LA FINTA FRASCATANA O LA FRASCATANA NOBILE di Domenico Cimarosa Ediz. novembre 2008 Dopo aver tratteggiato la figura del tarantino Paisiello (1740-1816) e la sua buffa opera “La Frascatana”(1774), sento le grida di Domenico Cimarosa (Aversa, 1749 – Napoli, 1801) che reclama spazio con la sua opera comica in 3 atti “La finta Frascatana” o “La Frascatana nobile”, rappresentata nel 1776 a Roma al Teatro Valle. I due musicisti, che appartengono alla nobile scuola napoletana, si conoscono bene, si odiano cordialmente e si imitano, tanto che, al successo ottenuto da Paisiello con il lavoro suindicato, risponde Cimarosa, dopo circa due anni, proponendo un’opera quasi con lo stesso titolo, allegra, dove fa da protagonista sempre una furba frascatana. E’ accertato ad ogni modo che, nel Settecento e Ottocento, donna “frascatana” è sinonimo di bellezza e scaltrezza, impudicizia e sensualità. Forse più famosa del vino stesso! Cimarosa, figlio di un muratore e di una lavandaia, rimasto presto orfano, compie gli studi musicali a Napoli in virtù dell’aiuto di un sacerdote. In pochi anni diviene un abile musicista, clavicembalista e organista, nonchè un talentoso cantante. I suoi compagni lo ascoltavano con delizia quando interpretava pezzi d’opera. Lasciato il conservatorio si perfeziona nel canto con il castrato Giuseppe Aprile e nella composizione con il famoso Niccolò Piccinni. A differenza di Paesello, il nostro aversano ha un carattere affabile, mite, sempre sorridente, disposto alla critica per migliorare le sue capacità. Autore prolifico, oltre ad un gran numero di oratori, cantate e requiem compone 99 opere (mentre Paisiello arriva a 140 ma vive 14 anni di più), di cui solo il “Matrimonio segreto” spicca e sopravvive sulle altre. Viene considerato il maggiore musicista del Settecento, superiore a Paesello, Piccinni e agli altri suoi contemporanei. Non sappiamo se questo giudizio critico sia condiviso da tutti gli esperti musicali attuali e nei Conservatori, Va qui segnalato che le opere di Domenico Cimarosa sono diventate a Roma assai popolari, tutte rappresentate al Teatro Valle, ma anche i frascatani hanno potuto godere della sua musica in quanto, già dal 1757, gli impresari del Teatro Valle di Roma, i signori Giacomo Poggi e Filippo Paradisi, avevano impiantato un omonimo teatro a Frascati, situato verso la fine di via Matteotti (demolito all’inizio del Novecento). Come Paesiello anche Cimarosa godette del “privilegio” del carcere napoletano. Il primo per motivi erotici (stupro), l’altro per motivi politici. L’ultimo periodo della vita dell’aversano, è reso amaro per l’invidia e per l’ostilità di persone a lui vicine, soprattutto di Paesello. Infatti, coinvolto scioccamente nei moti della repubblica napoletana (1799), per la quale aveva composto un inno, al ritorno dei Borboni veniva arrestato e condannato a morte, condanna in seguito commutata in esilio. Così, uscito dal carcere, corre a Venezia dove muore mentre progettava di tornare in Russia presso la corte di Caterina II dove già era stato nel 1787. La natura della sua malattia, come scrivono tutti i biografi di Cimarosa, porta alla formazione di alcune voci circa il suo possibile avvelenamento da parte di sicari inviati dalla regina Maria Carolina. I disturbi nervosi e i lancinanti dolori all’intestino, collegati ad una morte “veloce” e per certi versi inaspettata, ha suscitato qualche sospetto di avvelenamento. Il quale non venne fugato neppure con i certificati medici, nella considerazione che tanti erano i nemici che quel disgraziato ed ingenuo Cimarosa si era tirato dietro. Ma aveva anche estimatori, se si pensa che artisti come Goethe, Stendhal, Verdi, Rossini fino a D’Annunzio e Di Giacomo hanno espresso pareri assai positivi su di lui come uomo e come musicista. L’opera “La finta Frascatana” o “La Frascatana nobile” appartiene al filone buffo. M. Scherillo definisce Cimarosa il più grande dei compositori napoletani di opere comiche e dichiara: “Non ha rivali per la vivacità e l’abbondanza e la freschezza delle idee”. Questo giudizio però non sembra condivisibile. Infatti, pur non avendo ascoltato le due opere per poterle paragonare, sta di fatto che la “Frascatana” di Paisiello – negli ultimi cinquanta anni – ha ottenuto maggiori consensi. Nel 1994, nel teatro di Montepulciano, l’opera di Paisello è stata rappresentata con successo di critica e di pubblico ed il soprano Sabina Macculi è risultata la prima “Frascatana” dei tempi moderni. Tutt’e due questi drammi giocosi, ad onor del vero, non sono neppure tanto originali. Infatti nel 1739, prima dell’uscita dell’opera del Paisiello, veniva rappresentata a Napoli, al teatro Nuovo, la commedia per musica in tre atti dal titolo “Amor vuol sofferenza” scritta da un certo Gennarantonio Federico e musicata da Leonardo Leo. Il contenuto della commedia era sempre il solito. Possiamo così sunteggiarlo. La cameriera, poi giardiniera (in Paisiello), poi nobile (in Cimarosa) tiene le fila di una tresca amorosa formata da tre coppie. I tre uomini, di diversa condizione sociale e culturale, desiderano conquistare il cuore della frascatana , la quale – alla fine di varie peripezie e contrattempi – finisce per sposare non il più ricco ma il più bello e simpatico della compagnia, cui l’autore assegna la parte tenorile, non a caso…Alla fine della commedia le tre coppie si ricompongono e si riuniscono come logica vuole, ma resta sempre un quarto pretendente scornato e “sgarrupato” senza donna e senza onore. Ad onor del vero necessita qui rilevare che, durante tutto l’Ottocento e i primi del Novecento, era normale ascoltare lo stesso libretto d’opera musicato da compositori diversi. Alla fine dell’Ottocento questa prassi era caduta in “obsolescenza”, tanto che, quando nel 1893 Giacomo Puccini (1858 – 1924) proponeva la sua “Manon Lescaut” ad appena dieci anni di distanza dalla “Manon” di Jules Massenet (1842 – 1912), scoppiava uno scandalo senza fine. Infatti l’opera venne considerata un affronto nei confronti di Massenet, ma Puccini, che era favorevole al libero mercato anche in campo artistico, chiudeva la diatriba con questa battuta: “ E perché non dovrebbero esserci due opere su Manon? Una donna così eccitante deve avere più di un amante!”. La stessa battuta potremmo oggi consegnare alla storia nei riguardi della bella frascatana! Cimarosa con la sua “La Frascatana nobile” non ebbe il successo - beninteso con questo lavoro - di quello ottenuto dal Paisello con l’analogo lavoro. A vincere su tutto e su tutti, come si è detto, rimase la bella frascatana, simbolo di scaltrezza, bellezza, sensualità ed altro ancora. La ragione per la quale inopinatamente questa ragazza nostrana venne tirata in ballo, cioè sulle scene, nel Settecento e nell’Ottocecento, non chiamandosi la bella romana, o la bella parigina o la bella napoletana ecc., non la sappiamo e non la sapremo mai. Certamente un mistero che ci giova come il vino, come la pupazza al miele con tre petti, come la natura che ci circonda. Non vale proprio la pena scoprirlo. Lucio De Felici