RASSEGNA STAMPA 8 LUGLIO 2009 www.americaoggi.info Italia Cina. Intese per due miliardi di dollari 07-07-2009 ROMA. Le porte della Cina si aprono per più di 500 imprenditori italiani che guardano all'Estremo Oriente come sbocco per i propri prodotti. E già ieri Italia e Cina hanno chiuso 38 intese, che coinvolgono ministeri e imprese private, per un valore totale di 2 miliardi di dollari. Sono questi i principali risultati del China Day, il forum fra Italia e Cina al quale hanno preso parte oltre 500 imprenditori italiani e oltre 300 cinesi, dando vita a più di 1.000 incontri bilaterali nell'arco della due giorni romana. L'Italia ha già con la Cina un giro d'affari da 38 miliardi di dollari, a tanto ammonta l'interscambio commerciale del 2008, ma "siamo consapevoli che possiamo fare di più, favorire sempre più cospicui investimenti cinesi in Italia e riequilibrare, almeno in parte, il deficit commerciale con Pechino, giunto a 17 miliardi di euro nel 2008", sottolinea il ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola, che è tornato indietro di sette secoli, fino a Marco Polo, per ricordare la lunga tradizione che lega Italia e Cina: "Scriviamo ora un'altra pagina di questa storia". L'obiettivo, ha sottolineato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, è quello di entrare "nell'arco di tre anni tra i primi tre Paesi che hanno investimenti in Cina". Non solo investimenti italiani in Cina, quindi, ma attrazione di investimenti e turismo cinesi in Italia. Oggi la parte del leone l'hanno giocata i grandi nomi, da Fiat a Mediobanca, passando per Finmeccanica e Generali, ma in molti hanno sottolineato con soddisfazione la quantità e qualità di accordi siglati da imprese di piccole e medie dimensioni, fra cui spiccano le intese raggiunte con Shangai Gracing Group da Pelletteria Manfrin e Villa Pedemonte Atelier: due lettere di intenti da 140 milioni di dollari l'una, per la produzione, il design e la creazione di oggetti di pelletteria e gioielleria. Importanti anche gli accordi da 49 milioni del gruppo Getra per una joint venture sui trasformatori, i 30 della Marazzi realizzazione di "piastrelle ceramiche solari", e i 20 milioni di Mantero Seta per tessile di alta gamma. Tutte operazioni che, è pronto a scommettere il vice ministro, Adolfo Urso, cambieranno la percezione della Cina in Italia: da "competitrice, talvolta conflittuale, rischio per le imprese italiane", si passa a quella di "un Paese con cui collaborare, con cui crescere insieme". Anche perché, ha aggiunto, "molti altri accordi seguiranno nei prossimi mesi", completando "il salto di qualità, la svolta storica dei rapporti fra Italia e Cina". La Fiat torna a produrre auto e motori TORINO. La Fiat torna a produrre auto e motori in Cina: lo farà dal 2011 con una joint venture paritetica con il gruppo Gac (Guangzhou Automobile Group). L'accordo è stato firmato, ieri a Roma, dal presidente della società cinese, Zhang Fangyou, e dall'amministratore delegato del gruppo Fiat, Sergio Marchionne, davanti al premier Silvio Berlusconi e al presidente della Repubblica Popolare Cinese, Hu Jintao. "È una tappa importante, con un partner molto forte, nel percorso di internazionalizzazione della Fiat e delle sue tecnologie", commenta il presidente del Lingotto, Luca Cordero di Montezemolo, mentre John Elkann sottolinea l'importanza del mercato cinese per il futuro. Di accordo rilevante parlano anche il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, e la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia. Fiat e Gac costruiranno un nuovo stabilimento, che sarà situato nella città di Changsha e si estenderà su una superficie produttiva di oltre 700.000 metri quadri, con un investimento complessivo pari ad oltre 400 milioni di euro. Nella prima fase di sviluppo, la joint venture disporrà di una capacità installata di 140.000 vetture e 220.000 motori all'anno, ma la capacità del sito potrà aumentare fino a 250.000 vetture e 300.000 motori. L'avvio della produzione è previsto per la seconda metà del 2011. I modelli prodotti saranno equipaggiati con motori e cambi tecnologicamente evoluti, per rispondere alle richieste del governo cinese di sviluppare veicoli a bassi consumi e ridotte emissioni. Il primo modello che verrà introdotto sul mercato sarà la Linea, berlina a tre volumi di segmento C. I motori saranno Fire 1.4 T-Jet da 120 e 150 cavalli. L'intesa con Gac è la più rilevante, ma non è la sola firmata dalla Fiat nell'ambito del forum Italia-Cina. Altri sette accordi, dal valore complessivo di 225 milioni di dollari, coprono praticamente tutto il business del gruppo Fiat, da Powertrain a Ferrari e Maserati fino a Cnh. Il gruppo torinese ha oggi in Cina tre uffici di rappresentanza, 14 società totalmente controllate e nove joint venture, con un totale di 13.000 dipendenti. Nel 2008 le attività della Fiat nel Paese della Grande Muraglia hanno generato un fatturato di quasi 2,4 miliardi di dollari. www.avvenire.it Credito e massimo scoperto: Draghi "bacchetta" le banche «ll credito alle imprese rallenta ancora», «la redditività degli istituti è destinata a scendere», bisogna mettere un freno «a commissioni complesse e opache» e sopratutto sulla commissione massimo scoperto «bisogna risolvere il problema alla radice». Il governatore Draghi di Bankitalia così interviene all'assembela dell'Abi. E annuncia anche che l'istituto ha «costituito una task force per valutare gli effettivi meccanismi di remunerazione» dei manager bancari «e chiedere correttivi dove necessario». Credito in contrazione. I prestiti sono ancora in calo, e sono soprattutto le aziende a subire la diminuzione. «Il credito al settore privato - ha detto Draghi - rallenta ancora. Da aprile la variazione su tre mesi è divenuta negativa: in maggio era pari a -0,9% su base annua. Nell'ultimo decennio - ha aggiunto - il tasso di crescita medio annuo del credito al settore privato è stato pari al 9,6%. E' particolarmente intensa la decelerazione dei prestiti erogati dai gruppi bancari maggiori». «I prestiti alle famiglie - ha sottolineato il governatore - continuano a espandersi, benchè a ritmi nettamente inferiori a quelli degli ultimi anni». Massimo scoperto. «Le banche devono risolvere alla radice la questione del massimo scoperto», e devono «sostituire spontaneamente, una volta per tutte, le commissioni complesse e opache con commissioni ragionevoli sui fondi messi a disposizione; per il resto - dice Draghi - si riconduca tutto all'applicazione trasparente dei tassi di interesse». Il patriomonio. «Le risorse patrimoniali delle banche italiane si collocano ampiamente al di sopra dei minimi regolamentari; lo sono state anche durante le fasi più acute della crisi». Ma «è necessario comunque un rafforzamento» dei coefficienti patrimoniali degli istituti di credito. La crisi e il lavoro. Per il numero uno di via Nazionale bisogna usare molta cautela nell'interpretazione dei dati sulla cassa integrazione perchè «una rondine non fa primavera». DONNE E LAVORO La differenza che pesa in busta La parità fra uomini e donne nel mondo del lavoro, nonostante i progressi compiuti, resta ancora un obiettivo lontano e non solo in Italia. Una delle dimensioni in cui emergono più evidenti le disuguaglianze fra i sessi è quella del livello retributivo: il cosiddetto gender pay- gap. Una questione che oggi, con la crisi, assume ancora più rilevanza e su cui si è soffermata anche la Commissione europea nella sua ultima relazione annuale sui progressi raggiunti in fatto di pari opportunità, stimando in un 17,4% lo scarto retributivo fra uomini e donne nei Paesi Ue. L’Italia per una volta non è il fanalino di coda. Da noi, infatti, il pay-gap sembra non raggiungere i livelli toccati in altre nazioni, nonostante le varie rilevazioni non siano proprio uniformi (dal 16% di Eurispes all’8,75% di Isfol, entrambi nel 2009). Ciò che più rileva, tuttavia, al di là della quantificazione del fenomeno, è l’individuazione delle sue molteplici concause e delle dimensioni su cui è possibile operare per incidere sulla forbice retributiva uomini-donne. Un prezioso e innovativo contributo in questo senso arriva da una ricerca condotta in collaborazione tra l’Osservatorio sul Diversity management di Sda Bocconi e Hay Group, che apre nuovi scenari sull’interpretazione delle differenze retributive e sulle strategie aziendali attivabili per ridurlo. Analizzando un campione di 100 aziende, con un 30% di donne lavoratrici sul totale di impiegati, quadri e dirigenti, la ricerca mostra che in termini di retribuzione fissa le donne percepiscono il 23% in meno degli uomini (-25% considerando anche la parte variabile). Un differenziale elevato ma non troppo, se lo si paragona a quello di analoghi campioni riferiti ad altri Paesi europei dove la partecipazione delle donne al Le donne scontano un differenziale retributivo negativo rispetto agli uomini. Per ridurlo, occorre anzitutto misurarlo correttamente Ricerca di Bocconi e Hay Group mercato del lavoro è maggiore che in Italia, come Belgio ( pay-gap al 29%) o Francia (42%). I risultati però cambiano drasticamente se si prendono a riferimento gli indicatori elaborati da Hay Group, che permettono di operare confronti scientificamente fondati fra i trattamenti retributivi a parità del grado di complessità della posizione lavorativa, misurato oggettivamente con un punteggio numerico (vedi intervista in pagina). Utilizzando questo approccio, emerge che le donne sono meno presenti nelle posizioni col grado di complessità maggiore, fatto che può spiegare una parte delle differenze retributive. Ma anche in posizioni equivalenti in termini di complessità, ed è questo il risultato più interessante, resta un pay-gap a favore degli uomini, anche se solo del 2%. Un divario non più giustificabile con motivazioni tradizionali (differenze d’inquadramento, di anzianità aziendale, d’età), che induce quindi a ricercare la vera 'discriminazione' in un fattore legato appunto al sesso, che tocca trasversalmente tutto il mondo del lavoro. La ricerca esprime, dunque, la necessità di indagare il fenomeno del pay-gap su piani che attengono a dinamiche di ordine culturale e cognitivo, prospettando due ambiti di azione possibili: da una parte soluzioni organizzative, di politiche non solo retributive ma gestionali e di sviluppo; dall’altra, percorsi individuali formativi che aiutino le donne a migliorare la propria capacità di affermarsi, proporsi, sviluppando le proprie potenzialità. È questa la duplice sfida per le aziende che intendono porre la questione della diversità di genere al centro delle loro strategie. E per la società nel suo insieme, che ha bisogno, ora più che mai, che i talenti siano espressi appieno per poter creare ricchezza da redistribuire. Retribuendoli senza differenze. Andrea Di Turi www.cdt.ch Economia sterile senza etica La nuova enciclica del Papa, "Caritas in Veritate" di MARIO TETTAMANTI - Sorprendente. È forse questo l’aggettivo che meglio si adatta alla terza enciclica di Papa Benedetto XVI, dedicata all’economia – «Caritas in Veritate» – presentata ieri in Vaticano (ne parliamo nel Corriere del Ticino di oggi a pagina 3). Stupisce, prima di tutto, la concretezza delle proposte di fronte alla crisi dell’economia globalizzata. Ratzinger, in altre parole, scende dagli scranni della teoria e cerca di calare nel mondo reale la sua teologia. Ma sorprende, anche, l’afflato utopistico del documento, come rileva, nel Primo Piano, il vaticanista Giancarlo Zizola. Occuparsi prevalentemente di economia invece che di filosofia e di teologia non impedisce di recepire il messaggio, per certi versi molto puntuale, sulle questioni che sono oggi al centro del dibattito sulle responsabilità e le conseguenze della crisi finanziaria ed economica. L’enciclica, almeno la parte dedicata a questo tema, assume il significato di un vero decalogo dedicato a politici, economisti, imprenditori e banchieri. Un appello, quello del Papa, che tocca il centro del problema venuto alla luce in questi ultimi mesi con la crisi generata dalla finanza e ora entrata a piè pari nell’economia reale. Ratzinger parla della crisi economica, sprona i cittadini a reagire con fiducia e chiede agli Stati di impegnarsi nella ricerca di nuove regole. Non solo: oltre alla definizione di nuove norme di comportamento di ordine tecnico, l’enciclica, più in generale, afferma che «vi è l’assoluta necessità da parte dei politici di spronare a un rinnovamento culturale e alla riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore». L’attuale crisi deve dunque diventare occasione di discernimento e di nuova progettualità. Della disoccupazione, conseguenza della crisi, che le impietose statistiche fanno diventare uno dei problemi di questo inizio di millennio, il Papa parla nel capitolo sulla mobilità e sul precariato. Pur accettando il principio della deregolamentazione dei mercati, l’accento vien posto sugli aspetti negativi che lo stesso fenomeno ha generato, come le incertezze sul futuro delle famiglie, le forme di instabilità economica e psicologica che stanno creando sia nei Paesi in via di sviluppo sia (causa la crisi) in quelli occidentali forme di degrado umano e sociale. La libertà di mercato è giudicata positiva, ma solo se accompagnata pari passo da forme di solidarietà e di fiducia. Da qui l’importanza dell’equità distributiva e sociale: «Il mercato lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati non riesce a produrre quella coesione sociale di cui ha bisogno. Senza questi presupposti il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica». Non poteva mancare il ruolo dello Stato che, secondo l’enciclica, è destinato a crescere, riacquistando molte delle sue competenze: «Ragioni di saggezza e di prudenza suggeriscono di non proclamare troppo affrettatamente la fine dello Stato». Il messaggio del Papa diventa particolarmente puntuale quando si rivolge agli imprenditori e ai banchieri. Vecchie e sane modalità della vita imprenditoriale – si legge – vengono oggi purtroppo meno. Ad esempio uno dei rischi maggiori è che l’impresa risponda quasi unicamente a chi investe senza tenere conto di chi lavora, ma così finisce per ridurre la sua valenza sociale. E ancora: a causa della crescita delle loro dimensioni e al bisogno di capitali, le aziende fanno capo sempre di meno a un imprenditore stabile che si senta responsabile a lungo termine della vita e dei risultati della sua azienda, sempre meno dipendente da un territorio. La delocalizzazione delle attività produttive (alla spasmodica ricerca di economie di scala) attenua nell’imprenditore il senso di responsabilità nei confronti dei portatori d’interessi, quali i lavoratori, fornitori e consumatori, l’ambiente naturale e la più ampia società circostante. Colpo di frusta anche alla finanza che, appiattita sul breve termine, ha funzionato male. Una finanza che, mal utilizzata, ha fortemente danneggiato l’economia reale e che – secondo l’enciclica – «deve assolutamente ritornare ad essere uno strumento finalizzato alla migliore produzione di ricchezza e di sviluppo». Gli operatori della finanza devono riscoprire il fondamento etico delle proprie attività per non abusare di quegli strumenti sofisticati che possono servire per tradire i risparmiatori. Retta intenzione, trasparenza e ricerca di buoni risultati sono compatibili e non devono mai essere disgiunti. Quando tocca questi argomenti l’enciclica si allontana dal puro e semplice documento di teologia per diventare una riflessione fondamentale rivolta a tutti – credenti o meno – sulla centralità dei legami tra economia, socialità, politica ed etica. Mario Tettamanti Come uscirà l'Europa dalla crisi? Nell'UE si prospettano scenari inflazionistici di GIOVANNI BARONE-ADESI - La crisi del credito è ormai passata. Le banche, riempite di liquidità dalle banche centrali, sono pronte a far credito a tutti i clienti affidabili. Preoccupa piuttosto la caduta dei consumi, legata all’incertezza delle prospettive di lavoro. Siamo così tornati allo schema classico di recessione, dove le perdite di consumi e di posti di lavoro si rinforzano a vicenda. Molti osservatori pensano che l’abbondante liquidità disponibile ci aiuterà a superare velocemente questa fase recessiva. Quando l’economia ripartirà, parte della liquidità fornita dalla Banca Centrale Europea (BCE) alle banche sarà immobilizzata in titoli di stato. Il resto dovrà essere drenato, per evitare che l’aumento della velocità di circolazione della moneta si traduca in un’elevata inflazione. L’operazione di drenaggio in Europa, a differenza degli Stati Uniti, si presenta difficile. Infatti, la necessaria diminuzione dei prestiti della BCE alle banche renderà più precario il finanziamento dei governi più deboli, come Grecia, Austria, Spagna, Portogallo, o metterà in difficoltà le banche di quei paesi. Nell’impossibilità politica di aiutare direttamente quei paesi, la BCE rischia di essere forzata ad abbandonare il suo mandato di difesa della stabilità dei prezzi. Se insistesse a perseguirlo, potrebbe causare l’insolvenza di alcuni di questi governi e una grave crisi politica dell’Unione Europea. Le fosche prospettive europee complicano, come sempre, la gestione del franco svizzero. Se la Banca Nazionale non badasse al cambio con l’Euro, la Svizzera potrebbe regolare la sua massa monetaria ed evitare l’inflazione. Questa politica rende tuttavia inevitabile un forte rafforzamento del franco, che la Banca Nazionale vuole evitare, al fine di proteggere la competitività dell’industria elvetica. L’obbiettivo della stabilità del cambio diventerà ovviamente insostenibile in caso di una grave crisi europea. Pertanto dobbiamo sperare che la BCE trovi la formula magica per quadrare il cerchio. La soluzione razionale, poco probabile politicamente, sarebbe che i governi più deboli beneficiassero dell’aiuto diretto di soggetti più forti. Il Fondo Monetario Internazionale, la BCE, l’Unione Europea sono in teoria delle istituzioni che si potrebbero fare carico di questo. Tuttavia l’efficacia di questi ipotetici aiuti richiederebbe l’introduzione di vincoli fiscali che limiterebbero fortemente la sovranità dei paesi che li accettassero. Sembra molto difficile che i parlamenti dei paesi interessati ratifichino politiche del genere. Chiunque abbia seguito l’inane dibattito fiscale in corso nel parlamento della California in questi mesi ha già visto un’anticipazione di quel che vedremo in Europa l’anno prossimo se la BCE seguirà la linea dura contro l’inflazione. Le conseguenze sociali, già gravi in California, sarebbero devastanti nelle società europee, meno flessibili di quella americana. Pertanto, in mancanza dell’auspicabile, ma improbabile, compromesso politico all’interno dell’Unione Europea, lo scenario inflazionistico appare come la più probabile via d’uscita per la BCE. La Svizzera dovrà quindi decidere se adeguarsi alle scelte europee, o lasciare che il franco si rafforzi. Giovanni Barone-Adesi, professore di economia finanziaria all’USI www.corriere.it INTERVENENDO ALL'ASSEMBLEA DELL'ABI Credito alle imprese e massimo scoperto, pressing di Draghi sulle banche Il governatore di Bankitalia: «Sui guadagni dei manager arriva una task force» ROMA - La Banca d'Italia ha «costituito una task force per valutare gli effettivi meccanismi di remunerazione» dei manager bancari «e chiedere correttivi dove necessario». Lo ha annunciato il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi intervenendo all'Assemblea dell'Abi nella quale ha spiegato che, a livello internazionale, il legame con risultati a breve ha favorito una «una falsa contabilità del profitto che produce una micidiale spirale di rischio». Draghi ha chiesto un maggior equilibrio tra la retribuzione fissa e quella variabile degli «stipendi» dei manager, collegando quest'ultima «ai guadagni effettivamente conseguiti in una prospettiva di medio-lungo periodo, tenendo conto dei relativi rischi». CREDITO A IMPRESE RALLENTA ANCORA - Poi il governatore ha rivolto l'attenzione alle banche bacchettandole: «Il credito al settore privato rallenta ancora», anche se «la contrazione riguarda le imprese, mentre i prestiti alle famiglie continuano a espandersi, benchè a ritmi nettamente inferiori a quelli degli ultimi anni». Il governatore ha aggiunto: «È particolarmente intensa la decelerazione dei prestiti erogati dai gruppi bancari maggiori». Le banche devono sapere «conciliare il perseguimento di prudenti e equilibri economici e patrimoniali con l'esigenza di non far mancare il sostegno finanziario alle imprese con buone opportunità di crescita, reali capacità di superare la crisi». Draghi ha spiegato che sia le banche sia la Vigilanza non possono allontanarsi «dal sentiero della rigorosa valutazione del merito di credito» perché «un sistema bancario sano è condizione necessaria per lo sviluppo, è presidio del risparmio affidato agli intermediari». Ma - ha aggiunto Draghi - «è altrettanto importante che le banche nel decidere sul credito da dare usino tutta l'informazione loro disponibile, integrino i risultati dei metodi statistici di 'scoring' con la conoscenza diretta del cliente, delle sue effettive potenzialità di crescita e di redditività nel lungo periodo». ADDIO MASSIMO SCOPERTO - Un ulteriore ammonimento alle banche è venuto dal governatore sulla commissione di massimo scoperto: «Ora le banche devono risolvere la questione alla radice; sostituiscano spontaneamente, una volta per tutte, le commissioni complesse e opache con commissioni ragionevoli sui fondi messi a disposizione; per il resto si riconduca tutto all'applicazione trasparente dei tassi di interesse». Il governatore ha sottolineato che è stato «necessario l'intervento del legislatore» dopo che «la ripetuta azione di moral suasion sortiva effetti solo nei confronti dei maggiori gruppi». TRASPARENZA PRO-CLIENTE - E difatti Draghi ha annunciato che entro questo mese la Banca d'Italia, dopo aver avviato una consultazione pubblica, varerà le disposizioni della nuova disciplina di trasparenza dei servizi bancari e finanziari e ha spiegato che la normativa «si è profondamente evoluta rispetto al passato». «Vuole - ha aggiunto - che il cliente disponga di informazioni semplici da capire, utili a valutare la convenienza delle operazioni che gli vengono proposte, la correttezza di chi gliele propone; richiede agli intermediari di adottare procedure interne che assicurino comportamenti corretti». Draghi ha ricordato che «complementare alla giustizia civile» è poi «il nuovo sistema per risolvere le controversie in materia di servizi bancari e finanziari: l'Arbitro Bancario Finanziario (Abf), che consentirà ai clienti di ottenere decisioni imparziali in modo rapido e poco costoso». «Saranno istituiti tre colleghi, uno per il Nord, uno per il Centro e uno per il Mezzogiorno - ha detto Draghi - I clienti delle banche vi si potranno rivolgere anche tramite le filiali della Banca d'Italia, che assicurerà le strutture tecniche per il funzionamento dell'Abf». IL PATRIMONIO BANCHE - Ancora sulle banche Draghi ha messo in evidenza che «le risorse patrimoniali delle banche italiane si collocano ampiamente al di sopra dei minimi regolamentari; lo sono state anche durante le fasi più acute della crisi». Ma «è necessario comunque un rafforzamento» dei coefficienti patrimoniali degli istituti di credito. Non si tratta solo di mantenere elevato il presidio della stabilità; occorre competere ad armi pari con gli intermediari esteri che nei mesi scorsi hanno dovuto far ricorso a massicce iniezioni di capitale pubblico; bisogna prepararsi sin d'ora ad operare con una dotazione di capitale che la regolamentazione vorrà, in prospettiva, più ampia di oggi». Secondo il numero uno di Via Nazionale, «rafforzare il patrimonio è soprattutto indispensabile per affrontare il deterioramento del quadro macroeconomico senza far mancare il sostegno di cui necessitano le imprese, le famiglie e l'economia». DATI CASSA INTEGRAZIONE: RONDINE NON FA PRIMAVERA - Sul fronte crisi il governatore ha detto che bisogna usare «molta cautela» nell'interpretazione dei dati sulla cassa integrazione perché «una rondine non fa primavera». Così ha commentato gli ultimi dati diffusi dall'Inps che vedono a giugno una riduzione, per la prima volta dopo mesi, delle ore di cassa integrazione ordinaria: «Abbiamo già avuto una diminuzione a gennaio e inoltre a giugno c'è una forte stagionalità: negli ultimi venti anni abbiamo sempre assistito a una diminuzione della Cig in giugno», ha detto Draghi, aggiungendo che se «una rondine non fa primavera speriamo di vedere comunque altre rondini». E SULLE POLITICHE ECONOMICHE: PERICOLOSO SE OGNI PAESE AGISCE DA SOLO Trichet: «Economia mondiale fragile, sarebbe imperdonabile lasciarla così» Il presidente della Bce: sì alla ricapitalizzazione delle banche, se serve anche con mezzi pubblici MILANO - L’economia mondiale è «fragile» e sarebbe imperdonabile lasciarla in «un tale stato di instabilità sistemica». Lo ha affermato il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet. «La situazione attuale è la prima prova, in una dimensione reale, della resistenza o piuttosto dell’assenza di resistenza, dell’assenza di solidità (...) dell’economia finanziaria e dell’economia mondializzata», ha dichiarato Tichet, in occasione degli Incontri economici di Aixen-Provence, nel sud della Francia. «Abbiamo creato progressivamente un’entità completamente nuova e questa entità è ancora fragile - ha proseguito -. Sarebbe imperdonabile e non ce lo perdonerebbero i cittadini, lasciare l’economia internazionale in questo stato di instabilità economica. Siamo costretti a raggiungere un risultato convincente». Per Trichet il maggior rischio che i maggiori paesi possono correre è quello di risolvere a livello interno i problemi generati dalla crisi mondiale, senza ad un coordinamento comune delle politiche economiche. Invece, ha sottolineato, «è estremamente importante che noi tutti rafforziamo il controllo sulla macro politica». APPELLO ALLE BANCHE - Dal numero uno della Bce, Jean Claude Trichet, è arrivato anche un richiamo a tutti gli istituti di credito, a cui l'Eurotower ha inviato un «messaggio forte» affinchè incrementino il credito e accelerino i processi di ricapitalizzazione. Il presidente si è poi dichiarato favorevole alla ricapitalizzazione delle banche europee «in caso di bisogno» e al fatto che questo avvenga «con mezzi privati, dove possibile, e con mezzi pubblici, se considerato più appropriato». Secondo il presidente della Bce, una «quantità importante di capitali potrebbe essere utilizzata per la ricapitalizzazione pubblica di molte banche in Europa» per permettere «al nostro sistema finanziario di partecipare al finanziamento dell’economia europea». Generali cresce in Cina col 30% di Guotai Accordo della compagnia assicurativa con il gruppo cinese: operazione da cento milioni ROMA - Generali ha siglato un accordo per l'acquisizione di una quota del 30% di Guotai Amc, società cinese di gestione del risparmio. L'operazione ha un controvalore di circa 100 milioni di euro. La firma del protocollo d'intesa è stato firmato a Roma a Villa Madama dall'ad del Leone di Trieste, Sergio Balbinot, e i vertici del gruppo cinese, dall'ad di Guotai Jin Xu, in occasione dell'incontro tra il presidente cinese, Hu Jintao, e il governo italiano e alla presenza del presidente della Repubblica Popolare cinese Hu Jintao e del presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. BUSINESS OLTREMURAGLIA - Con Guotai Amc, Generali potrà allargare l'offerta previdenziale ai piani pensione di secondo pilastro recentemente avviati in Cina. Secondo le stime della compagnia triestina si tratta di un mercato potenziale di 220 milioni di lavoratori. Guotai Amc è stata la prima società cinese di gestione del risparmio ad essere costituita nel 1998 ed è oggi una tra le poche autorizzate a gestire ogni classe di attivi. Fra questi, appunto, i piani di previdenza integrativa aziendali di secondo pilastro, recentemente lanciati in Cina e i cui fondi sono riservati in gestione esclusivamente a società di asset management autorizzate. Oltre all'ingresso del gruppo triestino nel capitale di Guotai, Generali e la società avvieranno fin da subito una collaborazione che prevede la condivisione delle competenze e le procedure migliori adottate (knowhow e best practice) in settori di natura sia tecnica che di competenza quali, ad esempio, lo sviluppo di nuovi prodotti, il risk management, la formazione e la ricerca di mercato. Generali è presente in Cina dal 2002 nel vita attraverso Generali China Life Insurance Company, joint venture con China National Petroleum Corporation (Cnpc), azienda leader nel mercato degli idrocarburi. A fine 2007 il gruppo ha esteso la partnership anche ai rami danni tramite la costituzione di Generali China Insurance Company. Oggi è presente con 7.500 agenti a Pechino, Shanghai, Guangzhou, Shenzhen, Nanjing, Shenyang, Chengdu, Xian e Daquing. Generali China Life si è posizionata nel primo trimestre 2009 al primo posto tra le compagnie vita straniere in Cina. «NON È SOSTEGNO ALLE CLASSI DEBOLI, MA UN BUSINESS». LA REPLICA: «TUTTO CORRETTO» Microcredito: ora i poveri si ribellano Sotto accusa i metodi e i tassi di interesse in crescita della Grameen Bank creata da Muhammad Yunus DAL NOSTRO INVIATO DHAKA — Tre anni fa, anche chi non aveva mai sentito prima il suo nome iniziò a ammirare Muhammad Yunus come una sorta di icona globale. Nella motivazione del Premio Nobel per la pace che ricevette nel 2006 con Grameen Bank, venivano sottolineati gli «sforzi per creare sviluppo sociale ed economico dal basso » e l’abilità nel «tradurre una visione in azioni concrete a beneficio di milioni di persone, non solo in Bangladesh». Fu l’apoteosi del microcredito, diffuso a quel punto in oltre cento Paesi. Da allora Yunus, il figlio di un orafo di Chittagong che si fece professore di economia e poi «banchiere dei poveri», per molti occidentali è diventato qualcosa di simile a un santo contemporaneo. Lui ci convive, nel suo studio al quarto piano del grattacielo di proprietà di Grameen Bank a Dhaka: non lo disturba neanche il sospetto che questa venerazione sia un ingranaggio inconscio attraverso cui nei Paesi ricchi ci si autoassolve del dramma della povertà. «I sentimenti nei miei confronti sono genuini — osserva — poi però le persone si sentono impotenti a cambiare il mondo». Nelle sue stanze, Yunus dà un’impressione di profondità semplice e priva di fanatismo. La saletta d’angolo dove lavora sembra più la biblioteca di uno studioso che l’ufficio di un banchiere. Agli altri venti piani dell’edificio, uno dei più belli in città, operano molte delle società da lui fondate con il marchio Grameen — dalla sanità, all’energia, all’informatica, alle telecomunicazioni, al tessile, al settore alimentare — in cui Yunus figura regolarmente presidente del consiglio d’amministrazione. Per la dimensione del Bangladesh, alcuni di questi gruppi sono colossi industriali e leader di mercato ( vedi sotto) ma il quartier generale di Grameen Bank ha un’aria decisamente austera: luci al neon, mobilio spaiato e di risulta, computer di quasi 20 anni fa, faldoni accatastati come in una banca di metà ’800. Una signora velata dorme profondamente sulla scrivania delle segretarie, poi di colpo si sveglia e prende una chiamata. Nella sua lezione alla cerimonia del Nobel nel 2006, Yunus disse che la banca «di routine è in utile» (pari a 13,5 milioni di euro nel 2008) e certo i risultati sono impressionanti: quasi otto milioni di clienti in 85 mila villaggi del Bangladesh prendono il microcredito di Grameen. L’azionariato è composto al 96% dalle donne mutuatarie (il resto è dello Stato), Yunus è «un dipendente» e sui benefici del microcredito esiste ormai una letteratura vasta e seria. Ora la banca deve fare i conti con sfide nuove. Per aiutare i villaggi colpiti dai cicloni sempre più frequenti per l’effetto- serra, dice Yunus, «diamo nuovi prestiti anche se non cancelliamo quelli precedenti: semmai estendiamo le scadenze », ampliando il portafoglio crediti. Fonti ufficiali di Grameen precisano che dopo Aila, l’uragano che un mese fa ha distrutto i raccolti per 5 milioni di persone e le case di centinaia di migliaia, Grameen ha cessato di incassare le rate e dato cibo, acqua, aiuti sanitari. Visto da Kalapara, 300 chilometri più a Sud sul Golfo del Bengala, il quadro appare però alquanto diverso. Qui Aila ha devastato i campi, ucciso il bestiame, contaminato i pozzi. E la filiale di Tiakhali Kalapara di Grameen Bank è passata a riscuotere la sua rata settimanale il giorno dopo il ciclone, racconta la 35enne Taposi (il cognome non lo dà), portavoce di un gruppo di dieci donne clienti. Aiuti non se ne sono visti, mentre a novembre 2007 con il ciclone Sidr (10mila morti) la banca concesse l’equivalente di quasi cinque euro per cliente, pari a due giorni di guadagno di un guidatore di risciò, e un’estensione di sei mesi delle scadenze. «Stavolta non hanno atteso neanche poche ore per riscuotere», dice Taposi. Vista dai villaggi del Bangladesh, Grameen Bank sembra un’istituzione detestata e temuta. Quasi impossibile trovare qualcuno disposto a parlarne bene. Jamal Matubbar, 51 anni, consigliere comunale indipendente di Kalaparouri, un centro a 20 chilometri dal Golfo del Bengala, è drastico: «Quella banca sta creando enormi problemi alla nostra comunità, succhia il sangue alla gente come le formiche rosse». Taposi e il suo gruppo di co-mutuatarie parlano, e a tratti piangono, come si sentissero prigioniere di Grameen. Fra le dieci nessuna ritiene di aver mai avuto un beneficio dai suoi prestiti. Il primo problema è la celebrata (in Occidente) obbligazione di gruppo nel caso di insolvenza individuale: gli altri clienti devono ripianare. Secondo la banca è un modo per responsabilizzare le comunità. Ma Taposi e le sue amiche devono autotassarsi quando una sola manca un pagamento, andando a loro volta in difficoltà: ciò mette Grameen Bank più al riparo dalle perdite ma crea liti e denunce nei villaggi. La banca sostiene che non punisce mai gli insolventi («Non usiamo strumenti legali»), ma non può ignorare che nei gruppi di clienti si litiga, ci si denuncia, ci si pignora a vicenda e si entra in cause che a volte finiscono con la prigione del debitore. A Kalapara, molti credono che questo sistema sia volto a scaricare su altri, cioè sugli stessi clienti, il costo dei ricorsi e delle sofferenze. «Se ho un reddito di un dollaro — si chiede Taposi — perché devo pagare più di un dollaro per un mutuo non mio?». Un ulteriore problema è il nuovo credito preso per sostenere il vecchio, specie quando i prestiti di Grameen vengono usati per comprare da mangiare e non per un’attività. È quanto accade spesso in villaggi colpiti da cicloni o inondazioni, a maggior ragione perché Grameen inizia a riscuotere le sue rate settimanali già una settimana dopo aver concesso il credito. I casi in cui manca il tempo di far fruttare una nuova attività sono frequenti, quindi gli oneri da interessi si accumulano: secondo Sheikh Hasina, primo ministro del Bangladesh, possono arrivare al 36%. Renu Hawlader, 25 anni, racconta di aver chiesto un prestito da 20 mila taka (205 euro) per ristrutturare il negozio di riso del marito, ma ne ha avuti solo 10 mila («Anche se in otto anni non ho mai mancato una rata»). Dalla prima settimana e per 50 in totale, come mostra il suo libretto di banca, Renu ripaga ora 200 taka di capitale, 30 di interessi e 20 di «deposito»: fa un onere del 12,5%. Proprio il «deposito» è la voce più contestata dalle donne di Kalapara: non figura come interesse passivo, ma viene richiesto dalla banca e va su un conto di risparmio che, accusano Renu, Taposi e le altre, la filiale blocca per dieci anni. Ossia, fino a 9 anni dopo l’estinzione del debito. Grameen Bank non si impegna ex ante sul rendimento del deposito, ma chi riscatta i risparmi prima dei dieci anni non riceve interessi: solo il capitale, eroso dall’inflazione. Kanan Bala, 43 anni, racconta: «Mio marito è falegname, dopo sette anni abbiamo dovuto ritirare il deposito per la bottega e la banca si è tenuta gli interessi. Sono con Grameen da 25 anni, ma per me non c’è sviluppo: ho provato a lasciare la banca e per tre volte mi hanno offerto nuovi fondi». Il «deposito» ha così un doppio effetto: vincola le clienti (Taposi dice che cambierebbe istituto, se potesse riavere i suoi soldi) e finanzia Grameen Bank. L’attività dell’istituto è infatti alimentata per intero dai depositi, a un costo del capitale dichiarato dell’8,56%. Grameen Bank contesta la versione di queste donne. Sostiene che pratica un interesse fisso del 10%, non richiede garanzie né depositi, prende impegni preventivi sui rendimenti dei risparmi e versa in ogni caso gli interessi. Quanto alle rate reclamate subito dopo i cicloni, afferma, «questa non è la politica della banca». Seduto nel suo studio di Dhaka, Yunus propone anche un sistema a colori per qualunque prodotto in vendita: «Rosso se nuoce al prossimo, giallo se c’è un dubbio in proposito, verde se non fa alcun male». Le filiali di Grameen nelle campagne del Bangladesh tendono al verde: spesso, sono gli edifici più imponenti del villaggio. Federico Fubini L’INTERVISTA IL BILANCIO DEL DIRETTORE ABI, IN VISTA DELL’ASSEMBLEA DELL’8 LUGLIO. «SUI PREFETTI PENSAVO CHE BERLUSCONI SCHERZASSE» «Noi non siamo un’Asl» Zadra: «Le banche sono aziende come le altre. Il cliente scelga» L e chiama le memorie del portafoglio. Tra queste la ricevuta di un prelievo Bancomat di 250 euro, che porta stampigliati orario e data significativi: le ore 2 e 49 del 1 gennaio 2002. «È stata una sfida vinta quella di arrivare puntuali, con i bancomat pronti a dare euro invece che lire, al change-over» ricorda Giuseppe Zadra che dalla direzione generale dell’Abi quel cambiamento lo ha guidato e che ora dopo 17 anni lascia l’incarico. «Quella notte non funzionò solo il Bancomat della sede Rai di Saxa Rubra. Tanto bastò ai Tiggì per dar contro alle banche». Dovreste esserci abituati. Ma non è che se le banche sono sempre sotto attacco, una ragione c'è? «Quello che sta succedendo ora è una cosa nuova rispetto al passato. Le banche sono oggetto di un attacco violento e brutale nei toni da parte del sistema politico» Si riferisce agli interventi del ministro Giulio Tremonti e alle accuse di restrizione del credito alle imprese? C’è chi dice che lei si sia dimesso da direttore generale dell'Abi, perché si è scontrato col ministro sui bond e sull’utilizzo dei prefetti nei nuovi Osservatori provinciali… «Ho annunciato al presidente Faissola l’intenzione di rimettere il mio mandato lo scorso anno dopo l’assemblea dell’Abi. Pensavo di aver portato a termine il mio compito». E la polemica sui prefetti? «Il primo a parlarne è stato Berlusconi. Ho detto in quella sede che pensavo che scherzasse. Comunque... Comunque? «In questi anni ne abbiamo viste tante. Ricorda le polemiche sull’usura ai tempi della crisi del 93-94 e quelle sui mutui in Ecu, l’imposizione della rinegoziazione all’8% dei mutui e le lenzuolate del Ministro Bersani?» Parla del decreto sulla portabilità dei mutui? «Se Bersani avesse trattato la questione dei mutui nei termini tecnici che occorrevano, avremmo risolto la questione molto prima e senza disagi e danni per gli istituti di credito. Non serve il modo brutale per ottenere cambiamenti. Il mondo della politica mostra spesso di non tener conto dei meccanismi economici e della struttura a rete del sistema bancario, fatto di macchine e tecnologie molto complesse che per modificarsi hanno bisogno di regole precise, dettagliate e tempi lunghi». Le banche insomma fanno il loro meglio per offrire mutui e tassi convenienti e per dare prestiti alle imprese. Non è troppo? «Se si leggesse con attenzione il bollettino dell'Abi, si troverebbero anche argomenti non favorevoli alle banche. Ma spesso i giornalisti preferiscono utilizzare le sintesi di chi costruisce e inventa i dati piuttosto che analizzare i nostri. Che peraltro fanno riferimento solo alle cifre della Banca d'Italia e della Bce». Non vorrà negare che gli istituti, a fronte del ribasso dei tassi, abbiano alzato gli spread? E riconoscerà certo che sul credito se non c’è credit crunch come sostengono le imprese, poco ci manca? «Faccio io una domanda: perché se rincara per esempio la pasta, il cliente se la prende magari con l'inflazione ma non col negoziante? Perché sono tutti convinti che le banche debbano fare i prezzi desiderati dai clienti? E devono dare i soldi a chiunque li chieda? Il problema è che si crede ancora che le aziende di credito debbano comportarsi come un pezzo della Pubblica Amministrazione. Che funzionino come le Asl. Beh non è così, sono imprese diverse l’una dall’altra, e il cliente si deve abituare a scegliere l'offerta più conveniente». E le aziende, in particolare le piccole, che si dicono strozzate dalle banche? «Le imprese hanno in questo momento grossi problemi e spesso chiedono finanziamenti non per investire ma per ristrutturare i debiti e cioè per procrastinare i rimborsi. Le banche danno loro credito ma devono stare anche attente a non dare prestiti a chi non mostra sufficienti probabilità di rimborsarli». Ma insomma il sistema creditizio, secondo lei, ha sempre ragione? «No, purtroppo, altrimenti non avremo intrapreso la via dell’autoregolamentazione e Patti Chiari, che obbliga gli istituti alla trasparenza e alla concorrenza. Però mi rendo conto che per ottenere risultati ragionevoli ed efficaci bisogna curare l'ingegneria organizzativa. Se la vuoi saltare combini disastri. Consob, Bankitalia ed ora anche Antitrust lo hanno ben presente, tanto che per gli interventi regolatori utilizzano ormai il metodo della consultazione e della concertazione». Anche l’Antitrust? I rapporti con l’Abi sono stati molto tesi. Avete trovato un modo di convivenza pacifica? «Il problema riguardava soprattutto la comunicazione, molto aggressiva, utilizzata dall’Antitrust quando ha cominciato ad occuparsi anche di banche. Il rapporto, ora, si è riequilibrato tanto che il presidente Antonio Catricalà ha anche riconosciuto che il sistema fa tutto il possibile per usare tecniche competitive. Del resto abbiamo ricostruito Patti Chiari, rivedendo tutto il pacchetto del retail , nominando, insieme ai consumatori, dei garanti indipendenti di altissimo livello». STEFANIA TAMBURELLO ANALISI ISTITUTI ITALIANI ED EUROPEI A CONFRONTO. CALO E RIPRESA DELLA REDDITIVITÀ SECONDO ACCENTURE Conti in affanno, ma ora il problema è la reputazione DI MASSIMO MUCCHETTI N ella Milano del 1630, il popolino credeva che i malvagi ungessero le porte delle case con una sostanza biancastra atta a diffondere la peste. La superstizione offriva al popolino colpe e colpevoli a buon mercato, e alle autorità impotenti un comodo alibi. Per l'Italia del secolo XXI, piegata dalla recessione di origine finanziaria, i nuovi «untori» sarebbero i banchieri, che negano il credito alle piccole e medie imprese e alle partite Iva in genere, considerate in blocco meritevoli di fiducia. In realtà, indicare capri espiatori alla pubblica esecrazione non impediva il contagio nel XVII secolo né oggi risolve la crisi economica. Certo, i banchieri non sono santi. Ottenere credito è più difficile. E però la questione vera è un'altra. Questa dura recessione, dopo la quale ci vorranno anni per tornare ai livelli precedenti la crisi, richiederebbe sia alle banche che alle imprese di lavorare con più capitale e meno debito: una riconversione costosa per entrambe. Prima di Lehman, nel settembre 2008, annota la Banca d'Italia nella Relazione annuale, il sistema delle imprese italiane aveva debiti finanziari pari allo 0,73% del prodotto interno lordo contro una media di Eurolandia dello 0,94%. All'interno di questa minor esposizione, il peso relativo dei prestiti bancari era sostanzialmente uguale: il 34,3% delle passività, che comprendono anche i titoli, le azioni e i debiti commerciali, in Italia contro il 34,9% della zona euro. Più in generale, il complesso delle passività finanziarie era in Italia pari a 2,13 volte il Pil, un rapporto inferiore a quelli di Usa, Giappone, Regno Unito, Francia e Spagna e superiore solo a quello della Germania. Dunque, l'economia italiana avrebbe spazio per aumentare la sua leva finanziaria, ma utilizzando sia la banca che il capitale, e non solo la banca. Secondo il Fondo monetario internazionale, del resto, il complesso degli impieghi creditizi italiani è pari al 97% del Pil contro il 95% tedesco, il 94% francese. Ma conta anche la tendenza. Nel 2008, i debiti finanziari delle imprese sono aumentati di 103 miliardi e sono balzati al 182% del valore aggiunto. Il debito è ormai al 48,7% del totale dei mezzi finanziari delle imprese, 8 punti in più che si spiegano pure con il calo del valore di mercato del capitale. Tra le 50 mila imprese censite dalla Centrale dei bilanci, il grado di indebitamento cresce nelle unità con più di 250 dipendenti e cala, pur restando più elevato, nelle minori. E' in questo quadro che arriva la recessione. Il risultato, a marzo 2009, è un marcato rallentamento della crescita degli impieghi che scende dal 13% del 2006 al 4%. Ad aprile siamo al 3,7% e per maggio bisognerà attendere che il ministero dell’Economia sdogani i dati della Banca d’Italia. A marzo 2009 su marzo 2008, comunque, i primi 5 gruppi bancari hanno addirittura ridotto del 2,1% gli impieghi, mentre le banche più piccole hanno continuato a espandere le erogazioni fino al 10%. Va ricordato, però, che le grandi banche fanno più credito non solo in assoluto ma anche in relazione ai depositi. E per riuscirci ricorrono ai prestiti delle banche estere che, nel 2008, sono si sono ridotti di ben 48 miliardi a causa della crisi di fiducia. Le banche italiane devono fronteggiare un problema di conti e uno reputazione. Rielaborando i dati Bankitalia, il ritorno lordo sul capitale dei primi 5 gruppi bancari italiani cala dal 18,5% del 2007 al 7% del 2008 e, secondo Prometeia, potrebbe scendere ancora al 4% nel 2010 risalendo a un modesto 5% nel 2011. Secondo la società di alta consulenza Accenture, i primi 20 gruppi bancari internazionali precipiterebbero da un Roe lordo del 26% pre crisi a uno del 4% post crisi. Accenture elenca le ragioni del tracollo: aumento dei requisiti patrimoniali (meno 5%), minor ricorso al debito (meno 6%), maggiori costi di raccolta (meno 66%), minori commissioni (meno 2%) e maggiori accantonamenti a rischio su crediti (meno 3%). Potrebbero, queste banche, risalire al 15% nel 2012, per un terzo tagliano i costi e per il resto attraverso la ristrutturazione dell'offerta e del profilo di rischio. In Italia, stima Accenture, sempre al 2012 le maggiori banche potrebbero risalire verso il 10-12%. E lì, salvo eccezioni, ci si fermerà. Il fatto è che le perdite su crediti stanno aumentando: 5 miliardi nei primi tre mesi del 2009, certifica la Vigilanza. Ma la realtà è peggiore di quanto mostrano i bilanci, perché le banche, potendo scontare fiscalmente perdite non superiori allo 0,3% dei prestiti, non hanno alcun interesse a fare pulizie, pagando pure le tasse sulle perdite. Una situazione equivoca ( e non migliorata dal decreto anticrisi che alza allo 0,50% la soglia, ma solo per i nuovi crediti, fatalmente pochi) tale da favorire l’opacità. E questo è un problema per la reputazione. Quando tutto andava bene, nessuno stava a guardare. Ma adesso si guarda e si confronta. I banchieri hanno certo ragione di chiedere all’artigiano, al commerciante o al piccolo industriale che sfoggia il Porsche Cayenne di metterci anche capitali propri oltre a pretendere fidi più larghi. Ma ne hanno meno quando consolidano i debiti delle grandi imprese senza metterne in discussione la gerenza e sena pretendere adeguate iniezioni di capitali da parte dei soci eccellenti, magari colleghi nei consigli di amministrazione che contano. Non basta per essere considerati untori, ma certo non aiuta la reputazione in questi tempi bui. STRATEGIE I PRUDENTI POSSONO DEDICARE AL CREDITO UN TERZO DELLA FETTA RISERVATA AI CORPORATE Così i banchieri pagano pegno Le emissioni meno garantite rendono anche il l’11%, quelle sicure offrono D a sole rappresentano la metà della torta delle emissioni societarie. E quando si muovono al rialzo, oppure al ribasso, le obbligazioni bancarie trascinano con sé l’intero paniere dei corporate bond . «Oggi, dopo un 2008 difficile a causa della crisi finanziaria e di liquidità, i bond bancari hanno recuperato buona parte delle posizioni perdute. Ma continuano a rendere circa un punto in più rispetto alle emissioni societarie di tutti gli altri settori dell’economia», spiega Gianluca Ferretti , direttore investimenti area reddito fisso in Bipiemme Gestioni sgr . Questo differenziale di guadagno spinge il gestore ad affermare che in un portafoglio di soli corporate bond — parte di un più ampio portafoglio obbligazionario — «se si vuole osare molto, la quota di emissioni bancarie potrebbero arrivare al 70-75%». Tipologie Un’occhiata ai rendimenti sembra giustificare questa posizione. Perché se il bond di categoria Senior debt (vedi il box qui sotto ) di Mps, a scadenza luglio 2013 rende un interessante (ma non entusiasmante) 3,75%, ecco che l’emissione Lower tier 2 di Société Générale, rimborso ad aprile 2015, paga un corposo 5,11%. E al di fuori dei recinti supergarantiti di queste due classi di debito, si spuntano cedole vicine al 7,5%, ad esempio con l’Upper tier 2 di Intesa Sanpaolo, scadenza maggio 2018. «Non bisogna dimenticare però l’elevata volatilità delle quotazioni, soprattutto perché non c’è una chiara visibilità sugli utili futuri delle banche», avverte Antonino De Gaetani , gestore specializzato sui corporate bond in Bnp Paribas Am . Che suggerisce di puntare, per queste emissioni, a non più del 30% del portafoglio corporate. I tagli minimi elevati — quasi tutte le nuove emissioni partono da 50mila euro — suggeriscono del resto di investire con i fondi comuni specializzati. Ma per gli investitori che hanno il cuore forte e il portafoglio gonfio, le buone occasioni a rischio ragionevole non mancano. Tanto più che molti titoli a lunga scadenza incorporano una opzione call , ovvero possono essere rimborsati anticipatamente dall’emittente. Una circostanza che riduce i rischi legati alla volatilità di lungo periodo, perché le banche hanno dimostrato, anche di recente, una netta propensione a «richiamare» i loro titoli. Perpetuo Di conseguenza un bond subordinato perpetuo, molto rischioso, come l’emissione di Generali Finance con opzione call al giugno 2016, potrebbe garantire un rendimento dell’11% annuo solo per 7 anni. A vantaggio dei bond bancari, infine, gioca il notevole miglioramento del quadro del sistema finanziario. E tra gli emittenti europei i gestori mostrano una decisa preferenza per le banche francesi e italiane, «quelle con i bilanci più sani», conclude Ferretti. La ferrea logica del profitto: ecco l’unica cosa che ... La ferrea logica del profitto: ecco l’unica cosa che convincerà i mercati nei prossimi mesi. Negli Stati Uniti, alla vigilia della campagna delle semestrali, gli investitori più ottimisti sperano di rivedere la crescita degli utili già a partire dal prossimo trimestre (vedi a fianco ). Per Piazza Affari e per le Borse europee l’attesa potrebbe essere più lunga. Si punta già al 2010, tenendo d’occhio — se si vede rosa — titoli come Finmeccanica, Prysmian, Parmalat, Impregilo, Tenaris, Autogrill. Nomi ciclici, insomma, che hanno già ampiamente scontato la pessima congiuntura e che, a questo punto, sono iper sensibili al miglioramento. Gli analisti di JP Morgan segnalano che storicamente i settori più reattivi all'inversione del trend dei profitti sono i produttori di beni di investimento, le banche, i produttori di beni di consumo durevoli, i minerari e i tecnologici. Rosa e grigio Chi invece ha una visione più grigia della realtà resta ancorato ai difensivi, con una particolare attenzione alle utilities, come Enel, Repsol e Syngenta. In sostanza ottimisti e pessimisti d’Europa condividono l’idea che gli utili siano in incubazione e che i mercati, saliti fin qui sull’onda dello scampato giudizio universale, nei sei mesi che restano da qui a Natale possano rimanere ingessati. O addirittura scendere un po’. Al giro di boa del semestre — con l’eccezione dei Paesi Emergenti — le Borse sono, nonostante il grande rally di marzo, più o meno dove erano all’inizio dell’anno. Piazza Affari perde il 2%, l’S&P 500 di Wall Street guadagna il 3%. «E più probabile che l’indice delle Piazze Europee scivoli piuttosto che salire nei prossimi due trimestri», dice in un recente studio Teun Draaisma, strategist europeo di Morgan Stanley. E le prime sedute di luglio, sull’onda della disoccupazione americana in forte crescita, sono andate male a tutte le latitudini. I profitti nel corso dell’intero 2009 potrebbero scendere in media di un altro 25% (senza considerare i finanziari) secondo alcune stime di consensus. In Piazza Affari la media dei 40 big — con dentro le banche, vedi tabella — parla addirittura di un -33%. Con punte del meno 60% per Unicredit e record positivi (se così si possono chiamare) del 7-9% per le utilities come A2A e Lottomatica. «Paradossalmente nel 2009 gli utili rettificati delle banche europee sono previsti in risalita — spiega Alessandro Capeccia, gestore del gruppo Azimut —. Potrebbero infatti tornare a 30 miliardi dopo essere precipitati a 10 nel 2008. Il guaio è che nel 2007 erano a oltre 130. E’ chiaro che parliamo di grandezze sempre più difficili da valutare. Se le stime sono corrette, infatti, i profitti delle banche triplicano, ma tornando a un quarto del valore che avevano due anni fa». Digestione lenta Oggi, comunque, il mercato europeo ha digerito in un anno e mezzo un crollo degli utili del 40% e sconta un recupero sempre nell’ordine del 40% tra il 2010 (+20%) e il 2011 (+10-15%). Una risalita non da poco che però non basta a colmare la distanza col passato. Se si considera il paniere dei 600 titoli europei più importanti i profitti dovrebbero tornare a quota 423 miliardi entro il 2011, contro i poco più di 300 previsti nel 2009 e gli oltre 600 accumulati nel 2007. Dove guardano i gestori? «Non si può più investire inseguendo l’indice — dice Capeccia —. E’ tornato il momento di scegliere». Una strategia, prosegue il gestore, è quella di individuare le società con margini (Ebit) sotto la media degli ultimi otto anni e ragionevolmente in grado di recuperare il terreno. «Nei casi più vistosi di sottovalutazione si può calcolare un potenziale rialzo dei prezzi del 30%», conclude Capeccia. Che guarda con favore a titoli come Enel, Prysmian, Finmeccanica, Tenaris, Autogrill. Anche Mauro Vicini, direttore di Websim.it, indica Finmeccanica, Prysmian ma anche Impregilo, Parmalat ed Eni come «società con un buon compromesso tra fondamentali e prospettive di crescita». www.denaro.it Istituti: Impennata di sofferenze e perdite sugli impieghi La crisi si sta facendo sentire sul settore bancario con un aumento sostenuto delle sofferenze e una crescita delle perdite sui crediti. Lo rivela il presidente dell'Abi, Corrado Faissola, durante la presentazione dell'assemblea annuale che si tiene oggi a Roma. "Le sofferenze stanno crescendo moltissimo come sempre capita nei momenti di crisi. Anche le perdite sui crediti sono rilevanti", dice Faissola. Pur riconoscendo al Governo di aver fatto un passo in avanti aumentando l'aliquota delle perdite su crediti che può essere portata in deduzione, Faissola spiega che si tratta "di un segnale positivo, ma assolutamente insufficiente". La ragione, osserva il presidente dei banchieri italiani, è che l'attuale legislazione fiscale può spingere le banche a richiedere "il fallimento di un'impresa, perché in quel caso le eventuali perdite sono tutte deducibili, al contrario di quanto avviene per quelle generate dalla rinegoziazione o da transazioni raggiunte con i clienti". Faissola conclude in tono duro:?"Non accettiamo di essere invitati a fare il nostro mestiere. Siamo nettamente contrari a interferenze amministrative e politiche: le banche vogliono essere valutate solo dal mercato". del 08-07-2009 num. 131 Ecofin: banche, accordo su rafforzamento riserve anticrisi Pieno accordo all'Ecofin per il rafforzamento delle riserve anti-crisi per le banche. Lo ha annunciato il ministro delle finanze svedesi Anders Borg. La Commissione europea, inoltre, ha annunciato per ottobre la proposta definitiva per un meccanismo che mitighi gli effetti prociclici per le banche. "Abbiamo bisogno di avere ammortizzatori più efficaci nelle banche da rafforzare durante i periodo buoni dell'economia", ha detto Borg alla conferenza stampa finale. L'obiettivo è creare gli "ammortizzatori anticiclici" per accumulare riserve nei periodi negativi, riserve, specifica l'Ecofin, "da non considerare alla stregua di nuovi livelli minimi di capitale quando la congiuntura peggiora e non siano conteggiati come patrimonio di vigilanza". Non è passata la richiesta tedesca di modificare temporaneamente i requisiti patrimoniali bancari fissando un limite massimo ai rischi più pesanti e adeguando le tabelle di corrispondenze per le categorie specifiche degli asset deteriorati lasciando intatta la struttura di Basilea 2. Il ministro austriaco Josef Proell non ha appoggiato la Germania: "Una crisi che è cresciuta sul debito non può essere risolta rendendo più facile contrarre debiti". I ministry Peer Steinbrueck (Germania) e Christine Lagarde (Francia) hanno inviato una lettera al commissario Ue Charlie McCreevy affinché la Commissione Ue faccia di tutto per evitare la concorrenza sleale sugli standard di contabilità sul piano mondiale. L'enciclica del Papa: Lavoro decente per tutti Si intitola Caritas in veritate la nuova enciclica di papa Ratzinger, pubblicata alla vigilia del G8, tutta incentrata sui grandi temi posti dalla globalizzazione dell'economia e dei suoi effetti sulla vita delle persone. Centoventisette pagine: un'analisi economica e sociale sul XXI secolo e un richiamo etico per rendere meno ingiusto il futuro. Ripendendo le tematiche sociali contenute nella Populorum progressio scritta da Paolo VI nel 1967, venti anni dopo l'ultima encilica sociale di Giovanni Paolo II, la Centesimus Annus, la terza enciclica di Benedetto XVI approfondisce alcuni aspetti dello sviluppo economico integrale alla luce della "carità nella verità". www.milanofinanza.it Belgio Francia, accordo bilaterale sul segreto bancario 07/07/2009 12.00 Il Belgio e la Francia hanno siglato a Bruxelles, a margine del Consiglio Ecofin, un accordo bilaterale per uno scambio di informazioni bancarie che sostanzialmente consente di togliere il segreto. L'intesa ha un impatto soprattutto sul Belgio, inserito in una lista grigia di paesi considerati parzialmente paradisi fiscali proprio per il rigido segreto bancario. Per le stesse ragioni, sulla stessa lista figurano Austria e Lussemburgo. Napolitano, Cina riconosca il problema dei diritti umani 06/07/2009 12.00 Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sollevato questa mattina il problema del rispetto dei diritti dell'uomo nella Repubblica Popolare cinese. Lo ha fatto nel corso dei colloqui ufficiale con il presidente cinese Hu Jintao, a Roma per una visita di Stato prima del G8. "Abbiamo concordato sul fatto che lo stesso sviluppo economico in Cina apre nuove prospettive e pone nuove esigenze nel campo dei diritti dell'uomo", ha detto Napolitano al termine dell'incontro. Passera, prossimi mesi ancora molto difficili 06/07/2009 11.30 Con gli attuali livelli di crescita i prossimi mesi per l'economia saranno ancora molto difficili e la ripresa è strettamente connessa all'andamento dei mercati mondiali. Lo ha detto l'ad di Intesa Sanpalo Corrado Passera, a margine di un evento a Milano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci sarà una ripresa dopo l'estate. "La ripresa dipenderà molto dall'andamento dei mercati di tutto il mondo", ha detto Passera, che poi ha sottolineato, "è un elemento di preoccupazione, tutti insieme dobbiamo metterci in moto per qualsiasi iniziativa che possa riavviare la crescita". Bce, nuovo record nei depositi delle banche dell'Eurozona 06/07/2009 11.00 Sale al nuovo record storico di 315,956 miliardi di euro il volume dei depositi delle banche dell'eurozona presso lo sprotello overnight della Bce questa settimana. Il top era stato toccato precedentemente l'11 gennaio con 315,254miliardi di euro. Le richieste di prestiti allo sportello marginale si sono attestate a 58 milioni, in linea con i 52 milioni della settimana precedente. L'ammontare dei depositi presso la Bce è iniziato a crescere da quando l'Eurotower all'inizio del mese ha lanciato la prima asta di rifinanziamento con scadenza a un anno con un volume di 442 miliardi di euro. Lamy, il peggio per il commercio deve ancora arrivare 06/07/2009 10.30 Segnali di allerta multipli sulle prospettive dell'economia mondiale alla vigilia del G8 dell'Aquila: secondo il direttore del Wto, Pascal Lamy, per il commercio internazionale "il peggio deve ancora arrivare". Il premier britannico Gordon Brown chiede che dall'incontro giunga una nuova "campanella di allarme", come avvenuto con il G20 di Londra, perché la ripresa globale è a rischio, con segnali che giungono in merito a nuove ondate di volatilità dei mercati. www.ilmessaggero.it Bini Smaghi: «Dal G8 nuove regole, ma anche sostegno a chi perde il lavoro» di Rossella Lama ROMA (8 luglio) - Cosa si aspetta da questo G8? «Una dimostrazione di unità, da parte dei principali paesi industriali, sul da farsi per uscire da questa crisi, la più grave dal dopoguerra. E’ l’unico modo per ridare fiducia agli operatori economici e ai cittadini», dice Lorenzo Bini Smaghi, del Board della Bce. Ristabilire la fiducia dei mercati e dei consumatori è la parola d’ordine di tutti i vari vertici internazionali... «Bisogna agire su due fronti. Regolamentazione e vigilanza devono essere riformate in modo che i risparmiatori possano recuperare la fiducia necessaria per tornare a investire nel sistema bancario. Il secondo fronte è quello del sostegno all’economia. La caduta dei consumi deriva dalla paura che hanno in molti di perdere il proprio posto di lavoro e di rimanere disoccupati a lungo. Su entrambi i fronti è già stato fatto molto ma bisogna completare l’opera». Questa crisi ha insegnato che i comportamenti autoreferenziali degli intermediari portano a disastri incalcolabili. Ma le maggiori piazze finanziarie (Usa, Londra, Cina) hanno davvero la volontà di accettare nuove regole per il sistema bancario? «La volontà c’è se anche gli altri paesi sono disponibili a farlo. Per questo deve essere rafforzata la cooperazione internazionale. Bisogna contrastare la tentazione che ogni paese ha di avvantaggiarsi, anche attraverso una regolamentazione più “leggera”, al fine di attirare capitali e investimenti stranieri. Ma se la regolamentazione è troppo leggera non si riesce a vigilare in modo efficace sulle banche, soprattutto quando prendono rischi eccessivi. La crisi ha dimostrato che nel sistema globale, se gli operatori prendono rischi eccessivi su una piazza finanziaria, a pagarne il prezzo non sono solo i residenti (e i contribuenti) di quel paese ma anche gli altri». Sulle nuove regole sono al lavoro l’amministrazione USA che il 17 giugno ha proposto al Congresso una grande riforma, poi il ministro Tremonti e altri governi nazionali, e il Financial Stability Board di Draghi. Non sono un po’ troppi a parlare? «Ci sono responsabilità a vari livelli. Il G8 e il G20 devono dare il quadro generale del nuovo sistema di regole, applicabili in vari settori a livello globale. Il FSB si occupa più particolarmente del sistema finanziario». La situazione patrimoniale e finanziaria delle banche è in miglioramento? «Nel complesso la situazione è migliorata rispetto ad alcuni mesi fa, ma c’è ancora incertezza sull’impatto della recessione sulle sofferenze, e dunque sui risultati delle banche. Il sistema bancario non riesce ancora a finanziarsi a mediolungo termine, perché evidentemente la fiducia del mercato non è pienamente ristabilita. Ciò rappresenta un problema perché senza tali finanziamenti rischia di bloccarsi anche l’erogazione dei prestiti all’economia reale aggravando la crisi». Credit crunch, più volte anche la BCE ha parlato taglio di risorse a imprese e famiglie. Cosa dicono i numeri? E come lo state contrastando? «Per ora il rallentamento del credito è in gran parte spiegato dal calo della domanda di finanziamenti per via della contrazione degli investimenti. Ma il rischio è che quando l’economia si stabilizzerà e mostrerà segni di ripresa, il sistema bancario non sia pronto a sostenerla. La BCE ha erogato oltre 400 miliardi di finanziamenti al settore bancario, a un tasso dell’1%. Ora le banche devono trasferire ai loro clienti gli effetti di questa manovra, riducendo i tassi d’interesse e dando fondi aggiuntivi. Se non lo fanno significa che la loro posizione patrimoniale non è a posto. Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo, ora tocca ai governi e alle autorità di vigilanza nazionali verificare che l’aggiustamento della situazione patrimoniale delle banche non avvenga dal lato dell’attivo ma piuttosto rafforzando il capitale, magari facendo ricorso ai Tremonti bonds». Nel giro di tavolo i Grandi si confronteranno sulle prospettive della crisi. Che dati avete per l’Italia ed Eurolandia? «C’è molta incertezza sulle prospettive di ripresa, che dovrebbero concretizzarsi nel corso del 2010. Anche perchè c’è il rischio di trovarsi all’appuntamento con un sistema bancario non in grado di sostenere la richiesta di finanziamenti. Il secondo rischio è rappresentato dal prezzo del petrolio: se aumenta toglie potere d’acquisto». Ma come va letto il calo delle quotazioni del petrolio di queste settimane? «Il prezzo del petrolio sta registrando una grande volatilità, segno che sono in corso movimenti speculativi. Con i bassi tassi d’interesse c’è l’incentivo a finanziare posizioni speculative al rialzo, che se poi non sono sostenibili danno luogo a ribassi imprevisti, con effetti anche finanziari. Forse è il caso che le autorità di vigilanza si coordinino a livello internazionale per regolamentare l’uso di derivati sui prezzi petroliferi che non sono basati su contratti di consegna a termine». A metà giugno a Lecce i ministri economici del G8, Tremonti in testa, hanno detto che la speculazione, quella cattiva della finanza per la finanza, si sta riaffacciando. «Proprio così, e bisogna passare dalle raccomandazioni ai fatti». E hanno lanciato l’allarme occupazione, e affermato che non è ancora arrivato il momento per rinunciare alle politiche fiscali di sostegno e che bisogna spendere per politiche attive per il lavoro. «Questo è il terzo grosso rischio per la ripresa, l’aumento della disoccupazione che deprime le aspettative, riduce la domanda di consumi e crea tensioni sociali. Chi perde lavoro deve essere sostenuto economicamente. Inoltre questa crisi non è solo ciclica, ha una componente strutturale. Si dovrà dunque aiutare la riconversione dell’occupazione verso altri settori. Ciò richiede politiche attive del lavoro, ma probabilmente anche un riassetto della spesa sociale complessiva. La via della ripresa sarà lunga perché il debito accumulato aumenterà per tutti, e peserà sul sistema fiscale. E quei paesi che approfitteranno della crisi per riformare il loro sistema economico, per renderlo più efficiente, trarranno vantaggio dai primi segnali positivi dell’economia mondiale». Cina, linciaggi contro uiguri Pena di morte a chi compie gravi violenze Una dissidente: 400 vittime. Il presidente cinese lascia il G8 per l'emergenza etnica PECHINO (8 luglio) - Tensione sempre molto alta in Cina. Lo scontro etnico tra han e uiguri ha costretto il presidente cinese Hu Jintao a lasciare il G8 e a rientrare a Pechino. Anche oggi intanto centinaia di uiguri con armi improvvisate hanno protestato a Urumqi, capitale della Regione autonoma cinese dello Xinjiang, in un faccia a faccia con la polizia. Domenica scorsa, 156 persone sono morte ad Urumqi, la capitale della provincia del Xinjiang, in scontri a sfondo etnico. Fonti giornalistiche riferiscono di episodi di linciaggio di uighuri da parte di cinesi di etnia han a Urumqi, capoluogo della regione cinese dello Xinjiang. Un giornalista dell'agenzia France Presse (Afp) racconta di aver assistito, attirato dalle urla, al violento pestaggio di un uomo a terra a calci e pugni da parte di una ventina di han armati anche di bastoni in un quartiere attiguo alla centrale piazza del Popolo. Un minuto dopo è intervenuta la polizia in tenuta antisommossa che ha disperso la folla e ha soccorso la vittima. Il giornalista dice di non aver assistito ad alcun arresto. Un testimone, un han, ha detto al giornalista dell'Afp che la persona attaccata è di etnia uighura. In un secondo episodio raccontato dal giornalista, un gruppo di han che stava leggendo sui giornali degli scontri interetnici dei giorni scorsi, ha cominciato a inseguire minacciosamente tre uighuri: due di essi sono riusciti a fuggire mentre un terzo è stato raggiunto e pestato per circa mezzo minuto da alcuni uomini e donne davanti a una folla che gridava «picchiate!, picchiate!». I responsabili di gravi violenze nel Xinjiang saranno condannati a morte. L'annuncio di una raffica di sentenze capitali è stato dato dal segretario del Partito Comunista Cinese (Pcc) di Urumqi, Li Zhi, in una conferenza stampa. Li Zhi ha ricordato che secondo la legge cinese ai colpevoli di omicidio viene inflitta la pena capitale. Nella stessa conferenza stampa, il sindaco della città Jerla Isamudin ha sostenuto che «sotto la saggia direzione del Comitato regionale del Partito e del governo, la situazione è stata riportata sotto controllo». Sono state 400, secondo la dissidente uigura Rebiya Kadeer, le vittime della repressione di una manifestazione di uiguri domenica scorsa. Sul Wall Street Journal la Kadeer, imprenditrice in esilio dal 2005, sostiene che incidenti «potrebbero» essersi verificati anche nelle città di Kashgar, Yarkand, Aksu, Khotan e Karamay, anche se «è difficile da dire a causa della propaganda dello Stato cinese». Notizie «non confermate», prosegue la dissidente, parlano di cento uiguri uccisi a Kashgar. Proteste uiguri a Sydney, chiuso il consolato cinese. Circa 150 uiguri emigrati in Australia hanno manifestato davanti al consolato cinese a Sydney, che ha dovuto chiudere i battenti. Un uomo è stato arrestato dopo aver lanciato un uovo contro un muro del consolato. Una dei manifestanti, Adina Neesam, ha detto alla radio Abc che è impossibile avere notizie dalla Cina sui propri familiari ed amici. www.ilsole24ore.com Londra rafforza i poteri di controllo dell'Fsa sulle banche di Nicol Degli Innocenti L'atteso giro di vite è arrivato: il cancelliere dello Scacchiere Alistair Darling ha annunciato oggi la riforma del sistema finanziario, studiata per prevenire un'altra devastante crisi. Le banche saranno soggette a una vigilanza più stretta e i correntisti avranno maggiore tutela. Il sistema di controllo resta invariato, in mano alla ‘triade' di Tesoro, Financial Services Authority (Fsa) e Banca d'Inghilterra. Saranno però rafforzati i poteri di vigilanza dell'Fsa, che potrà intervenire presso le banche per impedire che assumano rischi eccessivi o che paghino stipendi o bonus troppo alti e per verificare che siano sufficientemente capitalizzate e liquide. Verranno aumentate anche le multe e sanzioni contro gli istituti e gli individui che violano le regole. Verrà creato un nuovo Council for Financial Stability, con rappresentanti del Tesoro, dell'Fsa e della Banca centrale, che vigilerà sulla solidità del sistema finanziario. Darling ha però dichiarato che non intende intervenire per limitare le dimensioni delle banche, come aveva consigliato il governatore Mervyn King, e ha definito la proposta "semplicistica". Il sistema finanziario è ormai troppo complesso e interconnesso, ha spiegato Darling, e una banca di piccole dimensioni può porre un rischio alla stabilità del sistema tanto quanto una grande banca. L'opposizione ha prontamente criticato le riforme delineate da Darling. Il cancelliere-ombra conservatore George Osborne le ha definite "una risposta del tutto inadeguata" alla crisi finanziaria e ha detto che dovrebbe essere la Banca d'Inghilterra ad avere maggiori poteri di supervisione del settore bancario. 8 luglio 2009 Banche: Tremonti propone sgravi fiscali su perdite da crediti Il Governo è pronto «a rivedere, naturalmente a rivedere in meglio, il regime fiscale delle perdite su crediti». Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, intervenendo all'assemblea dell'Abi (leggi l'intervento del governatore Draghi) in merito alla possibile introduzione di sgravi fiscali a vantaggio delle banche che dovessero registrare sofferenze e perdite su crediti. Il ministro nel corso del suo intervento ha usato toni concilianti nei confronti del sistema bancario, dopo le parole ruvide pronuinciate nelle ultime settimane. Tremonti ha ammesso che «è arrivato il tempo per un nuovo inizio, perchè abbiamo una comune responsabilità per il Paese. È necessario fare di più, è necessario un avviso comune nel rispetto delle regole e dell'integrità patrimoniale delle banche». A fronte di un avviso comune e sul presupposto della verificata operatività - ha proseguito il ministro - il governo si impegna a rivedere in meglio il regime fiscale sulla deduzione e sulle perdite sui crediti». Infine, il ministro parlando più in generale di regole internazionali ha fatto sapere che «il governo italiano con i governi europei si sta attivando per modificare Basilea II (requisiti patrimoniali delle banche in relazione ai rischi assunti) e Ias 39 (principi contabili)". 8 luglio 2009 Draghi alle banche: deve tornare il sostegno alle imprese Rallenta il credito bancario alle imprese. «E' particolarmente intensa la decelerazione dei prestiti erogati dai gruppi bancari maggiori», afferma il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi nell'intervento all'assemblea dell'Abi. «Da aprile la variazione su tre mesi é divenuta negativa: in maggio era pari a -0,9 per cento su base annua. I prestiti alle famiglie continuano ad espandersi ma a ritmi inferiori». «L'aumento del rischio di credito - sottolinea Draghi - si é tradotto in un ampliamento del divario nel costo del credito tra piccole e grandi imprese con effetti negativi per chi oggi ha maggiormente bisogno di accedere al finanziamento bancario». Draghi sottolinea che va evitato «un eccesso di automatismi» nella valutazione del merito di credito e che c'è «l'esigenza di non far mancare il sostegno finanziario alle imprese con buone opportunità di crescita, reali capacità di superare la crisi». Affondo anche sulla commissione di massimo scoperto. «Ora le banche devono risolvere la questione alla radice; sostituiscano spontaneamente, una volta per tutte, le commissioni complesse e opache con commissioni ragionevoli sui fondi messi a disposizione; per il resto si riconduca tutto all'applicazione trasparente dei tassi di interesse». Draghi ha sottolineato come è stato «necessario l'intervento del legislatore» dopo che «la ripetuta azione di moral suasion sortiva effetti solo nei confronti dei maggiori gruppi». Tremonti: moratoria sulla scadenza dei crediti. Un «nuovo inizio» che prenda la forma di «un avviso comune», uno «sforzo» che preveda anche «una moratoria sulle scadenze dei crediti delle imprese» ha invece proposto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti parlando dal palco dell'Assemblea. «È arrivato il tempo per il nuovo inizio. Abbiamo comune responsabilità per il nostro Paese. Quanto fatto è stato necessario. Ma ora, proprio ora, può essere necessario fare di più. Qualcosa che può prendere un avviso comune da produrre subito prima di agosto. Nel rispetto delle regole del patrimonio delle banche, su base non obbligatoria e volontaria. Possono prendere la forma di uno sforzo ulteriore quanto di una moratoria sulle scadenze più pressanti dei crediti delle imprese». Faissola: basta sterili contrapposizioni. Nella relazione introduttiva il presidente dell'Abi, Corrado Faissola, ha sottolineato come «con i provvedimenti del Governo, la collaborazione con le associazioni imprenditoriali e l'azione delle banche sono state create le condizioni finanziarie affinché le imprese, soprattutto piccole e medie, riprendano la strada virtuosa degli investimenti. Sta ora in noi tutti rifiutare la logica delle sterile contrapposizioni quotidiane e rilanciare, con un gioco di squadra, la battaglia dello sviluppo» 8 luglio 2009 Intesa prevede fino a 60 mld di prestiti alle imprese Il gruppo Intesa Sanpaolo prevede circa 50-60 miliardi di nuove erogazioni di prestiti a medio e lungo termine nei prossimi 36 mesi alle piccole e medie imprese. Le erogazioni degli ultimi 6 mesi, si legge in una nota, sono ammontate a circa 8 miliardi. Il gruppo conferma la disponibilità di risorse creditizie per le pmi italiane per circa 60 miliardi di euro in termini di fidi già accordati e attualmente non utilizzati e per circa 30 miliardi di euro in termini di nuovi fidi accordati, se richiesti. «L'accesso delle imprese al credito del Gruppo Intesa Sanpaolo non potrà peraltro prescindere dalla qualità del merito creditizio» conclude un comunicato. Intesa Sanpaolo conferma quindi l'impegno a crescere insieme alle imprese, con iniziative dedicate - tra cui l'accordo con Confindustria per la liquidità e la ricapitalizzazione delle Pmi - presentate dal ceo Corrado Passera nel corso di un incontro con il mondo imprenditoriale a Milano. Il credito dato dal gruppo al Sistema Italia ammonta a quasi 500 miliardi di euro in termini di fidi accordati, pari a circa un terzo del Prodotto interno lordo del Paese, di cui circa il 67% alle imprese, soprattutto a quelle di piccola e media dimensione (50% degli affidamenti complessivi al Sistema Italia). Intesa Sanpaolo, sottolinea la nota, è riuscita a non ridurre il credito alle imprese italiane anche negli ultimi 12 mesi, nonostante il forte calo della domanda di credito e il significativo aumento della rischiosità, con un ammontare di credito per cassa utilizzato dalle imprese di piccola e media dimensione che si è mantenuto sui 152 miliardi di euro e con forti erogazioni di prestiti a medio e lungo termine, a sostegno degli investimenti, pari a circa 18 miliardi di euro nel periodo. L'accesso delle imprese al credito verrà favorito da ulteriori impegni come l'aggiornamento continuo dell'offerta anche per specifici settori, la vicinanza al territorio, con il modello Banca dei Territori, il ruolo di "ponte" con tutte le altre entità che possano facilitare il credito (Confidi, Fondo Centrale di Garanzia, Sace, Cassa depositi e prestiti, Bei), gli investimenti nel capitale e non solo credito alle imprese e una sempre maggiore trasparenza e semplificazione delle condizioni contrattuali. In quest'ambito, indica la banca, «quanto disposto dal recente Decreto legge "anticrisi" non comporta riflessi significativi sulla redditività prospettica del gruppo». 3 luglio 2009 www.iltempo.it Critica Il presidente Faissola replica agli attacchi dell'Economia «Le banche non accettano lezioni» Corrado Faissola, banchiere e presidente dell'associazione bancaria italiana lo dice alla vigilia dell'assemblea dell'Abi che si tiene oggi al Palazzo dei Congressi dell'Eur. Una risposta anticipata alla nuova bacchettata che arriva puntuale dal ministro dell'Economia, Tremonti, a Bruxelles per il vertice Ecofin: «Chiederemo a tutte le banche un rendiconto di quanto fatto, in settembre, man mano che il capitale viene acquisito dagli istituti di credito vedremo quanto ne esce». Ancora braccio di ferro dunque nel quale le banche si difendono illustrando i dati del loro operato. Faissola ha così spiegato che «hli impieghi non sono crollati, è solo ridotto il loro ritmo di crescita, i bilanci sono fiaccati da sofferenze in aumento e redditività in calo (-7% la media del roe), ma restano solidi. Soprattutto in Italia, precisa Faissola, malgrado una tassazione del 12% superiore alla media Ue. Multe e cartelle si controllano con il Pc di casa Equitalia lancia un nuovo servizio, l'estratto conto online, per conoscere tutte le informazioni relative alla propria posizione fiscale, dal pagamento di una cartella all'annullamento di una multa, non sarà più necessario recarsi a uno sportello di equitalia, ma basterà collegarsi dal proprio computer al sito www.Equitaliaspa.It. Il nuovo servizio «estratto conto» è stato presentato oggi nel corso di una conferenza stampa dal direttore generale della società pubblica di riscossione, marco cuccagna. Lo strumento è disponibile in 24 province (tra cui milano, roma, bologna, venezia e napoli), ma si estenderà entro settembre a tutto il territorio nazionale, tranne che in sicilia, regione in cui non opera il gruppo equitalia. www.ilgiornale.it Bancassurance Generali vicina alla cessione del 50% di Intesa Vita Conto alla rovescia per il closing della cessione del 50% di Intesa Vita dal gruppo Generali al gruppo Intesa Sanpaolo, presieduto da Giovanni Bazoli. La perizia sul valore del portafoglio della Compagnia di Bancassicurazione è atteso a giorni visto che i due mesi messi a disposizione del perito scadono a metà luglio e a quel punto il passaggio della quota potrà venir formalizzato. Le indicazioni date dai due soci all’annuncio della cessione erano di una operazione da 650-700 milioni che verrà regolata in contanti come previsto dagli accordi, mentre è venuta a cadere l’ipotesi circolata informalmente di un possibile pagamento parziale in immobili. L’operazione è stata annunciata lo scorso 20 marzo ed è regolata dalle clausole di esercizio del put di cui gode Generali, attraverso Alleanza cui fa capo la quota in Intesa Vita. www.repubblica.it Il governatore all'Abi: monito sul massimo scoperto Tremonti: "Nuovo inizio, moratoria sui crediti delle imprese" Draghi attacca le banche "Il credito rallenta ancora" ROMA - "Il credito alle imprese rallenta ancora". "La redditività degli istituti è destinata a scendere". "Stop a commissioni complesse e opache". E un nuovo monito sul massimo scoperto. Il governatore di Bankitalia parla all'assemblea dell'Abi. E annuncia anche che l'istituto ha "costituito una task force per valutare gli effettivi meccanismi di remunerazione" dei manager bancari "e chiedere correttivi dove necessario". Credito in contrazione. I prestiti sono ancora in calo, e sono soprattutto le aziende a subire la diminuzione. "Il credito al settore privato - ha detto Draghi rallenta ancora. Da aprile la variazione su tre mesi è divenuta negativa: in maggio era pari a -0,9% su base annua. Nell'ultimo decennio - ha aggiunto - il tasso di crescita medio annuo del credito al settore privato è stato pari al 9,6%. E' particolarmente intensa la decelerazione dei prestiti erogati dai gruppi bancari maggiori". "I prestiti alle famiglie - ha sottolineato il governatore - continuano a espandersi, benchè a ritmi nettamente inferiori a quelli degli ultimi anni". Massimo scoperto. "Le banche devono risolvere alla radice la questione del massimo scoperto", e devono "sostituire spontaneamente, una volta per tutte, le commissioni complesse e opache con commissioni ragionevoli sui fondi messi a disposizione; per il resto - dice Draghi - si riconduca tutto all'applicazione trasparente dei tassi di interesse". Rafforzare il patrimonio. "Le risorse patrimoniali delle banche italiane si collocano ampiamente al di sopra dei minimi regolamentari; lo sono state anche durante le fasi più acute della crisi". Ma "è necessario comunque un rafforzamento" dei coefficienti patrimoniali degli istituti di credito. La crisi e il lavoro. Per il numero uno di via Nazionale bisogna usare "molta cautela" nell'interpretazione dei dati sulla cassa integrazione perchè "una rondine non fa primavera". "Abbiamo già avuto una diminuzione a gennaio e inoltre a giugno c'è una forte stagionalità: negli ultimi venti anni abbiamo sempre assistito a una diminuzione della Cig in giugno". Tremonti e la moratoria. Un "nuovo inizio" che prenda la forma di "un avviso comune", uno "sforzo" che preveda anche "una moratoria sulle scadenze dei crediti delle imprese". E' quanto ha proposto il ministro dell'Economia parlando dal palco dell'Assemblea. "E' arrivato il tempo - ha detto Tremonti - per il nuovo inizio. Abbiamo comune responsabilità per il nostro Paese. Quanto fatto è stato necessario. Ma ora, proprio ora, può essere necessario fare di più. Qualcosa che può prendere un avviso comune da produrre subito prima di agosto. Nel rispetto delle regole del patrimoni o delle banche, su base non obbligatoria e volontaria. Possono prendere la forma di uno sforzo ulteriore quanto di una moratoria sulle scadenze più pressanti dei crediti delle imprese". (8 luglio 2009) www.lastampa.it Bpm: il mercato non apprezza il bond convertendo Giornata di vendite per il titolo della Popolare di Milano che subisce la cattiva intonazione dei mercati e i risultati non proprio eccitanti dell'offerta del prestito convertendo Bpm 2009/2013 6,75 per cento. Si tratta di un'emissione potenziale di obbligazioni a conversione obbligatoria da quasi 700 milioni di euro (695.535.200 euro) con warrant associati e cedola al 6,75 per cento. L'operazione si inserisce nel più ampio piano di rafforzamento patrimoniale della banca milanese che prevede, oltre a questa emissione obbligazionaria, la sottoscrizione, da parte del Tesoro di Tremonti bond per 500 milioni di euro e il riacquisto di strumenti ibridi di capitale del valore nominale di 460 milioni di euro. L'emissione di questo bond convertendo al 2013 non sembra però avere entusiasmato il mercato che, nella prima tranche, ha sottoscritto solo il 31,58% dell'offerta per un controvalore complessivo di circa 219,2 milioni di euro. Il gruppo intende comunque riproporre l'offerta fino al 31 dicembre 2009 "beneficiando dell'eventuale ripresa dei mercati azionari". Secondo alcuni operatori, oltre a eventuali valutazioni sulla validità o meno di questi strumenti, la complessità stessa di queste obbligazioni strutturate avrebbe allontanato parte dei potenziali investitori. In effetti si tratta di obbligazioni senior accoppiate a un derivato. Le obbligazioni sono di tipo senior e saranno convertite nel 2013 in titoli Bpm. L'emissione è alla pari (100 euro) e prevede una cedola annua lorda del 6,75 per cento. Per ogni obbligazione sottoscritta sarà assegnato gratuitamente un warrant ("Warrant azioni ordinarie BPM 2009/2013"). A ogni obbligazione è associata un'opzione call di tipo americano con scadenza al primo giugno 2013 correlata a 16,667 azioni Bpm (ossia il minimo previsto per ogni obbligazione) e prezzo di esercizio da 7 euro e una corrispettiva opzione di vendita implicita put di tipo europeo con scadenza 1 giugno su massime 16,667 azioni a un prezzo di esercizio di 6 euro. Il prezzo di conversione dei titoli alla scadenza, ossia la valorizzazione delle azioni di Bpm che i bondholders riceveranno in cambio del proprio investimento (al netto delle cedole però), sarà comunque compreso tra i 6 e i 7 euro. In particolare il valore dell'azione considerato nella conversione sarà calcolato sulla base della media aritmetica delle contrattazioni degli ultimi 20 giorni precedenti la data di conversione (nel giugno 2013) al netto delle differenze di prezzo eventuali che dovessero oltrepassare al rialzo o al ribasso il range compreso tra i 6 e i 7 euro durante i 20 giorni considerati. La chiusura di ieri dei titoli Bpm era a 3,98 euro, ma va anche considerato che una ripresa generale dei listini potrebbe portare anche i corsi oltre il range dei 6-7 euro. Il prospetto spiega che tre sono i principali parametri in base al quale varia il valore dell'obbligazione (che è comunque un titolo illiquido e non contrattato): il prezzo delle azioni Bipiemme in Borsa direttamente proporzionale al valore del componente derivato dell'obbligazione (ossia all'opzione), i tassi di interesse (anch'essi influenti in maniera direttamente proporzionale sul valore dell'obbligazione senior che compone tutta l'obbligazione strutturata) e il merito di credito del gruppo ovviamente anch'esso direttamente proporzionale al valore delle obbligazioni. In generale dunque, se uno di questi fattori dovesse registrare un incremento, ne conseguirebbe un guadagno anche per il valore delle obbligazioni strutturate in questione. In ogni caso, per una corretta valutazione di questo strumento, sarà necessario inserire quest'operazione nel contesto più ampio della ripatrimonializzazione del gruppo citato all'inizio dell'articolo. Di certo per ora queste obbligazioni strutturare non hanno entusiasmato il mercato. (GD) Intesa San Paolo sale in sintonia con il settore bancario Ottima performance a fine mattinata per Intesa San Paolo, che approfitta della buona intonazione del comparto del credito a livello europeo. Il titolo si lascia quindi alle spalle le incertezze derivanti dalla questione riguardante il destino del patto tra Generali e Credit Agricole. Lo scorso 25 giugno la compagnia triestina e la banca francese avevano annunciato un nuovo accordo dopo il procedimento per inottemperanza avviato dall'Antitrust sul patto precedente. L'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato ha, pero', esteso il procedimento anche al nuovo patto in quanto "non ottempera alla condizione di garantire la necessaria indipendenza tra Credit Agricole e Intesa San Paolo e il ruolo di terzieta' della banca francese.". Ieri l'amministratore delegato di Intesa, Corrado Passera, si e' comunque dichiarato fiducioso sulla possibilita' di trovare una soluzione capace di accontentare gli azionisti e non creare problemi alla banca. Anche il presidente del consiglio di gestione, Enrico Salza, si e' espresso negli stessi termini. Passera ha parlato anche dell'emissione di Tremonti bond da 4 miliardi di euro, la cui procedura era stata avviata nel marzo scorso. Il manager ha detto che l'iter procede come previsto, dato che non e' stato apportato alcun cambiamento alle decisioni prese in precedenza. Nelle scorse settimane erano circolate voci relative a un raffreddamento dell'interesse per le obbligazioni del Tesoro. Questo perche' da un lato Intesa San Paolo vanta un grado di patrimonializzazione elevato, anche in considerazione della possibile valorizzazione di asset non strategici, mentre dall'altro i Tremonti bond hanno un costo elevato. (SF) www.lavoce.info IDEE NUOVE IN BANCA di Francesco Vella 07.07.2009 Uscite tutto sommato indenni dalla crisi grazie alla loro prudenza, le banche italiane sono ora sotto accusa proprio per un eccesso di prudenza. Ovviamente, devono garantire un equilibrato e diffuso accesso al credito che in questo momento è l'unica garanzia per la sopravvivenza di molte piccole imprese. Ma è importante che mantengano l'autonomia nelle scelte di allocazione e nelle valutazioni delle strategie, senza subire surrettizi condizionamenti. E' il momento per tutti gli attori del sistema di trovare nuove idee. E il coraggio di realizzarle L'8 luglio si tiene l’annuale assemblea dell’Associazione bancaria italiana, tradizionale incontro per fare il punto sullo stato di salute delle nostre banche e sui rapporti con il sistema economico: questa volta, però, c’è stato di mezzo il terremoto del 2008 e quindi l’occasione non è affatto di routine. IL DILEMMA Le banche italiane devono affrontare un autentico dilemma. Uscite tutto sommato indenni dalla crisi, grazie alla loro prudenza, si trovano adesso sotto pressione per eccesso di prudenza. Tutti dicono che bisogna tornare all’antico mestiere di raccogliere depositi e fare impieghi selezionando e monitorando il credito, ma per usare le eleganti parole del ministro del Tesoro americano “prima le banche hanno rischiato troppo, ma il rischio per la nostra economia è che adesso rischino troppo poco”. E in Italia, con meno eleganza, si sta diffondendo una vulgata demagogica tale per cui tutti i rubinetti devono essere comunque aperti, quasi come se esistesse una sorta di diritto a ricevere i soldi, vulgata ovviamente pericolosa perché inquina il mercato e riporta l’orologio all’indietro, quando i rapporti di finanziamento tra banche e imprese erano spesso inquinati dalla politica. Ovviamente, le banche si devono far carico di garantire un equilibrato e diffuso accesso al credito che in questo momento è l’unica garanzia per la sopravvivenza di molte piccole imprese, e avere il coraggio di guardare con lungimiranza le prospettive future scommettendo e rischiando di più. Ma l’importante è che mantengano l’autonomia nelle scelte di allocazione del credito e nelle valutazioni delle strategie, senza subire surrettizi condizionamenti che alla fine sarebbero dannosi per tutti, le banche, le imprese e la collettività, perché tutti, anche se non è molto popolare dirlo in questo periodo, hanno interesse che chi non è meritevole non prenda soldi. La crisi americana è nata proprio dal fatto che si è tentato di risolvere i problemi di una ineguale distribuzione del reddito consentendo dalle fasce sociali più svantaggiate di indebitarsi, quando chiaramente non lo potevano fare. LA BARRA DRITTA Le banche devono, quindi, tenere la barra dritta, ma non possono stare solo in trincea a difendersi: promuovere comportamenti virtuosi sul piano della trasparenza, della offerta di prodotti adeguati, della corretta valutazione delle situazioni aziendali rappresenta un presupposto essenziale per rapporti collaborativi con le imprese. E, a dir la verità, anche il presupposto per imporre alle imprese quella trasparenza delle situazioni contabili, delle strutture di governance e degli assetti organizzativi la cui opacità spesso non consente di comprendere con chi realmente si ha a che fare e di “scommettere” sulle potenzialità future del debitore. Per far questo, non ci si può limitare a messaggi promozionali, o a singole iniziative, ma, appunto, è necessario un progetto di sistema che coinvolga tutta la categoria. Ad esempio, Patti Chiari ha di recente approvato un nuovo statuto che consente, oltre allo svolgimento delle tradizionali funzione di informazione, conoscenza e comparabilità dei prodotti, di introdurre nuove forme di autodisciplina, con strutture e organi di controllo che assicurino enforcement, che potrebbero coinvolgere tutti gli aderenti sul terreno dei comportamenti nei confronti della clientela. E anche l’Abi, liberandosi da una visione di mera difesa di interessi sindacali, potrebbe aprirsi a nuovi ruoli di autoregolamentazione e di autocontrollo, con magistrature interne. In sostanza, dovrebbe offrire agli associati un servizio che in qualche modo ne garantisce la qualità. LE REGOLE Anche il regolatore deve fare il suo mestiere, che è appunto soltanto quello di regolare, senza cadere nella tentazione di sostituirsi ai giocatori. Una disciplina attenta non solo ai tradizionali canoni di correttezza nelle relazioni contrattuali, ma anche a una reale comprensibilità delle informazioni, una adeguata valutazione dei clienti, una semplificazione dei prodotti, una struttura delle commissioni di intermediazione più trasparente, può aiutare molto. Il recente documento di consultazione della Banca d’Italia, che riguarda la clientela al dettaglio e le piccole imprese con fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro, già contiene alcune importanti indicazioni sulla standardizzazione e semplificazione delle informazioni. Guardando oltreoceano, il piano Obama affaccia l’ipotesi dell’opting out: e cioè l’obbligo per gli intermediari di offrire sempre in prima battuta alla clientela “base” prodotti plain vanilla più semplici (ad esempio si prevede che per i mutui in prima battuta si debba sempre offrire quello a tasso fisso) e soltanto qualora vi sia una diversa opzione scattano le informazioni sulla rischiosità della scelta e si rafforzano le tutele. Sono, naturalmente, tutte ipotesi da discutere e approfondire, ma se si vuole uscire dall’ormai stucchevole dibattito tra banche e imprese su chi è “più buono” o “più cattivo” bisogna avere il coraggio di sperimentare nuove idee, sperando poi che ci sia anche la volontà di realizzarle. www.loccidentale.it E siamo nel 2009 La maggior parte delle tutele del lavoro delle donne risale ancora agli anni '30 Nelle prossime settimane sarà possibile capire – almeno ce lo auguriamo – se il Governo vorrà dare esecuzione alla sentenza del 13 novembre dell’Alta Corte di Giustizia dell’Unione europea riguardante l’equiparazione dell’età di vecchiaia tra lavoratori e lavoratrici nel pubblico impiego. Le soluzioni sono state individuate da tempo. Si tratta di elevare gradualmente (un anno ogni due oppure ogni 18 mesi) gli attuali 60 anni per arrivare a 65, salvaguardando le previgenti regole per le donne che sono rimaste a lavorare anche dopo il compimento del sessantesimo anno e riversando i risparmi ottenuti al finanziamento di politiche volte a migliorare il lavoro e la condizione della donna in un’ottica attenta ai problemi della conciliazione tra attività lavorativa e vita familiare. In sé, la misura – rigidamente limitata al pubblico impiego – non comporterebbe risultati economici di particolare consistenza (diverso sarebbe il caso di un provvedimento che coinvolgesse anche le lavoratrici del settore privato). E non comporterebbe neppure dei costi sociali di particolare rilievo, dal momento che nessun dipendente pubblico rischia di perdere il posto di lavoro. Avrebbe tuttavia un grande valore emblematico e culturale (come emerge dal dibattito in corso) perché metterebbe in discussione uno dei luoghi comuni più consolidati ed equivoci: considerare l’anticipo dell’età della pensione per la donna come una sorta di "risarcimento" per uno stile di vita che penalizza, appunto, la lavoratrice, costretta ad adempiere ad un duplice ruolo in famiglia e nel lavoro. In realtà, il pensionamento anticipato è l’ultima raffica di un idolum tribus che considera come principale vocazione della donna quella di essere, prima di tutto e nell’ordine, moglie, madre, figlia (dei genitori e degli suoceri vecchi ed invalidi). La sua attività professionale soddisfa l’esigenza di "dare una mano" ad implementare il reddito della famiglia; la medesima funzione può essere svolta da una modesta pensione riscossa prima possibile per poter ritornare alle cure domestiche. Che la condizione della donna, in Italia, sia complicata è assolutamente evidente. Fino a 40 anni ha problemi con i figli piccoli. Dieci anni dopo – quando i figli sono ancora giovani e bisognosi di una presenza assidua – comincia ad avere problemi con i genitori anziani. Sulla carta, anche il compagno potrebbe usufruire delle norme di tutela della paternità (al pari della maternità), ma nella realtà si frappongono ostacoli di carattere culturale, attinenti ai rapporti interpersonali, lontani dall’essere risolti. Questa situazione – di sostanziale stallo sociale – deve essere superata perché lo sblocco dell’occupazione femminile (i passi in avanti compiuti negli ultimi anni sono importanti ma insufficienti) è la condizione indispensabile perché, al momento della ripresa economica, l’offerta di lavoro sia adeguata rispetto alla domanda. Per aprire le porte del mercato del lavoro alle donne deve cambiare l’organizzazione del lavoro e dei servizi ma devono anche essere fatti fino in fondo i conti con un vecchio modello di tutele della donna lavoratrice ormai divenuto non solo inadeguato per quanto riguarda le effettive esigenze femminili, ma che si erge ormai come un vero e proprio impedimento all’assunzione delle donne, anche perché la politica e i sindacati, in tutti questi anni, hanno aggiunto nuove forme di protezione senza superare quelle vecchie e tradizionali. A volte servirebbe andare alle radici degli istituti giuridici per comprenderne le ragioni e le motivazioni. La maggior parte delle norme poste a tutela del lavoro delle donne datano dagli anni ’30 del secolo scorso, in pieno regime corporativo. Pochi sanno che il regime fascista accompagnò l’introduzione di norme a protezione della maternità e del c.d. puerperio e della famiglia stessa, con scelte di politiche del lavoro in esplicito contrasto dell’occupazione femminile (almeno fino al 1943 quando fu costretto a promuovere l’assunzione delle donne al posto degli uomini impiegati in guerra). Oltre alla tassa sul celibato, ai premi di nuzialità agli statali, ai prestiti alle giovani coppie e alle agevolazioni fiscali alle famiglie numerose, la Cassa per gli assegni familiari, estesa nel 1936 a tutti i lavoratori dell’industria, il regime riconobbe il diritto all’astensione dal lavoro prima e dopo il parto. La legge organica per la tutela del lavoro femminile è del 1934. In quegli stessi anni, per contrastare la disoccupazione indotta dalla "grande crisi", il fascismo adottò una vera e propria politica discriminatoria verso le donne, che furono espulse dai posti di lavoro (l’occupazione femminile passò dal 28% nel 1920 – nell’immediato dopoguerra al 18% nel 1931) e spinte verso il lavoro a domicilio. Furono posti limiti alle assunzioni delle donne nella pubblica amministrazione e previste esclusioni da taluni pubblici uffici. Nelle aziende private fu fissato un tetto massimo per il personale femminile. Dapprima in misura del 20% nel commercio e del 16% nel credito e nelle assicurazioni. Nel 1938 una legge fissò il tetto al 10% tanto nel settore pubblico quanto in quello privato. Il tutto era accompagnato da una politica di ruralizzazione con leggi limitative delle migrazioni interne e con agevolazioni per la vita in campagna. Cosa è bene attendersi dal summit? Al G8 i grandi della Terra parleranno di "Exit strategy” e “global rules” Il “vertice” dei Capi di Stato e di Governo, presieduto dall’Italia ed in programma a L’Aquila (8-10 luglio) è l”ultimo G8”. Non l’”ultimo” presieduto dall’Italia, ma l’ultimo in senso assoluto. Ciò non vuole dire che non si terranno altre riunioni annuali con il logo “G8”- saranno però di importanza ed impatto molto limitato. Interesseranno sherpas, barracuda-esperti e la variopinta schiera di antiglobalizzatori costantemente in viaggio in comitiva. Sarà l’ "ultimo G8" perché la struttura di produzione è cambiata: dopo due secoli in cui l’innovazione tecnologica ha avuto come suo centro l’Europa, prima, e gli Usa poi, ed il mondo atlantico è cresciuto a tassi molto più rapidi del resto dell’economia internazionale, l’annullamento delle distanze di spazio e di tempo conseguenza della tecnologia della conoscenza e dell’informazione - sta riportando la distribuzione del pil mondiale a quella del 1820 (la più antica che si sia riusciti a calcolare) quando India e Cina, insieme, erano responsabili del 43% dell’output del globo. Dato che siamo all’ "ultimo G8" è specialmente importante – come ha sottolineato Carlo Lottieri su l’Occidentale che l’assise abbia qualche risultato concreto ossia che il ciclo iniziato nel Castello di Rambuoillet nel 1975 si concluda in bellezza. O quanto meno, che dia l’impressione di terminare portando qualcosa a casa. L’agenda è vastissima. Come riferito da un paio di quotidiani, nella sede della Presidenza del Consiglio si è tenuta una riunione a cui hanno partecipato non solo i funzionari addetti al vertice ma anche esperti di politica estera, in gran misura collegati ad Aspen Italia, ex-Ministri degli Esteri ed anche un ex-Presidente del Consiglio. Nulla di straordinario. E’ ciò che avviene normalmente negli Usa, in Francia e Germania (nonché in Giappone): un dibattito con chi ha avuto esperienza di concessi analoghi al fine di meglio predisporre la posizione italiana. Questa volta – le testate in questione non lo hanno riferito – chi ha “vissuto” G8 precedenti ha alzato le braccia: il “vertice” dovrebbe trattate (e risolvere) davvero di tutto e di più (dai problemi dell’Iran, della Corea e del Medio Oriente, a quelli dell’inquinamento, a quelli della crisi finanziaria, a quelli della fame nel mondo, e chi più ne ha più ne metta). Sarebbe sensato focalizzarsi su pochi temi. Sul piano economico i principali temi sono due – ed hanno il pregio di essere collegati l’uno all’altro: la “exit strategy” dalla crisi e le “global rules”. Sono temi su quali ci sono forti divergenze di vedute tra i principali Paesi della comunità internazionale – per questa ragione il G8 può essere la sede per un accordo ad alto livello. Sul primo punto, in breve, gli Usa ritengono che l’Ue, in particolare l’unione monetaria, debbano fare “un maggiore sforzo” in materia di politica di bilancio (allo scopo di favorire la ripresa). L’Ue, specialmente l’area dell’euro, pensa invece che ciò potrebbe porre a repentaglio una moneta unica ancora giovane e scatenare un’ondata d’inflazione. Tanto più che il mondo è alle prese con un vero e proprio Himalaia del debito , aggravato dai deficit di bilancio. Negli Stati Uniti, a motivo del tasso di risparmio negativo delle famiglie protrattosi per anni e della forte leva finanziaria con cui hanno operato le imprese (nonché della politica di spesa pubblica per emergenze di ogni sorta e per stimolare la domanda aggregata), a fine 2008 il rapporto debito totale: pil era quasi al 3:1, il doppio di quelle contabilizzato nel 1929 (quando scoppiò la Grande Depressione). Gli altri Paesi Ocse non stanno molto meglio: in Irlanda, Spagna, Australia e Nuova Zelanda, l’espansione del credito totale interno dal 1977 al 2007 a tassi annui superiori al 10% (molto più alti, dunque, di quelli del pil nominale) ha creato montagne di debito totale in proporzione alla produzione che si pongono come un macigno sulla via della ripresa di medio e lungo termine. I dati citati sono rigorosamente quelli di fonti ufficiali che, come è noto, o non tengono conto di forme “innovative” di indebitamento (quali quelle tramite Siv- Special investment vehicles) o gestioni fuori bilancio o le sottostimano. Verosimilmente la situazione è molto peggiore. Un intesa di principio sul percorso per “rientrare” dal debito potrebbe essere un obiettivo fattibile. E’ forse anche possibile un accordo sulle “global rules", pur se l’Asia non ne vuole neanche sentire parlare l’Amministrazione Obama ci crede piuttosto poco ( e va avanti per la sua strada). Non tanto sulla bozza di circa 80 pagine sottoposte ai Ministri dell’Economia e delle Finanze a Lecce quanto su questi punti chiave: a) chi ha titolo a definire le “global rules”; b) che forma devono prendere (trattati, protocolli); c) come assicurarne la fase di rodaggio, dapprima, e di aggiornamento/manutenzione, poi; d) come verificarne l’applicazione; e) quali sanzioni prevede (per i trasgressori) e come comminarle. Un successo in questi due campi darebbe al G8 de L’Aquila una statura miliare.