VIAGGI | Nord Corea
IL PAESE DEL PLACIDO MATTINO
da un Corea del Nord gruppo R. Simeoni
Testo di Giuseppe Fumarco
Foto di Rosalba Simeoni
F
accio un salto sulla sedia di fronte al
PC: da un po’ non bazzicavo sul sito
di “Avventure” ed ecco che, finito
per pura curiosità sull’estremo oriente,
mi vedo indicata come prima proposta di viaggio
la “Corea del Nord” che sapevo essere una delle
nazioni più “isolate” al mondo.
Poi mi informo: in Corea del Nord da qualche anno
si può andare anche come ‘turisti’ (le delegazioni
straniere ‘amiche’ erano ovviamente ospitate da
sempre); poi scopro che non ci va solo “Avventure”
ma anche altri gruppi, per lo più sparuti, ma anche
un tour operator di tutto rispetto come “Go Asia”
(non ho potuto controllare però l’effettività delle
partenze ma solo il catalogo).
Quindi un’apertura al turismo c’è!
Ed allora eccomi contattare Rosalba Simeoni,
già indicata fin da Marzo come coordinatrice del
gruppo che partirà in Agosto per avere la chance
di assistere all’ARIRANG, evento unico al mondo di
rappresentazione scenico-coreografica di massa
in cui gli ‘attori’ superano in numero gli ‘spettatori’
– si dice 100.000, ma il dato non è ovviamente
controllabile- ed un’intera nazione è coinvolta
nella preparazione e nella successiva messa in
scena dell’evento presso un enorme stadio posto
ai margini di Pyongyang (evento che viene ripetuto
in forma quasi identica per tutto Agosto sei
giorni alla settimana e che i turisti pagano assai
salato:100 €; ma tutti poi concordano nel dire che
ne valeva la pena!).
All’inizio gli iscritti sono pochi ma, ad un certo
punto, si registra un salto ed alla fine, alla
partenza dell’11 agosto 2012, saremo in tutto 21
partecipanti.
E però necessaria una mediazione: il gruppo (che
sul posto sarà comunque assistito da due guide
locali) deve partire dall’Italia con una sorta di
‘garante’ nella persona di un collaboratore di una
piccola agenzia di viaggi toscana, la “Together in
Val d’Orcia”, che ha sede nella bella provincia di
Siena: nello specifico si tratta dell’amico David.
e batteriologiche- il tutto dimostratosi poi
completamente inventato) non dimenticava mai di
inserire la Corea del Nord tra gli “stati canaglia”
(“asse del male”, “avamposto della tirannia”,
ecc…).
Ho anche allo stesso tempo ben presente un certo
giornalismo assolutamente non professionale
(poiché sfacciatamente di parte) che ci aveva
abituati a considerare questo piccolo e sfortunato
paese come uno di quegli “stati fuorilegge”
che avrebbero sempre potuto essere ‘castigati’
dai portatori di verità e giustizia (nonché di
‘democrazia’) a colpi di bombe e di missili
intelligenti; cioè da parte della U.S. Army e dai
suoi indefettibili alleati europei (Italia inclusa,
ovviamente)!
Il paese viene anche oggi per lo più presentato
come una fonte di continue provocazioni e di
pericolo nucleare -un po’ come l’Iran, che non
può avere la sua atomica per il semplice fatto che
“sul posto” ci sono gli israeliani che di atomiche
ne hanno un bel numero…mai dichiarate
ufficialmente, si intende– e, per di più, devastato
dalla fame; un riferimento quest’ultimo -gonfiato
all’inverosimile- che si collega alle gravissime
inondazioni del 2007, anno in cui la Corea del
Nord ricorse effettivamente agli aiuti internazionali
tramite la Croce Rossa; ma si trattava, con tutta
evidenza, di uno stato temporaneo di calamità
naturale oggi completamente superato.
Certo il sottoscritto per propria formazione
non tende a credere alle manipolazioni e alle
strumentalizzazioni di un certo tipo di giornalismo
visceralmente filo-occidentale e filo-americano,
ma questa rappresentazione della piccola Corea
del Nord (un territorio grande quanto la Grecia con
una popolazione pari a meno della metà di quella
italiana, circa 22 milioni di abitanti) finiva per dare
un’idea strana e contrastata di questa nazione
asiatica dell’estremo oriente.
Nord
Corea
Uno “stato canaglia”?
Ricordo perfettamente che l’ex presidente
americano George Bush (sì proprio quello
che ha distrutto l’Irak per averla colta con la
“pistola fumante” in mano –leggi armi chimiche
34 - Avventure nel mondo 1 | 2013
Un po’ di storia e di geopolitica per capire
meglio
Non dobbiamo essere dei teorici della complessità
delle cose per intuire che ‘sotto’ c’è qualcosa
che non quadra: che pericolo di tipo geopolitico
può realmente costituire un paese piccolo, sia
per estensione territoriale che per numero degli
abitanti? E soprattutto un paese con una scarsa
deterrenza sul piano strettamente militare?
Forse perché la DPRK (Repubblica Democratica
e Popolare di Corea) continua ad autodefinirsi -in
termini controcorrente e fuori moda - un ‘paese
socialista’? Una sorta di “Cuba rompiscatole”
dall’altro parte del mondo?
Una zeppa nell’ingranaggio della normalizzazione
capitalistica e della globalizzazione neoliberista in
atto?
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Pyongyang - Piazza Kim Il Sung
Pyongyang - Monumet to Party Founding
Ma la Cina (che con la DPRK condivide quasi tutto
il confine di terra) non è forse anch’essa un paese
a partito unico di tipo “comunista”? La Cina viene
però oggi riverita, e per almeno tre buoni motivi:
il primo è che i cinesi sono oltre un miliardo di
persone (un miliardo e trecento milioni di abitanti);
il secondo è che la Repubblica Popolare Cinese è
membro permanente del “Consiglio di Sicurezza”
dell’ONU e quindi ha potere di veto sugli interventi
militari; il terzo buon motivo (il più importante di
tutti) è che ormai essa fa parte, a tutti gli effetti,
del sistema capitalistico (di mercato) globale.
Con la Cina non si scherza, ma la Corea del Nord
è un’altra Storia…e che Storia!
Andiamo un po’ indietro con la macchina
del tempo. C’era una volta un paese a forma
peninsulare chiamato Corea (Koryo, “il paese del
placido mattino”) orgoglioso della propria unità
e della propria indipendenza; indipendenza che
aveva saputo salvaguardare dalle mire dei potenti
vicini, cioè il plurimillenario “Impero di mezzo”
cinese a ovest, e lo stato infeudato dei samurai
giapponesi ad est (solo un braccio di mare divide
la penisola coreana dalle isole che costituiscono
il Giappone).
Un miracolo dunque che le dinastia coreana
Goryeo fosse riuscita ad unificare la penisola
nel lontano 918 d.c. mantenendone il dominio
fino al 1392. A tale dinastia ne erano poi seguite
altre (Joseon, ecc…) che ci portano dal 1392
direttamente al 1897, cioè all’epoca del “Grande
Impero Coreano”, un regime di tipo monarchico
che corrisponde all’ultima ridefinizione geografica
e territoriale della Corea unitaria.
La storia di indipendenza ed unità di questo paese
si interrompe con l’invasione militare e la relativa
annessione giapponese nel 1910, quando, in
parallelo con la guerra di aggressione alla Cina,
il Giappone si impone definitivamente come
potenza militare locale in espansione senza più
imperi e dinastie in grado di contrastarla. Inizia
così un periodo di 35 anni di dominio giapponese
della Corea che terminerà solo nel 1945 quando
il Giappone uscirà sconfitto dalla seconda guerra
mondiale.
E’ in questo periodo che nel Nord del Paese si
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03Pyongyang
04 Abito tipico
05 Piastre di riconoscimento Idea Juche presso Juche Tower
formano e si impongono le formazioni guerrigliere
comuniste che vedranno emergere la figura
storica del leader Kim Il Sung.
La Corea schiacciata e divisa in due
dall’ingranaggio della guerra fredda (la guerra
di Corea: 1950/53)
L’occidente stava ancora contando i milioni di
morti della “seconda guerra civile europea” e già
si innescava un’altra più pericolosa deriva e cioè
la divisione del mondo nelle due sfere di influenza:
gli USA con gli alleati europei occidentali da una
parte, l’URSS e i paesi dell’europa orientale liberati
dall’Armata Rossa, dall’altra.
La Guerra Fredda - e la connessa deterrenza
dell’atomica - aveva inizio.
La prima nazione, il primo popolo, il primo
piccolo stato a pagare questa ‘svolta’ fu proprio
la Corea. Chi dimentica questo particolare non
sarà mai in grado di spiegare ciò che avvenne
successivamente.
Furono infatti proprio gli USA e l’URSS, con un
primo comune ma labile accordo, a costituire
due protettorati a Nord e a Sud, dividendo, dopo
il lungo periodo unitario, la penisola in due stati.
Teoricamente avrebbero dovuto seguire libere
elezioni per la riunificazione del paese ma il
deteriorarsi dei rapporti tra URSS e USA portò ben
presto i due imperi a farsi supporter rispettivamente
delle formazioni partigiane e comuniste del Nord
e dei primi dittatori militari emergenti al Sud. La
Corea del Nord non sopportò l’umiliazione della
separazione e, abituata a combattere contro i
giapponesi da decenni, rivolse il proprio esercito
verso il Sud iniziando una “guerra patriottica di
liberazione” da lei immaginata rapida e senza
ostacoli; il Sud infatti non aveva allora le strutture
militari e i combattenti in grado di contrastare
l’esercito del Nord.
E così fu all’inizio se non che – con un colpo di
mano diplomatico sfuggito a molti ma che consentì
di fatto agli USA di intervenire sotto mandato
ONU – La Corea del Nord di Kim Il Sung aveva
fatto i conti senza l’oste: l’esercito americano.
Dopo una prima invasione in profondità da parte
dell’esercito del Nord quasi fino agli estremi
confini meridionali della penisola, l’intervento
dell’esercito USA sotto la guida del generale Mc
Arthur (quello che voleva bombardare Pechino con
l’atomica visto che i comunisti di Mao Tse Dong
avevano conquistato il potere in Cina) incominciò
a contrastare e respingere le truppe coreane,
cercando di circondarle e chiuderle in una sacca
con una manovra a tenaglia. Va ricordato per
inciso la totale superiorità tecnologico-militare
degli americani e il loro dominio incontrastato
dei cieli nei quali abbinavano, per la prima volta,
all’uso dei caccia e dei bombardieri gli elicotteri
da combattimento, flessibili e versatili strumenti
per spostare truppe e battaglioni (poi ampiamente
utilizzati in Vietnam).
Seguirono i bombardamenti sistematici di tutta
la Corea del Nord e l’invasione del suo territorio
fino a Pyongyang, Wonsan e oltre; solo l’esplicita
richiesta di aiuto ai cinesi consentì in seguito a Kim
Il Sung di far sopravvivere il Nord comunista e di
fermare successivamente il conflitto sulla linea del
38° parallelo; parallelo da allora divenuto ‘famoso’
e che oggi i turisti possono visitare andando a
Panmunjeom dove venne firmato l’armistizio tra le
due Coree e venne costituita la nota Z.D.C. (Zona
Demilitarizzata Coreana).
La guerra di Corea del 1951/53 – una delle più
‘rimosse’ della storia - dura relativamente poco
(se pochi sono tre anni di massacri e di guerra
cruentissima). I morti militari nordcoreani furono
probabilmente tra i 200.000 e i 400.000, ma
morirono anche un milione e mezzo di civili di cui
un milione nord-coreani e 500.000 sudcoreani.
‘Solo’ 54.000 i morti dell’esercito USA mentre non
risulta verificabile il numero dei morti dell’esercito
cinese (a sostegno della Corea del Nord era
intervenuta un’intera armata dell’esercito cinese
forte di 180.000 uomini).
Così la piccola nazione asiatica pagò la ‘novità’
dell’inizio della guerra fredda e della divisione del
mondo nelle due sfere di influenza.
Nord
Corea
La situazione oggi ..
La Corea del Nord vista con i nostri occhi
Naturalmente chi va oggi in Corea del Nord sa
che va in un viaggio ‘blindato’, dove spesso non
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si possono fare foto, dove si è sempre seguiti da
‘angeli custodi’ (peraltro gentili), dove una volta
depositati di sera all’Hotel non si può uscire,
ecc…ecc…
Tutte cose che ci riportano indietro nel tempo,
esattamente ai tempi della guerra fredda (chi è
stato in URSS ai tempi della cosiddetta “cortina
di ferro” tutte queste ‘procedure’ se le ricorda
molto bene); e lì è rimasta la Corea del Nord, quasi
congelata nel tempo, presa in mezzo tra una Cina
che non capisce più e che si astiene dal seguire
nella sua inedita rincorsa alla globalizzazione del
mercato e l’esercito USA al 38° parallelo.
Le altre ‘notizie’ lette sui giornali (fame, carestia,
sottosviluppo, ecc..) sono solo sciocchezze; anche
se un paese fuori dagli scambi internazionali e
sotto embargo paga naturalmente dei costi nel
proprio sviluppo.
Chi viaggia in Corea del Nord oggi è invece colpito
dalla nitidezza e dall’ordine quasi bucolico del suo
paesaggio e delle sue campagne in cui al verde
brillante delle risaie si alterna quello più cupo
dei campi di granoturco e dei boschi sui pendii
delle montagne, e dove affiorano qua e là villaggi
fatti di casette semplici e sobrie, ben allineate
intorno alle poche strade (non sempre asfaltate)
che li attraversano. Viene voglia di scendere
dall’autobus e … andare a camminare in questa
campagna intatta (dai diserbanti e dai pesticidi,
dai cartelloni pubblicitari, dalla cementificazione
e dall’asfaltatura che sottraggono continuamente
territorio alle coltivazioni, ecc…). Qui il territorio
non è aggredito ma accudito.
Così l’immagine che si ha come prima percezione
di questo paese contrasta con il dramma sotteso
della guerra, dei martiri e della divisione di
intere famiglie spezzate in due, ecc… ed il suo
messaggio ‘subliminale’ è non solo e non tanto
quello dell’isolamento (anche questo è abbastanza
ben percepibile, sebbene ora attenuato dai turisti
che si muovono con discrezione – cinesi a parte
- sul suo territorio) quanto la sua nitidezza, la sua
sobrietà, la sua tranquillità, la pulizia delle strade
delle sue città, ecc…La scarsità del traffico e
la quasi assenza di inquinamento nella stessa
Pyongyang fanno il resto. Sembra di muoversi in un
acquario, fuori dalla nevrosi della globalizzazione.
Ma il dramma coreano è tutto il resto: a partire
dal timore dello spionaggio (che a noi turisti fa
sorridere, non in grado come siamo di cogliere
tutti gli aspetti di questa realtà complessa); il clima
permanente da guerra fredda; la paura costante di
un attacco americano, ecc…; ma tendo a pensare
ancor più che l’apparato di potere del regime tema
l’uso di immagini - per noi banali - per screditare
il regime (esempio: fotografare il lavoro nei campi,
ancora in buona parte ‘fatto a mano’; oppure le
ridotte isole di povertà nelle campagne o nelle
città, ecc..) perdendo però, allo stesso tempo,
l’occasione di dimostrare gli assi vincenti del
proprio modello di sviluppo:
1. La Corea del Nord – se mai si dovesse dare
una palma alla nazione più ecologista del mondo probabilmente la vincerebbe (o sarebbe comunque
una delle prime);
2. Il modello coreano non è “a risparmio di
lavoro” ma tutti devono (e possono) lavorare: sia
nell’attività produttiva generale del paese che
nel lavoro volontario di gestione del territorio e
di abbellimento generale del paese. Gli studenti
e l’esercito sono permanentemente mobilitati in
queste attività e questo l’abbiamo constatato con
i nostri occhi;
3. Il sistema educativo (più difficile verificare quello
sanitario) è veramente di eccellenza, ed è molto
incentrato – nei suoi primi gradi - sulle attività
ginniche, artistiche e manuali (molti pedagogisti
oggi assentirebbero).
Quindi: il livello di vita non è certo alto
(particolarmente nelle campagne), anche perché
l’aspro territorio coreano non aiuta l’agricoltura e
si coltiva tutta la terra disponibile fini agli argini
dei fiumi e sempre il territorio può costituire un
problema per via di un assetto idrogeologico
complicato di per sé (chi ci è stato mi capirà);
così che realmente una stagione di monsoni
‘esagerata’ può costituire un disastro.
Ma pensateci un attimo: un paese senza
disoccupazione, senza l’ansia di perdere il lavoro,
senza smog, senza nevrosi; i coreani vanno
tranquilli al lavoro sulle loro biciclette coreane, con
i loro vestiti sintetici prodotti in Corea (il ‘vinalon’),
e solo le poche autovetture che passano nelle
enormi strade semivuote -asfaltate alla coreana –
sembrano costituire un’eccezione.
I nordcoreani vivono in case semplici per gli
standard occidentali, ma avere un’abitazione è un
diritto e le case gliele dà lo stato.
Un paese diverso, un paese agli antipodi culturali
della globalizzazione all’occidentale che ha
pervaso furiosamente il mondo: vale la pena
vederlo.
Quel che si perde in libertà lo si guadagna in
giustizia sociale (il solito insuperato dilemma della
Storia degli ultimi due secoli!); qui comunque pare
che anche i membri importanti dell’apparato di
stato e di partito non possano avere redditi troppo
elevati rispetto alla maggioranza della popolazione
(fringe benefits a parte!)
Nord
Corea
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Quale socialismo? La torre dell’Idea Juché
Visitando Pyongyang si va a vedere la torre
dell’idea Juché. Essa è il simbolo del “socialismo
alla coreana” (del Nord). Il socialismo coreano
aveva bisogno di una propria specificità
nazionale è l’ha distillata in questa idea che è
poi rielaborabile nel modo seguente: il socialismo
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Cena tipica
Pyongyang - Arco di trionfo
Panmunjon 38esimo parallelo
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coreano resta nell’alveo del marxismo-leninismo
ma adotta un suo modo d’essere coerente con le
peculiarità del suo popolo (“mantenere un punto di
vista indipendente”, “applicare metodi creativi”);
esso dà un rilievo più intenso all’individuo (un
individuo che fa comunque parte di una collettività
e che si può esprimere positivamente solo ‘in’ essa
e ‘per il tramite’ di essa); una filosofia centrata
sull’uomo e sulla sua posizione ed il suo ruolo
nel mondo, tenuto conto però che sono le masse
popolari a costituire il “vero soggetto della storia”;
è poi fortemente sottolineato il concetto di
autonomia e di indipendenza (sia economica,
che politico-militare, ecc…) quasi al limite
dell’autarchia.
Insomma un misto di umanesimo gramsciano
abbinato al concetto dello sviluppo del socialismo
in un paese solo e ad una quasi autarchia dal
punto di vista economico (“basarsi sulle proprie
forze”, “contare solo sulle proprie forze”, come già
Mao suggeriva nel libretto delle guardie rosse).
Mi scusino i cultori di Kim Il Sung, ma in fondo nulla di
nuovo nel “socialismo alla coreana” che resta
comunque un’esperienza interessante poiché
tende all’autorealizzazione senza sostanziali
revisionismi in campo economico (vedi Cina) e
senza rischi di collasso di sistema (vedi ex URSS)…
per lo meno nell’immediato. Un’esperienza forse
più vicina a quella del Vietnam che a quella
cubana, per ovvi motivi geo-politici e culturali;
anche se i Vietnamiti mi paiono - in generale - più
flessibili.
Nel corso del viaggio ci hanno fatto fare spesso
riverenze e inchini (nonché omaggi floreali) alle
icone statuarie del grande padre della patria, il
sopra nominato Kim Il Sung, che compare spesso
appaiato al figlio, Kim Jong Il.
La cosa non è risultata antipatica al gruppo che
è stato al gioco, cioè quello di immaginare di
essere non un banale “gruppo di turisti” bensì
una “delegazione straniera ospite” ‘pagante’, per
doveri di solidarietà internazionale con il popolo
coreano.
Ma a chi scrive viene naturale un dubbio:
siamo certi che i Sung volessero quel “culto della
personalità” e quella mitizzazione che è stata loro
attribuita?
L’ultimo rappresentante della ‘dinastia’, Kim Jong
Un, la sta rifiutando (ha dichiarato che non vuole
più sue immagini nei luoghi pubblici); buon segno,
qualcosa sta cambiando, anche a questo livello.
In ogni caso rispondo al quesito sul “culto della
personalità”: un popolo che ha subito un trauma
(guerra e separazione nazionale) e che si sente
isolato dalla comunità internazionale, ha bisogno
-dal punto di vista antropologico-culturale– di un
forte “collante identitario nazionale”; se non c’è
una religione (la Corea è ufficialmente atea ed
il buddismo è residuale) è opportuno che ci sia
almeno un ‘mito’ unificante. Ecco l’origine e la
spiegazione del “culto della personalità” dei leader
e del bisogno dei “padri della patria”.
Per finire. I coreani del nord vorrebbero riunificarsi
con i loro fratelli del sud ma non sappiamo se la
cosa è reciproca; questi ultimi infatti sono partiti
per la tangente mercatistica (la Corea del Sud è
una delle “tigri asiatiche”, anche se oggi un po’
in affanno).
Ma come immaginare tale riunificazione?
Ogni tanto ci riprovano con i cosiddetti ‘colloqui
di pace’ nella Z.D.C. (le due parti sono tuttora in
fase ‘armistiziale’, cioè in una situazione che non
può essere considerata di pace definitiva) poi tutto
torna di nuovo in alto mare.
A nostro avviso il divario culturale tra i due
popoli è oggi talmente ampio che al trauma della
separazione del ’53 seguirebbe comunque un
“trauma della riunificazione”.
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il paese del placido mattino