RIFLESSI

Direttore
Tiziana M
Università degli Studi di Urbino
Comitato scientifico
Paolo F
Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli” (LUISS) di Roma
Silvia B
Università “Ca’ Foscari” di Venezia
Jean–Marie K
Université de Liège
Isabella P
“Sapienza” Universita di Roma
RIFLESSI
La collana di studi “Riflessi” raccoglie pubblicazioni di semiotica dell’arte, critica e letteratura artistica proposte da ricercatori di università
italiane e straniere. Inquadra gli aspetti del visibile da un punto di
vista teorico e metodologico. Fonda la sua specificità sull’efficacia della
descrizione, che consente l’andirivieni tra pratica e teoria e perciò
l’introduzione di concetti e strumenti utili all’analisi delle immagini.
Guarda ai processi di enunciazione delle culture in un’ottica differenziale, come risorsa per comprendere, attraverso le immagini, i modi
di ibridazione e le strategie del reciproco posizionamento politico.
La collana “Riflessi” propone opere di alto livello scientifico nel campo degli studi di
semiotica dell’arte, anche in lingua straniera per facilitarne la diffusione internazionale.
Quest’opera, approvata dal direttore, è stata anonimamente sottoposta alla valutazione
di due revisori, anch’essi anonimi: uno tratto da un elenco di studiosi italiani e stranieri,
deliberato dal comitato di direzione; l’altro appartenente allo stesso comitato in funzione di
revisore interno. La revisione paritaria e anonima (peer review) è fondata sui seguenti criteri:
significatività del tema nell’ambito disciplinare prescelto e originalità dell’opera; rilevanza
scientifica nel panorama nazionale e internazionale; attenzione adeguata alla dottrina
e all’apparato critico; rigore metodologico; proprietà di linguaggio e fluidità del testo;
uniformità dei criteri redazionali. Quest’opera ha ricevuto una valutazione complessiva
superiore a /. Le schede di valutazione sono conservate, in doppia copia, in appositi
archivi.
Tiziana Migliore
Biennale di Venezia
“Il catalogo è questo”
Copyright © MMXII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 
Indice
9
Introduzione
13
Capitolo I
Prodromi
27
Capitolo II
Autori della propria autorità
61
Capitolo III
Riconoscersi come Biennale
91
Capitolo IV
Fra iconico e astratto. Prima identità visiva
113
Capitolo V
Documenta e il metodo del catalogo
135
Capitolo VI
Politiche dell’arte. Un catalogo vivo
153
Capitolo VII
Cataloghi neobarocchi
173
Capitolo VIII
La linea del gigantismo
219
Capitolo IX
Il lettore/navigatore
267
Bibliografia
7
Introduzione
Il catalogo della Biennale Arte di Venezia è il libro d’arte più venduto al mondo. Questo studio lo indaga come forma discorsiva che, da
più di un secolo, implementa la Mostra internazionale, nella sua produzione di significazione (competenza semiotica) e nell’operatività
sociale connessa a questa produzione, che ne usa la segnicità (competenza simbolica).
Uno studio sul supporto cartaceo della Biennale può sembrare anacronistico. Applicazioni i-Pad, oggi, hanno i giusti requisiti per congedarlo, ovviando a insormontabili problemi di illustrazione delle più
diffuse pratiche artistiche – la performance, il video, l’installazione.
Eppure il catalogo, tecnologia obsoleta, resta il medium dominante. È
così in auge e imbricato con la kermesse veneziana da convincere
Massimiliano Gioni, il curatore in carica, a titolare la Mostra del 2013
Palazzo enciclopedico, individuando nella forma codex il miglior modello di sistema onnicomprensivo della conoscenza. Attenzione, però,
all’enciclopedia. In quanto totalità delle interpretazioni, in sé è indescrivibile, perché registrazione indefinita e materialmente inclassificabile. “Libreria delle librerie”, contempla anche interpretazioni contraddittorie (Eco 1984: 109).1 Nell’enciclopedia il massimo di cucitura
fornito è l’interdefinizione dei concetti. Il resto spetta ai movimenti
cooperativi dell’interprete. Nel catalogo, invece, un criterio metanarra1
Il dato non dissuade i curatori delle rassegne mondiali, che oggi si sfidano a colpi di rappresentazioni enciclopediche. Carolyn Christov-Bakargiev, per dOCUMENTA (13), ha voluto
pubblicare tre cataloghi, fra cui un The Book of Books (792 pagine), che raccoglie, oltre ai
progetti degli artisti invitati e a contributi teorici, le ristampe dei 100 Notes-100 Thoughts.
Sono riflessioni, acquistabili anche singolarmente, di soggetti di diverse professioni e discipline. La curatrice aggiunge un catalogo-diario, The Logbook (320 pagine), delegato a ricostruire il cammino della mostra, dal 2010 fino alle settimane inaugurali. Mette insieme testi e
fotografie, incluse quelle scattate da lei stessa con il cellulare.
9
10
Introduzione
tivo assicura la congruità delle voci, in nome di una “lista pratica”.2 E
marchia a più riprese destinante e destinatario, i quali non appartengono a un contesto esterno, ma sono istanze enunciative inscritte. È interessante che Deleuze (1991) indichi, fra i modi di “creare” concetti,
l’enciclopedia, luogo fondamentale di classificazione, e il marketing,
il loro utilizzo a scopo commerciale. Ogni esposizione mette in scena
le diverse presentazioni, lo “scambio di idee” a cui esse danno luogo e
i concetti in quanto prodotti vendibili. Gioni incrocerebbe ora audacia
classificatoria e sagacia da professionista. Ma c’è un’alternativa
all’enciclopedia e al marketing: la “pedagogia”, insegnamento dei
concetti, la costruzione di «un campo, un piano, un suolo, che ne ospita i germi e i personaggi che li coltivano» (ibidem: XVIII).3 È la via di
questa indagine.
«Un buon catalogo è tale quando lo si cita e utilizza anche dopo
che l’esposizione ha chiuso i battenti» (Rosenberg 1989: 53). Di insuccessi ve ne sono, anche per lo straripante formato della versione
contemporanea. Sembra che lo spazio non basti mai e che gli “articoli” potrebbero essere di più. L’enumeratio non tende a raggiungere la
completezza, ma a confermare un universo dell’abbondanza, fino
all’incontinenza (Harbison 1977). Come si spiega, allora, l’affezione a
questo tipo di discorso? Capirlo non è facile. Non esistono ricognizioni sull’editoria della Biennale e la letteratura scientifica sulla fusis del
“catalogo” è esigua. Il primo capitolo rifletterà sui nodi salienti.
Il catalogo della Biennale di Venezia struttura il processo di visita,
enunciando l’organizzazione del sapere che la ordina. Seleziona e ge2
A differenza di una lista “poetica”, la lista “pratica” è finita e non è alterabile, «nel senso
che sarebbe scorretto, oltre che insensato, aggiungere nel catalogo di un museo un quadro che
non vi fosse conservato. Le liste pratiche conferiscono unità a un insieme di oggetti che, per
quanto difformi tra loro, ubbidiscono a una pressione contestuale, ovvero sono attesi tutti nello stesso luogo o costituiscono il fine di un dato progetto […]. Una lista pratica non è mai incongrua, purchè si individui il criterio di assemblaggio che la regola». ECO 2009, pp. 113-116.
3
«I post-kantiani gravitavano intorno a un’enciclopedia universale del concetto, che rinviava la creazione di quest’ultimo a una pura soggettività, invece di darsi un compito più modesto, una pedagogia del concetto che avrebbe dovuto analizzare le condizioni della creazione
come fattori di momenti che restano “singolari”. Se le tre età del concetto sono l’enciclopedia,
la pedagogia e la formazione professionale commerciale, solo la seconda può impedirci di cadere dalle vette della prima nel disastro assoluto della terza, disastro assoluto per il pensiero,
qualsiasi siano, beninteso, i benefici sociali dal punto di vista del capitalismo universale». Cfr.
DELEUZE 1991, trad. it., XXI.
Introduzione
11
rarchizza liste di elementi, mantenendo il doppio status di campo e
veicolo di valenze. «In qualsiasi epoca e società la gestione degli spazi
di scrittura pubblicamente esposti è un fatto eminentemente politico»
(Petrucci 1988: 15). Qui la creazione di segni nuovi affianca contenuti
convenzionali, elevati in una cornice ritualistica ed epidittica: ricorrenze, cerimonie, tributi. La Biennale veneziana è l’unico evento artistico, nel mondo, ad adottare criteri non numerici né misure standard
nella valutazione, pur “indossando” l’identità delle Olimpiadi – concorsi su base nazionale, ciclici e con un meccanismo a premi. Un
“doppio vincolo” che permea tutto il suo percorso. Il catalogo, con il
suo funzionamento, accerta l’indivisibilità fra linguaggi ed esperienza.
Dovendo vendere un prodotto che consiste in un tour di opere, questa
“protesi” assume l’onere di figurarlo.4 Le culture non abbandonano il
flusso della vita a se stesso. Si dotano, per fortuna, di “dispositivi di
strutturalità” che, da un lato, possiedono funzioni omeostatiche, in
modo da conservare l’unità della memoria, dall’altro si rinnovano
deautomatizzandosi. Curioso oggetto di cultura materiale, il catalogo
sembra sottendere entrambi i principi di costruzione di un codice –
grammaticale e testuale.5 Contiene brani esemplificativi, illocutori o
istruzionali (approccio testualizzante); presenta, a un metalivello, le
leggi del loro costituirsi: regolamenti e autovalutazioni (approccio
grammaticalizzante). “Madamina, il catalogo è questo”.6
Così, per dirne una, il catalogo d’arte della Biennale mantiene la
veste documentaria e la ibrida con il ruolo di una guida. Verbalizza e
visualizza la Mostra, trasformandola in un “referente interno”; ma, in
una prospettiva enattiva, ne preconizza anche la fruizione. La sua
scrittura, tabularizzata, è “sinossi” e vettore di un percorso. Il deposito
di questa sistematica attività è un materiale preziosissimo. Traccia
forme di vita e comportamenti collettivi non intelligibili al loro apparire e che, senza sedimento, rimarrebbero impensati. Descrivere le di4
Nella storia si sono anche avute mostre-libro, che hanno ironizzato sul gap tra realtà e
rappresentazione. Nel 1968 Seth Siegelaub progetta lo spazio di un’esposizione nelle pagine
di un libro. Nasce The Xerox Book. I 7 artisti invitati – Carl Andre, Robert Barry, Douglas
Huebler, Joseph Kosuth, Sol LeWitt, Robert Morris, Lawrence Weiner… – hanno l’unico
vincolo di presentare fotocopie.
5
Cfr. LOTMAN e USPENSKIJ, “Il meccanismo semiotico della cultura”, in Id. 1973, trad. it.,
pp. 39-68.
6
Mozart, Don Giovanni (1787). Libretto di Lorenzo Da Ponte.
12
Introduzione
namiche del catalogo della Biennale significa allora descrivere, a regime, il variare del modo di vivere, da un secolo a questa parte. Il bacino è la società italiana a rapporto con diverse nazioni, tenuto conto
del tratto distintivo della Mostra di Venezia: la rappresentanza geopolitica dei Paesi, tramite l’istituto dei padiglioni.
La ricerca esplora tutte le annate, dal 1895 al 2011, ed è condotta
con metodo semiotico. Affronta questioni relative al design del catalogo, per le trasformazioni concernenti proprietà e modalità d’uso. Nel
tempo il volume ha generato una filiera di prodotti complementari, alternativi e sostitutivi: cataloghi particolari dei padiglioni, short guide,
riviste. Ma si è anche ridefinito in negativo, per l’insorgere di anticataloghi o per effetto della concorrenza, misurandosi con campioni di
mostre consimili e con l’editoria di settore, periodica e saggistica.
L’analisi permette di tornare sul concetto di “paratesto” (Genette
1982; 1987) e approfondire la comprensione dello “stato civile” del libro (Febvre e Martin 1958) – copertina, indice, prefazione… – zona
elastica alla frontiera tra semantica e pragmatica. Si guarderà alla forma espressiva del catalogo, dalle relazioni tra grafica e immagine,
all’impiego del colore, alla grammatura della carta. Si rileveranno i
tratti semantici, quali l’autoreferenzialità – il suo parlare di sé per
propagandare la Mostra7 – l’andirivieni tra localismo e internazionalismo e, negli ultimi decenni, per la concomitanza con l’apertura, il décalage rispetto alle opere esposte. Lavori artistici sempre più spesso
preparati in situ costringono a stampare fotografie d’archivio. Accade
anche, però, che sopperiscano, a immagini tautologiche, riproduzioni
di progetti, disegni e vedute di installazione. «Juste l’image, in definitiva, vuol dire un’immagine irrilevante; ma l’immagine giusta, quella
sì che conta. E l’immagine giusta va costruita e riconosciuta come appropriata, e può così diventare efficace o inefficace» (Fabbri 2012a). Il
racconto diacronico del catalogo favorirà un carotaggio dei generi di
argomentazione presenti nel sistema dell’arte: il saggio, l’elenco, la
tabella, il diagramma, l’intervista. E fornirà un quadro degli ordini di
priorità stabiliti. Niente di indicibile, l’evento basta scrutarlo.
7
Per una disamina storica della Biennale di Venezia cfr. DI MARTINO 1995. Vedi anche
AAVV. 1996a; DONAGGIO 1995. Il clima in cui la Mostra nasce e si sviluppa è ben illustrato in
PEROCCO 1972.
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