RASSEGNA STAMPA 8 LUGLIO 2009
www.americaoggi.info
Italia Cina. Intese per due miliardi di dollari
07-07-2009
ROMA. Le porte della Cina si aprono per più di 500 imprenditori italiani che
guardano all'Estremo Oriente come sbocco per i propri prodotti. E già ieri Italia e
Cina hanno chiuso 38 intese, che coinvolgono ministeri e imprese private, per un
valore totale di 2 miliardi di dollari. Sono questi i principali risultati del China Day,
il forum fra Italia e Cina al quale hanno preso parte oltre 500 imprenditori italiani
e oltre 300 cinesi, dando vita a più di 1.000 incontri bilaterali nell'arco della due
giorni romana.
L'Italia ha già con la Cina un giro d'affari da 38 miliardi di dollari, a tanto
ammonta l'interscambio commerciale del 2008, ma "siamo consapevoli che
possiamo fare di più, favorire sempre più cospicui investimenti cinesi in Italia e
riequilibrare, almeno in parte, il deficit commerciale con Pechino, giunto a 17
miliardi di euro nel 2008", sottolinea il ministro per lo Sviluppo Economico,
Claudio Scajola, che è tornato indietro di sette secoli, fino a Marco Polo, per
ricordare la lunga tradizione che lega Italia e Cina: "Scriviamo ora un'altra pagina
di questa storia".
L'obiettivo, ha sottolineato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, è quello di
entrare "nell'arco di tre anni tra i primi tre Paesi che hanno investimenti in Cina".
Non solo investimenti italiani in Cina, quindi, ma attrazione di investimenti e
turismo cinesi in Italia. Oggi la parte del leone l'hanno giocata i grandi nomi, da
Fiat a Mediobanca, passando per Finmeccanica e Generali, ma in molti hanno
sottolineato con soddisfazione la quantità e qualità di accordi siglati da imprese di
piccole e medie dimensioni, fra cui spiccano le intese raggiunte con Shangai
Gracing Group da Pelletteria Manfrin e Villa Pedemonte Atelier: due lettere di
intenti da 140 milioni di dollari l'una, per la produzione, il design e la creazione di
oggetti di pelletteria e gioielleria.
Importanti anche gli accordi da 49 milioni del gruppo Getra per una joint venture
sui trasformatori, i 30 della Marazzi realizzazione di "piastrelle ceramiche solari",
e i 20 milioni di Mantero Seta per tessile di alta gamma. Tutte operazioni che, è
pronto a scommettere il vice ministro, Adolfo Urso, cambieranno la percezione
della Cina in Italia: da "competitrice, talvolta conflittuale, rischio per le imprese
italiane", si passa a quella di "un Paese con cui collaborare, con cui crescere
insieme". Anche perché, ha aggiunto, "molti altri accordi seguiranno nei prossimi
mesi", completando "il salto di qualità, la svolta storica dei rapporti fra Italia e
Cina".
La Fiat torna a produrre auto e motori
TORINO. La Fiat torna a produrre auto e motori in Cina: lo farà dal 2011 con una
joint venture paritetica con il gruppo Gac (Guangzhou Automobile Group).
L'accordo è stato firmato, ieri a Roma, dal presidente della società cinese, Zhang
Fangyou, e dall'amministratore delegato del gruppo Fiat, Sergio Marchionne,
davanti al premier Silvio Berlusconi e al presidente della Repubblica Popolare
Cinese, Hu Jintao.
"È una tappa importante, con un partner molto forte, nel percorso di
internazionalizzazione della Fiat e delle sue tecnologie", commenta il presidente
del Lingotto, Luca Cordero di Montezemolo, mentre John Elkann sottolinea
l'importanza del mercato cinese per il futuro. Di accordo rilevante parlano anche il
ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, e la presidente della
Confindustria, Emma Marcegaglia.
Fiat e Gac costruiranno un nuovo stabilimento, che sarà situato nella città di
Changsha e si estenderà su una superficie produttiva di oltre 700.000 metri
quadri, con un investimento complessivo pari ad oltre 400 milioni di euro. Nella
prima fase di sviluppo, la joint venture disporrà di una capacità installata di
140.000 vetture e 220.000 motori all'anno, ma la capacità del sito potrà
aumentare fino a 250.000 vetture e 300.000 motori. L'avvio della produzione è
previsto per la seconda metà del 2011.
I modelli prodotti saranno equipaggiati con motori e cambi tecnologicamente
evoluti, per rispondere alle richieste del governo cinese di sviluppare veicoli a
bassi consumi e ridotte emissioni. Il primo modello che verrà introdotto sul
mercato sarà la Linea, berlina a tre volumi di segmento C. I motori saranno Fire
1.4 T-Jet da 120 e 150 cavalli. L'intesa con Gac è la più rilevante, ma non è la
sola firmata dalla Fiat nell'ambito del forum Italia-Cina. Altri sette accordi, dal
valore complessivo di 225 milioni di dollari, coprono praticamente tutto il business
del gruppo Fiat, da Powertrain a Ferrari e Maserati fino a Cnh. Il gruppo torinese
ha oggi in Cina tre uffici di rappresentanza, 14 società totalmente controllate e
nove joint venture, con un totale di 13.000 dipendenti. Nel 2008 le attività della
Fiat nel Paese della Grande Muraglia hanno generato un fatturato di quasi 2,4
miliardi di dollari.
www.avvenire.it
Credito e massimo scoperto: Draghi "bacchetta" le banche
«ll credito alle imprese rallenta ancora», «la redditività degli istituti è destinata a
scendere», bisogna mettere un freno «a commissioni complesse e opache» e
sopratutto sulla commissione massimo scoperto «bisogna risolvere il problema
alla radice». Il governatore Draghi di Bankitalia così interviene all'assembela
dell'Abi. E annuncia anche che l'istituto ha «costituito una task force per valutare
gli effettivi meccanismi di remunerazione» dei manager bancari «e chiedere
correttivi dove necessario».
Credito in contrazione.
I prestiti sono ancora in calo, e sono soprattutto le aziende a subire la
diminuzione. «Il credito al settore privato - ha detto Draghi - rallenta ancora. Da
aprile la variazione su tre mesi è divenuta negativa: in maggio era pari a -0,9%
su base annua. Nell'ultimo decennio - ha aggiunto - il tasso di crescita medio
annuo del credito al settore privato è stato pari al 9,6%. E' particolarmente
intensa la decelerazione dei prestiti erogati dai gruppi bancari maggiori».
«I prestiti alle famiglie - ha sottolineato il governatore - continuano a espandersi,
benchè a ritmi nettamente inferiori a quelli degli ultimi anni».
Massimo scoperto.
«Le banche devono risolvere alla radice la questione del massimo scoperto», e
devono «sostituire spontaneamente, una volta per tutte, le commissioni
complesse e opache con commissioni ragionevoli sui fondi messi a disposizione;
per il resto - dice Draghi - si riconduca tutto all'applicazione trasparente dei tassi
di interesse».
Il patriomonio.
«Le risorse patrimoniali delle banche italiane si collocano ampiamente al di sopra
dei minimi regolamentari; lo sono state anche durante le fasi più acute della
crisi». Ma «è necessario comunque un rafforzamento» dei coefficienti patrimoniali
degli istituti di credito. La crisi e il lavoro. Per il numero uno di via Nazionale
bisogna usare molta cautela nell'interpretazione dei dati sulla cassa integrazione
perchè «una rondine non fa primavera».
DONNE E LAVORO
La differenza che pesa in busta
La parità fra uomini e donne nel mondo del lavoro, nonostante i progressi
compiuti, resta ancora un obiettivo lontano e non solo in Italia. Una delle
dimensioni in cui emergono più evidenti le disuguaglianze fra i sessi è quella del
livello retributivo: il cosiddetto gender pay- gap. Una questione che oggi, con la
crisi, assume ancora più rilevanza e su cui si è soffermata anche la Commissione
europea nella sua ultima relazione annuale sui progressi raggiunti in fatto di pari
opportunità, stimando in un 17,4% lo scarto retributivo fra uomini e donne nei
Paesi Ue.
L’Italia per una volta non è il fanalino di coda. Da noi, infatti, il pay-gap sembra
non raggiungere i livelli toccati in altre nazioni, nonostante le varie rilevazioni non
siano proprio uniformi (dal 16% di Eurispes all’8,75% di Isfol, entrambi nel
2009). Ciò che più rileva, tuttavia, al di là della quantificazione del fenomeno, è
l’individuazione delle sue molteplici concause e delle dimensioni su cui è possibile
operare per incidere sulla forbice retributiva uomini-donne. Un prezioso e
innovativo contributo in questo senso arriva da una ricerca condotta in
collaborazione tra l’Osservatorio sul Diversity management di Sda Bocconi e Hay
Group, che apre nuovi scenari sull’interpretazione delle differenze retributive e
sulle strategie aziendali attivabili per ridurlo.
Analizzando un campione di 100 aziende, con un 30% di donne lavoratrici sul
totale di impiegati, quadri e dirigenti, la ricerca mostra che in termini di
retribuzione fissa le donne percepiscono il 23% in meno degli uomini (-25%
considerando anche la parte variabile). Un differenziale elevato ma non troppo, se
lo si paragona a quello di analoghi campioni riferiti ad altri Paesi europei dove la
partecipazione delle donne al Le donne scontano un differenziale retributivo
negativo rispetto agli uomini. Per ridurlo, occorre anzitutto misurarlo
correttamente Ricerca di Bocconi e Hay Group mercato del lavoro è maggiore che
in Italia, come Belgio ( pay-gap al 29%) o Francia (42%). I risultati però
cambiano drasticamente se si prendono a riferimento gli indicatori elaborati da
Hay Group, che permettono di operare confronti scientificamente fondati fra i
trattamenti retributivi a parità del grado di complessità della posizione lavorativa,
misurato oggettivamente con un punteggio numerico (vedi intervista in pagina).
Utilizzando questo approccio, emerge che le donne sono meno presenti nelle
posizioni col grado di complessità maggiore, fatto che può spiegare una parte
delle differenze retributive.
Ma anche in posizioni equivalenti in termini di complessità, ed è questo il risultato
più interessante, resta un pay-gap a favore degli uomini, anche se solo del 2%.
Un divario non più giustificabile con motivazioni tradizionali (differenze
d’inquadramento, di anzianità aziendale, d’età), che induce quindi a ricercare la
vera 'discriminazione' in un fattore legato appunto al sesso, che tocca
trasversalmente tutto il mondo del lavoro.
La ricerca esprime, dunque, la necessità di indagare il fenomeno del pay-gap su
piani che attengono a dinamiche di ordine culturale e cognitivo, prospettando due
ambiti di azione possibili: da una parte soluzioni organizzative, di politiche non
solo retributive ma gestionali e di sviluppo; dall’altra, percorsi individuali formativi
che aiutino le donne a migliorare la propria capacità di affermarsi, proporsi,
sviluppando le proprie potenzialità. È questa la duplice sfida per le aziende che
intendono porre la questione della diversità di genere al centro delle loro
strategie. E per la società nel suo insieme, che ha bisogno, ora più che mai, che i
talenti siano espressi appieno per poter creare ricchezza da redistribuire.
Retribuendoli senza differenze.
Andrea Di Turi
www.cdt.ch
Economia sterile senza etica
La nuova enciclica del Papa, "Caritas in Veritate"
di MARIO TETTAMANTI - Sorprendente. È forse questo l’aggettivo che meglio si
adatta alla terza enciclica di Papa Benedetto XVI, dedicata all’economia – «Caritas
in Veritate» – presentata ieri in Vaticano (ne parliamo nel Corriere del Ticino di
oggi a pagina 3). Stupisce, prima di tutto, la concretezza delle proposte di fronte
alla crisi dell’economia globalizzata. Ratzinger, in altre parole, scende dagli
scranni della teoria e cerca di calare nel mondo reale la sua teologia. Ma
sorprende, anche, l’afflato utopistico del documento, come rileva, nel Primo
Piano, il vaticanista Giancarlo Zizola.
Occuparsi prevalentemente di economia invece che di filosofia e di teologia non
impedisce di recepire il messaggio, per certi versi molto puntuale, sulle questioni
che sono oggi al centro del dibattito sulle responsabilità e le conseguenze della
crisi finanziaria ed economica.
L’enciclica, almeno la parte dedicata a questo tema, assume il significato di un
vero decalogo dedicato a politici, economisti, imprenditori e banchieri. Un appello,
quello del Papa, che tocca il centro del problema venuto alla luce in questi ultimi
mesi con la crisi generata dalla finanza e ora entrata a piè pari nell’economia
reale.
Ratzinger parla della crisi economica, sprona i cittadini a reagire con fiducia e
chiede agli Stati di impegnarsi nella ricerca di nuove regole. Non solo: oltre alla
definizione di nuove norme di comportamento di ordine tecnico, l’enciclica, più in
generale, afferma che «vi è l’assoluta necessità da parte dei politici di spronare a
un rinnovamento culturale e alla riscoperta di valori di fondo su cui costruire un
futuro migliore». L’attuale crisi deve dunque diventare occasione di discernimento
e di nuova progettualità.
Della disoccupazione, conseguenza della crisi, che le impietose statistiche fanno
diventare uno dei problemi di questo inizio di millennio, il Papa parla nel capitolo
sulla mobilità e sul precariato. Pur accettando il principio della
deregolamentazione dei mercati, l’accento vien posto sugli aspetti negativi che lo
stesso fenomeno ha generato, come le incertezze sul futuro delle famiglie, le
forme di instabilità economica e psicologica che stanno creando sia nei Paesi in
via di sviluppo sia (causa la crisi) in quelli occidentali forme di degrado umano e
sociale.
La libertà di mercato è giudicata positiva, ma solo se accompagnata pari passo da
forme di solidarietà e di fiducia. Da qui l’importanza dell’equità distributiva e
sociale: «Il mercato lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni
scambiati non riesce a produrre quella coesione sociale di cui ha bisogno. Senza
questi presupposti il mercato non può pienamente espletare la propria funzione
economica».
Non poteva mancare il ruolo dello Stato che, secondo l’enciclica, è destinato a
crescere, riacquistando molte delle sue competenze: «Ragioni di saggezza e di
prudenza suggeriscono di non proclamare troppo affrettatamente la fine dello
Stato».
Il messaggio del Papa diventa particolarmente puntuale quando si rivolge agli
imprenditori e ai banchieri. Vecchie e sane modalità della vita imprenditoriale – si
legge – vengono oggi purtroppo meno. Ad esempio uno dei rischi maggiori è che
l’impresa risponda quasi unicamente a chi investe senza tenere conto di chi
lavora, ma così finisce per ridurre la sua valenza sociale. E ancora: a causa della
crescita delle loro dimensioni e al bisogno di capitali, le aziende fanno capo
sempre di meno a un imprenditore stabile che si senta responsabile a lungo
termine della vita e dei risultati della sua azienda, sempre meno dipendente da
un territorio. La delocalizzazione delle attività produttive (alla spasmodica ricerca
di economie di scala) attenua nell’imprenditore il senso di responsabilità nei
confronti dei portatori d’interessi, quali i lavoratori, fornitori e consumatori,
l’ambiente naturale e la più ampia società circostante.
Colpo di frusta anche alla finanza che, appiattita sul breve termine, ha funzionato
male. Una finanza che, mal utilizzata, ha fortemente danneggiato l’economia
reale e che – secondo l’enciclica – «deve assolutamente ritornare ad essere uno
strumento finalizzato alla migliore produzione di ricchezza e di sviluppo». Gli
operatori della finanza devono riscoprire il fondamento etico delle proprie attività
per non abusare di quegli strumenti sofisticati che possono servire per tradire i
risparmiatori. Retta intenzione, trasparenza e ricerca di buoni risultati sono
compatibili e non devono mai essere disgiunti.
Quando tocca questi argomenti l’enciclica si allontana dal puro e semplice
documento di teologia per diventare una riflessione fondamentale rivolta a tutti –
credenti o meno – sulla centralità dei legami tra economia, socialità, politica ed
etica.
Mario Tettamanti
Come uscirà l'Europa dalla crisi?
Nell'UE si prospettano scenari inflazionistici
di GIOVANNI BARONE-ADESI - La crisi del credito è ormai passata. Le banche,
riempite di liquidità dalle banche centrali, sono pronte a far credito a tutti i clienti
affidabili. Preoccupa piuttosto la caduta dei consumi, legata all’incertezza delle
prospettive di lavoro. Siamo così tornati allo schema classico di recessione, dove
le perdite di consumi e di posti di lavoro si rinforzano a vicenda. Molti osservatori
pensano che l’abbondante liquidità disponibile ci aiuterà a superare velocemente
questa fase recessiva. Quando l’economia ripartirà, parte della liquidità fornita
dalla Banca Centrale Europea (BCE) alle banche sarà immobilizzata in titoli di
stato. Il resto dovrà essere drenato, per evitare che l’aumento della velocità di
circolazione della moneta si traduca in un’elevata inflazione.
L’operazione di drenaggio in Europa, a differenza degli Stati Uniti, si presenta
difficile. Infatti, la necessaria diminuzione dei prestiti della BCE alle banche
renderà più precario il finanziamento dei governi più deboli, come Grecia, Austria,
Spagna, Portogallo, o metterà in difficoltà le banche di quei paesi.
Nell’impossibilità politica di aiutare direttamente quei paesi, la BCE rischia di
essere forzata ad abbandonare il suo mandato di difesa della stabilità dei prezzi.
Se insistesse a perseguirlo, potrebbe causare l’insolvenza di alcuni di questi
governi e una grave crisi politica dell’Unione Europea.
Le fosche prospettive europee complicano, come sempre, la gestione del franco
svizzero. Se la Banca Nazionale non badasse al cambio con l’Euro, la Svizzera
potrebbe regolare la sua massa monetaria ed evitare l’inflazione. Questa politica
rende tuttavia inevitabile un forte rafforzamento del franco, che la Banca
Nazionale vuole evitare, al fine di proteggere la competitività dell’industria
elvetica. L’obbiettivo della stabilità del cambio diventerà ovviamente insostenibile
in caso di una grave crisi europea. Pertanto dobbiamo sperare che la BCE trovi la
formula magica per quadrare il cerchio. La soluzione razionale, poco probabile
politicamente, sarebbe che i governi più deboli beneficiassero dell’aiuto diretto di
soggetti più forti. Il Fondo Monetario Internazionale, la BCE, l’Unione Europea
sono in teoria delle istituzioni che si potrebbero fare carico di questo. Tuttavia
l’efficacia di questi ipotetici aiuti richiederebbe l’introduzione di vincoli fiscali che
limiterebbero fortemente la sovranità dei paesi che li accettassero. Sembra molto
difficile che i parlamenti dei paesi interessati ratifichino politiche del genere.
Chiunque abbia seguito l’inane dibattito fiscale in corso nel parlamento della
California in questi mesi ha già visto un’anticipazione di quel che vedremo in
Europa l’anno prossimo se la BCE seguirà la linea dura contro l’inflazione. Le
conseguenze sociali, già gravi in California, sarebbero devastanti nelle società
europee, meno flessibili di quella americana. Pertanto, in mancanza
dell’auspicabile, ma improbabile, compromesso politico all’interno dell’Unione
Europea, lo scenario inflazionistico appare come la più probabile via d’uscita per
la BCE. La Svizzera dovrà quindi decidere se adeguarsi alle scelte europee, o
lasciare che il franco si rafforzi.
Giovanni Barone-Adesi, professore di economia finanziaria all’USI
www.corriere.it
INTERVENENDO ALL'ASSEMBLEA DELL'ABI
Credito alle imprese e massimo scoperto, pressing di Draghi sulle banche
Il governatore di Bankitalia: «Sui guadagni dei manager arriva una task force»
ROMA - La Banca d'Italia ha «costituito una task force per valutare gli effettivi
meccanismi di remunerazione» dei manager bancari «e chiedere correttivi dove
necessario». Lo ha annunciato il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi
intervenendo all'Assemblea dell'Abi nella quale ha spiegato che, a livello
internazionale, il legame con risultati a breve ha favorito una «una falsa
contabilità del profitto che produce una micidiale spirale di rischio». Draghi ha
chiesto un maggior equilibrio tra la retribuzione fissa e quella variabile degli
«stipendi» dei manager, collegando quest'ultima «ai guadagni effettivamente
conseguiti in una prospettiva di medio-lungo periodo, tenendo conto dei relativi
rischi».
CREDITO A IMPRESE RALLENTA ANCORA - Poi il governatore ha rivolto
l'attenzione alle banche bacchettandole: «Il credito al settore privato rallenta
ancora», anche se «la contrazione riguarda le imprese, mentre i prestiti alle
famiglie continuano a espandersi, benchè a ritmi nettamente inferiori a quelli
degli ultimi anni». Il governatore ha aggiunto: «È particolarmente intensa la
decelerazione dei prestiti erogati dai gruppi bancari maggiori». Le banche devono
sapere «conciliare il perseguimento di prudenti e equilibri economici e patrimoniali
con l'esigenza di non far mancare il sostegno finanziario alle imprese con buone
opportunità di crescita, reali capacità di superare la crisi». Draghi ha spiegato che
sia le banche sia la Vigilanza non possono allontanarsi «dal sentiero della rigorosa
valutazione del merito di credito» perché «un sistema bancario sano è condizione
necessaria per lo sviluppo, è presidio del risparmio affidato agli intermediari». Ma
- ha aggiunto Draghi - «è altrettanto importante che le banche nel decidere sul
credito da dare usino tutta l'informazione loro disponibile, integrino i risultati dei
metodi statistici di 'scoring' con la conoscenza diretta del cliente, delle sue
effettive potenzialità di crescita e di redditività nel lungo periodo».
ADDIO MASSIMO SCOPERTO - Un ulteriore ammonimento alle banche è
venuto dal governatore sulla commissione di massimo scoperto: «Ora le banche
devono risolvere la questione alla radice; sostituiscano spontaneamente, una
volta per tutte, le commissioni complesse e opache con commissioni ragionevoli
sui fondi messi a disposizione; per il resto si riconduca tutto all'applicazione
trasparente dei tassi di interesse». Il governatore ha sottolineato che è stato
«necessario l'intervento del legislatore» dopo che «la ripetuta azione di moral
suasion sortiva effetti solo nei confronti dei maggiori gruppi».
TRASPARENZA PRO-CLIENTE - E difatti Draghi ha annunciato che entro questo
mese la Banca d'Italia, dopo aver avviato una consultazione pubblica, varerà le
disposizioni della nuova disciplina di trasparenza dei servizi bancari e finanziari e
ha spiegato che la normativa «si è profondamente evoluta rispetto al passato».
«Vuole - ha aggiunto - che il cliente disponga di informazioni semplici da capire,
utili a valutare la convenienza delle operazioni che gli vengono proposte, la
correttezza di chi gliele propone; richiede agli intermediari di adottare procedure
interne che assicurino comportamenti corretti». Draghi ha ricordato che
«complementare alla giustizia civile» è poi «il nuovo sistema per risolvere le
controversie in materia di servizi bancari e finanziari: l'Arbitro Bancario
Finanziario (Abf), che consentirà ai clienti di ottenere decisioni imparziali in modo
rapido e poco costoso». «Saranno istituiti tre colleghi, uno per il Nord, uno per il
Centro e uno per il Mezzogiorno - ha detto Draghi - I clienti delle banche vi si
potranno rivolgere anche tramite le filiali della Banca d'Italia, che assicurerà le
strutture tecniche per il funzionamento dell'Abf».
IL PATRIMONIO BANCHE - Ancora sulle banche Draghi ha messo in evidenza
che «le risorse patrimoniali delle banche italiane si collocano ampiamente al di
sopra dei minimi regolamentari; lo sono state anche durante le fasi più acute
della crisi». Ma «è necessario comunque un rafforzamento» dei coefficienti
patrimoniali degli istituti di credito. Non si tratta solo di mantenere elevato il
presidio della stabilità; occorre competere ad armi pari con gli intermediari esteri
che nei mesi scorsi hanno dovuto far ricorso a massicce iniezioni di capitale
pubblico; bisogna prepararsi sin d'ora ad operare con una dotazione di capitale
che la regolamentazione vorrà, in prospettiva, più ampia di oggi». Secondo il
numero uno di Via Nazionale, «rafforzare il patrimonio è soprattutto
indispensabile per affrontare il deterioramento del quadro macroeconomico senza
far mancare il sostegno di cui necessitano le imprese, le famiglie e l'economia».
DATI CASSA INTEGRAZIONE: RONDINE NON FA PRIMAVERA - Sul fronte
crisi il governatore ha detto che bisogna usare «molta cautela»
nell'interpretazione dei dati sulla cassa integrazione perché «una rondine non fa
primavera». Così ha commentato gli ultimi dati diffusi dall'Inps che vedono a
giugno una riduzione, per la prima volta dopo mesi, delle ore di cassa
integrazione ordinaria: «Abbiamo già avuto una diminuzione a gennaio e inoltre a
giugno c'è una forte stagionalità: negli ultimi venti anni abbiamo sempre assistito
a una diminuzione della Cig in giugno», ha detto Draghi, aggiungendo che se
«una rondine non fa primavera speriamo di vedere comunque altre rondini».
E SULLE POLITICHE ECONOMICHE: PERICOLOSO SE OGNI PAESE AGISCE DA
SOLO
Trichet: «Economia mondiale fragile,
sarebbe imperdonabile lasciarla così»
Il presidente della Bce: sì alla ricapitalizzazione delle banche, se serve anche con
mezzi pubblici
MILANO - L’economia mondiale è «fragile» e sarebbe imperdonabile lasciarla in
«un tale stato di instabilità sistemica». Lo ha affermato il presidente della Banca
centrale europea, Jean-Claude Trichet. «La situazione attuale è la prima prova, in
una dimensione reale, della resistenza o piuttosto dell’assenza di resistenza,
dell’assenza di solidità (...) dell’economia finanziaria e dell’economia
mondializzata», ha dichiarato Tichet, in occasione degli Incontri economici di Aixen-Provence, nel sud della Francia. «Abbiamo creato progressivamente un’entità
completamente nuova e questa entità è ancora fragile - ha proseguito -. Sarebbe
imperdonabile e non ce lo perdonerebbero i cittadini, lasciare l’economia
internazionale in questo stato di instabilità economica. Siamo costretti a
raggiungere un risultato convincente». Per Trichet il maggior rischio che i
maggiori paesi possono correre è quello di risolvere a livello interno i problemi
generati dalla crisi mondiale, senza ad un coordinamento comune delle politiche
economiche. Invece, ha sottolineato, «è estremamente importante che noi tutti
rafforziamo il controllo sulla macro politica».
APPELLO ALLE BANCHE - Dal numero uno della Bce, Jean Claude Trichet, è
arrivato anche un richiamo a tutti gli istituti di credito, a cui l'Eurotower ha inviato
un «messaggio forte» affinchè incrementino il credito e accelerino i processi di
ricapitalizzazione. Il presidente si è poi dichiarato favorevole alla ricapitalizzazione
delle banche europee «in caso di bisogno» e al fatto che questo avvenga «con
mezzi privati, dove possibile, e con mezzi pubblici, se considerato più
appropriato». Secondo il presidente della Bce, una «quantità importante di
capitali potrebbe essere utilizzata per la ricapitalizzazione pubblica di molte
banche in Europa» per permettere «al nostro sistema finanziario di partecipare al
finanziamento dell’economia europea».
Generali cresce in Cina col 30% di Guotai
Accordo della compagnia assicurativa con il gruppo cinese: operazione da cento
milioni
ROMA - Generali ha siglato un accordo per l'acquisizione di una quota del 30% di
Guotai Amc, società cinese di gestione del risparmio. L'operazione ha un
controvalore di circa 100 milioni di euro. La firma del protocollo d'intesa è stato
firmato a Roma a Villa Madama dall'ad del Leone di Trieste, Sergio Balbinot, e i
vertici del gruppo cinese, dall'ad di Guotai Jin Xu, in occasione dell'incontro tra il
presidente cinese, Hu Jintao, e il governo italiano e alla presenza del presidente
della Repubblica Popolare cinese Hu Jintao e del presidente del Consiglio italiano
Silvio Berlusconi.
BUSINESS OLTREMURAGLIA - Con Guotai Amc, Generali potrà allargare
l'offerta previdenziale ai piani pensione di secondo pilastro recentemente avviati
in Cina. Secondo le stime della compagnia triestina si tratta di un mercato
potenziale di 220 milioni di lavoratori. Guotai Amc è stata la prima società cinese
di gestione del risparmio ad essere costituita nel 1998 ed è oggi una tra le poche
autorizzate a gestire ogni classe di attivi. Fra questi, appunto, i piani di
previdenza integrativa aziendali di secondo pilastro, recentemente lanciati in Cina
e i cui fondi sono riservati in gestione esclusivamente a società di asset
management autorizzate. Oltre all'ingresso del gruppo triestino nel capitale di
Guotai, Generali e la società avvieranno fin da subito una collaborazione che
prevede la condivisione delle competenze e le procedure migliori adottate (knowhow e best practice) in settori di natura sia tecnica che di competenza quali, ad
esempio, lo sviluppo di nuovi prodotti, il risk management, la formazione e la
ricerca di mercato. Generali è presente in Cina dal 2002 nel vita attraverso
Generali China Life Insurance Company, joint venture con China National
Petroleum Corporation (Cnpc), azienda leader nel mercato degli idrocarburi. A
fine 2007 il gruppo ha esteso la partnership anche ai rami danni tramite la
costituzione di Generali China Insurance Company. Oggi è presente con 7.500
agenti a Pechino, Shanghai, Guangzhou, Shenzhen, Nanjing, Shenyang,
Chengdu, Xian e Daquing. Generali China Life si è posizionata nel primo trimestre
2009 al primo posto tra le compagnie vita straniere in Cina.
«NON È SOSTEGNO ALLE CLASSI DEBOLI, MA UN BUSINESS». LA REPLICA:
«TUTTO CORRETTO»
Microcredito: ora i poveri si ribellano
Sotto accusa i metodi e i tassi di interesse in crescita della Grameen Bank creata
da Muhammad Yunus
DAL NOSTRO INVIATO
DHAKA — Tre anni fa, anche chi non aveva mai sentito prima il suo nome iniziò a
ammirare Muhammad Yunus come una sorta di icona globale. Nella motivazione
del Premio Nobel per la pace che ricevette nel 2006 con Grameen Bank, venivano
sottolineati gli «sforzi per creare sviluppo sociale ed economico dal basso » e
l’abilità nel «tradurre una visione in azioni concrete a beneficio di milioni di
persone, non solo in Bangladesh».
Fu l’apoteosi del microcredito, diffuso a quel punto in oltre cento Paesi. Da allora
Yunus, il figlio di un orafo di Chittagong che si fece professore di economia e poi
«banchiere dei poveri», per molti occidentali è diventato qualcosa di simile a un
santo contemporaneo. Lui ci convive, nel suo studio al quarto piano del
grattacielo di proprietà di Grameen Bank a Dhaka: non lo disturba neanche il sospetto che questa venerazione sia un ingranaggio inconscio attraverso cui nei
Paesi ricchi ci si autoassolve del dramma della povertà. «I sentimenti nei miei
confronti sono genuini — osserva — poi però le persone si sentono impotenti a
cambiare il mondo».
Nelle sue stanze, Yunus dà un’impressione di profondità semplice e priva di
fanatismo. La saletta d’angolo dove lavora sembra più la biblioteca di uno studioso che l’ufficio di un banchiere. Agli altri venti piani dell’edificio, uno dei più belli
in città, operano molte delle società da lui fondate con il marchio Grameen —
dalla sanità, all’energia, all’informatica, alle telecomunicazioni, al tessile, al settore alimentare — in cui Yunus figura regolarmente presidente del consiglio d’amministrazione.
Per la dimensione del Bangladesh, alcuni di questi gruppi sono colossi industriali e
leader di mercato ( vedi sotto) ma il quartier generale di Grameen Bank ha
un’aria decisamente austera: luci al neon, mobilio spaiato e di risulta, computer
di quasi 20 anni fa, faldoni accatastati come in una banca di metà ’800. Una
signora velata dorme profondamente sulla scrivania delle segretarie, poi di colpo
si sveglia e prende una chiamata. Nella sua lezione alla cerimonia del Nobel nel
2006, Yunus disse che la banca «di routine è in utile» (pari a 13,5 milioni di euro
nel 2008) e certo i risultati sono impressionanti: quasi otto milioni di clienti in 85
mila villaggi del Bangladesh prendono il microcredito di Grameen. L’azionariato è
composto al 96% dalle donne mutuatarie (il resto è dello Stato), Yunus è «un
dipendente» e sui benefici del microcredito esiste ormai una letteratura vasta e
seria. Ora la banca deve fare i conti con sfide nuove. Per aiutare i villaggi colpiti
dai cicloni sempre più frequenti per l’effetto- serra, dice Yunus, «diamo nuovi prestiti anche se non cancelliamo quelli precedenti: semmai estendiamo le scadenze
», ampliando il portafoglio crediti. Fonti ufficiali di Grameen precisano che dopo
Aila, l’uragano che un mese fa ha distrutto i raccolti per 5 milioni di persone e le
case di centinaia di migliaia, Grameen ha cessato di incassare le rate e dato cibo,
acqua, aiuti sanitari.
Visto da Kalapara, 300 chilometri più a Sud sul Golfo del Bengala, il quadro appare però alquanto diverso. Qui Aila ha devastato i campi, ucciso il bestiame,
contaminato i pozzi. E la filiale di Tiakhali Kalapara di Grameen Bank è passata a
riscuotere la sua rata settimanale il giorno dopo il ciclone, racconta la 35enne Taposi (il cognome non lo dà), portavoce di un gruppo di dieci donne clienti. Aiuti
non se ne sono visti, mentre a novembre 2007 con il ciclone Sidr (10mila morti)
la banca concesse l’equivalente di quasi cinque euro per cliente, pari a due giorni
di guadagno di un guidatore di risciò, e un’estensione di sei mesi delle scadenze.
«Stavolta non hanno atteso neanche poche ore per riscuotere», dice Taposi.
Vista dai villaggi del Bangladesh, Grameen Bank sembra un’istituzione detestata e
temuta. Quasi impossibile trovare qualcuno disposto a parlarne bene. Jamal
Matubbar, 51 anni, consigliere comunale indipendente di Kalaparouri, un centro a
20 chilometri dal Golfo del Bengala, è drastico: «Quella banca sta creando enormi
problemi alla nostra comunità, succhia il sangue alla gente come le formiche
rosse».
Taposi e il suo gruppo di co-mutuatarie parlano, e a tratti piangono, come si
sentissero prigioniere di Grameen. Fra le dieci nessuna ritiene di aver mai avuto
un beneficio dai suoi prestiti. Il primo problema è la celebrata (in Occidente)
obbligazione di gruppo nel caso di insolvenza individuale: gli altri clienti devono
ripianare. Secondo la banca è un modo per responsabilizzare le comunità. Ma Taposi e le sue amiche devono autotassarsi quando una sola manca un pagamento,
andando a loro volta in difficoltà: ciò mette Grameen Bank più al riparo dalle
perdite ma crea liti e denunce nei villaggi. La banca sostiene che non punisce mai
gli insolventi («Non usiamo strumenti legali»), ma non può ignorare che nei
gruppi di clienti si litiga, ci si denuncia, ci si pignora a vicenda e si entra in cause
che a volte finiscono con la prigione del debitore. A Kalapara, molti credono che
questo sistema sia volto a scaricare su altri, cioè sugli stessi clienti, il costo dei
ricorsi e delle sofferenze. «Se ho un reddito di un dollaro — si chiede Taposi —
perché devo pagare più di un dollaro per un mutuo non mio?».
Un ulteriore problema è il nuovo credito preso per sostenere il vecchio, specie
quando i prestiti di Grameen vengono usati per comprare da mangiare e non per
un’attività. È quanto accade spesso in villaggi colpiti da cicloni o inondazioni, a
maggior ragione perché Grameen inizia a riscuotere le sue rate settimanali già
una settimana dopo aver concesso il credito. I casi in cui manca il tempo di far
fruttare una nuova attività sono frequenti, quindi gli oneri da interessi si accumulano: secondo Sheikh Hasina, primo ministro del Bangladesh, possono arrivare al 36%.
Renu Hawlader, 25 anni, racconta di aver chiesto un prestito da 20 mila taka
(205 euro) per ristrutturare il negozio di riso del marito, ma ne ha avuti solo 10
mila («Anche se in otto anni non ho mai mancato una rata»). Dalla prima
settimana e per 50 in totale, come mostra il suo libretto di banca, Renu ripaga
ora 200 taka di capitale, 30 di interessi e 20 di «deposito»: fa un onere del
12,5%. Proprio il «deposito» è la voce più contestata dalle donne di Kalapara:
non figura come interesse passivo, ma viene richiesto dalla banca e va su un
conto di risparmio che, accusano Renu, Taposi e le altre, la filiale blocca per dieci
anni. Ossia, fino a 9 anni dopo l’estinzione del debito. Grameen Bank non si
impegna ex ante sul rendimento del deposito, ma chi riscatta i risparmi prima dei
dieci anni non riceve interessi: solo il capitale, eroso dall’inflazione. Kanan Bala,
43 anni, racconta: «Mio marito è falegname, dopo sette anni abbiamo dovuto
ritirare il deposito per la bottega e la banca si è tenuta gli interessi. Sono con
Grameen da 25 anni, ma per me non c’è sviluppo: ho provato a lasciare la banca
e per tre volte mi hanno offerto nuovi fondi». Il «deposito» ha così un doppio
effetto: vincola le clienti (Taposi dice che cambierebbe istituto, se potesse riavere
i suoi soldi) e finanzia Grameen Bank. L’attività dell’istituto è infatti alimentata
per intero dai depositi, a un costo del capitale dichiarato dell’8,56%.
Grameen Bank contesta la versione di queste donne. Sostiene che pratica un interesse fisso del 10%, non richiede garanzie né depositi, prende impegni
preventivi sui rendimenti dei risparmi e versa in ogni caso gli interessi. Quanto
alle rate reclamate subito dopo i cicloni, afferma, «questa non è la politica della
banca». Seduto nel suo studio di Dhaka, Yunus propone anche un sistema a colori
per qualunque prodotto in vendita: «Rosso se nuoce al prossimo, giallo se c’è un
dubbio in proposito, verde se non fa alcun male». Le filiali di Grameen nelle
campagne del Bangladesh tendono al verde: spesso, sono gli edifici più imponenti
del villaggio.
Federico Fubini
L’INTERVISTA IL BILANCIO DEL DIRETTORE ABI, IN VISTA DELL’ASSEMBLEA
DELL’8 LUGLIO. «SUI PREFETTI PENSAVO CHE BERLUSCONI SCHERZASSE»
«Noi non siamo un’Asl»
Zadra: «Le banche sono aziende come le altre. Il cliente scelga»
L e chiama le memorie del portafoglio. Tra queste la ricevuta di un
prelievo Bancomat di 250 euro, che porta stampigliati orario e data
significativi: le ore 2 e 49 del 1 gennaio 2002. «È stata una sfida vinta
quella di arrivare puntuali, con i bancomat pronti a dare euro invece che
lire, al change-over» ricorda Giuseppe Zadra che dalla direzione generale
dell’Abi quel cambiamento lo ha guidato e che ora dopo 17 anni lascia
l’incarico. «Quella notte non funzionò solo il Bancomat della sede Rai di
Saxa Rubra. Tanto bastò ai Tiggì per dar contro alle banche». Dovreste
esserci abituati. Ma non è che se le banche sono sempre sotto attacco,
una ragione c'è?
«Quello che sta succedendo ora è una cosa nuova rispetto al passato. Le
banche sono oggetto di un attacco violento e brutale nei toni da parte del
sistema politico»
Si riferisce agli interventi del ministro Giulio Tremonti e alle accuse di
restrizione del credito alle imprese? C’è chi dice che lei si sia dimesso da
direttore generale dell'Abi, perché si è scontrato col ministro sui bond e
sull’utilizzo dei prefetti nei nuovi Osservatori provinciali…
«Ho annunciato al presidente Faissola l’intenzione di rimettere il mio
mandato lo scorso anno dopo l’assemblea dell’Abi. Pensavo di aver portato
a termine il mio compito».
E la polemica sui prefetti?
«Il primo a parlarne è stato Berlusconi. Ho detto in quella sede che
pensavo che scherzasse. Comunque...
Comunque?
«In questi anni ne abbiamo viste tante. Ricorda le polemiche sull’usura ai
tempi della crisi del 93-94 e quelle sui mutui in Ecu, l’imposizione della
rinegoziazione all’8% dei mutui e le lenzuolate del Ministro Bersani?»
Parla del decreto sulla portabilità dei mutui?
«Se Bersani avesse trattato la questione dei mutui nei termini tecnici che
occorrevano, avremmo risolto la questione molto prima e senza disagi e
danni per gli istituti di credito. Non serve il modo brutale per ottenere
cambiamenti. Il mondo della politica mostra spesso di non tener conto dei
meccanismi economici e della struttura a rete del sistema bancario, fatto
di macchine e tecnologie molto complesse che per modificarsi hanno
bisogno di regole precise, dettagliate e tempi lunghi».
Le banche insomma fanno il loro meglio per offrire mutui e tassi
convenienti e per dare prestiti alle imprese. Non è troppo?
«Se si leggesse con attenzione il bollettino dell'Abi, si troverebbero anche
argomenti non favorevoli alle banche. Ma spesso i giornalisti preferiscono
utilizzare le sintesi di chi costruisce e inventa i dati piuttosto che analizzare
i nostri. Che peraltro fanno riferimento solo alle cifre della Banca d'Italia e
della Bce».
Non vorrà negare che gli istituti, a fronte del ribasso dei tassi, abbiano
alzato gli spread? E riconoscerà certo che sul credito se non c’è credit
crunch come sostengono le imprese, poco ci manca?
«Faccio io una domanda: perché se rincara per esempio la pasta, il cliente
se la prende magari con l'inflazione ma non col negoziante? Perché sono
tutti convinti che le banche debbano fare i prezzi desiderati dai clienti? E
devono dare i soldi a chiunque li chieda? Il problema è che si crede ancora
che le aziende di credito debbano comportarsi come un pezzo della
Pubblica Amministrazione. Che funzionino come le Asl. Beh non è così,
sono imprese diverse l’una dall’altra, e il cliente si deve abituare a
scegliere l'offerta più conveniente».
E le aziende, in particolare le piccole, che si dicono strozzate dalle banche?
«Le imprese hanno in questo momento grossi problemi e spesso chiedono
finanziamenti non per investire ma per ristrutturare i debiti e cioè per
procrastinare i rimborsi. Le banche danno loro credito ma devono stare
anche attente a non dare prestiti a chi non mostra sufficienti probabilità di
rimborsarli».
Ma insomma il sistema creditizio, secondo lei, ha sempre ragione?
«No, purtroppo, altrimenti non avremo intrapreso la via
dell’autoregolamentazione e Patti Chiari, che obbliga gli istituti alla
trasparenza e alla concorrenza. Però mi rendo conto che per ottenere
risultati ragionevoli ed efficaci bisogna curare l'ingegneria organizzativa.
Se la vuoi saltare combini disastri. Consob, Bankitalia ed ora anche
Antitrust lo hanno ben presente, tanto che per gli interventi regolatori
utilizzano ormai il metodo della consultazione e della concertazione».
Anche l’Antitrust? I rapporti con l’Abi sono stati molto tesi. Avete trovato
un modo di convivenza pacifica?
«Il problema riguardava soprattutto la comunicazione, molto aggressiva,
utilizzata dall’Antitrust quando ha cominciato ad occuparsi anche di
banche. Il rapporto, ora, si è riequilibrato tanto che il presidente Antonio
Catricalà ha anche riconosciuto che il sistema fa tutto il possibile per usare
tecniche competitive. Del resto abbiamo ricostruito Patti Chiari, rivedendo
tutto il pacchetto del retail , nominando, insieme ai consumatori, dei
garanti indipendenti di altissimo livello».
STEFANIA TAMBURELLO
ANALISI ISTITUTI ITALIANI ED EUROPEI A CONFRONTO. CALO E RIPRESA DELLA
REDDITIVITÀ SECONDO ACCENTURE
Conti in affanno, ma ora il problema è la reputazione
DI MASSIMO MUCCHETTI
N ella Milano del 1630, il popolino credeva che i malvagi ungessero le
porte delle case con una sostanza biancastra atta a diffondere la peste. La
superstizione offriva al popolino colpe e colpevoli a buon mercato, e alle
autorità impotenti un comodo alibi. Per l'Italia del secolo XXI, piegata dalla
recessione di origine finanziaria, i nuovi «untori» sarebbero i banchieri,
che negano il credito alle piccole e medie imprese e alle partite Iva in
genere, considerate in blocco meritevoli di fiducia. In realtà, indicare capri
espiatori alla pubblica esecrazione non impediva il contagio nel XVII secolo
né oggi risolve la crisi economica. Certo, i banchieri non sono santi.
Ottenere credito è più difficile. E però la questione vera è un'altra. Questa
dura recessione, dopo la quale ci vorranno anni per tornare ai livelli
precedenti la crisi, richiederebbe sia alle banche che alle imprese di
lavorare con più capitale e meno debito: una riconversione costosa per
entrambe.
Prima di Lehman, nel settembre 2008, annota la Banca d'Italia nella
Relazione annuale, il sistema delle imprese italiane aveva debiti finanziari
pari allo 0,73% del prodotto interno lordo contro una media di Eurolandia
dello 0,94%. All'interno di questa minor esposizione, il peso relativo dei
prestiti bancari era sostanzialmente uguale: il 34,3% delle passività, che
comprendono anche i titoli, le azioni e i debiti commerciali, in Italia contro
il 34,9% della zona euro. Più in generale, il complesso delle passività
finanziarie era in Italia pari a 2,13 volte il Pil, un rapporto inferiore a quelli
di Usa, Giappone, Regno Unito, Francia e Spagna e superiore solo a quello
della Germania. Dunque, l'economia italiana avrebbe spazio per
aumentare la sua leva finanziaria, ma utilizzando sia la banca che il
capitale, e non solo la banca.
Secondo il Fondo monetario internazionale, del resto, il complesso degli
impieghi creditizi italiani è pari al 97% del Pil contro il 95% tedesco, il
94% francese. Ma conta anche la tendenza. Nel 2008, i debiti finanziari
delle imprese sono aumentati di 103 miliardi e sono balzati al 182% del
valore aggiunto. Il debito è ormai al 48,7% del totale dei mezzi finanziari
delle imprese, 8 punti in più che si spiegano pure con il calo del valore di
mercato del capitale. Tra le 50 mila imprese censite dalla Centrale dei
bilanci, il grado di indebitamento cresce nelle unità con più di 250
dipendenti e cala, pur restando più elevato, nelle minori. E' in questo
quadro che arriva la recessione.
Il risultato, a marzo 2009, è un marcato rallentamento della crescita degli
impieghi che scende dal 13% del 2006 al 4%. Ad aprile siamo al 3,7% e
per maggio bisognerà attendere che il ministero dell’Economia sdogani i
dati della Banca d’Italia. A marzo 2009 su marzo 2008, comunque, i primi
5 gruppi bancari hanno addirittura ridotto del 2,1% gli impieghi, mentre le
banche più piccole hanno continuato a espandere le erogazioni fino al
10%. Va ricordato, però, che le grandi banche fanno più credito non solo
in assoluto ma anche in relazione ai depositi. E per riuscirci ricorrono ai
prestiti delle banche estere che, nel 2008, sono si sono ridotti di ben 48
miliardi a causa della crisi di fiducia.
Le banche italiane devono fronteggiare un problema di conti e uno
reputazione. Rielaborando i dati Bankitalia, il ritorno lordo sul capitale dei
primi 5 gruppi bancari italiani cala dal 18,5% del 2007 al 7% del 2008 e,
secondo Prometeia, potrebbe scendere ancora al 4% nel 2010 risalendo a
un modesto 5% nel 2011. Secondo la società di alta consulenza
Accenture, i primi 20 gruppi bancari internazionali precipiterebbero da un
Roe lordo del 26% pre crisi a uno del 4% post crisi. Accenture elenca le
ragioni del tracollo: aumento dei requisiti patrimoniali (meno 5%), minor
ricorso al debito (meno 6%), maggiori costi di raccolta (meno 66%),
minori commissioni (meno 2%) e maggiori accantonamenti a rischio su
crediti (meno 3%). Potrebbero, queste banche, risalire al 15% nel 2012,
per un terzo tagliano i costi e per il resto attraverso la ristrutturazione
dell'offerta e del profilo di rischio. In Italia, stima Accenture, sempre al
2012 le maggiori banche potrebbero risalire verso il 10-12%. E lì, salvo
eccezioni, ci si fermerà.
Il fatto è che le perdite su crediti stanno aumentando: 5 miliardi nei primi
tre mesi del 2009, certifica la Vigilanza. Ma la realtà è peggiore di quanto
mostrano i bilanci, perché le banche, potendo scontare fiscalmente perdite
non superiori allo 0,3% dei prestiti, non hanno alcun interesse a fare
pulizie, pagando pure le tasse sulle perdite. Una situazione equivoca ( e
non migliorata dal decreto anticrisi che alza allo 0,50% la soglia, ma solo
per i nuovi crediti, fatalmente pochi) tale da favorire l’opacità. E questo è
un problema per la reputazione. Quando tutto andava bene, nessuno
stava a guardare. Ma adesso si guarda e si confronta.
I banchieri hanno certo ragione di chiedere all’artigiano, al commerciante o
al piccolo industriale che sfoggia il Porsche Cayenne di metterci anche
capitali propri oltre a pretendere fidi più larghi. Ma ne hanno meno quando
consolidano i debiti delle grandi imprese senza metterne in discussione la
gerenza e sena pretendere adeguate iniezioni di capitali da parte dei soci
eccellenti, magari colleghi nei consigli di amministrazione che contano.
Non basta per essere considerati untori, ma certo non aiuta la reputazione
in questi tempi bui.
STRATEGIE I PRUDENTI POSSONO DEDICARE AL CREDITO UN TERZO DELLA
FETTA RISERVATA AI CORPORATE
Così i banchieri pagano pegno
Le emissioni meno garantite rendono anche il l’11%, quelle sicure offrono
D a sole rappresentano la metà della torta delle emissioni societarie. E
quando si muovono al rialzo, oppure al ribasso, le obbligazioni bancarie
trascinano con sé l’intero paniere dei corporate bond . «Oggi, dopo un
2008 difficile a causa della crisi finanziaria e di liquidità, i bond bancari
hanno recuperato buona parte delle posizioni perdute. Ma continuano a
rendere circa un punto in più rispetto alle emissioni societarie di tutti gli
altri settori dell’economia», spiega Gianluca Ferretti , direttore investimenti
area reddito fisso in Bipiemme Gestioni sgr . Questo differenziale di
guadagno spinge il gestore ad affermare che in un portafoglio di soli
corporate bond — parte di un più ampio portafoglio obbligazionario — «se
si vuole osare molto, la quota di emissioni bancarie potrebbero arrivare al
70-75%».
Tipologie
Un’occhiata ai rendimenti sembra giustificare questa posizione. Perché se il
bond di categoria Senior debt (vedi il box qui sotto ) di Mps, a scadenza
luglio 2013 rende un interessante (ma non entusiasmante) 3,75%, ecco
che l’emissione Lower tier 2 di Société Générale, rimborso ad aprile 2015,
paga un corposo 5,11%. E al di fuori dei recinti supergarantiti di queste
due classi di debito, si spuntano cedole vicine al 7,5%, ad esempio con
l’Upper tier 2 di Intesa Sanpaolo, scadenza maggio 2018.
«Non bisogna dimenticare però l’elevata volatilità delle quotazioni,
soprattutto perché non c’è una chiara visibilità sugli utili futuri delle
banche», avverte Antonino De Gaetani , gestore specializzato sui
corporate bond in Bnp Paribas Am . Che suggerisce di puntare, per queste
emissioni, a non più del 30% del portafoglio corporate.
I tagli minimi elevati — quasi tutte le nuove emissioni partono da 50mila
euro — suggeriscono del resto di investire con i fondi comuni specializzati.
Ma per gli investitori che hanno il cuore forte e il portafoglio gonfio, le
buone occasioni a rischio ragionevole non mancano. Tanto più che molti
titoli a lunga scadenza incorporano una opzione call , ovvero possono
essere rimborsati anticipatamente dall’emittente. Una circostanza che
riduce i rischi legati alla volatilità di lungo periodo, perché le banche hanno
dimostrato, anche di recente, una netta propensione a «richiamare» i loro
titoli.
Perpetuo
Di conseguenza un bond subordinato perpetuo, molto rischioso, come
l’emissione di Generali Finance con opzione call al giugno 2016, potrebbe
garantire un rendimento dell’11% annuo solo per 7 anni.
A vantaggio dei bond bancari, infine, gioca il notevole miglioramento del
quadro del sistema finanziario. E tra gli emittenti europei i gestori
mostrano una decisa preferenza per le banche francesi e italiane, «quelle
con i bilanci più sani», conclude Ferretti.
La ferrea logica del profitto: ecco l’unica cosa che ...
La ferrea logica del profitto: ecco l’unica cosa che convincerà i mercati nei
prossimi mesi. Negli Stati Uniti, alla vigilia della campagna delle
semestrali, gli investitori più ottimisti sperano di rivedere la crescita degli
utili già a partire dal prossimo trimestre (vedi a fianco ). Per Piazza Affari e
per le Borse europee l’attesa potrebbe essere più lunga. Si punta già al
2010, tenendo d’occhio — se si vede rosa — titoli come Finmeccanica,
Prysmian, Parmalat, Impregilo, Tenaris, Autogrill. Nomi ciclici, insomma,
che hanno già ampiamente scontato la pessima congiuntura e che, a
questo punto, sono iper sensibili al miglioramento. Gli analisti di JP Morgan
segnalano che storicamente i settori più reattivi all'inversione del trend dei
profitti sono i produttori di beni di investimento, le banche, i produttori di
beni di consumo durevoli, i minerari e i tecnologici.
Rosa e grigio
Chi invece ha una visione più grigia della realtà resta ancorato ai difensivi,
con una particolare attenzione alle utilities, come Enel, Repsol e Syngenta.
In sostanza ottimisti e pessimisti d’Europa condividono l’idea che gli utili
siano in incubazione e che i mercati, saliti fin qui sull’onda dello scampato
giudizio universale, nei sei mesi che restano da qui a Natale possano
rimanere ingessati. O addirittura scendere un po’. Al giro di boa del
semestre — con l’eccezione dei Paesi Emergenti — le Borse sono,
nonostante il grande rally di marzo, più o meno dove erano all’inizio
dell’anno. Piazza Affari perde il 2%, l’S&P 500 di Wall Street guadagna il
3%. «E più probabile che l’indice delle Piazze Europee scivoli piuttosto che
salire nei prossimi due trimestri», dice in un recente studio Teun
Draaisma, strategist europeo di Morgan Stanley. E le prime sedute di
luglio, sull’onda della disoccupazione americana in forte crescita, sono
andate male a tutte le latitudini.
I profitti nel corso dell’intero 2009 potrebbero scendere in media di un
altro 25% (senza considerare i finanziari) secondo alcune stime di
consensus. In Piazza Affari la media dei 40 big — con dentro le banche,
vedi tabella — parla addirittura di un -33%. Con punte del meno 60% per
Unicredit e record positivi (se così si possono chiamare) del 7-9% per le
utilities come A2A e Lottomatica.
«Paradossalmente nel 2009 gli utili rettificati delle banche europee sono
previsti in risalita — spiega Alessandro Capeccia, gestore del gruppo
Azimut —. Potrebbero infatti tornare a 30 miliardi dopo essere precipitati a
10 nel 2008. Il guaio è che nel 2007 erano a oltre 130. E’ chiaro che
parliamo di grandezze sempre più difficili da valutare. Se le stime sono
corrette, infatti, i profitti delle banche triplicano, ma tornando a un quarto
del valore che avevano due anni fa».
Digestione lenta
Oggi, comunque, il mercato europeo ha digerito in un anno e mezzo un
crollo degli utili del 40% e sconta un recupero sempre nell’ordine del 40%
tra il 2010 (+20%) e il 2011 (+10-15%). Una risalita non da poco che
però non basta a colmare la distanza col passato. Se si considera il paniere
dei 600 titoli europei più importanti i profitti dovrebbero tornare a quota
423 miliardi entro il 2011, contro i poco più di 300 previsti nel 2009 e gli
oltre 600 accumulati nel 2007.
Dove guardano i gestori? «Non si può più investire inseguendo l’indice —
dice Capeccia —. E’ tornato il momento di scegliere». Una strategia,
prosegue il gestore, è quella di individuare le società con margini (Ebit)
sotto la media degli ultimi otto anni e ragionevolmente in grado di
recuperare il terreno. «Nei casi più vistosi di sottovalutazione si può
calcolare un potenziale rialzo dei prezzi del 30%», conclude Capeccia. Che
guarda con favore a titoli come Enel, Prysmian, Finmeccanica, Tenaris,
Autogrill. Anche Mauro Vicini, direttore di Websim.it, indica Finmeccanica,
Prysmian ma anche Impregilo, Parmalat ed Eni come «società con un buon
compromesso tra fondamentali e prospettive di crescita».
www.denaro.it
Istituti: Impennata di sofferenze e perdite sugli impieghi
La crisi si sta facendo sentire sul settore bancario con un aumento sostenuto delle
sofferenze e una crescita delle perdite sui crediti. Lo rivela il presidente dell'Abi,
Corrado Faissola, durante la presentazione dell'assemblea annuale che si tiene
oggi a Roma. "Le sofferenze stanno crescendo moltissimo come sempre capita nei
momenti di crisi. Anche le perdite sui crediti sono rilevanti", dice Faissola. Pur
riconoscendo al Governo di aver fatto un passo in avanti aumentando l'aliquota
delle perdite su crediti che può essere portata in deduzione, Faissola spiega che si
tratta "di un segnale positivo, ma assolutamente insufficiente". La ragione,
osserva il presidente dei banchieri italiani, è che l'attuale legislazione fiscale può
spingere le banche a richiedere "il fallimento di un'impresa, perché in quel caso le
eventuali perdite sono tutte deducibili, al contrario di quanto avviene per quelle
generate dalla rinegoziazione o da transazioni raggiunte con i clienti". Faissola
conclude in tono duro:?"Non accettiamo di essere invitati a fare il nostro
mestiere. Siamo nettamente contrari a interferenze amministrative e politiche: le
banche vogliono essere valutate solo dal mercato".
del 08-07-2009 num. 131
Ecofin: banche, accordo su rafforzamento riserve anticrisi
Pieno accordo all'Ecofin per il rafforzamento delle riserve anti-crisi per le banche.
Lo ha annunciato il ministro delle finanze svedesi Anders Borg. La Commissione
europea, inoltre, ha annunciato per ottobre la proposta definitiva per un
meccanismo che mitighi gli effetti prociclici per le banche. "Abbiamo bisogno di
avere ammortizzatori più efficaci nelle banche da rafforzare durante i periodo
buoni dell'economia", ha detto Borg alla conferenza stampa finale. L'obiettivo è
creare gli "ammortizzatori anticiclici" per accumulare riserve nei periodi negativi,
riserve, specifica l'Ecofin, "da non considerare alla stregua di nuovi livelli minimi
di capitale quando la congiuntura peggiora e non siano conteggiati come
patrimonio di vigilanza". Non è passata la richiesta tedesca di modificare
temporaneamente i requisiti patrimoniali bancari fissando un limite massimo ai
rischi più pesanti e adeguando le tabelle di corrispondenze per le categorie
specifiche degli asset deteriorati lasciando intatta la struttura di Basilea 2. Il
ministro austriaco Josef Proell non ha appoggiato la Germania: "Una crisi che è
cresciuta sul debito non può essere risolta rendendo più facile contrarre debiti". I
ministry Peer Steinbrueck (Germania) e Christine Lagarde (Francia) hanno inviato
una lettera al commissario Ue Charlie McCreevy affinché la Commissione Ue
faccia di tutto per evitare la concorrenza sleale sugli standard di contabilità sul
piano mondiale.
L'enciclica del Papa: Lavoro decente per tutti
Si intitola Caritas in veritate la nuova enciclica di papa Ratzinger, pubblicata alla
vigilia del G8, tutta incentrata sui grandi temi posti dalla globalizzazione
dell'economia e dei suoi effetti sulla vita delle persone. Centoventisette pagine:
un'analisi economica e sociale sul XXI secolo e un richiamo etico per rendere
meno ingiusto il futuro. Ripendendo le tematiche sociali contenute nella
Populorum progressio scritta da Paolo VI nel 1967, venti anni dopo l'ultima
encilica sociale di Giovanni Paolo II, la Centesimus Annus, la terza enciclica di
Benedetto XVI approfondisce alcuni aspetti dello sviluppo economico integrale alla
luce della "carità nella verità".
www.milanofinanza.it
Belgio Francia, accordo bilaterale sul segreto bancario
07/07/2009 12.00
Il Belgio e la Francia hanno siglato a Bruxelles, a margine del Consiglio Ecofin, un
accordo bilaterale per uno scambio di informazioni bancarie che sostanzialmente
consente di togliere il segreto. L'intesa ha un impatto soprattutto sul Belgio,
inserito in una lista grigia di paesi considerati parzialmente paradisi fiscali proprio
per il rigido segreto bancario. Per le stesse ragioni, sulla stessa lista figurano
Austria e Lussemburgo.
Napolitano, Cina riconosca il problema dei diritti umani
06/07/2009 12.00
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sollevato questa mattina il
problema del rispetto dei diritti dell'uomo nella Repubblica Popolare cinese. Lo ha
fatto nel corso dei colloqui ufficiale con il presidente cinese Hu Jintao, a Roma per
una visita di Stato prima del G8. "Abbiamo concordato sul fatto che lo stesso
sviluppo economico in Cina apre nuove prospettive e pone nuove esigenze nel
campo dei diritti dell'uomo", ha detto Napolitano al termine dell'incontro.
Passera, prossimi mesi ancora molto difficili
06/07/2009 11.30
Con gli attuali livelli di crescita i prossimi mesi per l'economia saranno ancora
molto difficili e la ripresa è strettamente connessa all'andamento dei mercati
mondiali. Lo ha detto l'ad di Intesa Sanpalo Corrado Passera, a margine di un
evento a Milano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci sarà una ripresa dopo
l'estate. "La ripresa dipenderà molto dall'andamento dei mercati di tutto il
mondo", ha detto Passera, che poi ha sottolineato, "è un elemento di
preoccupazione, tutti insieme dobbiamo metterci in moto per qualsiasi iniziativa
che possa riavviare la crescita".
Bce, nuovo record nei depositi delle banche dell'Eurozona
06/07/2009 11.00
Sale al nuovo record storico di 315,956 miliardi di euro il volume dei depositi delle
banche dell'eurozona presso lo sprotello overnight della Bce questa settimana. Il
top era stato toccato precedentemente l'11 gennaio con 315,254miliardi di euro.
Le richieste di prestiti allo sportello marginale si sono attestate a 58 milioni, in
linea con i 52 milioni della settimana precedente. L'ammontare dei depositi presso
la Bce è iniziato a crescere da quando l'Eurotower all'inizio del mese ha lanciato la
prima asta di rifinanziamento con scadenza a un anno con un volume di 442
miliardi di euro.
Lamy, il peggio per il commercio deve ancora arrivare
06/07/2009 10.30
Segnali di allerta multipli sulle prospettive dell'economia mondiale alla vigilia del
G8 dell'Aquila: secondo il direttore del Wto, Pascal Lamy, per il commercio
internazionale "il peggio deve ancora arrivare". Il premier britannico Gordon
Brown chiede che dall'incontro giunga una nuova "campanella di allarme", come
avvenuto con il G20 di Londra, perché la ripresa globale è a rischio, con segnali
che giungono in merito a nuove ondate di volatilità dei mercati.
www.ilmessaggero.it
Bini Smaghi: «Dal G8 nuove regole, ma anche sostegno a chi perde il
lavoro»
di Rossella Lama
ROMA (8 luglio) - Cosa si aspetta da questo G8? «Una dimostrazione di unità, da
parte dei principali paesi industriali, sul da farsi per uscire da questa crisi, la più
grave dal dopoguerra. E’ l’unico modo per ridare fiducia agli operatori economici e
ai cittadini», dice Lorenzo Bini Smaghi, del Board della Bce.
Ristabilire la fiducia dei mercati e dei consumatori è la parola d’ordine di
tutti i vari vertici internazionali...
«Bisogna agire su due fronti. Regolamentazione e vigilanza devono essere
riformate in modo che i risparmiatori possano recuperare la fiducia necessaria per
tornare a investire nel sistema bancario. Il secondo fronte è quello del sostegno
all’economia. La caduta dei consumi deriva dalla paura che hanno in molti di
perdere il proprio posto di lavoro e di rimanere disoccupati a lungo. Su entrambi i
fronti è già stato fatto molto ma bisogna completare l’opera».
Questa crisi ha insegnato che i comportamenti autoreferenziali degli
intermediari portano a disastri incalcolabili. Ma le maggiori piazze
finanziarie (Usa, Londra, Cina) hanno davvero la volontà di accettare
nuove regole per il sistema bancario?
«La volontà c’è se anche gli altri paesi sono disponibili a farlo. Per questo deve
essere rafforzata la cooperazione internazionale. Bisogna contrastare la
tentazione che ogni paese ha di avvantaggiarsi, anche attraverso una
regolamentazione più “leggera”, al fine di attirare capitali e investimenti stranieri.
Ma se la regolamentazione è troppo leggera non si riesce a vigilare in modo
efficace sulle banche, soprattutto quando prendono rischi eccessivi. La crisi ha
dimostrato che nel sistema globale, se gli operatori prendono rischi eccessivi su
una piazza finanziaria, a pagarne il prezzo non sono solo i residenti (e i
contribuenti) di quel paese ma anche gli altri».
Sulle nuove regole sono al lavoro l’amministrazione USA che il 17 giugno
ha proposto al Congresso una grande riforma, poi il ministro Tremonti e
altri governi nazionali, e il Financial Stability Board di Draghi. Non sono
un po’ troppi a parlare?
«Ci sono responsabilità a vari livelli. Il G8 e il G20 devono dare il quadro generale
del nuovo sistema di regole, applicabili in vari settori a livello globale. Il FSB si
occupa più particolarmente del sistema finanziario».
La situazione patrimoniale e finanziaria delle banche è in miglioramento?
«Nel complesso la situazione è migliorata rispetto ad alcuni mesi fa, ma c’è
ancora incertezza sull’impatto della recessione sulle sofferenze, e dunque sui
risultati delle banche. Il sistema bancario non riesce ancora a finanziarsi a mediolungo termine, perché evidentemente la fiducia del mercato non è pienamente
ristabilita. Ciò rappresenta un problema perché senza tali finanziamenti rischia di
bloccarsi anche l’erogazione dei prestiti all’economia reale aggravando la crisi».
Credit crunch, più volte anche la BCE ha parlato taglio di risorse a
imprese e famiglie. Cosa dicono i numeri? E come lo state contrastando?
«Per ora il rallentamento del credito è in gran parte spiegato dal calo della
domanda di finanziamenti per via della contrazione degli investimenti. Ma il
rischio è che quando l’economia si stabilizzerà e mostrerà segni di ripresa, il
sistema bancario non sia pronto a sostenerla. La BCE ha erogato oltre 400
miliardi di finanziamenti al settore bancario, a un tasso dell’1%. Ora le banche
devono trasferire ai loro clienti gli effetti di questa manovra, riducendo i tassi
d’interesse e dando fondi aggiuntivi. Se non lo fanno significa che la loro
posizione patrimoniale non è a posto. Noi abbiamo fatto tutto quello che
potevamo, ora tocca ai governi e alle autorità di vigilanza nazionali verificare che
l’aggiustamento della situazione patrimoniale delle banche non avvenga dal lato
dell’attivo ma piuttosto rafforzando il capitale, magari facendo ricorso ai Tremonti
bonds».
Nel giro di tavolo i Grandi si confronteranno sulle prospettive della crisi.
Che dati avete per l’Italia ed Eurolandia?
«C’è molta incertezza sulle prospettive di ripresa, che dovrebbero concretizzarsi
nel corso del 2010. Anche perchè c’è il rischio di trovarsi all’appuntamento con un
sistema bancario non in grado di sostenere la richiesta di finanziamenti. Il
secondo rischio è rappresentato dal prezzo del petrolio: se aumenta toglie potere
d’acquisto».
Ma come va letto il calo delle quotazioni del petrolio di queste settimane?
«Il prezzo del petrolio sta registrando una grande volatilità, segno che sono in
corso movimenti speculativi. Con i bassi tassi d’interesse c’è l’incentivo a
finanziare posizioni speculative al rialzo, che se poi non sono sostenibili danno
luogo a ribassi imprevisti, con effetti anche finanziari. Forse è il caso che le
autorità di vigilanza si coordinino a livello internazionale per regolamentare l’uso
di derivati sui prezzi petroliferi che non sono basati su contratti di consegna a
termine».
A metà giugno a Lecce i ministri economici del G8, Tremonti in testa,
hanno detto che la speculazione, quella cattiva della finanza per la
finanza, si sta riaffacciando.
«Proprio così, e bisogna passare dalle raccomandazioni ai fatti».
E hanno lanciato l’allarme occupazione, e affermato che non è ancora
arrivato il momento per rinunciare alle politiche fiscali di sostegno e che
bisogna spendere per politiche attive per il lavoro.
«Questo è il terzo grosso rischio per la ripresa, l’aumento della disoccupazione
che deprime le aspettative, riduce la domanda di consumi e crea tensioni sociali.
Chi perde lavoro deve essere sostenuto economicamente. Inoltre questa crisi non
è solo ciclica, ha una componente strutturale. Si dovrà dunque aiutare la
riconversione dell’occupazione verso altri settori. Ciò richiede politiche attive del
lavoro, ma probabilmente anche un riassetto della spesa sociale complessiva. La
via della ripresa sarà lunga perché il debito accumulato aumenterà per tutti, e
peserà sul sistema fiscale. E quei paesi che approfitteranno della crisi per
riformare il loro sistema economico, per renderlo più efficiente, trarranno
vantaggio dai primi segnali positivi dell’economia mondiale».
Cina, linciaggi contro uiguri
Pena di morte a chi compie gravi violenze
Una dissidente: 400 vittime. Il presidente cinese lascia
il G8 per l'emergenza etnica
PECHINO (8 luglio) - Tensione sempre molto alta in Cina. Lo scontro etnico tra
han e uiguri ha costretto il presidente cinese Hu Jintao a lasciare il G8 e a
rientrare a Pechino. Anche oggi intanto centinaia di uiguri con armi improvvisate
hanno protestato a Urumqi, capitale della Regione autonoma cinese dello
Xinjiang, in un faccia a faccia con la polizia. Domenica scorsa, 156 persone sono
morte ad Urumqi, la capitale della provincia del Xinjiang, in scontri a sfondo
etnico.
Fonti giornalistiche riferiscono di episodi di linciaggio di uighuri da parte
di cinesi di etnia han a Urumqi, capoluogo della regione cinese dello Xinjiang. Un
giornalista dell'agenzia France Presse (Afp) racconta di aver assistito, attirato
dalle urla, al violento pestaggio di un uomo a terra a calci e pugni da parte di una
ventina di han armati anche di bastoni in un quartiere attiguo alla centrale piazza
del Popolo. Un minuto dopo è intervenuta la polizia in tenuta antisommossa che
ha disperso la folla e ha soccorso la vittima. Il giornalista dice di non aver
assistito ad alcun arresto. Un testimone, un han, ha detto al giornalista dell'Afp
che la persona attaccata è di etnia uighura. In un secondo episodio raccontato dal
giornalista, un gruppo di han che stava leggendo sui giornali degli scontri
interetnici dei giorni scorsi, ha cominciato a inseguire minacciosamente tre
uighuri: due di essi sono riusciti a fuggire mentre un terzo è stato raggiunto e
pestato per circa mezzo minuto da alcuni uomini e donne davanti a una folla che
gridava «picchiate!, picchiate!».
I responsabili di gravi violenze nel Xinjiang saranno condannati a morte.
L'annuncio di una raffica di sentenze capitali è stato dato dal segretario del Partito
Comunista Cinese (Pcc) di Urumqi, Li Zhi, in una conferenza stampa. Li Zhi ha
ricordato che secondo la legge cinese ai colpevoli di omicidio viene inflitta la pena
capitale. Nella stessa conferenza stampa, il sindaco della città Jerla Isamudin ha
sostenuto che «sotto la saggia direzione del Comitato regionale del Partito e del
governo, la situazione è stata riportata sotto controllo».
Sono state 400, secondo la dissidente uigura Rebiya Kadeer, le vittime
della repressione di una manifestazione di uiguri domenica scorsa. Sul Wall
Street Journal la Kadeer, imprenditrice in esilio dal 2005, sostiene che incidenti
«potrebbero» essersi verificati anche nelle città di Kashgar, Yarkand, Aksu,
Khotan e Karamay, anche se «è difficile da dire a causa della propaganda dello
Stato cinese». Notizie «non confermate», prosegue la dissidente, parlano di cento
uiguri uccisi a Kashgar.
Proteste uiguri a Sydney, chiuso il consolato cinese. Circa 150 uiguri
emigrati in Australia hanno manifestato davanti al consolato cinese a Sydney, che
ha dovuto chiudere i battenti. Un uomo è stato arrestato dopo aver lanciato un
uovo contro un muro del consolato. Una dei manifestanti, Adina Neesam, ha
detto alla radio Abc che è impossibile avere notizie dalla Cina sui propri familiari
ed amici.
www.ilsole24ore.com
Londra rafforza i poteri di controllo dell'Fsa sulle banche
di Nicol Degli Innocenti
L'atteso giro di vite è arrivato: il cancelliere dello Scacchiere Alistair Darling ha
annunciato oggi la riforma del sistema finanziario, studiata per prevenire un'altra
devastante crisi. Le banche saranno soggette a una vigilanza più stretta e i
correntisti avranno maggiore tutela.
Il sistema di controllo resta invariato, in mano alla ‘triade' di Tesoro, Financial
Services Authority (Fsa) e Banca d'Inghilterra. Saranno però rafforzati i poteri di
vigilanza dell'Fsa, che potrà intervenire presso le banche per impedire che
assumano rischi eccessivi o che paghino stipendi o bonus troppo alti e per
verificare che siano sufficientemente capitalizzate e liquide. Verranno aumentate
anche le multe e sanzioni contro gli istituti e gli individui che violano le regole.
Verrà creato un nuovo Council for Financial Stability, con rappresentanti del
Tesoro, dell'Fsa e della Banca centrale, che vigilerà sulla solidità del sistema
finanziario. Darling ha però dichiarato che non intende intervenire per limitare le
dimensioni delle banche, come aveva consigliato il governatore Mervyn King, e ha
definito la proposta "semplicistica". Il sistema finanziario è ormai troppo
complesso e interconnesso, ha spiegato Darling, e una banca di piccole
dimensioni può porre un rischio alla stabilità del sistema tanto quanto una grande
banca.
L'opposizione ha prontamente criticato le riforme delineate da Darling. Il
cancelliere-ombra conservatore George Osborne le ha definite "una risposta del
tutto inadeguata" alla crisi finanziaria e ha detto che dovrebbe essere la Banca
d'Inghilterra ad avere maggiori poteri di supervisione del settore bancario.
8 luglio 2009
Banche: Tremonti propone sgravi fiscali su perdite da crediti
Il Governo è pronto «a rivedere, naturalmente a rivedere in meglio, il regime
fiscale delle perdite su crediti». Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio
Tremonti, intervenendo all'assemblea dell'Abi (leggi l'intervento del governatore
Draghi) in merito alla possibile introduzione di sgravi fiscali a vantaggio delle
banche che dovessero registrare sofferenze e perdite su crediti.
Il ministro nel corso del suo intervento ha usato toni concilianti nei confronti del
sistema bancario, dopo le parole ruvide pronuinciate nelle ultime settimane.
Tremonti ha ammesso che «è arrivato il tempo per un nuovo inizio, perchè
abbiamo una comune responsabilità per il Paese. È necessario fare di più, è
necessario un avviso comune nel rispetto delle regole e dell'integrità patrimoniale
delle banche». A fronte di un avviso comune e sul presupposto della verificata
operatività - ha proseguito il ministro - il governo si impegna a rivedere in meglio
il regime fiscale sulla deduzione e sulle perdite sui crediti». Infine, il ministro
parlando più in generale di regole internazionali ha fatto sapere che «il governo
italiano con i governi europei si sta attivando per modificare Basilea II (requisiti
patrimoniali delle banche in relazione ai rischi assunti) e Ias 39 (principi
contabili)".
8 luglio 2009
Draghi alle banche: deve tornare il sostegno alle imprese
Rallenta il credito bancario alle imprese. «E' particolarmente intensa la
decelerazione dei prestiti erogati dai gruppi bancari maggiori», afferma il
Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi nell'intervento all'assemblea
dell'Abi. «Da aprile la variazione su tre mesi é divenuta negativa: in maggio era
pari a -0,9 per cento su base annua. I prestiti alle famiglie continuano ad
espandersi ma a ritmi inferiori». «L'aumento del rischio di credito - sottolinea
Draghi - si é tradotto in un ampliamento del divario nel costo del credito tra
piccole e grandi imprese con effetti negativi per chi oggi ha maggiormente
bisogno di accedere al finanziamento bancario». Draghi sottolinea che va evitato
«un eccesso di automatismi» nella valutazione del merito di credito e che c'è
«l'esigenza di non far mancare il sostegno finanziario alle imprese con buone
opportunità di crescita, reali capacità di superare la crisi».
Affondo anche sulla commissione di massimo scoperto. «Ora le banche
devono risolvere la questione alla radice; sostituiscano spontaneamente, una
volta per tutte, le commissioni complesse e opache con commissioni ragionevoli
sui fondi messi a disposizione; per il resto si riconduca tutto all'applicazione
trasparente dei tassi di interesse». Draghi ha sottolineato come è stato
«necessario l'intervento del legislatore» dopo che «la ripetuta azione di moral
suasion sortiva effetti solo nei confronti dei maggiori gruppi».
Tremonti: moratoria sulla scadenza dei crediti. Un «nuovo inizio» che
prenda la forma di «un avviso comune», uno «sforzo» che preveda anche «una
moratoria sulle scadenze dei crediti delle imprese» ha invece proposto il ministro
dell'Economia, Giulio Tremonti parlando dal palco dell'Assemblea. «È arrivato il
tempo per il nuovo inizio. Abbiamo comune responsabilità per il nostro Paese.
Quanto fatto è stato necessario. Ma ora, proprio ora, può essere necessario fare
di più. Qualcosa che può prendere un avviso comune da produrre subito prima di
agosto. Nel rispetto delle regole del patrimonio delle banche, su base non
obbligatoria e volontaria. Possono prendere la forma di uno sforzo ulteriore
quanto di una moratoria sulle scadenze più pressanti dei crediti delle imprese».
Faissola: basta sterili contrapposizioni. Nella relazione introduttiva il
presidente dell'Abi, Corrado Faissola, ha sottolineato come «con i provvedimenti
del Governo, la collaborazione con le associazioni imprenditoriali e l'azione delle
banche sono state create le condizioni finanziarie affinché le imprese, soprattutto
piccole e medie, riprendano la strada virtuosa degli investimenti. Sta ora in noi
tutti rifiutare la logica delle sterile contrapposizioni quotidiane e rilanciare, con un
gioco di squadra, la battaglia dello sviluppo»
8 luglio 2009
Intesa prevede fino a 60 mld di prestiti alle imprese
Il gruppo Intesa Sanpaolo prevede circa 50-60 miliardi di nuove erogazioni di
prestiti a medio e lungo termine nei prossimi 36 mesi alle piccole e medie
imprese. Le erogazioni degli ultimi 6 mesi, si legge in una nota, sono ammontate
a circa 8 miliardi. Il gruppo conferma la disponibilità di risorse creditizie per le pmi
italiane per circa 60 miliardi di euro in termini di fidi già accordati e attualmente
non utilizzati e per circa 30 miliardi di euro in termini di nuovi fidi accordati, se
richiesti. «L'accesso delle imprese al credito del Gruppo Intesa Sanpaolo non
potrà peraltro prescindere dalla qualità del merito creditizio» conclude un
comunicato.
Intesa Sanpaolo conferma quindi l'impegno a crescere insieme alle imprese, con
iniziative dedicate - tra cui l'accordo con Confindustria per la liquidità e la
ricapitalizzazione delle Pmi - presentate dal ceo Corrado Passera nel corso di un
incontro con il mondo imprenditoriale a Milano. Il credito dato dal gruppo al
Sistema Italia ammonta a quasi 500 miliardi di euro in termini di fidi accordati,
pari a circa un terzo del Prodotto interno lordo del Paese, di cui circa il 67% alle
imprese, soprattutto a quelle di piccola e media dimensione (50% degli
affidamenti complessivi al Sistema Italia). Intesa Sanpaolo, sottolinea la nota, è
riuscita a non ridurre il credito alle imprese italiane anche negli ultimi 12 mesi,
nonostante il forte calo della domanda di credito e il significativo aumento della
rischiosità, con un ammontare di credito per cassa utilizzato dalle imprese di
piccola e media dimensione che si è mantenuto sui 152 miliardi di euro e con forti
erogazioni di prestiti a medio e lungo termine, a sostegno degli investimenti, pari
a circa 18 miliardi di euro nel periodo.
L'accesso delle imprese al credito verrà favorito da ulteriori impegni come
l'aggiornamento continuo dell'offerta anche per specifici settori, la vicinanza al
territorio, con il modello Banca dei Territori, il ruolo di "ponte" con tutte le altre
entità che possano facilitare il credito (Confidi, Fondo Centrale di Garanzia, Sace,
Cassa depositi e prestiti, Bei), gli investimenti nel capitale e non solo credito alle
imprese e una sempre maggiore trasparenza e semplificazione delle condizioni
contrattuali. In quest'ambito, indica la banca, «quanto disposto dal recente
Decreto legge "anticrisi" non comporta riflessi significativi sulla redditività
prospettica del gruppo».
3 luglio 2009
www.iltempo.it
Critica Il presidente Faissola replica agli attacchi dell'Economia
«Le banche non accettano lezioni»
Corrado Faissola, banchiere e presidente dell'associazione bancaria italiana lo dice
alla vigilia dell'assemblea dell'Abi che si tiene oggi al Palazzo dei Congressi
dell'Eur. Una risposta anticipata alla nuova bacchettata che arriva puntuale dal
ministro dell'Economia, Tremonti, a Bruxelles per il vertice Ecofin: «Chiederemo a
tutte le banche un rendiconto di quanto fatto, in settembre, man mano che il
capitale viene acquisito dagli istituti di credito vedremo quanto ne esce». Ancora
braccio di ferro dunque nel quale le banche si difendono illustrando i dati del loro
operato. Faissola ha così spiegato che «hli impieghi non sono crollati, è solo
ridotto il loro ritmo di crescita, i bilanci sono fiaccati da sofferenze in aumento e
redditività in calo (-7% la media del roe), ma restano solidi. Soprattutto in Italia,
precisa Faissola, malgrado una tassazione del 12% superiore alla media Ue.
Multe e cartelle si controllano con il Pc di casa
Equitalia lancia un nuovo servizio, l'estratto conto online, per conoscere
tutte le informazioni relative alla propria posizione fiscale, dal
pagamento di una cartella all'annullamento di una multa, non sarà più
necessario recarsi a uno sportello di equitalia, ma basterà collegarsi dal
proprio computer al sito www.Equitaliaspa.It.
Il nuovo servizio «estratto conto» è stato presentato oggi nel corso di una
conferenza stampa dal direttore generale della società pubblica di riscossione,
marco cuccagna. Lo strumento è disponibile in 24 province (tra cui milano, roma,
bologna, venezia e napoli), ma si estenderà entro settembre a tutto il territorio
nazionale, tranne che in sicilia, regione in cui non opera il gruppo equitalia.
www.ilgiornale.it
Bancassurance Generali vicina alla cessione del 50% di Intesa Vita
Conto alla rovescia per il closing della cessione del 50% di Intesa Vita dal gruppo
Generali al gruppo Intesa Sanpaolo, presieduto da Giovanni Bazoli. La perizia sul
valore del portafoglio della Compagnia di Bancassicurazione è atteso a giorni visto
che i due mesi messi a disposizione del perito scadono a metà luglio e a quel
punto il passaggio della quota potrà venir formalizzato. Le indicazioni date dai
due soci all’annuncio della cessione erano di una operazione da 650-700 milioni
che verrà regolata in contanti come previsto dagli accordi, mentre è venuta a
cadere l’ipotesi circolata informalmente di un possibile pagamento parziale in
immobili. L’operazione è stata annunciata lo scorso 20 marzo ed è regolata dalle
clausole di esercizio del put di cui gode Generali, attraverso Alleanza cui fa capo
la quota in Intesa Vita.
www.repubblica.it
Il governatore all'Abi: monito sul massimo scoperto
Tremonti: "Nuovo inizio, moratoria sui crediti delle imprese"
Draghi attacca le banche "Il credito rallenta ancora"
ROMA - "Il credito alle imprese rallenta ancora". "La redditività degli istituti è
destinata a scendere". "Stop a commissioni complesse e opache". E un nuovo
monito sul massimo scoperto. Il governatore di Bankitalia parla all'assemblea
dell'Abi. E annuncia anche che l'istituto ha "costituito una task force per valutare
gli effettivi meccanismi di remunerazione" dei manager bancari "e chiedere
correttivi dove necessario".
Credito in contrazione. I prestiti sono ancora in calo, e sono soprattutto le
aziende a subire la diminuzione. "Il credito al settore privato - ha detto Draghi rallenta ancora. Da aprile la variazione su tre mesi è divenuta negativa: in
maggio era pari a -0,9% su base annua. Nell'ultimo decennio - ha aggiunto - il
tasso di crescita medio annuo del credito al settore privato è stato pari al 9,6%.
E' particolarmente intensa la decelerazione dei prestiti erogati dai gruppi bancari
maggiori".
"I prestiti alle famiglie - ha sottolineato il governatore - continuano a espandersi,
benchè a ritmi nettamente inferiori a quelli degli ultimi anni".
Massimo scoperto. "Le banche devono risolvere alla radice la questione del
massimo scoperto", e devono "sostituire spontaneamente, una volta per tutte, le
commissioni complesse e opache con commissioni ragionevoli sui fondi messi a
disposizione; per il resto - dice Draghi - si riconduca tutto all'applicazione
trasparente dei tassi di interesse".
Rafforzare il patrimonio. "Le risorse patrimoniali delle banche italiane si
collocano ampiamente al di sopra dei minimi regolamentari; lo sono state anche
durante le fasi più acute della crisi". Ma "è necessario comunque un
rafforzamento" dei coefficienti patrimoniali degli istituti di credito.
La crisi e il lavoro. Per il numero uno di via Nazionale bisogna usare "molta
cautela" nell'interpretazione dei dati sulla cassa integrazione perchè "una rondine
non fa primavera". "Abbiamo già avuto una diminuzione a gennaio e inoltre a
giugno c'è una forte stagionalità: negli ultimi venti anni abbiamo sempre assistito
a una diminuzione della Cig in giugno".
Tremonti e la moratoria. Un "nuovo inizio" che prenda la forma di "un avviso
comune", uno "sforzo" che preveda anche "una moratoria sulle scadenze dei
crediti delle imprese". E' quanto ha proposto il ministro dell'Economia parlando
dal palco dell'Assemblea. "E' arrivato il tempo - ha detto Tremonti - per il nuovo
inizio. Abbiamo comune responsabilità per il nostro Paese. Quanto fatto è stato
necessario. Ma ora, proprio ora, può essere necessario fare di più. Qualcosa che
può prendere un avviso comune da produrre subito prima di agosto. Nel rispetto
delle regole del patrimoni o delle banche, su base non obbligatoria e volontaria.
Possono prendere la forma di uno sforzo ulteriore quanto di una moratoria sulle
scadenze più pressanti dei crediti delle imprese".
(8 luglio 2009)
www.lastampa.it
Bpm: il mercato non apprezza il bond convertendo
Giornata di vendite per il titolo della Popolare di Milano che subisce la cattiva
intonazione dei mercati e i risultati non proprio eccitanti dell'offerta del prestito
convertendo Bpm 2009/2013 6,75 per cento. Si tratta di un'emissione potenziale
di obbligazioni a conversione obbligatoria da quasi 700 milioni di euro
(695.535.200 euro) con warrant associati e cedola al 6,75 per cento.
L'operazione si inserisce nel più ampio piano di rafforzamento patrimoniale della
banca milanese che prevede, oltre a questa emissione obbligazionaria, la
sottoscrizione, da parte del Tesoro di Tremonti bond per 500 milioni di euro e il
riacquisto di strumenti ibridi di capitale del valore nominale di 460 milioni di euro.
L'emissione di questo bond convertendo al 2013 non sembra però avere
entusiasmato il mercato che, nella prima tranche, ha sottoscritto solo il 31,58%
dell'offerta per un controvalore complessivo di circa 219,2 milioni di euro. Il
gruppo intende comunque riproporre l'offerta fino al 31 dicembre 2009
"beneficiando dell'eventuale ripresa dei mercati azionari". Secondo alcuni
operatori, oltre a eventuali valutazioni sulla validità o meno di questi strumenti, la
complessità stessa di queste obbligazioni strutturate avrebbe allontanato parte
dei potenziali investitori.
In effetti si tratta di obbligazioni senior accoppiate a un derivato. Le obbligazioni
sono di tipo senior e saranno convertite nel 2013 in titoli Bpm. L'emissione è alla
pari (100 euro) e prevede una cedola annua lorda del 6,75 per cento. Per ogni
obbligazione sottoscritta sarà assegnato gratuitamente un warrant ("Warrant
azioni ordinarie BPM 2009/2013").
A ogni obbligazione è associata un'opzione call di tipo americano con scadenza al
primo giugno 2013 correlata a 16,667 azioni Bpm (ossia il minimo previsto per
ogni obbligazione) e prezzo di esercizio da 7 euro e una corrispettiva opzione di
vendita implicita put di tipo europeo con scadenza 1 giugno su massime 16,667
azioni a un prezzo di esercizio di 6 euro.
Il prezzo di conversione dei titoli alla scadenza, ossia la valorizzazione delle azioni
di Bpm che i bondholders riceveranno in cambio del proprio investimento (al
netto delle cedole però), sarà comunque compreso tra i 6 e i 7 euro. In
particolare il valore dell'azione considerato nella conversione sarà calcolato sulla
base della media aritmetica delle contrattazioni degli ultimi 20 giorni precedenti la
data di conversione (nel giugno 2013) al netto delle differenze di prezzo eventuali
che dovessero oltrepassare al rialzo o al ribasso il range compreso tra i 6 e i 7
euro durante i 20 giorni considerati. La chiusura di ieri dei titoli Bpm era a 3,98
euro, ma va anche considerato che una ripresa generale dei listini potrebbe
portare anche i corsi oltre il range dei 6-7 euro.
Il prospetto spiega che tre sono i principali parametri in base al quale varia il
valore dell'obbligazione (che è comunque un titolo illiquido e non contrattato): il
prezzo delle azioni Bipiemme in Borsa direttamente proporzionale al valore del
componente derivato dell'obbligazione (ossia all'opzione), i tassi di interesse
(anch'essi influenti in maniera direttamente proporzionale sul valore
dell'obbligazione senior che compone tutta l'obbligazione strutturata) e il merito
di credito del gruppo ovviamente anch'esso direttamente proporzionale al valore
delle obbligazioni. In generale dunque, se uno di questi fattori dovesse registrare
un incremento, ne conseguirebbe un guadagno anche per il valore delle
obbligazioni strutturate in questione.
In ogni caso, per una corretta valutazione di questo strumento, sarà necessario
inserire quest'operazione nel contesto più ampio della ripatrimonializzazione del
gruppo citato all'inizio dell'articolo. Di certo per ora queste obbligazioni
strutturare non hanno entusiasmato il mercato. (GD)
Intesa San Paolo sale in sintonia con il settore bancario
Ottima performance a fine mattinata per Intesa San Paolo, che approfitta della
buona intonazione del comparto del credito a livello europeo. Il titolo si lascia
quindi alle spalle le incertezze derivanti dalla questione riguardante il destino del
patto tra Generali e Credit Agricole.
Lo scorso 25 giugno la compagnia triestina e la banca francese avevano
annunciato un nuovo accordo dopo il procedimento per inottemperanza avviato
dall'Antitrust sul patto precedente. L'Autorita' Garante della Concorrenza e del
Mercato ha, pero', esteso il procedimento anche al nuovo patto in quanto "non
ottempera alla condizione di garantire la necessaria indipendenza tra Credit
Agricole e Intesa San Paolo e il ruolo di terzieta' della banca francese.".
Ieri l'amministratore delegato di Intesa, Corrado Passera, si e' comunque
dichiarato fiducioso sulla possibilita' di trovare una soluzione capace di
accontentare gli azionisti e non creare problemi alla banca.
Anche il presidente del consiglio di gestione, Enrico Salza, si e' espresso negli
stessi termini.
Passera ha parlato anche dell'emissione di Tremonti bond da 4 miliardi di euro, la
cui procedura era stata avviata nel marzo scorso.
Il manager ha detto che l'iter procede come previsto, dato che non e' stato
apportato alcun cambiamento alle decisioni prese in precedenza. Nelle scorse
settimane erano circolate voci relative a un raffreddamento dell'interesse per le
obbligazioni del Tesoro. Questo perche' da un lato Intesa San Paolo vanta un
grado di patrimonializzazione elevato, anche in considerazione della possibile
valorizzazione di asset non strategici, mentre dall'altro i Tremonti bond hanno un
costo elevato. (SF)
www.lavoce.info
IDEE NUOVE IN BANCA
di Francesco Vella 07.07.2009
Uscite tutto sommato indenni dalla crisi grazie alla loro prudenza, le banche
italiane sono ora sotto accusa proprio per un eccesso di prudenza. Ovviamente,
devono garantire un equilibrato e diffuso accesso al credito che in questo
momento è l'unica garanzia per la sopravvivenza di molte piccole imprese. Ma è
importante che mantengano l'autonomia nelle scelte di allocazione e nelle
valutazioni delle strategie, senza subire surrettizi condizionamenti. E' il momento
per tutti gli attori del sistema di trovare nuove idee. E il coraggio di realizzarle
L'8 luglio si tiene l’annuale assemblea dell’Associazione bancaria italiana,
tradizionale incontro per fare il punto sullo stato di salute delle nostre banche e
sui rapporti con il sistema economico: questa volta, però, c’è stato di mezzo il
terremoto del 2008 e quindi l’occasione non è affatto di routine.
IL DILEMMA
Le banche italiane devono affrontare un autentico dilemma. Uscite tutto
sommato indenni dalla crisi, grazie alla loro prudenza, si trovano adesso sotto
pressione per eccesso di prudenza.
Tutti dicono che bisogna tornare all’antico mestiere di raccogliere depositi e fare
impieghi selezionando e monitorando il credito, ma per usare le eleganti parole
del ministro del Tesoro americano “prima le banche hanno rischiato troppo, ma il
rischio per la nostra economia è che adesso rischino troppo poco”. E in Italia, con
meno eleganza, si sta diffondendo una vulgata demagogica tale per cui tutti i
rubinetti devono essere comunque aperti, quasi come se esistesse una sorta di
diritto a ricevere i soldi, vulgata ovviamente pericolosa perché inquina il mercato
e riporta l’orologio all’indietro, quando i rapporti di finanziamento tra banche e
imprese erano spesso inquinati dalla politica.
Ovviamente, le banche si devono far carico di garantire un equilibrato e diffuso
accesso al credito che in questo momento è l’unica garanzia per la
sopravvivenza di molte piccole imprese, e avere il coraggio di guardare con
lungimiranza le prospettive future scommettendo e rischiando di più.
Ma l’importante è che mantengano l’autonomia nelle scelte di allocazione del
credito e nelle valutazioni delle strategie, senza subire surrettizi condizionamenti
che alla fine sarebbero dannosi per tutti, le banche, le imprese e la collettività,
perché tutti, anche se non è molto popolare dirlo in questo periodo, hanno
interesse che chi non è meritevole non prenda soldi. La crisi americana è nata
proprio dal fatto che si è tentato di risolvere i problemi di una ineguale
distribuzione del reddito consentendo dalle fasce sociali più svantaggiate di
indebitarsi, quando chiaramente non lo potevano fare.
LA BARRA DRITTA
Le banche devono, quindi, tenere la barra dritta, ma non possono stare solo in
trincea a difendersi: promuovere comportamenti virtuosi sul piano della
trasparenza, della offerta di prodotti adeguati, della corretta valutazione delle
situazioni aziendali rappresenta un presupposto essenziale per rapporti
collaborativi con le imprese. E, a dir la verità, anche il presupposto per imporre
alle imprese quella trasparenza delle situazioni contabili, delle strutture di
governance e degli assetti organizzativi la cui opacità spesso non consente di
comprendere con chi realmente si ha a che fare e di “scommettere” sulle
potenzialità future del debitore. Per far questo, non ci si può limitare a messaggi
promozionali, o a singole iniziative, ma, appunto, è necessario un progetto di
sistema che coinvolga tutta la categoria.
Ad esempio, Patti Chiari ha di recente approvato un nuovo statuto che
consente, oltre allo svolgimento delle tradizionali funzione di informazione,
conoscenza e comparabilità dei prodotti, di introdurre nuove forme di
autodisciplina, con strutture e organi di controllo che assicurino enforcement, che
potrebbero coinvolgere tutti gli aderenti sul terreno dei comportamenti nei
confronti della clientela.
E anche l’Abi, liberandosi da una visione di mera difesa di interessi sindacali,
potrebbe aprirsi a nuovi ruoli di autoregolamentazione e di autocontrollo, con
magistrature interne. In sostanza, dovrebbe offrire agli associati un servizio che
in qualche modo ne garantisce la qualità.
LE REGOLE
Anche il regolatore deve fare il suo mestiere, che è appunto soltanto quello di
regolare, senza cadere nella tentazione di sostituirsi ai giocatori. Una disciplina
attenta non solo ai tradizionali canoni di correttezza nelle relazioni contrattuali,
ma anche a una reale comprensibilità delle informazioni, una adeguata
valutazione dei clienti, una semplificazione dei prodotti, una struttura delle
commissioni di intermediazione più trasparente, può aiutare molto. Il recente
documento di consultazione della Banca d’Italia, che riguarda la clientela al
dettaglio e le piccole imprese con fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro, già
contiene alcune importanti indicazioni sulla standardizzazione e semplificazione
delle informazioni. Guardando oltreoceano, il piano Obama affaccia l’ipotesi
dell’opting out: e cioè l’obbligo per gli intermediari di offrire sempre in prima
battuta alla clientela “base” prodotti plain vanilla più semplici (ad esempio si
prevede che per i mutui in prima battuta si debba sempre offrire quello a tasso
fisso) e soltanto qualora vi sia una diversa opzione scattano le informazioni sulla
rischiosità della scelta e si rafforzano le tutele.
Sono, naturalmente, tutte ipotesi da discutere e approfondire, ma se si vuole
uscire dall’ormai stucchevole dibattito tra banche e imprese su chi è “più buono”
o “più cattivo” bisogna avere il coraggio di sperimentare nuove idee, sperando
poi che ci sia anche la volontà di realizzarle.
www.loccidentale.it
E siamo nel 2009
La maggior parte delle tutele del lavoro delle donne risale ancora agli
anni '30
Nelle prossime settimane sarà possibile capire – almeno ce lo auguriamo – se il
Governo vorrà dare esecuzione alla sentenza del 13 novembre dell’Alta Corte di
Giustizia dell’Unione europea riguardante l’equiparazione dell’età di vecchiaia
tra lavoratori e lavoratrici nel pubblico impiego.
Le soluzioni sono state individuate da tempo. Si tratta di elevare gradualmente
(un anno ogni due oppure ogni 18 mesi) gli attuali 60 anni per arrivare a 65,
salvaguardando le previgenti regole per le donne che sono rimaste a lavorare
anche dopo il compimento del sessantesimo anno e riversando i risparmi ottenuti
al finanziamento di politiche volte a migliorare il lavoro e la condizione della
donna in un’ottica attenta ai problemi della conciliazione tra attività lavorativa e
vita familiare.
In sé, la misura – rigidamente limitata al pubblico impiego – non comporterebbe
risultati economici di particolare consistenza (diverso sarebbe il caso di un
provvedimento che coinvolgesse anche le lavoratrici del settore privato). E non
comporterebbe neppure dei costi sociali di particolare rilievo, dal momento che
nessun dipendente pubblico rischia di perdere il posto di lavoro. Avrebbe tuttavia
un grande valore emblematico e culturale (come emerge dal dibattito in corso)
perché metterebbe in discussione uno dei luoghi comuni più consolidati ed
equivoci: considerare l’anticipo dell’età della pensione per la donna come una
sorta di "risarcimento" per uno stile di vita che penalizza, appunto, la lavoratrice,
costretta ad adempiere ad un duplice ruolo in famiglia e nel lavoro.
In realtà, il pensionamento anticipato è l’ultima raffica di un idolum tribus che
considera come principale vocazione della donna quella di essere, prima di tutto
e nell’ordine, moglie, madre, figlia (dei genitori e degli suoceri vecchi ed invalidi).
La sua attività professionale soddisfa l’esigenza di "dare una mano" ad
implementare il reddito della famiglia; la medesima funzione può essere svolta da
una modesta pensione riscossa prima possibile per poter ritornare alle cure
domestiche. Che la condizione della donna, in Italia, sia complicata è
assolutamente evidente. Fino a 40 anni ha problemi con i figli piccoli. Dieci anni
dopo – quando i figli sono ancora giovani e bisognosi di una presenza assidua –
comincia ad avere problemi con i genitori anziani. Sulla carta, anche il compagno
potrebbe usufruire delle norme di tutela della paternità (al pari della maternità),
ma nella realtà si frappongono ostacoli di carattere culturale, attinenti ai rapporti
interpersonali, lontani dall’essere risolti. Questa situazione – di sostanziale stallo
sociale – deve essere superata perché lo sblocco dell’occupazione femminile (i
passi in avanti compiuti negli ultimi anni sono importanti ma insufficienti) è la
condizione indispensabile perché, al momento della ripresa economica, l’offerta di
lavoro sia adeguata rispetto alla domanda.
Per aprire le porte del mercato del lavoro alle donne deve cambiare
l’organizzazione del lavoro e dei servizi ma devono anche essere fatti fino in
fondo i conti con un vecchio modello di tutele della donna lavoratrice ormai
divenuto non solo inadeguato per quanto riguarda le effettive esigenze femminili,
ma che si erge ormai come un vero e proprio impedimento all’assunzione delle
donne, anche perché la politica e i sindacati, in tutti questi anni, hanno aggiunto
nuove forme di protezione senza superare quelle vecchie e tradizionali. A volte
servirebbe andare alle radici degli istituti giuridici per comprenderne le ragioni e
le motivazioni.
La maggior parte delle norme poste a tutela del lavoro delle donne datano dagli
anni ’30 del secolo scorso, in pieno regime corporativo. Pochi sanno che il regime
fascista accompagnò l’introduzione di norme a protezione della maternità e del
c.d. puerperio e della famiglia stessa, con scelte di politiche del lavoro in esplicito
contrasto dell’occupazione femminile (almeno fino al 1943 quando fu costretto a
promuovere l’assunzione delle donne al posto degli uomini impiegati in guerra).
Oltre alla tassa sul celibato, ai premi di nuzialità agli statali, ai prestiti alle giovani
coppie e alle agevolazioni fiscali alle famiglie numerose, la Cassa per gli assegni
familiari, estesa nel 1936 a tutti i lavoratori dell’industria, il regime riconobbe il
diritto all’astensione dal lavoro prima e dopo il parto. La legge organica per la
tutela del lavoro femminile è del 1934. In quegli stessi anni, per contrastare la
disoccupazione indotta dalla "grande crisi", il fascismo adottò una vera e propria
politica discriminatoria verso le donne, che furono espulse dai posti di lavoro
(l’occupazione femminile passò dal 28% nel 1920 – nell’immediato dopoguerra al 18% nel 1931) e spinte verso il lavoro a domicilio. Furono posti limiti alle
assunzioni delle donne nella pubblica amministrazione e previste esclusioni da
taluni pubblici uffici. Nelle aziende private fu fissato un tetto massimo per il
personale femminile. Dapprima in misura del 20% nel commercio e del 16% nel
credito e nelle assicurazioni. Nel 1938 una legge fissò il tetto al 10% tanto nel
settore pubblico quanto in quello privato.
Il tutto era accompagnato da una politica di ruralizzazione con leggi limitative
delle migrazioni interne e con agevolazioni per la vita in campagna.
Cosa è bene attendersi dal summit?
Al G8 i grandi della Terra parleranno di "Exit strategy” e “global rules”
Il “vertice” dei Capi di Stato e di Governo, presieduto dall’Italia ed in programma
a L’Aquila (8-10 luglio) è l”ultimo G8”. Non l’”ultimo” presieduto dall’Italia, ma
l’ultimo in senso assoluto. Ciò non vuole dire che non si terranno altre riunioni
annuali con il logo “G8”- saranno però di importanza ed impatto molto limitato.
Interesseranno sherpas, barracuda-esperti e la variopinta schiera di antiglobalizzatori costantemente in viaggio in comitiva.
Sarà l’ "ultimo G8" perché la struttura di produzione è cambiata: dopo due secoli
in cui l’innovazione tecnologica ha avuto come suo centro l’Europa, prima, e gli
Usa poi, ed il mondo atlantico è cresciuto a tassi molto più rapidi del resto
dell’economia internazionale, l’annullamento delle distanze di spazio e di tempo conseguenza della tecnologia della conoscenza e dell’informazione - sta
riportando la distribuzione del pil mondiale a quella del 1820 (la più antica che si
sia riusciti a calcolare) quando India e Cina, insieme, erano responsabili del 43%
dell’output del globo.
Dato che siamo all’ "ultimo G8" è specialmente importante – come ha sottolineato
Carlo Lottieri su l’Occidentale che l’assise abbia qualche risultato concreto ossia che il ciclo iniziato nel Castello di Rambuoillet nel 1975 si concluda in
bellezza. O quanto meno, che dia l’impressione di terminare portando qualcosa a
casa.
L’agenda è vastissima. Come riferito da un paio di quotidiani, nella sede della
Presidenza del Consiglio si è tenuta una riunione a cui hanno partecipato non solo
i funzionari addetti al vertice ma anche esperti di politica estera, in gran misura
collegati ad Aspen Italia, ex-Ministri degli Esteri ed anche un ex-Presidente del
Consiglio. Nulla di straordinario. E’ ciò che avviene normalmente negli Usa, in
Francia e Germania (nonché in Giappone): un dibattito con chi ha avuto
esperienza di concessi analoghi al fine di meglio predisporre la posizione italiana.
Questa volta – le testate in questione non lo hanno riferito – chi ha “vissuto” G8
precedenti ha alzato le braccia: il “vertice” dovrebbe trattate (e risolvere) davvero
di tutto e di più (dai problemi dell’Iran, della Corea e del Medio Oriente, a quelli
dell’inquinamento, a quelli della crisi finanziaria, a quelli della fame nel mondo, e
chi più ne ha più ne metta).
Sarebbe sensato focalizzarsi su pochi temi. Sul piano economico i principali temi
sono due – ed hanno il pregio di essere collegati l’uno all’altro: la “exit strategy”
dalla crisi e le “global rules”. Sono temi su quali ci sono forti divergenze di vedute
tra i principali Paesi della comunità internazionale – per questa ragione il G8 può
essere la sede per un accordo ad alto livello.
Sul primo punto, in breve, gli Usa ritengono che l’Ue, in particolare l’unione
monetaria, debbano fare “un maggiore sforzo” in materia di politica di bilancio
(allo scopo di favorire la ripresa). L’Ue, specialmente l’area dell’euro, pensa
invece che ciò potrebbe porre a repentaglio una moneta unica ancora giovane e
scatenare un’ondata d’inflazione. Tanto più che il mondo è alle prese con un vero
e proprio Himalaia del debito , aggravato dai deficit di bilancio. Negli Stati Uniti, a
motivo del tasso di risparmio negativo delle famiglie protrattosi per anni e della
forte leva finanziaria con cui hanno operato le imprese (nonché della politica di
spesa pubblica per emergenze di ogni sorta e per stimolare la domanda
aggregata), a fine 2008 il rapporto debito totale: pil era quasi al 3:1, il doppio di
quelle contabilizzato nel 1929 (quando scoppiò la Grande Depressione). Gli altri
Paesi Ocse non stanno molto meglio: in Irlanda, Spagna, Australia e Nuova
Zelanda, l’espansione del credito totale interno dal 1977 al 2007 a tassi annui
superiori al 10% (molto più alti, dunque, di quelli del pil nominale) ha creato
montagne di debito totale in proporzione alla produzione che si pongono come un
macigno sulla via della ripresa di medio e lungo termine. I dati citati sono
rigorosamente quelli di fonti ufficiali che, come è noto, o non tengono conto di
forme “innovative” di indebitamento (quali quelle tramite Siv- Special investment
vehicles) o gestioni fuori bilancio o le sottostimano. Verosimilmente la situazione
è molto peggiore. Un intesa di principio sul percorso per “rientrare” dal debito
potrebbe essere un obiettivo fattibile.
E’ forse anche possibile un accordo sulle “global rules", pur se l’Asia non ne vuole
neanche sentire parlare l’Amministrazione Obama ci crede piuttosto poco ( e va
avanti per la sua strada). Non tanto sulla bozza di circa 80 pagine sottoposte ai
Ministri dell’Economia e delle Finanze a Lecce quanto su questi punti chiave:
a) chi ha titolo a definire le “global rules”;
b) che forma devono prendere (trattati, protocolli);
c) come assicurarne la fase di rodaggio, dapprima, e di
aggiornamento/manutenzione, poi;
d) come verificarne l’applicazione;
e) quali sanzioni prevede (per i trasgressori) e come comminarle.
Un successo in questi due campi darebbe al G8 de L’Aquila una statura miliare.
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RASSEGNA STAMPA 8 LUGLIO 2009 www.americaoggi.info Italia