforma non ha minimamente pensato ad
utilizzare la pena pecuniaria, modificando sul punto il codice penale in tema
di commisurazione, sostituendo cioè il tradizionale sistema a somma complessiva con quello, peraltro già sperimentato con successo con la responsabilità da reato degli enti, a tassi giornalieri.
Non vanno poi, in questa prospettiva, tralasciate le sanzioni interdittive, in
quanto hanno già dato buona prova di sé soprattutto in relazione ai reati economici, ove la prospettiva di non poter più rivestire per un determinato periodo di tempo, ad esempio, la funzione di amministratore, e ciò, ben inteso,
vale anche per i reati contro la pubblica amministrazione, come dimostra la
legge Severino in materia di decadenza dalla carica di parlamentare per soggetti condannati per gravi reati con sentenza definitiva, dimostra una loro rilevante funzione sia general- che special- preventiva.
Tanto ciò è vero che, ad esempio, in Francia già a partire degli anni ’70 del
Novecento le sanzioni interdittive possono essere utilizzate dal giudice penale
anche come pene principali22 e su analoga falsariga si era mosso nel nostro
Paese il Progetto Grosso di riforma del codice penale.
Alle sanzioni interdittive vanno poi aggiunte le sanzioni a carattere lato sensu
risarcitorie, con le connesse questioni relative alla c.d. mediazione penale,
sanzioni che sono già state sperimentate come c.d. terzo binario, oltre, cioè, le
pene e le misure di sicurezza, con successo già in diversi altri ordinamenti
quali l’Inghilterra, con i c.d. compensation orders, l’Austria, con la taetige
Reue, ovverosia il pentimento operoso, come causa estintiva del reato, con
particolare riguardo ai reati economici di piccolo e medio calibro ed, infine,
la Germania, con la riforma del paragrafo 46a del codice penale tedesco23.
Nella letteratura tedesca cfr. JESCHECK, GREBING, Die Geldstrafe in deutschen und ausländischen
Recht, Baden Baden, 1978; BAUMANN, Beschraenkungen des Lebensstandards anstatt kurzfirstiger
Freiheitsstrafe, Berlin, 1968; nella letteratura italiana in argomento per tutti, MUSCO, La pena pecuniaria, Catania, 1984, 75 ss.; e, più di recente, GOISIS, La pena pecuniaria. Un’indagine storica e comparata. Profili di effettività della sanzione, Milano, 2008, 93 ss.; MIEDICO, La pena pecuniaria. Disciplina,
prassi e prospettive di riforma, Milano, 2008, 132 ss.
In argomento, PADOVANI, Evoluzione storica ed aspetti di diritto comparato delle misure alternative,
in Cass. pen., 1979, 492 ss.; sul tema, da ultimo, per un particolare profilo di legittimità costituzionale
delle sanzioni interdittive, cfr. SELVAGGI, Interdizione perpetua dai pubblici uffici e funzione rieducativa della pena- Brevi osservazioni su un problema ancora aperto, in questa Rivista, in corso di pubblica21
22
zione.
In argomento sia consentito il rinvio a MANNA, Beni della personalità e limiti della protezione penale ,
Padova, 1989, spec. 651 ss., nonché, da ultimo, LUPARIA Lo statuto europeo delle vittime di reato –
23
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ARCHIVIO PENALE 2015, n. 1
Anche questa prospettiva, però, è stata dal nostro legislatore limitata alla
competenza penale del giudice di pace nonché anche al processo penale minorile senza che, tuttavia, si sia ritenuto di estenderla pure al giudizio ordinario, nonostante i voti espressi anche di recente da attenta dottrina, in una prospettiva attenta ai valori espressi dalla religione cattolica, nel senso del superamento della retribuzione verso una giustizia penale di carattere riconciliativo, intesa come «forma della ri-unione di ciò che è separato»24.
Nell’ambito della c.d. giustizia riparativa vanno, ovviamente, ricomprese anche le sanzioni di carattere in giunzionale, ovverosia quelle sanzioni che consistono in un obbligo di fare, appunto in genere a favore della vittima del reato, che può essere o una persona fisica, o una persona giuridica, o addirittura
lo Stato.
Da ultimo, va anche ricordata la recente esperienza nord-americana delle c.d.
“shame sanctions”, ovverosia le sanzioni basate sulla vergogna, che sono state
con successo utilizzate in particolare negli Stati Uniti d’America e che potrebbero essere attentamente considerate anche da noi25, pur con talune riserve
che la stessa essenza di tale tipo di sanzione può suscitare.
Ebbene, nonostante questo ricco armamentario di sanzioni diverse dalla pena
carceraria, che in particolare sono state ampiamente utilizzate nell’ultimo
progetto di riforma del codice penale italiano, ovverosia il Progetto Pisapia,
purtroppo anch’esso rimasto soltanto sulla carta, ci si deve interrogare sulle
ragioni per cui il legislatore della riforma ha inteso muoversi sempre in
un’ottica “carcero centrica”, senza allargare il proprio orizzonte a questo, peraltro, notevole e ricco armamentario di sanzioni diverse dal carcere. Per rispondere a questo quesito, crediamo che si debba partire da una differenza
sostanziale che si esprime nella distinzione tra teoria del reato e teoria della
pena. Mentre infatti la teoria del reato è più riconducibile ad un approccio di
carattere razionale, viceversa la teoria della pena è notoriamente più soggetta
non solo a valutazioni di carattere politico e morale ma, soprattutto, è influenzata fortemente dall’opinione pubblica amplificata dai mezzi di comunicazione di massa26.
Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, Padova, 2015, spec. 151 ss. e 159 e
ss.
Così TILLICH, Amore, giustizia e potere (1954), tr. it. di GALLI, Milano, 1994, 66; e, più in generale,
l’altrettanto importante volume di EUSEBI, La Chiesa e il problema della pena – Sulla risposta al negativo come sfida giuridica e teologica, Brescia, 2014, spec. 147 ss.
Cfr., in argomento, nella letteratura italiana, VISCONTI, Teorie della pena e “shame sanctions”: una
nuova prospettiva di prevenzione o un caso di atavismo del diritto penale?, in Scritti in onore di Mario
Romano, I, Napoli, 2011, 633 ss., con la bibliografia ivi citata.
Sul punto, PULITANÒ, Il messaggio del Presidente Napolitano e le politiche penali, in Dir. pen. cont.,
24
25
26
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ARCHIVIO PENALE 2015, n. 1
In questa prospettiva si coglie, almeno a nostro avviso, quella che costituisce
una differenza strutturale fra l’approccio dottrinario al problema della pena,
da un lato e, dall’altro, a quello giudiziario e dei mass-media.
Mentre, infatti, l’approccio dottrinario ha da tempo messo in crisi la concezione retributiva della pena, in quanto “razionalizzazione” dell’antico brocardo “occhio per occhio, dente per dente”, e dunque ha ormai “riscoperto” le
tesi del Beccaria nel senso, cioè, che la pena non si legittima in sé ma solo se
è funzionale alla prevenzione generale, nel senso dell’orientamento culturale
dei cittadini, ed alla prevenzione speciale, orientata soprattutto alla risocializzazione del reo, come abbiamo dimostrato in precedenza, dall’altra
parte il giudice penale, sovente influenzato dai mass-media, può comportarsi
in modo alquanto diverso.
Con ciò vogliamo intendere che il c.d. diritto vivente può esprimere, ad
esempio, già a livello di commisurazione della pena, una funzionalizzazione
della stessa a scopi di prevenzione generale, creando però così il c.d. capro
espiatorio, senza, invece, tenere conto che la persona umana dovrebbe essere
sempre considerata un fine e mai un mezzo, non solo di una politica criminale ma, nel caso di specie, anche di una razionale politica penale giudiziaria.
In secondo luogo, talvolta l’abuso della custodia cautelare si mostra come
“anticipazione” di una pena che possiede, quindi, tutto il sapore della retribuzione, che forse troppo frettolosamente la dottrina ha ritenuto di “mettere in
soffitta”.
Tuttavia, a parte questi atteggiamenti sicuramente poco commendevoli da
parte della giurisprudenza, è soprattutto la pubblica opinione, incarnata nei
mezzi di comunicazione di massa, a sospingere di nuovo lo stesso legislatore
verso l’antica concezione retributiva della pena, nel senso, cioè, che se la pena
continua a possedere, nell’immaginario collettivo, l’idea di vendetta, è giuoco
forza che la pubblica opinione insista sul mantenimento, come caratteristica
“ontologica” del diritto penale, quello della pena carceraria.
2014, 137 ss. e spec. 139 ss., nonché, seppure con diversità di accenti, GIOSTRA, Questione carceraria,
governo dell’insicurezza sociale e politica criminale, in Quest. giust., 2014, 11 ss., che non a caso sostiene giustamente come la deriva carcerocentrica, nonostante le recenti riforme, sia tipica di un “populismo penale”; PAVARINI, Leggendoti… Note a margine ad un saggio di Massimo Donini, in Jus17, 2014,
119 ss. e, per quadro riassuntivo, DOMENICONI, Diritto penale, carcere e clemenza. Nel ricordo di
Franco Bricola, vent’anni dopo, Bologna, 22 maggio 2014, in ibid, 219 ss.; nella dottrina spagnola, ad
es., SILVA SA’NCHEZ, La expansión del Derecho penal. Aspectos de la politica criminal en las sociedades postindustriales, Madrid, 2001, 153 ss., rileva giustamente come uno dei problemi dell’espansione
del diritto penale è che quest’ultima aumenta, a sua volta, il ricorso al carcere proprio in un momento
in cui la pena privativa della libertà affronta una profonda crisi. In argomento, v. anche SOUTO GARCÍA,
Dove si dirige il diritto penale? La criminalità economica come esempio paradigmatico di ampliamento
dei limiti della legge penale, in Riv. trim. dir. pen. eco., 2014, 483 ss.
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ARCHIVIO PENALE 2015, n. 1
Una dimostrazione lampante di quanto stiamo affermando è, d’altro canto,
riscontrabile nel sistema dei reati, così come costruito nel codice penale e nelle leggi complementari, ove non a caso è “sempre” presente la pena detentiva,
il che dimostra che siamo, nonostante tutti gli sforzi della dottrina, ancora in
presenza di un sistema penale carcerocentrico.
Due esempi faranno da ultimo meglio comprendere il nostro assunto: il primo riguarda il progetto di legge in materia di diffamazione a mezzo stampa,
che si propone, com’è noto, già da tempo, non a caso l’abolizione della pena
detentiva, ed altrettanto non è un caso, come indipendentemente dal merito
di tal progetto di legge, quest’ultimo ancora giaccia in Parlamento, senza che
possa intravvedersi quanto a meno a breve una sua trasformazione in legge,
perché, evidentemente, le resistenze, anche inconsce, dei parlamentari sono
nel senso che non riescono ad immaginarsi un reato senza la corrispettiva pena detentiva. Nonostante, quindi, addirittura la pressione di una lobby così
potente come quella dei giornalisti, non sappiamo ancora immaginarci un
sistema penale ove ad un reato non sia collegata la relativa pena detentiva, ma
ciò, evidentemente, non solo sta a significare il contrario della pena detentiva
come extrema ratio, ma soprattutto un diritto penale che, appunto, nonostante tutti gli sforzi, resta ancora per buona parte di stampo retributivo.
Il secondo esempio è dato dalla recente proposta del collega Pugiotto di
emanare un provvedimento di amnistia e indulto per tentare di risolvere, sotto questo profilo, o quanto meno attenuare notevolmente, non solo il sovraffollamento carcerario, ma anche l’intasamento dei tribunali 27.
Orbene, nonostante la difficoltà di varare una proposta di tal genere a causa
della necessità della maggioranza di 2/3 dell’intero Parlamento, essa comunque ha trovato resistenze, soprattutto con riguardo all’amnistia, non solo perché comporta un’inevitabile “rottura” della legalità ma, più in generale, con
riferimento anche all’indulto, perché costituiscono, in definitiva, provvedimenti “tampone”, come dimostra chiaramente l’esperienza dell’ultimo indulto, che infatti ha provocato una discreta diminuzione del numero dei carcerati, che tuttavia, dopo un anno è ritornato ai livelli quo ante. Se, tuttavia, si vuole approfondire ulteriormente la tematica, crediamo che scopriremmo come
proprio l’amnistia, intesa come rottura della legalità istituzionale, rinvii inevitabilmente ad un diritto penale di stampo a nostro avviso ancora tradizionale
e quindi non certo a quello più moderno, di carattere lato sensu riconciliativo.
27
PUGIOTTO, L’urlo di Munch della magistratura di sorveglianza, in Dir. pen. cont., 2014, 129 ss.
15
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In conclusione, da queste nostre considerazioni emergono chiaramente le
ragioni per cui il nostro sistema penale, nonostante le recenti riforme, resti
sostanzialmente di carattere carcerocentrico, in quanto, a nostro avviso, ciò è
dovuto, in definitiva, all’enorme peso che in tale settore giuoca la tradizione,
con, in più, la pressione esercitata dalla pubblica opinione soprattutto in relazione ai processi che assurgono agli onori della cronaca, ove emerge una richiesta pressante “soltanto” di pena carceraria, ove, anzi, sono difficilmente
comprese le stesse misure alternative alla detenzione. Ciò, però, non può non
significare che il diritto penale, nonostante gli sforzi di razionalizzazione, si
comporti come un fiume carsico, attraversato ancora da forti correnti di carattere etico-retributivo, ove un ruolo assai rilevante lo giuoca il giudice penale,
che nelle attuali intemperie – soprattutto politico-affaristiche, legate per di più
alla criminalità organizzata – è costretto a dettare anche le regole dell’etica
pubblica28, assumendo però su di sé un compito che ontologicamente gli è
estraneo.
Siamo, pertanto, purtroppo ancora ben lontani dalle idee-guida espresse, in
materia, dal Beccaria. L’attuale politica criminale si dimostra, infatti, ambigua
e, a tratti, anche contraddittoria, come dimostra, in primo luogo, l’esperienza
del decreto legislativo in tema di “irrilevanza penale del fatto”, allo stato solo
approvato dal Consiglio dei Ministri, ma ove, nell’ultima versione, a quanto si
apprende dagli organi di stampa, sarebbero stati esclusi i delitti di omicidio e
lesioni colpose e quello di atti persecutori. Come se ciò non bastasse, l’attuale
Ministro dell’Interno ha presentato un disegno di legge che ha come oggetto
precipuo l’innalzamento delle pene per i delitti di rapina e di furto, come se
l’aumento del carico sanzionatorio costituisse un reale deterrente, soprattutto
in questo settore, caratterizzato, invece, notoriamente, da un’alta “cifra oscura”e, a nostro avviso, altrettanto è a dirsi per la proposta di innalzamento delle
sanzioni anche in materia di delitti di corruzione, che, seppure non sono caratterizzati da tale cifra oscura, comunque fa permanere i dubbi sull’efficacia
deterrente di tale aumento di pena, seguendo in ciò sempre le linee-guida del
grande giurista lombardo.
Siamo, quindi, agli antipodi, rispetto agli insegnamenti del Beccaria, tanto che
appare cogliere nel segno quanto di recente affermato nella dottrina spagnola,
ovverosia che “il diritto penale si è trasformato in un’“arma politica” al servizio della ricerca della sicurezza, dell’ordine, della stabilità, e paliativo della
inquietudine e della paura che teoricamente devasta la società”29.
28
29
DONINI, Il diritto penale come etica pubblica, Modena, 2014.
MAQUEDA ABREU, Politicas de seguridad y estado de Derecho, in Pérez Álvarez, Serta in Memoriam
16
ARCHIVIO PENALE 2015, n. 1
Va tuttavia da ultimo salutato con favore il varo definitivo del decreto legislativo 16 marzo 2015 n. 28, recante “Disposizioni in materia di non punibilità
per particolare tenuità del fatto a norma dell’art. 1, co. 1, lett. m), l. 28 aprile
2014, n. 67”. Tale decreto legislativo, che ha definitivamente introdotto nel
giudizio penale ordinario la clausola della irrilevanza ovvero della particolare
tenuità del fatto, ha quindi superato le resistenze che abbiamo accennato in
precedenza, tanto è vero che la sua entrata in vigore è prevista per il giorno 2
aprile 2015.
Ciò che più rileva è il testo dell’art. 131-bis del codice penale, che pertanto è
inserito nel capo IV del Titolo I del codice penale, attinente alla “persona
offesa del reato” anche se la sua collocazione sistematica lascia talune perplessità, perché forse sarebbe stato meglio inserire la norma in oggetto nel successivo Titolo V avente ad oggetto “Della modificazione, applicazione ed esecuzione della pena”. Tanto ciò è vero che il disegno di legge originario il n.
1952, aveva ritenuto di collocare la non punibilità per irrilevanza del fatto
all’art. 48-bis, pria cioè del reato putativo e del reato impossibile, che appare,
almeno a nostro avviso, la soluzione migliore, date le affinità ben note tra il
principio dell’irrilevanza penale del fatto e quello dell’offensività.
Ad ogni buon conto la collocazione sistematica di un istituto non riveste poi
notevole rilevanza, ma ciò che più è importante è la struttura del nuovo art.
131-bis giacché in primo luogo si inserisce un limite edittale di pena, oltre il
quale non è possibile beneficiare dell’istituto in questione, che tuttavia non
era presente nell’originario disegno di legge n. 1952. Il limite attualmente riguarda reati per la quale è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, intesa ovviamente come pena edittale, per
cui, se non si supera tale limite, la punibilità è esclusa se, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutati ai sensi dell’art.
133, co. 1, c.p., l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non
abituale. Il co. 2, inoltre, prevede un ulteriore importante limite
all’applicazione della causa di non punibilità de quo agitur, nel senso che
l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità: 1) quando l’autore ha
agito per motivi abbietti o futili o con crudeltà, anche in danno di animali, o
ha adoperato sevizie; 2) oppure ha approfittato delle condizioni di minorata
difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa; 3) ovvero quando
la condotta ha cagionato o da essa sono derivate quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
Alexandri Baratta, Salamanca, 2004, 1288.
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ARCHIVIO PENALE 2015, n. 1
Con tale norma limitativa dell’applicazione della causa di non punibilità in
oggetto, che ovviamente non ritroviamo nel disegno di legge originario n.
1952, evidentemente il legislatore ha inteso operare una presunzione, iuris et
de iure, di non irrilevanza penale del fatto, laddove trattasi di omicidio colposo o di lesioni colpose gravissime oppure emergano talune circostanze relative
alle modalità della condotta che rendano particolarmente odioso il reato,
nell’ambito delle quali il riferimento all’aver approfittato delle condizioni di
minorata difesa della vittima evidentemente si riferisce anche al delitto di atti
persecutori, che pertanto tenendo conto anche dei lavori parlamentari, dovrebbero essere del pari escluso dall’applicazione della causa di non punibilità in questione. Nel co. 3 dell’art. 131-bis si definisce il comportamento abituale: a) nell’ipotesi in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale,
professionale o per tendenza; b) ovvero abbia commesso più reati della stessa
indole anche se ciascun fatto isolatamente considerato, sia di particolare tenuità; c) ovvero, infine, nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto
condotte plurime, abituali e reiterate.
Anche sotto quest’ultimo profilo ci sembra che si possa sostenere con fondamento l’esclusione dall’applicazione della causa di non punibilità in oggetto
del reato di stalking.
Per calcolare la pena detentiva prevista nel co. 1, non si tiene conto della circostanza, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di
specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale, ovverosia che prevedono un aumento o una diminuzione di pena superiore al
terzo. In quest’ultimo caso ovviamente non si tiene conto del giudizio di bilanciamento fra circostanze ex art. 69 c.p., e ciò costituisce l’ennesima eccezione alla riforma del 1974, che dimostra chiaramente l’atteggiamento “ondivago” del legislatore.
Per fortuna, l’ultimo comma dell’art. 131-bis stabilisce che la causa di non
punibilità si applichi anche laddove la legge prevedeva la particolare tenuità
del danno o del pericolo come circostanza attenuante, evidentemente in ciò
ritenendosi l’attenuante “assorbita” in se al principio di sussidiarietà, dalla più
ampia causa di non punibilità.
Seguono, all’art. 2 del decreto legislativo in questione, alcune importanti modifiche al codice di procedura penale, che possono essere cos’ì riassunte. In
primo luogo può essere richiesta l’archiviazione per particolare tenuità del
fatto ma, nel termine di dieci giorni, può prendere visione degli atti e presentare opposizione, indicando, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso,
la persona offesa. Per il resto, l’iter procedimentale si svolge con udienza camerale, in ciò mutuando la disciplina della tradizionale opposizione alla ri18
ARCHIVIO PENALE 2015, n. 1
chiesta di archiviazione. Ciò però sta a significare come nel caso di specie la
persona offesa svolga un importante ruolo, evidentemente nel senso che
l’istituto della particolare tenuità del fatto è subordinato all’assenso della persona offesa, perché solo così può essere ristabilita la c.d. ace giuridica. In secondo luogo, anche negli atti preliminari al dibattimento, può essere pronunciata sentenza di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto, pure
qui però previa audizione in Camera di consiglio altresì della persona offesa,
sempre laddove compaia. In terzo luogo la sentenza penale irrevocabile di
proscioglimento pronunciata sempre per a stessa ragione, ma in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quando l’accertamento di sussistenza del
fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento
del danno promossi nei confronti del condannato o del responsabile civile,
citato o interveniente. Da ultimo analoga efficacia presenta la sentenza irrevocabile di proscioglimento pur se pronunciata a seguito di giudizio abbreviato,
salvo che anche in questo caso vi si opponga la parte civile che non abbia però accettato il rito abbreviato medesimo.
Come può, pertanto, constatarsi, nell’ambito del processo penale, il ruolo
della persona offesa acquista un peso veramente decisivo in quanto svolge un
vero e proprio potere interdittivo, in relazione all’ammissibilità di una sentenza di non luogo a procedere per particolare tenuità del fatto, che, ancora una
volta, dimostra, più in generale, l’importante funzione che riveste la persona
offesa nell’ambito del nuovo codice di rito che è scuramente frutto anche del
progressivo sviluppo degli studi vittimologici.
Da ultimo, il decreto in analisi prevede anche alcune modifiche al dPR 14
novembre 2002, n. 313 in tema di casellario giudiziale.
In primo luogo anche la sentenza che dichiara la non punibilità per particolare tenuità del fatto deve essere inserita nel casellario giudiziale, mentre viene
eliminata trascorsi dieci anni dalla pronuncia medesima. Deve essere iscritto
sia nel certificato generale, che anche nel certificato penale, infine, il provvedimento de quo, quando la relativa iscrizione nel casellario non è stata ancora
eliminata.
Dalla disciplina da ultimo descritta, emerge come la sentenza di non luogo a
procedere per speciale tenuità del fatto, ovverosia per irrilevanza penale del
fatto, si differenzia per l’appunto da quella relativa al reato impossibile, perché mentre quest’ultima acclara che il fatto è inoffensivo, nel senso che né
lede, né tanto meno mette in pericolo il bene giuridico protetto, al contrario
la sentenza di non luogo a procedere per particolare tenuità del fatto presuppone una lesione od una messa in pericolo del bene giuridico, ma tale lesione
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ARCHIVIO PENALE 2015, n. 1
o messa in pericolo è di tale scarso rilievo, per la pluralità di ragioni indicate
nel decreto legislativo in analisi, che non solo necessita dell’assenso della persona offesa,ciò che non avviene nel caso del reato impossibile, ma la stessa
sentenza viene iscritta nel casellario giudiziale e vi permane per ben dieci anni, allo spirare dei quali soltanto è possibile la relativa cancellazione.
A questo punto giunti, non si potrà che attendere la reazione della dottrina e
soprattutto della giurisprudenza per verificare l’implementazione teoricopratica del nuovo istituto, pur se esiste già quella relativa alla importante esperienza maturata in rapporto al processo penale minorile ed alla competenza
penale del giudice di pace30.
Va tuttavia rilevato come l’avere esteso tale istituto al processo penale ordinario non solo corrisponde ad evidenti scopi deflattivi endo-processuali, per cui,
personalmente, siamo dell’avviso che si sia di fronte ad una sorta di depenalizzazione endo-processuale, ma ciò che più rileva, il legislatore si è dimostrato in grado di superare i dubbi pur altamente qualificati, circa l’eventuale
messa in pericolo dell’obbligatorietà dell’azione penale. Tali dubbi tuttavia si
sono dimostrati ampiamente infondati perché, come abbiamo già in precedenza rilevato, non si tratta affatto di sostituire al principio di obbligatorietà
dell’azione penale – che risulta diretta emanazione del principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge – con l’opposto principio della discrezionalità dell’azione penale, valevole invece nei sistemi penali anglosassoni, bensì
soltanto con quello c.d. di obbligatorietà temperata, in vigore invece da tempo
in un sistema ove peraltro vige il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, quale quello tedesco-occidentale, ove ha già dato buona prova di sé.
Per quanto riguarda l’irrilevanza penale del fatto nel processo penale minorile e nella competenza
penale del giudice di pace sia consentito nella manualistica, il rinvio a MANNA, Corso di diritto penale,
Padova, 2012, 517 ss., con ivi i necessari riferimenti in particolare bibliografici cui pertanto per ulteriori
approfondimenti, pure si rinvia.
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Scarica

Riflessioni introduttive sulle recenti riforme in tema