SOMMARIO
D
DOMINICUS
. 1/
2013
OMINICUS
N
1
Editoriale
2
Che razza di famiglia!
La storia di Giuseppe
9
Raccontaci, Maria
11
Una teologia di Chiesa
a partire dal messale
19
Carità nel giudicare
in santa Caterina da Siena
23
Maria “proficiente”?
27
Capire per credere.
L’intelligenza della liturgia
35
Capitolo Generale
37
Lettera ai laici domenicani
39
Novità librarie domenicane
43
La Famiglia domenicana nel mondo
GEN MAR
EDITORIALE
fra
Roberto
Giorgis
op
Il tempo di Quaresima è cammino austero di conversione e come ogni esperienza austera esercita un
fascino discreto, di quelli che non attraggono con
la seduzione, ma per la loro semplicità. Il ciclo di
letture proposte dalla liturgia di questo tempo, sia
feriale che festivo, è molto ben articolato e ricco di
spunti per la conversione personale e comunitaria.
Nella IV domenica abbiamo letto la parabola del
Padre misericordioso, meglio conosciuta come la
parabola del figliol prodigo. Ho trovato molto
interessante la predicazione di un frate su questo
testo del vangelo. Non avevo mai pensato che non
solo dei legami familiari univano il padre, il
figlio maggiore e il figlio minore, ma anche il
fatto di stare nella stessa casa. A modo loro questi
personaggi della parabola hanno imparato a stare
in casa in un modo nuovo. La casa può anche
essere immagine della Chiesa. Una Chiesa dalla
quale a volte fuggiamo, altre volte non ci sentiamo capiti o nella quale restiamo soli in attesa che
le persone che si sono allontanate ritornino. Il
padre della parabola sembra l’unico a sapere accogliere, nutrire, dire parole buone e vere sia a chi
ritorna che a chi non se ne è mai andato, senza
fare mancare niente a nessuno. Quando leggerete
questo editoriale saprete già chi è il successore di
Pietro alla guida della Chiesa. Una Chiesa che è
una casa, nella quale ciò che alla fine conta non è
la strada che si è percorsa, allontanandosi molto o
restando sempre sotto il tetto, ma il fatto di trovare un posto dove essere accolti, sempre, in ogni
momento. Una casa nella quale possiamo sperimentare ciò che scriveva don Primo Mazzolari
commentando questa parabola: “Ogni giorno ci
svegliamo schiavi per addormentarci la sera un po’
più figliuoli sul guanciale della divina paternità”.
Primo Articolo
T
Che razza di famiglia!
La storia di Giuseppe
fra Enrico Arata op
Tutti abbiamo una conoscenza generica della storia di Giuseppe: fu venduto
dai fratelli a mercanti che andavano in Egitto; là nonostante le disavventure
riesce a far carriera interpretando i sogni del faraone che prevedono una carestia ma la sua preveggenza permette di superarla; la carestia colpisce però
anche i suoi fratelli, che allora si recano in Egitto per cercare del grano; lì
finalmente la famiglia si ricompone e si riconcilia.
Conosciamo questa storia come conosciamo la trama di un romanzo o come
raccontiamo un film agli amici. Conosciamo la vicenda ma, di solito, non
siamo capaci di “leggerla” davvero. Peggio ancora, conoscendo la trama crediamo di poter dare un’interpretazione generica, di solito moralistica, che non
tiene conto di ciò che veramente è scritto. Ad esempio, scrive un autore spirituale oggi molto in voga: “L’invidia dei fratelli non poteva recare a Giuseppe
alcun danno. Anche quando lo hanno gettato nella cisterna e venduto non
potevano fargli veramente del male perché Giuseppe sapeva di essere nelle
mani di Dio. Questa consapevolezza lo ha liberato dal potere dei suoi malevoli
fratelli. Essi non potevano danneggiarlo, ma in realtà gli sono stati utili perché
nessuno ha fatto una carriera brillante come lui”. Se voleva darci un esempio
di come NON leggere la Bibbia, Anselm Grün ci è perfettamente riuscito.
Dove sta scritto, che cosa ci permette di sapere che, fin dall’inizio, “Giuseppe
sapeva di essere nelle mani di Dio”?
Se proviamo a leggere la storia senza volerle applicare le nostre idee su Dio,
sull’uomo e sul mondo, ma lasciamo che sia la parola di Dio a metterci dentro
qualche piccola idea su Dio, sull’uomo e sul mondo, ci accorgeremo a poco a
poco che sapere come va a finire una storia – che è il modo con cui normalmente leggiamo – serve a ben poco e che molto più utile è cercare di capire,
rimanendo dentro il testo, quello che l’autore vuole comunicarci. Detto questo, possiamo provare a leggere la storia di Giuseppe.
All’inizio del capitolo 37 del libro della Genesi ci viene detto “questa è la
discendenza di Giacobbe” (v. 2), ma noi la conosciamo già perché i dodici figli
di Israele sono stati elencati al capitolo 35, tant’è vero che subito, al versetto
seguente, si dice che “Giuseppe all’età di diciassette anni”. Inizia così la storia
di questo figlio minore che, unica in tutto il Pentateuco, si presenta come un
vero romanzo, una storia avvincente e ricca di colpi di scena. È la storia delle
peripezie di questo diciassettenne, ma è anche la storia dei suoi fratelli e del
suo vecchio padre e, diciamolo pure subito, almeno all’inizio nessuno ci fa
una bella figura, anzi! Ci vorranno ben otto capitoli perché finalmente la
3
La storia di questa
famiglia che si disgrega
e si ricompone è letta
come storia di salvezza,
fondamentale per comprendere il passaggio
dalle storie dei patriarchi alla nascita del
popolo di Dio
famiglia si ricomponga e tutti possano riconoscersi fratelli, finalmente rappacificati. Stranamente, poi, Dio sembra assente: non viene quasi neppur nominato, mai gli viene attribuito un intervento. Eppure la storia di questa famiglia che si disgrega e si ricompone è letta come storia di salvezza, fondamentale per comprendere il passaggio dalle storie dei patriarchi alla nascita del
popolo di Dio. Questa storia all’inizio così poco edificante è la storia dei
nostri antenati, è la nostra storia. Ma andiamo con ordine.
“Giuseppe all’età di diciassette anni pascolava il gregge con i suoi fratelli.
Essendo ancor giovane stava con i figli di Bila e di Zilpa, mogli di suo padre.
Ora Giuseppe riferì al padre il chiacchierare maligno su di loro” (v. 2). Che
simpatico questo adolescente: è uno spione, chissà quanto gli altri gli vogliono bene! Ma per fortuna c’è il vecchio Giacobbe: “Israele amava Giuseppe più
di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia e gli aveva fatto una
tunica con maniche lunghe” (v. 3). Proprio un genitore equanime e imparziale, quello che ci vuole per dare stabilità alle relazioni sempre difficili tra fratelli. Così spudorato da fare regali costosi al suo cocchino, che non deve neppure affaticarsi (manica lunga = niente lavoro). “I suoi fratelli, vedendo che il
loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a
parlargli amichevolmente” (v. 4). Predilezioni sfacciate, malignità e pettegolezzi e infine odio e impossibilità di avere rapporti fraterni: non ci si parla più!
Quasi superfluo sottolineare l’analogia con la realtà di tante famiglie, allora
come oggi luoghi in cui la comunicazione sembra divenuta impossibile.
“Ora Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai suoi fratelli, che lo odiarono
ancora di più” (v. 5): viene introdotta una caratteristica importante del nostro
protagonista e che gli si rivelerà molto utile: fa dei sogni – che nel mondo
antico sono sempre considerati un modo in cui il divino si comunica – e sarà
capace di interpretarli. Ma purtroppo questo primo sogno, ed il seguente –
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L’andamento della vicenda è chiaro: Giuseppe rischia di essere
ucciso dai fratelli che
poi lo rinchiudono in
una cisterna vuota e
infine lo vendono
come schiavo a dei
mercanti di passaggio
che lo condurranno
fino in Egitto
che pur si avvereranno – parlano in modo troppo evidente della sua superiorità sul resto dei componenti della famiglia e non fanno che accrescere l’ostilità nei suoi confronti. Anche Giacobbe è perplesso: “dovremmo forse venire
io, tua madre e i tuoi fratelli a prostrarci fino a terra davanti a te?” (v. 10) e
forse è proprio per cercare di rimettere un po’ di armonia fra Giuseppe e gli
altri figli che lo invia a “vedere come stanno i suoi fratelli” (v. 14), ora lontani
a pascolare le greggi, così lontani che Giuseppe non sa dove sono (v. 16):
ormai è come se non avesse più fratelli.
Questo primo, inconsapevole, “viaggio alla ricerca di una fraternità perduta”
finirà malissimo, è la conseguenza inevitabile di tutte le premesse. Il testo è un
po’ complicato perché vi si mescolano varie tradizioni testuali – l’intervento di
Ruben, quello di Giuda, i mercanti che un po’ sono Madianiti e un po’ sono
Ismaeliti – ma l’andamento della vicenda è chiaro: Giuseppe rischia di essere
ucciso dai fratelli che poi lo rinchiudono in una cisterna vuota e infine lo vendono come schiavo a dei mercanti di passaggio che lo condurranno fino in
Egitto. “Poi mandarono al padre la tunica con le maniche lunghe – che avevano sporcato con il sangue di un capro – e gliela fecero pervenire […] egli la
riconobbe e disse: È la tunica di mio figlio, una bestia feroce l’ha divorato,
Giuseppe è stato sbranato” (v. 33). Non si sbaglia, il vecchio padre. Solo che
la bestia feroce non è una sola, sono tutti gli altri suoi figli!
Il capitolo seguente, il 38, narra la curiosa storia di Giuda e della nuora
Tamar. È come una pausa per tirare un poco il fiato prima di leggere il seguito
della vicenda di Giuseppe, perché proprio non è possibile che possa finire
così: una famiglia di bestie feroci in cui il più piccolo – ma non il più innocente – la paga, e molto salatamente, per tutti quanti.
Una volta in Egitto (capitolo 39), Giuseppe diviene schiavo di un potente
funzionario regale: “Il Signore fu con Giuseppe: a lui tutto riusciva bene e
rimase nella casa dell’Egiziano suo padrone” (v. 2). Tanto bene che diviene
5
Giuseppe diviene
maggiordomo, ma
essendo un gran bel
ragazzo suscita il
desiderio della moglie del suo padrone
che, offesa dal mancato tentativo di seduzione, lo accusa
ingiustamente e lo fa
rinchiudere in prigione
maggiordomo, ma essendo un gran bel ragazzo suscita il desiderio della
moglie del suo padrone che, offesa dal mancato tentativo di seduzione, lo
accusa ingiustamente e lo fa rinchiudere in prigione. Sembra che non ci sia
fine alla discesa in basso dell’amato figlio di Giacobbe, ma di nuovo si dice
che “il Signore fu con Giuseppe, gli accordò benevolenza e gli fece trovare
grazia agli occhi del comandante della prigione” (v. 22). “Il Signore era con
lui e il Signore dava successo a tutto quanto egli faceva” (v. 23).
Ecco una delle poche volte in cui si nomina Dio in questa lunga storia; egli è
con Giuseppe non nel senso di garantirgli un facile successo materiale, preservandolo da possibili disavventure, bensì per il fatto che lo sta guidando attraverso eventi negativi. Giuseppe ha bisogno di convertirsi: da bambino viziato
e cresciuto nell’agio deve sperimentare il peso del suo peccato per poi potere,
a poco e poco e con l’aiuto di Dio, riemergere in una situazione finalmente
nuova. È lo schema biblico della morte come via alla risurrezione, qui della
prigione come via alla carica di Gran Vizir; è il modo narrativo con cui si
esprime l’idea che Dio è l’autore e l’attore della storia della salvezza. La salvezza di Giuseppe – come quella di tutti – sarà opera di Dio, non degli sforzi dell’uomo.
Nei due capitoli seguenti (40 e 41), si compie la risalita di Giuseppe, che indica molto materialmente la sua conversione: interpretando i sogni del coppiere
e del panettiere di corte viene messo in contatto con il faraone stesso e conferma la sua perizia dando, lui solo, le spiegazioni che nessuno trovava. Diviene
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così il primo dopo il re, ha potere e responsabilità su tutto il paese e riesce a
fare in modo che una carestia di sette anni, terribile ma prevista, non affami
tutto il paese.
Colpisce che Giuseppe, nel suo successo, non venga scagionato dall’accusa di
aver insidiato la moglie di Potifàr: semplicemente, il narratore non vi accenna.
Segno che non è importante la riabilitazione, è importante andare in prigione
e da lì avere modo di entrare in contatto addirittura con il faraone. È importante scendere per poter risalire. A ben vedere, inoltre, il fatto che Giuseppe
venga accusato ingiustamente e che non venga ristabilita la sua innocenza ci
dice che la conversione è possibile quando ci si trova a pagare per ciò che non
si ha fatto, altrimenti si tratterebbe solo di giusta punizione. E così si pongono le premesse per comprendere quello che sta per succedere: Giuseppe ha
pagato il suo peccato iniziale – il suo rifiuto di un’autentica fraternità – e il
Signore è stato con lui mentre innocente precipitava in prigione e aveva modo
di convertirsi; ora tocca ai fratelli di riconoscere il loro peccato e intraprendere
un cammino di conversione. Saranno convertiti quando accetteranno di
pagare per una colpa non commessa.
“Giacobbe venne a sapere che in Egitto c’era grano; perciò disse ai figli: Perché state a guardarvi l’un l’altro? Andate laggiù a comprarne per noi, perché
viviamo e non moriamo. Allora i dieci fratelli di Giuseppe scesero per acquistare il frumento dall’Egitto”. Quanto a Beniamino, fratello di Giuseppe, Giacobbe non lo lasciò partire con i fratelli, perché diceva: “Che non gli debba
succedere qualche disgrazia!” (42,1-5). La carestia è l’occasione per cui i fratelli vadano in Egitto, vale a dire a incontrare Giuseppe; faranno due viaggi,
necessari perché il ricongiungimento e, ciò che più conta, la rappacificazione
dei fratelli possa avere luogo. Per questo ce ne vogliono due – tutto viene narrato a coppie in questa storia –: sono come due prove a cui i fratelli vengono
sottoposti; due viaggi verso Giuseppe, due perché il primo non riesce: i fratelli
non comprendono ancora e soprattutto manca Beniamino, di nuovo il fratello minore e il nuovo figlio prediletto. Capiamo subito che tutto potrà finire
bene quando questa faccenda di un figlio prediletto a discapito degli altri avrà
finalmente termine: quando Giacobbe acconsentirà a lasciar partire Beniamino per l’Egitto sarà finalmente convertito anche lui.
Non possiamo qui seguire la vicenda versetto per versetto – sono i capitoli dal
42 al 45 –, ma ognuno leggendo può vedere come Giuseppe, che da subito è
l’unico in grado di riconoscere i fratelli, adotti nei loro confronti una articolata “terapia” fatta di parole e di azioni. A poco a poco i dieci, dapprima reticenti, riottosi e sospettosi, sono condotti a rivivere l’esperienza di perdere un fratello – prima Simeone, poi finalmente Beniamino – ed arrivare infine a voler,
ognuno, pagare al posto di tutti gli altri. La ritrovata fraternità è sottolineata
dal fatto che se all’inizio Giuseppe fingeva di avere bisogno dell’interprete per
comunicare con i fratelli che non lo potevano ancora riconoscere, alla fine
rimane solo con loro e si rivela: “Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello
che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non
vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui
7
prima di voi per conservarvi in vita” (45,4-6) e dopo queste parole “i suoi fratelli si misero a conversare con lui” (v. 15), capovolgendo l’incomunicabilità
dell’inizio, quando “non riuscivano a parlargli amichevolmente” (37,4).
La nostra storia narra poi la discesa in Egitto del vecchio Giacobbe e ci trasmette le sue benedizioni, una per ogni figlio. Infine il patriarca muore e c’è
un rigurgito di timore tra i fratelli: hanno paura che, senza il padre, Giuseppe
si possa vendicare e trattarli duramente. Ma questi li rassicura, e le sue ultime
parole sono la chiave interpretativa per tutto questo lungo racconto: “Non
temete. Tengo forse io il posto di Dio? Se voi avevate tramato del male contro
di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi
si avvera: far vivere un popolo numeroso” (50,19-20).
Questa è la conclusione del racconto ed è, lo abbiamo già notato, una delle
poche volte in cui nella vicenda di Giuseppe viene nominato Dio: un linguaggio intriso di religiosità è quello che ci si aspetterebbe dalla Bibbia, e invece
no: nessuna preghiera, nessuna richiesta di aiuto a Dio, neanche nei momenti
più tetri e sconfortanti; il narratore non parla mai di Dio, i personaggi parlano – poco – di Dio ma mai con lui. Una profonda umanità pervade tutta la
storia, un realismo psicologico molto attuale la rende molto viva; ogni evento
ha una precisa e puntuale giustificazione nelle circostanze, nelle decisioni e
nelle scelte degli uomini. Sono gli uomini che tessono le loro trame, Dio non
interviene mai direttamente, né in favore dei buoni né contro i cattivi.
Ma se questa è Bibbia, allora la storia raccontata deve essere storia di salvezza,
deve contenere un messaggio su Dio e sull’uomo davanti a lui. A ben vedere,
allora, possiamo comprendere che l’intervento divino, occulto e misterioso,
nella storia è il tema centrale del nostro racconto. Dice bene un commentatore: “niente è estraneo all’opera di Dio; tutto rientra nel suo disegno salvifico,
anche il peccato degli uomini. Egli è sempre e ovunque operante, ma non in
maniera diretta: il suo intervento non è continuo. Dio non interviene ad ogni
passo dell’uomo per verificare o correggere la direzione; la storia umana non è
già tutta orchestrata e pianificata da Dio, in modo che diventi esecuzione di
un progetto definito in tutto e per tutto. La storia è lasciata, compresa la sua
passività (= peccato), alla libera
iniziativa umana, la quale tuttavia rientra alla
1
fine in un progetto divino” .
Una vicenda tutta laica e mondana, dunque, unita a una costante dimensione
teologica che nulla toglie alla laicità dell’esperienza vissuta. L’uomo fa tutto e
Dio fa tutto: nel pieno attuarsi della sua libertà l’uomo sperimenta e scopre la
presenza misteriosa di Dio.
La storia di Giuseppe è la storia della faticosa ricostruzione di una fraternità
perduta: a partire dalla conversione di uno tutti si convertono. Ma è soprattutto storia di salvezza: di come Dio ha salvato i nostri antenati, anche se cattivi e di certo poco pii. Se ha salvato loro, può salvare anche noi! Questo è il
messaggio teologico, vivo e vivificante per ognuno di noi e per le nostre famiglie, che la Parola di Dio ci riconsegna nella sua perenne attualità attraverso le
antiche avventure di Giuseppe e dei suoi fratelli.
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Raccontaci, Maria
suor Marcella Gariglio op
“Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via?”, è questo il tema che ci ha accompagnate durante l’ultimo Capitolo della Congregazione (Unione san Tommaso d’Aquino) celebrato dal 7 al 27 luglio scorso nel convento di Mondovì
Carassone (Cuneo). Parole che evocano l’invito alla testimonianza che diventa
predicazione e ritrovano la radice della nostra missione che scaturisce dall’esperienza di incontro con il Signore
In un clima sereno, unite dal comune desiderio di bene, abbiamo vissuto ven-
Le suore capitolari dell'Unione
san Tommaso d'Aquino
ti giorni cercando di ascoltarci e di ascoltare quanto veniva dato ad ognuna di
capire e di comunicare e fissare quanto ciascuna riteneva utile per tutte.
Nel cammino di formazione permanente che per noi non si interrompe mai,
il Capitolo è sempre contemporaneamente una fine ed un inizio. Una fine in
quanto codifica la conclusione del percorso di riflessione che tutte le comunità hanno fatto con il programma comune di formazione, un inizio in quanto è indicazione di un itinerario per proseguire la riflessione.
Abbiamo ripensato insieme al senso della vita religiosa e il termine che più è
emerso per qualificarla è ‘ricerca’. Come Maria che è alla ricerca del suo
Signore, come Domenico che è alla ricerca della Verità, così la nostra vita è
caratterizzata da questo movimento. È infatti una continua ricerca del Mistero, percepito a volte in modo più chiaro, a volte più velato, nella certezza che
è lì il senso della nostra vita. Abbiamo voluto sottolineare come sia una ricerca umile che fa attenzione ai segni della Presenza nelle realtà più disparate,
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che sa riconoscere quanti costruiscono cammini di comunione, che guarda
con grato stupore a quanto Dio continua ad operare. Il nostro sguardo è spesso appannato da pregiudizi, ideologie, simpatie/antipatie, stereotipi, per questo aprire nuovi orizzonti è avere uno sguardo benevolo sulla realtà così da
poterla guardare con gli occhi di Dio. Ecco quindi che la ‘triade’ domenicana,
nella nostra riflessione, è aperta a nuove percezioni. Lodare diventa imparare
Chiostro del convento di
Mondovì Carassone (Cuneo)
ad ascoltare e a dialogare con Dio e con la storia; benedire è accompagnare la
realtà verso il bene; predicare è annunciare ma anche denunciare le cause che
impediscono la realizzazione di tale bene.
Abbiamo sottolineato l’importanza della qualità della vita, non condizionata
dal numero di sorelle in progressiva riduzione, anzi sollecitata dal tempo che
si è fatto breve. Proprio questa urgenza diventa un invito a scoprire costantemente le nuove forme di ‘predicazione’, calibrate certo sulla capacità e sull’età,
ma aperte alla domanda di senso che emerge nella società di oggi. Solo riscoprendo la possibilità di stare accanto in modo nuovo e spesso informale a
quanti desiderano scoprire il senso della vita, potremo superare i rimpianti, le
sterili nostalgie di un passato eccessivamente esaltato e i timorosi pregiudizi
su un futuro incerto e imprevedibile.
Vorremmo recepire dall’esperienza e dalla riflessione capitolare la gioia di cercare insieme, valorizzando l’esperienza di tutte con un ascolto aperto alla narrazione dei reciproci vissuti in atteggiamento di comunione e di misericordia.
La vera sfida diventa quindi quella tracciata dal profeta Michea: “camminare
umilmente con il nostro Dio”, non da sole, ma accompagnando e lasciandoci
accompagnare. Come direbbe il card. Martini: “quando si cammina ‘insieme’
nello Spirito ci si accorge ad un certo punto che i cammini non si incrociano
in maniera disordinata e imprevedibile, come per le vie di una grande città,
ma che in qualche modo tutti stanno andando verso una direzione comune.
Infatti ‘camminare insieme’ significa che non abbiamo ancora raggiunto la
meta ultima: c’è un mistero al di là di tutti i cammini a cui cerchiamo di avvicinarci”.
10
Una teologia di Chiesa
a partire dal messale
fra Raffaele Quilotti op
Ogni libro ha una sua idea interna che ha guidato il pensarlo e costruirlo.
Allo stesso modo il messale, il libro di fede e di preghiera della Chiesa, ha una
sua idea-guida: la Chiesa e la sua vita davanti al suo Signore. Il messale esprime dunque una idea. Ho pensato allora una riflessione sulla Chiesa a partire
dal messale, la cui struttura interna e il cui contenuto rivelano come la Chiesa
pensa se stessa, una visione teologica sulla Chiesa. La stessa liturgia infatti è
una epifania della Chiesa e della vita cristiana. Dopo un accenno fugace alla
La liturgia è una epifania della
Chiesa e della vita cristiana
evoluzione dei libri liturgici (1), parleremo del messale (2), per soffermarci
sulla sua struttura (3), dalla quale emerge una concezione di Chiesa, del suo
cammino, dei suoi principali punti di riferimento. Scorrere l’indice sarebbe
già eloquente di per sé. Lo scopo è di richiamare una comprensione di Chiesa
(del resto non nuova) e insieme far conoscere le ricchezze di questo libro
liturgico che abbiamo ricevuto dalla tradizione, e che è stato lodevolmente e
magnificamente perfezionato rispetto al libro precedente (quello di Pio V).
Mi riferisco naturalmente al messale Romano latino e italiano, usciti dopo il
concilio Vaticano II. Quello latino ha conosciuto finora tre edizioni (l’ultima
è del 2001/2008), mentre siamo in attesa della pubblicazione della 3a edizione italiana (l’attuale 2a è del 1983).
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1. I libri liturgici
Un tempo, quando si cominciò a raccogliere per iscritto i testi delle celebrazioni, i libri liturgici per la messa erano distinti secondo i ministeri: per i
vescovi e i sacerdoti, per i lettori e i diaconi, per i cantori. Avevamo così dei
sacramentari (come l’attuale messale), dei Lezionari ed Evangeliari, dei libri di
canti.
Verso gli anni mille si affermarono e si divulgarono rapidamente dei messali
plenari, così chiamati perché raccoglievano in un unico testo quanto era
distribuito nei vari libri ministeriali precedenti (come i nostri messalini attuali). Il motivo principale di questa evoluzione fu lo svilupparsi delle messe
individuali (private) da parte dei sacerdoti, per cui fu necessario redigere dei
libri adatti a questa nuova esigenza, cioè dei libri da messa ad uso del sacerdote nei quali si potessero trovare tutti gli elementi necessari alla celebrazione.
Naturalmente questo consolidò ancor più l’idea che la liturgia, e la stessa
messa, fossero un affare dei sacerdoti e del clero. Si arrivò al punto, in questa
convinzione, che nella messa cantata, quando diacono e suddiacono proclamavano le letture e il coro eseguiva i canti, il sacerdote doveva leggersi ugualmente, per conto proprio, tutti i testi. Questo fino all’ultima riforma. La cosa
non era del tutto corretta e giustamente si è posto mano a rettificare. Non
sempre il recente passato è migliore del presente.
Con l’ultima riforma del Vaticano II si è tornati, dunque, alla concezione di
liturgia come opera di tutta la Chiesa (cf. Sacrosanctum Concilium, 26), e i
libri liturgici della messa tornarono ad essere ministeriali, come nel primo
millennio, cioè: il libro per chi presiede l’eucaristia (chiamato ancora messale
ma non plenario), il libro dei lettori (Lezionario) e dei diaconi (Evangeliario),
i libri per il canto. Nell’attuale messale si sono conservate anche le indicazioni
sui canti di inizio e di comunione, perché se l’assemblea non fa i canti, il
sacerdote ne recita il testo. Il canto di comunione riprende (come di tradizione) una frase del vangelo che è stato proclamato nella celebrazione stessa.
Questo testo evangelico viene ripreso anche nell’antifona al Magnificat del
Vespro del giorno. Un significativo collegamento tra liturgia della Parola,
Eucaristia e liturgia delle Ore. La liturgia della Parola non è preparazione alla
liturgia eucaristica ma è già celebrazione eucaristica, che consta di due parti
tra loro inscindibilmente connesse.
Le indicazioni per come celebrare, che nel primo millennio della Chiesa
costituivano un altro libretto autonomo chiamato Ordo (rito), col messale
plenario furono inserite nel messale stesso. Oggi queste indicazioni sono
riportate all’inizio del messale e dei vari libri liturgici. Ma altre indicazioni si
trovano, come un tempo, anche all’interno delle celebrazioni stesse, indicazioni chiamate rubriche, perché scritte in rosso (dal latino ruber); scritte in
rosso per distinguerle dai testi delle preghiere, delle letture e dei canti, e per
farle risaltare meglio. Sarebbe ottima cosa, per chi può, leggere le nuove
Introduzioni ai vari riti, che sono insieme teologiche, pastorali, normative, e
spesso ricche di contenuto spirituale. Mi riferisco in particolare alle Introdu-
12
zioni al messale, al suo Lezionario, e alla Liturgia delle Ore. Le nostre monache che hanno conservato la lettura durante i pasti, possono farne lodevole
uso in quella circostanza. Le introduzioni (in latino: praenotanda) si possono
trovare anche in comode raccolte.
Il nostro Ordine, che fino al Vaticano II aveva una sua liturgia e libri liturgici
propri, per completare i libri liturgici di rito romano adottati dopo l’ultima
riforma, si è fornito di Supplementi, sia per il messale e la Liturgia delle Ore,
che per la Professione nell’Ordine, per la cura dei malati, per la celebrazione
delle esequie, e per le elezioni dei superiori. Sono testi già tutti approvati dal
Maestro dell’Ordine e pubblicati (prototipo latino), in attesa di traduzione da
parte delle Province. Per il nostro Ordine sono in cantiere inoltre: un libro di
preghiere e benedizioni consuete nell’Ordine stesso, un tempo raccolte, in
parte, in un piccolo libro chiamato Libellus precum (libretto delle preghiere); il
martirologio; una raccolta di canti, gregoriani e moderni, cari alle nostre comu-
Benedetto XVI benedice
con l'Evangeliario
nità, per avere un minimo repertorio comune in tutto l’Ordine. Quest’ultimo
libro di canti si pensa di pubblicarlo in vista dell’ottavo Centenario dell’istituzione dell’Ordine (1216-2016). Le altre opere ricordate dovrebbero vedere la
luce, si spera, ancor prima.
La varietà dei libri liturgici per l’eucaristia offre già una prima visione di Chiesa: una Chiesa cioè tutta ministeriale (un corpo con varie membra e varie funzioni), dove non tutti sono tutto e fanno tutto, ma ognuno ha un suo carisma
e un suo posto nella Chiesa, come del resto ogni Chiesa (non ogni singolo) ha
un proprio modo di pregare e celebrare. Giustamente, se così intesa, si può
parlare, per la messa, di concelebrazione da parte di tutti i partecipanti all’assemblea liturgica.
13
2. Il messale
Il messale, nella sua struttura e nel suo contenuto apporta un ulteriore
approfondimento della visione della Chiesa, nel suo mistero (cf. Lumen Gentium, cap. I), e nella sua dimensione storica di popolo di Dio (LG, cap. II). La
composizione interna del libro, nelle sue parti, non è casuale. Il messale aveva
infatti davanti a sé due possibilità: o seguire un ordine cronologico delle celebrazioni, secondo il calendario, mese per mese, o seguire un ordine più teologico, come di fatto avvenne, ponendo dapprima la celebrazione del mistero di
Cristo, poi quello dei santi, e in fine preghiere e intenzioni per varie necessità
ecclesiali. Si pensò cioè di aprire il libro sul fondamento della vita della Chiesa
che è la storia della salvezza con al suo centro il Cristo, continuando sulla
santa Chiesa nei suoi santi, concludendo su alcuni suoi momenti particolari
di vita.
L’ordine cronologico secondo il calendario civile, lo troviamo nel ‘libro liturgico’ romano più antico giunto a noi, chiamato Sacramentario di Verona (perché rinvenuto nella biblioteca capitolare di Verona). Risulta un libro che
Il fondamento della vita
della Chiesa è la storia
della salvezza con al suo
centro il Cristo
segue i mesi e i giorni del calendario, iniziando da gennaio a dicembre (mancano i primi tre mesi). Probabilmente un copista aveva avuto tra le mani un
deposito dell’archivio papale del Laterano, dove i fogli (pergamene) delle celebrazioni si sovrapponevano cronologicamente l’uno sull’altro.
Del tutto diversa l’impostazione di un altro sacramentario, anch’esso di origi-
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ne romana ma con complementi gallicani, che gli storici hanno denominato
Sacramentario Gelasiano antico, del quale resta un unico esemplare nella
biblioteca Vaticana. Esso ha un andamento più teologico, riportando dappri-
La varietà dei libri liturgici
per l’eucaristia offre già una
prima visione di Chiesa:
una Chiesa cioè tutta ministeriale (un corpo con varie
membra e varie funzioni),
dove non tutti sono tutto e
fanno tutto, ma ognuno ha
un suo carisma e un suo
posto nella Chiesa
ma le feste intorno al mistero di Cristo. Fondamentalmente, infatti, nella
liturgia noi celebriamo il mistero di Cristo e la sua pasqua; su di lui poggia e
si compie la storia della salvezza. La pasqua di Gesù, a sua volta, viene ricordata nei suoi momenti salienti, ricordati in ordine cronologico, dalla nascita alla
ascensione al cielo. Pur essendo, la pasqua di Gesù, il momento culminante
della sua vita e della sua opera, i redattori di questa sacramentario hanno preferito farne memoria partendo dall’attesa. alle prime manifestazioni di Gesù
(avvento, natale, epifania), per soffermarsi poi sulla pasqua vera e propria, con
la sua quaresima propedeutica e la cinquantina pasquale seguente. La Chiesa,
con queste ricchezze nel cuore, può poi vivere serenamente il tempo ordinario
della sua vita, costellato e sostenuto dai tanti testimoni (santi) che hanno sperimentato in se stessi la pasqua di Cristo e l’opera dello Spirito Santo. Ogni
celebrazione è in attesa del ritorno ultimo di Cristo (“nell’attesa della sua
venuta”). La dimensione fondamentale del vivere cristiano è quella significata
dall’avvento, un’attesa vissuta con la pasqua nel cuore, e la certezza che il Salvatore è sempre con noi (Emmanuele). La vita cristiana, alla fine, si gioca non
15
sui grandi eventi ma sulla quotidianità (tempo ordinario) proiettata al futuro
di Dio.
Alla celebrazione di Cristo segue, come detto, la memoria dei santi (seconda
parte del messale). La celebrazione dei santi avviene seguendo i giorni del
calendario (romano), da gennaio a dicembre. I santi sono le più belle opere
pasquali di Gesù, testimoni ed esempio di ciò che siamo chiamati a sperimentare e diventare anche noi. Tra i santi viene in prima fila naturalmente la Vergine Santissima. Tra i santi sono ricordati fratelli e sorelle di tutti gli stati di
vita.
Infine, nella terza parte sono raggruppate celebrazioni diverse per varie necessità della vita di chiesa.
Non sappiamo chi abbia pensato così il sacramentario gelasiano, la cui struttura si è imposta su tutti i messali romani che si sono susseguiti nella storia.
Chi ha pensato e fatto redigere questo libro aveva certamente una chiara idea
teologica in testa. Il termine gelasiano non deve trarre in inganno, pensando
che sia opera di papa Gelasio, vissuto alla fine del 400 dopo Cristo. In ogni
caso gli antichi sacramentari (di Verona, gelasiano antico, e gregoriani) sono i
testimoni più autentici della antica liturgia romana, confluita poi nei messali
plenari, con influssi di altre liturgie collaterali o posteriori (gallicane, visigotiche, celtiche).
Conseguenza di questa impostazione cristologica della vita cristiana è la doverosa sottolineatura del Vaticano II che di domenica non si celebrano le
memorie dei santi (salvo eccezioni), ma si fa memoria prioritaria della pasqua
del Signore. Ciò vale anche per le devozioni: il Signore viene prima della
Madonna e dei santi. Da Gesù infatti fluisce la salvezza e la stessa Chiesa, alla
quale appartiene anche Maria, la prima dei credenti e dei redenti. Le lodevoli
devozioni devono essere viste solo come continuazione e preparazione della
celebrazione liturgica (SC 13).
Anche il calendario dei santi è una immagine di Chiesa. Esprime il bisogno
della Chiesa di conservare la memoria di quanti l’hanno preceduta nella fede,
che con la loro vita e i loro insegnamenti le hanno tracciato le tante vie del
vivere in Cristo: Maria SS.ma, gli apostoli, martiri, vescovi e pastori, santi e
sante, sposati e non sposati, consacrati e laici. Veramente, la Chiesa è un
corpo con tante membra, alcune più visibili, altre meno o invisibili, ma non
meno necessarie e sante. La Chiesa fa memoria dei santi per lodare il Signore,
e per dire la convinzione che la sua vita (e la sua fede) si fonda su radici e su
un tronco precedenti.
3. La terza parte del messale
Assai interessante la terza parte del messale che comprende varie sezioni, alle
quali accenneremo soltanto, riservandoci eventualmente una ulteriore riflessione in seguito.
1ª. La prima sezione riguarda i Comuni. Si tratta di una serie di celebrazioni
per santi e beati che non hanno orazioni e letture proprie. Il messale riporta
16
infatti le celebrazioni soltanto dei santi che sono nel calendario generale della
Chiesa di Roma. Per gli altri santi e beati iscritti nel Martirologio si ricorre a
questi formulari.
2ª. Messe rituali. Sono celebrazioni eucaristiche all’interno delle quali si celebrano gli altri sacramenti. In pratica tutti i sacramenti e sacramentali sono
contenuti nel nuovo messale (cosa nuova nella tradizione romana), ed hanno
il loro coronamento nella eucaristia. È eccettuato il sacramento della Penitenza, che non può essere celebrato all’interno della eucaristia, ma che certamente ha nella partecipazione all’eucaristia uno dei suoi motivi principali.
3ª. La terza sezione è costituita da intenzioni particolari per le quali si celebra
l’eucaristia e si prega (messe per varie necessità): situazioni che riguardano la
vita della chiesa, del singolo o della società.
4ª. Una quarta breve sezione è costituita da alcune messe votive, legate a particolari devozioni: alla Trinità, a Cristo o ai santi.
5ª. Infine una quinta grossa sezione riguarda le celebrazioni per i defunti, cioè
la celebrazione della pasqua realizzata in ogni cristiano. L’esperienza della
Il Messale Romano
nella traduzione italiana
pasqua iniziata col battesimo, ha nella morte un suo passaggio fondamentale.
In questo passaggio il corpo viene messo a riposo nel sepolcro, come Cristo,
in attesa della resurrezione, mentre l’anima, lo spirito, entra già nella vita definitiva di Dio. Per questo motivo la morte è considerata come una nascita,
tanto che i nostri cari, e gli stessi santi, li ricordiamo nel giorno della loro
morte, che è il giorno della loro nascita al cielo: dies natalis, lo chiama l’antica
liturgia romana.
17
Conclusione
È innegabile che la concezione di liturgia dipende dalla concezione di Chiesa.
Lo si vede nella struttura dei libri stessi, nel passaggio dal vecchio messale a
quello rinnovato dopo il Vaticano II, e nelle norme che la regolano. Il nuovo
messale ha tutto il contento del vecchio ma con una impostazione celebrativa
diversa, che del resto è quella più antica. Si può dire, senza smentita, che il
nuovo messale è più tradizionale del precedente, salvo la lingua e i canti, perché la lingua, e conseguentemente i canti, posso essere anche negli idiomi
moderni.
Come da tradizione costante, ma meglio accentuata nel messale attuale, la
priorità per la vita della Chiesa viene dal mistero di Cristo più che dai santi.
La sola accentuazione della priorità della domenica come pasqua settimanale,
dice molto. È vero che già Pio V aveva molto tagliato le festività dei santi, ma
poi, come si sa, ci sono sempre delle derive, come del resto si sono create derive anche per il nuovo messale, quando ognuno, contro la riforma stessa, si è
arrogato il diritto di farsi la sua liturgia personale. Le personalizzazioni non
sono secondo la riforma. Non è corretto denigrare una riforma a causa dei
personalismi di alcuni.
L’ecclesiologia del nuovo messale si qualifica dunque per una ecclesiologia
ministeriale, e per una ecclesiologia basata sulla storia della salvezza e la
pasqua di Cristo, e solo in seconda istanza sulla testimonianza di vita dei
padri nella fede, e aperta a far proprie le necessità della chiesa stessa e della
società. Terza caratteristica ecclesiologica del nuovo messale è di essere una
ecclesiologia strettamente legata al dettato e allo spirito del concilio Vaticano
II. La fedeltà al concilio è stata una delle grande preoccupazioni-guida della
riforma liturgica, insieme alla fedeltà alla tradizione, all’attenzione ecumenica,
alla spinta missionaria e alle culture attuali (cf. SC 1-4). La cultura romana
antica non si identifica semplicemente con la Chiesa.
Giustamente si dice che le difficoltà liturgiche odierne non sono tanto sulla
liturgia quanto sulla Chiesa e il concilio.
18
Carità nel giudicare
in santa Caterina da Siena
Giancarlo Tione laico domenicano
Premessa
Un grande filosofo e critico letterario, esponente della Scuola di Francoforte,
Walter Benjamin, ripercorreva il libro della Genesi raccogliendo spunti e indicazioni sul tema del linguaggio, e del suo intimo rapporto con l’essenza spirituale dell’uomo.
La parola è qualcosa di sacro: in Dio la Parola è creatrice, nell’uomo è lo strumento che lo fa signore e padrone della natura. La creazione di Dio, in effetti,
si completa quando le cose ricevono dall’uomo il loro nome.
Lo stesso peccato originale è connesso a un uso improprio della parola da
Santa Caterina da Siena
(Siena 25 marzo 1347 –
Roma 29 aprile 1380)
parte dell’uomo: mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene del
male, l’uomo non si limita più a nominare, ora “giudica” del bene e del male
– che è compito di Dio, e non dell’uomo –.
Carità nel giudicare, dunque! Perché nel giudizio – dell’essere umano – è l’origine di ogni peccato.
A questo punto si riallaccia l’aspetto, qui presentato, dell’opera di evangelizza-
19
zione di santa Caterina da Siena:
. come la carità cristiana, “attuata” nel giudicare il nostro prossimo, sia
l’unico modo in cui l’uomo può sperare di saldare il suo debito nei
confronti di Dio;
. quali sono le modalità e le vie attraverso cui il giudizio dell’uomo non
ricade nel peccato di Adamo;
. che cosa significa e come si presenta la “carità” in Dio stesso e nella
sua opera – concetto di “carità ordinata” –.
La carità verso il prossimo come omaggio a Dio
A Dio l’uomo deve tutto, deve il suo stesso essere: “tu ci hai dato l’essere dal
nulla: illumina dunque questo essere che è tuo. Tu al tempo del bisogno ci
hai dato la luce degli apostoli: ora, in questo tempo in cui abbiamo bisogno
1
ancora più della tua luce, suscita un altro Paolo che illumini tutto il mondo” .
Tu “ci hai amato prima che noi esistessimo, ci hai conferito dignità, liberandoci dal disonore nel quale siamo caduti per il peccato di Adamo”: cioè mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male e, mettendoci al
posto di Dio stesso, “giudicare” del bene e del male. “A lui dunque, prosegue
la santa, dobbiamo ricambiare onore e amore. Ma a lui, come2 tale”, essendo
Dio perfetto e onnipotente, “non possiamo fare alcuna utilità” .
L’unico omaggio che l’uomo possa mai rendere a Dio, è esprimere quella
carità e quell’amore in ciò che è più pericoloso per la sua essenza spirituale; in
ciò in cui l’uomo, se abbandonato a se stesso, è più misero e debole; ciò che
lo ha cacciato dal giardino dell’Eden: il giudizio; la “parola giudicante” del
bene e del male, del giusto e dello sbagliato, del necessario e del contingente.
Nella pratica della carità offriamo così un piccolo pegno a Dio per il primo
immenso dono concessoci: il “dono dell’essere”; e per il secondo,
di certo non
3
inferiore: “liberarci per mezzo del sangue del Figlio suo” , ridando all’uomo,
“peccatore in Adamo”, la possibilità della grazia e della salvezza eterne.
Ciò che non è possibile offrire direttamente a Dio, lo dobbiamo rendere e
“attuare nei riguardi del nostro prossimo, venendo in suo aiuto secondo le
nostre possibilità, rendendogli quanto dobbiamo – a Dio stesso –, quell’amore di carità, così come ci è stato comandato quando l’eterna Verità – Gesù in
quanto4 Verbo – disse: ama Dio sopra ogni cosa, e il prossimo tuo come te
stesso” .
Il Verbo di Dio comanda l’Amore; un gesto d’amore, un atto di carità nei
confronti dell’Altro. Tali devono essere le nostre opere e le nostre parole: atti
caritatevoli e gesti d’amore cristiano. Così santa Caterina esortava alla conversione, alla svolta nel nostro modo di agire, giudicare, scegliere e operare. “Perché veramente ci comportiamo come mercenari, ai quali, per ogni dono che
ricevono, sembra di doverli avere come cosa dovuta; e con le mancanze e i
difetti degli altri spesso giustificano il loro difetto; così, 5molto di più, vengono allo scoperto, dimostrando una grande ingratitudine” .
Carità nel giudicare gli altri, e ancor di più, sottolinea santa Caterina rivol-
20
gendosi ai Signori della città di Siena, nel giudicare il Papa, il cui rispetto e la
cui obbedienza non sono rivolti “semplicemente alla sua persona, ma al sangue di Gesù, e 6alla sua autorità e dignità”. “Altrimenti saremmo in uno stato
di dannazione” . Per analogia, lo stesso dicasi della Chiesa, dei sacerdoti e dei
fedeli che la compongono – oggi come mai “giudicati” in modo tanto negativo quanto sbrigativo per i noti e scandalosi eventi che li hanno visti coinvolti.
Limiti del giudizio umano
Come usare dunque la facoltà del giudizio senza ricadere nel peccato di
Adamo? Le indicazioni offerte da santa Caterina sono due: la prima consiste
nell’esprimere, in ogni nostro giudizio, il nostro “amore per la verità”: “non ci
mettiamo mai a giudicare secondo quello che abbiamo sentito da altri, ma
neppure in base ai comportamenti e ai modi di fare esteriori, perché sappia-
Nelle Orazioni si ritrovano
tutti i grandi amori di santa
Caterina, quelli che l’hanno
spinta a consumare come un
olocausto la sua vita: innanzitutto Dio, poi il Verbo fatto
uomo, Cristo Crocifisso, ma
anche la Chiesa, il Papa, la
pace e i suoi figli spirituali
mo bene che Gesù benedetto ce lo proibisce, quando dice nel Vangelo: non
giudicate secondo le apparenze, guardando l’aspetto esteriore delle cose (Gv 7,
24). Nel nostro prossimo – con lo stesso amore che nutriamo7 per Dio, cioè
sincero e non per un nostro tornaconto – amiamo la verità” . Amiamo nel
nostro prossimo la verità oggettiva, come la amiamo in Dio stesso.
La seconda indicazione per noi che, figli di Adamo, restiamo nel regime del
peccato, è di giudicare soltanto del bene, vedendo in ogni essere e in ogni
evento l’impronta di Dio e del suo imperscrutabile volere. Dunque “consideriamo santamente la volontà di Dio nelle sue creature, sempre valutandole in
bene, e lasciando a Dio di giudicare il male. E per questo non ci sdegniamo
mai dinnanzi ai misteriosi disegni di Dio, né di fronte al nostro prossimo. E
21
verso il nostro Creatore non riduciamo la nostra carità, il nostro affetto e il
nostro rispetto per qualunque tribolazione egli permettesse per noi; e così facciamo anche verso il prossimo, quando da lui patissimo ingiuria o8 danno”,
perché è così che Dio “mette alla prova il nostro affetto di carità” nei confronti degli altri; carità a Lui stesso dovuta, in nome del sangue del Figlio, versato per la redenzione di tutti gli uomini.9 “A noi che siamo creatura spetta
solo di essere giudicati, e non di giudicare” .
Altri spunti, per meditare sul senso della carità cristiana e sulla sua attuazione
– nel giudizio – nei confronti del prossimo, li cogliamo nelle “Orazioni”, là
dove “si ritrovano tutti i grandi amori di santa Caterina, quelli che l’hanno
spinta a consumare come un olocausto la sua vita: innanzitutto Dio, poi il
Verbo fatto uomo, Cristo Crocifisso, ma anche la Chiesa, il Papa, la pace e i
suoi figli spirituali; il suo desiderio di patire le più grandi sofferenze pur di
ottenere la salvezza anche di una sola anima”.
Provvidenza divina e ordine razionale
Voglio ancora ricordare un concetto esposto dalla santa, quello di “carità ordinata”. L’ordine qui evocato è la ragione e la razionalità assolute dell’Intelletto
Divino; quell’intelligenza che fa sì che ogni evento, anche il più tragico e inaccettabile, non sia estraneo e alieno ai disegni della Divina Provvidenza.
Si tratta di una trasposizione, in ambito teologico, del celebre “principio di
ragione” di Leibniz, secondo cui omne ens habet rationem: ogni essente ha una
sua ragion d’essere, un suo fondamento e un suo scopo. Ragione, fine e fondamento dell’ente non sono che (in) Dio: solo Dio è infatti tanto grande da
potere accogliere, sotto la sua Luce, ogni cosa.
Nel cuore10aperto e rischiarato dalla Luce dell’Intelletto Divino, che è “l’amore
di carità” , “trova posto ogni creatura ragionevole”. Così la Luce, “con carità
ordinata, cerca la salvezza di tutti; dispone il suo corpo alla morte per la salvezza dell’anima del suo prossimo”. “Cosicché la nostra crudeltà, eterno
Padre, deriva dal fatto che non vediamo la pietà che hai usato per le nostre
anime, ricomprandole con il prezioso sangue del Figlio tuo unigenito”.
Dunque “vergognati, vergognati cieca creatura, tanto esaltata e onorata dal
tuo Dio, di non riconoscere che Dio, per la sua inestimabile carità, è disceso
dall’altezza della divinità fino alla bassezza del fango della tua umanità,
perché
11
lo conoscessi in te stessa. Ho peccato contro il Signore, pietà di me” .
NOTE
1
SANTA CATERINA DA SIENA, Orazioni, 8,2, ESD, Bologna, 2002, p.301.
2
SANTA CATERINA DA SIENA, Lettere ai signori delle città, vol. 2, lettera 311, ESD, Bologna, 1998, p. 427.
3
Ivi.
4
Ivi.
5
Ivi.
6
Ibid., p.430.
7
SANTA CATERINA DA SIENA, Lettere a vari destinatari, vol. 3, lettera 307, ESD, Bologna, 1999, p. 487.
8
Ibid., p. 488.
9
Ibid., p. 489.
10
Luce (Intelligenza), carità, amore: (solo) in Dio l’intelligenza è amore.
11
SANTA CATERINA DA SIENA, Orazioni.
22
Maria “proficiente”?
fra Valerio Ferrua op
Nella spasmodica ricerca di decodificare l’universo, i filosofi greci individuarono la fondamentale struttura della vita nel movimento: motio sui - e ricordiamo con quanta pervicacia i nostri professori di logica e di cosmologia ripetessero a noi, sbalorditi, la portata universale di questo detto apparentemente
scontato. Dunque, la vita comporta movimento, crescita, sviluppo, evoluzio-
Fino dall’infanzia, e poi nell’adolescenza, la figura di Maria ci
venne, se non contraffatta, alterata. Pistolotti parrocchiali, libercoli edificanti, ‘santini’ patetici
supportati da sdolcinati motivi
orecchiabili (penso al clima natalizio!) avevano cospirato ad
imprimere nella nostra fantasia
un’immagine distorta
ne. Avremmo capito in seguito la virtualità di questo principio: principio che,
in cristologia come in mariologia ad esempio, si sarebbe rivelato strumento di
conclusioni insospettate.
Fino dall’infanzia, e poi nell’adolescenza, la figura di Maria ci venne, se non
contraffatta, alterata. Pistolotti parrocchiali, libercoli edificanti, ‘santini’ pate-
23
tici supportati da sdolcinati motivi orecchiabili (penso al clima natalizio!) avevano cospirato ad imprimere nella nostra fantasia un’immagine distorta.
Che la certezza della natura messianica di Gesù (Annunciazione)
dovesse poi sbocciare nella fede
sulla sua natura divina, è quasi
ovvio per noi. Ma il passaggio
non così facile per un giudeo
Medesimo risultato avrebbe prodotto, su noi adulti, la grande pittura mariana, corroborata a sua volta da capolavori della letteratura – il tutto naturalmente ispirato alla tradizione apocrifa.
È ancora storia di oggi, purtroppo, rivendicata alla stregua di questo principio
tirannico: Maria “doveva” possedere al massimo grado, fin dalla nascita, tutte
le qualità positive di una donna. Si attribuì a sant’Alberto Magno un grosso
tomo (De laudibus Mariae Virginis) dove, a sensate riflessioni biblico-teologiche, si mescolano le stranezze più inverosimili, degne di un giornale a fumetti
(struttura degli arti, colore degli occhi e dei capelli, dettagliata descrizione
delle forme anatomiche, etc).
Questa iperbolica ricostruzione e le annesse “pratiche” alimentarono (con
discutibile ortodossia) la devozione a Maria, ma le conferirono una dimensione irreale, statica e trionfalistica, mortificando una visione oggettiva ed impedendo di coglierla nella sua esperienza vitale. Turbìnio di angeli, sogni profetici, apparizioni e presagi misteriosi, rivelazioni pietistiche, etc. - il tutto estraneo a quel clima di normalità che avrebbe richiamato lo stile delle nostre
mamme.
24
In sintesi: Maria possedette in pienezza qualsiasi perfezione, naturale e
soprannaturale.
Negli evangeli la persona di Maria non risponde a questo modello. Proprio
per arginare simili deviazioni para-teologiche il Vaticano II “Esorta caldamente i teologi e i predicatori della parola divina ad astenersi con cura da qualunque falsa esagerazione” (LG 67).
L’interrogativo cruciale, ovviamente, riguarda la Maternità divina e cioè:
quando Maria venne a conoscenza della divinità di Cristo?
I primi tre episodi (Annunciazione: Lc 1,26-38; Visitazione: Lc 1,39-56; Pre-
Ai piedi della Croce, il Cristo agonizzante poteva rivolgere a Maria un appellativo
straziante e rivelatore: non
“Mamma” come chiunque
avrebbe detto, ma “Donna”
sentazione: Lc 2,22-38) si riferiscono al Messia liberatore (2,38) che costituiva
il polo orientatore di tutta la storia d’Israele. Il quarto episodio, (ritrovamento
al Tempio: Lc 2,41-52) crea alcuni problemi. Biblisti di razza e commentatori
da strapazzo hanno escogitato le soluzioni più attendibili per giustificare il
25
comportamento di Gesù e quello non meno enigmatico di Maria. Non
occorrono acrobatismi: al “non capirono”, Luca appone un rilievo preziosissimo: “Maria conservava in cuore tutte le parole”. È un flash rivelatore di un
silenzioso cammino condotto nei trent’anni di convivenza, in sintonia col
Figlio il quale, a sua volta “cresceva in sapienza, in età e in grazia, davanti a
Dio e davanti agli uomini”. Meravigliosa sintonia di una crescita reale, un
passo in avanti verso una comprensione del Messia salvatore.
Proprio l’episodio di Cana viene talora addotto come prova che Maria già
conosceva la natura divina del Figlio e quindi la risposta di Gesù esclude illazioni del genere, anche perché il rifiuto di Gesù è espresso in una forma drastica, anche grammaticalmente ricalca quella dell’indemoniato: “Cosa mai c’è
tra me e te?” (Mc 3,4). Il solito furtarello di Giovanni? Improbabile! Non si
sarebbero versati fiumi di inchiostro per contraddire l’evidenza. Altrettanto
vale per il breve monologo riportato da Mc 3,32-35: “Chiunque fa la volontà
di Dio, questi è mio fratello e sorella e madre”.
Che la certezza della natura messianica di Gesù (Annunciazione) dovesse poi
sbocciare nella fede sulla sua natura divina, è quasi ovvio per noi. Ma il passaggio non così facile per un giudeo, nato e cresciuto in un mondo assolutamente estraneo a ciò che chiamiamo incarnazione: gli stessi politeismi che
pullulavano nelle vicine civiltà, non sfioravano nemmeno di lontano il mistero dell’unione ipostatica. La premura con la quale Gesù severamente proibiva
la divulgazione dei suoi gesti straordinari, era per scongiurare malintesi che
degenerassero in forme idolatriche. Solo i trent’anni di intima condivisione a
Nazareth, le lunghe e riservate conversazioni poterono disvelare progressivamente il mistero nascosto nei secoli. Ed ai piedi della Croce, il Cristo agonizzante poteva rivolgere a Maria un appellativo straziante e rivelatore: non
“Mamma” come chiunque avrebbe detto, ma “Donna”. Ormai la maternità
scavalcava i limiti famigliari per estendersi a tutti i redenti; Maria aveva ormai
percorso tutte le tappe del cammino: da Nazareth al Calvario. Questa è la
Donna che amiamo e veneriamo, perché, come dichiarerà il Vaticano II “di
continuo progredì nella fede, nella speranza e nella carità” (LG 65).
26
Capire per credere
L’intelligenza della liturgia
fra Massimiliano Rossi op
“Che cosa vi sarà mai da capire nella liturgia? Questo susseguirsi di parole e
di gesti ripetuti di continuo, ha davvero un significato? Si può pretendere che
sia intelligente? Vedendo lo spettacolo di certe assemblee se ne può davvero
La struttura della celebrazione
eucaristica rivela la struttura stessa
della fede, la quale è iniziativa di
Dio, prima che dell’uomo
dubitare”. Paul De Clerck, già direttore dell’Istituto di Liturgia di Parigi e
autore di numerosi articoli scientifici, esordisce nella sua riflessione sull’intelligenza della liturgia con questa domanda.
La riflessione dell’insigne studioso parte proprio dalla Messa: la struttura della
celebrazione eucaristica rivela la struttura stessa della fede, la quale, giova ripeterlo, è iniziativa di Dio, prima che dell’uomo. Potremmo sintetizzare questa
profonda verità nel seguente slogan: “Dimmi come celebri e ti dirò chi sei!”.
Davvero, la struttura e il senso della celebrazione rivelano la sostanza e il
senso profondo della fede.
San Paolo scrive che la fede dipende dalla predicazione, la quale è innanzi
tutto scoperta e ascolto di un Altro che ci ha rivolto la parola. L’alterità è dunque ben determinata fin dall’inizio: (l’alterità) definisce e condiziona l’esistenza stessa della persona e poi del credente. Questa Alterità pone in luce la
ragione della nostra presenza nel mondo, ma anche (la nostra presenza) nella
27
celebrazione: il primo evangelista racconta la parabola del banchetto imbandito da un re per le nozze di suo figlio (Mt 22,1ss; Lc 14,16ss). L’iniziativa
parte dal re, il quale prepara prima la cerimonia, stila poi la lista degli invitati,
infine ci ripensa e chiama indistintamente tutti, buoni e cattivi.
I fedeli dovrebbero reagire ad un invito del “Padrone di casa”; il fine dell’invito consiste nella partecipazione ad un festa, dove tutti si potranno divertire,
gustando ogni sorta di prelibatezze, senza l’assillo degli impegni professionali,
o delle urgenze familiari. Il clima è quello del gioco, il tempo non è scandito
dall’orologio, e neppure dallo squillo dei cellulari.
I dati fondamentali della fede sono iscritti nel modo in cui si celebra la liturgia
Come pregare ce lo insegna la liturgia, cominciando con il metterci alla presenza di Dio, per ascoltare Lui. Anche in liturgia vale il principio secondo il
quale l’ascolto è parte essenziale di ogni sana e feconda relazione.
È fondamentale porre la questione del senso del nostro celebrare, alla luce
della fede. Chiediamoci: “I nostri atti di culto sono rivelativi della fede, oppure no? Nutrono e manifestano la fede, oppure no? Sono esplicativi del sensus
fidei del popolo cristiano, oppure manifestano “solo” il costume sacerdotale,
espresso in una lingua clericale, cioè per addetti i lavori?”.
A cinquant’anni dalla riforma del Concilio alcuni fedeli cominciano a scoprire l’interesse per la liturgia, almeno quei pochi che ancora frequentano ogni
domenica le nostre chiese. Secoli di liturgia in latino non hanno purtroppo
giovato alla comprensione dell’atto di culto: si è creato uno scollamento non
solo tra fede e pratica della fede, ma anche tra liturgia e spiritualità, tra liturgia e devozione a favore di quest’ultima, tra liturgia e preghiera personale.
Immagino l’obiezione: accostando l’esperienza liturgica con il bisturi dell’intelletto, si rischia di cadere nella trappola dell’intellettualismo liturgico; e, in
verità, l’intellettualismo liturgico è uno degli approcci più attraenti, ma più
pericolosi, che un uomo di cultura, un intellettuale serio potrebbe assumere.
Per evitare la trappola dell’intellettualismo si poterebbe cominciare sostituendo il verbo comprendere con afferrare: quest’ultimo indica un’intelligenza
intuitiva.
Il verbo allude piuttosto all’essere afferrati, quell’emozione profonda che si
può provare ascoltando una parola autorevole, cantando con passione, compiendo un gesto con convinzione.
Parliamo di intelligenza del cuore, più che della mente: nulla a che spartire
con l’emotività, o il sentimentalismo suscitati da talune manifestazioni del
sacro popolare, o religiosità antropologica. L’intelligenza del cuore è qualcosa
di più che l’approccio razionale freddo e oggettivo; (l’intelligenza del cuore) è
una conoscenza profonda e integrale: va oltre l’acquisizione teorica di un
oggetto esterno attraverso l’osservazione (scientifica); l’intelligenza del cuore è
quella forma di conoscenza che consente di far sintesi attiva tra l’oggetto
conosciuto e il soggetto conoscente. Parlando di liturgia, la conoscenza del
cuore è fondamentale: non possiamo scrutare, né capire la liturgia se non
28
facendone esperienza diretta, e diventandone noi stessi parte attiva. Colui che
vuole raggiungere l’intelligenza della liturgia non resta fuori, ma entra dentro
la liturgia; soprattutto, l’intelligenza della liturgia si realizza attraverso lo studio che il soggetto fa degli effetti prodotti dalla celebrazione su di sé: effetti
immediati, colti nel momento stesso della celebrazione; ed effetti a medio e
lungo termine, quali la conversione al mistero di Dio e il progresso della vita
di fede.
Certo, per afferrare e lasciarsi afferrare, è necessario nutrire almeno un po’ di
simpatia per il rito religioso: più che un vero desiderio, temo che si tratti di
Il concetto che la Chiesa
ha di sè: un popolo che
deriva la sua unità dall’unità del Padre, con il Figlio
e lo Spirito Santo
un’utopia, sperare che la liturgia riscuota la simpatia dei fedeli. Nella maggior
parte dei casi la liturgia richiama il mondo chiuso e un po’ asfittico delle
sacrestie e dei preti, un mondo dal quale i fedeli sono stati tenuti a distanza.
Che cosa pretende ora la Chiesa? Dopo secoli di monopolio del culto, dopo
che il popolo di Dio è stato volontariamente mantenuto nell’ignoranza delle
secrete cose che avvenivano entro il recinto sacro del presbiterio, ora (la Chiesa) parla di intelligenza della liturgia?
La liturgia è per tutti, anche se oggi non è ancora di tutti. Sto parlando di
liturgia cristiana a persone che si professano cristiane, almeno in teoria; certo,
la liturgia cristiana non è per i musulmani, o per i buddisti; tuttavia credo che
29
anche nelle altre religioni la sfida di concepire e realizzare una liturgia accessibile e comprensibile a tutti sia il problema dei problemi, dovunque il rito è
concepito come migliore chiave di accesso umana al divino.
Una liturgia incomprensibile?
La Sacrosanctum Concilium, al n. 34, recita così: “I riti splendano per nobile
semplicità, siano trasparenti per il fatto della loro brevità e senza inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli, né abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni”.
Tanto per tornare sulle pretese della Chiesa di oggi, e girare per così dire il
Benedetto XVI presiede
l'Eucaristia durante il
Sinodo per la Chiesa
Africana (2009)
coltello nella piaga, chiediamoci se le autorità competenti non si rendano
conto che le chiese si stanno svuotando.
Del resto, l’annosa questione sul rapporto tra liturgia e vita è suscitata proprio
dal divario creatosi tra la liturgia e la vita.
Un dato che immediatamente salta all’occhio leggendo i testi del Concilio è
lo sforzo della Chiesa di comprendere se stessa e il suo mistero. È altrettanto
vero che la maggior parte degli edifici adibiti al culto esprime un concetto di
Chiesa ancora divisa in due: i laici nella navata, il prete (o i preti) in presbiterio. Se oggi si tenta di proporre nuove soluzioni architettoniche per le chiese,
non è per fare qualcosa di moderno, rompendo coi vecchi schemi, ma perché
anche lo spazio sacro – non più il presbiterio soltanto, ma l’intera aula liturgi-
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ca – risponda meglio al concetto che la Chiesa ha di sé: un popolo che deriva
la sua unità dall’unità del Padre, con il Figlio e lo Spirito Santo.
La liturgia non è anzitutto un fenomeno da smontare e analizzare al microscopio nei minimi particolari, ma piuttosto una sorgente ricca di significati.
La prima cosa consiste nel lasciarla parlare e ascoltarla con simpatia, come si
fa con le opere d’arte: l’essenziale non è sezionarle per discuterne, ma contemplarle, ascoltarle, non trattenere le emozioni, tantomeno soffocarle. Nell’arte,
come nella liturgia, quando non si comprende qualcosa di primo acchito,
entra in campo la curiosità, tutto l’essere è messo in stato di allerta; si potrebbe dire che l’opera d’arte sta facendo il suo lavoro. Si crea una dinamica che
suscita il desiderio di ritornare all’opera per arricchirsi di nuove intuizioni ed
emozioni. In fin dei conti lo scopo della liturgia è suscitare perturbative nel
tran tran quotidiano; ecco il senso della domenica.
Altro che metterci il cuore in pace, assolvendo il precetto festivo: la liturgia ha
il compito di non lasciarci in pace.
Tema assai delicato è quello dell’universo simbolico: ad esso la liturgia attinge
a piene mani, e il fedele si vi trova immerso, ogni volta che varca dall’esterno
la soglia di una chiesa. I simboli liturgici possono esplicare la loro azione, ma
solo se collocati in un contesto adeguato, in un progetto globale che li renda
comprensibili.
Ne consegue che le difficoltà attribuite al linguaggio liturgico non sono dovute sic et simpliciter al vocabolario che si adopera; dipendono fondamentalmente dal rapporto che si instaura con il rituale liturgico e, di conseguenza, da ciò
che ci si aspetta da esso: qualcosa da comprendere con la testa, oppure una
chiave di lettura dell’esistenza. Se i simboli liturgici non producono i loro
frutti, non è perché sono obsoleti, e dunque da sostituire con altri più attuali,
o perché l’uomo moderno avrebbe perduto la capacità simbolica: il soggetto
celebrante non ha perduto la capacità simbolica, ma forse non è consapevole
che durante la celebrazione questa capacità simbolica deve essere attivata. Esiste una reciproca influenza tra il contesto (all’interno del quale si svolge l’azione liturgica), la parola e il gesto liturgico.
Quali sono le condizioni che consentono al soggetto comune di entrare nel
contesto delicato e complesso come è l’universo simbolico della liturgia?
Una grossa fetta di responsabilità è assegnata al ministro ordinato. Le parole e
le azioni prescritte dal rituale possono essere pronunciate e compiute come,
appunto, mere prescrizioni rituali; oppure interpretate e vissute. Nel primo
caso si verificherà una pura e semplice trasmissione di dati; la domanda sorge
spontanea: la liturgia si può identificare come pura e semplice trasmissione di
dati? Si va a messa per sentire la Parola di Dio e per ricevere – chi può – la
comunione eucaristica. Non è un caso che molti sociologi intendano la chiesa
in genere e la liturgia in specie delle pure e semplici agenzie che forniscono
servizi.
Secondo il magistero conciliare, la liturgia è un segmento di vita della Chiesa;
come tale va vissuto, a livello individuale e comunitario, con tutta la ricchezza
31
della persona, corpo, testa, cuore. La Rivelazione del mistero di Dio, rivelazione che salva, proprio perché celebrata nella e dalla liturgia, va assunta e filtrata
attraverso l’umano.
Il principio stesso dell’incarnazione esige che il momento celebrativo venga
pienamente vissuto dai fedeli nel suo accadere, per così dire, in tempo reale.
Nessuna teatralità, certo! ma neppure assenza totale di investimento affettivo!
Una liturgia senza vita non inciderà mai sulla vita. E se non incide sulla vita,
Messa esequiale di
Giovanni Paolo II
la liturgia fallisce la sua vocazione di consecratio mundi, richiamata dalla riforma del Concilio Vaticano II.
Caratteristica fondamentale della liturgia è quella di accompagnare i fedeli
nelle diverse stagioni della vita, dalla nascita alla morte: alcuni momenti dell’esistenza chiedono di essere celebrati con tutta la forza e lo spirito evangelico
di cui i ministri e l’assemblea sono capaci.
Mi permetto di segnalare a modo di esempio il segmento liturgico del funerale: il dolore per la morte di un congiunto, di un amico, è inevitabile; al tempo
stesso, il conforto della speranza cristiana deve potersi manifestare ed esprimere, soprattutto in occasioni tragiche come l’evento ineluttabile della morte; il
defunto accede alla salvezza eterna passando attraverso la porta stretta della
morte: questo è ciò che la Chiesa insegna e che la nostra fede crede. La sfida
della liturgia è comporre l’apparente mancanza di senso della morte, la fragilità dell’uomo e il dolore incomprensibile, con il coraggio della fede e la speranza nella gioia futura.
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Giochiamo alla liturgia?
La liturgia è una attività globale, simbolica e ludica (Romano Guardini), più
vicina ad un gioco gratuito, che ad un lavoro professionale. Neanche su questo aspetto c’è sufficiente consapevolezza da parte dei fedeli, e neppure da
parte di molti ministri ordinati: ne consegue che troppo spesso e da più parti
si continua a pretendere dalla liturgia dei risultati che non sono quelli per i
quali la liturgia è stata concepita; porte aperte dunque alle strumentalizzazioni
più o meno esplicite, a vantaggio di realtà certo nobili e degne di rispetto, ma
sostanzialmente estrinseche all’atto di culto: la catechesi, l’informazione, l’impegno sociale, la beneficenza.
È paradossale, a mio avviso, che proprio all’indomani del Concilio, siano nate
le cosiddette “Domeniche a tema”: si celebra la domenica degli strumenti di
informazione sociale, la domenica degli studi cattolici, la domenica del seminario diocesano – ne conosciamo gli intenti, non sempre teologici e spirituali
– : qual è il progetto pastorale di iniziative come queste? Non è chiaro – e
forse è bene che rimanga tale… –.
Risultato: l’assemblea non ne coglie il senso; e quando non si coglie il senso di
ciò che si celebra, è probabile che anche gli effetti della liturgia siano in tutto,
o in parte compromessi.
Questione delicatissima è la tradizione ormai millenaria di applicare la messa
ad un’intenzione privata dei fedeli: sarebbe necessario risalire all’origine di
questa tradizione, la quale resta naturalmente valida dal punto di vista teologi-
San Paolo scrive che la fede
dipende dalla predicazione, la
quale è innanzi tutto scoperta
e ascolto di un Altro che ci ha
rivolto la parola
co e spirituale; sennonché non è sempre chiaro e altrettanto valido l’intento
dei fedeli, e neppure dei ministri.
Affinché la liturgia torni ad essere una fonte di comprensione, nel senso più
ricco del termine, il primo passo non è quello di cambiare, o moltiplicare i
testi e i gesti, altro vizio diffuso tra taluni preti, convinti che la liturgia sia
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tanto più efficace quanto più la si rimpinza di parole e di riti. È necessario
piuttosto aiutare i fedeli a evolvere le proprie convinzioni e aspettative in
merito alla celebrazione. L’esecuzione corretta del rituale è senza dubbio fondamentale: la confusione e l’improvvisazione pressappochista non sono mai
un buon segno, e rendono spesso un pessimo servizio alla liturgia.
Non possiamo dimenticare che la liturgia è per gli uomini; e gli uomini
hanno un corpo fatto di carne. Ogni manifestazione liturgica è espressione di
Ogni manifestazione liturgica è espressione di un
corpo, che pensa, ascolta,
risponde, si muove, si
commuove, comunica; in
una parola, si esprime in
senso globale. La preghiera liturgica deve corrispondere a questa integralità e ricchezza, favorendone la realizzazione
un corpo, che pensa, ascolta, risponde, si muove, si commuove, comunica; in
una parola, si esprime in senso globale. La preghiera liturgica deve corrispondere a questa integralità e ricchezza, favorendone la realizzazione.
L’esperienza e il vissuto individuale devono poter trovare nella liturgia un’accoglienza senza riserve né pregiudizi.
Il nemico peggiore della liturgia è la routine. Per evitarla sono necessari carisma personale e originalità, soprattutto la capacità affettiva di colui che
anima, o presiede l’azione liturgica.
Importare nelle nostre chiese da altri Paesi le liturgie che non sono, per così
dire, nei nostri registri – faccio un esempio: la messa africana – non mi sembra la soluzione più sensata; e il motivo è che la liturgia è comprensione,
espressione e celebrazione della fede vissuta dalla comunità.
Il soffio dello Spirito ci sospinga là dove Egli desidera, a gloria di Lui e per la
salvezza del mondo.
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Capitolo Generale
NOI
FR. BRUNO CADORÉ, O.P.
UMILE MAESTRO E SERVO
DI TUTTO L’ORDINE DEI PREDICATORI
LETTERE DI CONVOCAZIONE
PER IL PROSSIMO CAPITOLO GENERALE
Ai priori provinciali e conventuali
A tutti e singoli Frati, Monache e Suore
insieme a tutti i membri della Famiglia di S. Domenico
SALUTE E BENEDIZIONE
Il Capitolo Generale elettivo del 2010 celebrato a Roma, al n. 300 stabilì:
«Annunciamo che il prossimo Capitolo Generale che sarà dei Definitori, dovrà essere celebrato in un convento della Provincia di Croazia, in un periodo
compreso tra la fine del mese di luglio e la fine di agosto dell’anno 2013, come sarà determinato in seguito».
Poiché è di mia pertinenza convocare il Capitolo Generale (cf LCO 413,II),
con la presente lettera decreto di convocarlo.
Per cui, con l’autorità che compete al mio ufficio, indico il Capitolo Generale dei Definitori dal giorno 22 luglio 2013 nella città di Trogir (Croazia).
1. Tutti i frati capitolari dal giorno 21 del mese di luglio siano presenti nella
predetta città. Avvisino il Segretario circa l’ora del loro arrivo e portino con
sé le lettere testimoniali.
«Nel capitolo generale dei definitori sono convocati e hanno voce:
1° il Maestro dell’Ordine;
2° gli ex Maestri dell’Ordine;
3° i definitori eletti dalle singole Province;
4° i delegati eletti dalle singole Vice Province e Vicariati Generali;
5° i delegati degli altri Vicariati, scelti a norma del LCO n. 409-bis,
esclusi i priori regionali e i vicari provinciali;
6° un delegato tra i frati assegnati nelle case poste sotto l’immediata giurisdizione del Maestro dell’Ordine» (LCO 408).
2. A norma di LCO 408,5°, il Consiglio Generalizio ha disposto che questa
volta mandino al Capitolo i propri delegati i Vicariati delle seguenti Province: Spagna, Aragona, S. Giuseppe in USA e Assunzione BMV in Australia e Nuova Zelanda.
3. Il 22 luglio il Capitolo inizierà con la celebrazione della Messa dello Spirito
Santo. Espresso il voto sul modo di procedere (cf LCO 417,II,1), i frati
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capitolari, prima dei lavori delle commissioni, stabiliscano il calendario e
l’orario.
È quanto mai desiderabile che il Capitolo possa terminare l’8 agosto, giorno in cui si celebra la solennità del Santo Padre Domenico. Sarà tuttavia il
Capitolo a determinare il giorno della sua conclusione.
4. Come già si è proceduto per i precedenti Capitoli generali, volentieri dispenso i Soci dei Definitori dal recarsi al Capitolo, e ciò sopratutto in ragione di ridurre le spese.
5. A norma di LCO 414, fr. Mihael Tolj, della Provincia di Croazia, è stato
istituito Segretario Generale del Capitolo.
6. Coloro ai quali compete inoltrare al Capitolo petizioni o questioni (cf
LCO, 415,II e III e ACG 1980, n. 264), prima del 22 febbraio 2013 (cf
LCO 415,IV,1°) e nella forma prescritta dal LCO (415,IV,2°), inviino le petizioni e le questioni alla Curia Generalizia, di modo che quanto prima siano trasmesse ai singoli vocali e il Maestro dell’Ordine istituisca le diverse
commissioni secondo l’opportunità delle materie a trattarsi (LCO, 415,V,I).
7. A tutti i frati, a tutte le monache, alle nostre suore e ai laici raccomando di
elevare a Dio preghiere per il felice esito del Capitolo, servendosi delle facoltà previste dalla nostra liturgia,
- nella Messa conventuale: Messe ad diversa (Per un Concilio o Sinodo, In
occasione di una riunione spirituale o pastorale, Per l’evangelizzazione dei
popoli); Messe votive (Dello Spirito Sancto, Del nostro Santo Padre Dominico); preghiere dei fedeli;
- nell’Ufficio Divino: intenzioni speciali nelle preci di Lodi e Vespri;
- nelle preghiere in occasione di raduni.
State bene nel Signore.
Volentieri e con affetto vi impartisco la benedizione del S. P. Domenico e raccomando alle vostre preghiere me stesso e i miei soci insieme ai restanti frati
della Curia Generalizia.
Dato a Roma, dalla Curia Generalizia presso Santa Sabina,
il giorno 21 del mese di novembre dell’anno del Signore 2012,
nella Memoria della Presentazione della BVM.
fr. Bruno Cadoré, OP
Magister Ordinis
fr. Franklin Buitrago Rojas, OP
a secretis
Prot. 50/12/832 Trogir
36
Fra Raffaele Previato op, promotore del laicato domenicano
lettera ai laici domenicani
Carissimi,
è in corso la spedizione degli inviti al convegno nazionale dei laici
domenicani che quest’anno si terrà a Roma da venerdì 28 a domenica 30 giugno. Come sapete, è un convegno che avviene ogni due anni con la partecipazione delle tre province italiane e della provincia di Malta. L’ultimo è stato
Donna in preghiera
nella chiesa della
Natività a Betlemme
fatto a Bologna con una buona partecipazione. È un appello caloroso che vi
faccio per l’importanza che vanno assumendo questi incontri. Fanno parte di
un programma di “risveglio” o “rinascita” del laicato domenicano e ne costituiscono una tappa di particolare espressione. A parte il tema, che resta
comunque un elemento identificativo di particolare ricchezza, quest’anno –
anno della fede per tutta la Chiesa e anno della predicazione al femminile per
l’Ordine Domenicano – sarà posta al centro dell’attenzione la figura di Maria.
Maria, donna di fede, declinata sotto gli elementi portanti del carisma dome-
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nicano: preghiera, vita comune, studio e predicazione, A parte il tema, dunque, ciò che avviene in questi convegni è che la ricchezza del nostro carisma
ha modo di diventare esperienza concreta. È il momento in cui la dimensione
dell’Ordine viene vissuta in forma palpabile, si avverte di non essere piccole
fraternite perse nei nostri piccoli mondi, ma si respira l’aria dell’appartenenza
ad uno spirito che impregna e fermenta la Chiesa universale. Si prega, si incontrano confratelli, ci si interroga e si propongono prospettive, ci si trova a
vivere al di fuori del nostro quotidiano, ma al di dentro di ciò che è più vivo
del nostro impegno cristiano nella dimensione più ampia dell’Ordine. La ricchezza di questi incontri sta nella testimonianza di chi ha avuto modo di parteciparvi. Per tante ragioni, le solite (anziani, malati, costi…) si fa fatica a
decidersi e partire, ma se si parte non si rimane delusi.
Al di là del ritorno in soddisfazione personale che questi incontri producono,
mi piacerebbe che li vedeste anche come un piccolo contributo che la sola vostra presenza reca alla crescita dell’Ordine, una espressione della vostra testimonianza/predicazione, del vostro impegno nel comune cammino di fede
sulle strade di Domenico. Ciascuno non è altro che una pietra del tempio e
nello stesso tempo il tempio non ci sarebbe se non ci fossero le pietre.
Per tornare poi al tema specifico di quest’anno, alla nostra provincia è stato
affidato il compito di guidare i momenti di fraterno scambio e approfondimento, centrando l’attenzione sulla predicazione. “Fate quello che Lui vi dirà”
(Gv 2,5) sono le parole di Maria a Cana di Galilea scelte per orientare la
riflessione. Maria non ha detto tante cose, non ha fatto lunghi discorsi – nei
vangeli il suo discorso più lungo è il cantico del Magnificat – ci assomiglia
anche nel nostro sostanziale silenzio, eppure in quelle poche parole sta la testimonianza e la predicazione più alta che l’uomo possa fare. “Fate quello che
Lui vi dirà”: sono parole dette all’interno di una mancanza (non c’era più vino) che esprimono un sentimento di indicibile profondità. C’è l’attenzione
(caratteristica eminentemente femminile) alla situazione e a ciò che sta accadendo, c’è la fede in colui che può, c’è la parola che indica che cosa fare, c’è…
Non spetta a me, in questa breve lettera, esplorare la ricchezza che si nasconde
o si intravede in queste parole di Maria, ma spetta a voi “meditarle e conservarle nel vostro cuore” tanto da poter essere testimoni a Roma tra i vostri confratelli di ciò che avete contemplato.
Nel clima della Pasqua un fraterno augurio.
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novità librarie domenicane
PROGETTO TOMMASO (a cura), Tommaso d’Aquino, Lo specchio dell’anima.
La sentenza di Tommaso d’Aquino sul “de Anima” di Aristotele, Edizioni San
Paolo 2012, p. 1220, 69,00 euro.
Opera della maturità dell’Aquinate (scritta tra il 1268 e il 1270), la Sententia
de anima mostra un Tommaso che sviluppa le teorie metafisiche e antropologiche dell’aristotelismo in modo personale e originale: è in discussione la tesi
nuova, quella sull’unicità della forma sostanziale dell’uomo, così come si sviscerano le caratteristiche peculiari della parte intellettiva umana, che ne garantisce l’autonomia operativa e ne salvaguarda l’immortalità.
Questa visione antropologica, da sempre a fondamento della visione cristiana
dell’uomo, è tornata di interesse sia nel dibattito filosofico sia nella concezione cristiana della vita.
L’opera di traduzione critica, qui pubblicata con il testo latino a fronte, è
dotata di ricchi apparati di introduzione, lessico e indici, ed è destinata a
segnare una tappa importante nella bibliografia tomistica.
(dalla IV di copertina)
39
in memoriam
fra
Giulio
(Sergio)
Battolla
op
Nato a La Spezia
il 19 febbraio 1926
Morto a Smirne (Turchia)
il 6 gennaio 2013
L’eterno riposo
donagli o Signore
Sergio nacque a La Spezia e con la famiglia si trasferì ben presto a Chiavari; entrò in collegino nel
’37 e, maturando la sua vocazione nel noviziato di
Chieri, fece la prima professione nel ’42 ed emise
la professione solenne nel ’49. Compiuti gli studi
nel convento di Santa Maria delle Rose, venne
ordinato presbitero aTorino nel ’52. Nel ’53 sostenne l’esame di lettorato e fu assegnato a Racconigi dove insegnò nella scuola apostolica. Dal
’56 al ’60 visse nel convento di Chieri dove fu sacrista, adoperandosi nell’apostolato di quanti frequentavano la chiesa, assistendo gli ammalati, diffondendo la Buona Stampa e curando l’associazione dei piccoli rosarianti. Nel dicembre del ’60 venne assegnato al convento di Smirne dove a più riprese fu superiore. Resosi conto della situazione
della comunità cristiana di Smirne, sorse in lui il
desiderio di creare qualcosa di nuovo per i bambini e i giovani: nacque l’idea di una casa per le vacanze estive dei bambini, che costruì a Kalabaka.
La “Colonia estiva”: fu inaugurata il 15 giugno ’64
e rimase aperta fino al 2001. Oggi, sotto altra forma, la casa di Kalabaka continua un’opera di solidarietà sociale e di testimonianza cristiana accogliendo bambini autistici. Con la sua allegria, il
suo entusiasmo e la sua generosità si dedicò anche
alle varie attività apostoliche: animò con la musica
le principali feste della parrocchia e della diocesi e
gli avvenimenti lieti e tristi delle famiglie smirniote. Si interessò degli anziani, dei malati e dei poveri. Fu per molti anni parroco di N.D. de Lourdes a
Göztepe. Fra Giulio in cinquantadue anni di presenza turca seppe presentare una chiesa dal volto
umano, capace di annunciare il Cristo in ogni
occasione. Negli ultimi anni vennero meno la
forza fisica, la memoria e, in ultimo, anche la
parola. Numerosa fu la partecipazione di fedeli e
amici alla sua sepoltura presieduta dall’arcivescovo
di Smirne Ruggero Francescini.
40
in memoriam
fra
Bernardino
(Giovanni)
Olivieri
op
Nato a Voltaggio (Alessandria)
il 1° aprile 1926
Morto a Varazze
il 15 gennaio 2013
Bene servo buono e fedele,
prendi parte alla gioia del tuo padrone!
Nacque in una famiglia di cinque fratelli e quattro sorelle e, terminate le elementari, lasciò la sua
casa per iniziare il cammino di formazione culturale e religiosa nella famiglia domenicana. Dal ’38
al ’42 frequentò la scuola apostolica a Chieri e poi
a Carmagnola. Nell’ottobre ’42 iniziò il noviziato
a Chieri, dove fece la prima professione nel ’43 e
la professione solenne nel ’47; seguì gli studi
ecclesiastici a Torino e venne ordinato presbitero
nel ’52.
Per quattro anni fu a Racconigi come vice-maestro della scuola apostolica. Dal ’56 al ’60 fu a
Chieri come maestro della scuola apostolica e per
un breve periodo fu a Carmagnola come superiore. Nel ’61 fu nominato maestro dei novizi nel
convento di Taggia dove rimase per sei anni. Nel
’67 venne eletto priore del convento di Chieri per
due trienni. Dal settembre del ’72 venne nominato parroco della nostra parrocchia di La Spezia.
Per tre trienni, non consecutivi, guidò come priore la comunità religiosa dei frati. Rimase a La Spezia per oltre venti anni, dove nell’esercizio del suo
ministero parrocchiale diede il meglio di sé. Nel
’91, lasciato l’incarico di parroco, venne eletto
priore del convento san Domenico in Torino, ove
rimase fino al 2005 conservando il compito di
assistente del laicato domenicano. Nel 2005
venne assegnato alla comunità di Varazze dove fu
assistente del laicato domenicano e sacrista.
Un tumore mise a dura prova la sua salute, fino a
quando un ictus lo immobilizzò a letto, dove,
durante un mese di immobilità e di sofferenza,
sopportata con edificante pazienza, suggellò con il
dolore accettato ed offerto la sua intensa attività
apostolica. Continuò così ad insegnarci la virtù
della pazienza e a testimoniare silenziosamente la
sua fede.
41
i o Signore.
Ricordati, o Signore,
dei tuoi fedeli che ci hanno preceduto
con il segno della fede
e dormono il sonno della pace.
SUOR MARIA IMELDA (MARGHERITA) GAS, del monastero beata Margherita di
Savoia, morta il 31 ottobre 2012 ad Alba (Cuneo), all’età di 86 anni, dei quali 64 di
professione religiosa.
SUOR FEDELE GRISERI, dell’Unione san Tommaso d’Aquino, morta il 22 dicembre
2012 a Mondovì Carassone (Cuneo), all’età di 86 anni, dei quali 61 di professione religiosa.
SUOR DOLORES TONI, della stessa congregazione, morta il 24 dicembre 2012 a Mondovì Carassone (Cuneo), all’età di 82 anni, dei quali 57 di professione religiosa.
SUOR OSVALDA (ANNAMARIA) GINO, della stessa congregazione, morta il 3 febbraio
2013 a Mondovì Carassone (Cuneo), all’età di 67 anni, dei quali 51 di professione religiosa.
SUOR PIA GIOCONDA CRICRI, delle suore della beata Imelda, morta il 16 febbraio
2013 a Bologna, all’età di 72 anni, dei quali 50 di professione religiosa.
CAROLA CHIODI, della fraternita laica di Azzano San Paolo, morta il 14 febbraio
2013, all’età di 91 anni.
dona loro
Dona loro, Signore,
e a tutti quelli che riposano in Cristo,
la beatitudine,
la luce e la pace.
42
«Convocati
i frati e invocato lo Spirito Santo, Domenico disse che era
sua ferma decisione di disperderli per diverse regioni sebbene fossero assai pochi (...) sapendo che
i semi di grano dispersi fruttificano, mentre se sono ammassati marciscono». (P. FERRANDO,
Legenda sancti Dominici, n. 31)
D
LA
FAMIGLIA
OMENICANA
NE L
MONDO
LAICATO DOMENICANO
LUGO DI RAVENNA
no dell’elezione del nuovo consiglio ha
commentato la figura biblica di Abramo
mostrando come egli sia alla radice della
nostra fede.
Rinnovo del consiglio
Il 12 ottobre 2012 nella fraternita laica san
Domenico si sono tenute le elezioni per il
rinnovo degli incarichi.
Per il prossimo triennio sono state elette:
Gabriella Pivirotto, presidente; Giulia Zironi, vice-presidente; Caterina Corelli
Groppadelli, maestra di formazione; Leda
Cricca, segretaria e tesoriere. È confermato
come assistente il professor don Mario Colombo.
Dopo il passaggio di consegne l’assistente
ha presentato l’itinerario di fede che caratterizzerà l’anno 2012-2013; lo stesso gior-
(Notizia trasmessa da Gabriella Pivirotto)
TORINO – SANTA MARIA DELLE ROSE
Promessa
Il 3 novembre 2012 nella cappella del convento di santa Maria delle Rose, durante la
celebrazione eucaristica presieduta dal nuovo assistente, fra Enrico Nicoletti, ha emesso la promessa temporanea per tre anni Marilena Oddone Bosco nelle mani del presidente della fraternita Giorgio Pastore.
43
È seguito un momento di fraternità insieme
ai confratelli, alle consorelle e ai presenti.
fraternita Carla Montarolo; il reverendo
parroco don Piero Busso e don Giampiero
Olearo; le autorità civili e della gendarmeria, le confraternite e molti altri amici, venuti anche da lontano. La festa si chiudeva
con un breve momento conviviale.
(Notizia trasmessa da Carmela Tarantino Guida, prosegretaria)
TRINO VERCELLESE
(Notizia trasmessa dal vice-priore, Giancarlo Tione
op)
Notizie dalla fraternita
Nei giorni 10, 11 e 12 ottobre 2012 abbiamo celebrato il triduo in preparazione alla
festa in onore della nostra venerata patrona
di Trino e dispensatrice di tante grazie, beata Maddalena Panatieri, vergine laica domenicana.
Predicatore del triduo e della festa è stato fra
Lorenzo Minetti il quale, essendo vissuto
per molti anni nel convento di Trino, ha
conosciuto a fondo la devozione dei trinesi
verso la loro cara beata Maddalena, nonché
l’amore che la stessa beata ha mostrato verso
la sua gente nei momenti più difficili.
Le omelie di fra Lorenzo Minetti, incentrate sulla figura di Maddalena, hanno fortifi-
MONACHE
E SUORE DOMENICANE
BOLOGNA – MONASTERO SANT’AGNESE
Chiusura
Il 31 dicembre 2012 le ultime tre monache
del monastero sant’Agnese di Bologna
hanno raggiunto la loro nuova comunità
consegnando le chiavi al priore provinciale,
Riccardo Barile, significando così la chiusura del loro monastero.
PROVINCIA
SAN DOMENICO IN ITALIA
Atti del priore provinciale
Il 21 novembre 2012 il priore provinciale,
fra Riccardo Barile, ha istituito fra Angelo
Piagno assistente della fraternita di Mortegliano (Udine).
Il priore provinciale, in data 8 febbraio
2013, ha concesso a fra Bernardino Aristi di
vivere fuori convento per ragioni di ministero. Fra Bernardino risiede nel seminario
neocatecumenale di Strasburgo (Francia).
cato i nostri animi, calandoli nella fede in
“Gesù nostro salvatore”. Durante questi bei
giorni di festa, con il popolo di Trino unito
nella chiesa di san Domenico, hanno fatto
domanda di ingresso in fraternita: Paolo
Migliavacca e Giuseppina Fantauzzo. È
stata accolta in fraternita Rosarita Balocco.
Elisabetta Ranaboldo ed Emanuela Brusasca hanno emesso la promessa temporanea,
mentre hanno emesso la promessa perpetua
Rosalina Bonello e Maria Dariella Marcionetti.
Erano presenti l’assistente, fra Cristoforo
Mezzasalma; la presidentessa della nostra
TORINO – SAN DOMENICO
Peregrinatio Mariae
Il 31 ottobre 2012, vigilia di Tutti i Santi,
dopo la Messa vespertina, la statua della
Madonna del Rosario è rientrata in san
Domenico: la “Peregrinatio” era durata
tutto il mese di ottobre.
Il mese, nella nostra chiesa, iniziato con la
presenza dell’arcivescovo, monsignor Cesare
Nosiglia, vedeva a concelebrare i parroci e i
44
sacerdoti della nostra Unità Pastorale. Il
vescovo della chiesa che è in Torino ha presieduto l’Eucaristia. Il superiore della comunità, fra Giovanni Bertolino, ha rivolto il
saluto della comunità religiosa e dei fedeli;
inoltre, all’apertura della solenne celebrazione, ha presentato i dodici gruppi ecclesiali
che settimanalmente si ritrovano in san
Domenico per la loro crescita comunionale
e spirituale di fede. La Messa è stata animata dalla corale “Silvio Dissegna” di Poirino.
Facevano corona molte associazioni cattoliche, che hanno sede nell’ambito del centro
storico della città.
L’occasione è stata dettata dall’indizione dell’Anno della Fede. La Madre del Signore,
donna di grande fede, nell’effige lignea settecentesca, venerata nella nostra chiesa, è
stata oggetto di peregrinazione durante cinque tappe con nutrite e animate processioni
da una chiesa parrocchiale all’altra. Durante
trenta giorni, i devoti del Rosario (un vero
afflusso!) si sono dati l’appuntamento ai
piedi dell’effige statuaria della Madonna per
esprimere la loro fede. A Maria, con la preghiera e la meditazione dei “misteri” della
Sua vita e quella del Figlio, il popolo cristiano ha espresso il suo “grazie” per l’esempio
ricevuto nell’espressione della sicurezza nel
fidarsi di Dio, per l’aiuto di non pretendere
di vedere tutto e subito e per imparare a
non avere risposte soddisfacenti alle nostre
domande. Il programma era stato studiato e
predisposto dai parroci dell’Unità Pastorale
del centro storico. Occorre rimarcare che l’iniziativa, formulata dai frati di san Domenico e accolta con entusiasmo dai parroci
della zona, ebbe un risultato insperato.
Il tutto poi è stato arricchito da un avvenimento straordinario (preparato con cura
dalla domenicana peruviana, suor Monica):
la comunità peruviana (numerosissima a Torino: 20.000 persone circa) si è ritrovata a
celebrare la festa del “Signore dei Miracoli”
con la presenza dell’arcivescovo emerito di
Lima, monsignor Luis Bambaren.
Alle ore 19.45 una fiumana di gente è arrivata a san Domenico, dopo una processione
interminabile: era partita dal Duomo alle
ore 14.00, al termine di una Messa solennissima.
Domenica 7 ottobre, giorno della festa liturgica, dopo la solenne celebrazione della
santa Messa delle ore 10.00, preceduta da
folti gruppi di rappresentanza ed associazioni, accompagnata dal rettore della Consolata, monsignor Marino Basso, la statua della
Madonna, inghirlandata di fiori, uscì al
suono festante delle campane dalla chiesa e
si diede così inizio alla grande processione
nel centro storico di Torino, per terminare
in Duomo, dove era attesa sul sagrato dal
parroco canonico Giancarlo Garbiglia: l’accolse e l’accompagnò all’interno della chiesa, dove i fedeli attendevano festanti per elevare verso di Lei la supplica alle ore 12: il
Duomo era gremito. Per la prima volta nella
storia, la statua della Madonna del Rosario
entrava nella Cattedrale per rimanervi una
settimana. Si diede così inizio al suo pellegrinare nel centro della città: domenica 7,
cattedrale; domenica 14, parrocchia di san
Dalmazzo; domenica 21, parrocchia Madonna del Carmine; domenica 28, parrocchia di sant’Agostino; mercoledì 31, alla
sera rientrò in san Domenico, riprendendo
il suo posto, dove in sua assenza campeggiava una grande confezione di fiori.
In tutto il mese di ottobre si è potuto constatare una gara di generosità, da parte di
molti, nel fronteggiare le varie e numerose
mansioni per la migliore riuscita della singolare iniziativa. Anima di tutto è stato l’infaticabile fra Alberto, sempre presente anche
nelle varie chiese parrocchiali per animare la
preghiera del Rosario. Così Torino, “centro
storico”, ha vissuto un avvenimento unico.
(Notizia trasmessa da Enrico Raina)
CURIA GENERALIZIA
ROMA
Transfiliazione
L’8 febbraio 2013, con decreto del Maestro
dell’Ordine, fra Luca Gili, studente della
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nostra provincia, è stato transfiliato al vicariato di san Tommaso d’Aquino in Belgio.
ESTERO
Promotore del Rosario
CAIRO - EGITTO
Il Maestro dell’Ordine, fra Bruno Cadoré,
ha nominato per un secondo mandato fra
Louis-Marie Arino-Durand come promotore generale del Rosario. Fra Louis-Marie
appartiene alla provincia di Tolosa.
Dialogo interreligioso
L’Istituto domenicano di studi orientali del
Cairo (IDEO) organizza per il luglio 2013
una sessione intensiva di studi per favorire la
conoscenza dell’Islam e del dialogo interreligioso, rivolta ai frati studenti domenicani.
Questa sessione è stata voluta dal socio del
Maestro dell’Ordine per la vita intellettuale
come realizzazione di quanto richiesto dai
Capitoli Generali.
ROMA
Prima stazione Quaresimale
La prima stazione di Quaresima, nella Diocesi di Roma, viene celebrata nella basilica
di Santa Sabina all’Aventino, sede della
nostra curia generalizia.
Quest’anno, dopo che il papa Benedetto ha
rinunciato al suo ufficio il 22 febbraio, la
celebrazione dell’imposizione delle ceneri ha
avuto luogo nella Basilica di San Pietro in
Vaticano. La Messa del mercoledì delle
ceneri è stata l’ultima celebrazione presieduta dal pontefice prima della sua partenza
per Castelgandolfo. Numerosa è stata la
partecipazione dei frati domenicani, con alla testa il Maestro dell’Ordine, fra Bruno
Cadoré. I domenicani e i benedettini, secondo la tradizione, hanno aperto la processione con il canto della litania dei santi.
BOGOTÀ - COLOMBIA
Incontro internazionale IDYM
Il Movimento Internazionale della Gioventù Domenicana (IDYM) ha organizzato un
incontro mondiale che si terrà a Bogotà in
Colombia dal 7 al 15 luglio 2013. Il titolo
dell’incontro è: “MUISCA – Sono davvero
Io”. La particolarità di questo incontro internazionale sta nel fatto che con i giovani
colombiani quanti parteciperanno all’incontro faranno una missione nelle bidonville di Bogotà, per portare la Buona Novella
nei luoghi in cui le persone non sempre
sono riconosciute nella loro dignità. La missione sarà preceduta da alcuni giorni di formazione domenicana e dai laboratori che
prepareranno all’incontro con le persone
della bidonville.
L’incontrò avrà un carattere aperto, accogliendo tutti i giovani maggiorenni interessati a parteciparvi. Quindi non solo sono
attesi i giovani dell’IDYM ma anche quanti
conoscono o desiderano conoscere san
Domenico di Guzman e hanno voglia di fare un’esperienza di predicazione internazionale.
Il costo dell’iscrizione è di 250.00 dollari
per persona e comprende l’alloggio, il cibo,
i trasporti e il materiale dell’incontro.
È previsto anche un parziale aiuto finanziario per chi fosse in difficoltà, ma desiderasse ugualmente partecipare; è necessario
ITALIA
CITTÀ DEL VATICANO
Nuovo vescovo domenicano
Il papa Benedetto XVI ha nominato vescovo di Orano (Algeria) fra Jean Paul Vesco,
provinciale della provincia di Francia. L’ordinazione episcopale è avvenuta il 25 gennaio 2013 ad Orano; il consacrante principale è stato l’arcivescovo di Lione, il cardinale Philippe Barbarin; erano presenti numerosi frati della provincia.
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inviare la richiesta all’indirizzo mail seguente: [email protected]
Le lingue dell’incontro saranno quelle ufficiali dell’Ordine: inglese, spagnolo e francese, con traduzione simultanea durante le
assemblee generali.
Dopo l’incontro mondiale avrà luogo l’Assemblea generale dei rappresentanti dell’IDYM nei giorni 16 e 17 luglio. L’obiettivo dell’Assemblea è quello analizzare e
riflettere sul cammino compiuto dal Movimento e proporre delle nuove linee per
rispondere ai giovani di oggi in linea con il
bisogno della nuova evangelizzazione;
potrebbe essere il caso di modificare lo statuto, se fosse necessario, ed eventualmente
promuovere una rinnovata coordinazione
internazionale.
Normalmente, secondo lo Statuto, dovrebbero partecipare solo due delegati per nazione in cui è costituito ufficialmente
l’IDYM; tuttavia per offrirci la possibilità di
pensare al futuro della predicazione della
gioventù domenicana, l’Assemblea sarà
aperta – con un diritto di voto differente –
a due rappresentanti di ogni nazione presenti all’incontro mondiale.
Per quanti tra i giovani presenti desiderassero rimanere ancora alcuni giorni a Bogotà per poi partecipare alle Giornate Mondiali della Gioventù a Rio de Janeiro – Brasile – potranno essere ospiti delle strutture
domenicane con prezzi modici; chi lo desidera può contattare direttamente i rappresentanti del IDYM in Colombia al seguente
indirizzo: [email protected]
DOMINICUS
Pubblicazione periodica della Provincia
Domenicana “San Domenico in Italia”
Via San Domenico 1
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20093 Cologno Monzese
(Notizia trasmessa da suor Ginevra Rossi o.p. segretaria esecutiva dell’IDYM)
In copertina
AMÉLIE LE MEUR, San Domenico
(studio), Chieri 2011.
Autorizzazione Tribunale di Bergamo
n 4319 del 30/10/1997
Anno XVI - n.1
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Rinnovo abbonamento
Carissimi lettori di Dominicus,
Ormai da alcuni anni pubblico il bilancio della nostra rivista: penso sia importante perché ognuno di voi si renda personalmente conto di quanto realmente
costa la produzione di Dominicus. Quest’anno il deficit è stato di -6.288,00 euro
tenendo conto puramente delle spese di produzione e spedizione e degli abbonamenti ricevuti.
Come gli anni precedenti pensiamo sia importante mantenere lo stesso contributo per l’abbonamento a Dominicus, cioè 20.00 euro, un costo ancora accessibile
a molti. Per quanti possono, invito caldamente a versare qualcosa in più per
sostenere le nostre fatiche, in modo tale che chi è nel bisogno possa continuare a
ricevere la nostra rivista. Inoltre sono convinto che quanti leggono Dominicus si
trovino in un clima di famiglia e proprio questa familiarità, lo spero, spinga
molti di voi anche alla solidarietà.
Come in ogni numero di Dominicus troverete il bollettino postale che potrete
utilizzare per rinnovare il vostro abbonamento o fare un’offerta per solidarietà.
Vi chiedo di segnalare Dominicus ai vostri amici e conoscenti, perché persone
nuove possano essere raggiunte dalla nostra rivista ed unirsi alla nostra famiglia.
Con un pensiero riconoscente per ognuno di voi assicuro per tutti un ricordo
nella preghiera.
fra Roberto Giorgis o.p.
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numero 1 - Frati Domenicani