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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE IN EUROPA
Schede sulla formazione in Spagna, Germania, Repubblica Ceca, Francia, Portogallo, Regno Unito.
a cura di Salvo Leonardi, IRES
con la collaborazione di Ornella Cilona,
Stefano Palmieri e Roberto Pettenello
Numero speciale/La formazione professionale in Europa - 10 aprile 2006
pagina uno
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Spagna
1. Normativa vigente
Il sistema di formazione continua in Spagna nasce con la costituzione per legge nel 1993 di una Fondazione
per la formazione continua (Forcem). In seguito, un accordo interconfederale ha affidato alle parti sociali
il compito di promuovere e di approvare i piani formativi aziendali, interaziendali, settoriali, territoriali
e individuali. Negli anni successivi, si sono verificati notevoli cambiamenti nelle modalità di finanziamento
della formazione continua, dovute sia a pressioni del governo Aznar, che puntava a rafforzare il ruolo
dell’esecutivo a scapito delle parti sociali, sia alla spinta delle amministrazioni regionali, che reclamavano
più potere nella gestione dei fondi. Nel 2001 il Forcem ha mutato nome, trasformandosi in Fondazione
statale per la formazione al lavoro, poi, tre anni dopo, una nuova normativa ha riformato il funzionamento
della Fondazione. I mutamenti principali hanno riguardato un indebolimento della possibilità per il
sindacato di intervenire nell’approvazione o meno dei piani formativi e un maggior decentramento nella
gestione dei fondi. La riforma ha inoltre introdotto: la creazione di un sistema progressivo di sgravi per
la formazione; l’avvio di nuove azioni formative, che si rivolgono sia ai gruppi considerati prioritari dal
Fondo sociale europeo (i lavoratori delle aziende con meno di 50 dipendenti), sia ai gruppi svantaggiati
(donne, portatori di handicap, ultra45enni e non qualificati); la possibilità di accedere alla formazione
continua anche per i lavoratori a tempo parziale (quando non sono occupati), quelli autonomi, i disoccupati
e coloro che si trovano in mobilità.
2. Canali di finanziamento
Dal 2004 la formazione continua è finanziata dai contributi versati all’Istituto per la sicurezza sociale (Iss)
dalle imprese e dai lavoratori (pari allo 0,70% del monte salari) per il pagamento della formazione
professionale. Attualmente, lo 0,35% di tali contributi è destinato a quella continua, mentre il resto
finanzia la formazione professionale. Le imprese che effettuano interventi di F.C. usufruiscono di uno
sgravio sui contributi che sono tenute a versare ogni anno all’Iss per la formazione professionale. Per
poterne usufruire devono però rispondere a due requisiti: informare le rappresentanze aziendali dei
lavoratori delle attività di formazione e comunicare alla Fondazione l’inizio dei corsi. Un altro canale di
finanziamento della formazione continua è costituito dall’Inem (Istituto nazionale del lavoro), che
sovvenziona i piani previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore, oppure quelli intersettoriali
riservati alle imprese o ai sindacati più rappresentativi a livello nazionale. Nel 2002 i piani di formazione
continua hanno ricevuto dall’Inem un finanziamento di oltre 600 milioni di euro, dei quali il 57% è andato
ai progetti presentati dalle imprese e il 40% a quelli proposti dai sindacati, dagli enti bilaterali e dalle
federazioni di cooperative. Le iniziative di formazione continua che possono essere finanziate sono di
tre tipi: a) azioni nelle imprese che prevedono i permessi individuali di formazione; b) contratti programma
per i dipendenti; c) azioni complementari e di accompagnamento alla formazione.
Alle risorse nazionali si aggiungono i finanziamenti comunitari riservati alla formazione continua per il
ciclo 2000-2006 dei fondi europei sia nelle aree Obiettivo 1, sia per l’Obiettivo 3.
3. Ruolo delle parti sociali
Fin dal 1992, il governo e le parti sociali definiscono di comune accordo le modalità, i canali di finanziamento
e gli obiettivi della formazione continua per mezzo di Protocolli d’intesa nazionali (Anfc). Nell’organo
direttivo della Fondazione statale per la formazione al lavoro (Patronato) siedono nove rappresentanti
delle associazioni imprenditoriali, nove dei sindacati e nove dell’amministrazione pubblica. Il presidente
della Fondazione è nominato per un anno a rotazione fra i rappresentanti delle organizzazioni dei lavoratori
e degli imprenditori. I sindacati, insieme alle associazioni dei datori di lavoro, partecipano, inoltre, non
solo alle attività della Fondazione, ma anche a quelle di una Commissione statale per la formazione
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continua, dove siedono rappresentanti del Ministero del Lavoro e delle comunità autonome, che ha lo
scopo di monitorare e valutare le iniziative di formazione continua. Va sottolineato, infine, che, come
abbiamo visto, le imprese sono tenute a informare le rappresentanze sindacali aziendali delle azioni
formative intraprese, non solo specificando i gruppi beneficiari e gli strumenti pedagogici, ma anche
descrivendo gli obiettivi. Se l’impresa omette queste informazioni perde la possibilità di ottenere gli
sgravi.
4. Contrattazione (a livello nazionale, settoriale, territoriale e di azienda)
La contrattazione è uno dei pilastri sui quali si fonda il sistema di formazione continua in Spagna, come
dimostra il fatto che i piani finanziati dall’Inem s’inscrivono nei contratti collettivi nazionali di settore, i
quali prevedono Commissioni Paritarie settoriali, cui partecipano anche i rappresentanti sindacali, con
il compito di monitorare gli interventi di formazione continua e stabilire i criteri di accesso dei lavoratori
ai corsi. Anche nelle Comunità autonome funzionano commissioni paritarie territoriali, cui partecipano i
sindacati, con le medesime funzioni di quelle settoriali.
5. Tassi di partecipazione dei dipendenti a iniziative di formazione continua
Negli ultimi anni è notevolmente cresciuto il numero dei lavoratori che hanno partecipato a iniziative di
formazione continua, passando da 300mila del 1993 a un milione e 700mila del 2004.
6. Crediti formativi e validazione
Nel 2002 è stata approvata una legge quadro sulle qualifiche e la formazione professionale che ha istituito
un catalogo nazionale di qualifiche professionali accanto a una formazione per moduli, nonché un sistema
di riconoscimento e di valutazione dell’esperienza professionale.
Germania
1. Normativa vigente
La formazione continua rimane ancora oggi uno dei pilastri del sistema educativo pubblico, che opera
di concerto con le parti economiche e sociali. Le leggi federali e quelle dei Lander stabiliscono i principi
e le norme per l’organizzazione e il finanziamento della formazione continua e regolamentano la presenza
di numerosi istituti pubblici e privati, nei quali gli allievi frequentano i corsi se sono in possesso di un
titolo di istruzione superiore o, in qualche caso, se hanno acquisito le competenze necessarie attraverso
un’esperienza di lavoro. Vi sono poi normative nazionali che stabiliscono una procedura statale per il
riconoscimento degli istituti. L’obiettivo è quello di offrire attraverso numerosi corsi e servizi una vasta
gamma di opportunità a chi voglia specializzarsi, accrescere le proprie conoscenze o ottenere ulteriori
qualifiche professionali. La frequenza ai corsi di formazione continua è facoltativa.
2. Canali di finanziamento
Tutti gli attori coinvolti nella formazione continua (istituzioni pubbliche, imprenditori, sindacati, associazioni,
istituti di formazione) contribuiscono al finanziamento dei costi della formazione continua. Secondo gli
ultimi dati, alla fine degli anni Novanta in Germania sono stati destinati alla formazione continua oltre
35 miliardi di euro. Buona parte di queste risorse è stata finanziata dai privati, ma non ci sono disposizioni
normative che prevedano forme di contribuzione obbligatoria.
3. Ruolo delle parti sociali
tratta di un ruolo molto importante, come testimoniano gli accordi che sono stati siglati sulla formazione
continua (Lernzeitkonten) a livello settoriale e territoriale. In 10 Lander su 16 i lavoratori hanno diritto
a frequentare corsi di formazione continua, usufruendo per alcuni giorni l’anno (in genere cinque) di
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speciali congedi denominati Bildungsurlaub (congedi di formazione), senza perdita di stipendio.
4. Contrattazione (a livello nazionale, settoriale, territoriale e di azienda)
La maggior parte dei contratti collettivi tedeschi contengono clausole sulla formazione, ma queste
riguardano unicamente disposizioni relative alla gestione di congedi individuali.
5. Tassi di partecipazione dei dipendenti a iniziative di formazione continua
Alcune esperienze, come quella avviata dal 1999 nel settore delle telecomunicazioni (progetto Apo),
hanno mirato a diffondere la partecipazione dei lavoratori appartenenti a determinati settori a iniziative
di formazione continua. Il problema maggiore oggi percepito in Germania è, infatti, quello di adeguare
in molti settori produttivi i livelli di istruzione dei lavoratori ai mutamenti tecnologici in atto nelle fabbriche
e negli uffici. La formazione continua è considerato uno strumento basilare per ottenere tale adeguamento,
eppure oggi solo il 6% della popolazione attiva partecipa a iniziative di formazione continua. Fondamentale
per il successo del progetto Apo – che permetterà l’aggiornamento professionale di migliaia di lavoratori
con il rilascio di un certificato - si è dimostrata la collaborazione fra i sindacati (IG Metall), le associazioni
imprenditoriali del settore delle telecomunicazioni, il governo federale e l’Istituto nazionale per la
formazione professionale.
6. Crediti formativi e validazione
Dal 1974, i lavoratori che partecipano a un corso di formazione professionale continua ricevono un
tesserino (Bildungspass) che registra la loro partecipazione e che si è dimostrato utile come strumento
di avanzamento professionale.
Repubblica Ceca
1. Normativa vigente
L’attuale normativa sulla formazione continua è il risultato delle riforme promosse dagli anni Novanta
dal governo all’indomani della caduta del muro di Berlino. Tali riforme hanno sostanzialmente deregolamentato
questo settore, che ora è lasciato totalmente nelle mani dell’iniziativa privata o delle parti sociali. Lo
Stato interviene soltanto nel campo della formazione professionale continua certificante, organizzando
corsi di riqualificazione per i disoccupati e iniziative finalizzate al perseguimento di certificati professionali.
2. Canali di finanziamento
Al di fuori delle risorse statali destinate alla formazione dei disoccupati o ai corsi per adulti che vogliono
conseguire dei certificati professionali, sono le imprese il principale canale di finanziamento della formazione
continua. Non esistono, infatti, normative che prevedono forme di contribuzione obbligatoria per la
formazione. Secondo alcune stime, oggi le aziende spendono l’1,1% della massa salariale dei propri
lavoratori per iniziative di perfezionamento e aggiornamento professionale, per una somma pari a 30
miliardi di euro l’anno.
3. Contrattazione (a livello nazionale, settoriale, territoriale e di azienda)
Non esistono forme specifiche di concertazione o di negoziazione fra le parti sociali sul tema della
formazione continua, come effetto della deregolamentazione.
4. Tassi di partecipazione dei dipendenti a iniziative di formazione continua
Secondo i dati più recenti, circa il 40% degli occupati (pari a oltre due milioni di persone) segue ogni
anno corsi di aggiornamento professionale organizzati dalle imprese. Molto bassa è, invece, la partecipazione
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all’educazione degli adulti (pari al 5-6% della popolazione adulta).
5. Crediti formativi e validazione
Nell’attuale sistema di formazione professionale spetta al Ministero nazionale dell’educazione il compito
di stabilire le forme di verifica dell’apprendimento e di qualificazione. Il Ministero garantisce dunque un
sistema formativo e delle certificazioni con una struttura molto forte, mentre spetta alle Regioni gestire
il personale degli istituti di formazione e amministrare le risorse. Nel campo della formazione continua,
che è molto deregolamentato, il problema maggiore è oggi costituito dal riconoscimento e dalla validazione
delle competenze. Le imprese organizzano, infatti, corsi di riqualificazione per i propri lavoratori, ma sulla
base delle proprie esigenze di breve periodo e i dipendenti non hanno a disposizione una certificazione
delle competenze acquisite al termine di un corso. Questa situazione è però in via di cambiamento, anche
perché occorre uniformare il sistema alla normativa comunitaria in materia. Recentemente è stato istituito
un sistema integrato di posizioni professionali (Istp), concordato fra le autorità pubbliche e le parti sociali,
che definisce le attività professionali che si possono correlare a un sistema nazionale di qualifiche. E’
anche allo studio la costituzione di un’Agenzia nazionale per la standardizzazione delle qualifiche.
Francia
1. Normativa vigente
L’architettura della formazione continua è molto complessa e stratificata nel tempo. La “legge Delors”,
varata nel 1971, recependo un accordo interconfederale dell’anno precedente, ha istituito la formazione
continua come obbligo giuridico, imponendo a tutte le imprese di destinare annualmente alla formazione
dei lavoratori un contributo minimo calcolato sulla massa salariale. Il sistema presenta come principale
caratteristica un forte interventismo legislativo e centralizzato da parte dello Stato. La normativa francese
in materia di formazione continua si basa soprattutto su un Libro del Codice del Lavoro (il IX) e sulle
leggi approvate agli inizi degli anni Novanta.
Le norme prevedono che i lavoratori possano usufruire sostanzialmente di due strumenti: i piani di
formazione e il diritto individuale alla formazione. Per quanto riguarda il primo, l’articolo L930-1 del
Codice del Lavoro prevede per l’imprenditore l’obbligo di assicurare l’adattamento dei propri dipendenti
al posto di lavoro, con riguardo alle modifiche tecniche e organizzative, attraverso la preparazione di
piani di formazione, che devono passare al vaglio delle rappresentanze sindacali aziendali. Una legge
approvata nel maggio 2004 ha precisato che il piano di formazione comporta espressamente la lista delle
azioni di formazione e un bilancio delle competenze. Ogni anno le imprese sono tenute a fornire ai
sindacati un’informazione sul piano di formazione per l’anno in corso e sul progetto di piano per l’anno
successivo, nonché sui risultati della negoziazione condotta a livello di settore o aziendale nel campo
della formazione. Questa legge ha inoltre introdotto il diritto individuale alla formazione (Dif), di cui
parleremo più avanti.
2. Canali di finanziamento
La legge del 2004 ha fissato all’1,6% il contributo minimo per la formazione da parte delle imprese con
più di nove dipendenti. Tale quota dell’1,6% è suddivisa in più parti. Lo 0,20% è versato obbligatoriamente
a un organismo paritario (l’Opca, Organisme Paritarie collecteur agré) per il finanziamento dei congedi
individuali di formazione. Lo 0,50% è versato a un altro organismo paritario per il finanziamento dei
contratti di professionalizzazione e per l’esercizio del diritto individuale di formazione. La quota residua
potrà infine essere utilizzata dall’impresa per finanziare i propri piani di formazione o essere versata a
un altro organismo paritario. Nel 2003, la maggior parte delle aziende francesi ha destinato alle attività
formative circa il 3,02% della massa salariale, una percentuale quindi più alta di quella che obbligatoriamente
sono tenute a destinare a questo scopo, versando complessivamente agli organismi paritari 4,1 miliardi
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di euro.
Le imprese con meno di nove dipendenti sono invece tenute a versare un contributo pari allo 0,55%
della massa salariale.
3. Ruolo delle parti sociali
Il sistema della formazione continua in Francia prevede un riconoscimento importante del ruolo dei
sindacati e della contrattazione collettiva, come mostra la rilevanza degli enti bilaterali su materie come
la certificazione, il finanziamento e la gestione degli interventi formativi. Gli organismi paritari (Opca)
sono costituiti tramite accordi fra le parti sociali, che definiscono il campo di azione dell’ente, la
composizione paritetica del consiglio di amministrazione e le norme di funzionamento. Attualmente gli
Opca sono circa un centinaio e sono suddivisi in organismi di settore, interprofessionali su scala regionale
e interprofessionali per le piccole e medie imprese.
4. Contrattazione (a livello nazionale, settoriale, territoriale e di azienda)
A partire dagli anni Settanta, sono stati siglati sulla formazione numerosi accordi interconfederali. Il più
recente, datato 20 settembre 2003, ha riguardato la formazione lungo tutto l’arco della vita, riaffermando
la centralità del ruolo delle parti sociali in ambito formativo. Per verificare il grado di applicazione degli
accordi e dei contratti in materia, le parti sociali hanno istituito nel 1991 il Comitato paritetico nazionale
per la formazione professionale (Cpnfp), che è bilaterale e paritetico.
Recentemente sono stati istituiti i contratti di professionalizzazione, che si rivolgono ai lavoratori meno
qualificati e anche ai disoccupati che hanno più di 26 anni. Scopo dei nuovi contratti è di associare al
lavoro in azienda un certo numero di ore di formazione durante le quali sono impartiti insegnamenti di
carattere generale, professionale e tecnologico, offerti da organismi pubblici o privati della formazione.
Vi è poi il diritto individuale alla formazione (Dif), che costituisce una nuova modalità di accesso dei
salariati a una formazione retribuita o indennizzata, dentro o al di fuori dell’orario di lavoro (20 ore
annuali, cumulabili su un arco di sei anni, salvo accordo collettivo per una durata superiore, indennizzata
dall’impresa per un ammontare del 50% del salario netto). Per usufruire di questo diritto occorre lavorare
in azienda da almeno un anno e aver negoziato individualmente con il datore di lavoro l’avvio della
formazione. E’ interessante notare che tramite il Dif i lavoratori possono volgersi a una formazione che
soddisfi i propri interessi personali e che non sia, quindi, meramente funzionale alle esigenze dell’azienda.
Sono infine da segnalare due forme di congedo formativo. La prima è il congedo per la validazione delle
acquisizioni formative (Vae), rivolto ai salariati che desiderano validare la loro esperienza professionale.
La seconda è il congedo per un bilancio di formazione, che permette ai salariati di analizzare le loro
competenze e le loro attitudini professionali, al fine di definire un progetto di formazione o di considerare
la prosecuzione del loro percorso professionale.
5. Tassi di partecipazione dei dipendenti a iniziative di formazione continua
Secondo i dati più recenti (agosto 2005), né i contratti di professionalizzazione, né il Dif hanno riscosso
un grande successo fra i lavoratori, soprattutto a causa di una scarsa conoscenza di tali strumenti da
parte delle imprese e dei lavoratori.
6. Crediti formativi e validazione
Gli enti bilaterali si occupano anche delle questioni riguardanti i crediti formativi e la validazione. Al
termine della formazione prevista dai contratti di professionalizzazione, a esempio, al lavoratore è rilasciata
una qualificazione certificata del corso seguito, a opera degli appositi enti bilaterali paritetici, formati
dalle parti sociali.
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Portogallo
1. Normativa vigente
Un intero capitolo del Codice del lavoro, riformato nel 2003, è dedicato al tema della formazione. Esso
stabilisce che i datori di lavoro sono tenuti a fornire ai propri dipendenti l’accesso a corsi di formazione
adeguati al loro livello di qualificazione e a contribuire alla crescita della produttività dei lavoratori
attraverso un’adeguata formazione professionale. Secondo il Codice, almeno il 10% dei lavoratori occupati
a tempo indeterminato dovrebbe avere accesso a iniziative di formazione continua. Con la riforma del
Codice nel 2003 si è stabilito l’obbligo per il datore di lavoro di garantire ai propri dipendenti un minimo
di ore l’anno dedicato a una formazione certificata, con azioni attuate all’interno dell’azienda. In alternativa,
il datore di lavoro è tenuto a permettere ai lavoratori di formarsi anche fuori dall’azienda. Fino al 2006,
il minimo di ore annuo per la formazione è fissato in 20 ore; dal 2007, salirà a 36 ore. Lavoratori e
imprenditori sono liberi di concordare nel contratto di lavoro che il dipendente deve rimanere nell’azienda
per un periodo non superiore a tre anni come compensazione per le spese supplementari sostenute dal
datore di lavoro per la sua formazione.
La legge 35 del 2004 stabilisce, inoltre, il diritto per i lavoratori a un congedo lungo senza retribuzione
per partecipare a corsi di formazione, sia in scuole, sia in istituti di formazione, nonché un diritto
individuale alla formazione professionale, che scatta dopo sei mesi di permanenza in azienda. Il datore
di lavoro è legalmente tenuto a preparare un Rapporto annuale sullo svolgimento della formazione
continua, precisando il numero di dipendenti e quello di quanti sono stati interessati da aziende formative,
con tutta una serie di specifiche professionali. Tale Rapporto deve essere presentato all’agenzia governativa
competente (Inspeçao Geral do Trabalho) entro il 31 marzo di ogni anno.
Infine, in caso di interruzione del rapporto di lavoro, i lavoratori interessati devono poter usufruire di
programmi formativi, secondo un piano preparato dal datore di lavoro e approvato dalle autorità pubbliche.
Su questo piano le rappresentanze sindacali aziendali hanno il diritto di essere informate e consultate.
Durante il periodo di formazione, la retribuzione dei lavoratori è presa per l’85% in carico dalle autorità
pubbliche.
2. Canali di finanziamento
La maggior parte dei finanziamenti sono pubblici.
3. Ruolo delle parti sociali
In Portogallo, lo Stato interviene in modo massiccio nel campo della formazione professionale continua.
Tuttavia, a partire dalla fine degli anni Ottanta le parti hanno iniziato a essere coinvolte in modo regolare
nella definizione delle politiche pubbliche della formazione professionale, secondo gli schemi della
concertazione tripartita. Nella gestione di tali politiche il ruolo delle parti sociali rimane però debole,
come dimostra lo scarso ruolo che giocano i contratti collettivi nel campo della formazione.
4. Contrattazione (a livello nazionale, settoriale, territoriale e di azienda)
Nei contratti collettivi il tema della formazione continua è scarsamente affrontato, nonostante che un
patto sociale firmato nel 1996 fra il sindacato UGT (il CGTP non lo ha siglato), le associazioni imprenditoriali
e il governo intendesse favorire un maggior impegno della contrattazione su questo argomento. Un’indagine
condotta nel 2001 ha mostrato che su 200 contratti collettivi, solo 74 si occupavano di formazione. Di
questi 74, molti prevedono diversi livelli di partecipazione sindacale sulle tematiche della formazione
(informazione, consultazione, negoziazione e anche co-decisione su materie come l’elaborazione dei
programmi formativi, partecipazione ai comitati per la valutazione tecnica e professionale dei piani,
creazione di strutture formative, promozione congiunta di interventi formativi, fino alla definizione
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dell’incremento salariale come risultato del percorso formativo seguito). Nelle piccole e medie imprese,
però, mancano quasi completamente accordi che si occupano anche di formazione.
5. Tassi di partecipazione dei dipendenti a iniziative di formazione continua
Secondo le stime più recenti, la partecipazione dei dipendenti a iniziative di formazione continua rimane
molto bassa.
Regno Unito
1. Normativa vigente
Nel Regno Unito non vi sono diritti legali formali in materia di formazione continua: tuttavia esiste
un’antica tradizione rivolta all’educazione degli adulti. Un apposito Consiglio di emanazione pubblica, il
Learning and Skills Council (Lsc), è responsabile per la programmazione e il finanziamento di interventi
educativi e formativi non universitari per i maggiori di 16 anni. L’Lsc lavora con le parti sociali, gli organismi
formativi e le comunità locali per sviluppare e attuare le strategie che il governo Blair ha identificato
nel suo Libro bianco “Learning to Succeed”. Dal 1999 hanno diritto a congedi lavorativi per studio o
formazione tutti i lavoratori privi di qualifica di età compresa fra i 16 e i 17 anni. Anche i lavoratori 18enni
hanno il diritto a completare studi e corsi formativi già avviati.
La Confederazione dell’industria britannica (Cbi) dal 1991 ha costituito il National education and training
targets, con l’obiettivo di adattare la forza lavoro alle nuove sfide del cambiamento socio tecnico della
produzione. L’associazione imprenditoriale ha inoltre istituito a livello nazionale le National training
organizations (Nto), che hanno lo scopo di identificare standard formativi comuni e di sostenere gli
investimenti che le aziende intenderanno rivolgere alla formazione professionale. Nelle Nto sono presenti
esperti del governo e del sindacato. Anche i Training and enterprise councils (Tec) e le Local enterprise
Companies (Lec), istituiti dalla Confindustria britannica sul territorio e che sono circa un centinaio,
prevedono la presenza del sindacato. Un tempo, prima che i governi conservatori ne decretassero
l’abolizione, il ruolo delle rappresentanze sindacali era ben diverso grazie alla loro influente partecipazione
in seno alle Training agency and Industrial training boards (itb) e agli Msc (le amministrazioni del mercato
del lavoro). L’Employment Relation Act, voluto dal governo laburista nel 1999, se da un lato ha rafforzato
il diritto del sindacato a essere riconosciuto nei luoghi di lavoro, fortemente intaccato nel passato dai
governi conservatori, non ha però introdotto nuovi diritti sindacali nel campo della formazione continua,
che rimane dunque gestita in modo preponderante dagli imprenditori.
2. Canali di finanziamento
Dal momento che sono i datori di lavoro a gestire direttamente le iniziative per la formazione, i finanziamenti
a essa dedicati sono erogati in gran parte dalle aziende. Un’eccezione riguarda il settore delle costruzioni,
dove, in base a una legge del 1964, le imprese sono tenute a versare un contributo per la formazione
dei propri lavoratori in una misura variabile fra lo 0,8 e l’1,5% della massa salariale, a seconda della
dimensione dell’azienda.
Vi sono però anche consistenti contributi statali, riservati per lo più alla formazione dei lavoratori meno
qualificati. La Government’s Skills Strategy, varata dal governo Blair nel 2003, dispone, infatti, di circa
40 milioni di sterline di fondi annuali (pari a 59 milioni e 254mila euro), che sono impiegati in buona
parte per progetti riservati alla riqualificazione dei lavoratori con scarsa professionalità.
3. Contrattazione (a livello nazionale, settoriale, territoriale e di azienda)
I contratti collettivi generalmente si occupano solo di materie come i salari e le condizioni di lavoro,
trascurando il tema della formazione. Secondo dati del Tuc, la confederazione britannica dei lavoratori,
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solo il 7% dei contratti aziendali si occupa, infatti, di formazione. Un recente studio del governo ha
comunque mostrato nel 2003 che esiste una correlazione fra la presenza del sindacato in un’azienda e
lo sviluppo di iniziative formative: le imprese sindacalizzate hanno, infatti, il 17% in più di probabilità
di dotarsi di un proprio centro per la formazione e un 11% in più di avere propri piani formativi. Inoltre,
le aziende dove è presente il sindacato praticano più formazione per le donne e pagano meglio le proprie
lavoratrici.
La più importante innovazione sui luoghi di lavoro è oggi rappresentata dall’istituzione del delegato alla
formazione. I delegati alla formazione (Union learning representatives, ULRs) sono stati istituiti in Gran
Bretagna nel 2000 con l’obiettivo di consigliare e assistere i lavoratori che intendono migliorare le proprie
conoscenze culturali e professionali. Come i delegati alla salute e sicurezza, operano direttamente nei
luoghi di lavoro. La loro attività si muove nel solco tracciato dalla Government’s Skills Strategy, l’ambizioso
programma lanciato dal governo presieduto da Tony Blair nel 2003, che si propone di innalzare notevolmente
il livello di istruzione e la professionalità della popolazione britannica entro il 2010. Alcune cifre dimostrano
la necessità non solo di istruire e migliorare la professionalità di una larga parte dei lavoratori inglesi,
ma anche di investire in misura massiccia nella formazione dei giovani: tre milioni e mezzo di occupati
non sanno leggere bene; quasi un quarto delle persone fra i 16 e i 25 anni sono analfabeti di ritorno,
tanto da avere difficoltà a leggere il libretto di istruzioni di un elettrodomestico o il foglietto illustrativo
di un medicinale; quasi sei milioni di lavoratori non hanno alcuna qualificazione professionale; solo il
28% dei dipendenti ha competenze professionali di livello intermedio, contro il 51% della Francia e il
65% della Germania. Nonostante questi dati allarmanti, il 40% dei datori di lavoro non organizza corsi
per i propri dipendenti.
Oggi i delegati alla formazione sono 7.500 e si trovano nei luoghi di lavoro dove il sindacato può esercitare
il diritto alla contrattazione collettiva, ma la confederazione Tuc conta di averne 22mila entro il 2010,
in grado di aiutare ogni anno 250mila lavoratori. Dei 7.500 attualmente attivi, il 52% opera nel settore
pubblico e il 47% in quello privato, con una presenza massiccia anche nelle piccole e medie imprese.
Nel 2003, grazie all’attività dei delegati alla formazione, circa 60mila lavoratori hanno potuto seguire
dei corsi per migliorare il proprio livello di istruzione o la propria professionalità. I delegati hanno diritto
dal 2002 al distacco sindacale retribuito per il loro lavoro, dopo l’approvazione di una legge nazionale
(Employment Relations Act), e sono in media uno per ogni cinquanta lavoratori. Il 30% di loro è nuovo
all’attività sindacale. Chi intende diventare delegato alla formazione segue un corso organizzato dal Tuc
e finanziato dal governo britannico.
Sono sostanzialmente tre i tipi di progetti nei quali sono coinvolti i learning representatives.
Il primo, denominato Employer Training Pilots, consiste in programmi pilota, elaborati insieme ai datori
di lavoro, per la riqualificazione degli occupati in un ufficio o in una fabbrica. I corsi sono in genere
organizzati in un College, un termine che nel sistema britannico indica i centri di formazione professionale
– generalmente di alto livello - aperti anche ai giovani disoccupati.
Il secondo tipo di progetto, Learndirect, offre ai lavoratori la possibilità di frequentare corsi nelle sedi
sindacali, usufruendo di congedi formativi. Le lezioni privilegiano materie come l’informatica o il
miglioramento delle conoscenze grammaticali e aritmetiche e prevedono anche moduli di formazione a
distanza, con l’assistenza costante di un tutor del sindacato. Molti dei lavoratori che frequentano i corsi
sono ultra45enni a bassa qualifica.
Infine, vi è Skills for Life, un progetto che intende accrescere la consapevolezza fra i lavoratori meno
specializzati dell’importanza di una migliore formazione. Secondo gli ultimi dati, infatti, solo metà degli
occupati a bassa qualifica è interessato a migliorare la propria professionalità. I delegati impegnati in
questo tipo di progetto cercano di sviluppare l’offerta di formazione per i lavoratori che hanno meno
possibilità di seguire dei corsi, come i lavoratori meno qualificati, le donne, le minoranze etniche e i
giovani neo assunti. Anche in Gran Bretagna si assiste, infatti, a quello che è definito “il paradosso della
formazione”, vale a dire il fatto che a usufruire dell’opportunità di seguire un corso sono in genere quelli
che meno ne hanno bisogno: i lavoratori maggiormente professionalizzati.
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Due appaiono essere al momento i punti deboli dell’esperienza
britannica dei delegati alla formazione. Il primo è costituito dal
fatto che i datori di lavoro sembrano in molti casi subire, più che
appoggiare, le iniziative del Tuc a favore di un accrescimento delle
competenze degli occupati.
Nel corso dei cinque anni di attività di questi delegati, infatti, sono
ancora poche le esperienze di contrattazione aziendale fra sindacato
e imprenditori che hanno permesso il varo di veri e propri programmi
pilota di formazione. Nella maggior parte dei casi, i delegati riescono
a ottenere la possibilità che un numero limitato di dipendenti
usufruisca di congedi per seguire dei corsi, senza però riuscire a
conseguire l’obiettivo di una più generale riqualificazione di tutti
gli occupati. Un secondo punto debole è il fatto che solo i dipendenti
iscritti al sindacato che intendono seguire un corso di formazione
usufruiscono di un congedo, oltretutto non retribuito, e questo non
agevola la domanda di formazione da parte delle categorie più
deboli di lavoratori.
4. Tassi di partecipazione dei dipendenti a iniziative di
formazione continua
Il 27% della popolazione lavorativa del Regno Unito è stata più o
meno direttamente interessata dalla rete di progetti formativi
sostenuti nel territorio dai Training and enterprise councils.
5. Crediti formativi e validazione
La sostanziale assenza di un vero e proprio sistema nazionale di
certificazione delle qualifiche professionali è diventato un problema
molto serio nel Regno unito, a causa dell’eccessiva frammentazione
localistica dei centri che gestiscono l’offerta formativa. Per questo
motivo, è stato istituito il National council for vocational qualification
(Ncvq), che ha per obiettivo l’individuazione di criteri uniformi nella
classificazione delle nuove qualifiche.
Agenda
di lavoro
5 aprile - Vienna
3° vertice caraibico - europeo
11 aprile - Bruxelles
Gruppo ad hoc "Reach"
17 aprile - Bruxelles
Gruppo di lavoro formazione
permanente
20 aprile - Lubiana
2° Seminario decentrato su
strategie occupazionali
3 maggio - Atene
IV Forum sociale europeo
4 maggio - Bruxelles
Comitato direttivo
16 maggio - Bruxelles
Gruppo di lavoro ad hoc
sull'applicazione dell'accordo
sul telelavoro
25-27 maggio - Parigi
Seminario del Segretariato Europa
Cgil "Più Cae più diritti, ridurre il
deficit di accordi sui Cae in Italia"
in partenariato con Ces, Cisl Uil,
Fem, Etuf e sostenuto dalla
Commissione Europea.
Notiziario del Segretariato Europa
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Redazione a cura di:
Giulia Barbucci, Monica Ceremigna,
Antonio Morandi, Gian Paolo Patta
Numero speciale/La formazione professionale in Europa - 10 aprile 2006
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