Il movimento
della Misericordia
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L’amore più grande
(Oh oh oh….)
C’è dentro questo vento tiepido e leggero che
porta i miei respiri più lontano, via da me,
c’è la Tua voce che mi dice piano: “se…
…se verrai con me…
…c’è il mio cuore aperto che il tuo cuore aspetta e che
porta le tue mani dalla terra al cielo e in Paradiso;
c’è il mio Amore qui per te:
è passione sconfinata, è la vita mia”.
RIT. È L’Amore più grande
Lui prende per me quel legno pesante, da solo poi muore,
è l’Amore più grande: risorge con me,
Lui muore e risorge con me.
(Oh oh oh….)
C’è sopra il mio sentiero quella nuova luce che
non si spegne al soffio della notte scura e
mi guida piano: c’è il tuo Amore qui con me,
è passione infinita, nella vita mia. RIT.
Sulle tue mani due ferite
per liberare il nostro cuore dalla morte in fondo al male
e nei piedi chiodi che
hanno spezzato le catene per andare a camminare
sopra i sassi o sulle viole,
sulle strade insieme a Te,
sulle strade insieme a Te. RIT.
(Oh oh oh….)
È l’Amore più grande:
Lui muore per me,
Lui muore e risorge con me.
(Oh oh oh….)
Bless the Lord
Bless the Lord, my soul,
and bless God’s holy name.
Bless the Lord, my soul,
who leads me into life.
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Al cuore del Vangelo
Al cuore del Vangelo: la Misericordia
Catechesi don Luca Ramello
«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una
grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona,
che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.
Nel suo Vangelo Giovanni aveva espresso quest’avvenimento con le
seguenti parole: « Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito, perché chiunque crede in lui ... abbia la vita eterna» (Gv
3,16)». Così iniziava solennemente la sua Enciclica «Deus caritas
est» Papa Benedetto XVI. Al cuore del Vangelo, al centro della Rivelazione cristiana, come movimento profondo di tutta la storia della
salvezza c’è l’infinito e inaudito Amore di Dio, gratuito, assoluto e
incondizionato. Questo Amore ci è stato rivelato e donato da Colui
che è il Volto della Misericordia, come lo indica Papa Francesco nella
Bolla del Giubileo della Misericordia. È il Volto del «Dio ricco di misericordia» come già scriveva San Giovanni Paolo II nella sua Enciclica
«Dives in misericordia» nel 1980. Tre papi diversi, in tempi e modi differenti hanno puntato con forza e incisività sul nucleo incandescente
della nostra fede: l’amore. I tre distinti e complementari approcci all’amore di Dio costituiscono infatti una sorta di grande mosaico dell’Amore, che spazia dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai santi
all’esperienza di tutto il popolo di Dio, dai teologi ad ogni battezzato.
Eppure, con il Giubileo della Misericordia indetto da Papa Francesco,
accade qualcosa di nuovo. È infatti la prima volta che viene proclamato un Giubileo propriamente sull’Amore come Misericordia.
Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, che va considerata come l’orizzonte di fondo del pontificato di Papa Francesco,
un’espressione è significativa per cogliere il senso del Giubileo straordinario che è stato indetto lo scorso 11 aprile: «La Chiesa vive un
desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva» (EG 24).
È a partire da questo desiderio che bisogna rileggere la Bolla di Indi4
zione del Giubileo Misericordiae vultus dove Papa Francesco delinea
le finalità dell’Anno Santo. Le parole e i gesti con cui Papa Francesco
ha anticipato e accompagnato l’indizione del prossimo Giubileo vogliono mettere a fuoco quella dimensione particolare dell’Amore di
Dio che è la sua Misericordia. Nel nostro scorso incontro, la prima
catechesi ci ha introdotti nel mistero della Misericordia, soprattutto a
partire dalla sua rivelazione nell’Antico Testamento fino a San Giovanni Battista, che ne indica la piena presenza con la venuta di Gesù
di Nazaret, il Figlio di Dio fatto carne per noi. Questa sera cercheremo di contemplare la Misericordia proprio attraverso la sua definitiva
rivelazione nella vita di Gesù.
«Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero
della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi.
Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di
Nazareth. Il Padre, « ricco di misericordia » (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come « Dio misericordioso e pietoso, lento
all’ira e ricco di amore e di fedeltà » (Es 34,6), non ha cessato di far
conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura
divina. Nella « pienezza del tempo » (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato
dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore.
Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la
sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio» (Misericordiae Vultus, 1). Sarà necessario richiamare,
inevitabilmente, le catechesi degli anni precedenti, soprattutto quelle
sull’incarnazione e sul mistero pasquale. Quale prospettiva di fondo, questa sera vi propongo la dimensione del «movimento», perché
penso possa introdurci con efficacia nel mistero della Misericordia
annunciata, testimoniata, patita e donata dal Figlio di Dio fatto uomo.
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Prossimità e Misericordia: il legame in Lc 10,29-37
Nel Nuovo Testamento troviamo un testo che mette in luce in
modo straordinario il mistero della Misericordia vissuto e annunciato
da Gesù, nella logica del «movimento». Tale movimento dell’amore si
rivela come «prossimità», cioè come una nuova, sorprendente, inaudita e destabilizzate vicinanza di Dio all’uomo. Ora, proprio il legame
tra «Misericordia e Prossimità» è insegnato da Gesù in una celebre
parabola. Si tratta della parabola narrata da Luca al capitolo 10 del
suo Vangelo (vv. 29-37), che è tradizionalmente conosciuta come la
parabola del «buon Samaritano» e - spesso superficialmente - intesa
come un invito a fare genericamente del bene al prossimo, facendosi
prossimi cioè vicini agli altri. In realtà dice molto di più ed è decisamente più dirompente di quanto si possa intendere ad una prima
lettura. Questa parabola «è una geniale creazione teologica di Gesù
per insegnare, sotto forma di caso limite, la possibilità che le lontananze umane create da inveterati odi religiosi, possono risolversi in
prossimità, grazie all’intervento della misericordia» (A.M. Artola).
Questa sera riferiremo soprattutto a questa parabola, mentre
nella catechesi di febbraio - sul perdono ricevuto e offerto - a quella del Figliol Prodigo, in quanto San Giovanni Paolo II nell’Enciclica
Dives in Misericordia le indica come l’insegnamento parabolico più
importante sulla misericordia.
Per entrare nel legame tra «Misericordia e Prossimità» dobbiamo innanzitutto riferirci al contesto storico e culturale della parabola
stessa. «L’insegnamento contemporaneo a Gesù introduceva un’eccezione nella Legge dell’amore verso il prossimo: il nemico personale. Questo stesso insegnamento escludeva l’amore verso i gruppi religiosi etorodossi, quali i Samaritani. Un secolare odio faceva
affrontare Giudei e Samaritani, senza possibilità di riconciliazione,
a causa di presupposti teologici. In questo ambiente Gesù sviluppa
una parabola nella quale contesta tutta quella situazione di esclusioni
dall’amore per motivi religiosi. Il personaggio più importante, quello
che riesce a superare una tale mentalità, non è un giudeo, ma è un
samaritano» (ib.).
In cosa consiste dunque la rivoluzione della Misericordia come
Prossimità?
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Nella cultura ebraica del tempo di Gesù la relazione primaria
era con il fratello (i fratelli) inteso come l’appartenente al clan famigliare. Distinto era l’«altro» inteso come «prossimo» che doveva essere amato e che poteva diventare come un «fratello». Diversa era
la concezione dello straniero, inteso come l’«altro» che si è stabilito
nella terra di Israele o che vi si trova di passaggio. Vi erano però gli
«stranieri» in quanto «nemici», cioè le altre nazioni ma anche «nemici» interni al popolo stesso.
«In questo ambito religioso di prossimità ed estraneità è da includere una forma speciale di estraneità qual è quella dei samaritani
in relazione ai giudei. A causa dello scisma religioso e il sincretismo
che caratterizzò il popolo samaritano fin dai tempi dell’esilio, tra i due
popoli emerse una forma peculiare di inimicizia religiosa» (Ib.), fino
all’odio reciproco.
In questa prospettiva il precetto del Libro del Levitico (19, 18) che
comandava: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» estendeva i
doveri morali dell’Israelita, all’accoglienza e all’amore per lo straniero
residente ma li escludeva nei confronti delle «nazioni» e, soprattutto,
nei confronti dei nemici «religiosi» come i Samaritani. Addirittura, al
tempo di Gesù, «il grande precetto dell’amore al prossimo appariva,
non solo ristretto ai connazionali israeliti, ma anche all’interno dello
stesso popolo d’Israele si verificavano non poche eccezioni quanto
alla sua applicazione. Nella pratica, era normale escludere dal precetto dell’amore del prossimo, il nemico personale» (Ib.).
Questa premessa storico-culturale è fondamentale per cogliere
la discrepanza tra la parte introduttiva (Lc. 10,29) formata dalla domanda: «Chi è il mio prossimo?» e il dialogo conclusivo «chi dei tre
si fece prossimo di colui che cadde nelle mani dei ladri?» (Lc. 10, 3637), tenendo conto che le relazioni tra giudei e samaritani non erano
a livello di prossimità, ma di inimicizia: il samaritano era «straniero
e nemico» nel senso più teologicamente più radicale. Incominciamo
così a cogliere il capovolgimento portato da Gesù: se lo scriba parte
della domanda sul «fin dove debba arrivare l’amore», Gesù risponderà, di fatto, con una nuova domanda, su chi non debba essere
escluso dall’amore.
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Lo scriba è in qualche modo destabilizzato dall’amore come comandamento principale così come lo intende Gesù, per questo vuole definire parametri, criteri e confini. La parabola resta pungente e
provocante anche oggi: di fatto tutti i cristiani postulano l’amore ma
poi, ad esempio come nel caso di immigrati e rifugiati, si moltiplicano
i «se», i «ma» e i «distinguo», come per lo scriba.
Gesù risponde indicando volutamente «un uomo», senza ulteriore specificazione, mentre si sofferma a delineare gli altri tre personaggi.
«Accanto al viandante giudeo mezzo morto, sfilano tre tipi di
personaggi. Ciascuno di loro si vede chiamato in modo diverso
dall’uomo malamente conciato. In realtà, secondo ciascuno di quelli,
quest’uomo ha degli aspetti che lo pongono nella condizione di prossimità e di lontananza nel medesimo tempo. Per i primi due, l’uomo
malcapitato è un prossimo proprio per la sua condizione di israelita e
di giudeo. Tuttavia nel contempo, la condizione nella quale si trova,
lo pone in una situazione di lontananza. Se è morto vuol dire che è
un cadavere il cui contatto rende impuri sia il sacerdote che il levita.
In tal caso, è lontano ed estraneo. Però c’è un’altra circostanza più
ambigua in ordine al creare vicinanza o lontananza: è la situazione
di necessità nella quale si trova. Davanti a tale situazione, è naturale
l’impulso all’aiuto. E’ la relazione che crea vicinanza. E’ naturale anche l’egoismo, l’attitudine alla freddezza, di chiudere le viscere alla
compassione e alla carità, di evitare fastidi e complicazioni, in una
parola: di non uscire da se stessi, dal proprio schema, dalle proprie
convenienze. In questo caso, le disposizioni egoistiche sono quelle
che creano lontananza, anche se sulla linea della obiettività la persona in questione sia prossimo a livello connazionale o religioso.
Per il Samaritano le condizioni obiettive erano di inimicizia, ostilità, lontananza, contrarie tutte alla condizione di prossimo. E’ un
giudeo quello che sta, moribondo, sulla strada. Però al di là delle
condizioni di ostilità e inimicizia di gruppo tra giudei e samaritani, la
necessità in cui si trova parla al suo cuore e crea vicinanza. Scende
dalla sua cavalcatura; medica il ferito, lo raccoglie e lo fa salire sulla
propria cavalcatura» (Ib.).
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Il capovolgimento della prossimità
Il punto di svolta della parabola, tuttavia, è alla fine, nella domanda spiazzante di Gesù: «chi dei tre si fece prossimo di colui che
cadde nelle mani degli assalitori?» (Lc. 10, 36), nel significato letterale del testo greco traducibile con «chi dei tre ti sembra si fece
(gegonenai) prossimo?».
Vedete come emerge il «movimento» che capovolge il concetto di Misericordia? Essa sta nel diventare prossimi, in maniera non
astratta ma concreta e puntuale. Gesù capovolge «l’impostazione
dello scriba, portando la domanda dall’«essere prossimo» al «farsi
prossimo».
Ciascuno dei tre personaggi aveva ragione per sentirsi lontano e
ferito grave. Per soccorrerlo tutti lo avrebbero dovuto “farsi prossimi”.
Solo uno fece questo sforzo morale per mutare nella sua interiorità le
disposizioni di estraneità in prossimità». Perché «se uno è prossimo,
è evidente che bisogna amarlo. Tuttavia alcune condizioni obiettive
di prossimità, possono supporre non poche disposizioni soggettive
di allontanamento e ostilità». Così come continua ad accadere oggi.
Veniamo al cuore della rivelazione della «Misericordia come
Prossimità». Il testo greco usa il verbo splanchnizomai che significa «commuoversi nelle viscere», da cui le diverse traduzioni come
«sentir compassione», «muoversi a misericordia», poi resa con
«ebbe compassione di lui» (10, 33).
«Ma che significa lasciarsi commuovere? Significa, prima di tutto, essere sensibili al dolore, alla disgrazia, alla necessità; in una
parola: capacità di vivere personalmente sentimenti che affliggono
l’altro. Però non basta questa sensibilità per l’umanità bisognosa
dell’altro. Oltre alla sensibilità si richiede l’atto positivo mediante il
quale si accetta la commozione della sensibilità per tradurre in atti
positivi la risposta personale alla reazione di simpatia con il dolore
altrui. E’ la sensibilità nella risposta operativa ciò che provoca il “farsi
prossimo”».
Come vedremo nella conclusione, questo passaggio è il cuore
della rivelazione dell’amore di Dio: prima di essere un «movimento»
indicato da Dio all’uomo è il «movimento» stesso di Dio verso l’uomo!
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Anche lo scriba intuisce lo scandalo della parabola già al primo livello, circa la «geografia» dell’amore («fin dove devo amare,
chi devo considerare prossimo). Egli risponde a Gesù non dicendo
«il samaritano» (per il quale sentiva ripugnanza) ma «colui che fece
misericordia» (10,37). Qui sta la genialità della parabola: in questa
risposta si spalancano di colpo gli orizzonti dell’amore: amare è farsi
prossimi e farsi prossimi significa lasciarsi muovere dentro dalla Misericordia, che vince ogni estraneità e si coinvolge concretamente
con l’altro, specialmente se lontano e nemico.
L’amore si rivela come «amore di Misericordia» nella duplice dimensione dell’amore tra gli uomini e tra Dio e l’uomo.
«Il precetto dell’amore al prossimo diventa misericordia quando
l’oggetto di questo precetto è un prossimo qualitativamente differente: il nemico. La ragione di tale cambiamento qualitativo dell’amore
in amore misericordioso sta in quanto segue. Nel nemico si danno
realtà obiettive di ostilità e rigetto che secondo giustizia cambiano il
prossimo in un soggetto da rigettare, tuttavia tali condizioni negative
di ostilità e rigetto non eliminano la realtà fondamentale della fraternità umana. Allora, nel conflitto che pone l’uomo contro l’uomo, i motivi
giusti di ostilità e rigetto debbono essere superati dall’amore. Ma tale
superamento non si ottiene se non mediante l’intervento della misericordia che eleva l’uomo, ad un piano di amore al di sopra dei motivi
giusti che ha per mantenere l’ostilità. Ecco che l’amore al nemico non
può essere se non un amore misericordioso» (Ib.).
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Gesù, il vero «samaritano»
Ma la parabola del Buon Samaritano deve essere letta, più profondità, come rivelazione cristologica, cioè come sorprendente parabola dell’amore di Dio per l’uomo attraverso Cristo Gesù. Si domanda
fin dal II secolo Clemente Alessandrino: «E chi è quel Samaritano se
non lo stesso Salvatore? O chi fa maggiore misericordia a noi, quasi
uccisi dalle potenze delle tenebre con ferite, paure, desideri, furori,
tristezze, frodi, piaceri? Di queste ferite solo Gesù è medico; egli solo
sradica i vizi dalle radici» (Clemente Alessandrino, Quis dives 29).
Di recente è lo stesso Papa Benedetto XVI a leggere in chiave
cristologica la nostra parabola, secondo il «senso spirituale» tipico
della teologia antica e medievale, che andava a cercare Gesù e la
sua azione in ogni pagina dell’Antico e del Nuovo Testamento. Nel
suo libro Gesù di Nazaret, dal battesimo alla trasfigurazione, Rizzoli 2007 (ed. dig. 2011), scrive: «I Padri della Chiesa hanno dato
alla parabola una lettura cristologica. Qualcuno potrebbe dire: questa è allegoria, quindi un’interpretazione che allontana dal testo. Ma
se consideriamo che in tutte le parabole il Signore ci vuole invitare
in modi sempre diversi alla fede nel regno di Dio, quel regno che è
Egli stesso, allora un’interpretazione cristologica non è mai una lettura completamente sbagliata. In un certo senso corrisponde a una
potenzialità intrinseca del testo e può essere un frutto che si sviluppa dal suo seme. I Padri vedono la parabola in dimensione di storia universale: l’uomo che lì giace mezzo morto e spogliato ai bordi
della strada non è un’immagine di «Adamo», dell’uomo in genere,
che davvero «è caduto vittima dei briganti»? Non è vero che l’uomo,
questa creatura che è l’uomo, nel corso di tutta la sua storia si trova
alienato, martoriato, abusato? La grande massa dell’umanità è quasi
sempre vissuta nell’oppressione; e da altra angolazione: gli oppressori — sono essi forse le vere immagini dell’uomo o non sono invece
essi i primi deformati, una degradazione dell’uomo? Karl Marx ha descritto in modo drastico l’«alienazione» dell’uomo; anche se non ha
raggiunto la vera profondità dell’alienazione, perché ragionava solo
nell’ambito materiale, ha tuttavia fornito una chiara immagine dell’uomo che è caduto vittima dei briganti.
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La teologia medievale ha interpretato i due dati della parabola sullo stato dell’uomo depredato come fondamentali affermazioni
antropologiche. Della vittima dell’imboscata si dice, da un lato, che
fu spogliato (spoliatus); dall’altro lato, che fu percosso fin quasi alla
morte (vulneratus: cfr. Lc 10,30). Gli scolastici riferirono questi due
participi alla duplice dimensione dell’alienazione dell’uomo. Dicevano
che è spoliatus supernaturalibus e vulneratus in naturalibus: spogliato dello splendore della grazia soprannaturale, ricevuta in dono, e ferito nella sua natura. Ora, questa è allegoria che certamente va molto
oltre il senso della parola, ma rappresenta pur sempre un tentativo
di precisare il duplice carattere del ferimento che grava sull’umanità.
La strada da Gerusalemme a Gerico appare quindi come l’immagine
della storia universale; l’uomo mezzo morto sul suo ciglio è immagine dell’umanità. Il sacerdote e il levita passano oltre — da ciò che
è proprio della storia, dalle sole sue culture e religioni, non giunge
alcuna salvezza. Se la vittima dell’imboscata è per antonomasia l’immagine dell’umanità, allora il samaritano può solo essere l’immagine
di Gesù Cristo. Dio stesso, che per noi è lo straniero e il lontano, si
è incamminato per venire a prendersi cura della sua creatura ferita.
Dio, il lontano, in Gesù Cristo si è fatto prossimo. Versa olio e vino
sulle nostre ferite — un gesto in cui si è vista un’immagine del dono
salvifico dei sacramenti — e ci conduce nella locanda, la Chiesa, in
cui ci fa curare e dona anche l’anticipo per il costo dell’assistenza.
I singoli tratti dell’allegoria, che sono diversi a seconda dei Padri, possiamo lasciarli serenamente da parte. Ma la grande visione
dell’uomo che giace alienato e inerme ai bordi della strada della storia e di Dio stesso, che in Gesù Cristo è diventato il suo prossimo,
la possiamo tranquillamente fissare nella memoria come una dimensione profonda della parabola che riguarda noi stessi. Il possente
imperativo contenuto nella parabola non ne viene infatti indebolito,
ma è anzi condotto alla sua intera grandezza. Il grande tema dell’amore, che è l’autentico punto culminante del testo, raggiunge così
tutta la sua ampiezza. Ora, infatti, ci rendiamo conto che noi tutti siamo «alienati» e bisognosi di redenzione. Ora ci rendiamo conto che
noi tutti abbiamo bisogno del dono dell’amore salvifico di Dio stesso,
per poter diventare anche noi persone che amano. Abbiamo sempre
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bisogno di Dio che si fa nostro prossimo, per poter diventare a nostra
volta prossimi.
Le due figure, di cui abbiamo parlato, riguardano ogni singolo
uomo: ogni persona è «alienata», estraniata proprio dall’amore (che
è appunto l’essenza dello «splendore soprannaturale» di cui siamo
stati spogliati); ogni persona deve dapprima essere guarita e munita
del dono. Ma poi ogni persona deve anche diventare samaritano —
seguire Cristo e diventare come Lui. Allora viviamo in modo giusto.
Allora amiamo in modo giusto, se diventiamo simili a Lui, che ci ha
amati per primo (cfr. 1 Gv 4,19)».
La prossimità, «movimento» della Misericordia
Se è evidente che nella parabola del «figliol prodigo» Gesù descrive la misericordia del Padre e nella parabola del Buon Samaritano invece descrive la misericordia dell’uomo, ci rendiamo conto
conto che quest’uomo nuovo è lo stesso Gesù, il Figlio di Dio fatto
uomo per noi.
Con la sua incarnazione entra nella drammaticità della condizione umana. Per farsi davvero «prossimo» all’uomo Dio diventa uomo.
Frequenta i pubblici peccatori - esattori, doganieri, ladri, prostitute -,
poveri e persone ignoranti, spesso disprezzate ed escluse, stranieri
- romani, greci, samaritani ecc... -, donne e bambini, in quel contesto
culturale privi di diritti sociali e religiosi, lebbrosi e indemoniati. «La
sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto
nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e
sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di
misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione.
Gesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo seguivano, vedendo che erano stanche e sfinite, smarrite e senza guida, sentì fin
dal profondo del cuore una forte compassione per loro (cfr Mt 9,36).
In forza di questo amore compassionevole guarì i malati che gli venivano presentati (cfr Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò grandi
folle (cfr Mt 15,37). Ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non
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era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi
interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero. Quando incontrò
la vedova di Naim che portava il suo unico figlio al sepolcro, provò
grande compassione per quel dolore immenso della madre in pianto, e le riconsegnò il figlio risuscitandolo dalla morte (cfr Lc 7,15).
Dopo aver liberato l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa missione: « Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha
avuto per te » (Mc 5,19)» (Misericordiae Vultus, 8).
Tuttavia noi siamo consapevoli che non basta conoscere il precetto di amare il prossimo per compierlo. Tante sono le auto-giustificazioni che creano lontananza e anestetizzano la sensibilità del cuore umano, al punto che non ci «si lascia più commuovere». Allora,
nel suo mistero di passione e morte Gesù si lascia «muovere dalla
Misericordia» per noi «fino alla fine», da farsi così prossimo al punto
di prendere su di sé tutta l’estraneità e l’odio derivanti dal peccato.
Inchiodato sulla Croce, con la sua umanità va a farsi prossimo di ogni
«ferito e piagato» nel corpo e nello spirito e con la sua divinità porta
la prossimità di Dio su quelle ferite.
La resurrezione con cui il Padre lo rialza è la piena rivelazione
della Misericordia. Quando, nel giorno di Pasqua, ci dona il suo Spirito si manifesta come il vero e unico «Samaritano»: l’escluso crea
comunione, il suo vino ed il suo olio purificano e fortificano, nella
locanda della sua Chiesa riprende vita ma, soprattutto, la sua grazia
ci permette di «fare anche noi lo stesso», di essere a nostra volta
coinvolti nel «movimento della Misericordia». È quanto chiede con
ripetuta insistenza Papa Francesco, soprattutto con il Giubileo della
Misericordia.
Il Signore Gesù «ci mostra fin dove arriva l’amore: fino al dono
totale di sé stessi, fino a dare la propria vita. [...]. Ma questo dono di
noi stessi non deve essere immaginato come un raro gesto eroico o
riservato a qualche occasione eccezionale. Potremmo infatti correre
il rischio di cantare l’amore, di sognare l’amore, di applaudire l’amore... senza lasciarci toccare e coinvolgere da esso! La grandezza
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dell’amore si rivela nel prendersi cura di chi ha bisogno, con fedeltà e
pazienza; per cui è grande nell’amore chi sa farsi piccolo per gli altri,
come Gesù, che si è fatto servo. Amare è farsi prossimo, toccare la
carne di Cristo nei poveri e negli ultimi, aprire alla grazia di Dio le
necessità, gli appelli, le solitudini delle persone che ci circondano.
L’amore di Dio allora entra, trasforma e rende grandi le piccole cose,
le rende segno della sua presenza. San Giovanni Bosco ci è maestro
proprio per la sua capacità di amare e educare a partire dalla prossimità, che lui viveva con i ragazzi e i giovani»
(Discorso preparato Papa Francesco ai giovani di Torino, 21 giugno 2015).
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Possiamo allora far nostre le parole del Prefazio Comune VIII,
pregando così:
E’ veramente giusto lodarti e ringraziarti,
Padre santo, Dio onnipotente ed eterno,
in ogni momento della nostra vita,
nella salute e nella malattia
nella sofferenza e nella gioia,
per Cristo tuo servo e nostro Redentore.
Nella sua vita mortale
egli passò beneficando
e sanando tutti coloro
che erano prigionieri del male.
Ancor oggi come buon samaritano
viene accanto ad ogni uomo
piagato nel corpo e nello spirito
e versa sulle sue ferite
l’olio della consolazione
e il vino della speranza.
Per questo dono della tua grazia,
anche la notte del dolore
si apre alla luce pasquale
del tuo Figlio crocifisso e risorto.
Amen.
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Tu sei re
Adorazione Eucaristica
Tu sei re, Tu sei re, sei re Gesù (2v.)
A te eleviamo i nostri cuori,
a te eleviam le nostre mani,
rivolti verso il tuo trono,
lodando Te. (2v.)
Questa notte
Questa notte non è più notte davanti a te:
il buio come la luce risplende
Dal Vangelo Secondo Luca 10,25-37
«Il “Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: “Maestro, che devo fare per avere la vita eterna?”. Gesù gli disse:
“Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore,
con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua
mente e il prossimo tuo come te stesso”. E Gesù: “Hai risposto
bene; fà questo e vivrai”. Ma quegli, volendo giustificarsi, disse
a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”.
Gesù riprese:
“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei
briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre
dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e
passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino,
gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra
il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
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Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo
rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il
prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Quegli rispose:
“Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Và e anche
tu fà lo stesso”.
Muéveme Dios
Silenzio
Muéveme mi Dios hacia Ti
Que no me muevan los hilos de este mundo
No, muéveme
Atráeme hacia ti desde lo profundo
Preghiamo
Padre Nostro
O Padre, che nella morte e risurrezione del tuo Figlio hai redento
tutti gli uomini, custodisci in noi l’opera della tua misericordia, perché
nell’assidua celebrazione del mistero pasquale riceviamo i frutti della
nostra salvezza. Per Cristo nostro Signore.
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Benedizione Eucaristica
Litanie
Dio sia benedetto
Benedetto il Suo santo Nome.
Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo.
Benedetto il Nome di Gesù.
Benedetto il Suo sacratissimo Cuore.
Benedetto il Suo preziosissimo Sangue.
Benedetto Gesù nel SS. Sacramento dell’altare.
Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.
Benedetta la gran Madre di Dio, Maria Santissima. Benedetta la Sua
santa e Immacolata Concezione.
Benedetta la Sua gloriosa Assunzione.
Benedetto il Nome di Maria, Vergine e Madre.
Benedetto S. Giuseppe, suo castissimo Sposo.
Benedetto Dio nei suoi Angeli e nei suoi Santi.
Affidamento a Maria
Ave Maria (Lourdes)
È l’ora che pia
la squilla fedel,
le note c’invia
dell’Ave del ciel.
AVE, AVE, AVE MARIA!
AVE, AVE, AVE MARIA!
Nel piano di Dio
l’eletta sei tu,
che porti nel mondo
il Figlio Gesù.
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FILM
Miracolo a Le Havre [Le Havre - 2011 - 93 min.]
I protagonisti sono una coppia modesta,
che sopravvive in un quartiere della periferia di Le Havre, grande porto del nord della
Francia. Marcel ha lasciato la letteratura per
fare il lustrascarpe - per essere più vicino alla
gente - almeno dice lui. Sua moglie Arletty è
una donna immigrata che, con grande dignità, tiene la casa e gestisce le poche entrate. Il quartiere sembra fatto per questa coppia
stile anni ‘60, con drogheria, fruttivendolo e
“bistrot” che fanno volentieri credito (la solidarietà del quartiere è uno dei tanti valori del
film). Tutto sembra funzionare bene fin quando, su un registro più
contemporaneo, Idrissa fugge da un container di immigrati clandestini ed è ricercato dalla polizia. Marcel si imbatte nel giovane gabonese e decide di aiutarlo. Dalla routine e la modestia del lustrascarpe,
l’uomo si trasforma allora pian piano in un’altra persona. La solidarietà diventa il filo conduttore del racconto, con tutta la fantasia che la
vera generosità può “sbrigliare”.
Miracolo a Le Havre - come parecchi film usciti nella stessa stagione
- ci trasmette fede nell’umanità, generosità, energia per affrontare la
vita. E il tutto senza illusioni o sentimentalismi.
Il film si presta a un dibattito sull’immigrazione, ma soprattutto a come
mettere in moto quella generosità che è nascosta in ciascuno di noi. Dai 14 anni in su.
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Reign Over Me [2007 - 124 min.]
“L’amore regni su di me”
Sulla strada asciutta e polverosa
Le notti che passiamo da soli in disparte
Ho bisogno di tornare a casa alla fresca fresca pioggia
Le notti sono calde e nere come l’inchiostro
Non riesco a dormire e disteso penso
O Dio, ho bisogno di un sorso di fresca fresca pioggia
(canzone del gruppo The Who. Parole con
trad. su Pearljam)
Nel suo labirinto buio e senza uscita, Charlie, che ascolta di continuo
la canzone degli Who, aspetta un sorso di pioggia fresca. Dalla morte della moglie e delle figlie nell’attentato dell’11 settembre 2001, il
suo orizzonte si è chiuso in un autismo disperato, nello sforzo di non
ricordare. Alan, un ex-compagno di università, incontra Charlie per
caso e fa di tutto per aiutare l’amico. La sua posizione sociale crea
varie situazioni imbarazzanti. Alan infatti è ormai integrato nella buona borghesia newyorkese, grazie anche al successo professionale. Charlie è mosso dalla rabbia, l’incertezza, ma soprattutto ha perso
tutti i punti di riferimento (passa giornate intere davanti alla playstation). Il film è un’ottimo spunto per un dialogo sull’amicizia: fin dove
si possono sopportare i capricci (apparenti) dell’amico? Cosa siamo
pronti a sacrificare per andare incontro sinceramente all’altro? 21
LIBRI
Dal punto di vista del buon Samaritano...
Farsi prossimo. Meditazione sulla parabola del buon samaritano
di Moriconi Bruno
Città Nuova Editrice, Roma 2006
“Chi è il mio prossimo?”: la domanda che lo
scriba rivolge a Gesù costituisce nel vangelo
di Luca l’incipit della parabola del Buon Samaritano. In quell’umanità senza nome, abbandonata sul ciglio della strada da Gerico a
Gerusalemme, solo il samaritano riconosce
un individuo da soccorrere. Per sapere chi
è dunque il nostro prossimo - sembra dire
Gesù - bisogna farsi prossimo ogni volta che
un uomo ha un bisogno; bisogna superare
l’immagine che ci costruiamo del prossimo
perché questi è qualsiasi uomo. Dopo aver
analizzato la parabola nei suoi passaggi essenziali, l’Autore si sofferma sui singoli personaggi: lo scriba che è l’interlocutore di Gesù,
il sacerdote e il levita, il samaritano. Segue quindi una rilettura del
testo evangelico alla luce della misericordia, della identificazione del
samaritano con Gesù e di Gesù con l’uomo abbandonato.
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Dal punto di vista del viandante...
Più forte dell’odio
Di Tim Guénard.
Tea Editrice, Milano 2012
Abbandonato a tre anni, sulla strada, dalla
madre, inchiodato per due anni a un letto
di ospedale a causa delle botte ricevute dal
padre: l’infanzia di Tim è un inferno di rabbia
e di odio, in un alternarsi di riformatori, famiglie affidatarie e istituti. A 12 anni comincia a
vivere sulla strada e lì è una lotta quotidiana
contro la fame, il freddo, i cattivi incontri. Poi
il pugilato, dove riesce a emergere e ad acquistare un po’ di rispettabilità. Ma dentro di
lui brucia l’odio e cresce il desiderio di vendetta contro il padre. Saranno l’incontro con
un sacerdote e l’amore di una donna a cambiare radicalmente la sua
vita. Un libro che contiene un grande messaggio di speranza e un
forte richiamo alla forza dell’amore e del perdono.
Ho cambiato il mio destino
di Rachel Mwanza, Mbépongo Dédy Bilamba
Corbaccio editore, Milano 2015
Rachel Mwanza è stata accusata di stregoneria dalla nonna e allontanata da casa. Non
è raro che questo accada in un paese dove
credenze religiose e superstizioni sono profondamente radicate. Rachel Mwanza non è
altro che una ragazzina, che a 9 anni dopo
l’allontanamento forzato imposto dalla nonna
si ritrova sola e senza sostegno tra le strade
di Kinshasa. Rachel diventa una Shegué, appellativo usato in Congo per indicare i bambini di strada. Per la ragazzina, vivere quattro
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anni per strada ha significato convivere con malattie, fame, violenza
e soprusi. Rachel ha dovuto imparare suo malgrado ad affrontare
tutte queste difficoltà, sviluppando qualità quali coraggio e determinazione. Rachel saprà cogliere l’occasione della sua vita, quando tra
le strade di Kinshasa verrà avviata la selezione di un volto per un film
sui bambini-soldati. Riuscendo a superare il provino, Rachel verrà
selezionato tra gli oltre 200 partecipanti, diventando così protagonista del film “Rebelle – War Witch”, e realizzando un’interpretazione
talmente commovente da vincere l’Orso d’argento al festival di Berlino e una nomination all’Oscar. Una Rachel più adulta si dice ora
felice della sua vita, e ancor di più della possibilità di riprendere gli
studi per combattere ignoranza e miseria che hanno rovinato la sua
infanzia insieme a quella di migliaia di bambini del suo stesso Paese.
Rachel Mwanza può dire con orgoglio “Ho cambiato il mio destino”.
ARTE
Il buon Samaritano (olio su tela, 1890)
di Vincent Van Gogh
“Il buon Samaritano” è un
dipinto il cui soggetto Van
Gogh ha copiato da una litografia di Delacroix, nel maggio del 1890, anno della sua
morte. Questa tela (come
altre opere a tema religioso) venne eseguita immediatamente dopo il recupero
da una ricaduta della malattia, e può essere visto in
essa il desiderio dell’artista
di trovare conforto nei pensieri religiosi, come una via
d’uscita dalla depressione,
identificando se stesso in un
modo o nell’altro con i pro24
tagonisti delle immagini. La pittura era infatti per lui come una forma
di terapia.
Lettura del dipinto di Van Gogh
È notevole la capacità di Van Gogh di rivelare le proprie emozioni
attraverso la pittura. Egli, che aveva dato tanto agli altri durante il
periodo in cui era stato predicatore e si era fatto vicino a contadini e
minatori, quando dipinge questa tela vive una fase difficile della malattia, è solo abbandonata. Si sente perfettamente con l’uomo trovato
ferito della parabola.
Una seconda lettura può interpretare l’opera come una rappresentazione della sua vita a Saint-Remy, o la vita in generale, in cui si
considera un uomo punito dalle circostanze avverse.
Lungo una strada sterrata in mezzo a campi bruciati dal sole, un
uomo sta cercando di caricare un altro uomo sul suo cavallo. Il ronzino sta attendendo pazientemente che il carico gli sia posto in groppa,
ha le orecchie dritte pronto a percepire e assecondare ogni movimento. L’uomo in primo piano è teso nello sforzo di sollevare il pesante
corpo, inarca la schiena fa leva con la gamba, punta il piede a terra
e solleva il tallone che si stacca dalle ciabattine che porta. Prima di
fare questo però possiamo notare che si è rimboccato le maniche per
poter lavorare meglio; deve aver soccorso il malcapitato e curato le
sue ferite, perché questi porta sulla testa una vistosa benda. L’uomo
non ha la forza di salire da solo sul cavallo e senza parlare cerca di
aiutarsi aggrappandosi disperatamente a colui che lo sostiene in un
abbraccio spasmodico e scomposto. Possiamo immaginare cosa sia
accaduto, ricostruendo la scena dagli effetti personali sparsi poco
lontano, sul bordo del sentiero. Accanto e bene in vista sta il bagaglio
aperto e vuoto che ci ricorda la valigia di cartone di non pochi emigranti che dalla vecchia Europa andavano a cercar miglior fortuna
nel nuovo mondo, il cui ricordo è vivo in Van Gogh quando dipinge
questo quadro nel 1890.
Guardando con attenzione, si nota come ci sia un equilibrio instabile
delle figure. Il samaritano fa ogni sforzo per sollevare il peso inerte del
ferito, per metterlo sopra la sella. Quel momento è registrato come
un’istantanea. Il ferito, in posizione instabile, fa una forte pressione
laterale sull’animale, che, per contrastare la spinta, sembra muoversi
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sulle zampe; forte è anche la forma inarcata della schiena dell’uomo,
che dice lo sforzo per mantenere un poco l’equilibrio. Notiamo il movimento goffo dei due uomini che quasi si abbracciano, il cui tracciato
è una linea sinuosa, che crea a sua volta il movimento naturalmente
ondulato dei vestiti e che si diffonde sull’animale e sulle montagne
sullo sfondo.
Colpiscono due particolari: la somiglianza fra i tratti del samaritano e
quelli del pittore e l’impressione visiva che il soccorritore, più che caricare lo sventurato sul cavallo, lo stia tirando giù, vale a dire se lo stia
caricando sulle spalle. Quest’ultimo aspetto sembra voler trasmettere l’idea che per aiutare davvero il prossimo, è necessario addossarsene il dolore e le difficoltà (sensazione rafforzata dal contrasto
con le due piccole figure, il sacerdote e il levita, che si allontanano
sullo sfondo dopo aver rifiutato di prestare soccorso al ferito). Né è
forse inopportuno ricordare che Vincent si era, anni prima, prodigato
con grande zelo in qualità di infermiere sia nei confronti dei colpiti
dall’epidemia di tifo, sia nei confronti della madre vittima di un grave
infortunio. La scelta dei soggetti biblici, pur non indicando un ritorno
alla fede, testimonia un animo dotato di una particolare sensibilità nei
confronti del dolore.
La scena ci rivela che l’uomo è stato assalito, derubato e malmenato,
ma ci racconta anche cosa è accaduto subito dopo: due uomini erano
passati di lì e non lo avevano soccorso, uno lo vediamo camminare
su per il sentiero all’altezza della valigia, dell’altro intravediamo solo
la sagoma evanescente che si perde sulla strada fin dove l’occhio
può guardare, per svanire poi all’orizzonte in mezzo alle nuvole bianche che si addensano sullo sfondo e che si confondono con le pendici dei monti visitate da qualche ciuffo d’erba. I due uomini si muovono
in questa calma apparente, in una atmosfera dove tutto sembra immobile e poco si può vedere del cielo.
Se tracciamo una diagonale dall’angolo in alto a sinistra verso il basso a destra, la tela è divisa in due triangoli. Predominano, nella parte
superiore ondulata, i colori freddi, mentre in quella inferiore le ondulazioni sono più limitate ma i colori sono caldi e i tratti brevi.
Alcuni commentatori hanno letto le montagne sullo sfondo con la
gola in cui non si vede più la continuazione della strada come la rappresentazione delle difficoltà che l’artista sta vivendo: è come in un
vicolo cieco.
Tutto è reso vibratile dai molteplici segni di pennello che caratterizzano lo stile pittorico di Van Gogh. In primo piano questa carica del
segno si fa viva e dinamica in quell’abbraccio fisico, materiale. Percepiamo, infatti, l’uomo che scende da cavallo, si fa vicino al malcapitato, tanto vicino, ... Egli si carica di lui reputando in quell’istante
essere l’unica cosa possibile da fare. È l’uomo che incarna l’unico
umanesimo possibile, quello della compassione e della pietà. Perché
libero è il suo modo di amare, libero l’oggetto d’amore, libera è la sua
risposta. È Gesù, il Messia, è Dio che scende sull’uomo, si curva su
di lui di un amore che trabocca, per soccorrere l’umanità ferita, l’umanità sofferente. Il prossimo di cui si chiedeva a Gesù, quest’uomo che
scendeva da Gerusalemme, viene soccorso dal samaritano che non
ha tempo, non ha impegni urgenti, che non demanda, che non chiede
e che si fa carico, gli si fa prossimo, fondendosi in quell’abbraccio
che nella tela di Van Gogh è portatore di una forte carica emotiva che
coinvolge, perché non c’è altro da fare: va’ e anche tu fa lo stesso.
Diversamente l’uomo non si salva, né tu né lui.
Forse il quadro si pone la domanda ‘Quale dei personaggi sono io?’
Il sacerdote o il levita che sono passati e hanno continuato sulla loro
strada? L’uomo che era malconcio e sanguinante sul ciglio della strada? O il Samaritano che ha dimostrato cosa significhi essere un vero
prossimo...
Quando qualcuno ha bisogno, ci chiediamo: ‘Che cosa accadrà a me
se mi fermo ad aiutare questa persona?’ o dobbiamo forse chiederci:
‘Che cosa accadrà a questa persona, se non mi fermo ad aiutarla?’
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CANZONI
Hey Dio
Nek – Filippo Neviani (2013)
Il brano presenta uno sfogo, è una spinta alla
riflessione, spinge a farsi delle domande, è
l’intimo e l’origine di esprimere tutto ciò che
l’uomo prova con una esecuzione fisica, perchè quando un artista vuole spiegare qualcosa, deve percorrere un tragitto e se è davvero
solo, inevitabilmente in quel tragitto si perde!
Nek afferma di non sentirsi mai da solo, perchè avere fede è la certezza di sapere che ‘qualcosa’ c’è... ma non
basta aver fede senza la concretezza dei gesti, non si può restare
fermi sulle teorie...
La Fede è un dono che è possibile apprezzare solo nel momento
in cui prendiamo sul serio la vita - con le sue gioie ed i suoi dolori
- altrimenti sarebbe un po’ come avere la benzina nella macchina,
ma, nessuna meta da raggiungere, nessun viaggio da fare... Inoltre è
importante ricordarsi che questo viaggio non è possibile farlo da soli,
dobbiamo farlo ‘con’ e ‘per’ gli altri, perchè una fede vissuta per se
stessi non è una fede cristiana!
Hey Dio... guidaci verso l’unica vera strada che porta alla felicità!
Hey Dio,
avrei da chiederti anch’io,
cos’è quest’onda di rabbia,
che poi diventa follia,
che c’è da stare nascosti,
per evitare la scia,
di questo tempo che ormai,
è il risultato di noi...
Hey Dio,
vorrei sapere anche io,
se questo mondo malato,
può ancora essere mio,
e se il domani che arriva,
è molto peggio anche di così,
ma infondo sai cosa c’è,
hai ragione sempre te...
Che c’è bisogno d’amore,
è tutto quello che so,
per un futuro migliore,
per tutto quello che ho,
per cominciare da capo e ritrovare una coscienza,
per fare a pezzi con le parole
questa indifferenza...
Che c’è bisogno d’amore,
è tutto quello che so,
per un futuro migliore,
per tutto quello che ho,
per cominciare da capo e ritrovare una coscienza,
per fare a pezzi con le parole
questa indifferenza...
E dopotutto sai,
che sono quello di sempre,
che non potrei stare fermo mai,
d’avanti a un mucchio di niente...
In qualche angolo c’è,
chi la pensa come me...
Che c’è bisogno d’amore,
è tutto quello che so,
per un futuro migliore,
per ogni cosa che ho,
e per sentirmi più vivo,
io voglio cominciare da qui,
l’amore è il vero motivo,
per essere più liberi...
Hey Dio,
permettimi di dire che qui,
è solo l’odio che fa notizia,
in ogni maledetto tg,
non c’è più l’ombra di quel rispetto,
il fatto è che sembra andar bene
così,
ma infondo sai cosa c’è,
hai ragione sempre te...
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La cura
Franco Battiato – L’imboscata (1996)
E’ una canzone ricca di protezione ed Amore.
Invita l’altra persona a fidarsi di lui. Lui promette di proteggerla in qualunque modo, in qualunque situazione, di fare anche cosi impossibili per non farla soffrire. In questa canzone si
avverte che la persona a cui lui si rivolge ha
sofferto in passato, ma lui vuole darle tutto l’
Amore possibile , tentando di fargli capire che
esistono ancora persone in grado di mettersi da parte ed annullare
se stesse per la persona che amano. Un invito all’introspezione, a
capire l’importanza che esiste qualcuno che noi potremo amare più
di noi stessi e che faremo di tutto pur di non vederlo soffrire e pur di
fargli sfoggiare un sorriso sul viso.
Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore,
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
E guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale,
ed io, avrò cura di te.
Vagavo per i campi del Tennessee
(come vi ero arrivato, chissà).
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare.
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Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza.
I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi,
la bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
Ti salverò da ogni malinconia,
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te...
io sì, che avrò cura di te.
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Scarica il video e i contenuti dell’incontro sul sito
www.pastorale.salesianipiemonte.it
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3 Dicembre 2015
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