al an m tti punto rosso se lavoro e sinistra anno II - numero 33 - 25 febbraio 2016 www.sinistralavoro-pr.org è nata sInIstra ItalIana TanTissime persone, perché più di Tremila sono TanTissime persone, venerdì, sabaTo e domenica si sono inconTraTe a roma per cosmopoliTica. per dare avvio a una sinisTra nuova che si unisce organicamenTe. un bagno di esperienze e inTelligenze. di Francesco D’agresta Tutti insieme, liberamente, abbiamo deciso di cominciare a fare sul serio, per costruire un partito, aperto e trasparente, che sia il partito della sinistra italiana. perché solo la sinistra può cambiare l’italia, perché solo un partito, una libera associazione di uomini, può permetterci di concorrere, democraticamente, alla determinazione della politica nazionale. e noi a questo aspiriamo: coinvolgere le persone, la nostra gente, in un’impresa di taglio radicale col passato, un’impresa di governo del paese che trasformi le sue brutture in progresso, gli egoismi dei più forti in solidarietà, le ingiustizie che ci circondano in opportunità uguali per tutti, la sofferenza in serenità. a dicembre ci sarà il congresso fondativo e da subito – sin da questi giorni – si comincia a lavorare, pensare, ascoltare, organizzare. Questa nuova avventura dobbiamo comporla tutti insieme, collegialmente e con rispetto, senza personalismi e opera- zioni di bassa portata. decide il popolo che partecipa e aderisce, non altri. se renzi ha deciso di inabissare l’italia noi abbiamo scelto di rivoluzionarla sconfiggendo renzi, di tutelarla lottando per i referendum dei prossimi mesi su trivellazioni, scuola, jobsact e riforma costituzionale. non gli daremo tregua perché delle nostre vite decidiamo noi. sinistra italiana è uno strumento, è lo strumento della politica nelle nostre mani. punto rosso sinistralavoro alstom trasportI alsTom è una mulTinazionale che ha 20mila dipendenTi nel mondo, di cui circa 3mila in iTalia dove è impegnaTa nel seTTore dei TrasporTi e delle produzioni connesse (segnalamenTo, infrasTruTTure, manuTenzione ecc.). ci sono seTTe sTabilimenTi più diversi deposiTi. di matteo Gaddi nello stabilimento di sesto san giovanni si producono i prodotti della trazione, cioè tutto ciò che consente al treno di muoversi: congegni e apparecchiature che ricevono la corrente elettrica dalle linee, la trasformano per comandare il treno, ne controllano la gestione ecc. con la vendita del settore energia a ge, alstom ha rivisto tutto il suo piano industriale: nell’incontro in assolombarda del 27 gennaio è stato presentato il futuro dell’azienda; infatti è stato il primo incontro che si è tenuto dopo la cessione del settore “power” general electrics. di conseguenza è stata presentata la nuova configurazione di alstom nel mondo e in italia, concentrata nelle attività "ferroviarie". il comunicato unitario dei sindacati metalmeccanici ha messo in evidenza i dati del gruppo come comunicati dall’amministratore delegato di alstom italia: la nuova alstom a livello globale ha ricavi che provengono per il 45% dal materiale rotabile, il 23% dalle attività di service e manutenzione, il 20% dal segnalamento e il 12% dalle soluzioni integrate, in italia occupa 2700 persone e nell’anno fiscale 2015/2016 ha fatturato "un po’ meno" dei 1.085 milioni fatturati nell’anno fiscale concluso a marzo 2015. le prospettive future sono molto preoccupanti: da qui le iniziative di lotta di questo periodo. secondo alstom, infatti, tra i produttori nazionali, ormai tutti di proprietà straniera, la bombardier, cercherà di aggredire l’unico mercato italiano "disponibile", quello dei "regionali" e allo stesso modo farà hitachi. la questione della costruzione dei nuovi treni regionali (cioè commesse pubbliche, da parte delle regioni italiane) è uno dei nodi principali. l’indirizzo europeo del gruppo è chiaro. le produzioni industriali, cioè, vengono mantenute soltanto in tre casi: a) se si tratta di uno stabilimento francese (regola non scritta ma molto concreta); b) si tratta di un paese low cost; c) esiste un mercato interno. la strategia di spostare fette sempre maggiori di produzione vero i paesi low cost è stata ampiamente utilizzata da alstom: vedasi i casi di india e cina. l’italia non è la francia (ovviamente), non è un paese low cost, ma avrebbe un mercato interno, rappresentato dalla grossa commessa dei treni regionali. in europa però non esiste la clausola del “contenuto locale”, cioè l’obbligo per le stazioni appaltanti di stabilire una percentuale di produzione locale (cioè di lavoro locale) sul totale di una commessa. l’obbligo secco, in ossequio alle rigide regole della concorrenza e del liberismo, è quello di mettere tutto a gara senza nessuna clausola sociale a favore del lavoro. Tuttavia, nonostante si trovino anch’essi in europa, altri stati esercitano 2 pressioni affinché una parte della produzione avvenga sul proprio territorio. in italia invece non si fa niente di simile. per cui si determina una situazione di corto circuito: pur avendo un mercato interno queste produzioni non si fanno in italia, ma prendono la strada dell’estero. Quindi, paradossalmente, i fondi pubblici stanziati per il trasporto pubblico ferroviario regionale non creano occupazione in italia, non danno lavoro agli stabilimenti esistenti. si determinano così problemi occupazionali che vengono affrontati con gli ammortizzatori sociali e spesa pubblica per contenere gli effetti sociali delle delocalizzazioni delle produzioni. la clausola del “contenuto locale” viene adottata nei paesi emergenti, negli usa, ma praticata informalmente anche in inghilterra (nonostante sia un paese di cultura liberista, quantomeno nei suoi livelli istituzionali). in questo contesto, l’al- stom a livello mondiale, in assenza di vincoli per il "contenuto nazionale di lavoro" è orientata a decidere di spostare una parte consistente delle commesse nei paesi a più basso costo del lavoro. derivano da qui seri problemi occupazionali per almeno due siti italiani. a sesto san giovani verrebbe mantenuto soltanto il “service”, cioè i servizi di manutenzione, dismettendo però ogni produzione manifatturiera; mentre per il sito di savigliano i carichi di lavoro esistono fino a dicembre, dopodiché non si avrà nessuna certezza. il mantenimento del solo “service” a sesto non è di garanzia occupazionale per i 330/350 occupati: non è chiaro quanti posti di lavoro serviranno a fabbrica ridotta; inoltre per gestire il “service” servirebbero particolari professionalità che nel tempo sono andate perse. il grosso delle produzioni è destinato ad essere spostato verso i paesi low cost; a meno che non si riesca, come richiesto dall’azienda, di aumentare la produttività e ridurre i costi, anche alla luce della competizione interna allo stesso gruppo alstom, riducendo così il differenziale tra il costo italiano e quello dei paesi a basso costo del lavoro. in europa i siti industriali sono, a ovest, in spagna, germania, francia, italia; a est a Katowice in polonia. in spagna è stato creato due anni fa un sito low cost: sono stati ridotti i posti di lavoro e i salari, ora col mercato interno lavorano, ma solo dopo essere diventati low cost. il segnale quindi è chiaro: o spostiamo le produzioni nei paesi low cost dell’est europa o dell’asia, oppure i paesi occidentali dovranno essi stessi diventare low cost. nel corso del tempo, già importanti trasformazioni del processo produttivo erano state realizzate per abbassare i costi. mentre in precedenza il grosso della produzione avveniva all’interno degli stabilimenti alstom, oggi molte sono le lavorazioni esternalizzazione, quindi sono molte le componenti e le parti che vengono fornite dall’esterno. a sesto ormai si assembla solo, si fanno il collaudo e la certificazione; invece materiali di carpenteria, di cablaggio, componenti elettriche, componenti meccaniche vengono forniti tutti dall’esterno (la carpenteria viene fornita dalla polonia). in questa fase della lotta, i lavoratori sono impegnati a realizzare iniziative per spiegare all’opinione pubblica l’ennesima situazione di pericolo occupazionale; il secondo passaggio è quello di intervenire sui livelli istituzionali responsabili delle commesse ferroviarie per ottenere che le stesse prevedano quote di occupazione sul territorio. gli stessi paesi low cost hanno leggi precise sulla manodopera locale, ad esempio le commesse dei treni in india o in cina hanno previsto di impiegare manodopera in loco (ad esempio in cina per la commessa pendolini è stato chiesta il “contenuto locale”; sono state quindi costruite delle fabbriche che poi devono continuare a produrre contribuendo anche al fenomeno della sovraccapacità produttiva installata). per questo è stata fatta una riunione in regione lombardia con gli assessori alle attività produttive e ai Trasporti, così come altre se ne faranno nelle altre regioni interessate. complessivamente la gara per i treni regionali (alta frequentazione, media punto rosso sinistralavoro frequentazione e diesel) prevede un volume complessivo di 500 treni, ma di fatto riguarda concretamente 47 treni a media capacità e 31 ad alta capacità (che poi sono i treni che e interessano l’emilia romagna, per i quali sarebbero stati stanziate le risorse), mentre per i "diesel" non sono neppure previsti lotti minimi. anche in questo caso, quindi, come per il settore energia passato a ge, a pesare sono la mancanza di politiche industriali del governo che, attraverso investimenti pubblici in settori fondamentali (es. trasporti, energia), potrebbe e dovrebbe contribuire a sostenere la presenza e la qualificazione dell’industria manifatturiera in italia. ma, come visto nel caso di alstom power (ora general electric), gli unici interventi dei livelli istituzionali italiani (dal governo renzi alla regione di martoni) riguardano esclusivamente l’elargizione di contributi pubblici alle imprese private (multinazionali comprese) senza ottenere in cambio nessun impegno occupazionale e industriale. il 17 febbraio si è tenuto un importante sciopero che ha coinvolto i lavoratori di alstom, general electrics e abb, cioè le tre multinazionali presenti a sesto che si accingono a pesanti tagli produttivi e occupazionali. altre iniziative verranno messe in campo per scongiurare le pesantissime conseguenze sociali che si rischierebbero qualora venissero realizzati i piani di ristrutturazione delle tre multinaizonali. “renzI non pervenuto, non sta maI con I lavoratorI” Il segretario generale della cgil lombardia elena lattuada: ”renzi ha visitato tutte le organizzazioni a partire da confindustria ma non ha mai visitato un’assemblea di lavoratori in lotta”. “non è solo il presidente del consiglio ma anche il segretario del principale partito della sinistra italiana. eppure non ha mai trovato il tempo di visitare un’assemblea di lavoratori in lotta per difendere il posto di lavoro. a matteo renzi i sindacati vanno bene e sono da interrogare solo quando esistono condizioni di conflitto sociale; mai però si è occupato di stare vicino ai lavoratori per avere cognizioni delle loro condizioni”. così elena lattuada segretaria generale della cgil lombardia 3 punto rosso sinistralavoro call center: ottomIla postI a rIschIo, scIopero l’11 marzo* manifesTazione nazionale a roma. le scelTe di posTe ed enel provocheranno nei prossimi mesi olTre 8.000 licenziamenTi, di cui almeno la meTà a marzo. cesTaro (slc): “inacceTTabile che due conTrollaTe dello sTaTo non rispeTTino le clausole del parlamenTo”. la decisione di poste italiane ed enel, aziende controllate dallo stato italiano, di assegnare le attività di call center senza rispettare la clausola sociale contenuta nel ddl “appalti” approvato dal parlamento, la volontà del governo di non far applicare quanto previsto dalle leggi italiane in tema di delocalizzazioni di attività di call center, la scelta politica di privare il settore degli ammortizzatori sociali ordinari, provocheranno nei prossimi mesi oltre 8000 licenziamenti nel settore dei call center, di cui almeno la metà vedrà aprire le procedure di licenziamento già nel mese di marzo. Questo l’allarme lanciato dai segretari nazionali di categoria in merito alla mancata convocazione da parte del governo di un tavolo di crisi, richiesto dai sindacati a gennaio. “e’ del tutto inaccettabile - dichiara massimo cestaro, segretario generale della slc - che due aziende controllate dallo stato italiano come poste ed enel, possano assegnare attività di call center senza rispettare le clausole sociali approvate dal parlamento. se passa il principio che le aziende pubbliche non rispettano le leggi perché mai dovrebbero farlo quelle private”. “da quattro anni - continua vito vitale (fistel cisl) - stiamo chiedendo il rispetto dell’articolo 24 bis della legge 134 del 2012 in tema di delocalizzazione delle attività di call center. nonostante i ripetuti annunci dei vari ministeri che avevano anche comunicato l’avvio delle sanzioni previste dalla legge, la normativa rimane totalmente disattesa. si è consentito in questo modo, a tantissime attività di essere delocalizzate all’estero e si è impedito ai cittadini italiani un diritto di scelta a loro garantito dalla legge. Questo ha ingenerato migliaia di esuberi ingiustificati, perché il lavoro non è cessato ma è stato spostato, senza rispettare le leggi, in paesi con basso costo del lavoro e insufficiente garanzia sul trattamento dei dati personali e sensibili.” “aver deciso di togliere - incalza salvo ugliarolo (uilcom uil) - gli ammortizzatori ordinari al settore è una scelta miope e assurda che comporterà nelle prossime settimane l’avvio di migliaia di licenziamenti nelle aree più deboli del paese, tanto accanimento contro le lavoratrici e i lavoratori di un intero settore davvero non si comprende. e’ evidente che il sindacato non starà a guardare passivamente l’indolenza o la complicità di chi ha condannato migliaia di lavoratrici e lavoratori alla certezza di perdere il lavoro per favorire imprese spregiudicate.” Questa strada, concludono i tre segretari generali, porterà l’intero settore al limite della legalità perché è 4 evidente che non esiste un solo imprenditore serio disponibile ad assumere attività in perdita. Questo in un ambito economico che conosce, controlla e gestisce dati personali e sensibili di milioni di cittadini italiani. visto che il rispetto delle leggi è un elemento fondamentale per ogni democrazia e considerando che “la legge è uguale per tutti” e che nessun cittadino e nessuna azienda può essere collocata al di sopra delle leggi, venerdì 11 marzo, in occasione dello sciopero nazionale di settore, manifesteremo a roma con un solo slogan: fate rispettare le leggi che il parlamento italiano ha votato. * da rassegna.it punto rosso sinistralavoro trIvelle, nucleare, shale Gas: ma che Brutta europa! nienTe elecTion day per il referendum no Triv: il consiglio dei minisTri ha infaTTi fissaTo al 17 aprile la daTa della consulTazione e, risoluTamenTe e da par suo, maTTarella ha confermaTo. di mario agostinelli sfuma dunque l’ipotesi di accorpare referendum e primo turno delle elezioni amministrative e di garantire così una conoscenza adeguata ai cittadini, facilitando la partecipazione democratica senza moltiplicare inutilmente gli appuntamenti degli italiani alle urne. cerchiamo di capire come e chi vuole rendere ininfluente un referendum che, come nel caso del nucleare, imporrebbe questa volta una svolta nel ricorso alla combustione delle fonti fossili. a dicembre si è conclusa a parigi la cop 21, con il riconoscimento unanime, almeno sulla carta, della necessità di decarbonizzare in tempi stretti l’economia mondiale. al pari delle gride manzoniane l’appello, ancorché sottoscritto dai personaggi più illustri, ha lasciato via libera allo scorrazzare dei bravi. di lì ad un mese si è riunito il davos club. in esso trovano adeguata rappresentanza le 62 persone (nel 2010 erano 388, nel 2014 si erano già ridotte a 80, con un trend di concentrazione impressionante) che possiedono più della ricchezza di 3,6 miliardi di cittadini del mondo (la metà degli abitanti del pianeta) e che, scambiandosi i loro biglietti da visita assistiti da apparati statali, economici e mediatici del massimo livello, puntano a tenere le redini della civiltà della globalizzazione. da lì è ripartito il suggerimento di applicare le tecnologie più avanzate per procrastinare l’impiego di petrolio, carbone e gas e di mascherarne gli effetti, al fine di sostenere la cosiddetta “rivoluzione industriale 4.0”, in cui robot, intelligenza artificiale e energia a basso prezzo – anche se sporca – dovrebbero risparmiare manodopera e rinnovare la crescita economica. Quindi, investimenti in nuovi gasdotti, trivelle in mari cristallini, pozzi di perforazione per gas di scisto in terreni ormai traforati come un gruviera. renzi, incantato dai twitter, dai ceo, come da tutte le rivoluzioni a 2.0, 3.0, 4.0 e così via, ha pensato che qualche concessione di licenza per trivellare i nostri mari valesse bene i 360 milioni di euro che usciranno di tasca non accorpando le scadenze elettorali. purtroppo, si dimentica che è stato il settore bancario, accanto all’energia, alle materie prime e alle industrie di base afflitte da un eccesso di capacità, a guidare la caduta delle borse e che la politica economica ha, quella sì, bisogno di innovazione. che l’andamento per le fonti fossili non sia entusiasmante, lo si può vedere anche dal trend di declino di carbone, nucleare e gas in europa, se si guarda alle centrali andate in pensione: nel 2015 si sono fermati o dismessi impianti a carbone per oltre 8 gW, a gas per 4,2 gW, a olio combustibile per 3,3 gW e da fonte nucleare per 1,8 gW. il nostro governo, che fa di prammatica la voce grossa a bruxelles, sulle questioni energetiche va invece completamente a ruota delle lobby continentali che premono su una commissione ormai smarrita, anche sulla questione climatica. Tutto sembra nascere e decidersi in luoghi ristretti di cui le popolazioni non sono informate. la commissione europea ha varato un piano di importazione di gas naturale liquefatto (gnl) e tutti hanno pensato alla imprevista disponibilità di creare infrastrutture per importare gas da fracking usa, al fine di ridurre la dipendenza dalla russia. anche se l’accordo di parigi era stato salutato come un chiaro segnale al mercato che l’era dei combustibili fossili inquinanti era finita, è la politica che si è messa a rilanciare! eppure il gas naturale – da fracking in particolare - è anche in gran parte composto di metano, un gas serra che ha 86 volte il potenziale di riscaldamento globale del biossido di carbonio. la produ- 5 zione di energia elettrica a gas è solo un bene per il clima rispetto alla produzione da carbone se eventuali perdite di metano nella produzione, raffinazione e trasmissione, è inferiore al 3,2%. ma i rilevamenti dei tassi di emissione via satellite (http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1 002/2014ef000265/abstract ) hanno recentemente dimostrato che le concentrazioni di metano sono aumentate drasticamente in molte delle principali regioni produttrici di shale gas negli stati uniti. Tenuto poi conto che il trasporto avverrebbe via nave, il bilancio delle emissioni diventa insostenibile secondo l’accordo di parigi. infine, va ricordato come un rilancio o un ricondizionamento delle centrali nucleari in europa sia reso improbabile dai costi e dai rischi. un documento della commissione ancora non pubblicato, ma reso noto da reuters, (http://www.euractiv.com/section/energy/news/eu-short-of-e118bn -to-dismantle-nuclear-plants/ ) rivela che l’europa è in deficit di 118 miliardi di euro per lo smantellamento delle sue centrali nucleari e la gestione dello stoccaggio delle scorie. infatti, la stima prevista per l’intera operazione è di 268,3 miliardi di € a fronte di riserve nei paesi per 150,1 miliardi di €. solo la germania ha accantonamenti sufficienti, mentre la francia ha un deficit di 51 miliardi. la sospensione del programma nucleare in italia a seguito del referendum risulta oggi una autentica benedizione per una economia in crisi come la nostra. ragione in più perché i cittadini non stiano a guardare ma, di fronte a governanti così imprevidenti e senza bussola, vadano davvero tutti a votare il 17 aprile, a dispetto degli inciampi e della disinformazione che vorrebbero frapporre tra casa nostra e le urne. punto rosso sinistralavoro l’occIDente alla Guerra In lIBIa menTre conTinua lo sTallo poliTico in libia, per il mancaTo voTo di fiducia al governo di uniTà nazionale – voTazione rimandaTa alla prossima seTTimana – in occidenTe sembra passaTa l’idea del baraTTo della siria con la libia. di Farid adly mano libera a mosca in siria, in cambio della mano libera delle potenze occidentali in libia. con o senza legittimità internazionale. la casa bianca ha già dettato la linea con l‘attacco sulla base di daiesh a sabratha, ottenendo la collaborazione di gran bretagna, da dove sono partiti i caccia, e dell’italia, che ha dato il consenso al decollo dei droni dalla base usa di sigonella, in sicilia. la linea interventista di Washington è stata assecondata da francia e gran bretagna, che hanno già sul terreno reparti speciali. e dalle ultime dichiarazioni di paolo gentiloni e matteo renzi, malgrado il politichese, sembra in arrivo anche un probabile assenso italiano, dopo l’accordo per le operazioni offensive dei droni usa a partire dalla base di sigonella – accordo rivelato dalla stampa statunitense. non solo: secondo fonti libiche, a mlita, vicino a zuara, ci sono forze speciali italiane in difesa dell’impianto di gas, che collega le coste libiche con il terminale di gela. Tutto questo suonar di tamburi di guerra viene fatto nel nome di un dilagare deli’influenza di daiesh su nuovi territori in libia, sfruttando il vuoto politico nato dalla permanente indecisione sul governo di riconciliazione nazionale tra le parti libiche proposto dall’onu, dopo lunghe trattative a skhierat in marocco. in realtà per combattere daiesh non ci sarebbe bisogno di truppe combattenti straniere, ma sarebbe utile e sufficiente metter fine all’embargo internazionale contro l’esercito libico. e quello che, da almeno un anno e mezzo, chiedevano il governo e il parlamento riconosciuti internazionalmente, si è rivelato una realtà, proprio in questi giorni a bengasi. la vittoria militare delle truppe governative che hanno conquistato le ultime due roccaforti degli jihadisti nel capoluogo della provincia orientale, ha dimostrato appieno che una volta aggirato l’embargo sugli armamenti, l’esercito libico ha la capacità di sconfiggere il terrorismo jihadista. a bengasi i rifornimenti militari francesi arrivati a zentan via terra dalla Tunisia, e poi per via aerea fino a benina, l’aeroporto di bengasi, hanno permesso di bloccare l’arrivo di nuove reclute e armamenti via mare da sirte agli jihadisti assediati nei quartieri di allithi e abu atni. la stampa libica da tempo parla della presenza di reparti speciali francesi a labraq e britannici a Tobruk, ma ufficialmente avrebbero compiti di addestramento. le monde rivela invece che questi reparti hanno invece compiti di azioni sul terreno, per assassini mirati e operazioni speciali. in questo quadro di avanzato coinvolgimento degli occidentali in opera- 6 zioni militari in libia, la linea di prudenza italiana, che antepone il raggiungimento di un accordo politico tra le parti prima di un intervento – nel quadro dell’onu o per richiesta di un governo unitario, nei limiti di un operazione di peacekeeping -viene ad essere sconfessata dal protagonismo delle altre potenze occidentali. gli interessi contrapposti fanno avanzare anche scenari di smembramento della libia in tre province, Tripolitania, cirenaica e fezzan, come ai tempi dell’impero ottomano. ipotesi fortemente contrastata dai politici e dalla società civile libica, che non può essere portata a termine, se non al costo di molte vite umane libiche ed occidentali. punto rosso sinistralavoro Il “manIFesto” DI marx come la QuInta DI Beethoven non si può sosTenere che alcune belle pagine possano da sole cambiare il mondo. l’inTera opera di danTe non è serviTa a resTiTuire un sacro romano imperaTore ai comuni iTaliani. TuTTavia, nel ricordare Quel TesTo che fu il manifesTo del parTiTo comunisTa del 1848, e che cerTamenTe ha largamenTe influiTo sulle vicende di due secoli, credo occorra rileggerlo dal punTo di visTa della sua QualiTà leTTeraria o almeno – anche a non leggerlo in Tedesco – della sua sTraordinaria sTruTTura reTorico-argomenTaTiva. di umberto eco nel 1971 era apparso il libretto di un autore venezuelano, ludovico silva, "lo stile letterario di marx", poi tradotto da bompiani nel 1973. credo sia ormai introvabile e varrebbe la pena di ristamparlo. rifacendo anche la storia della formazione letteraria di marx (pochi sanno che aveva scritto anche delle poesie ancorché, a detta di chi le ha lette, bruttissime), silva andava ad analizzare minutamente tutta l’opera marxiana. curiosamente dedicava solo poche righe al manifesto, forse perché non era opera strettamente personale. è un peccato: si tratta di un testo formidabile che sa alternare toni apocalittici e ironia, slogan efficaci e spiegazioni chiare e (se proprio la società capitalistica intende vendicarsi dei fastidi che queste non molte pagine le hanno procurato) dovrebbe essere religiosamente analizzato ancora oggi nelle scuole per pubblicitari. inizia con un formidabile colpo di timpano, come la Quinta di beethoven: «uno spettro si aggira per l’europa» (e non dimentichiamo che siamo ancora vicini al fiorire preromantico e romantico del romanzo gotico, e gli spettri sono entità da prendere sul serio). segue subito dopo una storia a volo d’aquila sulle lotte sociali dalla roma antica alla nascita e sviluppo della borghesia, e le pagine dedicate alle conquiste di questa nuova classe «rivoluzionaria» ne costituiscono il poema fondatore – ancora buono oggi, per i sostenitori del liberismo. si vede (voglio proprio dire «si vede», in modo quasi cinematografico) questa nuova inarrestabile forza che, spinta dal bisogno di nuovi sbocchi per le proprie merci, percorre tutto l’orbe terraqueo (e secondo me qui il marx ebreo e messianico sta pensando al- l’inizio del genesi), sconvolge e trasforma paesi remoti perché i bassi prezzi dei suoi prodotti sono l’artiglieria pesante con la quale abbatte ogni muraglia cinese e fa capitolare i barbari più induriti nell’odio per lo straniero, instaura e sviluppa le città come segno e fondamento del proprio potere, si multinazionalizza, si globalizza, inventa persino una letteratura non più nazionale bensì mondiale. è impressionante come il manifesto avesse visto nascere, con un anticipo di centocinquant’anni, l’era della globalizzazione, e le forze alternative che essa avrebbe scatenato. come a suggerirci che la globalizzazione non è un incidente avvenuto durante il percorso dell’espansione capitalistica (solo perché è caduto il muro ed è arrivato internet) ma il disegno fatale che la nuova classe emergente non poteva evitare di tracciare, anche se allora, per l’espansione dei mercati, la via più comoda (anche se più sanguinosa) si chiamava colonizzazione. è anche da rimeditare (e va consigliato non ai borghesi ma alle tute di ogni colore), l’avvertimento che ogni forza alternativa alla marcia della globalizzazione, all’inizio, si presenta divisa e confusa, tende al puro luddismo, e può venire usata dall’avversario per combattere i propri nemici. alla fine di questo elogio (che conquista in quanto è sinceramente ammirato), ecco il capovolgimento drammatico: lo stregone si trova impotente a dominare le potenze sotterranee che ha evocato, il vincitore è soffocato dalla propria sovraproduzione, è obbligato a generare dal proprio seno, a far sbocciare dalle proprie viscere i suoi propri becchini, i proletari. entra ora in scena questa nuova 7 forza che, dapprima divisa e confusa, si stempera nella distruzione delle macchine, viene usata dalla borghesia come massa d’urto costretta a combattere i nemici del proprio nemico (le monarchie assolute, la proprietà fondiaria, i piccoli borghesi), via via assorbe parte dei propri avversari che la grande borghesia proletarizza, come gli artigiani, i negozianti, i contadini proprietari, la sommossa diventa lotta organizzata, gli operai entrano in contatto reciproco a causa di un altro potere che i borghesi hanno sviluppato per il proprio tornaconto, le comunicazioni. e qui il manifesto cita le vie ferrate, ma pensa anche alle nuove comunicazioni di massa (e non dimentichiamoci che marx ed engels nella sacra famiglia avevano saputo usare la televisione dell’epoca, e cioè il romanzo di appendice, come modello dell’immaginario collettivo, e ne criticavano l’ideologia usando linguaggio e situazioni che esso aveva reso popolari). a questo punto entrano in scena i comunisti. prima di dire in modo programmatico che cosa essi sono e che cosa vogliono, il manifesto (con mossa retorica superba) si pone dal punto di vista del borghese che li teme, e avanza alcune terrorizzate domande: ma voi volete abolire la proprietà? volete la comunanza delle donne? volete distruggere la religione, la patria, la famiglia? Qui il gioco si fa sottile, perché il manifesto a tutte queste domande sembra rispondere in modo rassicurante, come per blandire l’avversario – poi, con una mossa improvvisa, lo colpisce sotto il plesso solare, e ottiene l’applauso del pubblico proletario… vogliamo abolire la proprietà? ma no, i rapporti di proprietà sono sempre stati soggetto di trasformazioni, la rivoluzione francese non ha forse abo- lito la proprietà feudale in favore di quella borghese? vogliamo abolire la proprietà privata? ma che sciocchezza, non esiste, perché è la proprietà di un decimo della popolazione a sfavore dei nove decimi. ci rimproverate allora di volere abolire la «vostra» proprietà? eh sì, è esattamente quello che vogliamo fare. la comunanza delle donne? ma suvvia, noi vogliamo piuttosto togliere alla donna il carattere di strumento di produzione. ma ci vedete mettere in comune le donne? la comunanza delle donne l’avete inventata voi, che oltre a usare le vostre mogli approfittate di quelle degli operai e come massimo spasso praticate l’arte di sedurre quelle dei vostri pari. distrug- gere la patria? ma come si può togliere agli operai quello che non hanno? noi vogliamo anzi che trionfando si costituiscano in nazione… e così via, sino a quel capolavoro di reticenza che è la risposta sulla religione. si intuisce che la risposta è «vogliamo distruggere questa religione», ma il testo non lo dice: mentre abborda un argomento così delicato sorvola, lascia capire che tutte le trasformazioni hanno un prezzo, ma insomma, non apriamo subito capitoli troppo scottanti. segue poi la parte più dottrinale, il programma del movimento, la critica dei vari socialismi, ma a questo punto il lettore è già sedotto dalle pagine precedenti. e se poi la parte program- 8 punto rosso sinistralavoro matica fosse troppo difficile, ecco un colpo di coda finale, due slogan da levare il fiato, facili, memorizzabili, destinati (mi pare) a una fortuna strepitosa: «i proletari non hanno da perdere che le loro catene» e «proletari di tutto il mondo unitevi». a parte la capacità certamente poetica di inventare metafore memorabili, il manifesto rimane un capolavoro di oratoria politica (e non solo) e dovrebbe essere studiato a scuola insieme alle catilinarie e al discorso shakespeariano di marco antonio sul cadavere di cesare. anche perché, data la buona cultura classica di marx, non è da escludere che proprio questi testi egli avesse presenti. !" # $ %&' $ / ( 1 " " $ ( " * " " -' * (( ( " +,+0&" " ( +0& ( 3 ( " ( 2 ( 45 ! 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