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punto rosso
se
lavoro
e
sinistra
anno II - numero 33 - 25 febbraio 2016
www.sinistralavoro-pr.org
è nata sInIstra ItalIana
TanTissime persone, perché più di Tremila sono TanTissime persone, venerdì, sabaTo e domenica si sono inconTraTe a roma per cosmopoliTica. per dare avvio a una sinisTra nuova
che si unisce organicamenTe. un bagno di esperienze e inTelligenze.
di Francesco D’agresta
Tutti insieme, liberamente, abbiamo
deciso di cominciare a fare sul serio,
per costruire un partito, aperto e trasparente, che sia il partito della sinistra italiana. perché solo la sinistra
può cambiare l’italia, perché solo un
partito, una libera associazione di uomini, può permetterci di concorrere,
democraticamente, alla determinazione della politica nazionale. e noi a
questo aspiriamo: coinvolgere le persone, la nostra gente, in un’impresa
di taglio radicale col passato, un’impresa di governo del paese che trasformi le sue brutture in progresso, gli
egoismi dei più forti in solidarietà, le
ingiustizie che ci circondano in opportunità uguali per tutti, la sofferenza in
serenità.
a dicembre ci sarà il congresso fondativo e da subito – sin da questi
giorni – si comincia a lavorare, pensare, ascoltare, organizzare. Questa
nuova avventura dobbiamo comporla
tutti insieme, collegialmente e con rispetto, senza personalismi e opera-
zioni di bassa portata. decide il popolo che partecipa e aderisce, non
altri. se renzi ha deciso di inabissare
l’italia noi abbiamo scelto di rivoluzionarla sconfiggendo renzi, di tutelarla
lottando per i referendum dei prossimi mesi su trivellazioni, scuola, jobsact e riforma costituzionale.
non gli daremo tregua perché delle
nostre vite decidiamo noi.
sinistra italiana è uno strumento, è lo
strumento della politica nelle nostre
mani.
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sinistralavoro
alstom trasportI
alsTom è una mulTinazionale che ha 20mila dipendenTi nel mondo, di cui circa 3mila in iTalia
dove è impegnaTa nel seTTore dei TrasporTi e delle produzioni connesse (segnalamenTo,
infrasTruTTure, manuTenzione ecc.). ci sono seTTe sTabilimenTi più diversi deposiTi.
di matteo Gaddi
nello stabilimento di sesto san giovanni si producono i prodotti della trazione, cioè tutto ciò che consente al
treno di muoversi: congegni e apparecchiature che ricevono la corrente
elettrica dalle linee, la trasformano
per comandare il treno, ne controllano la gestione ecc.
con la vendita del settore energia a
ge, alstom ha rivisto tutto il suo piano
industriale: nell’incontro in assolombarda del 27 gennaio è stato presentato il futuro dell’azienda; infatti è
stato il primo incontro che si è tenuto
dopo la cessione del settore “power”
general electrics.
di conseguenza è stata presentata la
nuova configurazione di alstom nel
mondo e in italia, concentrata nelle
attività "ferroviarie".
il comunicato unitario dei sindacati
metalmeccanici ha messo in evidenza i dati del gruppo come comunicati dall’amministratore delegato di
alstom italia: la nuova alstom a livello globale ha ricavi che provengono per il 45% dal materiale rotabile,
il 23% dalle attività di service e manutenzione, il 20% dal segnalamento
e il 12% dalle soluzioni integrate, in
italia occupa 2700 persone e nell’anno fiscale 2015/2016 ha fatturato
"un po’ meno" dei 1.085 milioni fatturati nell’anno fiscale concluso a
marzo 2015.
le prospettive future sono molto preoccupanti: da qui le iniziative di lotta
di questo periodo.
secondo alstom, infatti, tra i produttori nazionali, ormai tutti di proprietà
straniera, la bombardier, cercherà di
aggredire l’unico mercato italiano "disponibile", quello dei "regionali" e allo
stesso modo farà hitachi.
la questione della costruzione dei
nuovi treni regionali (cioè commesse
pubbliche, da parte delle regioni italiane) è uno dei nodi principali.
l’indirizzo europeo del gruppo è
chiaro. le produzioni industriali, cioè,
vengono mantenute soltanto in tre
casi: a) se si tratta di uno stabilimento
francese (regola non scritta ma molto
concreta); b) si tratta di un paese low
cost; c) esiste un mercato interno.
la strategia di spostare fette sempre
maggiori di produzione vero i paesi
low cost è stata ampiamente utilizzata da alstom: vedasi i casi di india
e cina.
l’italia non è la francia (ovviamente),
non è un paese low cost, ma avrebbe
un mercato interno, rappresentato
dalla grossa commessa dei treni regionali.
in europa però non esiste la clausola
del “contenuto locale”, cioè l’obbligo
per le stazioni appaltanti di stabilire
una percentuale di produzione locale
(cioè di lavoro locale) sul totale di una
commessa.
l’obbligo secco, in ossequio alle rigide regole della concorrenza e del liberismo, è quello di mettere tutto a
gara senza nessuna clausola sociale
a favore del lavoro.
Tuttavia, nonostante si trovino anch’essi in europa, altri stati esercitano
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pressioni affinché una parte della produzione avvenga sul proprio territorio.
in italia invece non si fa niente di simile.
per cui si determina una situazione di
corto circuito: pur avendo un mercato
interno queste produzioni non si
fanno in italia, ma prendono la strada
dell’estero. Quindi, paradossalmente,
i fondi pubblici stanziati per il trasporto pubblico ferroviario regionale
non creano occupazione in italia, non
danno lavoro agli stabilimenti esistenti. si determinano così problemi
occupazionali che vengono affrontati
con gli ammortizzatori sociali e spesa
pubblica per contenere gli effetti sociali delle delocalizzazioni delle produzioni.
la clausola del “contenuto locale”
viene adottata nei paesi emergenti,
negli usa, ma praticata informalmente anche in inghilterra (nonostante sia un paese di cultura
liberista, quantomeno nei suoi livelli
istituzionali). in questo contesto, l’al-
stom a livello mondiale, in assenza di
vincoli per il "contenuto nazionale di
lavoro" è orientata a decidere di spostare una parte consistente delle
commesse nei paesi a più basso
costo del lavoro. derivano da qui seri
problemi occupazionali per almeno
due siti italiani.
a sesto san giovani verrebbe mantenuto soltanto il “service”, cioè i servizi di manutenzione, dismettendo
però ogni produzione manifatturiera;
mentre per il sito di savigliano i carichi di lavoro esistono fino a dicembre,
dopodiché non si avrà nessuna certezza. il mantenimento del solo “service” a sesto non è di garanzia
occupazionale per i 330/350 occupati: non è chiaro quanti posti di lavoro serviranno a fabbrica ridotta;
inoltre per gestire il “service” servirebbero particolari professionalità che
nel tempo sono andate perse.
il grosso delle produzioni è destinato
ad essere spostato verso i paesi low
cost; a meno che non si riesca, come
richiesto dall’azienda, di aumentare la
produttività e ridurre i costi, anche alla
luce della competizione interna allo
stesso gruppo alstom, riducendo
così il differenziale tra il costo italiano
e quello dei paesi a basso costo del
lavoro.
in europa i siti industriali sono, a
ovest, in spagna, germania, francia, italia; a est a Katowice in polonia. in spagna è stato creato due
anni fa un sito low cost: sono stati ridotti i posti di lavoro e i salari, ora col
mercato interno lavorano, ma solo
dopo essere diventati low cost.
il segnale quindi è chiaro: o spostiamo le produzioni nei paesi low
cost dell’est europa o dell’asia, oppure i paesi occidentali dovranno essi
stessi diventare low cost.
nel corso del tempo, già importanti
trasformazioni del processo produttivo erano state realizzate per abbassare i costi. mentre in precedenza il
grosso della produzione avveniva all’interno degli stabilimenti alstom,
oggi molte sono le lavorazioni esternalizzazione, quindi sono molte le
componenti e le parti che vengono
fornite dall’esterno. a sesto ormai si
assembla solo, si fanno il collaudo e
la certificazione; invece materiali di
carpenteria, di cablaggio, componenti
elettriche, componenti meccaniche
vengono forniti tutti dall’esterno (la
carpenteria viene fornita dalla polonia).
in questa fase della lotta, i lavoratori
sono impegnati a realizzare iniziative
per spiegare all’opinione pubblica
l’ennesima situazione di pericolo occupazionale; il secondo passaggio è
quello di intervenire sui livelli istituzionali responsabili delle commesse ferroviarie per ottenere che le stesse
prevedano quote di occupazione sul
territorio.
gli stessi paesi low cost hanno leggi
precise sulla manodopera locale, ad
esempio le commesse dei treni in
india o in cina hanno previsto di impiegare manodopera in loco (ad
esempio in cina per la commessa
pendolini è stato chiesta il “contenuto
locale”; sono state quindi costruite
delle fabbriche che poi devono continuare a produrre contribuendo anche
al fenomeno della sovraccapacità
produttiva installata).
per questo è stata fatta una riunione
in regione lombardia con gli assessori alle attività produttive e ai Trasporti, così come altre se ne faranno
nelle altre regioni interessate.
complessivamente la gara per i treni
regionali (alta frequentazione, media
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frequentazione e diesel) prevede un
volume complessivo di 500 treni, ma
di fatto riguarda concretamente 47
treni a media capacità e 31 ad alta
capacità (che poi sono i treni che e interessano l’emilia romagna, per i
quali sarebbero stati stanziate le risorse), mentre per i "diesel" non sono
neppure previsti lotti minimi.
anche in questo caso, quindi, come
per il settore energia passato a ge, a
pesare sono la mancanza di politiche
industriali del governo che, attraverso investimenti pubblici in settori
fondamentali (es. trasporti, energia),
potrebbe e dovrebbe contribuire a sostenere la presenza e la qualificazione dell’industria manifatturiera in
italia.
ma, come visto nel caso di alstom
power (ora general electric), gli unici
interventi dei livelli istituzionali italiani
(dal governo renzi alla regione di
martoni) riguardano esclusivamente
l’elargizione di contributi pubblici alle
imprese private (multinazionali comprese) senza ottenere in cambio nessun impegno occupazionale e
industriale.
il 17 febbraio si è tenuto un importante sciopero che ha coinvolto i lavoratori di alstom, general electrics
e abb, cioè le tre multinazionali presenti a sesto che si accingono a pesanti tagli produttivi e occupazionali.
altre iniziative verranno messe in
campo per scongiurare le pesantissime conseguenze sociali che si rischierebbero qualora venissero
realizzati i piani di ristrutturazione
delle tre multinaizonali.
“renzI non pervenuto, non sta maI con I lavoratorI”
Il segretario generale della cgil lombardia elena lattuada: ”renzi ha visitato tutte le organizzazioni
a partire da confindustria ma non ha mai visitato un’assemblea di lavoratori in lotta”.
“non è solo il presidente del consiglio ma anche il segretario del principale partito della sinistra
italiana.
eppure non ha mai trovato il tempo di visitare un’assemblea di lavoratori in lotta per difendere il
posto di lavoro.
a matteo renzi i sindacati vanno bene e sono da interrogare solo quando esistono condizioni di
conflitto sociale; mai però si è occupato di stare vicino ai lavoratori per avere cognizioni delle loro
condizioni”.
così elena lattuada segretaria generale della cgil lombardia
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call center: ottomIla postI a
rIschIo, scIopero l’11 marzo*
manifesTazione nazionale a roma. le scelTe di posTe ed enel provocheranno nei prossimi
mesi olTre 8.000 licenziamenTi, di cui almeno la meTà a marzo. cesTaro (slc): “inacceTTabile
che due conTrollaTe dello sTaTo non rispeTTino le clausole del parlamenTo”.
la decisione di poste italiane ed
enel, aziende controllate dallo stato
italiano, di assegnare le attività di call
center senza rispettare la clausola
sociale contenuta nel ddl “appalti” approvato dal parlamento, la volontà
del governo di non far applicare
quanto previsto dalle leggi italiane in
tema di delocalizzazioni di attività di
call center, la scelta politica di privare
il settore degli ammortizzatori sociali
ordinari, provocheranno nei prossimi
mesi oltre 8000 licenziamenti nel settore dei call center, di cui almeno la
metà vedrà aprire le procedure di licenziamento già nel mese di marzo.
Questo l’allarme lanciato dai segretari
nazionali di categoria in merito alla
mancata convocazione da parte del
governo di un tavolo di crisi, richiesto
dai sindacati a gennaio.
“e’ del tutto inaccettabile - dichiara
massimo cestaro, segretario generale della slc - che due aziende controllate dallo stato italiano come
poste ed enel, possano assegnare
attività di call center senza rispettare
le clausole sociali approvate dal parlamento. se passa il principio che le
aziende pubbliche non rispettano le
leggi perché mai dovrebbero farlo
quelle private”.
“da quattro anni - continua vito vitale
(fistel cisl) - stiamo chiedendo il rispetto dell’articolo 24 bis della legge
134 del 2012 in tema di delocalizzazione delle attività di call center. nonostante i ripetuti annunci dei vari
ministeri che avevano anche comunicato l’avvio delle sanzioni previste
dalla legge, la normativa rimane totalmente disattesa. si è consentito in
questo modo, a tantissime attività di
essere delocalizzate all’estero e si è
impedito ai cittadini italiani un diritto
di scelta a loro garantito dalla legge.
Questo ha ingenerato migliaia di esuberi ingiustificati, perché il lavoro non
è cessato ma è stato spostato, senza
rispettare le leggi, in paesi con basso
costo del lavoro e insufficiente garanzia sul trattamento dei dati personali
e sensibili.”
“aver deciso di togliere - incalza
salvo ugliarolo (uilcom uil) - gli ammortizzatori ordinari al settore è una
scelta miope e assurda che comporterà nelle prossime settimane l’avvio
di migliaia di licenziamenti nelle aree
più deboli del paese, tanto accanimento contro le lavoratrici e i lavoratori di un intero settore davvero non
si comprende. e’ evidente che il sindacato non starà a guardare passivamente l’indolenza o la complicità di
chi ha condannato migliaia di lavoratrici e lavoratori alla certezza di perdere il lavoro per favorire imprese
spregiudicate.”
Questa strada, concludono i tre segretari generali, porterà l’intero settore al limite della legalità perché è
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evidente che non esiste un solo imprenditore serio disponibile ad assumere attività in perdita. Questo in un
ambito economico che conosce, controlla e gestisce dati personali e sensibili di milioni di cittadini italiani.
visto che il rispetto delle leggi è un
elemento fondamentale per ogni democrazia e considerando che “la
legge è uguale per tutti” e che nessun
cittadino e nessuna azienda può essere collocata al di sopra delle leggi,
venerdì 11 marzo, in occasione dello
sciopero nazionale di settore, manifesteremo a roma con un solo slogan: fate rispettare le leggi che il
parlamento italiano ha votato.
* da rassegna.it
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trIvelle, nucleare, shale Gas:
ma che Brutta europa!
nienTe elecTion day per il referendum no Triv: il consiglio dei minisTri ha infaTTi fissaTo
al 17 aprile la daTa della consulTazione e, risoluTamenTe e da par suo,
maTTarella ha confermaTo.
di mario agostinelli
sfuma dunque l’ipotesi di accorpare
referendum e primo turno delle elezioni amministrative e di garantire
così una conoscenza adeguata ai cittadini, facilitando la partecipazione
democratica senza moltiplicare inutilmente gli appuntamenti degli italiani
alle urne.
cerchiamo di capire come e chi vuole
rendere ininfluente un referendum
che, come nel caso del nucleare, imporrebbe questa volta una svolta nel
ricorso alla combustione delle fonti
fossili.
a dicembre si è conclusa a parigi la
cop 21, con il riconoscimento unanime, almeno sulla carta, della necessità di decarbonizzare in tempi
stretti l’economia mondiale. al pari
delle gride manzoniane l’appello, ancorché sottoscritto dai personaggi più
illustri, ha lasciato via libera allo scorrazzare dei bravi.
di lì ad un mese si è riunito il davos
club. in esso trovano adeguata rappresentanza le 62 persone (nel 2010
erano 388, nel 2014 si erano già ridotte a 80, con un trend di concentrazione
impressionante)
che
possiedono più della ricchezza di 3,6
miliardi di cittadini del mondo (la metà
degli abitanti del pianeta) e che,
scambiandosi i loro biglietti da visita
assistiti da apparati statali, economici
e mediatici del massimo livello, puntano a tenere le redini della civiltà
della globalizzazione. da lì è ripartito
il suggerimento di applicare le tecnologie più avanzate per procrastinare
l’impiego di petrolio, carbone e gas e
di mascherarne gli effetti, al fine di sostenere la cosiddetta “rivoluzione industriale 4.0”, in cui robot, intelligenza
artificiale e energia a basso prezzo –
anche se sporca – dovrebbero risparmiare manodopera e rinnovare la crescita economica. Quindi, investimenti
in nuovi gasdotti, trivelle in mari cristallini, pozzi di perforazione per gas
di scisto in terreni ormai traforati
come un gruviera.
renzi, incantato dai twitter, dai ceo,
come da tutte le rivoluzioni a 2.0, 3.0,
4.0 e così via, ha pensato che qualche concessione di licenza per trivellare i nostri mari valesse bene i 360
milioni di euro che usciranno di tasca
non accorpando le scadenze elettorali. purtroppo, si dimentica che è
stato il settore bancario, accanto all’energia, alle materie prime e alle industrie di base afflitte da un eccesso
di capacità, a guidare la caduta delle
borse e che la politica economica ha,
quella sì, bisogno di innovazione.
che l’andamento per le fonti fossili
non sia entusiasmante, lo si può vedere anche dal trend di declino di carbone, nucleare e gas in europa, se si
guarda alle centrali andate in pensione: nel 2015 si sono fermati o dismessi impianti a carbone per oltre 8
gW, a gas per 4,2 gW, a olio combustibile per 3,3 gW e da fonte nucleare
per 1,8 gW.
il nostro governo, che fa di prammatica la voce grossa a bruxelles, sulle
questioni energetiche va invece completamente a ruota delle lobby continentali che premono su una
commissione ormai smarrita, anche
sulla questione climatica. Tutto sembra nascere e decidersi in luoghi ristretti di cui le popolazioni non sono
informate.
la commissione europea ha varato
un piano di importazione di gas naturale liquefatto (gnl) e tutti hanno
pensato alla imprevista disponibilità
di creare infrastrutture per importare
gas da fracking usa, al fine di ridurre
la dipendenza dalla russia. anche se
l’accordo di parigi era stato salutato
come un chiaro segnale al mercato
che l’era dei combustibili fossili inquinanti era finita, è la politica che si è
messa a rilanciare! eppure il gas naturale – da fracking in particolare - è
anche in gran parte composto di metano, un gas serra che ha 86 volte il
potenziale di riscaldamento globale
del biossido di carbonio. la produ-
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zione di energia elettrica a gas è solo
un bene per il clima rispetto alla produzione da carbone se eventuali perdite di metano nella produzione,
raffinazione e trasmissione, è inferiore al 3,2%. ma i rilevamenti dei
tassi di emissione via satellite
(http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1
002/2014ef000265/abstract ) hanno
recentemente dimostrato che le concentrazioni di metano sono aumentate drasticamente in molte delle
principali regioni produttrici di shale
gas negli stati uniti. Tenuto poi conto
che il trasporto avverrebbe via nave,
il bilancio delle emissioni diventa insostenibile secondo l’accordo di parigi.
infine, va ricordato come un rilancio o
un ricondizionamento delle centrali
nucleari in europa sia reso improbabile dai costi e dai rischi. un documento della commissione ancora
non pubblicato, ma reso noto da reuters, (http://www.euractiv.com/section/energy/news/eu-short-of-e118bn
-to-dismantle-nuclear-plants/ ) rivela
che l’europa è in deficit di 118 miliardi
di euro per lo smantellamento delle
sue centrali nucleari e la gestione
dello stoccaggio delle scorie. infatti,
la stima prevista per l’intera operazione è di 268,3 miliardi di € a fronte
di riserve nei paesi per 150,1 miliardi
di €. solo la germania ha accantonamenti sufficienti, mentre la francia ha
un deficit di 51 miliardi.
la sospensione del programma nucleare in italia a seguito del referendum risulta oggi una autentica
benedizione per una economia in
crisi come la nostra.
ragione in più perché i cittadini non
stiano a guardare ma, di fronte a governanti così imprevidenti e senza
bussola, vadano davvero tutti a votare il 17 aprile, a dispetto degli inciampi e della disinformazione che
vorrebbero frapporre tra casa nostra
e le urne.
punto rosso
sinistralavoro
l’occIDente alla Guerra In lIBIa
menTre conTinua lo sTallo poliTico in libia, per il mancaTo voTo di fiducia al governo di
uniTà nazionale – voTazione rimandaTa alla prossima seTTimana – in occidenTe sembra passaTa l’idea del baraTTo della siria con la libia.
di Farid adly
mano libera a mosca in siria, in cambio della mano libera delle potenze
occidentali in libia. con o senza legittimità internazionale. la casa
bianca ha già dettato la linea con l‘attacco sulla base di daiesh a sabratha, ottenendo la collaborazione di
gran bretagna, da dove sono partiti i
caccia, e dell’italia, che ha dato il consenso al decollo dei droni dalla base
usa di sigonella, in sicilia. la linea
interventista di Washington è stata
assecondata da francia e gran bretagna, che hanno già sul terreno reparti speciali. e dalle ultime
dichiarazioni di paolo gentiloni e matteo renzi, malgrado il politichese,
sembra in arrivo anche un probabile
assenso italiano, dopo l’accordo per
le operazioni offensive dei droni usa
a partire dalla base di sigonella – accordo rivelato dalla stampa statunitense. non solo: secondo fonti
libiche, a mlita, vicino a zuara, ci
sono forze speciali italiane in difesa
dell’impianto di gas, che collega le
coste libiche con il terminale di gela.
Tutto questo suonar di tamburi di
guerra viene fatto nel nome di un dilagare deli’influenza di daiesh su
nuovi territori in libia, sfruttando il
vuoto politico nato dalla permanente
indecisione sul governo di riconciliazione nazionale tra le parti libiche
proposto dall’onu, dopo lunghe trattative a skhierat in marocco.
in realtà per combattere daiesh non
ci sarebbe bisogno di truppe combattenti straniere, ma sarebbe utile e sufficiente metter fine all’embargo
internazionale contro l’esercito libico.
e quello che, da almeno un anno e
mezzo, chiedevano il governo e il
parlamento riconosciuti internazionalmente, si è rivelato una realtà, proprio
in questi giorni a bengasi. la vittoria
militare delle truppe governative che
hanno conquistato le ultime due roccaforti degli jihadisti nel capoluogo
della provincia orientale, ha dimostrato appieno che una volta aggirato
l’embargo sugli armamenti, l’esercito
libico ha la capacità di sconfiggere il
terrorismo jihadista. a bengasi i rifornimenti militari francesi arrivati a zentan via terra dalla Tunisia, e poi per
via aerea fino a benina, l’aeroporto di
bengasi, hanno permesso di bloccare l’arrivo di nuove reclute e armamenti via mare da sirte agli jihadisti
assediati nei quartieri di allithi e abu
atni. la stampa libica da tempo parla
della presenza di reparti speciali francesi a labraq e britannici a Tobruk,
ma ufficialmente avrebbero compiti di
addestramento. le monde rivela invece che questi reparti hanno invece
compiti di azioni sul terreno, per assassini mirati e operazioni speciali.
in questo quadro di avanzato coinvolgimento degli occidentali in opera-
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zioni militari in libia, la linea di prudenza italiana, che antepone il raggiungimento di un accordo politico tra
le parti prima di un intervento – nel
quadro dell’onu o per richiesta di un
governo unitario, nei limiti di un operazione di peacekeeping -viene ad
essere sconfessata dal protagonismo
delle altre potenze occidentali. gli interessi contrapposti fanno avanzare
anche scenari di smembramento
della libia in tre province, Tripolitania,
cirenaica e fezzan, come ai tempi
dell’impero ottomano.
ipotesi fortemente contrastata dai politici e dalla società civile libica, che
non può essere portata a termine, se
non al costo di molte vite umane libiche ed occidentali.
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sinistralavoro
Il “manIFesto” DI marx come la
QuInta DI Beethoven
non si può sosTenere che alcune belle pagine possano da sole cambiare il mondo. l’inTera opera di danTe non è serviTa a resTiTuire un sacro romano imperaTore ai comuni iTaliani. TuTTavia, nel ricordare Quel TesTo che fu il manifesTo del parTiTo comunisTa del
1848, e che cerTamenTe ha largamenTe influiTo sulle vicende di due secoli, credo occorra rileggerlo dal punTo di visTa della sua QualiTà leTTeraria o almeno – anche a non
leggerlo in Tedesco – della sua sTraordinaria sTruTTura reTorico-argomenTaTiva.
di umberto eco
nel 1971 era apparso il libretto di un
autore venezuelano, ludovico silva,
"lo stile letterario di marx", poi tradotto da bompiani nel 1973. credo
sia ormai introvabile e varrebbe la
pena di ristamparlo. rifacendo anche
la storia della formazione letteraria di
marx (pochi sanno che aveva scritto
anche delle poesie ancorché, a detta
di chi le ha lette, bruttissime), silva
andava ad analizzare minutamente
tutta l’opera marxiana. curiosamente
dedicava solo poche righe al manifesto, forse perché non era opera strettamente personale. è un peccato: si
tratta di un testo formidabile che sa
alternare toni apocalittici e ironia, slogan efficaci e spiegazioni chiare e (se
proprio la società capitalistica intende
vendicarsi dei fastidi che queste non
molte pagine le hanno procurato) dovrebbe essere religiosamente analizzato ancora oggi nelle scuole per
pubblicitari.
inizia con un formidabile colpo di timpano, come la Quinta di beethoven:
«uno spettro si aggira per l’europa»
(e non dimentichiamo che siamo ancora vicini al fiorire preromantico e romantico del romanzo gotico, e gli
spettri sono entità da prendere sul
serio). segue subito dopo una storia
a volo d’aquila sulle lotte sociali dalla
roma antica alla nascita e sviluppo
della borghesia, e le pagine dedicate
alle conquiste di questa nuova classe
«rivoluzionaria» ne costituiscono il
poema fondatore – ancora buono
oggi, per i sostenitori del liberismo. si
vede (voglio proprio dire «si vede», in
modo quasi cinematografico) questa
nuova inarrestabile forza che, spinta
dal bisogno di nuovi sbocchi per le
proprie merci, percorre tutto l’orbe
terraqueo (e secondo me qui il marx
ebreo e messianico sta pensando al-
l’inizio del genesi), sconvolge e trasforma paesi remoti perché i bassi
prezzi dei suoi prodotti sono l’artiglieria pesante con la quale abbatte ogni
muraglia cinese e fa capitolare i barbari più induriti nell’odio per lo straniero, instaura e sviluppa le città
come segno e fondamento del proprio potere, si multinazionalizza, si
globalizza, inventa persino una letteratura non più nazionale bensì mondiale.
è impressionante come il manifesto
avesse visto nascere, con un anticipo
di centocinquant’anni, l’era della globalizzazione, e le forze alternative
che essa avrebbe scatenato. come a
suggerirci che la globalizzazione non
è un incidente avvenuto durante il
percorso dell’espansione capitalistica
(solo perché è caduto il muro ed è arrivato internet) ma il disegno fatale
che la nuova classe emergente non
poteva evitare di tracciare, anche se
allora, per l’espansione dei mercati,
la via più comoda (anche se più sanguinosa) si chiamava colonizzazione.
è anche da rimeditare (e va consigliato non ai borghesi ma alle tute di
ogni colore), l’avvertimento che ogni
forza alternativa alla marcia della globalizzazione, all’inizio, si presenta divisa e confusa, tende al puro
luddismo, e può venire usata dall’avversario per combattere i propri nemici.
alla fine di questo elogio (che conquista in quanto è sinceramente ammirato), ecco il capovolgimento
drammatico: lo stregone si trova impotente a dominare le potenze sotterranee che ha evocato, il vincitore è
soffocato dalla propria sovraproduzione, è obbligato a generare dal proprio seno, a far sbocciare dalle
proprie viscere i suoi propri becchini,
i proletari.
entra ora in scena questa nuova
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forza che, dapprima divisa e confusa,
si stempera nella distruzione delle
macchine, viene usata dalla borghesia come massa d’urto costretta a
combattere i nemici del proprio nemico (le monarchie assolute, la proprietà fondiaria, i piccoli borghesi), via
via assorbe parte dei propri avversari
che la grande borghesia proletarizza,
come gli artigiani, i negozianti, i contadini proprietari, la sommossa diventa lotta organizzata, gli operai
entrano in contatto reciproco a causa
di un altro potere che i borghesi
hanno sviluppato per il proprio tornaconto, le comunicazioni. e qui il manifesto cita le vie ferrate, ma pensa
anche alle nuove comunicazioni di
massa (e non dimentichiamoci che
marx ed engels nella sacra famiglia
avevano saputo usare la televisione
dell’epoca, e cioè il romanzo di appendice, come modello dell’immaginario collettivo, e ne criticavano
l’ideologia usando linguaggio e situazioni che esso aveva reso popolari).
a questo punto entrano in scena i comunisti. prima di dire in modo programmatico che cosa essi sono e che
cosa vogliono, il manifesto (con
mossa retorica superba) si pone dal
punto di vista del borghese che li
teme, e avanza alcune terrorizzate
domande: ma voi volete abolire la
proprietà? volete la comunanza delle
donne? volete distruggere la religione, la patria, la famiglia?
Qui il gioco si fa sottile, perché il manifesto a tutte queste domande sembra rispondere in modo rassicurante,
come per blandire l’avversario – poi,
con una mossa improvvisa, lo colpisce sotto il plesso solare, e ottiene
l’applauso del pubblico proletario…
vogliamo abolire la proprietà? ma no,
i rapporti di proprietà sono sempre
stati soggetto di trasformazioni, la rivoluzione francese non ha forse abo-
lito la proprietà feudale in favore di
quella borghese? vogliamo abolire la
proprietà privata? ma che sciocchezza, non esiste, perché è la proprietà di un decimo della popolazione
a sfavore dei nove decimi. ci rimproverate allora di volere abolire la «vostra» proprietà? eh sì, è esattamente
quello che vogliamo fare.
la comunanza delle donne? ma suvvia, noi vogliamo piuttosto togliere
alla donna il carattere di strumento di
produzione. ma ci vedete mettere in
comune le donne? la comunanza
delle donne l’avete inventata voi, che
oltre a usare le vostre mogli approfittate di quelle degli operai e come
massimo spasso praticate l’arte di sedurre quelle dei vostri pari. distrug-
gere la patria? ma come si può togliere agli operai quello che non
hanno? noi vogliamo anzi che trionfando si costituiscano in nazione…
e così via, sino a quel capolavoro di
reticenza che è la risposta sulla religione. si intuisce che la risposta è
«vogliamo distruggere questa religione», ma il testo non lo dice: mentre abborda un argomento così
delicato sorvola, lascia capire che
tutte le trasformazioni hanno un
prezzo, ma insomma, non apriamo
subito capitoli troppo scottanti.
segue poi la parte più dottrinale, il
programma del movimento, la critica
dei vari socialismi, ma a questo punto
il lettore è già sedotto dalle pagine
precedenti. e se poi la parte program-
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punto rosso
sinistralavoro
matica fosse troppo difficile, ecco un
colpo di coda finale, due slogan da levare il fiato, facili, memorizzabili, destinati (mi pare) a una fortuna
strepitosa: «i proletari non hanno da
perdere che le loro catene» e «proletari di tutto il mondo unitevi».
a parte la capacità certamente poetica di inventare metafore memorabili,
il manifesto rimane un capolavoro di
oratoria politica (e non solo) e dovrebbe essere studiato a scuola insieme alle catilinarie e al discorso
shakespeariano di marco antonio sul
cadavere di cesare. anche perché,
data la buona cultura classica di
marx, non è da escludere che proprio
questi testi egli avesse presenti.
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