VENERDÌ 14 SETTEMBRE 2007 LA REPUBBLICA 51 DIARIO DI L’ULTIMO SCANDALO UNIVERSITARIO In Italia sono arrivati nel dopoguerra portati dagli americani i per sé i test non hanno colpa del vergognoso cancan che s’è scatenato attorno a loro: prove di accesso all’università sfrontatamente truccate, selezioni falsate, graduatorie annullate e così via. Tutti questi pasticci dipendono piuttosto dal modo in cui sono gestiti dalle università e dai singoli gruppi di somministrazione (si dice così). Ciò non vuol dire però che la selezione mediante test sia del tutto innocente. Anzi, di colpe ne ha molte, anche se in giro si fa disinvoltamente finta di niente. Il test come metodo di selezione è uno dei tanti cascami della nostra dipendenza culturale dagli Stati Uniti, come la Coca Cola, il ketchup e il gimmi five. È da lì infatti che, nei lontani anni Cinquanta, portati da qualche dirigente militare (le forze armate hanno sempre avuto una passione per questo genere di selezione), i test arrivarono in Europa. Siccome avevano una forte aria di modernità (eravamo nel dopoguerra) e davano un’impressione di efficienza, furono in molti a crederci. In Italia se ne fece vessillifero un uomo che per altri versi ha dato molto alla nostra scuola, Aldo Visalberghi (scomparso quest’anno), che nel 1955 pubblicò per le edizioni di Comunità (anche l’industria era molto sensibile al tema) Misurazione e valutazione nel processo educativo, un librettino in cui la pratica dei test trovava la sua giustificazione. Io c’ero: da studente di filosofia dovetti sorbirmi il libretto, che ricordo piuttosto plumbeo, come si commentava tra compagni che ci credevano poco. Il titolo ne indica l’angolazione: la valutazione delle prestazioni intellettuali si può fare solo dopo che le si è misurate, e per misurarle non c’è niente di meglio che un test. L’idea era sostenuta dalla fiducia di riuscire a misurare rapidamente e in modo obiettivo (cioè liberandosi dell’ombra dell’arbitrio dell’esaminatore) la preparazione di un candidato. Si crearono sottili terminologie e dottrine che s’infiltrarono, come perdite d’acqua, in tutto l’edificio dell’educazione. Siccome su tutto aleggiava anche un’allusione all’uguaglianza, nella trappola caddero diversi spiriti democratici (come del resto era Visalberghi), che pensavano che coi test si sarebbero finalmente neutralizzate le simpatie che inducevano gli educatori a giudicare i ragazzi benestanti in modo diverso da quelli di famiglie “non-abbienti” (allora si diceva così). A partire da quel momento, col crescere del peso dei pedagogisti nelle decisioni di viale Trastevere e col graduale tecnologizzarsi dell’educazione, i test dilagarono in una varietà di prove d’accesso per concorsi, fa- Dovrebbero misurare la preparazione culturale, in realtà... D TEST Nonsiuccidecosìuncandidato? RAFFAELE SIMONE coltà e simili. Dalla Banca d’Italia alle selezioni militari, dai corsi di laurea “blindati” (la solita Medicina e le sue sorelle) alle prove di lingue, moltissime cose cominciarono a farsi con quel metodo. Oggi che si possono fare telematicamente su un computer la cosa ha trovato un serio rilancio. Mentre gli esperti auspicava- no, però, il popolo aveva capito. Non a caso, presso i ceti più semplici non si è mai detto test bensì quiz. L’innocuo scambio di parole allude al fatto che si percepì sin dall’inizio il carattere aleatorio, cervellotico e sottilmente vessatorio di quel tipo di prova. Ed è questa ancora l’impressione che si ha oggi quando capita di leggere le domande che MARK HADDON “ TEST AVEVA ancora sulla scrivania i miei test di matematica in 3 buste sigillate... Riflettei sulla domanda ma non ero certo della risposta perché avrei voluto dare l’esame di matematica ma mi sentivo stanchissimo, e quando cercai di pensare alla matematica il cervello sembrò non funzionare a dovere… Eseguii il Test I seduto nell’aula di arte. Il Reverendo Peters era il mio supervisore e stava seduto alla scrivania a leggere un libro sbocconcellando un panino. Nel bel mezzo dell’esame uscì e andò a fumare una sigaretta fuori dalla finestra, sempre continuando a osservarmi nel caso cercassi di copiare. Quando aprii la busta e ne lessi il contenuto non riuscii a pensare a nessuna delle risposte e inoltre facevo fatica a respirare. Avrei voluto picchiare qualcuno oppure pugnalarlo con il mio coltellino svizzero, ma non c’era nessuno da picchiare o da pugnalare con il mio coltellino svizzero se non il Reverendo Peters, e lui era piuttosto alto e se l’avessi picchiato o pugnalato con il mio coltellino svizzero non avrebbe più potuto essere il mio supervisore per gli altri test. vengono sottoposte ai giovani per selezionarli. Infatti, spesso basta formulare una domanda senza darle un focus preciso perché chi risponde non capisca cosa deve fare. Inoltre i test vertono facilmente su incongrue stupidate, che il candidato sente come umilianti e a cui risponde a caso non riuscendo a vedervi alcuna sensa- tezza. Infine, a volte pretendono di misurare perfino l’attitudine, cioè il grado di vocazione di un giovane verso una disciplina o un’altra. I test che si usano nelle università da poco meno di dieci anni insistono su tre tasti. Il primo consiste nel cercar di separare i totalmente analfabeti dagli altri: a questo scopo fanno domandi- ne che a un giovane appena uscito dal liceo dovrebbero far vergogna, del tipo “si scrive socquadro o soqquadro?” Il secondo consiste nel verificare la logica e la cosiddetta “cultura generale”. Qui si trovano le maggiori stravaganze, per non dire peggio: “trova l’intruso tra le seguenti parole: scoiattolo, orsacchiotto, computer, opossum”, oppure: “Possiamo considerare lo sciovinismo come l’esasperazione (a) del patriottismo, (b) dell’imperialismo, (c) dell’egoismo, (d) dell’altruismo, (e) dell’integralismo?” Quest’ultima domanda viene da un test per l’ingresso a veterinaria. Il seguente dal test per l’accesso a odontoiatria: “La Fenomenologia dello spirito (1807) è (a) un’opera filosofica, (b) un trattato di geometria, (c) un’opera di edificazione religiosa, (d) un importante testo giuridico, (e) un testo di medicina?” Che cosa misurino domande come queste è oscuro. Infine, siccome l’attitudine di una persona a far checchessia si può cogliere solo mettendola alla prova, quanto al terzo tasto i test non trovano di meglio che fare a chi, poniamo, vuole iscriversi a odontoiatria, delle domande di… odontoiatria! Stando così le cose, si può davvero pensare che la pratica dei test sia sicura e onesta? No. Possono essere formulati male, possono essere compilati male da candidati, anche giudiziosi, che non si raccapezzano tra pretese strampalate, possono essere corretti male. La mia opinione di professore stagionato è che i test non servono affatto ad assicurare l’obiettività e efficienza, come si credeva negli anni Sessanta. Servono solo a liberarsi di masse ingovernabili di candidati che nessuno ha voglia di incontrare faccia a faccia in colloqui articolati, e nascono da una sostanziale sfiducia nel potere della parola nell’ambiente educativo e formativo. Meglio un foglio pieno di crocette che una conversazione personale. Quando inoltre le università italiane ricorrono a test per selezionare gli ammessi, rivelano un’altra perniciosa specie di diffidenza che è tutta nostra. Se le scuole superiori avessero l’autorevolezza che non hanno, basterebbe guardare il libretto scolastico del candidato (contenente la veridica descrizione della sua carriera, delle preferenze e delle propensioni che per anni ha manifestato e alcuni voti ben dati sulle sue prestazioni effettive) per capire se è più adatto a fare il dentista o l’agronomo, il filologo o l’esploratore. Si risparmierebbero tempo e molto denaro. Ma purtroppo del voto di maturità non si fida più nessuno, e quindi, al passaggio all’università, bisogna ricominciare tutto daccapo. “ Repubblica Nazionale 52 LA REPUBBLICA LE TAPPE VENERDÌ 14 SETTEMBRE 2007 DIARIO LA SCALA BINET 1905 Il primo test d’intelligenza è pubblicato nel 1905 dallo psicologo francese Alfred Binet su commissione delle autorità scolastiche. Per schedare e valutare i bambini viene introdotta la scala di Binet IL SUCCESSO ANNI ’20-’60 Nel 1921, Rorschach e Murray mettono a punto i test proiettivi. L’uso dei test subisce un incremento durante la guerra per selezionare i soldati. E poi fino agli anni ’60 grazie a Cattell e a Eysenck IL TEST DI TURING 1950 Alan Turing sulla rivista “Mind” illustra il suo test per determinare se una macchina sia in grado di pensare. In Italia negli anni ’50, Aldo Visalberghi sdogana i test come strumento di valutazione DAI CONCORSI AI GIOCHI: PERCHÉ I TEST HANNO INVASO LA NOSTRA VITA COME È DIFFICILE MISURARE IL PENSIERO STEFANO BARTEZZAGHI I LIBRI CESARE CORNOLDI L’intelligenza Il Mulino 2007 G. TOGNON (a cura di) Una dote per il merito Il Mulino 2006 FRANCO FREILONE La personalità borderline al test di Rorschach Utet 2005 ANGELA D’ELIA, DOMENICO PICCOLO Statistica per le decisioni Il Mulino 2004 VINCENZA ANNOVAZZI I test per misurare il QI De Vecchi 2002 HANS J. EYSENCK Q. I. Nuovi test d’intelligenza BUR 2001 HANS J. EYSENCK, LEON KAMIN Intelligenti si nasce o si diventa? Laterza 2001 MICHE HUTEAU, JACQUES LAUTREY I test d’intelligenza Il Mulino 2000 ALDO VISALBERGHI Valutazione e misurazione nel processo educativo Edizione di Comunità 1955 JOHN DEWEY Teoria della valutazione La Nuova Italia 1963 i tempi in cui la nostra scuola conosceva ancora solo compiti e interrogazioni, e ancora non usava neppure la parola “verifica” - quindi prima delle “schede”, dei “curricola” e delle “valutazioni” - furono i Peanuts di Charles Schulz a introdurre nel panorama italiano il test a scelta multipla. Avveniva in certe vignette con Piperita Patty e la sua amica secchiona Marcie: alle prese con la fatale alternativa tra A, B e C, Piperita, studentessa non impeccabile, di striscia in striscia si appellava alla sorte, alla scaramanzia, all’assonanza o a una fuggevole simpatia per una risposta. Ogni variante fornita dall’inventiva di Schulz produceva gag divertenti per il lettore. In Italia il test ha dunque avuto un esordio di tipo umoristico, e questo dovrebbe suggerirci qualcosa. Due altre evenienze semiserie prevedevano a quei tempi un test a risposte multiple, entrambe erano riti di passaggio per neomaggiorenni, in un caso soltanto per i maschi. La prima era ed è l’esame “teorico” per la patente automobilistica - molto teorico, visto l’uso che gli automobilisti faranno delle nozioni lì imparate -, con quei trabocchetti come la possibile risposta “Un elemento dello sterzo” data alla domanda “Cos’è il volano?” (e c’è sempre chi ci casca). La seconda era il test attitudinale nell’ultimo dei tre giorni della visita al distretto militare. In questo caso una tenace e mai verificata leggenda assicurava grossi vantaggi al candidato che sbagliasse apposta il maggior numero di domande, facendosi passare per scemo ed evitando così destinazioni e mansioni troppo impegnative durante il futuro anno di naja. Il test divenne poi una risorsa per l’intrattenimento giornalistico: scopri se sei una persona gelosa, qual è il tuo vizio capitale, se hai attitudine alla leadership o all’avventura o alla trasgressione rispondendo a venti, trenta, quaranta domande molto eterogenee, con calcoli per il punteggio e ritratti più o meno spiritosi come esito finale. Quanto incoraggianti siano state ritenute queste premesse non si sa, come non si sa quale tipo di ragionamento sia stato opposto al momento in cui si decise che il gioco del test a risposta multipla potesse essere adottato anche nel sistema scolastico, come seria forma di valutazione finale o preventiva. I vantaggi sono tutti nella comodità standardizzata della raccolta dei punteggi, quindi nella loro computabilità. Gli svantaggi stanno tutti nell’assenza di soggettività, sia nella domanda sia nella risposta: il che può essere A ‘‘ ,, ‘‘ ,, CONFRONTI ACCESSO L’intelligenza di Einstein non è la stessa di Aristotele, o di quella messa in campo da Platone Ha senso limitare il diritto allo studio con una prova così impersonale? MicroMega 5/07 VERBALI DEL I° CONGRESSO DEL PARTITO DEMOCRATICO OSCAR LUIGI SCALFARO / MARGHERITA HACK PAOLO PRODI / LIDIA RAVERA IGNAZIO MARINO / CURZIO MALTESE GIANCARLO DE CATALDO / LUCA SOFRI OLIVIERO TOSCANI / SANDRO VERONESI TELMO PIEVANI / MAURIZIO MAGGIANI MONI OVADIA / GAD LERNER RITA BORSELLINO / CARLO PETRINI FABIO PICCHI / PANCHO PARDI Il vero congresso si svolge su MicroMega scambiato per un vantaggio solo da chi sogni un’umanità futura perfettamente meccanizzata. È abbastanza ovvio che l’intelligenza di Einstein non è la stessa di Aristostele, che l’intelligenza del medico che fa una diagnosi non è la stessa che metteva in campo Michel Platini quando giocava; che l’intelligenza di quelle “menti raffinatissime” a cui Giovanni Falcone attribuiva il fallito attentato che subì all’Addaura non è quella dell’avvocato che scova il cavillo che manderà assolto un colpevole. Tutte forme di intelligenza diverse fra loro, e spesso intermittenti, per cui lo storico della letteratura che sa tutto di Dolce Stil Novo non ha la minima idea di come trattare con una signora a lui contemporanea, e la geniale astronoma non sa leggere la mappa della metropolitana. Quindi quale sia l’intelligenza o l’attitudine individuale che si voglia misurare questa non sarà che un lato, un singolo versante, una dimensione (“Il bambino a una dimensione” veniva chiamato proprio Charlie Brown). Ammettiamo che abbia senso (giusto certo non lo è) limitare il diritto allo studio con una prova così impersonale da essere stupida, e spesso così mal congegnata da diventare aleatoria. Anche in quel caso il problema da risolvere sarà fare in modo che effettivamente lo strumento del test metta tutti i candidati in posizione paritaria, tutti allo stesso livello, tutti a risolvere gli stessi quesiti. Non è scontato, come ha dimostrato l’esperienza barese, dove l’idea del test ha facilitato, anziché ostacolarla, la riproposizione dei tradizionali privilegi di censo - origine familiare e reddito fra i candidati. Fra tutte le forme diverse di intelligenza, all’Italia si attribuisce una propensione particolare per un’intelligenza di tipo elusivo, la cui creatività consiste non nel rispettare i vincoli ma nell’aggirarli senza parere: è l’“intelligenza” del sorpasso sulla corsia di emergenza, dell’abuso in previsione del condono e, appunto, del costoso apparato informativo per superare una prova d’esame. Se si arriva a stanziare trenta o cinquantamila euro solo per iscrivere un figlio all’università, per vederlo laureato a cosa si sarà poi disposti? Questa sì che sarebbe una bella domanda da test, nella logica tutta italiana del “se tanto mi dà tanto”. Il pensiero, in fondo, ha una sua logica consequenziale: quando si stabilisce un parametro unificato per l’intelligenza e per l’attitudine individuale e le si quantifica in un numero allora - e proprio da quel momento ANNI QUARANTA A sinistra, in alto Università dell’Iowa, 1947: un professore corregge i test; in basso, 1900, il test della Sunday School e il poster di una scuola di economia preciso - l’intelligenza e l’attitudine avranno anche un prezzo. Il parametro numerico si chiama anche “valore”, e non per nulla. Se poi a Salerno un docente di Comunicazione fa a un aspirante studente di Comunicazione una domanda sui presidenti della Repubblica italiana e fra le tre possibili risposte fornite nessuna è corretta, la fiducia PHILIP K. DICK Aveva in mano il test corretto… Aveva fatto in modo che superasse l’esame; aveva falsificato il punteggio, forse per ragioni umanitarie I simulacri 1964 HANS MAGNUS ENZENSBERGER Il primo è lui. Inventa l’inchiesta: test e questionari, interviste, controllo incrociato, lavoro d’équipe. I suoi alunni li addestra da sé Bernardino de Sahagún 2002 Repubblica Nazionale VENERDÌ 14 SETTEMBRE 2007 LA REPUBBLICA 53 DIARIO LE CRITICHE ANNI ’60-’70 I repertori americani registrano migliaia di test differenti: da quelli d’intelligenza a quelli della personalità e psicologici. Ma negli anni ’60 e ’70 si moltiplicano le critiche su questi strumenti di valutazione OGGI Scoppia lo scandalo dei test d’ingresso truccati negli atenei di Bari, Chieti e Ancona. Alle facoltà baresi di Medicina e Odontoiatria sarebbero stati pagati fino a trentamila euro per superare i test PARLA IL SOCIOLOGO BERNARD LAHIRE: IN FRANCIA SELEZIONANO CON LA MATEMATICA PROVE D’ACCESSO E SCUOLA DI MASSA FABIO GAMBARO Parigi ell’epoca dell’università di massa, i test d’accesso servono a regolare il flusso degli studenti, ma non è detto che siano il metodo più efficace per reclutare i candidati che riusciranno meglio». Bernard Lahire, che da molti anni si occupa di sociologia della cultura e della scuola, esprime un certo scetticismo di fronte ai metodi di selezione oggi in uso nel mondo accademico. Scetticismo che nasce anche da una solida esperienza d’insegnamento all’Ecole Normale Supérieure di Lione: «Molto spesso i test sono solo un modo rapido per ridurre il numero dei candidati», spiega lo studioso francese, autore di molti saggi, tra cui La culture des individus, Culture écrite et inégalités scolaires, Les manières d’étudier e La condition littéraire. «In Francia, la selezione avviene soprattutto all’ingresso delle cosiddette grandes écoles, le scuole d’eccellenza che formano l’élite intellettuale, scientifica e economica del paese. L’accesso in queste scuole è selezionato rigidamente, tanto che, dopo la maturità, gli studenti devono frequentare due anni di corsi intensivi che preparano gli studenti al concorso d’ammissione. Ma anche per essere ammessi a questi corsi di preparazione la selezione è sempre molto dura, di solito sulla base dei risultati scolastici precedenti. Per quanto riguarda l’università propriamente detta, tranne in alcuni corsi di laurea, l’accesso è teoricamente aperto a tutti. Nei fatti però, di fronte al grande numero di domande, le facoltà più prestigiose adottano sempre più spesso sistemi di selezione più o meno scoperti. Soprattutto nelle filiere che professionalizzano immediatamente, come medicina o giurisprudenza, s’è imposta la logica del numero chiuso». La selezione all’ingresso degli studi universitari è dunque diventata una tendenza generale? «Sì, e indipendentemente dal diffondersi dei test d’accesso, dato che, prima ancora dei test, agisce una sorta di selezione naturale. Le «N nello strumento del test scivola in un orizzonte di credenze superstiziose, se non religiose. Come tante Piperita Patty gli aspiranti universitari si trovano seduti su banchi incolonnati e possono solo sperare che il modulo che devono riempire funzioni più come un compito in classe che come una schedina del totocalcio. Intervistati dai telegiornali alcuni si sono detti convintissimi che convenga annerire per ogni domanda sempre lo stesso quadratino - essendo le percentuali di errore inferiori a quelle di chi risponde al test pensandoci. Non è quindi del tutto inconsistente la fantasia che i test possano misurare l’intelligenza: quella che misurano certamente è l’intelligenza di chi li prepara. ITALO CALVINO Si tende a estendere il meccanismo dell’esame a tutti i campi della vita civile con l’assurdo sistema delle prove attitudinali dei tests Saggi 1945-1985 ALESSANDRO BARICCO Gould era un genio. A stabilirlo era stata una commissione che l’aveva esaminato, a sei anni, sottoponendolo a tre giorni di test City 1999 ANNI SESSANTA Qui sopra, l’enorme aula allestita nel Palazzo delle Esposizioni di Nizza per l’esame di Baccalaureato; a destra, uno studente alle prese con un test di matematica ‘‘ ,, PROSPETTIVA Il test è figlio del quiz e offre sempre un’immagine parziale dei candidati origini sociali, il percorso scolastico, il tipo di maturità conducono molti studenti ad autoescludersi più o meno consapevolmente. A volte basta l’insicurezza in una sola materia. In Francia, ad esempio, la matematica è diventata un mezzo per selezionare gli studenti, indipendentemente dai loro profili scolastici. Quelli bravi in matematica sono ritenuti i migliori sempre e comunque per tutte le discipline. Così si seleziona attraverso la ma- tematica anche in ambiti di studio dove essa non è l’unica competenza necessaria. Naturalmente ciò non ha senso. Si tratta solo di una convenzione legata all’epoca. Una volta i migliori erano quelli che sapevano bene il latino». Questo dominio della matematica come si spiega? «Il dominio diffuso della cultura scientifica e tecnologica ha rimesso in discussione l’antico primato GLI AUTORI Il Sillabario di Mark Haddon è tratto da Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte. Bernard Lahire, sociologo, insegna all’Ecole Normale Supérieure di Lione. Raffaele Simoneè docente di Linguistica a RomaTre. Tra i suoi lavori, Il paese del pressappoco. I DIARI ON LINE Tutti i numeri del “Diario” di Repubblica sono consultabili in Rete al sito www.repubblica.it , direttamente dalla home page al menu Supplementi. Qui i lettori troveranno tutte le pagine, comprensive delle illustrazioni. della cultura umanistica. Purtroppo passare dal latino alla matematica per selezionare i migliori non risolve il problema. Sono cambiati i rapporti di forza tra le culture, ma pensare di selezionare attraverso un unico criterio è sempre un errore, perché in questo modo si normalizzano e si appiattiscono i profili degli studenti ammessi». Chi sostiene la necessità dei test d’accesso li considera come un mezzo di selezione che offre le stesse possibilità a tutti. E’ d’accordo? «In teoria dovrebbe essere così. In realtà, gli studenti che riescono meglio sono quelli che fin dall’inizio possiedono un capitale culturale più elevato e quindi sono i meglio preparati ad affrontare questo tipo di selezione. Naturalmente ci sono anche le eccezioni di studenti provenienti da ambienti sociali svantaggiati – quindi con un capitale culturale e scolastico limitato – che riescono lo stesso ad ottenere risultati brillanti. In generale, però, i test selezionano sempre lo stesso tipo di studenti. Va poi detto che il ricorso ai test d’accesso è figlio della cultura del quiz che trionfa in televisione. I test a risposta multipla sono più rapidi da correggere, ma favoriscono gli studenti che possiedono un sapere parcellizzato, spesso imparato a memoria. Non riescono invece a misurare le capacità di ragionamento, di studio o d’organizzazione. Insomma, la cultura del test è il sintomo dell’arretramento della cultura critica e riflessiva, in nome della semplicità, della rapidità e dell’efficacia diretta». Perché è così severo? «Più questo tipo di test si diffonde, più s’impoverisce il parco degli studenti e più si conserva lo statu quo. Di fronte alla varietà dei profili culturali dei candidati, la rigida griglia dei test d’accesso riconosce solo alcune delle loro competenze. Mette in luce l’erudizione o la conoscenza teorica di una disciplina, ma non permette certo di cogliere le competenze di tipo relazionale che in alcuni ambiti (la psicologia, la sociologia, eccetera) sono molto importanti. Senza dimenticare che il test domanda competenze formali molto particolari concentrate in un ambito temporale molto limitato, con tutti gli imprevisti che una situazione del genere comporta. Un test offre sempre un’immagine parziale dei candidati. E i più bravi a rispondere in una situazione d’esame non sono sempre i più interessanti. Alla fine, il test diventa un filtro in più, che, invece di semplificare, aggiunge complessità al sistema, escludendo molti studenti potenzialmente capaci». Ma allora che fare? «Lo studio del percorso scolastico dello studente o un colloquio diretto consentono di mettere in luce con più precisione le conoscenze e le potenzialità reali di un candidato. Il colloquio è certo meno formale e “scientifico”, ma consente di cogliere gli interessi e la determinazione degli studenti. Non dico che sia la soluzione ottimale, ma è sempre meglio di un test. Naturalmente, mi rendo conto che nell’università di massa ciò è molto difficile da realizzare. In ogni caso, dovremmo essere più creativi per inventare nuove soluzioni. Forse bisognerebbe partire dai successi professionali in un dato settore, per capire i percorsi culturali da cui sono nati. In questo modo, si potrebbero elaborare meccanismi di selezione più efficaci di quelli in vigore». I LIBRI SAVERIO SANTAMAITA Storia della scuola. Dalla scuola al sistema formativo Bruno Mondadori 2000 G. GAVIN BRENNER Come aumentare il vostro QI Mediterranee 1999 J. KHALFA (a cura di) Che cos’è l’intelligenza Dedalo 1995 LUCA FANELLI Test per le facoltà a numero chiuso Mursia 1994 S. SOLDANI, G. TURI (a cura di) Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea Il Mulino 1993 GIACOMO CIVES (a cura di) La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni La Nuova Italia 1990 JAMES BOWEN Storia dell’educazione occidentale (3 volumi) Arnoldo Mondadori 1985 PETER LAUSTER Come provare l’intelligenza Garzanti 1974 Repubblica Nazionale