Giornata Scientifica
“Criticità geologiche del territorio pugliese: esempi e metodi di studio”
22 giugno 2011
Aula Magna
Palazzo Scienze della Terra
Campus Universitario
Via E. Orabona 4
BARI
ORGANIZZAZIONE
Comitato organizzatore
Giuseppe Baldassarre
Vincenzo del Gaudio
Pierfrancesco Dellino
Rocco Laviano
Luisa Sabato
Editing del volume
Nicola Mongelli
Mercoledì 22 giugno 2011 presso l'Aula Magna del Palazzo di Scienze della Terra, sito
nel Campus universitario dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” si è svolta una
giornata scientifica dal titolo: “Criticità geologiche del territorio pugliese: esempi e metodi
di studio”.
Tale giornata è stata organizzata dal CIRISIVU (Centro Interdipartimentale sulla
mitigazione del Rischio Sismico e Vulcanico) e da un nuovo dipartimento, appena
costituitosi: il DISTeGeo (Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali).
Quest’ultimo nasce dall’unione del Dipartimento di Geologia e Geofisica e del Dipartimento
Geomineralogico, entrambi vivaci realtà dell'Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, con
lo scopo di aggregare in un unico soggetto accademico tutti i ricercatori le cui competenze
ricadessero nel campo delle Scienze della Terra. Il nuovo Dipartimento diventa quindi un
sicuro riferimento culturale, scientifico e di consulenza per tutti gli argomenti che ricadano
nel campo della geologia in senso lato.
La giornata ha avuto inizio con i saluti del delegato del Rettore, prof. Stefano Bronzini,
dei Presidi rispettivamente della Facoltà di Scienze prof. Paolo Spinelli e della II Facoltà di
Scienze Prof.ssa Sivia Romanelli, dell’Assessore alla Qualità dell’Ambiente della Regione
Puglia Prof.ssa Angela Barbanente, del rappresentante per l’Autorità di Bacino della Puglia,
dr. Nicola Palumbo, del Presidente dell’Ordine dei geologi della regione Puglia, dr.
Alessandro Reina, del Presidente della SIGEA Società Italiana di Geologia Ambientale
Puglia dr. Salvatore Valletta, e dei Direttori del CIRISIVU Prof. Pierfrancesco Dellino,
dell’ex Dipartimento di Geologia e Geofisica Prof. Giuseppe Baldassarre e dell’ex
Dipartimento Geomineralogico Prof. Rocco Laviano. Gli interventi hanno sottolineato
l'importanza delle Geoscienze non solo nel campo della ricerca e della didattica, ma anche
nell'ambito della conoscenza del territorio per supportare scelte di pianificazione e sviluppo
regionale, non trascurando i principi di uno sviluppo sostenibile.
Il programma scientifico della giornata è stato molto intenso, con 30 comunicazioni, di
cui ben 23 orali e 7 in formato poster. La maggior parte delle comunicazioni sono state
presentate dagli afferenti al nuovo Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, fatta
eccezione per alcune ad invito, presentate da ricercatori di altre sedi universitarie o di enti di
ricerca, con i quali sono in atto, o possono realizzarsi nel prossimo futuro, interessanti
collaborazioni scientifiche. Le comunicazioni hanno riguardato numerose tematiche, tutte
focalizzate alla risoluzione di problemi relativi alle caratteristiche geologiche del territorio
pugliese fra cui: lo studio, la salvaguardia e la tutela dell’ambiente costiero, lo studio, la
tutela e la valorizzazione delle risorse idriche e delle risorse geotermiche, lo studio dei
fenomeni franosi e di sprofondamento (sinkholes), lo studio ed i problemi connessi con la
sismicità, lo studio e la valorizzazione del patrimonio geologico/paleontologico, con
particolare riferimento alle orme di dinosauro.
Lo scopo della giornata scientifica è stato quello di far conoscere all’esterno quante e
quali sono le competenze geologiche esistenti all’interno del nuovo Dipartimento di Scienze
della Terra e Geoambientali. La presenza al tavolo di rappresentanti di enti pubblici, e
l’interesse riscosso da una folta platea (formata fra gli altri da professionisti geologi e da
studenti dei corsi di Laurea in Scienze Geologiche), che ha assistito fino all’ultima relazione
nonostante l’ora tarda, dimostra il grande interesse nei confronti delle Scienze della Terra
La giornata è stata definita “una festa” per celebrare l’aggregazione fra ricercatori
impegnati nello studio delle numerose peculiarità geologiche del territorio pugliese, fragile,
ma molto ricco di risorse e di beni naturali, che hanno necessità di essere studiati, valutati e
tutelati da esperti nel campo geologico.
INDICE
Andriani Gioacchino Francesco, Baldassarre Giuseppe, Cacciapaglia Giuseppe &
Cilumbriello Antonietta
Modelli geologico tecnici e idrostratigrafici per la tutela e la valorizzazione delle risorse
naturali, ambientali e culturali
1
Baldassarre Giuseppe, Capolongo Domenico, Ciaranfi Neri, Festa Vincenzo, Gallicchio
Salvatore, Moretti Massimo, Straziuso Katia, Tropeano Marcello & Walsh Nicola
Il contributo della cartografia CARG nella conoscenza della criticità geologica nel
territorio pugliese
2
Caldara Massimo, Capolongo Domenico, Infante Marco, Marsico Antonella & Pennetta
Luigi
Gli effetti delle modifiche alle difese costiere rilevate con la tecnologia laser scanner
terrestre
3
Caldara Massimo, Capolongo Domenico & Pennetta Luigi
Effetti negativi di una gestione costiera inefficace e scoordinata nel golfo di
Manfredonia
(Puglia, Italia Meridionale)
4
Del Gaudio Vincenzo
La pericolosità sismica nel territorio pugliese
5
Dellino Piero, Mele Daniela, Mega Mario, Pagnotta Eugenio, De Giosa Francesco,
Taccardi Gabriella, Ungaro Nicola & Costantino Gaetano
Multidimensional analysis of data from Bari Harbour: a GIS based tool for the
characterization and management of bottom sediments
6
De Serio Francesca & Mossa Michele
Vulnerabilità delle aree marine soggette agli scarichi
10
Festa Vincenzo, Siniscalchi Agata, De Giosa Francesco, Tripaldi Simona & Tropeano
Marcello
Lesina Marina subsurface: a resistivity image of the dissolution zone above the Burano
Anhydrites bedrock
19
Filograno Giovanni, Lagna Francesca & Pennetta Luigi
Analisi idrologica e geomorfologica del bacino idrografico del torrente Asso (Salento
centro occidentale)
20
Filograno Giovanni, Marsico Antonella & Pennetta Luigi
Studio dei dissesti ubicati lungo la linea ferroviaria Potenza Metaponto
21
Filograno Giovanni, Marsico Antonella & Pennetta Luigi
GIS, cartografia storica e aerofotogrammetria per l’analisi della variazione delle linee
di costa. Il caso del paraggio compreso tra le foci del Saccione e del Fortore (1957–2008)
22
I
Giandonato Pietro Blu
Metodologie e tecnologie per l’attuazione di procedure di allerta precoce (early
warning) e di supporto alle decisioni nel rischio geomorfologico a scopi di Protezione
Civile
23
Giannandrea Paolo & Capolongo Domenico
Rapporti tra variazioni climatiche, sollevamenti tettonici e processi di erosione e
sedimentazione nella media valle del fiume Ofanto
24
Gioia Dario, Gallicchio Salvatore, Moretti Massimo, Sabato Luisa & Tropeano Marcello
Evoluzione quaternaria dei depositi continentali terrazzati del settore settentrionale del
Tavoliere di Puglia: il confronto fra sistemi deposizionali del Pleistocene e dell’Olocene
25
Infante Marco, Capolongo Domenico, Marsico Antonella, Caldara Massimo & Pennetta
Luigi
Prime applicazioni della tecnologia laser scanner relative alla verifica di stabilità dei
versanti in roccia. Caso della falesia marina in località Vignanotica sul promontorio del
Gargano, Puglia
26
Liotta Domenico, Santaloia Francesca ed il Gruppo di lavoro VIGOR
Le risorse geotermiche della Puglia: metodo di analisi e di studio nell’ambito del
progetto VIGOR
27
Loiacono Francesco
La Ricerca Scientifica per una gestione integrata della fascia costiera
28
Maggiore Michele, Pagliarulo Pietro, Chieco Michele & Zuffianò Livia Emanuela
Possibili fonti di energia idrogeotermica in Puglia e nella provincia di Matera
29
Mastronuzzi Giuseppe, Ferilli Stefano, Capolongo Domenico, Marsico Antonella, Micella
Maurilio, Pennetta Luigi, Pignatelli Cosimo & Piscitelli Arcangelo
Ricostruzione delle sequenze storiche dell’impatto di ondazioni eccezionali e
applicazioni informatiche per la valutazione del limite di inondazione
30
Miccoli Maria Nilla, Capolongo Domenico & Piccarreta Marco
Metodologia per l’individuazione dei processi erosivi e delle condizioni soglia per la
canalizzazione
31
Moretti Massimo & Spalluto Luigi
Caratteri neotettonici dell’area di San Severo-Apricena (Gargano occidentaleTavoriere di Puglia)
32
Petruzzelli Marco, Iannone Antonia & La Perna Rafael
Le orme di dinosauro in Puglia: emergenze da proteggere
33
Piccarreta Marco, Capolongo Domenico & Giandonato Pietro Blu
Analisi statistica degli eventi pluviometrici estremi in Puglia e loro implicazione sui
rischi geo-ambientali
38
II
Polemio Maurizio
Le criticità delle risorse idriche sotterranee pugliesi
40
Sabato Luisa, Longhitano Sergio, Cilumbriello Antonietta, Gioia Dario, Spalluto Luigi &
Kalb Claudio
La salvaguardia delle coste sabbiose: il caso-studio del sistema costiero del Bosco
Pantano di Policoro (Basilicata)
41
Sulpizio Roberto, Festa Vincenzo, Fiore Antonello, Parise Mario & Siniscalchi Agata
The sinkholes of Apulia region (southern Italy) as analogues for collapsing caldera
structures at volcanoes
47
Trabace Maria & de Lorenzo Salvatore
Anisotropia sismica della crosta superficiale nella regione Umbria Marche
49
Triggiani M., Refice Alberto, Capolongo Domenico, Bovenga Fabio & Caldara Massimo
Studio della subsidenza nel golfo di Manfredonia (Foggia) con l’ausilio di tecniche dinsar: primi risultati e prospettive future
56
Tropeano Marcello, Chiarella Domenico, Longhitano Sergio, Sabato Luisa, Spalluto Luigi,
Cilumbriello Antonietta, Gallicchio Salvatore, Gioia Dario, Moretti Massimo & Pepe
Mariangela
La sedimentazione mista terrigeno-carbonatica in Puglia e Basilicata
57
III
Giornata Scientifica
“Criticità geologiche del territorio pugliese:
esempi e metodi di studio”
22 giugno 2011
ATTI
Modelli geologico tecnici e idrostratigrafici per la tutela e la
valorizzazione delle risorse naturali, ambientali e culturali
Andriani Gioacchino Francesco, Baldassarre Giuseppe,
Cacciapaglia Giuseppe & Cilumbriello Antonietta
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
Gli studi e le ricerche sulle cause ed i meccanismi di dissesto idrogeologico, dei fenomeni di degradazione
dei materiali naturali, di flusso di idrocarburi liquidi e gassosi nei mezzi porosi hanno dimostrato la stretta
relazione tra parametri geologico ambientali del territorio e proprietà fisico-meccaniche dei materiali coinvolti.
L’approccio al problema della valutazione dei fattori e della molteplicità delle azioni che possono determinare il
movimento di fluidi all’interno di mezzi porosi non differisce, nelle sue linee generali, da quello seguito nella
soluzione di altre problematiche connesse ai processi di degradazione delle rocce o di instabilità di un sistema
naturale. In questo contesto rientrano gli studi sui caratteri di porosità e di permeabilità dei corpi sedimentari e di
modelli deposizionali bi- e tridimensionali per l’individuazione di trappole stratigrafiche o serbatoi per
idrocarburi, le analisi strutturali, tessiturali e fisico-meccaniche, con riferimento specifico ai processi, alle cause
ed alle forme della degradazione dei materiali lapidei, gli studi geologico-strutturali, geomorfologici,
geomeccanici relativi a fenomeni di instabilità del territorio ed, in particolare, a quelli di arretramento costiero e
di frana l.s. in versanti naturali ed artificiali.
Particolare attenzione viene rivolta ad aree di interesse naturalistico-culturale (geositi, aree protette etc.),
storico-artistico (centri storici, beni monumentali), ad alto rischio idrogeologico ed a quelle che potrebbero
contenere risorse naturali sotterranee.
L’obiettivo generale dell’attività di ricerca svolta dal nostro gruppo mira alla definizione di metodologie di
studio e di analisi per la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali e all’individuazione di strategie di
gestione del rischio con proposte di intervento e di protezione del territorio e dei manufatti di interesse storicoarchitettonico. In questo contesto rientrano gli studi sulle proprietà geologico-tecniche dei terreni affioranti in
aree del territorio regionale più sensibili al dissesto idrogeologico, con particolare riferimento alle aree
appenniniche e costiere, sui caratteri fisico-meccanici, petrografici, tessiturali e microstrutturali nonché sulle
forme di degrado di alcuni litotipi affioranti in Puglia e Basilicata (calcari e calcareniti), utilizzati come materiale
naturale da costruzione o come pietra ornamentale in opere monumentali.
L'attività di ricerca è svolta sia in sito sia in laboratorio e comprende diversi aspetti: 1) individuazione di aree
potenzialmente instabili, di aree di interesse storico-architettonico e di quelle suscettibili di sfruttamento delle
risorse naturali; 2) definizione di modelli geologico-tecnici e idrostratigrafici attraverso rilievi in situ; 3)
classificazione dei terreni affioranti e prime valutazioni sui fattori di rischio naturale ed antropico; 4)
campionamento dei principali litotipi; 5) valutazione delle proprietà petrofisiche e meccaniche dei terreni, anche
attraverso studi mirati sui caratteri microporosimetrici e di permeabilità, utili ai fini sia dell'individuazione delle
trappole stratigrafiche sia dell'analisi dei processi e delle forme della degradazione; 6) valutazione della
durevolezza dei materiali naturali, attraverso prove di invecchiamento accelerate con camera climatica e test
meccanici di laboratorio; 7) definizione di modelli di deterioramento dei materiali naturali; 8) proposte di
intervento, strategie di salvaguardia, piani di sfruttamento naturale, gestione sostenibile delle risorse naturali.
Attualmente l’attenzione è rivolta, in particolare, ai processi di infiltrazione nell’insaturo ed alla realizzazione
di modelli idrostratigrafici utili alla valutazione dei caratteri di permeabilità dei terreni nell’analisi dei
meccanismi di ricarica, di flusso e di trasporto di inquinanti nel sottosuolo. Tali modelli sono basati sulla
distribuzione nello spazio delle facies che, a loro volta, derivano essenzialmente dalla conoscenza teorica dei
processi che governano la dinamica sedimentaria nei vari contesti deposizionali, l’evoluzione dei vari sistemi
deposizionali in condizioni di stazionarietà dei livelli di base ed in condizioni di variazioni di breve, medio e
lungo periodo dei livelli di base.
Nell’ambito del progetto di ricerca di Ateneo dal titolo “Studio delle proprietà tecniche e del comportamento
fisico-meccanico di rocce sedimentarie sciolte e lapidee, sulla base di modelli geologico-stratigrafici di
riferimento”, di recente, per l’area metapontina, è stato realizzato un modello tridimensionale di distribuzione
delle facies, integrato con misure delle proprietà fisico-meccaniche di campioni di terreno prelevati da carote di
sondaggio. Tale studio ha consentito l’individuazione, alla scala regionale, delle principali unità idrogeologiche
della piana costiera metapontina e la modellazione idrostratigrafica dell’acquifero costiero sepolto.
1
Il contributo della cartografia CARG nella conoscenza della
criticità geologica nel territorio pugliese
Baldassarre Giuseppe, Capolongo Domenico, Ciaranfi Neri, Festa Vincenzo, Gallicchio
Salvatore, Moretti Massimo, Straziuso Katia, Tropeano Marcello & Walsh Nicola
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
Questa presentazione ha lo scopo di mostrare l’importanza dei dati della geologia di superficie nello sviluppo
delle conoscenze delle Scienze della Terra e nella gestione del territorio. A tale scopo saranno illustrati i risultati
ricavati durante le operazioni di rilevamento geologico effettuate per la realizzazione del Foglio Geologico 407
“San Bartolomeo in Galdo” alla scala 1:50.000 della nuova Cartografia Geologica d’Italia e verrà mostrato come
queste siano risultate di particolare importanza per la realizzazione di una carta tematica sperimentale di tipo
applicativo (Carta della Pericolosità per Franosità) realizzata per lo stesso Foglio nell’ambito dello stesso
progetto CARG.
L’area compresa nel Foglio 407 “San Bartolomeo in Galdo” si ritrova a cavallo tra il Subappennino Dauno e
il Tavoliere di Puglia, due domini geologico-strutturali dell’Orogene appenninico (il fronte della catena e
l’avanfossa plio-quaternaria) che presentano caratteri e problematiche geologiche specifiche.
Il nuovo quadro geologico di riferimento ha permesso di evidenziare nuovi elementi significativi sia per la
comprensione di problematiche prettamente scientifiche che per lo sviluppo di tematiche relative alla
mitigazione del rischio geologico. In particolare nell’area appenninica sono state poste le basi per la
comprensione dei fattori che regolano il dissesto idrogeologico, che è uno dei problemi più gravosi che
affliggono quest’area; nell’area del Tavoliere, invece, sono stati evidenziati tutti quegli elementi geologici e
geomorfologici che favoriscono i fenomeni alluvionali che negli ultimi anni hanno devastato più volte questo
territorio.
Per entrambe le aree, inoltre, è stato possibile ricavare tutti quegli elementi geologici, geomorfologici e
strutturali che favoriscono l’amplificazione sismica, carattere molto importante nella pianificazione territoriale in
quanto il settore in oggetto ricade in aree sismiche che secondo la normativa vigente vengono classificate con
grado di pericolosità sismica 1 e 2.
2
Gli effetti delle modifiche alle difese costiere rilevate con la
tecnologia laser scanner terrestre
Caldara Massimo, Capolongo Domenico,
Infante Marco, Marsico Antonella & Pennetta Luigi
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
La fascia costiera del Golfo di Manfredonia (Puglia, Italia meridionale) è interessata da fenomeni di erosione
dovuti alla combinazione di fattori naturali e antropici. Per proteggere quest’area sono state costruite differenti
opere di difesa, realizzate, però, in maniera disorganica e in tempi diversi, a seconda dei tratti interessati da più
intensa erosione. Recentemente l’area è stata oggetto di un monitoraggio condotto con diverse metodologie
nell’ambito del P.O.R. Puglia 2000-2006. I rilievi di dettaglio delle difese e della spiaggia sono state effettuati in
più fasi con il laser scanner terrestre e con il DGPS in dotazione al dipartimento. In particolare, è stata studiata la
porzione settentrionale del litorale di Zapponeta dove i pennelli sono stati interessati da profondi interventi di
modifica. Le preesistenti difese a L, rilevate nel 2007, sono state sostituite da strutture rettilinee, perpendicolari
alla costa e parzialmente immergenti, monitorate nel 2008. Un ultimo rilievo è stato condotto a novembre 2009.
Fig. 1 - Variazione della linea di costa ottenuta dalla sovrapposizione delle nuvole di punti georiferite.
L’implementazione e l’elaborazione dei dati rilevati in campagna hanno portato alla realizzazione di un
modello 3D dell’area studiata sul quale è stato possibile effettuare una serie di misurazioni. Il confronto fra le tre
nuvole di punti georiferite ha consentito di apprezzare come, nell’intervallo di tempo considerato, la linea di
costa si sia rimodellata (Fig. 1). I vecchi pennelli con profilo ad “L” registravano un accumulo sul lato destro,
dovuto alla corrente lungocosta, e un forte insabbiamento nel tratto a N, tanto che la spiaggia si era andata ad
agganciare alla testata della difesa. In seguito alle modifiche, si è rilevata una distribuzione della sabbia verso il
lato meridionale delle nuove strutture rettilinee, con forte erosione della porzione settentrionale dei pennelli ad
“L”. Il confronto evidenzia una forte perdita di materiale, molto intenso nel periodo immediatamente successivo
alla modifica, nell’ordine di circa 8.000 m3. Si è ridotta la lunghezza della spiaggia e si rileva un aumento della
pendenza a ridosso della duna artificiale. Con queste caratteristiche il litorale è diventato più vulnerabile
all’impatto delle mareggiate per il diminuito effetto di attenuazione del moto ondoso, con notevoli ripercussioni
negative sulle attività economiche dell’area.
Questa prima analisi sembra dimostrare che le opere realizzate non hanno portato nessun concreto
miglioramento, anzi, si segnala una ripresa del fenomeno erosivo dopo la relativa stabilizzazione del tratto
costiero seguita al primo intervento.
3
Effetti negativi di una gestione costiera inefficace e scoordinata
nel golfo di Manfredonia
(Puglia, Italia Meridionale)
Caldara Massimo, Capolongo Domenico & Pennetta Luigi
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
L’arretramento della costa nel Golfo di Manfredonia è un processo in atto a cui si è cercato fino ad oggi di
contrastare i soli effetti locali, senza tentare di affrontare il problema nella sua globalità. Le conseguenze di
questi interventi sono state a volte più dannose del problema stesso. L’analisi diacronica (effettuata con l’utilizzo
di differenti cartografie ed ortofoto effettuate fra il 1954 ed oggi, unitamente ad una serie di riprese aeree e rilievi
fotografici ripetuti frequentemente) condotta su quattro aree critiche (Orno, Torre Pietra, Mortella e Ippocampo)
ha permesso di individuare una serie di “errori di valutazione” che nel complesso dimostrano una incolta
gestione del patrimonio costiero da parte degli Enti preposti.
Il problema più importante è la mancanza di organicità negli interventi che tenga conto della reale unità
fisiografica del Golfo di Manfredonia e della sua dinamica complessiva. In un'area che presenta un'alta criticità
le opere vengono progettate e realizzate solo su scala locale e da troppe figure (Amministrazioni Comunali,
Consorzio di Bonifica della Capitanata, Genio Civile Opere Marittime e singoli privati).
L’insuccesso di molti degli interventi è imputabile non già (o non soltanto) alle caratteristiche strutturali delle
opere, quanto al loro posizionamento, attuato secondo criteri che troppo spesso paiono obbedire a logiche sociali
e politiche piuttosto che a ragioni di natura fisico-dinamica. Le motivazioni che hanno indotto tali scelte sono da
ricollegarsi all’ubicazione dei diversi agglomerati urbani, degli stabilimenti balneari e, non ultime, alle abitazioni
sparse di privati che hanno provveduto in proprio alla difesa della proprietà.
Lo studio della dinamica locale suggerisce che nei luoghi in cui l’interasse tra i pennelli è troppo ampio, o
laddove gli interventi di difesa terminano bruscamente, l’erosione risulta accelerata e spesso costringe a
successivi e frettolosi interventi. La forma della costa che ne è risultata è quella di una spiaggia caratterizzata da
ripetute falcature causate da interventi in aree limitate e reiterati nel tempo (per esempio, l'area di Mortella).
L’uso improprio di interventi d’urgenza, quali gabbionate, a cui non segue nel tempo un’opera di tipo
definitivo o perlomeno una manutenzione costante delle strutture (Ippocampo) sembrerebbe riconducibile al
valore economico “modesto” delle aree che si dovrebbero proteggere. Certamente la successiva erosione indotta
porterà ad interventi in situazioni critiche con costi sociali ed economici maggiori.
Nel presente studio si è cercato di mostrare come una corretta analisi geomorfologica, integrata da
misurazioni quantitative dei processi in atto (oggi possibile grazie all’ausilio di nuove tecnologie) risulta
indispensabile per la caratterizzazione della dinamica costiera a varie scale spaziali e temporali. Quest’ultimo
aspetto è imprescindibile per una corretta pianificazione degli interventi.
4
La pericolosità sismica nel territorio pugliese
Del Gaudio Vincenzo
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
E’ opinione diffusa che il territorio pugliese sia relativamente esente da rischi connessi alla sismicità o che, al
più, ne sia interessato solo marginalmente, con quasi esclusivo riferimento all’area garganica. Occorre tuttavia
sottolineare che la pericolosità sismica di un territorio dipende sia dalla sismicità autoctona, che ha origine
all’interno dello stesso territorio, sia dal risentimento di eventi di elevata energia generati da strutture
sismogenetiche attive in aree geograficamente vicine. Riguardo alla sismicità autoctona, se è vero che la
ricorrenza temporale di eventi di elevata energia presenta una frequenza inferiore rispetto alle aree
dell’Appennino meridionale, diversi studi hanno comunque evidenziato che eventi di impatto catastrofico si
sono verificati in Puglia in più occasioni. A tal riguardo l’idea che questa fenomenologia riguarderebbe solo il
Gargano è fuorviante, dato che, in realtà, le peggiori catastrofi sismiche (con numero di vittime dell’ordine delle
migliaia), hanno colpito soprattutto l’area del Tavoliere. Per esempio l’evento con il bilancio di vittime più
elevate (circa 5000) è stato un terremoto di magnitudo stimata tra 6.5 e 6.9, che nel 1627 ha interessato un’area
compresa tra Lesina, San Severo e Serra Capriola. In concomitanza di tale evento fu generato anche uno tsunami
che sommerse l’abitato di Lesina. Altri terremoti che hanno causato un elevato numero di vittime hanno colpito
le aree attorno ad Ascoli Satriano (nel 1361) e tra Foggia e Cerignola (nel 1731). Comunque, eventi che hanno
prodotto danni rilevanti e vittime si sono verificati occasionalmente anche in altre parti della regione, come, per
esempio, a Barletta nel 1561 e a Nardò nel 1743. Riguardo a quest’ultimo evento, che causò 150-200 vittime, è
ancora poco chiaro se i gravi effetti a Nardò furono dovuti a condizioni di amplificazione di sito in relazione ad
un forte evento localizzato nell’area del Canale d’Otranto, o se vi sia stata, in concomitanza con il suddetto
evento, anche l’attivazione di una struttura tettonica locale. Non va inoltre trascurato che danni gravi ed, in
qualche caso, anche vittime, sono stati registrati in alcuni centri della Puglia al margine della catena
Appenninica, in occasione di terremoti generati da strutture sismogenetiche collocate al di fuori del territorio
regionale.
Il quadro di informazioni provenienti dagli studi di sismicità storica evidenzia, quindi, che la pericolosità
sismica del territorio pugliese e tutt’altro che trascurabile e va attentamente valutata ai fini di una corretta
definizione dei parametri di progettazione delle opere di ingegneria civile e per la definizione di prescrizioni e
vincoli nell’uso del territorio. Data la frammentarietà delle informazioni di tipo storico, per una stima attendibile
della pericolosità sismica nelle diverse parti del territorio pugliese è di fondamentale importanza l’integrazione
di diverse fonti di informazione, quali, accanto ai dati di sismicità storica, quelle sulla sismictà di bassa energia
rilevabile strumentalmente e quelle derivabili dalle evidenze geologiche e morfologiche di eventi sismici
verificatisi nel passato. Tra le priorità da considerare negli studi di pericolosità sismica di base e locale, vanno
annoverate principalmente la individuazione delle strutture sismogenetiche responsabili dei maggiori terremoti
del passato (come quello del 1627) e la individuazioni, attraverso studi di microzonazione, delle condizioni
geologiche locali che possono amplificare gli effetti di terremoti o possono comportare effetti secondari
pericolosi indotti da eventi anche relativamente distanti.
5
Multidimensional analysis of data from Bari Harbour: a GIS
based tool for the characterization and management of bottom
sediments
Dellino Piero1, Mele Daniela1, Mega Mario 2, Pagnotta Eugenio2, De Giosa Francesco3,
Taccardi Gabriella3, Ungaro Nicola4 & Costantino Gaetano4
1
Università di Bari – Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Via E. Orabona 4 - 70125 Bari - Italy
2
Autorità Portuale del Levante, P.le C. Colombo, 1 – 70121 Bari – Italy
3
Coastal Consulting & Exploration, Via Aulisio, 59/61 - 70124 Bari - Italy
4
ARPA Puglia, C.so Trieste 27 – 70126 Bari – Italy.
ABSTRACT
Many of the Mediterranean harbours are today experiencing criticalities on the management of bottom
sediment. Bari harbour among them is one of the most important, in southern Italy, in terms of both commercial
and touristic activities. Surveys dealing with the geophysical characterization and sampling of harbour sediments
were performed during two campaigns in the period 2009-2011. The aim was twofold: 1) a volume estimation of
the sediment for the purpose of harbour operability; 2) a grain-size characterization for the classification of
sediment quality. The first survey dealt with bathymetric and geophysical features, allowing a detailed
estimation of the total sediment volume. The second survey consisted in a detail spatial sampling of sediments at
different depths. Grain–size analyses were performed, and the first statistical moments were calculated. A
combined elaboration of results from the two surveys lead to a multidimensional representation of the physical
characteristic of sediments by means of a GIS platform. These results represent a good base for the purpose of a
future integrated management of the harbour.
KEY WORDS: harbour sediments, geophysics, grain size, harbour management.
INTRODUCTION
Bari harbour is located along the Adriatic sea and is a multipurpose harbour, meaning it is able to
host both commercial and passenger traffic. It is among the main Italian harbors, considering that it
deals with a yearly commercial displacement of about 5 million tons (mainly dry generic goods) and
about 2 million passenger transits (of which 600000 cruisers). The hydrodynamic characteristics of the
harbour and the geologic nature of its bottom substrate lead to a sediment circulation that provokes
thickening of sediment near the entrance and docks. The sediment accumulation does not allow an
optimum exploitation of the harbour operational depths. For this reason, maintenance dredging is
necessary. Until a few years ago, the Italian State was guaranteeing the maintenance of the harbour’s
sea bottom, through the SEP (harbour excavation service), under the coordination of the Bari Maritime
Service Office, which, by means of its personnel and instrumentation, directly was conducting the
maintenance.
With the harbour reform law (law number 84 of 1994), with which Harbour Authorities were
constituted, the SEPs were suppressed, and their competences were moved to other subjects. The new
legislative framework requires complex procedures for the obtainment of environmental permits,
which dramatically slow down harbour maintenance. In order to organize maintenance activities, a
detailed knowledge of the harbour bathymetry, sediment thickness and grain size is needed. It is to
remember that sediment disposal is regulated by severe environmental laws, especially for the pelitic
fraction (< 0.0064 mm) (ICRAM-APAT, 2007).
MATERIALS AND METHODS
In order to fulfill the above mentioned needs, a stratigraphic and bathymetric survey, followed by a
coring campaign and sediment sampling was performed in the Bari harbour in the period 2008-2011.
The stratigraphic and bathymetric survey, completed in 2009, was carried out for determining the
status of the seafloor and of the facilities such as piers and docks. The survey was certified according
to the IHO Special Order S-44, to produce an instrument of high value for planning and monitoring of
all port related activities. The navigation and geophysical data acquisition system consists of a central
computer equipped with specific softwares Thales PDS 2000 and Communication Technology
6
SwanPro, both interfaced with the positioning and attitude system PosMV Wavemaster, the sound
velocity profiler of the water column Reson SVP-15, the high-resolution multi beam echosounder
transducer Reson SeaBat 8125 and the single-channel sub-bottom profiler Benthos Chirp II. Raw
bathymetric data were processed by CARIS HIPS 7.0 sw, which allows the creation of a weighted grid
called BASE (Bathymetry Associated with Statistical Error) surface, reduced to the mean sea level of
Bari as vertical datum reference. The stratigraphic survey was executed using the high-resolution
seismic reflection methodology.
The probing campaign with sediment sampling was carried out in the period January-February
2011. Cores of 10 cm radius were extracted in the sectors where, by the data of the previous
bathymetric survey, the depth of the sea bottom resulted lower than the operational depth of the
commercial and touristic traffic. The cores were of a length between about 1 and 2.5 m. Sediment
samples were extracted every 50 cm. Most of the cores refer to the inner harbour perimeter and docks.
An area near the harbour entrance was also cored. On the sediment samples, grain-size analyses were
carried out. The grain-size distributions were represented as relative frequency distributions of weight
percent and cumulative distributions.
RESULTS
The stratigraphic survey was executed using the high resolution seismic reflection methodology.
Collected data consist of 87 seismic profiles (fig 1) showing the geometry generated by the major
acoustic reflectors and related to the interfaces between different sedimentary layers. Seismic data
were processed by TEI sw in order to reconstruct the thickness of the loose sediments layer deposited
on the bedrock through the picking operation. The modeling of the surfaces of the seabed and
limestone bedrock respectively, allows to estimate the amount of loose sediment to be dredged in
120,000 m3, in relation to established minimum safety depth for movement and berthing port areas.
Figure 1. A seismic profile. The position of seismic reflectors allows locating the limit between the calcareous rock substrate with the
overlying sediments.
The mosaic of the seismic profiles, performed by using GIS software platforms, allowed the 3d
reconstruction of both the geometry of the rock substrate (fig 2a) and the sediment thickness (fig. 2b),
in the various sectors of the harbor, allowing to highlight the main thickenings and accumulation of
sediments near the harbor entrance and docks.
The grain-size spectrum from the sediment samples analysis covers a range between 2mm and
0.002mm, and is represented by means of the φ metric, where φ is = -log2 d, and d is particle diameter
in mm. From the cumulative distribution the median size, Mdφ (50th percentile of the cumulative
distribution) and sorting, σφ (16th-86th percentile/2), which represent, respectively, a graphic
approximation of the central tendency and of the dispersion of the distribution was calculated (fig.3).
7
Figure 2. a = depth of the calcareous rock substrate. b = sediment thickness. c= sediment grain size.
8
Figure 3. A sediments sample from the Bari harbor: an example of grain-size distribution histogram and cumulative distribution.
CONCLUDING REMARKS
By combining data from the bathymetric investigation and from the grain-size characterization of
sediments, it is possible to evaluate both the total volume of sediments inside the harbour and also the
amount that needs to be dredged for the harbour maintenance. Furthermore, it is possible to highlight
the relationship between sediment thickness and grain size, as shown on figure 2c. Data show a broad
variability of grain size, both as a function of depth and location inside the harbor. These data are to be
interpreted with reference both to the net sediment supply as due to the marine currents and also as a
function of sediment recirculation, inside the harbor, as due to the ships movement. Sediment
recirculation is favored in the front of docks and much attenuated on the docks rear.
In conclusion, starting from these data and by means of further investigation, it will be possible to
implement sediment circulation models in the various sector of Bari harbour, and the relative
sedimentation rate, with the aim of better designing the dimension and effectiveness of maintenance
dredging according to the available rules and guide-lines (AA.VV., 1999; ICRAM-APAT, 2007).
References
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ICRAM-APAT (2007) - Manuale per la movimentazione dei sedimenti marini. Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare, 77 pp.
9
Vulnerabilità delle aree marine soggette agli scarichi
De Serio Francesca & Mossa Michele
Dipartimento di Ingegneria delle Acque e di Chimica, Politecnico di Bari, Via Orabona 4, 70125 BARI
E-mail: [email protected], [email protected]
RIASSUNTO
La progettazione di un impianto di trattamento e del suo scarico deve rispettare sia le norme di qualità
ambientale del corpo idrico recettore sia i parametri fisico-chimici dell’effluente stesso. Per evitare l'azione
inquinante dello scarico, a causa dei processi naturali di diluizione e di auto-depurazione, si utilizzano condotte
sottomarine che allontanano l'acqua depurata e la immettono in mare ad una distanza sufficiente dalla costa che
si intende preservare. Una volta riconosciuto che le correnti marine svolgono un ruolo fondamentale sugli effetti
fisici e microbiologici, il presente studio intende descrivere i risultati di alcune campagne di monitoraggio svolte
nella zona costiera a sud della città di Bari (Italia). L’area oggetto di indagine è prossima allo scarico
dell’impianto di depurazione di Bari Orientale, quindi la sua analisi consente sia di studiare il processo di
diffusione e trasporto del flusso di acque reflue sia di validare i modelli di previsione idrodinamici.
In un primo tempo, queste indagini di monitoraggio sono state effettuate durante l'estate e l’autunno del
2001 e successivamente sono state eseguite nuovamente durante l'inverno 2003 e la primavera del 2003. Un
vessel-mounted Acoustic Doppler Current Profiler (ADCP) è stato usato per misurare le componenti della
velocità alle diverse profondità. Anche i dati di temperatura e la salinità dell'acqua sono stati raccolti mediante
un sistema CTD, mentre l'intensità del vento e la temperatura dell'aria sono stati registrati mediante anemometro
e termometro, rispettivamente, per ciascuna stazione di misura.
PAROLE CHIAVE: scarico a mare, turbolenza, corrente, monitoraggio.
ABSTRACT
The design of a water treatment plant and its outfall must respect both environmental quality standards of the
receptor and physicochemical parameters of the discharge itself. Moreover, to avoid the polluting action of the
outfall, because of the natural processes of dilution and self-depuration, coastal outfall pipes are used to issue the
depurated water at a sufficiently long distance from the preserved shoreline. Once observed that the sea currents
play a pivotal role on physical and microbiological effects, the present study aims to describe the results of some
monitoring surveys carried out in the Southern coastal area of Bari, Italy. The target area neighbours the eastern
wastewater sea outfall system of the city, thus its analysis is necessary for investigating the process of diffusion
and transport of the wastewater outfall and to validate predictive hydrodynamic models.
Firstly, these monitoring surveys were carried out during the summer-autumn 2001 and successively they
were executed again during the winter 2003 and the spring 2003. A Vessel Mounted Acoustic Doppler Profiler
was used to measure the velocity components at different depths. Also salinity and water temperature data were
collected by means of a CTD recorder system, while wind intensity and air temperature were recorded with an
anemometer and a thermometer respectively, for each measurement station.
KEY WORDS: wastewater outfall, turbulence, currents, monitoring.
PREMESSA
Uno degli scopi principali dello studio di uno scarico a mare è quello di prevedere l’area che
potrebbe essere influenzata dai processi naturali di diluizione e di auto-depurazione. In questo modo,
si riesce a garantire l’insorgenza di quei fenomeni idrodinamici necessari per soddisfare gli standard di
qualità delle acque, fissati dai regolamenti vigenti, e dunque si può preservare la costa. Gli scarichi
sono progettati per sfruttare la naturale capacità di assimilazione del mare, al fine di garantire il
minimo impatto ambientale delle acque reflue. Ciò si ottiene promuovendo un intenso mescolamento
iniziale, seguito da una dispersione turbolenta in mare ad opera di correnti variabili nel tempo e nello
spazio (Carvalho et al., 2002). Pertanto, è importante provvedere ad indagini preliminari che possono
evidenziare gli effetti locali e le correnti principali nella regione in esame.
Misurazioni di campo affidabili, di piume provenienti da scarichi, sono rare a causa dei costi
elevati, della variabilità della portata scaricata, delle correnti, della stratificazione e delle dimensioni
estese dell’area da monitorare (Carvalho et al., 2002). Le misure in situ sono tuttavia necessarie, anche
10
al fine di validare i modelli matematici sviluppati per prevedere e riprodurre l'idrodinamica costiera
(De Serio et al., 2007) e il comportamento delle piume in condizioni stazionarie.
Fig. 1 – Area d’indagine. Sistema di riferimento Gauss-Boaga.
Questo lavoro intende analizzare la sensibilità e la vulnerabilità della regione di mare prossima al
diffusore della condotta di allontanamento delle acque reflue dell’impianto di Bari Orientale. Al fine
di garantire il rispetto delle norme di qualità prescritte, il monitoraggio dell’area suddetta deve essere
effettuato in termini di (i) misure fisico-chimiche e batteriologiche, e di (ii) misure di correnti, di moto
ondoso nel paraggio e di vento (Nash e Jirka, 1996; Mossa, 2004 a, b). Tali misurazioni per il
monitoraggio non possono essere limitate alla sola regione prossima al diffusore, ma dovrebbero
essere estese ad un’area più vasta, la cui estensione dipende dal carico inquinante dell’effluente, dalle
correnti marine e dai venti prevalenti in quel sito. Infatti, la cosiddetta regione di campo vicino
(responsabile della risalita della piuma, del mescolamento e della diluizione iniziale) occupa una
frazione molto piccola dell’area globale su cui l’effluente ha impatto (Roberts, 1999). Tale effluente
viene trasportato dalla corrente ben oltre il campo vicino ed è oggetto di diffusione turbolenta nel
cosiddetto campo lontano, dove il mescolamento avviene in maniera molto graduale.
L'obiettivo di questo lavoro è pertanto quello di presentare ed analizzare i risultati di una campagna
di monitoraggio effettuata nell’area indicata in Figura 1, compresa tra le batimetriche 10÷50m, in
prossimità del diffusore di scarico dell’impianto di Bari. Le indagini sono state eseguite nel periodo
estate-autunno 2001, inverno 2002 e primavera 2003, in modo da poter valutare anche una variazione
stagionale dei parametri misurati.
11
ANALISI DELLE MISURE ACQUISITE
L’area target oggetto del presente studio è riportata in Figura 1, con indicazione in rosso del tratto
terminale della condotta sottomarina di scarico dell’impianto di Bari Orientale, compreso tra le
batimetriche dei 15m e dei 20m. Il diffusore dista dalla linea di riva 950m circa, misurati secondo una
direzione quasi ortogonale ad essa. Durante la prima crociera di monitoraggio (estate-autunno 2001) le
indagini sono state condotte nei giorni 12, 17, 20 e 25 luglio, 3 agosto, 22 e 26 settembre. Per motivi
di brevità, nel presente lavoro verranno discussi i risultati delle sole giornate del 22 e 26 settembre
2001 (indicate rispettivamente con le sigle 22S01 e 26S01). In particolare, le misurazioni 26S01 sono
state condotte in un'area molto ridotta adiacente al diffusore, al fine di valutare meglio i fenomeni
diffusivi. Durante la seconda crociera di monitoraggio si sono effettuati sondaggi nelle giornate del 17
dicembre 2002, 03 e 10 marzo 2003. Di questi dati si riporteranno nel seguito solo quelli relativi al 03
e al 10 marzo 2003, indicati con le sigle 03M03 e 10M03, rispettivamente.
Per la misura delle correnti si è utilizzato un correntometro acustico doppler VM-ADP della
Nortek (Fig. 2), collegato ad un giroscopio ed a un DGPS, per tener conto dell’imbarcazione. Al fine
di ottenere la misura vera della velocità della corrente è infatti necessario sottrarre al dato misurato la
velocità della barca (in questo caso sì è utilizzata la cosiddetta tecnica del bottom tracking). Per
misurare la temperatura e la salinità dell'acqua si è usato un registratore CTD Ocean Seven 501 della
Idronaut srl. L'intensità del vento e la temperatura atmosferica sono state misurate rispettivamente
mediante un anemometro della Cometeo ed un termometro della Delta Ohm. Le caratteristiche
dettagliate delle strumentazioni adoperate sono ampiamente descritte in Mossa (2006).
In tutti i casi, le misurazioni sono state condotte arrestando l’imbarcazione sui punti di misura ed
acquisendo le velocità ad intervalli di 2s per un tempo complessivo di 300s.
Fig. 2 – Preparazione (a) e installazione (b) della sonda.
Prima crociera: indagine 22S01
Le misure del giorno 22 settembre 2001, effettuate lungo due transetti paralleli alla costa dalle ore
10:00 alle ore 14:20, hanno interessato un’area di circa 5000 x 3000 m. La direzione media del vento è
risultata pari a N60E, sebbene si sia rilevata una certa variabilità temporale del vento, inizialmente
assente e progressivamente crescente, fino al raggiungimento di valori massimi di 4 m/s.
La corrente marina è caratterizzata da una direzione media sulla verticale sostanzialmente parallela
alla costa (direzione NO-SE). In Figura 3 è riportata la mappa della circolazione ad una profondità di
4m dalla superficie. In rosso sono plottati i vettori di velocità misurati, in nero quelli ottenuti mediante
interpolazione. Si osserva la presenza di un trend orario intorno al diffusore. Le misurazioni mostrano
una riduzione delle componenti di velocità all’aumentare della profondità. Le componenti verticali
della velocità hanno di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quelle orizzontali. Con riferimento
alla mappa di salinità, come ci si attendeva, si nota la presenza di acqua a minore salinità in prossimità
del diffusore (Figura 4), con la formazione di una piuma di acqua più densa che si diffonde verso SE,
coerentemente con la direzione della corrente.
12
22-09-2001
0.2 m/s
4m
4571000
4570500
4570000
4569500
4569000
4568500
4568000
1415000
1416000
1417000
1418000
1419000
1420000
Fig. 3 – Indagine 22S01: componenti di velocità orizzontale e verticale alla profondità di 4 metri. Nel cerchio è indicato il punto di
immissione in mare dell’effluente. Sistema di riferimento UTM.
37.6 g/l
salinità 0.606 m
38.2 g/l
38.2
4571000
38.15
38.1
4570500
38.05
4570000
38
37.95
4569500
37.9
37.85
4569000
37.8
37.75
4568500
37.7
4568000
37.65
1415000
1416000
1417000
1418000
1419000
1420000
37.6
Fig. 4 – Indagine 22S01: distribuzione orizzontale di salinità ad una profondità di 0,6 metri.
Prima crociera: indagine 26S01
Durante questa indagine sono stati rilevati dati su 9 profili verticali dalle ore 11:10 alle ore 13:20. Il
vento è stato particolarmente intenso, raggiungendo valori anche di 14 nodi o superiori. La direzione
media del vento è stata N300E. La direzione media della corrente risulta parallela alla linea di riva,
diretta verso SE. Le componenti orizzontali di velocità hanno raggiunto valori di circa 0.2 m/s. Anche
in questo caso le componenti verticali di velocità sono minori di circa un ordine di grandezza rispetto a
quelle orizzontali. A titolo esemplificativo si osservi la Figura 5, che mostra la mappa della
circolazione a 4m di profondità (vettori misurati in rosso, interpolati in nero). Il diagramma di salinità
di Figura 6 evidenzia un processo di diffusione in direzione SE, coerentemente con i rilievi di velocità.
In questa sola campagna, oltre ai dati correntometrici e CTD, sono stati effettuati dei prelievi di
acqua per le analisi biologiche, alla profondità di 5m, per ottenere la distribuzione di ossigeno
disciolto, BOD5, coliformi totali, coliformi fecali e streptococchi. La mappa di Figura 7 mostra
l’andamento del BOD5, che può ritenersi un indicatore della qualità delle acque. Si nota la presenza di
13
valori maggiori del BOD5 in prossimità del diffusore e una graduale riduzione degli stessi verso SE.
Anche questo risultato è coerente con la direzione della corrente e, dunque, del getto immesso in mare.
0.2 m/s
4m
4569400
4569350
4569300
4569250
4569200
4569150
4569100
4569050
4569000
4568950
4568900
4568850
1417400
1417500
1417600
1417700
Fig. 5 – Indagine 26S01: componenti di velocità orizzontale e verticale a una profondità di 4 metri.
37.6 g/l
salinità 0.606m
38.2 g/l
4569400
4569350
4569300
38.15
38.1
4569250
38.05
38
4569200
37.95
4569150
37.9
37.85
4569100
37.8
37.75
4569050
37.7
37.65
4569000
37.6
4568950
37.55
4568900
4568850
1417400
1417500
1417600
1417700
Fig. 6 – Indagine 26S01: mappa di salinità del ad una profondità di 0,6 metri .
14
BOD 5
0.41 mg/l
5m
2.4 6 mg/l
4569400
4569350
4569300
2.4
2.2
4569250
2
4569200
1.8
1.6
4569150
1.4
4569100
1.2
4569050
1
0.8
4569000
0.6
4568950
0.4
4568900
4568850
1417400
1417500
1417600
1417700
Fig. 7 – Indagine 26S01: mappa del BOD5 ad una profondità di 5 metri.
Seconda crociera: indagine 03M03
Le misurazioni sono state condotte dalle ore 10:30 alle ore 15:00. La temperatura dell’aria è
compresa tra i 9.2 ed i 12.3 °C ed è risultata molto variabile nel tempo a causa delle instabili
condizioni meteo che si sono verificate dovute a forti raffiche di Libeccio. I dati anemometrici rilevati
mostrano infatti una notevole variazione dell’intensità del vento compresa tra 6.0 e 0 m/s e direzione
compresa tra 200 e 230NE. Sono stati effettuati rilievi correntometrici su due transetti di lunghezza
pari a circa 5500m posizionati sulle isobate a 35 e 20m di profondità. Il transetto più al largo è stato
percorso con rotta a sud-est, mentre quello più vicino alla costa in direzione nord-ovest. Le
misurazione condotte mettono in evidenza la presenza di una corrente diretta a sud-est con intensità
maggiore nel transetto corrispondente alla isobata a profondità maggiore. Nel transetto corrispondente
alla isobata dei 35m la intensità della corrente a 4m di profondità varia tra 0.22 e 0.06 m/s e la
direzione varia tra 105 e 153NE, mentre nel transetto più vicino alla costa l’intensità è compresa tra
0.11 e 0 m/s e la direzione tra 84 e 136NE (Fig. 8) All’aumentare della profondità su entrambi i
transetti si verifica mediamente una riduzione della velocità della corrente.
Per quanto riguarda i parametri biochimici si osserva una forte stratificazione sui primi 5m di
profondità caratterizzati da una temperatura prossima a 10°C e salinità 36.5psu, mentre per profondità
maggiori dopo una brusca variazione intorno ai 5m la temperatura si stabilizza ad un valore di circa
13.5°C, mentre la salinità a 38.5psu, mantenendosi sostanzialmente costante al variare della
profondità. I punti rilevati nel transetto al largo mostrano a tutte le profondità un temperatura più
elevata di circa 0.5°C e una salinità più elevata di circa 0.2psu rispetto a quella dei punti nel transetto
più vicino alla costa. A titolo esemplificativo si riporta in Figura 9 la mappa di salinità rilevata a 4m di
profondità.
15
4556500
scale velocity
0.2 m/s
1
2
4555500
3
4
5
6
4554500
18
7
17
8
16
9
15
4553500
10
14
13
12
11
4552500
4551500
2681000 2682000 2683000 2684000 2685000 2686000 2687000
Fig. 8 – Indagine 03M03: circolazione orizzontale alla profondità di 4m.
scale: 36 g/l
38.2
38.1
38
37.9
37.8
37.7
37.6
37.5
37.4
37.3
37.2
37.1
37
36.9
36.8
36.7
36.6
36.5
36.4
Fig. 9 – Indagine 03M03: mappa orizzontale di salinità alla profondità di 4m.
Seconda crociera: indagine 10M03
Le misurazioni sono state condotte dalle ore 11:00 alle ore 16:30. La temperatura dell’aria è
compresa tra i 11.7 ed i 13.2 °C ed è risultata crescente con il passare del tempo. I dati anemometrici
rilevati mostrano la presenza di un vento di Libeccio che si è progressivamente intensificato
determinando nell’ultima ora di misurazione il sensibile peggioramento delle condizioni meteomarine.
Il vento ha avuto direzione di provenienza compresa tra 290 e 340NE ed intensità variabile tra 2.3 e
7m/s. Sono stati effettuati rilievi correntometrici su due transetti di lunghezza pari a circa 5000m
posizionati sulle isobate a 50 e 35m di profondità. Il transetto più al largo è stato percorso con rotta a
sud-est, mentre quello più vicino alla costa in direzione nord-ovest. Le misurazione condotte con
imbarcazione alla deriva o in movimento mettono in evidenza la presenza di una corrente diretta a
sud-est avente ad una profondità di 4m intensità compresa tra 0.34 e 0.69 m/s. All’aumentare della
profondità su entrambi i transetti si verifica mediamente una riduzione della intensità della corrente,
mentre la direzione si mantiene sostanzialmente costante. Dalle misurazioni biochimiche è emersa una
stratificazione alla profondità di circa 5m sia per i valori di temperatura che per quelli di salinità. Per
profondità superiori ai 24m la salinità e la temperatura risultano sostanzialmente costanti. In Figura 10
e 11 si riportano rispettivamente le mappe i corrente e di salinità misurate alla profondità di 4m dalla
superficie.
16
4556000
2
3
4
4555000
5
6
7
8
9
4554000
10
19
18
4553000
17
16
scale velocity
0.2 m/s
4552000
15
14
13
12
11
2681000 2682000 2683000 2684000 2685000 2686000 2687000
Fig. 10 – Indagine 10M03: circolazione orizzontale alla profondità di 4m.
scale: 36 g/l
37.5
37.4
37.3
37.2
37.1
37
36.9
36.8
36.7
36.6
36.5
36.4
36.3
36.2
36.1
Fig. 11 – Indagine 10M03: mappa orizzontale di salinità alla profondità di 4m.
CONCLUSIONI
È noto che le misurazioni necessarie per il monitoraggio di uno scarico in mare di acque reflue
dovrebbe essere condotte in un’area ampia, in modo da studiare il processo di diffusione e di trasporto
dell’effluente. Le indagini analizzate nel presente lavoro, effettuate nei periodi estate-autunno 2001,
inverno 2003 e primavera 2003, sono state effettuate nella zona costiera a sud di Bari (Italia) che
include lo scarico dell’impianto di depurazione (Orientale) a servizio dell’abitato. Si sono esaminati i
dati acquisiti, ovvero vento locale, velocità, temperatura e salinità della corrente. Durante tutte le
indagini condotte, si è osservato un flusso mediamente parallelo alla linea di costa e diretto verso SE,
caratterizzato da intensità decrescenti approssimandosi al fondale marino. I profili verticali di
temperatura e salinità misurati hanno evidenziato una sostanziale uniformità lungo la colonna d'acqua
nel periodo invernale, mentre appare evidente una forte stratificazione durante il periodo primaverile
ed stivo. Le mappe orizzontali di salinità mostrano in genere che la diffusione della piuma con minore
salinità, proveniente dallo scarico, è coerente con le strutture di circolazione rilevate. Si può quindi
concludere che le misure di campo sono necessarie per valutare l'influenza reciproca tra l’immissione
di uno scarico in mare e la circolazione correntometrica circostante. I risultati di questo studio
dimostrano che il monitoraggio deve prevedere: (i) misurazioni fisico-chimiche e batteriologiche che
si estendono ben oltre il punto di immissione dell’effluente in mare, in funzione delle condizioni
idrodinamiche esistenti al momento del campionamento; (ii) misurazioni di corrente, di moto ondoso e
di vento, che identificano le zone a rischio, fornendo l'idrodinamica della zona interessata.
17
Bibliografia
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Lesina Marina subsurface: a resistivity image of the dissolution
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Tripaldi Simona° & Tropeano Marcello*
(*)
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
(**)
Coastal Consulting & Exploration S.r.l., Bari
(°)
Geoprosys S.r.l., Spin-off dell'Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
ABSTRACT
A resistivity image derived by an almost 2 km long and east-west oriented electrical resistivity tomography
permits to outline a dissolution zone at the top of the Burano Anhydrites (Upper Trias) which are present in the
subsurface of Lesina Marina village area (northern Apulia).
The interface between the higher resistive bedrock and the dissolution zone (with lower resistive characters)
is geometrically irregular. But it generally dips toward west, reaching a depth of about 200 m at 1200 m from the
Acquarotta artificial channel, along which the Burano Anhydrites crop out. From 200 m depth the interface
reaches, nearly vertically, the flat topographic surface.
The exposed Burano Anhydrites show high resistivity values. Since very similar values are shown in the
deeper subsurface, we refer the high resistive bedrock to the Burano Anhydrites. A progressive decreasing of
resistivity values toward the interface is recorded in the bedrock. We interpret this transition as the effect of the
hydration of anhydrite, as evidenced by petrographic observations on rock thin sections.
Within the above lower resistive zone, high resistive, decametric to hectometre portions are present with subelliptical shapes, sometimes connected to the bedrock. These portions possibly testify the remnants of Burano
Anhydrites after the dissolution of gypsum under subsurface conditions and in the presence of water. By
contrast, the widespread lower resistive sectors, which include the remnants of Burano Anhydrites, could be
represented mainly by sands, Holocene in age, and voids completely or partially filled by both insoluble material
and products of dissolution, more or less saturated by water.
19
Analisi idrologica e geomorfologica del bacino idrografico del
torrente Asso (Salento centro occidentale)
Filograno Giovanni, Lagna Francesca & Pennetta Luigi
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
Diverse porzioni del territorio pugliese, a causa del loro particolare assetto geologico e geomorfologico,
risultano “naturalmente” esposte a rischio. Non di rado accade che tale criticità scaturisca da irrazionali
interventi antropici di modellamento del territorio.
E’ questo il caso della penisola salentina la quale, per quanto caratterizzata da un assetto morfologico
pressoché tabulare (l’altitudine massima presso Matino è di 198 m s.l.m.) e da una relativa stabilità geologica e
geomorfologica, risulta interessata sempre più frequentemente da eventi alluvionali in grado di paralizzare interi
centri abitati e di mettere in ginocchio l’attività agricola già di per sé debole.
É indiscutibile che i mutamenti climatici degli ultimi anni abbiamo giocato un ruolo importante nella
determinazione di detti eventi calamitosi, ma responsabilità ben più grandi sono da attribuire all’uomo, il quale
ha modificato profondamente il territorio piegandolo alle proprie necessità.
Alla luce di questa delicata situazione, si è deciso di approntare uno studio finalizzato alla caratterizzazione
del più esteso bacino idrografico del Salento: quello del torrente Asso. Partendo dalla definizione delle
caratteristiche geologiche, geomorfologiche ed idrologiche del bacino si è giunti ad evidenziare il ruolo degli
interventi antropici nella modificazione dello stesso e nella conseguente determinazione di un continuo ed
inarrestabile stato di crisi e depauperamento del territorio. I dati su cui si basa il lavoro, vista la notevole
estensione dell’area in studio (circa 280 kmq), si riferiscono ad indagini locali eseguite su siti campione,
controlli su porzioni di territorio effettuate osservando fotogrammi aerei e fonti bibliografiche. Questi dati sono
stati tutti elaborati in ambiente G.I.S..
In particolare, il lavoro si è articolato in due fasi: nella prima, delimitato il bacino naturale del torrente Asso,
sono stati anche determinati i caratteri morfometrici; nella seconda si è tenuto conto delle opere di
antropizzazione da cui deriva la cementificazione di taluni tratti d’impluvio, della nuova conformazione del
torrente e dei suoi affluenti, quindi del nuovo assetto del bacino idrografico.
Dai confronti, ottenuti implementando script atti a semi-automatizzare le operazioni, si è potuto riscontrare
come le sezioni fluviali non sono oggi più proporzionate alle portate medie giornaliere e la permeabilità degli
alvei è stata ridotta fino a raggiungere valori effimeri. L’analisi porta a ritenere insostenibile la attuale situazione
in cui versano il torrente Asso ed i suoi affluenti. Le situazioni di potenziale rischio verso opere e persone sono
dunque accresciute da una realtà fisica non più in equilibrio con lo stato naturale, sostenibile, dal territorio.
20
Studio dei dissesti ubicati lungo la linea
ferroviaria Potenza Metaponto
Filograno Giovanni, Marsico Antonella & Pennetta Luigi
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
Lungo la linea ferroviaria Potenza - Metaponto è stata condotta una campagna di indagini geologiche e
geomorfologiche finalizzate alla valutazione della instabilità da frana per i luoghi oggetto delle indagini. La
partecipazione a tutte le fasi di studio, rilievo e raccolta dei dati geologici e geomorfologici, è nata nell’ambito di
una Convenzione di Studio stipulata tra Università degli Studi di Bari – Aldo Moro ed Italferr S.p.A.
rappresentando un ponte ideale tra il mondo scientifico universitario e la realtà operativa industriale.
Durante la campagna di indagine talune fasi operative previste dalla Azienda sono state integrate con le
moderne tecniche ad esempio di rilievo dei dati geologici e geomorfologici in ambiente G.I.S. tramite l’utilizzo
di un dispositivo di tipo palmare G.P.S. munito software ArcPad. (una versione ‘leggera’ di ArcGis,
espressamente studiata per dispositivi mobili.) I dati così raccolti, assieme a tutte le informazioni (geologiche,
geomorfologiche e geognostiche) inerenti i siti in studio, sono stati successivamente inseriti in geodatabases i
quali hanno costituito la base per l’analisi dei dissesti.
A tutti i differenti layers utilizzati nello studio sono stati associati degli indici descrittivi di tipo numerico ed
alfanumerico successivamente impiegati per l’analisi della propensione al dissesto delle aree.
Alla cartografia geologica, redatta per ognuna delle aree studiate, è seguita una fase di lettura critica delle
fonti bibliografiche inerenti il tema della instabilità da frana e delle problematiche tecniche circa la valutazione
del rischio da frana; come facilmente prevedibile la bibliografia esistente in materia è risultata vasta ed i punti di
vista proposti dagli Autori molto articolati finanche contraddittori.
Dato che la finalità principale dello studio è quella di tentare di fornire strumenti di analisi rapida alle
comunità site in luoghi caratterizzati da una alta propensione al dissesto, tra i tanti metodi di analisi esistenti si è
scelto di utilizzare il quello proposto da Riga, 2008.
Per poter utilizzare il metodo scelto, basato sulla sovrapposizione di più cartografie (geologia, pendenza, uso
del suolo e giacitura), è stato schematizzato e messo a punto in ambiente GIS, un modello esportato come script
eseguibile, con cui rendere semi-atutomatiche le operazioni.
Fondamentalmente si è trattato, tramite operazioni logicamente successive, di: assegnare un indice ad ogni
fattore, per ognuna delle categorie utilizzate (cioè assegnare un valore numerico intero, quindi inserirlo nel
campo apposito dello shapefile, categoria per categoria) e determinare la propensione al dissesto come proposto
dall’Autore dopo avere riclassificato i risultati ottenuti in ambiente G.I.S.
Una volta ottenuta la mappatura della instabilità da frana per le località considerate secondo il metodo
descritto, in ragione del tentativo di sviluppo di un esame più vicino alla reale e situazione geologica, si è deciso
di operare alcune modifiche al metodo originale per renderlo più locale.
Utilizzando le stesse operazioni GIS, già presentate, è stato costruito un altro modello (anch’esso esportato in
formato script eseguibile) in cui, si ritiene, i fattori locali predisponenti trovano una migliore valutazione.
I risultati ottenuti dall’utilizzo delle due metodologie sono stati successivamente confrontati e criticati.
Le metodologie utilizzate per condurre lo studio sono state approntate come tentativo di fornire un esempio
di rapida analisi territoriale operabile in situazioni parossistiche le quali, più o meno velocemente in dipendenza
delle caratteristiche intrinseche proprie di ogni sito, possono determinare l’instaurarsi di condizioni di rischio per
persone ed opere.
21
GIS, cartografia storica e aerofotogrammetria per l’analisi della
variazione delle linee di costa. Il caso del paraggio compreso tra le
foci del Saccione e del Fortore (1957 – 2008)
Filograno Giovanni, Marsico Antonella & Pennetta Luigi
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
Con un perimetro costiero superiore ai 900 km, la Puglia è la regione che presenta il maggior numero di
chilometri di litorale, lungo cui si alternano spiagge rettilinee e tratti rocciosi anche molto frastagliati. Gli arenili
in particolare sono oggi sottoposti ad un intenso stress ambientale, causa prima del loro generale arretramento,
dovuto in larga parte alla pressione antropica ormai quasi insostenibile.
Alla ricerca di un rimedio la Regione Puglia, tramite l’Università degli Studi di Bari ed altri Enti di ricerca,
ha accettato di finanziare nell’ambito dei P.O.R. 2000-2006 un Progetto dal titolo “Monitoraggio degli interventi
di difesa costiera e dell’evoluzione dei litorali”, di cui in questa sede si presenta uno stralcio relativo ad un’area
campione.
Il tratto di litorale studiato riguarda un paraggio di circa 14 chilometri, ubicato nella parte nord della regione
segnatamente tra la foce del torrente Saccione e quella del Fortore. I dati (linee di riva, batimetrie, ecc.) più volte
raccolti nel triennio 2006-2008 sono stati elaborati in ambiente G.I.S. (ArcGis 9.1) e confrontati con quelli
ricavati dalla cartografia storica e dalle foto aeree (1957, 1994, 1999). In particolare, dai dati granulometrici sono
stati ricavati gli indici statistici distintivi dei sedimenti; successivamente, gli stessi parametri statistici sono stati
incrociati secondo gli schemi proposti da Dal Cin per meglio descrivere la dinamica in atto lungo il paraggio in
studio.
In definitiva grazie all’ausilio di tools specifici, espressamente implementati in ambiente G.I.S., è stato
possibile investigare l’intero arco temporale compreso fra il 1957 ed il 2008 tramite l’utilizzo tecniche semiautomatizzate.
In particolare è stata valutata la variazione media delle linee di riva; sono stati costruiti transetti digitali con
passo intertransetto di 25 metri; in fine, servendosi di shapefiles poligonali tramite operazioni successive di
Union, Intersect e Symmetrical Difference, è stata stimata una perdita netta di spiaggia a seguito
dell’arretramento della linea di riva di circa 595.000 m2.
Le analisi condotte palesano una dinamica litorale fortemente negativa nel periodo 1957-2000, con trend alla
stabilizzazione solo negli anni più recenti.
Talune zone del paraggio, le quali appaiono dominate da avanzamento, sembrano più che altro condizionate
da una azione di smantellamento di alcuni tratti sabbiosi e rideposizione dei sedimenti in luoghi, al momento, più
favorevoli. Comunque, il tasso di avanzamento che caratterizza dette limitate porzioni del paraggio, è
nettamente inferiore rispetto agli effetti dell’azione erosiva la quale opera con magnitudo elevata, in generale
lungo tutto il litorale, e con intensità che aumenta in corrispondenza di alcune località quali, ad esempio, la zona
antistante Marina di Chieuti e quella ubicata nei pressi della foce armata del Fortore.
Purtroppo sussistono elementi deboli nella metodica impiegata, quali, ad esempio, l’utilizzo di cartografie a
scala differente, di riprese e di scansioni riferite a intervalli temporali non omologhi e non ultimo l’utilizzo di
formule empiriche per l’analisi di dati tabellari riferiti ai transetti.
L’impossibilità di operare su dati raccolti con regolare cadenza temporale fa ritenere che solo l’analisi
statistica possa permettere il conseguimento di risultati adeguati alla situazione realmente osservabile.
22
Metodologie e tecnologie per l’attuazione di procedure di allerta
precoce (early warning) e di supporto alle decisioni nel rischio
geomorfologico a scopi di Protezione Civile
Giandonato Pietro Blu
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università di Bari "Aldo Moro"
RIASSUNTO
Nell’ambito del XXV Ciclo di Dottorato di Ricerca in Geomorfologia e Dinamica Ambientale, si sta
conducendo una ricerca incentrata sulla possibilità di progettazione e costruzione di un sistema di allerta
precoce, come base delle attività di supporto alle decisioni per affrontare e gestire il rischio geomorfologico.
L’attività di ricerca viene effettuata in collaborazione con il Servizio Protezione Civile della Regione Puglia,
nell’ambito di un protocollo d’intesa tra Dipartimento di Geologia e Geofisica e l’Ente.
La base di conoscenze riguardo il rischio geomorfologico è costituita dalle risultanze dell’attività di ricerca
scientifica condotta a livello regionale da numerosi soggetti, tra i quali il già Dipartimento di Geologia e
Geofisica e il CNR-IRPI. D’altro canto, il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile ha promosso due
importanti progetti scientifici volti proprio a sviluppare metodologie per affrontare il rischio geomorfologico,
anche grazie all’impiego di serie storiche di dati telerilevati e nuove piattaforme satellitari progettate per scopi di
protezione civile (COSMO-SkyMed).
L’obiettivo della ricerca è quello di capitalizzare quanto realizzato dai due progetti, LEWIS e MORFEO, per
arrivare a progettare un prototipo di sistema di allerta precoce relativo ad una area tipo, individuata nel
Subappennino Dauno. Un tale sistema non può comunque prescindere da una base di conoscenze condivisa tra
soggetti scientifici e tecnico-amministrativi che annoveri informazioni e dati geologici, geomorfologici,
meteoclimatici, come pure di base quali foto aeree, immagini satellitari, cartografia tecnica e tematica (es. uso e
copertura del suolo, loro valutazione dei cambiamenti temporali). Una ulteriore e fondamentale componente di
un sistema di early warning è costituito dalle metodologie con le quali devono essere valutati e caratterizzati i
citati dati tematici a scopi di valutazione della pericolosità e del rischio (es. riclassificazione, elaborazione di
soglie pluviometriche).
Allo stato attuale la ricerca è stata incentrata sull’analisi dei due progetti LEWIS e MORFEO, sulla dotazione
di soluzioni tecnologiche del Centro Funzionale Regionale della Protezione Civile regionale, sulla ricostruzione
di alcuni caratteri climatologici del territorio pugliese, sulla costruzione della base di conoscenze in ambiente
GIS, sulla ricostruzione di un catalogo dei fenomeni franosi avvenuti negli ultimi 10 anni.
Le successive fasi prevedono la predisposizione di un prototipo di sistema inferenziale in ambiente GIS, sulla
base del quale verranno processati i dati presenti nella base di conoscenze per poter elaborare mappe di
suscettibilità e di allerta per il rischio di frana. Parallelamente verrà condotto uno studio volto a ricostruire gli
scenari meteo che hanno condotto allo scatenarsi degli eventi franosi censiti, alla successiva possibile
individuazione delle soglie pluviometriche e ad altri parametri geomorfici che possono avere un qualche
controllo sullo scatenarsi degli eventi stessi.
23
Rapporti tra variazioni climatiche, sollevamenti tettonici e
processi di erosione e sedimentazione nella media valle del fiume
Ofanto
Giannandrea Paolo & Capolongo Domenico
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
Si sintetizzano i risultati delle ricerche condotte sui depositi alluvionali terrazzati presenti nel settore
pedemontano della valle del Fiume Ofanto nel tratto, a nord del vulcano Vulture, in cui il corso d'acqua incide i
depositi dell’Avanfossa bradanica. Il lavoro fornisce nuovi dati cronologici e stratigrafici per la comprensione
della genesi della formazione dei depositi terrazzati e per la formulazione di un nuovo modello di incisione della
valle a cominciare dal colmamento dell’avanfossa. Il nostro modello è sostenuto da profili morfostratigrafici e
morfologici longitudinali e trasversali al fiume Ofanto e ai suoi affluenti, da una datazione, mediante
correlazione con la successione vulcanica di Monte Vulture, e da analisi stratigrafiche e sedimentologiche, che
hanno condotto al riconoscimento delle diverse fasi erosive ed episodi deposizionali susseguiti negli ultimi
900ka. I continui cambiamenti climatici, le differenti velocità di sollevamento tettonico regionale
mediopleistocenici e i processi geomorfologici fluviali, condizionati da forti variazioni dei flussi di acqua e
sedimento, hanno portato alla formazione di sette unità alluvionali terrazzate. Quattro di queste (subsintemi di
San Nicola di Melfi, Montelungo, Catapaniello e Casella) sono sospese sul fondovalle attuale e tre sono
incassate una nell’altra, con superfici deposizionali di poco sospese sull’attuale fondovalle, e distribuite ai lati di
una vasta piana alluvionale ghiaiosa con canali braided a forte mobilità laterale. La prima unità terrazzata
(subsintema di San Nicola di Melfi) si individua a tetto di una discontinuità sospesa circa 15 m sul fondovalle
attuale ed è costituita da una spessa successione di depositi alluvionali, a luoghi in rapporto laterale con depositi
vulcanici di Monte Vulture, sia in facies epiclastica sia in facies primaria (di caduta; età:673±19-624±35Ka).
L’età di riferimento delle vulcaniti consente di correlare la sequenza alluvionale con la fase fredda MIS 16,
suggerendo meccanismi di formazione dei terrazzi per cui si susseguono periodi di aggradazione, nei climi
glaciali, seguiti da incisione durante la transizione a un interglaciale. Le successive tre unità terrazzate
(subsintemi di Montelungo, Catapaniello e Casella), disposte, a quote via via superiori, solo sul versante destro
del fiume Ofanto, vengo quindi datate in modo indiretto attribuendole a fasi fredde comprese tra il colmamento
della Fossa Bradanica e 673±19 Ka (stage isotopici MIS 18, 20 e 22). L’asimmetria dei profili trasversali, la
forma dei profili longitudinali del fiume Ofanto e dei suoi principali affluenti, molto vicini all’equilibrio, e la
distribuzione spazio-altimetrica dei terrazzi, fa attribuire la formazione delle quattro discontinuità di base delle
unità terrazzate a un sollevamento tettonico locale precedente alla formazione del rilievo vulcanico di Monte
Vulture, che progressivamente faceva migrare verso nord il fondovalle del fiume Ofanto. Al contrario negli
ultimi 624±35 Ka i sollevamenti tettonici sono notevolmente rallentati e il corso del fiume si è stabilizzato ed ha
allargato notevolmente il suo alveo. Le variazioni climatiche susseguite in questo secondo periodo hanno
determinato la formazione dei tre terrazzi incassati.
24
Evoluzione quaternaria dei depositi continentali terrazzati del
settore settentrionale del Tavoliere di Puglia: il confronto fra
sistemi deposizionali del Pleistocene e dell’Olocene
Gioia Dario, Gallicchio Salvatore, Moretti Massimo, Sabato Luisa & Tropeano Marcello
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
In questo lavoro presentiamo i risultati del confronto fra i dati acquisiti nel corso dei lavori per la Nuova
Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000 sui depositi essenzialmente continentali terrazzati del Tavoliere di
Puglia e recenti studi condotti sui depositi attuali dei torrenti che solcano la medesima area. Tale confronto
presuppone un approccio integrato geologico e geomorfologico ed è stato teso a definire l’evoluzione quaternaria
di questo settore dell’Avanfossa appenninica durante il Quaternario in risposta alla tettonica e ai cambiamenti
climatici.
I risultati più interessanti riguardano il calcolo dei sollevamenti registrati a partire dalla fine del Pleistocene
inferiore all’Attuale, ed il confronto fra i tassi di erosione valutabili attraverso lo studio delle paleosuperfici dei
depositi terrazzati e quelli desumibili attraverso analisi geomorfologiche sui corsi d’acqua attuali.
25
Prime applicazioni della tecnologia laser scanner relative alla
verifica di stabilità dei versanti in roccia.
Caso della falesia marina in località Vignanotica sul promontorio
del Gargano, Puglia.
Infante Marco, Capolongo Domenico, Marsico Antonella,
Caldara Massimo & Pennetta Luigi
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
L’utilizzo della tecnologia laser scanner terrestre (TLS) ha avuto un notevole sviluppo negli ultimi anni ed
una sperimentazione di grande interesse in vari ambiti di studio.
Il Leica HDS 3000 a disposizione della Sezione di Geomorfologia e Dinamica Ambientale, è stato utilizzato
in contesti con problematiche molto diverse tra loro, accomunate dalla necessità di ottenere dei risultati dal
dettaglio non raggiungibile mediante le procedure di rilevamento tradizionali.
Il laser scanner ha la capacità di raccogliere una quantità notevole di dati per unità di tempo da remoto con
una portata di svariate decine di metri; lo strumento si adatta a ricerche in ambiti caratterizzati da difficoltà di
accesso ed iterazione diretta dell’utente con l’ambiente sul quale raccogliere le informazioni.
La scelta di testare la possibilità di eseguire uno studio sulla morfologia e caratterizzazione meccanica di una
parete rocciosa è ricaduta sulla falesia marina localizzata in corrispondenza del vallone di Vignanotica, sul
promontorio del Gargano, circa 15 km ad ovest di Vieste (FG). Il sito si distingue per la presenza di un versante
ad andamento subverticale a litologia calcarea con intercalazioni di strati e noduli di selce a stratificazione
planare e frequenti fenomeni di scivolamenti sinsedimentari. Il fronte si allarga sul Golfo di Manfredonia per
oltre 900 m, con un’altezza superiore a 100 m e si può suddividere in due settori delimitati dallo sbocco della
valle sul mare: lungo tutto l’affioramento sono evidenti gli effetti delle spinte tettoniche agenti sul territorio
sottoforma di frequenti fratture e modificazioni strutturali.
Notevoli anche le alterazioni dovute all’azione del carsismo ad opera per lo più delle acque meteoriche, sotto
forma d’incisioni che possono coincidere con lineamenti strutturali preesistenti e di cavità a sviluppo verticali
molto diffuse lungo il solco di battente della falesia: ciò evidenzia la complessità dell’ambiente considerato,
dove coesistono fenomeni di natura diversa agenti con modalità e durata variabili, ma che hanno la conseguenza
comune di alterare le caratteristiche meccaniche della litologia affiorante. In seguito a queste considerazioni si è
ritenuto di approcciare allo studio delle condizioni geostrutturali tramite l’applicazione di una metodologia
ancora in fase di sviluppo.
Il prodotto virtuale complessivamente generato è stato completato con 15 sessioni di ripresa e oltre 30
postazioni di stazionamento in modo da sovrapporre e limitare gli effetti di zone d’ombra dovuti all’irregolarità
delle forme superficiali e alla presenza di vegetazione spontanea cresciuta sulla parete. Dalla combinazione
ordinata della scansioni si è ottenuto un modello tridimensionale di oltre 130 milioni di punti, interamente
interrogabile riguardo i dati geometrici, fino ad un dettaglio di 2cm, livello di definizione scelto durante l’azione
di acquisizione. Grazie alla risoluzione ottenuta i procedimenti di misurazione, calcolo e catalogazione delle
forme e morfologie presenti, sono trasferite dal lavoro di campagna al cosiddetto post processamento in
laboratorio, dove si può operare direttamente su PC tramite l’utilizzo di software proprietari dello scanner. La
finalità dello studio si propone di individuare le famiglie di fratture e la loro combinazione in modo da poter
definire le geometrie di eventuali blocchi e porzioni di roccia predisposti all’instabilità.
26
Le risorse geotermiche della Puglia:
metodo di analisi e di studio nell’ambito del progetto VIGOR
Liotta Domenico*, Santaloia Francesca** ed il Gruppo di lavoro VIGOR***
* Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
**CNR-IRPI, Bari
***CNR-IRSA, CNR-IGG, CNR-IMAA
RIASSUNTO
Vengono presentati i metodi di analisi ed i progetti di studio definiti per la Puglia nell’ambito del progetto
VIGOR (Valutazione del potenzIaleGeotermico delle RegiOni della conveRgenza). Si tratta di un progetto che
deriva da una intesa operativa tra il Ministero delle Sviluppo Economico e il Consiglio Nazionale delle Ricerche
nell’ambito del programma sulle “Energie Rinnovabili e Risparmio Energetico 2007/2013”, ed è finalizzato alla
individuazione e realizzazione di interventi per ampliare il potenziale sfruttabile di energia geotermica sul
territorio delle Regioni Campania, Calabria, Puglia e Sicilia.
Gli studi hanno quindi lo scopo di fornire informazioni utili ad avviare attività di prospezione e di utilizzo
dell’energia da fonte geotermica, attraverso la realizzazione di attività di ricognizione, analisi e studio finalizzata
ad ampliare le conoscenze del potenziale naturale e delle possibilità di valorizzazione della risorsa geotermica.
Lo studio si svolgerà in aree chiave definite preliminarmente in accordo con gli Enti regionali. Per quanto
riguarda la Regione Puglia, l’area di indagine prescelta è Santa Cesarea Terme.
27
La Ricerca Scientifica per una gestione integrata della fascia
costiera
Loiacono Francesco
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
Il rapporto Uomo-Mare negli ultimi decenni è diventato sempre più difficile per il grande interesse che è
stato rivolto al mare e all’ambiente costiero in particolare, sede di grandi risorse e di molteplici attività
produttive in campo alimentare, industriale, commerciale, residenziale e ricreativo, oltre che strategico e
militare. Gli aspetti politici ed economici della gestione continuano ad essere pericolosamente dominanti su
quelli scientifici, giuridici ed etici, che pure dovrebbero essere alla base di una gestione corretta per evitare
squilibri, erosione ed inquinamento.
Una prima necessità è la valutazione dei rischi connessi ad una determinata utilizzazione: la vulnerabilità di
alcune aree (esempio gli ambienti a circolazione ristretta come golfi, baie, lagune) e la previsione di impatti
negativi devono essere tenute in primaria considerazione nella pianificazione.
Le istituzioni pubbliche, gli enti di ricerca e gli ordini professionali hanno il compito di realizzare in modo
corretto la transizione verso uno stato di conoscenze integrate (scientifiche, ecologiche, economiche, etiche e
politiche) che potranno consentire un efficace governo delle questioni ambientali. Lo stato di ignoranza per
quanto riguarda i principi etici e i sistemi economici e politici è tale che al momento non è chiaro come dirimere
le controversie e i conflitti di natura sociale che nascono intorno alle problematiche ambientali, alla gestione
delle coste in particolare.
La gestione delle coste è dunque suddivisa in tre fondamentali fasi di attività e decisioni:
politica – pianificazione – pratica
La politica di gestione fa riferimento alle strutture amministrative e politiche che sono supportate
normalmente dalla combinazione di strumenti educativi, scientifici e legislativi. Molte politiche sono purtroppo
formulate più dal consenso o dalle contrattazioni ed espedienti, che da paradigmi ambientali.
La pianificazione è il processo di allocazione di risorse; può essere positiva o negativa a seconda che
incoraggi o meno lo sviluppo e si basa sulla valutazione economica dell’uso e degli interventi.
La pratica riguarda le tecniche necessarie per la realizzazione delle decisioni prese nella pianificazione, o per
le opere di riparazione e di ricupero.
Molte decisioni conducono, purtroppo, ad interventi errati, a sprechi di risorse finanziarie, a perdita di valore
della risorsa, talvolta ad ulteriori interventi onerosi per tentare di riparare i danni.
Sono presentati alcuni casi-studio ed esempi di cattiva gestione delle coste pugliesi, ponendo in evidenza gli
errori commessi per mancata applicazione dei principi scientifici della ricerca di base, per scarsa conoscenza e
applicazione dei modelli di riferimento provenienti dagli studi di sistemi fossili, per inadeguato monitoraggio e
studio sul campo delle spiagge attuali. Infine una breve sintesi delle fasi della ricerca e dello studio sul campo
illustra il ruolo importante del geologo nelle attività di gestione degli ambienti costieri.
28
Possibili fonti di energia idrogeotermica in Puglia e nella
provincia di Matera
Maggiore Michele, Pagliarulo Pietro, Chieco Michele & Zuffianò Livia Emanuela
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
In alcune zone del Tavoliere di Puglia in prossimità del Gargano, e tra le Murge di Matera e il lago di San
Giuliano, esistono le condizioni per l’utilizzazione di energia derivata da fonti geotermiche. In queste aree sono
presenti nel sottosuolo, già a modesta profondità dalla superficie, acque di falda contraddistinte da temperature
elevate, comprese tra 20°C e 55°C, in punti a ovest del Gargano, e tra 20°C e 36°C, in punti in corrispondenza
del lago di San Giuliano.
Le acque sotterranee, caratterizzate da una composizione chimica particolare con la ricorrente presenza di
solfuro d’idrogeno disciolto, circolano nelle porzioni ribassate per faglia delle parti interne degli acquiferi
carbonatici del Gargano e delle Murge.
In considerazione delle ragguardevoli dimensioni delle porzioni di acquifero interessate dalla presenza di
acque con temperature elevate, si può valutare la possibilità di ottenere energia geotermica in quantità non
trascurabili.
L’energia ottenibile potrebbe essere utilizzata sia in forma diretta, come ad esempio per il riscaldamento di
ambienti domestici o di serre per colture agricole, sia per migliorare le prestazioni di impianti a pompa di calore
per la climatizzazione di edifici.
29
Ricostruzione delle sequenze storiche dell’impatto di ondazioni
eccezionali e applicazioni informatiche per la valutazione del
limite di inondazione
Mastronuzzi Giuseppe1,2, Ferilli Stefano3, Capolongo Domenico1, Marsico Antonella1,
Micella Maurilio4, Pennetta Luigi1, Pignatelli Cosimo1,2 & Piscitelli Arcangelo4
1
2
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
E-mail: [email protected]; [email protected]; [email protected];
LAGAT-TA Laboratorio Gis Geo-Ambientale e di Telerilevamento di Taranto, Polo Jonico, II Facoltà di Scienze MM.FF.NN.,
Via A. De Gasperi (Paolo VI) - 74100 Taranto. E-mail: [email protected]; [email protected];
3
Dipartimento di Informatica, Università degli Studi di Bari, Via Orabona 4 - 70125 Bari. E-mail: [email protected];
4
Spin Off Universitario Environmental Surveys s.r.l., Via della Croce 156 – 74123 Taranto.
E-mail: [email protected]; [email protected]
RIASSUNTO
La costa della penisola italiana è segnata dalla presenza di sedimenti e forme costiere che ne fanno supporre
la loro origine come conseguenza dell’impatto di eventi parossistici quali i maremoti. Essi sono rappresentati da:
ì - blocchi di grosse dimensioni che eccedono in peso la tonnellata, isolati o organizzati in campi o in berme; ìì strati di sabbie e/o limi di origine marina intercalati in depositi di retroduna/stagno costiero; ììì – strati anomali
intercalati nelle sequenze deposizionali della piattaforma continentale; ìv – forme di accumulo di grandi
dimensioni quali ventagli di washover nelle aree di retroduna.
Nel corso di studi condotti sul terreno nell’ultimo decennio lungo le coste del mediterraneo sono state
riconosciute le tracce di almeno 15 differenti maremoti che le hanno colpite negli ultimi circa 6000 anni.
L’attribuzione cronologica degli eventi è sempre stata fatta grazie ad analisi geocronologiche con il metodo del
C14/AMS condotte su reperti biogenici associati al sedimento. Le caratteristiche intrinseche all’analisi e alla
storia del campione però non indicano una data, pur calibrata, che non sia espressa da un range di età più o meno
ampio. Pertanto per correlare il sedimento rilevato ad una data precisa è necessario confrontare i risultati delle
analisi C14 alle cronache e ai documenti storici d’archivio.
Il rilievo della fascia costiera mediante Laser Scanner Terrestre fornisce una nuvola di punti 3D dalla quale è
possibile estrapolare il modello digitale del terreno e la relativa deviazione standard. Così, utilizzando opportune
equazioni, si è potuto individuare i coefficienti di ruvidità dell’area studiata in funzione delle caratteristiche delle
superfici (sabbia, roccia, vegetazione, ecc.). Tecniche di apprendimento automatico, applicate su immagini
digitali, hanno permesso l’identificazione e la stima dell’estensione areale di questi caratteri dell’area test
studiata. Software opportunamente implementati sulla base di formule idrodinamiche già note hanno consentito
di stimare il limite d’inondazione dell’impatto delle ondazioni accadute e quelli di alcuni scenari ipotizzati in
funzione dei caratteri geo-morfologici degli accumuli riconosciuti.
PAROLE CHIAVE: dinamica costiera, accumuli da ondazione, inondazione, apprendimento automatico, Laser
Scanner, ruvidità.
30
Metodologia per l’individuazione dei processi erosivi e delle
condizioni soglia per la canalizzazione
Miccoli Maria Nilla, Capolongo Domenico & Piccarreta Marco
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
L’evoluzione di un paesaggio è caratterizzata da numerosi processi erosivi, i quali, interagendo tra loro,
determinano particolari firme geomorfologiche. Estrarre i parametri morfometrici da DEMs, definirli
quantitativamente, correlarli e identificare a quali processi corrispondono è uno dei principali interessi della
recente bibliografia scientifica internazionale. Questo lavoro mostra come sia possibile individuare i meccanismi
di erosione e le condizioni soglia che controllano la canalizzazione in un paesaggio attraverso la Legge di Flint,
ossia la relazione tra la pendenza e l’area di drenaggio lungo profili longitudinali.
L’area di studio è localizzata nella Fossa Bradanica (Basilicata) e coinvolge i bacini degli affluenti dei fiumi
Basento e Cavone. I dati morfometrici (elevazione, pendenza, area di drenaggio, distanza dallo spartiacque) dei
116 profili longitudinali esaminati sono stati estratti da un DEM a 20 m di risoluzione, prodotto dall’IGMI
(Istituto Geografico Militare Italiano), e correlati tra loro. L’andamento della relazione pendenza – area di
drenaggio ha permesso l’individuazione di tre differenti regimi dominati da processi erosivi differenti: colate
detritiche e frane superficiali (Regione 1), processi fluviali in substrato argilloso (Regione 2) e processi fluviali
in depositi alluvionali (Regione 3); inoltre, l’analisi delle zone di transizione tra i vari processi ha evidenziato
l’esistenza di condizioni soglia che hanno influenzato l’innesco e le caratteristiche dei canali fluviali.
Prossimo sviluppo di quest’analisi sarà testare la relazione pendenza-area di drenaggio in ambienti
caratterizzati da condizioni differenti, quali i bacini dei fiumi Cervaro e Candelaro nel Subappennino Dauno
(Puglia), al fine di individuarne i processi e ricercare l’esistenza di condizioni soglia che possano influenzarne
l’evoluzione.
31
Caratteri neotettonici dell’area di San Severo-Apricena
(Gargano occidentale-Tavoriere di Puglia)
Moretti Massimo & Spalluto Luigi
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
RIASSUNTO
Il settore di studio è localizzato lungo il bordo occidentale del Promontorio del Gargano, in un’area compresa
fra San Severo e Apricena (Foggia). In particolare, l’area comprende sia un tratto del margine occidentale del
Gargano, costituito in prevalenza da rocce carbonatiche mesozoiche e cenozoiche interessate da strutture
tettoniche legate a deformazione di natura fragile, che un tratto dell’adiacente depressione tettonica
dell’Avanfossa bradanica riempita da depositi silicoclastici marini e continentali. L’area in esame è considerata,
sulla base dei dati di letteratura, un’importante zona sismica attiva sin dalla fine del Cretaceo. Sulla base di dati
strutturali e stratigrafici alcuni autori riconoscono tre fasi tettoniche distinte: 1) Cretaceo; 2) Mio-Pliocene; 3)
Plio-Pleistocene. Nell’Avampaese apulo però, il Plio-Pleistocene è caratterizzato da due distinte fasi di
evoluzione geodinamica: una marcata subsidenza (circa 2 mm/anno nel Pliocene - Pleistocene inferiore)
connessa alla subduzione appenninica ed una successiva fase di moderato uplift (circa 0,5 mm/anno nel
Pleistocene medio-superiore). Il sollevamento dell'Avampaese apulo è tuttora attivo e gran parte delle strutture
tettoniche ad attività recente si inserisce in questo quadro geodinamico.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di utilizzare i dati stratigrafici per differenziare le strutture ad attività
Pliocene-Pleistocene inferiore da quelle con attività più recente. Per collegare i dati stratigrafici e strutturali
isolati sono stati anche effettuati degli studi geofisici che hanno verificato la continuità laterale delle strutture
tettoniche principali.
Gran parte dei dati stratigrafici e tettonici sono stati raccolti durante il rilevamento geologico del Foglio n°
396 "San Severo"(scala 1:50.000) nell’ambito del Progetto CARG per la realizzazione della nuova Carta
Geologica d’Italia.
La fase di subsidenza (Pliocene – Pleistocene inferiore) connessa alla subduzione appenninica è registrata da
evidenze di tettonica sinsedimentaria (faglie di crescita e dicchi nettuniani) che interessano la Calcarenite di
Gravina (Pliocene medio-superiore).
La fase di sollevamento pleistocenica è segnata dalla presenza di depositi marini e continentali terrazzati del
Supersintema del Tavoliere di Puglia che marcano la graduale riemersione di questo settore dalla fine del
Pleistocene inferiore fino all'Attuale. Il progressivo sollevamento dell'area in esame può essere desunto dallo
studio dei caratteri sedimentologici delle unità marine e continentali terrazzate. Le unità terrazzate più antiche
sono interessate da faglie prevalentemente distensive e datano quindi l’attività di queste strutture al postPleistocene medio.
32
Le orme di dinosauro in Puglia: emergenze da proteggere
Petruzzelli Marco, Iannone Antonia & La Perna Rafael
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università di Bari “Aldo Moro”, Via Orabona 4, 7012 Bari
RIASSUNTO
Questo lavoro presenta una panoramica sui siti ad orme di dinosauro scoperti negli ultimi anni in Puglia.
Sono noti 17 siti, in 11 località (tra i quali il sito di Altamura, quasi unico al mondo), in depositi di età compresa
fra il Giurassico superiore ed il Cretaceo terminale. Di questi siti, solo due sono stati resi fruibili al pubblico,
sebbene fuori dal contesto stratigrafico originario. Con il suo numero di siti ad orme di dinosauro, certamente
destinati ad aumentare, la Puglia si sta rivelando come un territorio unico in Italia. Occorrono interventi
coordinati, risorse e ricerca, al fine di proteggere e sfruttare questi siti come una vera e propria risorsa
territoriale.
PAROLE CHIAVE: Avampaese Apulo, Cretaceo, Orme di dinosauro, Geositi, Molfetta.
PREMESSA
Dal primo importante ritrovamento di orme di dinosauro in Puglia nel 1999 si sono
susseguite numerose scoperte e segnalazioni di tracce fossili di dinosauro in varie località
della Puglia, dal Gargano alle Murge, in calcari di età compresa fra il Giurassico superiore ed
il Cretaceo terminale. Secondo il censimento finora effettuato, i siti accertati sono 17,
distribuiti in 11 diverse località (Fig. 1). Solo pochissimi di questi sono stati protetti e
valorizzati dal punto di vista museale.
Fig 1. Carta geologica schematica della Puglia. In rosso le località in cui sono presenti siti con orme di dinosauro.
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Le tracce fossili dei vertebrati pugliesi sono sempre in relazione a superfici di strato
generalmente esposte in cave, lungo linee di costa o crinali spogli da vegetazione, luoghi che
più di altri sono soggetti al degrado naturale ed antropico. Un caso ricorrente è rappresentato
dalle cave dismesse, la cui tutela e valorizzazione è spesso in contrasto con gli interessi
economici locali che preferirebbero adibirle ad altri usi.
DISCUSSIONE
Il caso emblematico riguardanti lo stato dei siti ad orme di dinosauro in Puglia, è quello della Cava
EcoSpi ad Altamura (NICOSIA et al., 2000; IANNONE, 2003), sito ad orme quasi unico al mondo per
ricchezza ed estensione: dopo 13 anni dalla sua scoperta, il sito risulta ancora né valorizzato
musealmente, né protetto e tutelato, e causa di contenziosi con i proprietari.
Un altro caso è rappresentato da un sito in cava presso Giovinazzo, oggi irrimediabilmente coperto
da detriti lapidei (PETRUZZELLI, 2009).
Ancora un altro caso degno di nota è quello delle orme trovate su blocchi calcarei isolati nel
Gargano (GIANNOLLA et al., 2001) e a Bisceglie (SACCHI et al., 2009). I blocchi contenenti le orme
sono stati spostati in un parchi tematici e ciò rappresenta certamente una forma di tutela e
musealizzazione, ma tale scelta - che decontestualizza le orme dal luogo originario (la cava e la
succesione sedimentaria ivi affiorante) - va fortemente a discapito del valore didattico dei reperti
fossili, essendo le orme e le tracce fossili in genere fortemente connesse al sedimento dove si sono
formate e conservate. In ogni caso, questa scelta non è sempre applicabile, poiché nella maggior parte
dei casi le orme sono in situ, su superfici di strato certamente non asportabili.
Un esempio pratico, ancora poco conosciuto ma che offre una grande potenzialità di
valorizzazione, è il sito ad orme presso Molfetta. In una cava dismessa, su una superficie di 2300 mq,
è presente una ricca associazione ad orme di dinosauro tridattili, pentadattili e tondeggianti su un
substrato stromatolico (Fig 2).
Fig 2. Stato attuale della superficie ad orme presso Molfetta. Si noti la densità delle orme (foto Petruzzelli).
Le orme sono riferite all’Aptiano (Cretaceo inferiore), 110-115 Ma. Nell’associazione si
riconoscono sia orme di carnivori, sia di vegetariani, con dimensioni comprese 5 e 45 cm,
34
corrispondenti a taglie degli animali che le hanno prodotte comprese fra da 0,5 e 15 m circa (Figg. 3,
4).
Fig. 3. Un’orma del sito di Molfetta. La lunghezza è pari a 40 cm ed è attribuibile ad un dinosauro carnivoro bipede (teropodo) di circa 15 m
(foto Petruzzelli).
Fig, 4 Pista di teropodo di medie dimensioni, con orme di 20 cm, nel sito di Molfetta. La pista è stata portata alla luce durante la campagna
del 2009 (foto Petruzzelli).
Dopo la scoperta del sito nel 2005, ad opera dell'allora studente in Scienze Geologiche, Cesare
Davide Andriani, sono state effettuate tre campagne di rilievo e studio, da parte del Dipartimento di
Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università di Bari, in collaborazione con la Sovrintedenza ai
Beni Archeologici della Puglia, con la Regione Puglia (bando “Bollenti Spiriti 2009") e l'Istituto
35
Catalano di Paleontologia "Miquel Crusafont" di Barcellona (PETRUZZELLI, 2008, 2010, PETRUZZELLI
et al., 2011).
Può essere interessante ricordare che, dal punto di vista tecnico, gli studi effettuati sul sito di
Molfetta si sono avvalsi dell’uso di moderne tecnologie di scansione digitale tridimensionale
(PETRUZZELLI et al., 2011). Tali metodi risultano molto vantaggiosi, sia perché non sono “invasivi” (e
quindi non alterano le orme con solventi, collanti ed altri prodotti), sia perché permettono
l’acquisizione di dati digitali archiviabili ed ulteriormente elaborabili, in una scala che va dalla singola
orma (Fig. 5), all’intera superficie, riducendo molto anche i tempi di lavoro sul campo.
Fig. 5. Esempio di interpretazione delle orme (sinistra) usando scansione laser scanner 3D in falsi colori (destra).
Le orme di Molfetta sono oggi ancora in fase di studio ed il sito è protetto da vincolo della
Soprintendenza, ma non ancora aperto al pubblico. L’estensione relativamente contenuta del sito, la
buona qualità di conservazione e l’elevata densità delle orme (circa 10 orme/mq) e loro diversità, oltre
ai dati scientifici già disponibili, sebbene non completi, grazie agli studi finora effettuati, fanno di
questo sito un caso da prendere seriamente in considerazione ai fini della sua tutela e musealizzazione,
con l’intervento della Pubblica Amministrazione, considerata anche la vicinanza con luoghi di
interesse naturalistico, ambientale e culturale (il Pulo di Molfetta, l’ambiente carsico, i resti neolitici,
ecc.) (IURILLI & PETRUZZELLI, 2010).
Di recente, la Soprintendenza ai Beni Archeologici della Puglia ha espresso interesse ed impegno
nei confronti dell’area del Pulo di Molfetta, compreso il sito ad orme. Ciò potrebbe garantire
nell’immediato futuro, sia il vincolo di protezione definitivo, sia delle infrastrutture utili alla fruibilità
dell’area.
CONCLUSIONI
Con il suo elevato numero di siti ad orme di dinosauro, certamente destinato ad aumentare, la
Puglia si sta rivelando come un territorio unico in Italia. Nell’affrontare questa “emergenza”, occorre
ricordare che i siti ad orme di dinosauro, oltre a possedere un intrinseco valore scientifico (che
certamente aumenta nel caso di molti siti concentrati in un certo territorio), costituiscono delle vere e
proprie risorse territoriali da sfruttare. E’ qui il caso di ricordare che i dinosauri riscuotono grande
attrazione ed interesse verso il grande pubblico. Tale attrazione rappresenta una via preferenziale per
la divulgazione scientifica, per l’avvicinamento del pubblico ai temi della geologia e della
paleontologia, per la sensibilizzazione verso l’ambiente.
I siti ad orme non possono essere “trasportati” all’interno di strutture museali, e soffrono molto il
problema del degrado naturale ed antropico. Di fronte a ciò, la scelta deve cadere verso la
valorizzazione in situ. Più che ad interventi verso un singolo sito, con il rischio di disperdere risorse
finanziarie in interventi puntuali, occorrerebbe cominciare a pensare in termini di iniziative coordinate
che prendano in considerazione il complesso dei siti, a scala territoriale, senza dimenticare che la
ricerca necessita di risorse, sia per la formazione di specialisti, sia per il suo “funzionamento”.
36
Bibliografia
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IURILLI V. & PETRUZZELLI M. (2010) - Cava ad orme di dinosauro - S. Leonardo (Molfetta). In FIORE A. &
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37
Analisi statistica degli eventi pluviometrici estremi in Puglia e loro
implicazione sui rischi geo-ambientali
Piccarreta Marco, Capolongo Domenico & Giandonato Pietro Blu
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
E-mail: [email protected]
RIASSUNTO
I cambiamenti climatici e le conseguenti variazioni ambientali interessano oggi non solo la ricerca scientifica,
ma suscitano anche vivo interesse nell’ambito politico ed economico, a causa della crescente incidenza che
possono avere sulla qualità della vita e delle attività umane. A questo proposito nel 1988 è stato costituito
l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) da parte della World Meteorological Organization (WMO)
e dalla United Nations Environment Programme (UNEP), allo scopo di valutare le informazioni scientifiche,
tecniche e socio – economiche relative alla comprensione del cambiamento climatico indotto dall’uomo, dei
potenziali impatti dei cambiamenti del clima e le possibili forme di mitigazione degli stessi. Lo scenario
climatico previsto dall’IPCC per il XXI secolo è molto preoccupante; aumento della temperatura annua,
maggiore frequenza degli eventi estremi, lunghi periodi siccitosi, diminuzione considerevole delle precipitazioni
estive ed incremento dell’intensità degli eventi brevi e violenti sono le tendenze meteorologiche attese e già
riconosciute in diverse aree del globo, tra cui l’Europa Meridionale (Alpert et alii, 2002). Gli impatti di tali
cambiamenti sul territorio e sulle risorse ambientali si presume che possano essere di varia natura. Essi possono
essere sintetizzati nella riduzione della disponibilità di risorse idriche, nell’aumento del rischio di alluvioni, nel
deterioramento della qualità dei suoli, nell’incremento dei processi erosivi e dell’erosione, nell’aumento della
frequenza degli incendi ed infine nella perdita di zone umide nelle aree costiere.
La situazione italiana per il futuro non fa ben sperare; è noto, infatti, come il territorio del nostro paese sia
particolarmente vulnerabile e propenso a subire i fenomeni del dissesto idrogeologico. Studi recenti (Brunetti et
alii, 2002; Brunetti et alii, 2004a, 2004b ) hanno dimostrato che, nel nostro paese, negli ultimi 50 anni, le
condizioni climatiche si sono evolute secondo i seguenti pattern:
•
il numero di giorni piovosi è diminuito di circa il 14%, mentre le precipitazioni totali hanno subito un
decremento stimato in 47 mm/100 anni per il nord e in 104 mm/100 anni per il sud;
•
a livello stagionale si riscontra che la riduzione dei giorni piovosi è molto più elevata in inverno rispetto
alle altre stagioni;
•
sempre a livello stagionale si riscontra una tendenza all’aumento dell’intensità delle precipitazioni e ad
una diminuzione della loro durata, soprattutto in inverno;
•
la frequenza e la persistenza dei periodi siccitosi, aumentata soprattutto negli ultimi 15 anni, si rivela
maggiore al nord in inverno, e nelle regioni meridionali in estate;
•
è aumentato il numero degli eventi estremi.
Molto critica è la condizione dell’Italia meridionale ad economia prevalentemente agricola e, dunque, legata
inevitabilmente alle riserve idriche. In questo senso la Puglia, che vive in uno stato di costante emergenza, vede
sommarsi ai danni all’agricoltura anche quelli provocati da alluvioni e, fatto poco consueto, dalle frane.
In questo lavoro sono stati analizzati statisticamente una serie di indici pluviometrici per 81 stazioni della
Regione Puglia dal 1951 al 2007 (ultimo anno reso disponibile dalla Protezione Civile), allo scopo di creare un
quadro climatico di dettaglio e, soprattutto, di stimare il reale impatto dei cambiamenti del regime pluviometrico
pugliese, sia sulle risorse idriche che sui fenomeni di dissesto idrologico.
Quindi si discute delle implicazioni che tale cambiamento ha sui processi di desertificazione (in particolare
nel Tavoliere) e sulle frane indotte da precipitazione (in particolare sub Appennino Dauno).
Bibliografia
ALPERT P., BEN-GAI T., BAHARAD A., BENJAMINI Y., YEKUTIELI D., COLACINO M., DIODATO L., RAMIS C.,
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italian precipitation series. International Journal of Climatology, 22: 543-558.
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38
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distribution in Italy over the last 120 years. Journal of Geophysical Research – Atmosphere, 109, d05, d05102.
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39
Le criticità delle risorse idriche sotterranee pugliesi
Polemio Maurizio
CNR IRPI, Bari, [email protected]
RIASSUNTO
La prevalente natura carsica del territorio limita la disponibilità di risorse idriche superficiali e conferisce
valore particolare alle acque sotterranee della Puglia. Si consideri che sin dall’epoca storica la disponibilità di
acque sotterranee facilmente estraibili ha condizionato l’ubicazione di importanti villaggi, oggi prosperose città,
in particolare lontano dalla costa.
Pregevoli per qualità, preziose vista la scarsità di risorse alternative, le acque sotterranee degli acquiferi
pugliesi sono state prelevate in misura crescente a partire dai primi decenni del secolo scorso. La crescita dei
prelievi ha sottoposto a notevoli “sollecitazioni” il sistema idrogeologico pugliese, dando concretezza ai rischi di
degrado sia quantitativo sia qualitativo, rischi tra loro legati nel caso degli acquiferi costieri, quali sono quelli
principali pugliesi.
L'incremento dei prelievi è stato particolarmente rilevante durante e a seguito dei recenti e anomali periodi di
siccità. L’andamento dei trend piezometrici e delle portate delle sorgenti evidenziano una drastica riduzione
della disponibilità negli ultimi 80 anni. Tale calo è solo in modesta parte giustificabile in virtù delle
modificazioni climatiche.
Le modificazioni climatiche, i cui effetti sulla disponibilità di risorse idriche si sono manifestate in tutta
l’Italia meridionale in particolare dal 1980 in poi, hanno comportato un calo della ricarica che si sovrappone al
crescente utilizzo, determinando condizioni di sovrasfruttamento.
I rischi di degradazione quantitativa comportano rischi di degradazione qualitativa per gli acquiferi costieri.
L’incremento della salinità delle acque sotterranee pugliesi, a causa dell’intrusione marina è un fenomeno ben
conosciuto e accuratamente studiato. Nonostante le conoscenze scientifiche acquisite, ad oggi i criteri di gestione
applicati non hanno impedito una progressiva degradazione qualitativa.
L’intenzionalmente breve descrizione dei principali antefatti normativi che hanno regolamentato e
regolamentano l’utilizzo delle acque sotterranee pugliesi vuole porre l’attenzione sugli obiettivi che occorre
perseguire per coniugare il massimo soddisfacimento della domanda idrica con la duratura tutela di tali preziose
risorse naturali e degli equilibri ecologici connessi.
Per dare forza agli strumenti di gestione e di controllo e definire chiari obiettivi di tutela è necessario
conoscere in modo quantitativo ed accurato quali siano i rischi reali. A questo fine sono stati studiati e si
descrivono brevemente alcuni approcci metodologici accomunati dalla semplicità e dalla notevole ripetibilità.
In sintesi, in termini di disponibilità della acque sotterranee pugliesi, si osserva una tendenza alla riduzione
della disponibilità spiccata ma, per fortuna, non monotona. Gli effetti più macroscopici riguardano la Murgia e il
Tavoliere; rilevanti gli effetti in Salento, in particolare in relazione all’enfatizzazione dei rischi connessi
all’intrusione marina.
Per la valutazione dell’evoluzione del fenomeno dell’intrusione marina si dimostra l’efficacia del criterio a
soglia, che si sostanzia nell’individuazione del valore di soglia della salinità tra le acque sotterranee dolci e le
acque sotterranee contenenti sia pure minime aliquote di acque saline di intrusione marina. Per le acque
sotterranee degli acquiferi carbonatici pugliesi detta soglia è risultata pari a circa 0,5 g/l. A partire da tale soglia,
l’analisi spazio-temporale permette di individuare le aree soggette a diversa vulnerabilità all’intrusione marina e
di discriminare dove i rischi di degrado qualitativo sono più gravi.
Emerge la drammaticità degli effetti dell’intrusione marina nel Salento e la presenza di estese porzioni del
territorio della Murgia e del Salento a rischio di degrado qualitativo per intrusione marina.
Le considerazioni finali sono orientate all’implementazione delle conoscenze descritte in criteri di gestione
delle acque sotterranee pugliesi.
40
La salvaguardia delle coste sabbiose:
il caso-studio del sistema costiero del Bosco Pantano di Policoro
(Basilicata)
Sabato Luisa *, Longhitano Sergio **, Cilumbriello Antonietta *, Gioia Dario *,
Spalluto Luigi* & Kalb Claudio***
(*) Dipartimento di Scienze della Terra e GeoAmbientali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Via Orabona 4, 70125 BARI; e-mail:
[email protected]
(**) Dipartimento di Scienze Geologiche, Università degli Studi della Basilicata, V.le dell’Ateneo Lucano 10, 85100 Potenza
(***) Dipartimento di Scienze della Terra, Osservatorio Coste E Ambiente Naturale Sottomarino - O.C.E.A.N.S. –
Università degli Studi di Cagliari
RIASSUNTO
Nell’ambito del Progetto LIFE dell’Unione Europea PROVIDUNE (LIFE07NAT/IT/000519), che ha come
scopo la conservazione degli habitat dunali, si è svolto uno studio sulla dinamica costiera nell’area SIC (Sito di
Importanza Comunitaria) “Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni” in Basilicata (Italia
meridionale). Per la realizzazione di tale progetto è stata eseguita un’analisi dei dati pregressi di tipo idrologico,
anemometrico e di clima d’onda ed un’analisi delle variazioni della linea di costa nell’ultimo secolo. I dati di
nuova acquisizione sono derivati prevalentemente da uno studio sedimentologico e geomorfologico dell’area che
ha previsto, tra l’altro, l’esecuzione di profili topografici e batimetrici stagionali. Inoltre, allo scopo di realizzare
una serie di modelli di previsione sull’incidenza del moto ondoso dominante e sul conseguente assetto
idrodinamico dell’area costiera, sono stati identificati gli eventi meteomarini più frequenti e di maggiore energia,
e attraverso l’utilizzo del software Delft3D si sono osservati gli effetti che tali eventi possono produrre sul
sistema litorale.
PAROLE CHIAVE: Progetto LIFE, PROVIDUNE, sedimentologia, sistema costiero, Policoro, Fiume Sinni, area
SIC, Italia meridionale.
PREMESSA E METODI
Il Progetto PROVIDUNE nasce grazie ad un importante contributo dell'Unione Europea
(Programma LIFE+Nature and Biodiversity), e si propone la conservazione ed il ripristino di
habitat dunali in alcuni siti SIC (Sito di Importanza Comunitaria) facenti parte della rete Natura
2000, delle province di Cagliari, Matera e Caserta. Il presente lavoro illustra alcuni risultati
sedimentologici ottenuti nell’ambito di tale progetto nell’area SIC “Bosco Pantano di Policoro e
Costa Ionica Foce Sinni”, ubicata nel settore più meridionale del litorale che sottende la costa
ionica della Basilicata, in provincia di Matera (Fig. 1) (SABATO et al., 2011a, b). Il litorale in
oggetto, formato da sedimenti sabbioso-ghiaiosi, ha una lunghezza di circa 3,5 km ed un’ampiezza
variabile fino a circa 200 m.
Lo studio del litorale ha riguardato sia l’area emersa che quella sommersa, fino ad una profondità
di circa -13 m. Sono stati dapprima raccolti ad analizzati i dati già esistenti di tipo geologico,
idrologico, anemometrico e di clima d’onda e successivamente sono stati realizzati rilievi
sedimentologici e morfologici nell’area emersa. Attraverso un’analisi multitemporale in ambiente GIS
di carte storiche, foto aeree ed ortofoto relative al periodo 1908-2010 si sono ricavate le variazioni
della linea di costa e dell’area di foce nell’ultimo secolo. Sono state inoltre realizzate tre campagne di
rilevamento topografico e batimetrico nei mesi di luglio, ottobre e dicembre 2010. I profili topografici
(36, equidistanziati di 100 m) sono stati acquisiti tramite strumentazione GPS in modalità RTK (Real
Time Kinematic), mentre il rilievo batimetrico, eseguito tramite ecoscandaglio di tipo single beam
Hydrobox 21 ha raggiunto l’isobata dei -13 m e ha consentito di ottenere, attraverso tecniche
geostatistiche, una mappa batimetrica per ciascuna campagna, in modo da verificare nei periodi presi
in esame, la dinamica delle forme di fondo (barre, truogoli ecc.) e di valutarne lo spostamento. Inoltre
è stato realizzato il campionamento dei sedimenti sia della spiaggia emersa (sub-ambienti di
retrospiaggia ed avanspiaggia) che di quella sommersa (sub-ambienti di shoreface fino alla transizione
all’offshore) al fine di caratterizzare i parametri tessiturali e composizionali dei sedimenti dell’area.
Infine, allo scopo di fornire un modello evolutivo del sistema costiero analizzato, si sono realizzati una
41
serie di modelli di previsione riguardo gli effetti del moto ondoso dominante sulla dinamica dei
sedimenti, utilizzando il software DELFT3D. Tale software consente la simulazione dei fenomeni
morfodinamici (ROELVINK & VAN BANNING, 1994) innescati dagli eventi meteomarini più frequenti e
di maggiore energia desunti dall’analisi dei dati anemometrici, e tiene conto dei caratteri batimetrici e
sedimentologici, ricostruendo il clima d’onda attraverso il modello Simulating WAves Nearshore
SWAN (BOOIJ et alii, 1999).
Fig. 1 – Carta geologica schematica del settore di Fossa bradanica in cui ricade l'area di studio. Nell’area in tratteggio nero il Foglio
Geologico n° 508 “Policoro”, in scala 1:50.000; nel riquadro in rosso l’area SIC “Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni”
(da SABATO et al., 2011a, b).
INQUADRAMENTO GEOLOGICO E METEOMARINO
L’area SIC “Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni” è ubicata nel settore sudorientale della regione Basilicata lungo la costa ionica metapontina, e comprende il tratto finale e la
foce del Fiume Sinni. Tale area ricade in un settore della Fossa bradanica (sensu MIGLIORINI, 1937)
dove affiorano “depositi marini terrazzati” (sensu VEZZANI, 1967; cum. bibl.) costituiti da prismi
costieri localmente di età Pleistocene superiore, prevalentemente ghiaioso-sabbiosi (PIERI et al., 1996;
CILUMBRIELLO, 2008; CILUMBRIELLO et al., 2008; SABATO et al., in prep.), e depositi sabbiosi,
sabbioso-ghiaiosi e sabbioso-limosi delle piane alluvionale e costiera di età olocenica (VEZZANI, op.
cit., COCCO et al., 1975; PAREA et al., 1980; BOENZI et al., 2002; PESCATORE et al., 2009;
CILUMBRIELLO et al., 2010; GRIPPA, 2010; GRIPPA et al., 2011) (Fig. 1). Per quanto concerne il
settore sommerso, l’area è caratterizzata da una piattaforma ampia da 9 a 14 km con una pendenza
media di circa 1° e con un margine localizzato ad una profondità massima di 150 m; in questa stessa
area, la scarpata continentale è ampia circa 15 km, inclinata da 5° a 8° e caratterizzata da una serie di
rilievi sottomarini ad andamento NO-SE separati da canyon che si immettono nella Valle di Taranto
(PENNETTA et al., 1986, cum bibl.). A tali canyon viene attribuito un ruolo importante nel
trasferimento di materiale sabbioso dalla piattaforma verso il largo (DE PIPPO et al., 2004, cum bibl.).
Studi sedimentologici, mineralogici e anemometrici condotti in un’area comprensiva di quella in
oggetto individuano una direzione prevalente di dispersione dei sedimenti verso NE (BELFIORE, 1984;
BRONDI et al., 1974; BENASSAI et al., 1976). Tale dato viene confermato dallo studio del clima
anemologico condotto elaborando i dati forniti dall’ARPAB (Agenzia Regionale per la Protezione
dell’Ambiente in Basilicata). Tali dati permettono inoltre di ricavare valori medi di velocità dei venti
pari a 8,69 m/s, con prevalenza delle direzioni di provenienza dai quadranti sud-orientali.
42
RISULTATI
L’analisi storica dell’evoluzione della linea di costa relativa al periodo 1908-2010 (Fig. 2) mostra
l’alternarsi di periodi di avanzamento e periodi di arretramento. Questi ultimi diventano più
significativi a partire dagli anni ’90, e nel solo periodo 1990-2008 si assiste ad un arretramento della
linea di costa di circa 150 m in corrispondenza dell’area di foce. Nel complesso si registra un
arretramento a partire dal 1908 ad oggi, di circa 500 m. Le entità degli arretramenti subiti dal litorale
in oggetto sono confrontabili con quelle ottenute da SPILOTRO et al. (2008), anche se riferite ad un
intervallo di tempo più limitato.
Fig. 2 – Variazioni della linea di costa e del corso del Fiume Sinni dal 1908 al 2010 (da SABATO et al., 2011a, b).
L’analisi sedimentologica dell’arenile in studio, caratterizzato da una spiccata bimodalità
granulometrica (ghiaia e sabbia), dimostra che il sub-ambiente di retrospiaggia è costituito quasi
esclusivamente da sabbia da medio-grossolana a fine, fino al piede della retroduna ove domina una
sabbia fine, mentre il sub-ambiente di avanspiaggia è rappresentato in prevalenza da sabbia molto
grossolana (70/80%) e subordinatamente da ghiaia (20/30%). Il settore di spiaggia sommerso risulta
invece formato da sabbie da molto grossolane a molto fini, con una generale e graduale diminuzione
del diametro medio dei sedimenti all’aumentare della profondità (Fig. 3).
I dati composizionali dei campioni prelevati nel settore emerso e in quello sommerso della spiaggia
indicano la presenza di quarzo, feldspati s.l., litici polimineralici, litici carbonatici e bioclasti e
minerali accessori. Nel complesso, l’intera frazione litica rispecchia la composizione delle principali
litologie che affiorano nell’area del bacino idrografico del Fiume Sinni.
43
Fig. 3 – Profilo morfo-batimetrico ricostruito dai rilievi effettuati durante la campagna di Luglio 2010 e distribuzione della granulometria dei
sedimenti dedotta dalle analisi granulometriche (da SABATO et al., 2011a, b).
L’interpolazione dei dati derivanti dall’analisi topografica e morfo-batimetrica condotta ha
permesso la ricostruzione degli aspetti fisiografici relativi al settore emerso e a quello sommerso del
litorale dell’area SIC “Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni”. In particolare, la
comparazione delle tre misure multi-temporali diagrammate per ciascun profilo topografico misurato
ha permesso di registrare significative riduzioni della lunghezza della spiaggia emersa in alcuni tratti
del litorale. Si sono osservati infatti tratti con lunghezze lineari variabili fino ad alcune decine di metri
durante la stagione estiva, che sono invece risultati quasi completamente sommersi durante i
successivi rilievi invernali. Inoltre, in prossimità dei profili più settentrionali dove la maggiore
estensione della spiaggia ha consentito una modesta protezione della retrospiaggia, le caratteristiche
del duneto non hanno mostrato variazioni significative durante il periodo di acquisizione. Al contrario,
nei casi in cui l’erosione invernale è riuscita ad intaccare anche il duneto, è stato possibile
documentare vistosi gradini di profonda erosione (berme) (Fig 4). I profili batimetrici invece
permettono di distinguere due settori principali, coincidenti con due zone a differente carattere
idrodinamico: una prima zona, prossimale e di lunghezza lineare compresa tra 400/500 m dalla linea
di riva, che risulta caratterizzata da un complesso sistema di barre sommerse, con truogoli interposti;
una seconda zona, più distale e che si sviluppa dalla base esterna dell’ultima barra verso l’offshore,
che non mostra importanti variazioni morfo-batimetriche. La comparazione delle acquisizioni multitemporali relative ai profili batimetrici mette in evidenza come la transizione da regimi energetici
moderati (stagione estiva) verso periodi caratterizzati da un più elevato idrodinamismo (stagione
invernale) non abbia prodotto vistose modificazioni morfologiche e batimetriche nei settori più distali
profondi del sistema di spiaggia; al contrario, si assiste ad una marcata variazione delle forme di fondo
44
Fig. 4 – Caratteri morfologici di un tratto di spiaggia poco a nord della foce del Fiume Sinni dove è ben visibile la berma di tempesta
sviluppatasi in seguito alle mareggiate verificatesi durante l’inizio dell’autunno 2010 (da SABATO et al., 2011a, b).
in coincidenza del settore più prospiciente la linea di riva, dove il sistema composito di barre
sommerse mostra evidenti variazioni sia di forma che di dimensione.
Grazie all’utilizzo del software Delft3D, per l’area in studio gli eventi meteomarini significativi
sono risultati quattro: venti di tramontana, levante, scirocco e mezzogiorno. Gli effetti di una
mareggiata così ipotizzati hanno pertanto indicato quattro possibili scenari, sulla base dei quali si sono
ricavati i dati relativi alla velocità dei flussi idrodinamici, alle loro direzioni prevalenti ed alle zone
soggette ad accumulo e/o ad escavazione.
CONCLUSIONI
Lo studio sedimentologico effettuato nell’area SIC “Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce
Sinni”, ha consentito di caratterizzare il suo sistema costiero, di rilevare variazioni sia a lungo termine
che stagionali, e ha consentito di mettere in evidenza alcune criticità. Fra queste spicca l’arretramento
della linea di costa, le cui cause sono da imputare oltre che a fattori naturali, soprattutto a motivi
antropici, in parte legati alla costruzione alla fine degli anni ’80 di una imponente diga in terra (Monte
Cotugno) lungo il corso del Fiume Sinni.
Nonostante ciò il tratto di costa indagato conserva un buon grado di naturalità anche perchè,
trattandosi di un’area SIC istituita nell’anno 1994, risulta sottoposta a controlli e permessi speciali di
accesso; inoltre, il Centro Visita del WWF (World Wildlife Fund) inserito nell’area, svolge un’azione
di vigilanza ed educativa nei confronti dei fruitori della spiaggia.
Questo tipo di studio fornisce tutti gli elementi geologici necessari per eventuali interventi da
effettuare sulla costa, nel rispetto della conservazione o dell’eventuale recupero di habitat naturali e
della loro conservazione, come suggeriscono le linee-guida del progetto LIFE, in cui si inserisce
questo studio.
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46
The sinkholes of Apulia region (southern Italy) as analogues for
collapsing caldera structures at volcanoes
Sulpizio Roberto 1, Festa Vincenzo 1, Fiore Antonello 2, Parise Mario 3 & Siniscalchi Agata 1
1
2
CIRISIVU, c/o Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Via Orabona, 4 - 70125 Bari, Italy.
Autorita' di Bacino della Puglia, c/o INNOVA PUGLIA S.p.A. – Str. Prov. per Casamassima km 3 - 70010 - Valenzano (Bari, Italy)
3
CNR-IRPI, via Amendola 122 I, 70126, Bari, Italy
ABSTRACT
Understanding the structure and development of calderas is crucial for predicting their
behaviour during periods of unrest and to plan geothermal and ore exploitation. The key
parameters that generate and control the caldera collapses are mainly investigated through
both field work and laboratory analogue experiments. These two approaches have limitations
related to different factors, which include their scale, the burying effect of volcanic products
on pre-existing structures, and the impossibility to simulate a large number of concomitant
processes.
An interesting way to study collapse processes at an intermediate scale is to investigate the
shape and structural conditions of sinkholes in karstic terrains. This approach has the
advantage to be at smaller scale with respect a large caldera and to affect real rocks with
mechanical characteristics similar to lava piles. In this perspective, sinkholes can be
considered analogous of volcanic calderas controlled by pressure drop processes.
Sinkholes of different origin and state of activity punctuate the carbonate rocks that
constitute the majority of the Apulia region. They develop under different structural
conditions, and show a large variability of morphologies. Most of the larger sinkholes are
polycyclic, in some case with reactivation periods well documented by historical photos and
documents. Some of them show striking similarities with volcanic collapse calderas,
suggesting similarity in structural conditions and collapse behaviour. Among them, we
reported here an example from the Masseria Forte di Morello, located few km north of the
city of Lecce (southern Italy; Fig. 1). The sinkhole developed along a NE-dipping normal
fault active from Pleistocene to present day. Field survey shows how the collapse proceeded
into three main stages, from the outer to the inner part (Fig. 2a). The most recent stage of
collapse occurred during the 90s, as testified by comparison between aerial photos taken in
the 80’s and in 1996. The morphological analyses reveals striking similarities with some
natural volcanic calderas, like that of Miyakejima volcano in Japan (Fig. 2b; Acocella, 2007)
The consistency between structures of sinkholes and volcanic calderas suggests how
pressure drop is one of the main causes for their development.
KEYWORDS: sinkholes, calderas, analogues, pressure drop
47
Figure 1 – Location of the Masseria di Forte Morello sinkhole. The inset in the lower left corner shows an aerial view of the present day
sinkhole area
Figure 2 – The Masseria di Forte Morello sinkhole compared to the caldera of the Miyakejima volcano. a) structural setting of the Masseria
di Forte Morello sinkhole with schematic geological section; b) structural setting of the Miyakejima caldera (from Acocella, 2007).
References
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compared to natural calderas. Earth Science Reviews 85, 125–160.
48
Anisotropia sismica della crosta superficiale
nella regione Umbria Marche
Trabace Maria* & de Lorenzo Salvatore**
(*) Dipartimento Interateneo di Fisica, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”, Italy, [email protected]
(**) Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”, Italy, [email protected]
RIASSUNTO
Per studiare lo splitting delle onde di taglio nell’Appennino centrale, sono stati utilizzati i dati dei terremoti
di piccola magnitudo, registrati durante la crisi sismica del 1997 nella regione Umbria-Marche (Italia).
Utilizzando il metodo di diagonalizzazione della matrice di covarianza, è stato selezionato un set di 1234 onde S
che incidono la Terra con un angolo inferiore all'angolo critico. Il metodo della cross-correlazione è stato
utilizzato per stimare il tempo di separazione tra le due componenti orizzontali S e la direzione dell'asse di
simmetria della struttura anisotropa. Un’ulteriore analisi, basata sull’ ispezione visiva delle tracce corrette,
consente di stimare i parametri anisotropi di 884 onde S. I tempi di separazione generalmente non mostrano un
andamento chiaro con la distanza, questa è un'indicazione di possibili variazioni spaziali di anisotropia sismica.
La profondità dello strato anisotropo è stimata ad un minimo di 2 km. L’andamento del tempo di separazione
normalizzato in funzione della profondità indica approssimativamente una profondità massima di 4-5 km dello
strato anisotropo. La distribuzione dell' asse di simmetria veloce indica un asse principale di simmetria orientato
lungo la direzione del massimo sforzo di compressione nella zona ed un secondo asse di simmetria quasi
ortogonale al primo. I plots stereografici della direzione dell’asse veloce sembrano escludere una dipendenza
dalla profondità dei parametri anisotropi. Si trova una chiara correlazione spaziale tra le direzioni degli assi di
simmetria veloci nelle stazioni considerate e gli orientamenti dei sistemi di faglie più vicini ed i fronti di
sovrascorrimento, che conferma la variabilità spaziale delle proprietà anisotrope della zona, come si evince
dall’analisi dei tempi di separazione. Basandosi anche su studi precedenti, i risultati vengono interpretati in
termini del modello “extensive dilatancy anisotropy” (EDA). La densità di rottura stimata è sempre più piccola
del valore critico di coalescenza, rafforzando l'ipotesi che sistemi di fratture separate riempite dai fluidi
controllino la polarizzazione delle onde S.
PAROLE CHIAVE: anisotropia sismica, extensive dilatance anisotropy, anelastic-poro-elasticity theory
INTRODUZIONE
L’anisotropia sismica è quasi onnipresente nella crosta terrestre, anche se la sua origine è ancora
dibattuta (Zhang e Schwartz, 1994). Di solito è causata dall'allineamento di minerali anisotropi in un
campo orientato di sforzo o da sistemi di fratture parallele riempite di fluido (Crampin 2004).
In questo articolo vengono presentati i risultati di uno studio volto a determinare le proprietà
anisotrope della crosta superiore della regione Umbria-Marche dall'analisi delle onde di taglio di
diverse centinaia di piccoli terremoti che si son verificati nella zona durante la crisi sismica del 1997.
In uno studio precedente di anisotropia sismica dell'Umbria-Marche, Piccinini et al. (2006) hanno
dedotto una direzione veloce predominante 140°N, approssimativamente parallela alla direzione del
sistema di faglie normali ed al massimo sforzo orizzontale (σ2) che agisce nella regione. Inoltre hanno
individuato una seconda direzione veloce 100°N, interpretata come collegata ad un sistema locale di
faglie o alle variazioni temporali relative a variazioni di stress transitori causati da ripetuti terremoti.
Nel complesso, gli autori interpretano i loro risultati in termini di un modello di anisotropia sismica
collegato alla presenza di microfratture allineate con lo stress o fratture con fluidi aperte dallo stress.
Piccinini et al. (2006) hanno analizzato l'anisotropia sismica a scala locale, utilizzando sismogrammi
registrati in alcune stazioni situate intorno a Colfiorito, una piccola città della regione Umbria
fortemente danneggiata durante la crisi del 1997. Nel nostro studio, abbiamo esaminato una serie di
piccoli terremoti registrati in un intervallo di tempo successivo (data d'inizio: 18-Ottobre 2007; fine: 3Novembre 2007) a quella analizzata da Piccinini et al. (2006) e registrate da un numero maggiore di
stazioni con una maggiore copertura orizzontale. La regione indagata racchiude l'area (Fig.1) studiata
da Piccinini et al. (2006), in bianco nella Fig.1.
49
Fig.1 Posizione delle stazioni.
DATI
I dati utilizzati in questo studio sono costituiti dai sismogrammi di 621 terremoti di piccola
magnitudo (Fig.1) (1,4 ≤ ML≤ 4,2) registrati durante la crisi sismica dell'Umbria-Marche del 1997.
Le forme d'onda sono state registrate da una serie di 23 stazioni (temporanee e permanenti)
installate nella zona da diverse istituzioni (Fig.1). Lo scopo dell’analisi dei dati è la selezione di un
ciclo completo di oscillazione dell’onda S sulle due componenti orizzontali. Sulla base dei risultati di
alcuni studi precedenti (p.e. Zollo and Bernard, 1989; Kuo et al; 1994; Bouin et al.,1996), abbiamo
selezionato solo quelle tracce che mostrano una chiara onda S. A questo scopo, abbiamo estratto solo
quelle onde S i cui picchi sono molto più grandi dei picchi della coda dell'onda P
(Spicco/Pcoda_picco>10). Inoltre, abbiamo considerato solo quelle onde S che sono poco affette dalla
sovrapposizione di arrivi di alta frequenza durante il ciclo di oscillazione completo dell'onda S.
Un'ispezione visiva dei sismogrammi ci permette di selezionare 1954 onde S che soddisfano questi
criteri. Sulle tracce selezionate è stato applicato un filtro casuale passa banda nell'intervallo di
frequenza 1-15 Hz. L'importanza del filtraggio passa banda dei dati nelle analisi di polarizzazione è
stato discusso in molti studi di anisotropia sismica (p.e. Iannaccone e Deschamps, 1989; Kuo et al.,
1994). L'effetto del filtraggio dei dati nell'intervallo di frequenza 1-15 Hz è quello di rimuovere gli
arrivi di alta frequenza che potrebbero essere dovuti ad onde intrappolate negli strati superficiali.
TECNICA
Quando un'onda di taglio viaggia in un mezzo anisotropo la sua energia è separata in una
componente veloce ed una lenta con direzioni di polarizzazione ortogonali e velocità di propagazione
diverse. La causa più citata di anisotropia crostale è l'allineamento parallelo di microfratture verticali,
riempite di fluidi (Crampin, 1978). In questo caso, un'onda di taglio che si propaga attraverso il mezzo
anisotropo si divide in due onde polarizzate ortogonalmente, con l'onda di taglio polarizzata nel piano
della frattura che si propaga più velocemente dell’onda di taglio polarizzata ortogonalmente ad esso.
Pertanto, l'asse di simmetria coinciderebbe con la direzione di massimo stress compressivo orizzontale
σH. In alcuni casi, tuttavia, la direzione di polarizzazione dell'onda di taglio veloce non coincide con
σH e per spiegare questa osservazione sono state proposte altre cause di anisotropia sismica, come
l’allineamento preferenziale dei minerali o fratture orientate nelle vicinanze del sistema di faglie (p.e.
Zhang e Schwartz, 1994 e riferimenti).
50
Per effetto del tempo di separazione tra la componente veloce e quella lenta, la polarizzazione
dell'onda S devia dalla polarizzazione lineare prevista in un mezzo isotropo ed il “particle motion”
assume una forma ellittica. Pertanto la visualizzazione del particle motion dell'onda S rappresenta una
prima indicazione qualitativa per la valutazione delle proprietà anisotrope dei materiali crostali.
Tuttavia, come effetto della conversione S dell’onda P, l’onda S che colpisce la superficie ad un
angolo i maggiore del valore critico i = sin −1  V p  può essere registrata in superficie come un’onda
V 
 s
c
polarizzata ellitticamente.
Per questo motivo, solo le onde S che si trovano all'interno della così denominata finestra delle
onde di taglio (cioè i < ic) devono essere considerate indicative per la deduzione della proprietà
anisotrope del mezzo. Sulla base di studi precedenti (p.e. Iannaccone e Deschamps, 1989;.
Papadimitriou et al, 1999) abbiamo dedotto l'angolo di incidenza dopo la diagonalizzazione della
matrice di covarianza delle prime onde P. Nella nostra analisi, abbiamo considerato una finestra
temporale che inizia 0.01 sec prima del primo dell'arrivo delle onde P e contiene un ciclo completo di
oscillazione della prima onda P. Seguendo Jurkevics (1988), dopo il calcolo degli autovettori e
autovalori (λ1 > λ2 > λ3) della matrice di covarianza delle tre componenti del moto ondoso, sono state
calcolate sia il grado di linearità sia l’angolo di incidenza:
 λ + λ3 
R = 1−  2

 2λ1 
(1)
i = cos −1 (µ11 )
(2)
Nell’equazione (2), µ11 è l'autovettore della matrice di covarianza corrispondente a λ1. Un moto
rettilineo dell’onda P corrisponde a valori elevati di R (R> 0.9). Grazie alla presenza di fluidi nella
crosta ed un contrasto di velocità in profondità nella regione Umbria-Marche (Filippucci et al., 2006) è
atteso un valore di Vp/Vs superiore al valore di Poisson, che porta ad un valore più alto di ic. Basandoci
anche su studi precedenti (p.e. Zollo e Bernard, 1989), abbiamo quindi incluso nel nostro dataset solo
le registrazioni che hanno un angolo di incidenza inferiore a 40°. Questa regola di selezione ha ridotto
il numero di onde S disponibili a 1234. L’anisotropia sismica è di solito quantificata calcolando il
tempo di separazione tra la componente lenta e veloce e la direzione di polarizzazione dell'onda taglio
veloce.
Abbiamo misurato i parametri di anisotropia utilizzando la versione 2D (Kuo et al., 1994) della
tecnica di cross-correlazione (Bowman eAndo, 1987). Questa tecnica consiste nell'effettuare una
ricerca su una griglia dei valori di cross-correlazione delle due onde S orizzontali su tutti gli angoli di
rotazione φ ed i tempi di separazione τ tra le due componenti. La coppia (τ*, φ* ) che dà il massimo
coefficiente di cross-correlazione fornisce, rispettivamente, il tempo di separazione tra le componenti
veloce e lenta e l’orientamento dell’arrivo dell’onda di taglio veloce . Abbiamo campionato lo spazio
(τ ,φ) usando un passo temporale dτ pari al tempo di campionamento dei sismogrammi ed un passo
angolare dφ di un grado nell’intervallo (0°, 90°). Dopo aver ricavato i valori ottimali, (τ*,φ*), abbiamo
effettuato un’analisi ai minimi quadrati del particle motion delle componenti shiftate e ruotate, per
rimuovere dal dataset le registrazioni che non presentano un particle motion rettilineo dopo la
correzione per anisotropia. Dall’analisi visiva, abbiamo deciso di rimuovere dal dataset quelle
registrazioni che hanno un coefficiente di determinazione R2 inferiore a 0,8.
Per testare l’affidabilità dei risultati, seguendo Papadimitriou et al. (1999), abbiamo effettuato un
ulteriore passo in avanti nelle nostra analisi, controllando visivamente tutti i risultati ottenuti, allo
scopo di rimuovere dal set di dati tutte le tracce per le quali la correzione per l’anisotropia era
insoddisfacente. Per fare ciò abbiamo fatto i plots delle due componenti spostate nel tempo e ruotate e
del loro particle motion (Figura 2). Poi abbiamo ruotato le due componenti lungo la direzione di
polarizzazione ricavata per ottenere la componente trasversale Ut del movimento S (cioè la
componente di moto lungo la direzione di polarizzazione ricavata φ) e la componente radiale UR del
movimento S (cioè la componente di moto nella direzione ortogonale φ) (Figura 2). Vale la pena
notare che, nel caso ideale di perfetta correzione per l’effetto di anisotropia, UR dovrebbe essere pari a
zero. Pertanto l'ampiezza di UR rappresenta una misura dell'errore relativo alla correzione per
l'anisotropia. Partendo da questa osservazione abbiamo mantenuto solo le tracce aventi una piccolo
rapporto UR/Ut (Figura 2). Dopo l'analisi completa, il numero di onde S selezionate è pari a 884. È da
51
notare che, in uno studio precedente nella stessa zona, è stato utilizzato un filtro in un intervallo
diverso di frequenza (1-5 Hz) (Piccinini et al. 2006). Quindi, per studiare la sensibilità dei risultati
all’intervallo di frequenza del filtro, in una fase successiva abbiamo effettuato la stessa analisi sopra
descritta, ma utilizzando un filtro passa banda di 1-8Hz. I risultati ricavati sono coincidenti, all'interno
della barra di errore, con quelli ottenuti con il filtro passa-banda 1-15 Hz.
RISULTATI
I risultati dell'analisi sono riassunti in figura 3, dove vengono visualizzati l'istogramma polare degli
assi di simmetria e l'istogramma dei tempi di separazione. La figura 3a indica chiaramente un asse di
simmetria principale, approssimativamente orientato N125°E ed un asse di simmetria secondario,
approssimativamente orientato N45°E.
Fig. 2. Esempio di correzione per l’anisotropia alla stazione ARM1.
La direzione dell'asse di simmetria principale coincide, all'interno della barra di errore, con la
direzione del massimo sforzo di compressione nell'Appennino Centrale (p.e. Piccinini et al, 2006.;
Iannaccone e Deschamps, 1989) e la direzione dei sistemi di faglie nell’ area (p.e. Chiaraluce et al.,
2003). La direzione dell'asse di simmetria secondario è quasi ortogonale al primo.
L’istogramma di tempi di separazione è stato calcolato rimuovendo i dati che hanno un tempo di
separazione nullo (134 su 884 dati) e mostra la forma gaussiana su un lato con un picco intorno
τ=10ms. È stata stimata una media pesata del tempo di separazione di <τ>=32,3±4ms.
Fig. 3 Diagramma i rose egli assi di simmetria (a).
Istogramma ei tempi di separazione di tutti i dati (b).
Fig. 4 Esempi di τn vs. profondità focale.
Non si nota nessun andamento di τ vs R. Un risultato molto simile è stato ottenuto per il segmento
di Loma Prieta del sistema di faglia di San Andreas (Zhang e Schwartz, 1994), che è stato interpretato
come dovuto ad uno strato anisotropico avente uno spessore inferiore rispetto alla profondità minima
dei terremoti considerati. Nel nostro caso, anche se la profondità minima di terremoti studiati è 0,3
km, la maggior parte dei dati corrisponde a profondità focali maggiori di 2 km. Pertanto, lo spessore
minimo dello strato anisotropo può essere stimato approssimativamente di circa 2 km. Nel tentativo di
limitare ulteriormente lo spessore dello strato anisotropo abbiamo anche analizzato l'andamento dei
tempi di separazione normalizzati τa=τ/R vs. la profondità focale. Questa analisi indica che lo strato
anisotropo potrebbe estendersi a profondità maggiori (4-5 km) poiché solo al di sotto di queste
profondità non si deduce nessuna variazione chiara nel τn medio. Queste considerazioni sono
supportate dai plots di τ per stazione vs profondità (figura 4). Abbiamo preso in considerazione solo
le stazioni per le quali un certo numero di dati, superiore a 20, era disponibile (15 stazioni) (figura 4).
Solo sei stazioni (CAS1, RA1, RASE, ETZ, MVL, PIED) mostrano una sufficientemente diminuzione
52
di τn al di sopra di una certa profondità. È interessante notare, in tutte queste stazioni, questa
profondità è di circa 4-5 km, confermando la stima globale del massimo spessore ottenuto dal plot del
tempo di separazione normalizzato vs profondità in tutte le stazioni. Questo potrebbe indicare che la
profondità dello strato anisotropo è più o meno coincidente con la profondità di nucleazione (circa 6
km) delle scosse più energetiche della sequenza (Amato et al., 1998). Per la maggior parte delle
stazioni, tuttavia, l'assenza di una netta tendenza di τ rispetto alla profondità sostiene fortemente
l'ipotesi che l'anisotropia sismica subisce significative variazioni spaziali ed è controllata da strutture
geologiche a scala locale. In figura 5 abbiamo tracciato i diagrammi di rose delle direzioni ricavate
dell’ asse di simmetria per quelle stazioni per le quali era disponibile un numero di dati superiore a 20.
I risultati sono stati suddivisi in tre gruppi, che aventi pattern di polarizzazione simili. Per il primo
gruppo, denominato gruppo A, (figura 5a) che include le stazioni APPE, COLL, RA1, CAS1, RASE,
LAVE, si ricava un ben definito asse di simmetria, circa orientato N125°E. Tale direzione corrisponde
approssimativamente alla direzione di massimo sforzo di compressione nella zona e alla direzione dei
principali sistemi di faglie nella zona (Chiaraluce et al., 2003). Questa direzione è inoltre coerente con
la direzione dell’asse di simmetria principale dedotta in uno studio precedente nella stessa zona
(Piccinini et al., 2006).
Fig. 5 Digramma di rose degli assi di simmetria veloci ad
ogni stazione e la direzione degli assi veloci ogni stazione.
Fig. 6. Confronto tra le principali strutture geologiche nell’area
Pertanto, a queste stazioni è ben supportata l'interpretazione che l’anisotropia è controllata da
fratture indotte da stress, approssimativamente orientate lungo la direzione di massimo sforzo di
compressione. Per il secondo gruppo (figura 5b), denominato gruppo B, che comprese le stazioni di
ARM1, BETT, ETZ, MVL, TREV, gli istogrammi polari dell’ asse di simmetria indicano due
direzioni preferenziali. La prima è orientata circa N125°E, come per il primo gruppo. La seconda ha
un orientamento che varia da circa N15°E alla stazione ARM1 a circa N30°E alle stazioni ETZ e
BETT a N35-45° alle stazioni di TREV e MVL. Il terzo gruppo (figura 5c), denominato gruppo C,
include le stazioni CMR, PIED, SERR, SPRE. Queste stazioni mostrano un asse di simmetria ben
definito, che oscilla tra circa N45°E alle stazioni SERR e PIED a circa N55°E alle stazioni CMR,
53
SPRE, approssimativamente la stessa direzione dell'asse di simmetria secondario alle stazioni del
gruppo B.
In figura 6 sono state correlate le direzioni degli assi di simmetria veloci con le strutture geologiche
note della regione Umbria - Marche, come indicato in Collettini e Barchi (2002). Ad eccezione della
stazione SPRE, le stazioni situate nel nord e nella parte orientale della zona (COLL, LAVE, RA1,
ARM1, APPE e CAS1) hanno l'asse principale di simmetria approssimativamente orientato nella
direzione delle faglie normali attive. Al contrario, le stazioni PIED, SERR e CMR, che si trovano
molto vicino ad un fronte di sovrascorrimento, hanno l'asse di simmetria nella stessa direzione fronte
di sovrascorrimento, mentre le stazioni ETZ, MVL e TREV mostrano uno dei due assi di simmetria
diretto lungo il fronte di sovrascorrimento più vicino e l'altro approssimativamente parallelo alla
direzione della faglia più vicina. È interessante notare che quasi tutte le stazioni situate intorno a
Colfiorito hanno un asse di simmetria orientato nella direzione appenninica, confermando i risultati di
uno studio precedente intorno alla città di Colfiorito (Piccinini et al., 2006).
Sia la sorprendente corrispondenza tra la direzione dell'asse di simmetria veloce e l'orientamento
delle principali strutture geologiche della zona, sia la difficoltà sopra descritta nel determinare una
profondità media stabile dello strato anisotropo, ci portano a ipotizzare che le proprietà anisotrope
dell’Umbria - Marche siano fortemente controllate dalla presenza di sistemi di fratture locali, nei
pressi della stazione, riempite da fluidi, orientate approssimativamente nella direzione delle principali
discontinuità litologiche note nella zona. Questa conclusione è supportata anche da precedenti studi
sismici. Il ruolo dei fluidi sulla sismicità durante crisi sismica dell’Umbria - Marche non può essere
trascurato (p.e. De Lorenzo et al, 2010).
Si precisa che la piccola discrepanza (dell'ordine di 10° -15°) tra l'orientamento dell’asse di
simmetria e veloce la direzione della faglia attiva normale più vicina (fig.6) in alcuni casi (ad esempio
stazione APPE), potrebbe essere spiegato in termini del cosiddetto modello EDA (extensive dilatancy
anisotropy). Una base fisica per il modello EDA è, infatti, data da Crampin e Zatsepin (1997) e
Zatsepin e Crampin (1997), che hanno sviluppato la teoria APE (anelastic-Poro-elasticity) per
descrivere l'evoluzione di micro-fessure sature di fluidi.
La nostra spiegazione dei risultati sopra presentati, nella teoria EDA ed APE, può essere riassunta
nel modo seguente:
Per le stazioni di gruppo A, l’anisotropia può essere spiegata in termini di fratture riempite da fluidi
orientate approssimativamente lungo la direzione dei sistemi principali di faglie nella zona. Le piccole
differenze (10°-20°) tra l'orientamento degli assi di simmetria di queste stazioni e la direzione dei
sistemi di faglie attive potrebbe essere causata da piccole variazioni nell’aspetto delle fratture, causato
da un aumento locale di pressione del fluido che non raggiunge la condizione critica di alta pressione.
Per quanto riguarda le stazioni del gruppo B (TREV, ETZ, MVL), la somiglianza tra la direzione di
uno dei due assi di simmetria e la direzione del di scorrimento più vicino (per le stazioni situate a sud
di Colfiorito) potrebbe indicare che, in queste stazioni, l’anisotropia è controllato da sistemi locali di
fratture ortogonali riempiti di fluido, il primo orientato parallelamente al fronte di scorrimento ed il
secondo parallelo alla direzione della faglia del più vicina. Questo è confermato dall’eccellente
accordo tra l’orientamento dell'asse di simmetria veloce alle stazioni PIED, CMR e SERR (gruppo C)
e la direzione del sovrascorrimento più vicino. Per queste stazioni, si può quindi ipotizzare che
l’anisotropia è controllata da sistemi di fratture riempite di fluido parallele al fronte di
sovrascorrimento. Infine, notiamo che la percentuale di anisotropia dedotta in questo lavoro varia da
1,5% a 2,8%, a cui corrisponde , nell’ambito della teoria EDA, una densità di frattura ε (Crampin e
Zatsepin, 1997) che va da 0,015 a 0,028. Questi valori corrispondono ad un regime di cracks separati e
sono molto minori del valore critico ε=0,045 al quale cracks vicini cominciano a coalizzarsi (Crampin,
1993). Questo rafforza l'ipotesi che l’anisotropia sismica sia spazialmente eterogenea nella zona e sia
controllata da strutture anisotrope a scala locale.
CONCLUSIONI
L’anisotropia sismica nella regione Umbria-Marche mostra chiare variazioni spaziali. Solo a poche
stazioni i tempi di separazione ed i tempi di separazione normalizzati mostrano un chiaro andamento
con la profondità, che ci permette di stimare lo spessore dello strato anisotropo, in un intervallo che va
da un minimo di 2 km ad un massimo di 4km. La chiara correlazione tra la direzione dell'asse di
54
simmetria veloce a quasi tutte le stazioni e la direzione delle principali discontinuità geologiche della
zona indica che l’anisotropia è controllata da fratture piene di fluido a scala locale. I nostri risultati
sono in accordo parziale con uno studio precedente effettuato nell’area (Piccinini et al., 2006). Infatti i
nostri risultati confermano che l’anisotropia è indotta da sistemi di fratture riempite da fluido, come
succede intorno alla città di Colfiorito. Tuttavia, la densità di frattura più piccola che è stata
determinata in questo studio indica un regime di sistemi di fratture separate a scala regionale.
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55
Studio della subsidenza nel golfo di Manfredonia (Foggia) con
l’ausilio di tecniche d-insar: primi risultati e prospettive future
Triggiani M.1, Refice Alberto2, Capolongo Domenico1, Bovenga Fabio2 & Caldara Massimo1
1
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali – Università degli Studi di Bari “Aldo Moro
2
CNR-ISSIA, Via Amendola 122/D, 70126 Bari, Italia
RIASSUNTO
Nell’ambito del P.O.R. Puglia 2000-2006 misura 1.3 “Monitoraggio degli interventi di difesa costiera e
dell’evoluzione dei litorali” è stato condotto uno studio basato sull’utilizzo delle tecniche interferometriche con
la finalità di definire se l’area costiera del Golfo di Manfredonia fosse soggetta a subsidenza. Lo studio è stato
realizzato analizzando 103 immagini SAR, in particolare si sono analizzate 30 immagini della serie ENVISAT
ascendente (Giugno 2003 – Giugno 2008), 25 immagini per la serie ERS ascendente (Agosto 1992 – Agosto
2000) e 48 immagini della serie ERS discendente (Luglio 1995 – Dicembre 2000). La scarsa urbanizzazione
rappresenta il principale limite della tecnica Permanent Scatteres Interferometry, che si basa sull’analisi del
segnale di ritorno di oggetti “scatteratori” stabili nel tempo, ossia che restituiscono un segnale riflesso costante
su tutto l’intervallo di osservazione. Tali elementi corrispondono in genere a manufatti antropici come edifici o
infrastrutture; per questa ragione questa tecnica risulta particolarmente affidabile in aree urbanizzate e meno in
aree rurali. La bassa densità di tali bersagli nell’area di studio ha reso necessario dividere questa in zone ristrette
centrate su centri urbani o gruppi di manufatti.
La conclusione dell’analisi condotta è che la fascia costiera del Golfo di Manfredonia è affetta da rilevante
subsidenza. Il fenomeno si presenta in graduale aumento, in maniera continua, tra Manfredonia, che risulta
stabile, e l’Ippocampo dove si registrano i tassi più elevati, con valori fino ai –10 mm/y per la serie ERS e
superiori nella serie ENVISAT; in quest’ultima si raggiungono valori superiori ai −20 mm/y per l’area più
meridionale del villaggio turistico, che corrisponde alla zona dove si è ormai formata, negli ultimi anni, una salt
marsh. L’abitato di Zapponeta presenta valori controversi in quanto i Permanent Scatteres sono raggruppati in
un cluster isolato, non correlabile facilmente con le aree circostanti. Sembrerebbe che vi sia una deformazione
maggiore sul lato verso costa rispetto all’area più interna (forse pari a –9 e i –15 mm/y). Tali osservazioni, come
pure i limiti delle stesse, sono grosso modo in accordo con quanto pubblicato nel 2010 nel Piano Straordinario di
Telerilevamento del Ministero dell’Ambiente.
Questo studio preliminare ha confermato i limiti del metodo interferometrico applicato ad aree scarsamente
urbanizzate o con agglomerati isolati. Una possibile soluzione al problema sarebbe l’impianto di riflettori
artificiali, ossia strutture che, per caratteristiche costruttive, si comportino da capisaldi radar. Si tratta di
manufatti metallici di semplice costruzione e passivi (ovvero non alimentati da corrente elettrica) che non
richiedono particolare manutenzione e risultano facilmente identificabili e monitorabili sulle immagini.
L'installazione dei riflettori artificiali va quindi vista in un'ottica di prevenzione di medio-lungo periodo per la
programmazione di piani regionali che interessino le piane costiere in subsidenza. Inoltre le ulteriori analisi
interferometriche che si andrebbero a condurre, potranno basarsi sull’analisi di immagini rilevate da sensori più
recenti e a più alta risoluzione come TerraSAR-X e COSMO-SkyMed.
56
La sedimentazione mista terrigeno-carbonatica in Puglia e
Basilicata
Tropeano Marcello*, Chiarella Domenico^, Longhitano Sergio^, Sabato Luisa*,
Spalluto Luigi*, Cilumbriello Antonietta*, Gallicchio Salvatore*, Gioia Dario*,
Moretti Massimo* & Pepe Mariangela*
*Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università di Bari "Aldo Moro"
^Dipartimento di Scienze Geologiche, Università della Basilicata, Potenza
RIASSUNTO
L’industria petrolifera e il mondo della ricerca di base stanno mostrando un crescente interesse nello studio
dei sistemi deposizionali misti terrigeno-carbonatici: la prima per ottenere strumenti predittivi sulla distribuzione
bi- e tri-dimensionale dei litotipi porosi (potenzialmente utili come serbatoi di fluidi di interesse), il secondo sia
per capire il tipo di factory che può accompagnare la sedimentazione terrigena (per discriminare i fattori di
controllo nello sviluppo delle comunità produttive di carbonato) sia per interpretare l’eventuale partizione dei
sedimenti misti (visto che particelle terrigene e particelle carbonatiche possono rispondere in maniera diversa
agli stessi processi idrodinamici).
La sedimentazione mista di tipo terrigeno-carbonatico si verifica prevalentemente in ambienti marini poco
profondi. In questi contesti, dove alimentazione terrigena e produzione carbonatica coesistono, la migrazione
laterale di facies differenti può produrre una miscela composizionale (depositi ibridi); negli stessi contesti, in
risposta a variazioni relative del livello del mare o a variazioni di tipo climatico e/o nella quantità e tipo di
apporti terrigeni, sistemi carbonatici e terrigeni possono rapidamente alternarsi in maniera ciclica
(sedimentazione reciproca, quando i carbonati si depositano negli intervalli di stazionamento alto del livello del
mare e i terrigeni invece negli intervalli di stazionamento basso).
Nell'ambito della tematica accennata, alcune unità plioceniche e pleistoceniche affioranti in Puglia e
Basilicata si sono rivelate utili esempi di studio per caratterizzare potenziali analoghi sistemi deposizionali misti
sepolti, mentre lo studio della sedimentazione attuale nelle piattaforme pugliesi potrebbe offrire utili spunti per
dimostrare la conflittualità esistente fra la sedimentazione terrigena e quella carbonatica, un fenomeno
sottovalutato o ignorato nell'ambito dell'analisi della difesa costiera.
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