Indice
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Prefazione (Robert Roche Olivar)
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Introduzione
15
CAP. 1 Dall’Interpersonal Cognitive Problem Solving alla
condotta prosociale
15
18
22
La condotta prosociale: una prima definizione
l problem solving interpersonale
Il programma IPCPS
37
CAP. 2 Il programma IPCPS per la scuola dell’infanzia e il
1° ciclo della scuola primaria
37
47
84
Presentazione del programma
Il programma: abilità di pre-problem solving
Il programma: abilità di Interpersonal Prosocial Cognitive
Problem Solving
Soluzioni alternative
Pensiero consequenziale
Accoppiamento soluzione-conseguenza
Il test IPCPS per la scuola dell’infanzia e il 1° ciclo della
scuola primaria
84
93
103
107
131
CAP. 3 Il programma IPCPS per il 2° ciclo della scuola
primaria e la scuola media
132
144
219
Presentazione del programma
Il programma: abilità di pre-problem solving
Il programma: abilità di Interpersonal Prosocial Cognitive
Problem Solving
Soluzioni alternative
Pensiero consequenziale
Accoppiamento soluzione-conseguenza
Pensiero mezzi-fini
Le linee guida
Il test IPCPS per il 2° ciclo della scuola primaria e per la
scuola media
219
234
248
252
272
285
323
CAP. 4 Studi e ricerche sull’efficacia del programma
323
332
Una rassegna critica
Una ricerca valutativa dell’efficacia del programma in una
classe 3a elementare
Una ricerca sulla flessibilità cognitiva
Una ricerca sull’efficacia dell’ICPS come fattore di promozione dell’integrazione scolastica
344
359
367
Bibliografia
PREFAZIONE
9
Prefazione
Nel settembre del 1990, in occasione del convegno internazionale «Il
Bambino Sociale» tenutosi a Sorrento, ebbi modo di ascoltare la relazione di
uno degli autori del volume che vi accingete a leggere. L’intervento riguardava l’adattamento italiano dell’Interpersonal Cognitive Problem Solving di
Shure e Spivack. Fui immediatamente catturato dall’interesse verso questo
tipo di lavoro e non esitai a cercare un contatto per studiare l’opportunità di
collaborazione. Da allora i nostri rapporti si sono intensificati ed è per me un
piacere poter scrivere questa breve prefazione di un’opera di cui mi sento in
qualche modo partecipe. Il volume ha diversi pregi: il più evidente a una
prima lettura è quello relativo al grado di praticabilità; gran parte del volume
è un vero e proprio manuale di applicazione pratica immediatamente trasferibile nella conduzione della classe. Essendo gli autori tutti di nazionalità
italiana mi pare un pregio di non poco conto. Non mancano però gli spunti
di approfondimento teorico e di riflessione pedagogica di alto profilo. Non
posso poi non sottolineare il ruolo predominante che è stato dato dagli autori
all’educazione alla prosocialità. Unire l’educazione al problem solving come
sviluppo di una competenza cognitiva complessa e promozione delle condotte prosociali è un risultato convincente e non privo di originalità: in questo
modo viene messa in risalto la componente intenzionale e di consapevolezza
che è fondamento dell’azione prosociale. Attraverso il problem solving interpersonale gli alunni vengono sollecitati a trovare soluzioni alternative e
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PROMUOVERE L’INTELLIGENZA INTERPERSONALE
questo stimola i loro pensieri divergenti e la creatività; nel momento in cui
però devono valutare le conseguenze delle alternative, ecco che gli autori
inseriscono il germe della prosocialità, portando a riflettere il bambino sulla
valorizzazione dell’altro, in modo da dare un peso diverso alle proprie scelte,
ed è questo il momento cruciale, quello dell’alternativa praticabile, in cui la
scelta non è più una mera valutazione di costi e benefici, come in qualche
modo sembrava sottendere il programma originale di Shure e Spivack, ma
diviene un momento di presa di coscienza da parte del bambino, di assunzione di responsabilità e quindi di alto significato valoriale. Sono certo che
questo tipo di programmi avranno un ampio successo nella scuola perché mi
pare rispondano a bisogni sempre più reali e sentiti e sono altrettanto
convinto che unire teorie, metodi e strategie di intervento diverse tra di loro
produca una proficua integrazione. L’auspicio è che questo sia solo l’inizio di
una produzione di materiale, strumenti e ricerche-azioni che vadano nella
stessa direzione.
Robert Roche Olivar
Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo
Facoltà di Psicologia
Università Autonoma di Barcellona
INTRODUZIONE
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Introduzione
Perché un libro sull’intelligenza interpersonale? Le ragioni sono molteplici.
In primo luogo vi è la considerazione secondo la quale oggi, rispetto al passato,
la scuola, nel suo complesso, sarà sempre più chiamata a diversificare la sua
offerta formativa. Se da sempre la scuola ha promosso l’intelligenza logicolinguistica, come la chiamerebbe Gardner, sottovalutando o relegando le altre
forme a momenti occasionali di formazione e di intervento educativo, non vi è
alcun dubbio che la competenza a entrare in relazione con l’altro e a gestire i
conflitti per promuovere condotte prosociali rivesta un ruolo altrettanto, se non
più, importante per la vita futura dello studente.
Il lavoro che vi presentiamo in questo volume è un vero e proprio manuale
teorico e pratico, comprensivo di tutte le indicazioni didattiche per poter realizzare, all’interno della classe, un curricolo di attività tutte orientate alla promozione
dell’intelligenza interpersonale.
Un dato che merita un approfondimento concerne le metodologie che vi
saranno presentate: la loro particolarità è che esse non mirano a facilitare il
trasferimento di contenuti, come avviene in un normale insegnamento disciplinare, ma puntano ad attivare nello studente e nel docente tutti quei processi che
favoriranno il come pensare piuttosto che il cosa pensare. Non si tratta quindi di
un apprendimento nel quale la memorizzazione di informazioni svolge un ruolo
fondamentale ma, al contrario, richiederà un comportamento attivo, una rielaborazione e riflessione personale e un’assunzione di responsabilità.
12
PROMUOVERE L’INTELLIGENZA INTERPERSONALE
Una seconda ragione può essere attribuita alla necessità sempre più emergente nella nostra società di educare i giovani a riconoscere, capire e spiegare le
differenze individuali. Andiamo incontro a sistemi di convivenza multietnici dove
il prerequisito fondamentale è che i cittadini si rispettino reciprocamente e si
comprendano pur conservando posizioni divergenti e, se non iniziamo a prendere in considerazione tutto questo partendo proprio dal processo formativo primario, le difficoltà saranno insormontabili. Con il rischio di apparire ambiziosi, siamo
persuasi che il programma presentato in questo volume sia in grado di favorire in
modo diretto questi processi, configurandosi così come strumento fondamentale
per concretizzare la tanto auspicata cultura della diversità. La sottolineatura che
abbiamo voluto dare alla componente prosociale rende ancora più esplicita
questa finalità nel programma; non basta infatti insegnare abilità di negoziazione
dei conflitti, ma occorre che le persone coinvolte imparino a riconoscere e a
rispondere ai bisogni dell’altro; negoziare con l’intenzione di voler o poter rinunciare anche a qualcosa per noi è forse l’elemento più efficace per arrivare
all’effettiva risoluzione dei problemi. Certo qualcuno potrà obiettare che lavorando in questa direzione concretamente e assiduamente rischiamo di creare nella
classe e nella scuola delle condizioni che non trovano riscontro nel mondo
esterno. Non vorremmo commentare a lungo questa affermazione: diciamo
semplicemente che, finché non faremo questi primi passi, proprio quella realtà
esterna che spesso è fonte di conflitti insanabili non potrà mai essere ridimensionata e ricondotta ai valori di una convivenza pacifica e civile.
Una terza ragione riguarda la promozione del benessere e della salute dello
studente, tante volte evocata ma troppo spesso disattesa. Cosa significa promuovere il benessere dello studente? Attraverso il miglioramento della qualità delle
interazioni, l’alunno sperimenta occasioni di crescita personale e di soddisfazione
emotiva; imparare a comportarci in modo prosociale attiva circuiti virtuosi che
inducono negli altri comportamenti analoghi e non vi è alcun dubbio che nelle
situazioni di reciprocità si innalzano i livelli di benessere dei singoli partecipanti
alla relazione. Il passaggio dall’insegnamento strutturato delle abilità prosociali
alla loro applicazione nella vita quotidiana rende concretizzabile il perseguimento
del benessere personale e collettivo. Non vi è dubbio però che questo implica,
soprattutto per il docente, un impegno che va ben oltre i suggerimenti didattici e
pratici che fornisce il manuale. Sarebbe auspicabile che il docente faccia propria
la filosofia pedagogica che vi sottende e colga tutte le occasioni della vita in classe
per dimostrare, anche attraverso le proprie condotte, come si possano fronteggiare problemi personali e di relazione, conservando una serenità di fondo e la
convinzione che, attraverso l’aiuto solidale all’altro, ogni problema, anche quello
che non troverà una soluzione, potrà essere affrontato nel migliore dei modi.
INTRODUZIONE
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La quarta ragione concerne l’attualità del programma. In anni recentissimi
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha divulgato un programma di
promozione della salute e prevenzione della malattia centrato sulle life skills. Si
tratta di un progetto ambizioso centrato sulla constatazione di fatto che, lavorando sul piano prevalentemente educativo e sui fattori protettivi della salute, si
riducono automaticamente i fattori di rischio della malattia. E quello che la stessa
OMS ritiene come fattore fondamentale riguarda le competenze di problem
solving e decision making che, guarda caso, rappresentano il fulcro del nostro
programma. Riconoscere e definire un problema, generare alternative di soluzione, assumere decisioni sono le principali abilità che insegna.
La quinta ragione è l’essere riusciti a coniugare l’istanza tipica del programma originale sul problem solving interpersonale, rappresentata dal fatto che
l’oggetto del lavoro con l’alunno è un suo problema nella relazione con altri, con
l’istanza altrettanto fondamentale della condotta prosociale, dove però il problema appartiene all’altro piuttosto che a se stessi. Il passaggio dall’autocentrato
all’eterocentrato è sicuramente l’aspetto di maggiore originalità del nostro lavoro
ed è quello che permette di fatto l’integrazione tra problem solving e comportamento prosociale. D’altra parte, proprio questa competenza nel passare dall’esame di un proprio problema a quello dell’altro, conservando le strategie di analisi
e di soluzione, permette nel bambino l’effettivo sviluppo della competenza comunicativa.
Naturalmente il volume non è privo di difetti e magari sarà lo stesso lettore
a ravvisarli. Per quanto ci riguarda, proprio quello che abbiamo citato come un
pregio potrebbe avere un rovescio della medaglia: ci riferiamo alla scelta della
massima praticabilità. Una lettura passo dopo passo soprattutto di queste parti
potrebbe risultare non del tutto soddisfacente, data la ricchezza di dettagli, note,
descrizioni di situazioni; quello che possiamo garantire però, come avviene in
un’opera lirica, è che tra il libretto e l’esecuzione vi è una profonda e sostanziale
differenza: per ottimizzare il volume non è sufficiente leggere ma occorre sperimentare. Allora il difetto ritorna a essere un pregio.
E ora veniamo alla strutturazione del nostro lavoro. Nel capitolo primo,
«Dall’ICPS alla condotta prosociale», vengono tracciati i lineamenti teorici tratti
dall’originale programma di Shure e Spivack, dai quali abbiamo ricevuto materiale originale e a cui ci siamo ispirati. Dopo una quindicinale esperienza di applicazioni pratiche nel contesto italiano, abbiamo cominciato a studiare anche le
connessioni con altri programmi di educazione alla prosocialità che pure utilizzavamo. Dall’intreccio di questi due filoni di studio, ricerca e applicazione, prende
forma l’IPCPS. Nei capitoli secondo e terzo, rispettivamente «Il programma
IPCPS per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo della scuola primaria» e «Il
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PROMUOVERE L’INTELLIGENZA INTERPERSONALE
programma IPCPS per il secondo ciclo della scuola primaria e la scuola media»,
vengono illustrate in maniera dettagliata tutte le attività da proporre alla classe al
fine di realizzare gli obiettivi. Abbiamo scelto la forma più esplicita di descrizione
ricorrendo a copioni delle unità didattiche, fornendo tutte le indicazioni necessarie
e sufficienti per concretizzarlo e attuarlo: suggerimenti pratici, disegni e indicazioni su come costruire i materiali fanno parte integrante dei capitoli, che si concludono con la descrizione delle prove di valutazione in ingresso e in uscita utili alla
misurazione dell’efficacia del programma. Anche queste sono naturalmente corredate di tutti i materiali necessari e non richiedono competenze psicometriche
specifiche. Nel capitolo quarto, «Studi e ricerche sull’efficacia del programma»,
vengono illustrati i risultati di studi e ricerche a supporto della provata efficacia ed
efficienza del programma. I lettori più interessati a questa componente di ricerca
troveranno ulteriori spunti per l’approfondimento. Ci auguriamo che si utilizzi il
manuale anche per la realizzazione di ricerche-azioni.
DALL’INTERPERSONAL COGNITIVE PROBLEM SOLVING
15
ALLA CONDOTTA PROSOCIALE
1
Dall’Interpersonal Cognitive Problem
Solving alla condotta prosociale
Il programma IPCPS (Interpersonal Prosocial Cognitive Problem Solving) nasce dall’integrazione dell’Interpersonal Cognitive Problem Solving di
Shure e Spivack (adattamento italiano a cura di Ricci, Diadori e Pompei, 1995b;
1996a; 1996b; 1996c; 1996d; 1997a; 1997b; 1997c; 1997d; 1998a; 1998b),
un training che mira allo sviluppo delle abilità di risoluzione di problemi interpersonali, con i programmi di prosocialità (Roche, 1997; 2002).
Con tale integrazione i valori prosociali assumono un’importanza determinante quale guida all’azione e ben si integrano con gli aspetti pragmatici e pratici
della cultura originale espressa dai programmi ICPS.
Ciò comporta una riformulazione delle finalità sottese dal programma, ora
definito IPCPS: «Incrementare le condotte prosociali facilitando nei bambini
l’apprendimento di abilità cognitive e comportamentali per la risoluzione dei
problemi interpersonali».
La condotta prosociale: una prima definizione
La prosocialità è la competenza che, senza la ricerca di ricompense
esterne, estrinseche o materiali, favorisce altre persone, gruppi o fini sociali
oggettivamente positivi, secondo i criteri di questi ultimi, e aumenta le
16
PROMUOVERE L’INTELLIGENZA INTERPERSONALE
probabilità di generare una reciprocità positiva di qualità e solidale nelle
relazioni interpersonali o sociali conseguenti, migliorando l’identità, la creatività, l’iniziativa positiva e l’unità delle persone o dei gruppi implicati (Roche,
1997).
Il termine «prosociale» dal punto di vista scientifico fu introdotto da Wispè
(Roche, 1997; 2002) per indicare un significato opposto a quello di antisociale.
Certe azioni prosociali, più che essere finalizzate al benessere di uno dei
due interlocutori, sono esplicitamente dirette a realizzare una comunicazione di
qualità.
La condotta prosociale può svilupparsi attraverso una serie di fasi così
strutturate (Salfi e Barbara, 1990):
1.
2.
3.
4.
5.
percepire il bisogno dell’interlocutore;
interpretare questo bisogno in modo corretto;
riconoscere che l’interlocutore può essere aiutato;
valutare la propria competenza nella situazione specifica;
prevedere il grado di costo personale o il rischio, nonché le conseguenze
dell’azione;
6. essere disponibile ad accettare il costo previsto;
7. implementare l’azione;
8. valutare gli effetti della propria azione sul beneficiario.
Dalle ricerche si evidenzia un certo grado di diffusività della condotta prosociale, ovvero quando un emittente presenta tale condotta aumentano le probabilità che il destinatario modifichi il proprio comportamento nella stessa direzione
di quello manifestato dal suo interlocutore (Roche, 1997).
I prerequisiti cognitivi
Mussen ed Eisenberg-Berg (1985) hanno messo in relazione prosocialità e
competenze cognitive. Più dettagliatamente hanno individuato nell’abilità di percepire il bisogno dell’interlocutore e di interpretarlo correttamente un prerequisito fondamentale.
Non meno rilevante è la capacità di riconoscere che l’interlocutore può
essere aiutato, valutando la propria competenza a tale riguardo. Gli autori inoltre
insistono sulle capacità previsionali e sulla valutazione delle conseguenze, al fine
di poter accettare anche un eventuale costo per la persona che compie l’azione
prosociale. Competenze più progredite riguardano il monitorare l’implementazione del comportamento e valutarne gli effetti su di sé, sull’altro e su eventuali
terzi.
DALL’INTERPERSONAL COGNITIVE PROBLEM SOLVING
ALLA CONDOTTA PROSOCIALE
17
I prerequisiti sociali
Ricci e Roche (2002; Ricci, 2003) sostengono che la condotta prosociale va
intesa come un’evoluzione del costrutto di competenza sociale. Questo significa
che per manifestare una condotta genuinamente prosociale è indispensabile che
la persona abbia maturato e sperimentato nella propria vita di relazione l’insieme
di abilità sociali che confluiscono nel concetto di competenza sociale. L’azione
prosociale deve essere un atto intenzionale e consapevole piuttosto che una
reazione a bisogni espressi da altri, ai quali per esempio una persona con
problemi di anassertività tenderebbe comunque a rispondere, facendolo però in
una sorta di costrizione emozionale. Per fare un esempio banale, immaginiamo
che ci venga posta una richiesta alla quale potremo rispondere sì o no; una
persona con ansia sociale risponderebbe di sì semplicemente perché non sa dire
di no nel senso emotivo del termine, mentre una persona che decide di comportarsi in modo prosociale è perfettamente in grado di dire di no senza provare
alcuna remora emotiva; tuttavia, riconoscendo e percependo il bisogno dell’altro,
con molta probabilità tenderà a scegliere il sì in modo autonomo ed emotivamente soddisfacente. Non solo: ci sono circostanze nella vita di relazione in cui il modo
migliore di aiutare un’altra persona è proprio quello di dire di no, e mentre la
persona anassertiva continuerà ad avere i suoi problemi nel farlo, questo, nella
prospettiva prosociale, sarà la scelta migliore.
I prerequisiti socioemotivi
Un’altra componente fondamentale della condotta prosociale riguarda l’empatia, non tanto come stato in una persona ma come processo (Rogers, 1975).
Per quanto il concetto stesso di empatia non sia privo di complessità, al punto da
configurarsi come una competenza comunicativa interazionale, rischiando una
semplificazione per eccesso possiamo sintetizzarlo nei seguenti punti (Scilligo,
1992):
a) entrare nel mondo percettivo privato dell’altra persona e sentirlo familiare;
b) essere sensibili al cambiamento percepito dei significati che fluiscono nell’altra
persona, alla paura, alla rabbia, alla tenerezza, alla confusione o a qualsiasi
altro modo di sentire che l’altra persona sperimenta;
c) accettare in modo incondizionato l’altro non sentendo alcun bisogno di esprimere giudizi;
d) comunicare l’accettazione delle paure dell’altro;
e) verificare frequentemente la precisione di quanto si percepisce, lasciandosi
guidare dalle risposte che l’altro fornisce;
18
PROMUOVERE L’INTELLIGENZA INTERPERSONALE
f) diventare un amico confidenziale per l’altro nel suo mondo interiore;
g) indicare così i possibili significati della sua esperienza allo scopo di aiutarlo.
L’empatia, dal punto di vista cognitivo, rappresenta la capacità di discriminare, comprendere e assumere il punto di vista di un’altra persona; sul piano
emozionale, poi, l’empatia ha a che fare con la capacità di reagire a un dato
fenomeno con le stesse emozioni del proprio interlocutore. Queste due componenti, cognitiva ed emozionale, sono interdipendenti.
Gli studiosi concordano nel ritenere che l’empatia agisca come un processo
di mediazione fra la percezione dello stato di bisogno dell’altro e l’azione prosociale stessa. Si può concludere dicendo che un maggior grado di empatia favorisce
l’attitudine ad agire prosocialmente e quindi è necessario apprendere a possedere
questa abilità per incrementare il grado di prosocialità.
I prerequisiti di autoregolazione
Ricci e Roche (2002) sostengono che, parallelamente alle competenze
cognitive e sociali, un prerequisito allo sviluppo della condotta prosociale riguarda
quelle che vengono chiamate coping skills, intese come abilità di fronteggiamento e autocontrollo.
Quando una persona si trova a dover scegliere tra due o più comportamenti
alternativi e incompatibili tra loro e dei quali uno ha maggiori probabilità di essere
rinforzato nell’immediato, ovvero è più gratificante dell’altro, quella persona
tenderebbe ad attuarlo, ma tanto più avrà sviluppata la competenza sopraccitata,
tanto maggiore sarà la sua libertà di scegliere l’azione prosociale.
Immaginiamo, ad esempio, che questa persona sia un bambino che corre in
bicicletta con i compagni; uno dei suoi amici buca una gomma. Il suo stato di
bisogno è evidente, e il bambino dovrà scegliere tra due alternative: continuare la
corsa con gli altri o fermarsi ad aiutare il compagno. Quest’ultima alternativa è
meno gratificante, ma la sua attuazione rappresenta una forma di autocontrollo
e determina un comportamento prosociale.
Il problem solving interpersonale
Il problem solving interpersonale viene definito come «un processo psicologico relazionale che rende disponibile una varietà di alternative di risposta potenzialmente efficaci e aumenta la probabilità di scegliere la risposta più efficace tra
le varie alternative» (D’Zurilla e Golfried, 1971).
DALL’INTERPERSONAL COGNITIVE PROBLEM SOLVING
ALLA CONDOTTA PROSOCIALE
19
Diversi autori hanno lavorato sull’identificazione delle fasi del problem
solving interpersonale, tra le quali:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
identificare/definire il problema;
generare soluzioni alternative;
anticipare e valutare le conseguenze;
giungere a una decisione;
implementare l’azione;
verificarne i risultati.
Già a partire dagli anni Cinquanta compaiono studi che pongono enfasi sulla
relazione tra soluzione efficace dei problemi interpersonali e adattamento sociale,
e che sostengono che la salute mentale è correlata a un processo di problem
solving caratterizzato dalla tendenza a riconoscere e definire un problema, a
riflettere sulle possibili soluzioni, a prendere decisioni e ad agire (Mirandola e
Soresi, 1991).
L’adattamento sociale nelle diverse situazioni di interazione dipende dalla
capacità di adeguare il proprio comportamento attraverso una valutazione comparata di quelle che sono le nostre finalità nell’interazione, rapportate a quelle
perseguite dall’altra o dalle altre persone. Per cui, quando i comportamenti attuati
sono efficaci nel conseguire i fini prefissati, senza determinare situazioni di
interazione caratterizzate da conflitto, possiamo parlare di abilità sociale (Corao
e Micheluz, 1984).
Il modo in cui vengono gestite tali situazioni problematiche ha necessariamente delle ripercussioni sul piano della salute mentale, incidendo profondamente sull’adeguatezza del livello di funzionamento sociale dell’individuo (Mirandola e
Soresi, 1991).
Numerosi ricercatori, tra cui Shure e Spivack (1972) e Foster e Ritchey
(1979), hanno affermato che le abilità di problem solving interpersonale sono un
prerequisito di un adeguato adattamento sociale. In confronto ai loro pari socialmente competenti, i bambini e gli adolescenti che non possiedono buoni livelli di
competenza sociale hanno mostrato carenze in varie abilità di problem solving
interpersonale.
Spivack, Platt e Shure (in Coleman, Wheeler e Webber, 1993) hanno
rilevato che tali differenze persistono dall’infanzia fino all’età adulta. Inoltre, tra i
bambini con carenze nel problem solving interpersonale si trovano quelli etichettati come aggressivi (Asarnow e Callan, 1985; Shure, Spivack e Jaeger, in
Coleman, Wheeler e Webber, 1993), con disturbi emotivi (Siegel e Platt, in
Coleman, Wheeler e Webber, 1993), impopolari e isolati (Renshaw e Asher, in
Coleman, Wheeler e Webber, 1993) e impulsivi (Spivack e Shure, 1974).
20
PROMUOVERE L’INTELLIGENZA INTERPERSONALE
Le carenze specifiche di problem solving interpersonale comprendono
problemi con il pensiero divergente (la capacità di generare più di una potenziale
soluzione a una situazione problematica), il pensiero consequenziale (la capacità
di prevedere le possibili conseguenze di un’azione e di utilizzare tale abilità nel
prendere decisioni) e il pensiero «mezzi-fini» (la capacità di pianificare e di eseguire
un certo numero di passi verso un dato obiettivo) (Spivack et al., in Coleman,
Wheeler e Webber, 1993). In particolare, quest’ultimo pensiero «include la
capacità di anticipare o aggirare un potenziale ostacolo, elaborare un piano
alternativo se l’ostacolo è reale o psicologicamente insormontabile, la consapevolezza che il fine non è sempre raggiungibile e che determinati momenti sono più
propizi di altri per agire» (Shure e Spivack, 1972).
Shure e Spivack, negli anni Settanta, in seguito alla scoperta del rapporto tra
comportamento disadattivo e capacità di problem solving, idearono l’Interpersonal
Cognitive Problem Solving (ICPS), un programma educativo e allo stesso tempo di
prevenzione primaria mirante alla salvaguardia della salute mentale, studiato per
aiutare i bambini a sviluppare abilità di risoluzione dei problemi interpersonali, cioè
quelle specifiche abilità che permettono di affrontare e risolvere nel miglior modo
i problemi che sorgono quotidianamente nella relazione con altre persone.
Secondo Spivack e Shure (1985), un comportamento disadattivo non necessariamente riflette conflitti o disturbi emotivi, ma può riflettere l’abitudine di
non pensare alle conseguenze di un’azione prima di agire o l’incapacità di operare
tale riflessione. Gli adolescenti disadattati, non tollerando la tensione dell’attesa,
possiedono poco autocontrollo, una prospettiva temporale ristretta e uno specifico deficit cognitivo-sociale che si manifesta in un’incapacità di pensare e risolvere situazioni problematiche.
Da qui la necessità di studiare tali processi anche nei bambini più piccoli. Le
ricerche vennero quindi focalizzate su quelli di circa 4 anni e portarono alla
scoperta di tre abilità cognitive specifiche: pensiero consequenziale, pensiero
causale e sensibilità cognitiva alla possibile natura interpersonale di un problema
che coinvolge un’altra persona (Spivack e Shure, 1985). Gli autori elaborarono
quindi programmi educativi per i bambini della scuola dell’infanzia e primaria.
Il training al problem solving interpersonale si occupa innanzitutto dei
processi cognitivi e della loro rilevanza per l’adattamento comportamentale. In
questa cornice l’incompetenza interpersonale è concettualizzata in primo luogo
come un deficit cognitivo a cui è possibile porre rimedio attraverso l’accentuazione del processo di problem solving. Perciò, gran parte del training è rivolta a
processi di pensiero nell’attesa che, una volta appreso il processo di risoluzione,
sia poi applicato a molte situazioni problematiche (Urbain e Kendall, 1980). I
sostenitori del training rivolto al problem solving interpersonale ritengono che
DALL’INTERPERSONAL COGNITIVE PROBLEM SOLVING
ALLA CONDOTTA PROSOCIALE
21
esso «funga da mediatore inducendo comportamenti socialmente competenti e
consenta l’adattamento comportamentale in una grande varietà di situazioni e
contesti» (Denham e Almeida, 1987).
Sono stati elaborati e proposti vari interventi educativi applicabili in diversi
contesti: scolastico, familiare, istituzionale.
I programmi strutturati secondo il modello ICPS centrano la propria analisi
e intervento sugli aspetti cognitivi del comportamento interpersonale, cercando
di non imporre al soggetto delle soluzioni sociali preconfezionate, quanto di
insegnare delle strategie di pensiero che consentano la scelta di una soluzione dei
problemi interpersonali fondata su attente e accurate valutazioni delle proprie
azioni e di quelle altrui. In quest’ottica le disabilità sociali vengono affrontate allo
stesso modo di altre disabilità di apprendimento, con la differenza che il comportamento insegnato è un certo modo di pensare (Corao e Micheluz, 1984).
Questi programmi educativi, quindi, aiutano il bambino a rispondere in
modo soddisfacente alle richieste sociali che continuamente l’ambiente gli pone,
evitando di scegliere comportamenti aggressivi, impulsivi o di inibizione sociale.
Contemporaneamente aiutano l’adulto a non assumere un comportamento che
potremmo definire «imposizione al cambiamento»: «Non fare questo, perché non
è giusto...», «Fai questo, perché te lo dico io...» (Spivack e Shure, 1985).
Spivack e Shure hanno messo in luce che spesso gli insegnanti si concentrano sul contenuto di quello deve essere appreso piuttosto che sul processo di
apprendimento: essi insegnano ai bambini che cosa pensare, ma non li aiutano
a imparare come pensare autonomamente, non forniscono loro la possibilità di
apprendere strategie cognitive. I metodi più efficaci sono quelli che aiutano i
bambini a fare da sé, ad affrontare liberamente il mondo, ad agire sulla base di una
riflessione intelligente e non per cieca forza dell’abitudine; metodi che offrono ai
soggetti la possibilità di apprendere strategie cognitive e abilità sociali che li
guidino a come pensare e non a cosa pensare.
Nel programma l’attenzione viene rivolta quindi più ai processi che portano
l’alunno a una prestazione e meno al prodotto in sé e per sé. «Il focus non è che
cosa pensi, ma che egli stia pensando» (Spivack e Shure, 1985).
La ricerca sull’ICPS ha dimostrato che tali programmi di training permettono all’individuo di acquisire le abilità necessarie a risolvere in modo efficace un
problema interpersonale e che tale capacità di problem solving è un mediatore
della salute mentale. Dato che nella vita quotidiana gli stress interpersonali sono
inevitabili, è necessario preparare noi stessi e i nostri bambini ad affrontarli con
successo; in questa prospettiva i programmi ICPS dovrebbero entrare a far parte
del curricolo standard di ogni scuola dell’infanzia e primaria, perché divengano
mezzi efficaci di prevenzione primaria.
IL
PROGRAMMA
IPCPS PER IL 2° CICLO DELLA SCUOLA PRIMARIA E LA SCUOLA MEDIA
139
TABELLA 3.1
Materiali necessari per lo svolgimento dei giochi
Giochi
2° ciclo della scuola primaria e scuola media
Materiali
Scopo
1
Nessuno
Sottolineare il concetto di negazione.
Sviluppare il pensiero decentrato favorendo la considerazione delle caratteristiche degli altri.
2
Nessuno
Promuovere la capacità comunicativa ed espressiva di ogni bambino
all’interno del gruppo e introdurre i
concetti di uguale e diverso.
3
Nessuno
Favorire l’ascolto di sé e la percezione delle proprie sensazioni corporee.
4, 5, 6
7
8, 12,
14, 15,
17
9
– Set di 16 schede con parole che Sviluppare la sensibilità ai propri e
altrui sentimenti.
indicano i sentimenti
– Set di 7 schede con parole che
indicano personaggi familiari
Nessuno
Riconoscere l’importanza di ascoltare gli altri, di disporre dell’intero
messaggio e di ottenere informazioni direttamente dalla fonte originale.
– Set di 16 schede con parole che Espandere il repertorio di parole-sentimento in possesso dei bambini per
indicano i sentimenti
– Set di 7 schede con parole che aiutarli a sviluppare una sensibilità
al punto di vista proprio e degli altri.
indicano personaggi familiari
Marionette
Favorire l’espressione di sé nel rispetto dell’altro e il sentimento di
accoglienza.
10
Bende per gli occhi
Favorire la conoscenza dell’altro e
incoraggiare la fiducia reciproca.
11
Memory: coppie di carte uguali
Ricordare cose (sentimenti, preferenze, ecc.) che riguardano gli altri.
(continua)
140
PROMUOVERE L’INTELLIGENZA INTERPERSONALE
Giochi
Materiali
Scopo
13
Nessuno
Prestare più attenzione a ciò che le
persone dicono e ricordare tali affermazioni. È un’attività che si incentra
sulle preferenze personali.
16
Nessuno
Lo stesso del gioco 13, ma stavolta
ci si concentra sui sentimenti.
18
Nessuno
Favorire l’attribuzione di valori positivi all’altro e stimolare la reciprocità.
19
Giornali da ritagliare
Favorire la capacità di discriminazione
tra situazioni piacevoli e spiacevoli.
20
Set di 16 schede con parole che indi- Sviluppare la sensibilità ai modi di
sentire delle altre persone. Introcano sentimenti
durre il concetto che c’è più di un
modo di capire come qualcuno si
sente: guardando, ascoltando, chiedendo.
21
Set di 16 schede con parole che indi- Esercitare il pensiero consequenziale. Favorire l’acquisizione della cacano sentimenti
pacità di pianificare passo dopo passo i mezzi per raggiungere fini interpersonali.
22
Fumetti: stesso/a bambino/a che Individuare le possibili cause per cui
le persone si sentono in un certo
manifesta sentimenti diversi
modo, prerequisito alla successiva
sensibilità verso cosa ha condotto a
un problema interpersonale.
23
– Copioni per effettuare il role-playing Far esperienza di ascolto degli altri,
in modo da sviluppare la sensibilità
– Marionette
ai loro pensieri e sentimenti.
24
Immagine rappresentante una situa- Favorire l’individuazione delle caratteristiche del buon ascolto e lo svizione interpersonale
luppo del sentimento di accettazione dell’altro.
25
Nessuno
Focalizzarsi sul come (e perché) diverse persone possono provare sensazioni diverse nella stessa situazione.
(continua)
IL
PROGRAMMA
IPCPS PER IL 2° CICLO DELLA SCUOLA PRIMARIA E LA SCUOLA MEDIA
Giochi
Materiali
141
Scopo
26
Figure delle conseguenze
Cercare di capire le motivazioni delle
persone nel compiere un’azione (vantarsi, infastidire, ecc.).
27
– 2 marionette con sembianze di ragazza
– 2 marionette con sembianze di
ragazzo
– Lista delle parole-sentimento dei
giochi precedenti
Come preparazione al role-playing, i
bambini vengono stimolati a esprimere pensieri e sentimenti di due
persone in una situazione interpersonale.
28
Lista delle parole-sentimento dei gio- Sperimentare la possibilità di arrivare a conclusioni diverse rispetto alla
chi precedenti
stessa situazione problematica.
29
Nessuno
Estendere la capacità di porsi da una
certa prospettiva, quale prerequisito
al più complesso problem solving e
pensiero sequenziale.
30
Disegno: automobile
Raccogliere informazioni per evitare
false opinioni in situazioni problematiche.
31
Nessuno
Estendere ai rapporti interpersonali
l’attività del raccogliere informazioni. I bambini sono stimolati a pensare a più di una spiegazione per un
evento interpersonale.
32
– Etichette con i nomi: Claudia, Alessia, Paola
– Qualcosa che possa essere utilizzata come regalo
– Carta da regalo e nastro
Sviluppare la capacità di pensare simultaneamente a punti di vista diversi basandosi su una differente
conoscenza della situazione.
33
– Copione per bambini con «Scenet- Cercare di evitare i pregiudizi, e
passare dalla comprensione e spieta della matita»
gazione del «perché» le persone
– Marionette
fanno certe cose alle cause degli
eventi.
34
Nessuno
Favorire lo sviluppo della capacità di
chiedere qualcosa a qualcuno e di
rispondere a una richiesta.
(continua)
142
PROMUOVERE L’INTELLIGENZA INTERPERSONALE
Giochi
Materiali
Scopo
35
Nessuno
Favorire lo sviluppo della capacità di
proporre critiche costruttive all’operato degli altri.
36
Disegno: ragazzo alla porta
Capire che bambini diversi possono
vedere una stessa cosa in modi diversi.
37
Nessuno
Ripasso delle abilità di pre-problem
solving per l’applicazione a situazioni reali.
38
Nessuno
Introdurre il pensiero risolutivo e consequenziale. Iniziare a riconoscere
che i problemi non possono sempre
essere risolti velocemente e che la
prima idea a cui uno pensa non sempre è la migliore.
39, 41
Figure stilizzate disegnate sulla lava- Stimolare i bambini a pensare a più
alternative per la risoluzione di progna
blemi interpersonali.
Ripasso dei concetti appresi in precedenza; estensione di una storia
alla soluzione del problema.
40
Copioni per bambini
42
Fumetti: diverse persone che espri- I bambini pensano a ciò che fa sentire allo stesso modo persone diverse.
mono lo stesso sentimento
43
Disegno: ragazzo che vuole mostrare Pensare a più alternative per la soluqualcosa all’insegnante impegnata zione di un problema.
con un altro bambino
44
Nessuno
I bambini assumono la prospettiva
di un’altra persona.
Figure stilizzate alla lavagna
Favorire la capacità di valutare le
soluzioni in maniera autonoma per
riconoscere successivamente che si
può lavorare a una soluzione diversa
(più efficace) se è necessario.
Nessuno
Fare pratica nel processo di prendere decisioni scegliendo le migliori o
le peggiori soluzioni in base alle conseguenze potenziali.
45, 46
47
(continua)
IL
PROGRAMMA
IPCPS PER IL 2° CICLO DELLA SCUOLA PRIMARIA E LA SCUOLA MEDIA
Giochi
48, 49
50
51, 52,
60, 61
Materiali
143
Scopo
Nessuno
Lo stesso del gioco 47 con l’introduzione del concetto di prosocialità
nella valutazione della soluzione migliore.
Set di figure con più persone
Accoppiare una soluzione e una conseguenza.
Nessuno
Sviluppo del pensiero mezzi-fini.
53
Fumetti: diverse persone che espri- I bambini pensano a cosa fa sentire
persone diverse in modi diversi.
mono diversi sentimenti
54
– Figure stilizzate
– Foglio delle soluzioni
I bambini pensano a soluzioni che
possono condurre a una specifica
conseguenza.
55
Copioni per gli attori
Ponderare pro e contro delle azioni.
56
Nessuno
Lo stesso del gioco 51 nella prospettiva prosociale.
57
– Fogli su cui scrivere situazioni pro- Sviluppare la sensibilità a riconoscere che non è sempre possibile indiviblematiche, a gruppi
duare il problema se non ci sono
– Un burattino
informazioni sufficienti.
58
Tre marionette
Sviluppare la capacità di scelta del
momento opportuno come elemento importante del problem solving.
Nessuno
Variazione del modello mezzo-fine.
Riferimento ai giochi 51, 52 e 56.
59a;
59b
144
PROMUOVERE L’INTELLIGENZA INTERPERSONALE
Il programma: abilità di pre-problem solving
1
A CHI STO PENSANDO?
Materiali: nessuno.
Scopo: si sottolinea il concetto di negazione, per aiutare i bambini nel compito
successivo di pensare se le soluzioni al problema sono o non sono buone.
I bambini considerano anche le caratteristiche degli altri, primo passo verso il
pensiero decentrato quando si presentano problemi interpersonali.
[Con cadenza veloce, eccitante:] Io sto pensando a un bambino di questa classe.
Sto pensando a una ragazza. Se sto pensando a una ragazza, nominate un
bambino a cui non sto pensando [lasciate rispondere il gruppo].
Bene, non sto pensando a [un bambino nominato] perché [il bambino nominato]
è un ragazzo. A chi altro non sto pensando? [Lasciate rispondere il gruppo.]
Giusto, io non sto pensando a [un altro bambino nominato] perché anche lui è un
ragazzo. Va bene, sto pensando a una ragazza.
Non sto pensando a qualcuno che sta indossando un vestito blu.
A quale ragazza io non sto pensando? [Lasciate rispondere i bambini. Se più di
una ragazza sta indossando un vestito blu, domandate:] A chi altro io non sto
pensando?
[Nominate qualcosa che almeno due ragazze stanno indossando.] Io sto pensando a una ragazza che indossa una blusa bianca.
Quali ragazze indossano una blusa bianca? [Il gruppo risponde.]
Io sto pensando a una ragazza con una blusa bianca e una gonna rossa.
A chi non sto pensando, che ha una blusa bianca? [Il gruppo replica.]
A chi sto pensando? [I bambini rispondono.]
Va bene. Ora renderò il gioco un po’ più difficile.
Scegliete qualcosa che almeno tre bambini stiano indossando,
due ragazzi e una ragazza: per esempio dei pantaloni verdi.
Sto pensando a qualcuno con i pantaloni verdi.
A chi non sto pensando? [I bambini rispondono.]
Bene, non sto pensando a [un bambino nominato] perché lui ha i pantaloni
[rossi].
Io non sto pensando a una ragazza con i pantaloni verdi.
Potrei pensare a ... o ... [la classe risponde].
ABILITÀ PRE-PROBLEM SOLVING
Gioco
IL
PROGRAMMA
IPCPS PER IL 2° CICLO DELLA SCUOLA PRIMARIA E LA SCUOLA MEDIA
145
Ora io sto pensando a una ragazza.
Non sto pensando a una ragazza il cui nome inizia con «L».
A chi non sto pensando?
Bene, non sto pensando a [Laura] perché [Laura] inizia con la «L».
[Se un altro nome di ragazza inizia con «L», chiedete:] A chi altro io non sto
pensando?
Scegliete la prima lettera del nome di due o più ragazze.
Io sto pensando a una ragazza il cui nome inizia con «T».
Potrei pensare a ... o ... [il gruppo risponde].
Va bene. Sto pensando a una ragazza il cui nome inizia con «T» e il cognome inizia
con [nominate la lettera appropriata].
Voi sapete di chi sono le iniziali T e ... A chi sto pensando? [La classe risponde.]
Lasciate che i bambini pensino a qualcuno e guidate il gioco a
seconda del tempo a disposizione e dell’interesse dei bambini.
Gioco
1
continua
A COSA /A CHI STO PENSANDO?
(Indicato per ragazzi sopra i 10 anni di età)
[Con cadenza veloce, eccitata:] Io sto pensando a qualcosa che è in questa
classe e che non è una persona. A cosa sto pensando? Potete farmi delle
domande a cui io risponderò solo con sì o no.
Avete a disposizione una domanda ciascuno. Chi vuole cominciare?
Lasciate rispondere un ragazzo del gruppo. Rispondete solo sì o no.
Mentre io rispondo alle vostre domande potete iniziare a farvi un’idea della
possibile soluzione. Però potrete dirmi la soluzione solo alla fine del gioco,
quando cioè io avrò risposto a tutte le domande. A questo punto alzerete la mano
e io vi chiamerò.
Bene, io sto pensando ..., chi vuole farmi una domanda?
ABILITÀ PRE-PROBLEM SOLVING
Io sto pensando a un ragazzo con i pantaloni verdi ma che non sta indossando
una [maglietta blu].
Io sto pensando a ... [i bambini rispondono].
146
PROMUOVERE L’INTELLIGENZA INTERPERSONALE
Potete chiedermi se l’oggetto ha una determinata caratteristica, per esempio
una data forma, ecc. Ricordate però che non potete chiedermi se ciò a cui sto
pensando è [nominate un oggetto della classe], perché non posso rispondere a
una domanda come questa.
Se io non sto pensando a qualcosa che ha ... [nominate la caratteristica citata
dai ragazzi], a cosa sto pensando? Chi vuole farmi un’altra domanda?
Se io sto pensando a una cosa che è ... [nominate la caratteristica citata dai
ragazzi], a cosa sto pensando?
[Quando tutti hanno fatto la loro domanda:] Chi vuole fare un’ipotesi su ciò a cui
sto pensando? [Lasciate rispondere il gruppo.]
[Quando qualcuno espone una soluzione sbagliata:] No, mi dispiace, non è
questo che sto pensando. Chi vuole fare altre ipotesi?
Lasciate rispondere il gruppo.
[Quando qualcuno indovina:] Sì, è questo ciò a cui sto pensando, sei stato molto
bravo.
Ripetete il gioco ancora una o due volte a seconda dell’interesse
e del tempo a disposizione.
Ora cambieremo un po’ il gioco. Questa volta io sto pensando a qualcosa che è
in questa classe ma che non è una cosa, chi può dirmi a cosa sto pensando?
Anche questa volta avete a disposizione una domanda ciascuno alla quale io
potrò rispondere solo con sì o no.
Lasciate rispondere il gruppo.
[Dopo le risposte dei ragazzi dite:] Molto bene, io questa volta sto pensando a
una persona. Ma a chi sto pensando? Potete fare delle ipotesi basandovi sulle
risposte che io do alle vostre domande, ma anche questa volta potrete darmi la
vostra soluzione solo alla fine.
Io sto pensando a un ragazzo o a una ragazza di questa classe, chi può scoprire
di più?
Lasciate che i ragazzi vi facciano delle domande alle quali risponderete sì o no.
[Dopo le domande dei ragazzi dite:] Molto bene, avete capito che io non sto
pensando a un ragazzo. Se quindi io sto pensando a una ragazza, a chi sto
pensando?
ABILITÀ PRE-PROBLEM SOLVING
Lasciate che il primo ragazzo faccia la domanda e rispondete sì o no.
IL
PROGRAMMA
IPCPS PER IL 2° CICLO DELLA SCUOLA PRIMARIA E LA SCUOLA MEDIA
147
Potete farmi delle domande sulle sue caratteristiche fisiche, su come è vestita,
ecc. Ma non potete chiedermi se è [nominate una ragazza della classe], perché
non posso rispondere a questa domanda.
[Finite le domande:] Ora potete iniziare a dare delle soluzioni su chi sto pensando. Chi vuole incominciare? Alzate la mano e sarete chiamati.
[Dopo che qualcuno ha risposto in modo esatto:] Bravissimo, io stavo proprio
pensando a [nominate la ragazza citata].
Continuate con il gioco ancora una o due volte in base all’interesse
e al tempo a disposizione.
Gioco
2
PRESENTARSI
Materiali: cartoncini.
Scopo: promuovere la capacità comunicativa ed espressiva di ogni bambino
all’interno del gruppo e introdurre i concetti di uguale e diverso.
Scrivete il nome degli alunni sui cartoncini e disponeteli al centro
del cerchio.
[Prendendo un cartoncino a caso:] Di chi è questo nome? [Lasciate rispondere
il gruppo; quando il bambino si dichiara, dite:] Bene [nome del bambino], ci
piacerebbe che tu ci raccontassi qualcosa di te. Hai fratelli o sorelle? Quale gioco
ti piace fare? Con chi giochi? [Ecc.]
Dopo che il bambino si è presentato, è lui stesso a prendere un
altro cartoncino. Rivolgete altre domande al nuovo soggetto.
Mentre si procede si introducono i concetti di «uguale» e «diverso»,
sottolineando le differenze e le somiglianze tra i bambini presenti.
ABILITÀ PRE-PROBLEM SOLVING
Lasciate rispondere il gruppo.
PROGRAMMA
Gioco
16
IPCPS PER IL 2° CICLO DELLA SCUOLA PRIMARIA E LA SCUOLA MEDIA
169
TI RICORDI? (2)
Materiali: nessuno.
Scopo: lo stesso del gioco 13, ma stavolta ci si concentra sui sentimenti.
Cambiate il comitato e i giocatori e utilizzate tutte le domande che
ritenete possano essere padroneggiate dal gruppo. Poi registrate
le risposte come nel «Ti ricordi I», accertandovi che a ogni squadra
sia rivolto un uguale numero di domande.
[Al comitato A:] [Giorgio], dicci qualcosa che ti fa sentire felice. [Chiedete la
stessa cosa a ogni membro del gruppo. Se si desidera, registrate le domande per
controllare.]
[Ai giocatori A:] Chi sa dirci cosa ha detto ogni membro del comitato che lo fa
sentire felice? [Registrate ogni risposta corretta, se necessario chiedete a un
altro giocatore di continuare.]
[Al comitato B:] Ognuno di voi ci dice cosa lo fa sentire orgoglioso.
[Ai giocatori B: ripetete come con i giocatori A, registrando le risposte corrette.]
[Al comitato A:] Siamo al secondo giro. Ognuno di voi ci dice qualcosa che lui ha
fatto che ha reso qualcun altro felice.
[Ai giocatori A: lasciate rispondere un bambino diverso da quello che lo ha fatto
al giro 1. Registrate.]
[Al comitato B:] Ognuno di voi ci dice qualcosa che ha fatto che ha reso qualcun
altro arrabbiato.
[Ai giocatori B: lasciate rispondere un nuovo giocatore. Registrate.]
[Al comitato A:] Ora cambieremo ancora il gioco. Ognuno di voi ci dirà ancora cosa
lo fa sentire felice. [Il comitato risponde.] Ora diteci ancora cosa avete detto di
aver fatto che ha reso qualcun altro felice.
[Il comitato risponde.] Va bene, ora diteci cosa vi fa sentire spaventati.
[Ai giocatori A:] Chi ha detto che ... li ha fatti sentire felici? Chi ha detto che ...
li ha fatti sentire spaventati? Chi ha detto che ... ha reso felice qualcun altro?
Cosa [nome di un bambino] e [nome di un bambino] hanno detto che li ha resi
felici? [Registrate ogni risposta corretta.]
[Al comitato B:] Ognuno di voi ci dirà ancora cosa ha detto che lo fa sentire
orgoglioso. [Il comitato risponde.] Ora cosa ha fatto che ha reso qualcun altro
arrabbiato. [Risponde.] Ora dicci qualcosa che ti ha fa sentire triste.
[Ai giocatori B:] Chi ha detto che ... li fa sentire orgogliosi? Chi ha detto che ... li
fa sentire tristi? Chi ha detto che ... ha fatto sentire qualcun altro arrabbiato?
Cosa [nome di un bambino] e [nome di un bambino] hanno detto che ...?
[Registrate ogni risposta corretta.]
ABILITÀ PRE-PROBLEM SOLVING
IL
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