LETTERA APERTA AL PRESIDENTE RENZI Signor Presidente, a Pordenone nei giorni scorsi abbiamo assistito ad una entusiasmante adunata degli alpini che, con il loro esempio, ci ha fatto capire che le nostre radici sono ancora ben salde e che possiamo contare su una tradizione di altruismo e solidarietà che ci farà uscire dallo stato di rassegnata decadenza attuale. L’esempio di solidarietà, di impegno, e di coraggio nel concludere la sfilata sotto un diluvio d’acqua e di tempesta, mi ha dato il coraggio, (anche a nome di alcuni miei ex colleghi, che negli anni ’80 hanno condiviso con me un’esperienza di insegnamento fuori dagli schemi usuali) di inviarle questa lettera aperta. Signor Presidente, siamo compiaciuti che Lei abbia preso l’impegno di sanare la grave situazione dell’edilizia scolastica del nostro paese. Tuttavia Le facciamo notare che, oltre al recupero degli edifici, ci sarebbe da aggiornare anche il modo di fare scuola che, da anni, non dà i risultati di profitto che tutti attendiamo. LA CAPORETTO DELLA SCUOLA Su La Stampa del 11/03/2008 R. Masci nel suo articolo “La Caporetto della scuola” riportava dati statistici catastrofici: “Il 70% degli studenti hanno in media 4 gravi insufficienze e negli istituti professionali si arriva fino all’ 80%. Inoltre evidenziava che, secondo le rilevazioni Pisa-Ocse, il 26,4 % dei quindicenni italiani possiede competenze di lettura inferiori al livello 2, che è il livello minimo per non essere considerati analfabeti. Situazione confermata dall’ex ministro dell' Istruzione Tullio De Mauro intervistato da Piero Angela a Super Quark il 7 luglio 2011. In tale occasione il ministro rilevava che, in media negli ultimi 15 anni, l’abbandono scolastico di chi si iscrive alle superiori, è di 200.000 studenti all’anno. Ragazzi che ogni anno si aggiungono al gruppo del 5% della popolazione tra i 15 e i 29 anni, i cosiddetti “Neet” (Not education, emploiment or training) che non studiano, fanno lavoretti saltuari, non si aggiornano e praticamente vivono a carico delle famiglie. Anche le ultime notizie EUROSTAT ribadiscono che la situazione della nostra Scuola non migliora. Infatti risulta che la percentuale degli italiani tra i 30 e i 34 anni laureati nel 2013 è del 22,4 % (la più bassa dei 28 stati dell’Ue) Ancora, sul Corriere della sera del 9/10/2013, O. Riva e G. Fregonara commentavano i dati del Dossier Ocse in 24 Paesi sviluppati, […] segnalando che“il dato forse più drammatico è quello che riguarda i Neet”[...] Parliamo di oltre tre milioni di persone il cui destino si incrocia con quello dei ragazzi che abbandonano la scuola, che sono aumentati in modo impressionante, dai 200 mila del 2011 agli attuali 700 mila all’anno, anche per la convinzione che lo studio non serve a trovare lavoro. Oggi il numero dei “Neet” ha raggiunto la cifra di 4.300.000 portando il tasso di disoccupazione giovanile al valore record del 43%) LA SCUOLA COSÌ COM’È NON AIUTA A TROVARE LAVORO Situazione già segnalata sul Gazzettino del 14 aprile del 2008 da G. Bortolussi nel suo articolo: “Studenti poco preparati e le aziende non assumono”. Il Giornale” del 27/01/2014 titolava:” Disoccupati: 4 su 10 per colpa della scuola poco efficiente. “In Italia il 40% della disoccupazione giovanile sarebbe imputabile al difficile rapporto scuola mondo del lavoro. Lo sostiene la ricerca «Studio ergo Lavoro» condotta da «McKinsey & Company». […] Secondo lo studio, le cause della disoccupazione sono, solo in parte, riconducibili alla crisi economica. Tutto ciò porta a un unico commento possibile: la scuola, così com’è, non aiuta a trovare lavoro, nonostante la nostra Costituzione all’art.1 reciti: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. È dunque necessario migliorare il rapporto tra scuola e mondo del lavoro. (Vedi sul sito http://www.itisrossi.vi.it “IL ROSSI A UNO MATTINA” ) DAL MINISTRO T. DE MAURO PROFONDI RIPENSAMENTI DEL MODO DI INSEGNARE L’ex ministro dell’istruzione Tullio De Mauro, nella citata intervista del 7 luglio 2011, aveva affermato anche che “per le scuole dell’ obbligo il problema poteva considerarsi risolto, mentre per le superiori sarebbero necessari PROFONDI RIPENSAMENTI SUL MODO DI INSEGNARE”. Anche perché si doveva tener conto, che la maggioranza degli studenti proviene da un 5% di famiglie con genitori considerati analfabeti o analfabeti di ritorno, e un ulteriore 66% con genitori che hanno comunque competenze di calcolo, di lettura e di scrittura al di sotto del livello minimo necessario per orientare i figli nell’attuale società tecnologica”. Evidentemente i ragazzi che racimolano brutti voti, partono da livelli più bassi degli altri e andrebbero aiutati, e non puniti, anche tenendo conto che, i soggetti più lenti, quando poi hanno capito, si applicano con maggiore costanza. Perciò, per recuperare la maggior parte del 70 % dei ragazzi che si trovano in difficoltà, ci sarebbe meno bisogno di insegnanti di sostegno, perché basterebbe ricorrere all’aiuto che può venire dal coinvolgimento degli studenti più bravi nel dare qualche ripetizione ai compagni rimasti indietro. (Si noti che le ripetizioni giovano di più a chi le dà, perché chi le riceve funziona da pompa aspirante, e obbliga lo studente che dà la ripetizione ad approfondire le sue conoscenze e in tal modo lui farà un figurone quando sarà interrogato) COME PASSARE dalla SCUOLA DEI BRUTTI VOTI alla SCUOLA dell’APPRENDIMENTO Un’anziana professoressa d’italiano, che insegnava ancora a settant’anni suonati, le cui classi parevano costituite tutte da geni, mi aveva confidato che il suo segreto consisteva nell’iniziare la lezione spiegando ai ragazzi i problemi da risolvere. Poi, per stimolare curiosità e in- teresse, voleva sentire dai ragazzi come, secondo loro, si sarebbe potuto fare e, solo dopo, spiegava qual’era il modo più efficiente per raggiungere un risultato efficace. Io e alcuni altri professori, avevamo imparato a imitare i suoi metodi e come lei, usavamo suscitare la curiosità dei ragazzi, spesso ricorrendo ai 5 “Wh” dei giornalisti di lingua inglese: What (il fatto), Who (chi), When (quando), Where (dove), Why (perché). Fin dall’inizio avevamo insistito che i ragazzi prendessero sempre appunti in classe, ma soprattutto che li completassero a casa, subito nel pomeriggio; raccomandando di annotare in fondo agli appunti della lezione, nella zona riservata al “DA FARSI”, quello che non avevano capito. E come lei, quando un allievo chiedeva di rinviare l’interrogazione, non lo interrogavamo per forza, ma scrivevamo sul registro un N.C. (non classificato), perché trovavamo inutile perdere tempo a interrogare chi aveva dichiarato in partenza di non saper rispondere. Anzi chiedevamo al ragazzo di essere lui ad interrogarci su quello che non aveva capito avvertendo anche gli altri che avremmo interrogato solo chi si era preparato. Poi, una o due volte al mese, organizzavamo una “question time”, durante la quale tutti potevano chiedere chiarimenti e rispondere alle domande dei compagni, limitandoci, noi insegnanti, a intervenire solo alla fine per concludere. All’inizio i ragazzi avevano paura di chiedere chiarimenti, perché temevano di passare tra quelli che non stanno attenti in classe o di essere considerati meno intelligenti degli altri. Poi, con l’introduzione della “question time” avevamo eliminato questa paura. e gli ”interrogatori da inquisizione” si erano trasformati in “colloqui amichevoli”. Così pian piano si era verificato il fatto inusuale che, per evitare di avere in pagella un “NON CLASSIFICATO”, c’era la fila di coloro che chiedevano di essere interrogati. eliminando automaticamente le inutili interrogazioni punitive. SONO INUTILI e DANNOSE LE INTERROGAZIONI PUNITIVE Si tratta del cane che si morde la coda, perché la reazione naturale dei professori, porta a interrogazioni punitive, che si concludono sempre con dei “3” o dei “4”. Voti che, per arrivare alla sufficienza, richiederebbero un susseguirsi di votazioni alte, che studenti demotivati difficilmente riescono a conseguire e, giocoforza, finiscono per odiare la materia e per studiarla sempre meno. Così, non ottenendo risultati soddisfacenti, meditano di abbandonare la scuola e, per sentirsi ugualmente protagonisti, spesso si comportano da bulli. La conseguenza automatica dell’eliminazione delle interrogazioni punitive fu il raddoppio del tempo dedicato alle lezioni, alle quali i ragazzi avevano imparato a partecipare, svolgendo un ruolo simile a quello degli assistenti dei professori all’ università. Così, invece di dover assistere a scene dove il professore, come un dentista, strappava a fatica le risposte, i ragazzi potevano illustrare alla classe le loro ricerche, effettuate seguendo le indicazioni dell’insegnante. OGGI È PIÙ FACILE RICORRERE AI QUIZ Oggigiorno gli insegnanti che applicano questo metodo sono facilitati dall’uso dei “Quiz“; Quiz che NON DOVREBBERO SERVIRE PER DARE VOTI, ma per indicare su quali argomenti i ragazzi, durante la “question time”, potranno giustificare le proprie scelte; dopo essersi schiariti le idee riguardando gli argomenti sul testo in adozione o consultando altri testi in biblioteca, o in Internet o semplicemente discutendone al telefono tra di loro. (Oggi col P.C. gli studenti possono chiedere chiarimenti agli insegnanti anche via e-mail se il professore è d’accordo). Il sistema dei quiz permette inoltre agli insegnanti di controllare le risposte e conoscere subito gli argomenti da approfondire o da rispiegare da capo. COMPITI DI ALLENAMENTO Quanto ai compiti in classe, usavamo intercalare, ai compiti con voto, dei compiti di allenamento, durante i quali mettevamo assieme uno studente bravo con uno meno bravo, in modo che lo studente meno bravo, durante il compito, imparava come si fa e, finalmente, recuperato l’interesse per la materia, si metteva a studiarla volentieri. Compiti per casa ne davamo pochi (alcuni facili, per allenarsi a ripetere gli esercizi fatti in classe e un paio più difficili, ma facoltativi). Come insegnante di informatica, avevo anche insegnato ai miei ragazzi a riesaminare le più importanti attività di studio ripetitive, tra le quali quelle del “leggere” (prima decidere che cosa cercare, e poi leggere adottando la velocità di lettura in relazione alla difficoltà del testo, cambiando marcia come si fa guidando una automobile); del “prendere appunti” (sempre, completandoli subito nel pomeriggio); degli “allenamenti sui compiti scritti”(rifacendo i compiti in classe, con il controllo dei tempi per imparare a non consegnare compiti incompleti e con errori evitabili). W LE CHEKING LIST! Poi, sull’esempio dei linguaggi di programmazione che bloccano l’esecuzione se c’è un errore e suggeriscono come correggerlo, avevo insegnato ai ragazzi a crearsi la “Cheking-list” dei propri errori abituali per poterli eliminare prima di consegnare i compiti in classe. Così, eliminando ogni volta qualche errore, spesso i ragazzi, dopo alcuni compiti fatti, controllando la propria cheking-list, raggiungevano la sufficienza. È ANCHE BRAVA LA PROF. TROPPO BUONA Sul Corriere della Sera del 22 luglio 1999 A. Pozzoli, scrive l’articolo “È anche brava la prof. troppo buona”, del quale riporto un breve estratto. All’Istituto […] è lei la vera promossa. La prof. A.R. era stata accusata di non rimandare né bocciare mai alcuno dei suoi ragazzi. […] "Due soli i bocciati dalla commissione, ma nessuno della classe della professoressa buona, che in gran parte come seconda materia del colloquio, erano interrogati in Storia, una delle materie "incriminate". Alla fine i suoi allievi sono risultati i migliori. […] Testimonianza d'eccezione a conferma: quella del commissario di Storia che, sigillata la busta degli scrutini, ha accettato di parlare. "Bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare ha dichiarato - e alla collega A.R. va riconosciuta la piena validità dei criteri didattici adottati nella preparazione dei suoi allievi". Il docente precisa che parla anche a nome del presidente dell'intera commissione”. "I colloqui - dice – confermano che questi ragazzi hanno saputo avvalersi di un insegnamento condotto egregiamente sul piano metodologico e su quello critico. […] La collega non ha certamente la sufficienza facile […] la A.R. è un'insegnante che ha il pregio di capire i problemi dei suoi allievi e di motivarli opportunamente allo studio”. QUAL’ È IL VERO BUONISMO? Signor presidente, non sarebbe forse l’ora di smetterla di considerare un professore tanto più bravo, quanto più alto è il numero degli studenti che boccia? A nessuno sorge il dubbio che questi professori non sappiano farsi capire o non abbiano la pazienza, oltre che di evidenziare gli errori commessi dai loro allievi, anche quella di insegnare come si fa ad evitare quelli che si commettono per abitudine ? Molti insegnanti non danno volentieri brutti voti ma, se non li danno, temono di passare per “buonisti” e di commettere un’ingiustizia nei confronti di chi studia come un pazzo. Purtroppo i brutti voti scoraggiano gli studenti, che in gran parte provengono dal 71% delle famiglie citate dal ministro Tullio De Mauro, che non ce la fanno a seguire i figli nello studio. Si noti che interrogare chi non è preparato equivale a raccogliere un frutto acerbo. I brutti voti sono assimilabili a degli schiaffi morali, vietati se dati dai genitori, ma assurda- mente consentiti se dati dagli insegnanti. I professori che danno brutti voti, per non passare per buonisti, si dimenticano che i loro figli non fanno parte delle famiglie citate dal ministro De Tullio, e si dimenticano anche che spesso passano ore ad aiutare i figli a fare i compiti per casa. E si dimenticano che anche all’università, per evitare di scrivere un brutto voto sul libretto degli esami, molti professori invitano gli studenti poco preparati a ritirarsi e a prepararsi meglio per ripetere l’esame con speranza di successo. Tuttavia Il “buonismo” viene spesso applicato nei consigli di classe a fine anno, promuovendo degli studenti che nell’ultima interrogazione hanno racimolato un compassionevole “6 -“, tirando in ballo crediti per attività extra studio o rinviandoli ai corsi di recupero, ben sapendo che a Natale del prossimo anno scolastico quei ragazzi si ritroveranno le stesse 3 o 4 gravi insufficienze dell’anno precedente. L’ESAME DI MATURITÀ NON CERTIFICA NIENTE Non valgono niente le statistiche con più del 98% di promossi alla maturità, perché sono frutto di uno scandaloso “buonismo” finale. Infatti all’esame di maturità, pur essendo questo limitato ad alcune materie e solo per il programma dell’ultimo anno, una parte rilevante di studenti presenta dei compiti scritti inadeguati. In italiano i candidati non raggiungono la sufficienza, nonostante la possibilità di scelta tra quattro tipologie di tema (due delle quali non richiedono conoscenze sul contenuto da trattare). E negli istituti tecnici sono insufficienti anche molti compiti scritti riguardanti le materie professionali, infatti i candidati in difficoltà, per salvare il risultato finale, all’orale ricorrono alla presentazione di tesine che, spesso, non sono farina del loro sacco. Così si raggiungono percentuali di promossi superiori al 98%, percentuali falsate anche dal fatto che non si tie- ne conto del numero di studenti che hanno abbandonato gli studi precedentemente. ANDREBBERO MODIFICATI I DPR del ’74 e del ‘99 La resistenza maggiore al cambiamento di mentalità viene da parte dei sindacati degli insegnanti che dopo il movimento studentesco del ’68 che pretendeva la promozione col voto di gruppo hanno ottenuto che la gestione della didattica fosse riservata agli insegnanti (DPR del 31 maggio ‘74, e DPR del 30 giugno ’99). Decreti che, per dare un segnale di democrazia, hanno introdotto le Assemblee d’Istituto degli studenti, i Consigli di classe (con la partecipazione di 2 rappresentanti dei genitori, escludendo però che i genitori possano intervenire sulla didattica e così in pratica da allora si riuniscono sempre due consigli di classe, il primo dei quali senza genitori) e il Consiglio di Istituto, (con rappresentanti di ben 6 genitori, tra i quali il presidente, ma con l’argomento didattica che non può fa parte dell’ordine del giorno. A ben guardare si è trattato dunque di una democrazia fasulla, perché i problemi reali che avrebbero dovuto essere presentati dai genitori nei vari Consigli, sono rimasti sempre in corridoio. NON SIAMO PIÙ AL TEMPO DEL NOSTRO MIRACOLO ECONOMICO Al tempo del nostro miracolo economico c’era un’aspettativa incredibile, tutti i componenti della nostra società giocavano all’attacco, le famiglie erano molto più unite, e coloro che potevano permettersi di studiare affrontavano volentieri la fatica dell’impegno nello studio, per poter passare dal lavoro in tuta a quello dei colletti bianchi. Mentre ora studiare è considerato inutile per trovare lavoro e i sacrifici da fare sono divenuti un peso insopportabile. Ora, la pesante crisi delle “sette vacche magre”, dovrebbe scuotere tutti gli interessati,oltre a studenti e insegnanti, anche i genitori che troppo spesso si comportano come se avessero rinunciato al loro ruolo di educatori, e spin- gerci tutti a reagire e dimostrare che presto non saremo più gli ultimi in classifica. È dunque INDISPENSABILE COINVOLGERE I GENITORI Per passare dalla scuola dei voti alla scuola dell’apprendimento è dunque indispensabile coinvolgere anche i genitori, che non devono sostituirsi agli insegnanti e tanto meno fare i compiti per i figli (i compiti li devono fare i figli, perché non si impara a giocare stando seduti in tribuna). NON REGALARE PESCI AI FIGLI MA INSEGNAGLI A PESCARE Il ruolo dei genitori, dovrebbe essere quello di educatori - allenatori, che aiutano i figli a organizzare il tempo da dedicare allo studio, facendo loro acquisire abitudini di partecipazione attiva alle lezioni, per sfruttare al cento per cento il tempo passato in classe e assimilare subito ciò che viene spiegato al mattino, smettendo di rinviare lo studio in vista delle interrogazioni, quando non si ricorda più quanto è stato spiegato in classe. LA SCUOLA DÀ RIPETIZIONI AI GENITORI INCAPACI La collaborazione dei genitori con gli insegnanti è citata anche nell’ articolo di C. Montella apparso su Libero del 13 dicembre 2007: “La scuola dà ripetizioni ai genitori incapaci” con sottotitolo “Nei licei di Milano corsi per imparare a educare i figli”. Anche a Pordenone esiste il Centro di Orientamento per genitori IRIPES (ONLUS) e c’è anche l’ACEA (Associazione Culturale per l'Educazione e l'Auto-formazione, libera associazione apar-titica e apolitica, fondata dai genitori del centro IRIPES). METODO MONTESSORI Il nostro modo di fare scuola, che ai più sembra rivoluzionario, in realtà si rifà al metodo introdotto negli anni ’20 da Maria Montessori, (primo medico donna in Italia). Per lei, gli insegnanti dovevano fare i direttori e assi stere i ragazzi mentre studiavano, e così i ragazzi preferivano studiare invece di giocare; “il principio fondamentale doveva essere la libertà dell’allievo, poiché solo la libertà favorisce la creatività e dalla libertà emergerà la disciplina” Il suo metodo da allora è stato adottato in tutto il mondo, ma da noi fu abbandonato nel ’33, perché la Montessori non volle sottostare alle imposizioni di Mussolini. Metodo simile a quello di Don Milani nella sua “Scuola di Barbiana”, e soprattutto simile a quello adottato dai Finlandesi, che sono in testa alle classifiche europee. I FINLANDESI SONO I PIÙ BRAVI Sul n°193 del novembre 2008 di Focus c’è un articolo di Amelia Beltramini dal titolo: ”Perché i finlandesi sono i più bravi”. L’autrice riassume i motivi così: “Niente voti fino a 13 anni. Tre lingue, docenti accuratamente selezionati e addestrati”. “Ecco i segreti della scuola migliore del mondo”. CONCLUDENDO Signor presidente, i tempi sono maturi per un cambiamento radicale che responsabilizzi tutte le parti interessate iniziando dalla SCUOLA PUBBLICA, agli INSEGNANTI e dai GENITORI agli STUDENTI Dovremmo dunque passare da una scuola che gioca solo in difesa di se stessa, ad una scuola propositiva, che trasforma gli studenti più bravi in “leader” capaci di motivare i compagni che oggi non partecipano al gioco. Ciò potrebbe costituire una vera modernizzazione del modo di fare scuola insegnando ai ragazzi a lavorare in equipe, dove ogni elemento porta il suo contributo personale per il raggiungimento del risultato finale. Allo stesso modo di come si fa in ogni attività umana ben organizzata. Poche, ma sostanziali innovazioni iniziando da quella di valutare il merito degli insegnanti in base al profitto conseguito dai loro allievi e non più in base al nume- ro di studenti che bocciano e sul loro impegno nell’aggiornarsi (organizzando per loro corsi in Internet per materia, simili ai corsi universitari già esistenti). Innovazioni che potrebbero stimolare gli insegnanti ad eliminare le interrogazioni punitive, trasformandole in interrogazioni di successo, che automaticamente diventano lezioni, di cui vale la pena di prendere appunti, per affrontare le proprie interrogazioni col senno di poi. Queste poche, ma sostanziali innovazioni potrebbero anche consentire di valutare la bravura degli insegnanti sul loro impegno nell’aggiornarsi (organizzando in Internet corsi per materia, simili ai corsi universitari già esistenti) e in base al maggior profitto degli allievi delle loro classi, e non più in base al numero dei ragazzi che bocciano. Signor Presidente, si tratta di un investimento a costo zero, che mi auguro si possa proporre in corsi sperimentali, almeno presso gli istituti dove i dirigenti scolastici ne apprezzeranno l’utilità. Gianfranco Galli ex insegnante di informatica gestionale Su queste nostre esperienze nel 2011 ho scritto due libri: il “Manuale dello studente professionista” sottotitolato “Come andare a scuola per essere promossi sempre” che innanzitutto evidenzia le motivazioni che convincono ad andare a scuola volentieri e insegna ai ragazzi a studiare, utilizzando delle procedure collaudate, che evitano di improvvisare continuamente e portano a conseguire risultati soddisfacenti, risparmiando il tempo necessario per praticare il proprio sport preferito, senza trascurare la scuola. Il secondo libretto “Come allenare i figli a studiare con professionalità” sottotitolato “Se gli insegnanti (con i voti) arbitrano solo partite ufficiali … l’allenatore chi lo fa? che descrive come mi comportavo personalmente con i genitori dei miei allievi collaborando con loro per ottenere il massimo dai loro ragazzi. P:S.. La regola che nessuno impara a giocare stando seduto in tribuna non vale solo per i ragazzi ma anche per tutte le altre parti interessate: ISTITUZIONI SCOLASTICHE, INSEGNANTI E GENITORI, ognuno nel proprio ruolo. (per saperne di più vedi www.editriceprofessionestudente.it )