VENERDÌ 14 SETTEMBRE 2007
LA REPUBBLICA 51
DIARIO
DI
L’ULTIMO SCANDALO UNIVERSITARIO
In Italia sono
arrivati nel
dopoguerra
portati dagli
americani
i per sé i test non hanno
colpa del vergognoso
cancan che s’è scatenato
attorno a loro: prove di accesso
all’università sfrontatamente
truccate, selezioni falsate, graduatorie annullate e così via.
Tutti questi pasticci dipendono
piuttosto dal modo in cui sono
gestiti dalle università e dai singoli gruppi di somministrazione
(si dice così). Ciò non vuol dire
però che la selezione mediante
test sia del tutto innocente. Anzi,
di colpe ne ha molte, anche se in
giro si fa disinvoltamente finta di
niente.
Il test come metodo di selezione è uno dei tanti cascami della
nostra dipendenza culturale dagli Stati Uniti, come la Coca Cola, il ketchup e il gimmi five. È da
lì infatti che, nei lontani anni
Cinquanta, portati da qualche
dirigente militare (le forze armate hanno sempre avuto una passione per questo genere di selezione), i test arrivarono in Europa. Siccome avevano una forte
aria di modernità (eravamo nel
dopoguerra) e davano un’impressione di efficienza, furono
in molti a crederci. In Italia se ne
fece vessillifero un uomo che per
altri versi ha dato molto alla nostra scuola, Aldo Visalberghi
(scomparso quest’anno), che
nel 1955 pubblicò per le edizioni
di Comunità (anche l’industria
era molto sensibile al tema) Misurazione e valutazione nel processo educativo, un librettino in
cui la pratica dei test trovava la
sua giustificazione. Io c’ero: da
studente di filosofia dovetti sorbirmi il libretto, che ricordo
piuttosto plumbeo, come si
commentava tra compagni che
ci credevano poco. Il titolo ne indica l’angolazione: la valutazione delle prestazioni intellettuali
si può fare solo dopo che le si è
misurate, e per misurarle non
c’è niente di meglio che un test.
L’idea era sostenuta dalla fiducia di riuscire a misurare rapidamente e in modo obiettivo (cioè
liberandosi dell’ombra dell’arbitrio dell’esaminatore) la preparazione di un candidato.
Si crearono sottili terminologie e dottrine che s’infiltrarono,
come perdite d’acqua, in tutto
l’edificio dell’educazione. Siccome su tutto aleggiava anche
un’allusione all’uguaglianza,
nella trappola caddero diversi
spiriti democratici (come del resto era Visalberghi), che pensavano che coi test si sarebbero finalmente neutralizzate le simpatie che inducevano gli educatori a giudicare i ragazzi benestanti in modo diverso da quelli
di famiglie “non-abbienti” (allora si diceva così).
A partire da quel momento,
col crescere del peso dei pedagogisti nelle decisioni di viale
Trastevere e col graduale tecnologizzarsi dell’educazione, i test
dilagarono in una varietà di prove d’accesso per concorsi, fa-
Dovrebbero
misurare la
preparazione
culturale,
in realtà...
D
TEST
Nonsiuccidecosìuncandidato?
RAFFAELE SIMONE
coltà e simili. Dalla Banca d’Italia alle selezioni militari, dai corsi di laurea “blindati” (la solita
Medicina e le sue sorelle) alle
prove di lingue, moltissime cose
cominciarono a farsi con quel
metodo. Oggi che si possono fare telematicamente su un computer la cosa ha trovato un serio
rilancio.
Mentre gli esperti auspicava-
no, però, il popolo aveva capito.
Non a caso, presso i ceti più semplici non si è mai detto test bensì quiz. L’innocuo scambio di
parole allude al fatto che si percepì sin dall’inizio il carattere
aleatorio, cervellotico e sottilmente vessatorio di quel tipo di
prova. Ed è questa ancora l’impressione che si ha oggi quando
capita di leggere le domande che
MARK HADDON
“
TEST
AVEVA ancora sulla scrivania i miei
test di matematica in 3 buste sigillate... Riflettei sulla domanda ma non
ero certo della risposta perché avrei voluto dare l’esame
di matematica ma mi sentivo stanchissimo, e quando cercai di pensare alla matematica il cervello sembrò non funzionare a dovere…
Eseguii il Test I seduto nell’aula di arte. Il Reverendo Peters era il mio supervisore e stava seduto alla scrivania a
leggere un libro sbocconcellando un panino. Nel bel mezzo dell’esame uscì e andò a fumare una sigaretta fuori dalla finestra, sempre continuando a osservarmi nel caso
cercassi di copiare. Quando aprii la busta e ne lessi il contenuto non riuscii a pensare a nessuna delle risposte e inoltre facevo fatica a respirare. Avrei voluto picchiare qualcuno oppure pugnalarlo con il mio coltellino svizzero, ma
non c’era nessuno da picchiare o da pugnalare con il mio
coltellino svizzero se non il Reverendo Peters, e lui
era piuttosto alto e se l’avessi picchiato o pugnalato con il mio coltellino svizzero non avrebbe più
potuto essere il mio supervisore per gli altri test.
vengono sottoposte ai giovani
per selezionarli.
Infatti, spesso basta formulare una domanda senza darle un
focus preciso perché chi risponde non capisca cosa deve fare.
Inoltre i test vertono facilmente
su incongrue stupidate, che il
candidato sente come umilianti
e a cui risponde a caso non riuscendo a vedervi alcuna sensa-
tezza. Infine, a volte pretendono
di misurare perfino l’attitudine,
cioè il grado di vocazione di un
giovane verso una disciplina o
un’altra.
I test che si usano nelle università da poco meno di dieci anni insistono su tre tasti. Il primo
consiste nel cercar di separare i
totalmente analfabeti dagli altri:
a questo scopo fanno domandi-
ne che a un giovane appena uscito dal liceo dovrebbero far vergogna, del tipo “si scrive socquadro o soqquadro?” Il secondo
consiste nel verificare la logica e
la cosiddetta “cultura generale”.
Qui si trovano le maggiori stravaganze, per non dire peggio:
“trova l’intruso tra le seguenti
parole: scoiattolo, orsacchiotto,
computer, opossum”, oppure:
“Possiamo considerare lo sciovinismo come l’esasperazione
(a) del patriottismo, (b) dell’imperialismo, (c) dell’egoismo, (d)
dell’altruismo, (e) dell’integralismo?” Quest’ultima domanda
viene da un test per l’ingresso a
veterinaria. Il seguente dal test
per l’accesso a odontoiatria: “La
Fenomenologia dello spirito
(1807) è (a) un’opera filosofica,
(b) un trattato di geometria, (c)
un’opera di edificazione religiosa, (d) un importante testo giuridico, (e) un testo di medicina?”
Che cosa misurino domande come queste è oscuro.
Infine, siccome l’attitudine di
una persona a far checchessia si
può cogliere solo mettendola alla prova, quanto al terzo tasto i
test non trovano di meglio che
fare a chi, poniamo, vuole iscriversi a odontoiatria, delle domande di… odontoiatria!
Stando così le cose, si può davvero pensare che la pratica dei
test sia sicura e onesta? No. Possono essere formulati male, possono essere compilati male da
candidati, anche giudiziosi, che
non si raccapezzano tra pretese
strampalate, possono essere
corretti male.
La mia opinione di professore
stagionato è che i test non servono affatto ad assicurare l’obiettività e efficienza, come si credeva
negli anni Sessanta. Servono solo a liberarsi di masse ingovernabili di candidati che nessuno
ha voglia di incontrare faccia a
faccia in colloqui articolati, e nascono da una sostanziale sfiducia nel potere della parola nell’ambiente educativo e formativo. Meglio un foglio pieno di crocette che una conversazione
personale.
Quando inoltre le università
italiane ricorrono a test per selezionare gli ammessi, rivelano
un’altra perniciosa specie di diffidenza che è tutta nostra. Se le
scuole superiori avessero l’autorevolezza che non hanno, basterebbe guardare il libretto scolastico del candidato (contenente
la veridica descrizione della sua
carriera, delle preferenze e delle
propensioni che per anni ha manifestato e alcuni voti ben dati
sulle sue prestazioni effettive)
per capire se è più adatto a fare il
dentista o l’agronomo, il filologo
o l’esploratore. Si risparmierebbero tempo e molto denaro. Ma
purtroppo del voto di maturità
non si fida più nessuno, e quindi, al passaggio all’università, bisogna ricominciare tutto daccapo.
“
Repubblica Nazionale
52 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
VENERDÌ 14 SETTEMBRE 2007
DIARIO
LA SCALA BINET 1905
Il primo test d’intelligenza è pubblicato nel
1905 dallo psicologo francese Alfred Binet
su commissione delle autorità
scolastiche. Per schedare e valutare i
bambini viene introdotta la scala di Binet
IL SUCCESSO ANNI ’20-’60
Nel 1921, Rorschach e Murray mettono a
punto i test proiettivi. L’uso dei test
subisce un incremento durante la guerra
per selezionare i soldati. E poi fino agli anni
’60 grazie a Cattell e a Eysenck
IL TEST DI TURING 1950
Alan Turing sulla rivista “Mind” illustra il
suo test per determinare se una macchina
sia in grado di pensare. In Italia negli anni
’50, Aldo Visalberghi sdogana i test come
strumento di valutazione
DAI CONCORSI AI GIOCHI: PERCHÉ I TEST HANNO INVASO LA NOSTRA VITA
COME È DIFFICILE
MISURARE IL PENSIERO
STEFANO BARTEZZAGHI
I LIBRI
CESARE
CORNOLDI
L’intelligenza
Il Mulino
2007
G. TOGNON
(a cura di)
Una dote per
il merito
Il Mulino
2006
FRANCO
FREILONE
La
personalità
borderline al
test di
Rorschach
Utet
2005
ANGELA
D’ELIA,
DOMENICO
PICCOLO
Statistica per
le decisioni
Il Mulino
2004
VINCENZA
ANNOVAZZI
I test per
misurare il QI
De Vecchi
2002
HANS J.
EYSENCK
Q. I. Nuovi
test
d’intelligenza
BUR
2001
HANS J.
EYSENCK,
LEON
KAMIN
Intelligenti si
nasce o si
diventa?
Laterza
2001
MICHE
HUTEAU,
JACQUES
LAUTREY
I test
d’intelligenza
Il Mulino
2000
ALDO
VISALBERGHI
Valutazione e
misurazione
nel processo
educativo
Edizione di
Comunità
1955
JOHN
DEWEY
Teoria della
valutazione
La Nuova
Italia 1963
i tempi in cui la nostra
scuola conosceva ancora
solo compiti e interrogazioni, e ancora non usava neppure la parola “verifica” - quindi prima delle “schede”, dei
“curricola” e delle “valutazioni”
- furono i Peanuts di Charles
Schulz a introdurre nel panorama italiano il test a scelta multipla. Avveniva in certe vignette
con Piperita Patty e la sua amica
secchiona Marcie: alle prese
con la fatale alternativa tra A, B e C,
Piperita, studentessa non impeccabile, di striscia
in striscia si appellava alla sorte,
alla scaramanzia,
all’assonanza o a
una fuggevole
simpatia per una
risposta. Ogni variante fornita dall’inventiva di
Schulz produceva gag divertenti
per il lettore. In
Italia il test ha
dunque avuto un
esordio di tipo
umoristico, e
questo dovrebbe
suggerirci qualcosa.
Due altre evenienze semiserie
prevedevano a
quei tempi un test a risposte multiple, entrambe
erano riti di passaggio per neomaggiorenni, in
un caso soltanto
per i maschi. La prima era ed è
l’esame “teorico” per la patente
automobilistica - molto teorico,
visto l’uso che gli automobilisti
faranno delle nozioni lì imparate -, con quei trabocchetti come
la possibile risposta “Un elemento dello sterzo” data alla
domanda “Cos’è il volano?” (e
c’è sempre chi ci casca). La seconda era il test attitudinale nell’ultimo dei tre giorni della visita al distretto militare. In questo
caso una tenace e mai verificata
leggenda assicurava grossi vantaggi al candidato che sbagliasse apposta il maggior numero di
domande, facendosi passare
per scemo ed evitando così destinazioni e mansioni troppo
impegnative durante il futuro
anno di naja.
Il test divenne poi una risorsa
per l’intrattenimento giornalistico: scopri se sei una persona
gelosa, qual è il tuo vizio capitale, se hai attitudine alla leadership o all’avventura o alla trasgressione rispondendo a venti,
trenta, quaranta domande molto eterogenee, con calcoli per il
punteggio e ritratti più o meno
spiritosi come esito finale.
Quanto incoraggianti siano
state ritenute queste premesse
non si sa, come non si sa quale tipo di ragionamento sia stato opposto al momento in cui si decise che il gioco del test a risposta
multipla potesse essere adottato anche nel sistema scolastico,
come seria forma di valutazione
finale o preventiva. I vantaggi
sono tutti nella comodità standardizzata della raccolta dei
punteggi, quindi nella loro
computabilità. Gli svantaggi
stanno tutti nell’assenza di soggettività, sia nella domanda sia
nella risposta: il che può essere
A
‘‘
,,
‘‘
,,
CONFRONTI
ACCESSO
L’intelligenza di Einstein
non è la stessa di
Aristotele, o di quella
messa in campo da Platone
Ha senso limitare
il diritto allo studio con
una prova così
impersonale?
MicroMega 5/07
VERBALI DEL I° CONGRESSO
DEL PARTITO DEMOCRATICO
OSCAR LUIGI SCALFARO / MARGHERITA HACK
PAOLO PRODI / LIDIA RAVERA
IGNAZIO MARINO / CURZIO MALTESE
GIANCARLO DE CATALDO / LUCA SOFRI
OLIVIERO TOSCANI / SANDRO VERONESI
TELMO PIEVANI / MAURIZIO MAGGIANI
MONI OVADIA / GAD LERNER
RITA BORSELLINO / CARLO PETRINI
FABIO PICCHI / PANCHO PARDI
Il vero congresso si svolge su MicroMega
scambiato per un vantaggio solo da chi sogni un’umanità futura perfettamente meccanizzata.
È abbastanza ovvio che l’intelligenza di Einstein non è la
stessa di Aristostele, che l’intelligenza del medico che fa una
diagnosi non è la stessa che metteva in campo Michel Platini
quando giocava; che l’intelligenza di quelle “menti raffinatissime” a cui Giovanni Falcone
attribuiva il fallito attentato che
subì all’Addaura
non è quella dell’avvocato che
scova il cavillo
che manderà assolto un colpevole. Tutte forme di
intelligenza diverse fra loro, e
spesso intermittenti, per cui lo
storico della letteratura che sa
tutto di Dolce Stil
Novo non ha la
minima idea di
come trattare con
una signora a lui
contemporanea,
e la geniale astronoma non sa leggere la mappa
della metropolitana. Quindi quale sia l’intelligenza o l’attitudine
individuale che si
voglia misurare
questa non sarà
che un lato, un
singolo versante,
una dimensione
(“Il bambino a
una dimensione”
veniva chiamato proprio
Charlie Brown).
Ammettiamo che abbia senso (giusto certo non lo è) limitare il diritto allo studio con una
prova così impersonale da essere stupida, e spesso così mal
congegnata da diventare aleatoria. Anche in quel caso il problema da risolvere sarà fare in
modo che effettivamente lo
strumento del test metta tutti i
candidati in posizione paritaria,
tutti allo stesso livello, tutti a risolvere gli stessi quesiti. Non è
scontato, come ha dimostrato
l’esperienza barese, dove l’idea
del test ha facilitato, anziché
ostacolarla, la riproposizione
dei tradizionali privilegi di censo - origine familiare e reddito fra i candidati.
Fra tutte le forme diverse di
intelligenza, all’Italia si attribuisce una propensione particolare per un’intelligenza di tipo
elusivo, la cui creatività consiste
non nel rispettare i vincoli ma
nell’aggirarli senza parere: è
l’“intelligenza” del sorpasso
sulla corsia di emergenza, dell’abuso in previsione del condono e, appunto, del costoso apparato informativo per superare una prova d’esame. Se si arriva a stanziare trenta o cinquantamila euro solo per iscrivere un
figlio all’università, per vederlo
laureato a cosa si sarà poi disposti? Questa sì che sarebbe una
bella domanda da test, nella logica tutta italiana del “se tanto
mi dà tanto”.
Il pensiero, in fondo, ha una
sua logica consequenziale:
quando si stabilisce un parametro unificato per l’intelligenza e
per l’attitudine individuale e le
si quantifica in un numero allora - e proprio da quel momento
ANNI
QUARANTA
A sinistra, in
alto Università
dell’Iowa, 1947: un
professore corregge
i test; in basso,
1900, il test
della Sunday
School e il
poster di una
scuola di economia
preciso - l’intelligenza e l’attitudine avranno anche un prezzo.
Il parametro numerico si chiama anche “valore”, e non per
nulla.
Se poi a Salerno un docente di
Comunicazione fa a un aspirante studente di Comunicazione
una domanda sui presidenti
della Repubblica italiana e fra le
tre possibili risposte fornite
nessuna è corretta, la fiducia
PHILIP K. DICK
Aveva in mano il test
corretto… Aveva fatto
in modo che superasse
l’esame; aveva falsificato
il punteggio, forse per
ragioni umanitarie
I simulacri
1964
HANS MAGNUS ENZENSBERGER
Il primo è lui. Inventa
l’inchiesta: test e
questionari, interviste,
controllo incrociato,
lavoro d’équipe. I suoi
alunni li addestra da sé
Bernardino de Sahagún
2002
Repubblica Nazionale
VENERDÌ 14 SETTEMBRE 2007
LA REPUBBLICA 53
DIARIO
LE CRITICHE ANNI ’60-’70
I repertori americani registrano migliaia di
test differenti: da quelli d’intelligenza a
quelli della personalità e psicologici. Ma
negli anni ’60 e ’70 si moltiplicano le
critiche su questi strumenti di valutazione
OGGI
Scoppia lo scandalo dei test d’ingresso
truccati negli atenei di Bari, Chieti e
Ancona. Alle facoltà baresi di Medicina e
Odontoiatria sarebbero stati pagati fino a
trentamila euro per superare i test
PARLA IL SOCIOLOGO BERNARD LAHIRE: IN FRANCIA SELEZIONANO CON LA MATEMATICA
PROVE D’ACCESSO
E SCUOLA DI MASSA
FABIO GAMBARO
Parigi
ell’epoca dell’università di massa, i test d’accesso servono a regolare il flusso degli studenti, ma non è
detto che siano il metodo più efficace per reclutare i candidati che
riusciranno meglio». Bernard Lahire, che da molti anni si occupa di
sociologia della cultura e della
scuola, esprime un certo scetticismo di fronte ai metodi di selezione
oggi in uso nel mondo accademico.
Scetticismo che nasce anche da
una solida esperienza d’insegnamento all’Ecole Normale Supérieure di Lione: «Molto spesso i test
sono solo un modo rapido per ridurre il numero dei candidati»,
spiega lo studioso francese, autore
di molti saggi, tra cui La culture des
individus, Culture écrite et inégalités scolaires, Les manières d’étudier e La condition littéraire. «In
Francia, la selezione avviene soprattutto all’ingresso delle cosiddette grandes écoles, le scuole d’eccellenza che formano l’élite intellettuale, scientifica e economica
del paese. L’accesso in queste
scuole è selezionato rigidamente,
tanto che, dopo la maturità, gli
studenti devono frequentare
due anni di corsi intensivi che
preparano gli studenti al concorso d’ammissione. Ma anche per essere ammessi a questi corsi di preparazione la selezione è sempre molto dura,
di solito sulla base dei risultati
scolastici precedenti. Per
quanto riguarda l’università
propriamente detta, tranne in
alcuni corsi di laurea, l’accesso è
teoricamente aperto a tutti. Nei fatti però, di fronte al grande numero
di domande, le facoltà più prestigiose adottano sempre più spesso
sistemi di selezione più o meno
scoperti. Soprattutto nelle filiere
che professionalizzano immediatamente, come medicina o giurisprudenza, s’è imposta la logica del
numero chiuso».
La selezione all’ingresso degli
studi universitari è dunque diventata una tendenza generale?
«Sì, e indipendentemente dal
diffondersi dei test d’accesso, dato
che, prima ancora dei test, agisce
una sorta di selezione naturale. Le
«N
nello strumento del test scivola
in un orizzonte di credenze superstiziose, se non religiose.
Come tante Piperita Patty gli
aspiranti universitari si trovano
seduti su banchi incolonnati e
possono solo sperare che il modulo che devono riempire funzioni più come un compito in
classe che come una schedina
del totocalcio. Intervistati dai
telegiornali alcuni si sono detti
convintissimi che convenga annerire per ogni domanda sempre lo stesso quadratino - essendo le percentuali di errore inferiori a quelle di chi risponde al
test pensandoci.
Non è quindi del tutto inconsistente la fantasia che i test possano misurare l’intelligenza:
quella che misurano certamente è l’intelligenza di chi li prepara.
ITALO CALVINO
Si tende a estendere il
meccanismo dell’esame
a tutti i campi della vita
civile con l’assurdo
sistema delle prove
attitudinali dei tests
Saggi
1945-1985
ALESSANDRO BARICCO
Gould era un genio. A
stabilirlo era stata una
commissione che
l’aveva esaminato, a
sei anni, sottoponendolo
a tre giorni di test
City
1999
ANNI
SESSANTA
Qui sopra,
l’enorme aula
allestita nel Palazzo
delle Esposizioni di
Nizza per l’esame di
Baccalaureato; a
destra, uno
studente alle
prese con un test di
matematica
‘‘
,,
PROSPETTIVA
Il test è figlio del quiz
e offre sempre
un’immagine parziale
dei candidati
origini sociali, il percorso scolastico, il tipo di maturità conducono
molti studenti ad autoescludersi
più o meno consapevolmente. A
volte basta l’insicurezza in una sola materia. In Francia, ad esempio,
la matematica è diventata un mezzo per selezionare gli studenti, indipendentemente dai loro profili
scolastici. Quelli bravi in matematica sono ritenuti i migliori sempre
e comunque per tutte le discipline.
Così si seleziona attraverso la ma-
tematica anche in ambiti di studio
dove essa non è l’unica competenza necessaria. Naturalmente ciò
non ha senso. Si tratta solo di una
convenzione legata all’epoca. Una
volta i migliori erano quelli che sapevano bene il latino».
Questo dominio della matematica come si spiega?
«Il dominio diffuso della cultura
scientifica e tecnologica ha rimesso in discussione l’antico primato
GLI AUTORI
Il Sillabario di Mark
Haddon è tratto da Lo
strano caso del cane ucciso a mezzanotte. Bernard Lahire, sociologo, insegna all’Ecole
Normale Supérieure
di Lione. Raffaele Simoneè docente di Linguistica a RomaTre.
Tra i suoi lavori, Il paese del pressappoco.
I DIARI ON LINE
Tutti i numeri del
“Diario” di Repubblica sono consultabili in Rete al sito
www.repubblica.it
, direttamente dalla home page al
menu Supplementi. Qui i lettori troveranno tutte le pagine, comprensive
delle illustrazioni.
della cultura umanistica. Purtroppo passare dal latino alla matematica per selezionare i migliori non
risolve il problema. Sono cambiati
i rapporti di forza tra le culture, ma
pensare di selezionare attraverso
un unico criterio è sempre un errore, perché in questo modo si normalizzano e si appiattiscono i profili degli studenti ammessi».
Chi sostiene la necessità dei test
d’accesso li considera come un
mezzo di selezione che offre le
stesse possibilità a tutti. E’ d’accordo?
«In teoria dovrebbe essere così.
In realtà, gli studenti che riescono
meglio sono quelli che fin dall’inizio possiedono un capitale culturale più elevato e quindi sono i meglio
preparati ad affrontare questo tipo
di selezione. Naturalmente ci sono
anche le eccezioni di studenti provenienti da ambienti sociali svantaggiati – quindi con un capitale
culturale e scolastico limitato – che
riescono lo stesso ad ottenere risultati brillanti. In generale, però, i test selezionano sempre lo stesso tipo di studenti. Va poi detto che il ricorso ai test d’accesso è figlio della
cultura del quiz che trionfa in televisione. I test a risposta multipla
sono più rapidi da correggere,
ma favoriscono gli studenti che
possiedono un sapere parcellizzato, spesso imparato a memoria. Non riescono invece a
misurare le capacità di ragionamento, di studio o d’organizzazione. Insomma, la cultura
del test è il sintomo dell’arretramento della cultura critica e riflessiva, in nome della semplicità,
della rapidità e dell’efficacia diretta».
Perché è così severo?
«Più questo tipo di test si diffonde, più s’impoverisce il parco degli
studenti e più si conserva lo statu
quo. Di fronte alla varietà dei profili culturali dei candidati, la rigida
griglia dei test d’accesso riconosce
solo alcune delle loro competenze.
Mette in luce l’erudizione o la conoscenza teorica di una disciplina,
ma non permette certo di cogliere
le competenze di tipo relazionale
che in alcuni ambiti (la psicologia,
la sociologia, eccetera) sono molto
importanti. Senza dimenticare che
il test domanda competenze formali molto particolari concentrate
in un ambito temporale molto limitato, con tutti gli imprevisti che una
situazione del genere comporta.
Un test offre sempre un’immagine
parziale dei candidati. E i più bravi
a rispondere in una situazione d’esame non sono sempre i più interessanti. Alla fine, il test diventa un
filtro in più, che, invece di semplificare, aggiunge complessità al sistema, escludendo molti studenti potenzialmente capaci».
Ma allora che fare?
«Lo studio del percorso scolastico dello studente o un colloquio diretto consentono di mettere in luce
con più precisione le conoscenze e
le potenzialità reali di un candidato. Il colloquio è certo meno formale e “scientifico”, ma consente di
cogliere gli interessi e la determinazione degli studenti. Non dico che
sia la soluzione ottimale, ma è sempre meglio di un test. Naturalmente, mi rendo conto che nell’università di massa ciò è molto difficile da
realizzare. In ogni caso, dovremmo
essere più creativi per inventare
nuove soluzioni. Forse bisognerebbe partire dai successi professionali in un dato settore, per capire i percorsi culturali da cui sono
nati. In questo modo, si potrebbero
elaborare meccanismi di selezione
più efficaci di quelli in vigore».
I LIBRI
SAVERIO
SANTAMAITA
Storia
della
scuola.
Dalla
scuola
al sistema
formativo
Bruno
Mondadori
2000
G. GAVIN
BRENNER
Come
aumentare
il vostro QI
Mediterranee
1999
J. KHALFA
(a cura di)
Che cos’è
l’intelligenza
Dedalo
1995
LUCA
FANELLI
Test per
le facoltà
a numero
chiuso
Mursia
1994
S. SOLDANI,
G. TURI
(a cura di)
Fare gli
italiani.
Scuola
e cultura
nell’Italia
contemporanea
Il Mulino
1993
GIACOMO
CIVES
(a cura di)
La scuola
italiana
dall’Unità
ai nostri
giorni
La Nuova
Italia
1990
JAMES
BOWEN
Storia
dell’educazione
occidentale
(3 volumi)
Arnoldo
Mondadori
1985
PETER
LAUSTER
Come
provare
l’intelligenza
Garzanti
1974
Repubblica Nazionale
Scarica

Non si uccide così un candidato?