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N ovembre - D ic embr e 2 01 5
An n o Terzo , N umer o 2
UNITREOSIMO
26° Anno Accademico
2015 - 2016
Sede: Piazza Sant’Agostino, 2 , 60027 Osimo (Ancona), tel. 071 7231936
Sito: www.unitreosimo.it
Email: [email protected]
Presso la Segreteria della Sede
si può acquistare copia del
Volume
unitre. osimo
Libero Foglio d’informazione a uso interno
distribuito ai soci.
Dante Poeta e Filosofo
Carlo Pesco
Il poeta, nato a Firenze nel 1265, morto a Ravenna nel
1321 rappresenta una delle ultime grandi personalità del
Medioevo. Sono in lui vive le due idee che dominarono
l’età di mezzo, la Chiesa e l’impero, insieme alla
consapevolezza della loro crisi. È poeta, ma sente il
bisogno di passare alla filosofia: dopo la morte di
Beatrice lo consola «una gentile donna giovane e bella
molto» (Vita nuova, 35), allegoria della filosofia. Dalla
filosofia come consolatio, dalla lettura di Boezio e
Cicerone, Dante passa nelle scuole «de li religiosi e a le
disputazioni de li filosofanti» (Conv. II 13) degli Ordini
mendicanti a Firenze: quella tomista, dei Domenicani,
nella chiesa di Santa Maria Novella e quella dei
Francescani, ispirata ad Agostino e Bonaventura, nella
chiesa di Santa Croce, che ammettevano anche
frequentatori laici esterni.
Dante non fu ‘maestro’ di alcuna disciplina né clericus,
cioè non entrò in alcun ordine religioso. Egli studiò e
scrisse da laico e fece filosofia usando il volgare italiano
per essere compreso da tutti. Dante intende alla
lettera la frase della Metafisica di Aristotele, citata in
apertura del Convivio, secondo cui "tutti li uomini
naturalmente desiderano di sapere" per questo si
adopera affinché il diritto alla conoscenza filosofica sia
alla portata di tutti. Del resto, la posta in gioco è la
felicità dell’uomo raggiungibile soltanto mediante la
pratica della filosofia.
Ma il vero problema di Dante fu quello politico, nel
senso più ampio e nel senso proprio della parola. Per
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questo egli scrisse il De monarchia e la Divina
commedia. Qui, nel poema, egli trovò la sintesi più
armoniosa di filosofia e poesia, impegnate nella
delineazione d’un ideale di vita individuale e sociale.
I maestri di filosofia di Dante furono l’aristotelismo ed
il tomismo; ma sostenne qualche tesi che era di Averroè
(Sigieri è posto in Paradiso) e che Tommaso aveva
combattuto. È frequente il ricorso ad Alberto Magno: e
ciò spiega tante inflessioni neoplatoniche o arabizzanti,
della metafisica della luce, del profetismo gioachimita.
La concezione di Dio quale « amore » e « intelligenza
», causa efficiente e finale dell’universo, e quindi la
concezione della creazione, vengono a Dante
dall’aristotelismo cristianizzato di Alberto e Tommaso.
Neoplatonica è, però, l’affermazione che Dio ha creato
direttamente solo gli angeli ed i cieli, cioè il mondo
incorruttibile mentre il mondo corruttibile, composto
dei quattro elementi, è tale perché è «informato» da
«creata virtù», che sono le stelle e le loro intelligenze
motrici (Par. VII 130-138). Di qui la presenza in Dante
di credenze astrologiche di derivazione araba: egli
sostiene l’influsso degli astri sulle vicende terrene, da
cui resta escluso però l’uomo, perché la sua anima
razionale è creata in modo diretto da Dio.
Nella teoria dei cieli è caratteristica l’affermazione che
l’Empireo non è corpo ma « luce intellettual piena
d’amore » (Par. XXX 40). L’Empireo, questa luce
intellettuale che promana dalla mente divina, è
l’analogo dell’anima del mondo che contiene il mondo
nel Timeo platonico.
L’uomo è composto di materia e di forma, di corpo e di
anima, secondo i termini della dottrina aristotelica.
Circa l’origine dell’anima Dante si esprime mediante
una teoria che combina insieme, nell’aristotelismo, il
pensiero di Galeno, di Avicenna e, in parte, di
1
Tommaso. L’anima vegetativo-sensitiva, assieme al
corpo del feto, si forma per un processo naturale, in cui
opera una specie particolare di sangue che proviene dal
cuore del generante. In questo processo si forma solo
l’animalità dell’uomo non l’umanità. Quando nel feto le
funzioni cerebrali sono perfette, allora interviene Dio
stesso a spirare «spirito nuovo di virtù repleto», cioè
l’anima razionale o intelletto possibile «e fassi un’alma
sola, che vive (vegetativa) e sente (sensitiva) e sé in sé
rigira (intelletto)» (Purg. XXV 37-75).
Le argomentazioni per dimostrare l’immortalità
dell’anima umana sono fondate da Dante sul consenso
di tutti, di tutte le religioni, di tante filosofie;
nell’ammettere l’immortalità attesta una comune
speranza che, se fosse vana, renderebbe la natura
dell’uomo più infelice e più imperfetta di quella d’ogni
altro animale. «Le divinazioni de’ nostri sogni» non
avverrebbero se una qualche parte di noi non fosse
immortale. La fede cristiana ci rende certi di questa
verità, con maggiore sicurezza di quello che non possa
la ragione (Conv. 11 9).
Caratteristica di Dante è la discussione sulla «nobiltà».
Egli rifiuta la nobiltà del sangue come quella, borghese,
del censo. Ogni cosa realizza la nobiltà realizzando la
propria natura. Così la nobiltà umana è nella
realizzazione della natura razionale dell’uomo,
mediante l’esercizio delle virtù morali ed intellettuali
(Conv. IV 16-17). A questo punto il discorso si allarga
al piano politico-sociale. Dante ha sentito la verità,
sostenuta da Aristotele e san Tommaso, che l’uomo non
può attuare se medesimo, raggiungere il proprio fine e
la felicità se non nella partecipazione alla vita politicosociale. Solo che, a differenza di Aristotele, il tema gli
si dilata in un senso universalistico per divenire scopo
ultimo dell’intero genere umano.
C’è un’operazione propria dell’umanità (universitas
humana) al compimento della quale non bastano non
solo l’uomo singolo, la sua famiglia, il suo vicinato, ma
nemmeno una sola città o un solo regno particolare.
Questa operazione appartiene solo all’uomo, non agli
esseri inferiori a lui né a quelli superiori: per attuare
tutta la potenzialità dell’intelletto non è sufficiente un
solo uomo, o pochi o molti, ma è necessario l’intero
genere umano, altrimenti si avrebbe una potenza
separata dall’atto, tale che resterebbe inattuata (Mon. I
4). In un capitolo cruciale del Convivio, il poeta afferma
che la pratica della filosofia permette all’uomo di
raggiungere la propria perfezione, cioè la perfezione
della ragione che costituisce l’essenza dell’uomo.
Dante distingue tre tipi di felicità: quella 'buona'
conseguita con le virtù morali caratterizzanti la ‘vita
attiva’, quella 'ottima' raggiunta mediante le virtù
intellettuali della ‘vita contemplativa’ – entrambe,
queste, realizzabili nella vita terrena e simboleggiate
dalle figure di Marta e Maria del Vangelo di Luca–, e
infine la felicità suprema raggiungibile soltanto nella
vita futura beata. Dante nella Monarchia afferma che
l’uomo ha due fini da raggiungere: la felicità terrena
conseguibile mediante la filosofia, cioè praticando le
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virtù morali e intellettuali, e quella celeste,
raggiungibile con la pratica delle virtù teologali e
seguendo gli insegnamenti divini. Per realizzare questa
duplice finalità l’uomo necessita di una duplice guida:
dell’Imperatore per realizzare la felicità terrena e del
Sommo Pontefice per accedere alla beatitudine eterna.
Come non c’è subordinazione dell’Impero al Papato,
così la felicità terrena, che è un fine razionale e
indipendente, non è subordinata alla beatitudine
eterna, ma anzi rappresenta il pieno appagamento del
desiderio naturale dell’uomo di conoscere grazie alla
pratica della filosofia.
Il pensiero della monarchia universale è fondato anche
su ragioni storico-teologiche. Il popolo romano per
diritto e non per usurpazione, ebbe l’ufficio di monarca,
cioè esercitò l’impero nel mondo (Mon. II 3); e ciò secondo un noto pensiero agostiniano - perché il
disegno provvidenziale di Dio volle preparare l’unità
temporale del genere umano in vista della storia della
salvezza culminante nella venuta di Cristo.
Nell’ambito di questi pensieri s’inserisce la questione
politica dei rapporti fra Chiesa e Impero. Dante
controbatte vivamente tutte le argomentazioni dei
curialisti a favore della superiorità del potere papale dal
quale sarebbe dipendente il potere temporale. In quanto
uomini, papa e imperatore vanno entrambi ricondotti
alla loro misura, che è uno ed è l’umanità. Ma in quanto
alla funzione che essi esplicano, tale funzione (papa,
imperatore) è un termine di relazione, che non può
ricondurre l’uno all’altro, altrimenti l’uno si dovrebbe
poter predicare dell’altro; il che non avviene. Dunque
nessuno dei due può esser subordinato all’altro; ma
entrambi, ciascuno direttamente, si subordinano a un
terzo termine, che è Dio (Mon. III 12). Quanto poi
all’asserita donazione di Costantino, a parte le frequenti
invettive contro il temporalismo della Chiesa che
risuonano nella Commedia, Dante afferma che il
Vangelo è esplicito nel proibire il possesso dei beni
mondani. «Perciò se la Chiesa non poteva ricevere,
dato pure che Costantino avesse potuto fare la
donazione per sua iniziativa, quell’atto era tuttavia
impossibile per la non disponibilità del termine
dell’azione. Né la Chiesa poteva ricevere a modo di
possesso, né lui poteva dare a modo di alienazione.
Tuttavia l’Imperatore poteva affidare al patrocinio
della Chiesa quel patrimonio ed altro, fermo restando il
dominio superiore dell’Imperatore stesso, dominio la
cui unità non soffre divisione. E il Vicario di Dio poteva
ricevere, ma non in qualità di possessore, bensì come
dispensatore di beni a favore della Chiesa e dei poveri
di Cristo» (Mon. III 10).
Dante è dunque per la distinzione dei due poteri, quello
temporale dell’Impero e quello spirituale della Chiesa, i
quali risalgono entrambi in modo diretto a Dio, pur
essendo distinti e separati fra loro, e sono perciò fra loro
in armonia.
Dante guardava soprattutto ai valori dell’unità e della
pace nel mondo, a rimedio della corruzione e dei mali
che travagliavano il secolo. Di questo ideale egli ha
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coscienza d’esser banditore col suo pensiero, e, insieme,
col sacrificio della sua vita. «Tu lascierai ogni cosa
diletta più caramente...; tu proverai sì come sa di sale il
pane altrui. Ma nondimen, rimossa ogni vergogna, tutta
tua vision fa manifesta; … - questo tuo grido farà come
vento, che le più alte cime più percuote» (Par. XVII 55,
58, 127, 133).
Nota: si ringraziano i diversi autori che hanno a loro
insaputa contribuito a scrivere la presente sintesi.
Il salotto dell’Unitre
Rossana Giorgetti Pesaro
Era un invito troppo accattivante per non
esaudirlo,infatti alle 16,30 del 16 novembre,la porta
del salotto
si è aperta
per accogliere gli
invitati,ansiosi
di
incontrare
l’anfitrione.Lucia
Mazzieri. Eccola infatti adattarsi perfettamente alla
situazione di padrona di casa con il vestito della
festa. Con indosso un costume da contadina
marchigiana, Lucia ha messo subito a loro agio gli
intervenuti, spiegando le motivazione che l’hanno
indotta a proporre questi incontri: il desiderio di
condividere
i
propri
ricordi
parlando
di
usanze,emozioni, avvenimenti,storie. Il tema del
giorno erano le “Feste tradizionali e popolari “. L
‘originalità del Corso è quella di dare agli iscritti il
ruolo di protagonisti,e a Lucia il compito di
conduttrice ed animatrice. Ognuno ha voluto
raccontare quali erano le feste di un tempo, facendo
rivivere dei sentimenti sopiti e provati da bambini o
da ragazzi o da giovani. E così sono hanno ripreso vita
.La festa dello Scannafojià”, quella dei “Focarò della
Madonna “, “Il Carnevale col Bo’ finto e la corsa dei
ca’ “,di Cappannari memoria”, “La festa del Batte coi
“maccarò” omonimi e tante altre, proposte da Carla
Rocchi, Guliana Cossa, Rossana Giorgetti, Gigliola
Costantini. Poi è stata la volta dei “Forestieri “
:Giueppe Giordano ha raccontato le feste della sua
Napoli, soffermandosi su quella di Fuorigrotta,
accompagnata dalla canzone “Dove sta Zazà?” che
Giuseppe ha intonato seguito da altri volenterosi.
Qualche altro spunto è venuto da Piermattia Cubelli
(trentino), Saverio Danni (piemontese) e Rosalba
Recchia (pugliese).
Come si sa, “tutti i Santi finiscono in gloria” ,non
potevano quindi mancare i musici che con l’organetto
e il tamburello hanno suonato e cantato “Gli stornelli
e il Saltarello marchigiani” e il “Ciambellone “ che gli
ospiti hanno degustato soddisfatti di aver passato
un pomeriggio all’insegna di una sana e piacevole
compagnia.
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L’Unitre celebra DANTE
Rossana Giorgetti Pesaro
Chi si é trovato, il pomeriggio del 30 novembre nella Sala
delle Colonne del Campana, é certamente rimasto incantato
da Dante, come il pubblico accorso per ascoltare Franco
Palmieri, famoso attore e regista.”Incantati dalla Commedia “
è infatti il titolo della prima manifestazione che l’Unitre, con la
collaborazione dell’Istituto Campana, ha proposto
quest’anno,per celebrare i 750 anni dalla nascita di Dante,
alla quale ne succederanno altre tre. Presentato da Lucia
Mazzieri, ideatrice degli incontri, conosciamo il relatore:
Franco Palmieri, ha affiancato al suo lavoro di attore, quello di
organizzatore teatrale e regista, ma da oltre dieci anni si
dedica al valore popolare e corale della Divina Commedia. Ha
diretto eventi teatrali, dedicati a Dante, a Milano, a Firenze, a
Bologna, a Ravenna, in Armenia, a Chicago e oltre,
coinvolgendo nella recitazione, centinaia di persone di età, di
ceti, nazionalità e professione diversi. Nel marzo 2013
pubblica il libro “Incantati dalla Commedia” che viene
presentato a Parigi, a Bucarest, a Brasov e in altre città. Per
approfondire la conoscenza di Palmieri, come uomo e come
professionista, Lucia Mazzieri ha le geniale idea di fargli un
intervista, ponendogli delle domande pertinenti. Attraverso le
sue risposte, precise ed esaurienti, Franco ha rivelato al
pubblico presente, il perché della sua passione per la cultura
dantesca. Nata per caso a New York da una richiesta di una
signora americana che lo pregava di leggerle un passo
dell’Inferno, è cresciuta e gli è servita per offrire alla gente le
linee guida per capire le parole e giungere ad una perfetta
recitazione dei canti della Commedia. Secondo lui, bisogna
approcciarsi a Dante, come un bambino che scopre la sabbia
e spontaneamente ci gioca, la Commedia c’è, e chi si
avvicina ad essa, viene naturalmente affascinato dalla
musicalità del verso, dal valore degli aggettivi e dei verbi
usati. Secondo lui, in questi dieci anni, egli “non ha insegnato
nulla “, ha soltanto fatto conoscere l’opera dantesca a
persone che ce l’avevano già nel loro D.N.A. Nel suo libro
Franco ha fatto spesso riferimento alla pittura e alla musica,
portando come esempio Lucio Dalla che si è cimentato nella
lettura del primo canto dell’Inferno, asserendo che “la
Commedia è un’opera popolare fonte inesauribile di musica
autentica “. Popolare, infatti tutti possono leggere Dante
purché “ diano importanza al respiro, agli accenti, alle pause,
marcando più i verbi che gli aggettivi”. Il relatore ha poi
continuato, insistendo sul fatto che ad “ogni lettore , non si
chiede di capire, ma di conoscere”. Dante ci chiede un
rapporto tridimensionale con la Commedia, che è una nave
immensa che ci permette di sostare ad ogni porto. L’incanto
emanato da questa opera somma, deriva dal fatto che è una
autobiografia che il poeta ci ha tramandato per fare un tuffo
nel passato ma anche per prendere coscienza del presente
La conclusione della serata è stata affidata a Franco Palmieri
che ha recitato la “Preghiera di San Bernardo alla Vergine “,
tratta dal Paradiso.
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Custodi e Passaggi dell’Inferno
Rossana Giorgetti Pesaro
Dante è tornato ancora una volta alla ribalta con la
rappresentazione organizzata dall’UNITRE per i 750
anni dalla sua nascita, venerdì 4 dicembre al Teatrino
Campana. Quale migliore occasione per ricordare il
sommo poeta che quella di mettere in scena alcuni
canti dell’Inferno, letti e recitati dagli attori della
Compagnia “I colori delle note” diretta da Maria
Grazia Tittarelli. Dopo il saluto della Presidente
Antonietta Mattioli, la conduttrice, Lucia Mazzieri,
ha introdotto il pubblico nell’atmosfera infernale,
coadiuvata dalla proiezione delle incisioni di Gustavo
Doré, dai dipinti di Giotto, dagli acquerelli di William
Blake e dall’accompagnamento di musica, di lamenti,
di guaiti ruggiti che le alunne della classe V° della
Bruno da Osimo ed alcune della classe I°. hanno
efficacemente proposto al pubblico, vestite da
diavoletti con relative corna. Dopo la recitazione a
oscura, mimata diavoletti striscianti, si sono succeduti
al leggio Giuseppe Giordano, Norma Saluzzi,
Antonietta Mattioli , Tiziana Camilletti , Rossana
Giorgetti e Rossana Montori che hanno letto i Canti
più suggestivi dell’Inferno dal III,al XXXIV. Tra i
sospiri, pianti e batter di mani ecco rivivere Caronte,
poi Minosse e Cerbero, rappresentato da un
mantello nero da cui sono apparsi tre volti e voci
latranti. Il buio della scena, era rotto di tanto in tanto
da slides e fasci di luce. Buona l’accoglienza del
pubblico per uno spettacolo così impegnativo,
indovinata la regia, un grazie all’Istituto Campana per
la collaborazione e anche agli addetti alle luci
Lucrezia Mariotti e Franco Mengascini.
Dante in Musica
Rossana Giorgetti Pesaro
La conferenza che il M° Vincenzo DE VIVO,
direttore artistico dell’Accademia Lirica di Osimo,
ha tenuto l’11 dic. 2015 al Teatrino Campana, non
voleva essere una disquisizione filosofica ed
estetica sulla musica concepita nel Medioevo, ma
piuttosto aveva lo scopo di presentare i compositori
che hanno scritto musica da ispirazione dantesca.
Organizzata dall’Unitre, in collaborazione con
l’Istituto Campana, la serata rientrava nelle quattro
manifestazioni, dedicate dall’Associazione a Dante
nel 750° della sua nascita. Introdotto dalla
Presidente Antonietta Mattioli, presenti il Direttore
del Campana Polenta e l’Assessore alla Cultura
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Pellegrini, De Vivo ha esordito, asserendo che la
Divina Commedia è piena di musica, crea degli
effetti speciali col ribollire delle bolge, con lo
spostamento d’aria delle ali del diavolo e con le
tante sensazioni uditive che possono considerarsi
cacofonia. E’ nel Purgatorio che si comincia a
sentire l’armonia con le voci delle anime purganti
che si mettono insieme per innalzare la preghiera
fino al Paradiso. Gli effetti speciali che crea Dante,
arrivano alla sublimazione della musica nella
preghiera alla Vergine nell’ultima Cantica. Ma
veniamo ai personaggi danteschi che hanno ispirato
i compositori: Pia De’ Tolomei, creatura senese
elegante e malinconica per cui Donizetti scrisse
una tragedia lirica in due parti. Lo stesso, ha
musicato anche la vicenda del Conte Ugolino,
riuscendo nel melodramma a rivelare la sua
tragicità. Il personaggio della Divina Commedia,
però, più esaltato in musica, è senza dubbio
Francesca da Rimini, a lei si è ispirato
Rachmaninov in una sua opera e Zandonai con una
tragedia in quattro atti, mentre Antonio Scontrino,
contrabbassista italiano, compose gli intermezzi
per la musica di scena della Francesca da Rimini di
D’Annunzio, interpretata dalla Duse. Persino Liszt
dedicò a Francesca un poema sinfonico per
pianoforte. Nella lista di compositori, dobbiamo
includere anche Giacomo Puccini che nel suo
Gianni Schicchi fa rivivere il personaggio storico
posto da Dante nella X bolgia dell’Inferno e
persino Giuseppe Verdi che mise in musica
l’ultimo canto del Paradiso “La candida rosa “,
formato dalle voci sommesse delle anime elette
intorno alla Vergine che San Bernardo prega
perché Dante mantenga intatti i suoi sensi per
tramandare le sensazioni provate nel cammino
ultraterreno dei tre regni.
Dante Filosofo Poeta
Rossana Giorgetti Pesaro
Il 17 dicembre 2015, nella sala ovale dell’Istituto
Campana, il Professore Carlo PESCO, ha tenuto una
interessante conferenza su “IL pensiero filosofico di
Dante nella Divina Commedia”. Organizzato dall’Unitre,
in collaborazione con il Campana, questo incontro è
stato l’ultimo dedicato alla celebrazione dei 750 anni
della nascita dell’Alighieri. Presentato dalla Presidente
Antonietta Mattioli, il professore ha cominciato,
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inquadrando la figura del sommo poeta , nel MedioEvo
con i suoi problemi e le sue crisi:crisi della cultura e
della spiritualità, crisi del monachesimo che vede
francescani e monaci in contrasto. Ed è proprio quando
iniziano le difficoltà economiche e sociali, quando si
ritiene che la natura sia nemica e responsabile di questi
mali, quando anche la cultura e l’arte entrano in crisi,
che Dante ne manifesta la sua consapevolezza nella
Divina Commedia. C’è bisogno di rinnovamento e
quindi Dante, dopo la morte di Beatrice sente il
bisogno di passare dalla poesia alla filosofia che
definisce “consolatrice” dopo la lettura di Boezio e
Cicerone. Dante non ha fatto studi filosofici, possiamo
definirlo un “clericus” laico, un letterato che scrive in
volgare per essere compreso da tanti , cavalieri e
donne, prendendo alla lettera una frase di Aristotele
”Tutti gli uomini desiderano di sapere”. Quindi, bisogna
divenire filosofi perché la felicità dell’uomo si
raggiunge solo con l’approccio alla filosofia. La visione
che ha Dante nella Divina Commedia é una filosofia
diversa da quella pagana, è visione e passione, in tal
modo egli imprime il suggello della sua potente
personalità trasfigurando la stessa filosofia in poesia.
La sua arte del governo è una concezione della realtà
politica del suo tempo, coordinata a una concezione
della Chiesa che lo porta a ritenere l’uomo come
membro dello Stato e membro della Chiesa. per cui i
rapporti tra i due enti sono distinti e congiunti, in modo
che una buona Chiesa, non sia possibile dove non ci sia
uno Stato ordinato. E volgendosi alla riforma dello
Stato con la condanna dei capi indegni, fulminati dai
cieli, creati dalla sua fantasia, Dante intende riformare
la Chiesa liberandola da ogni elemento mondano e
riportarla alle sorgenti della sua vita spirituale. Questa
filosofia, perciò, è un’affermazione della divinità
dell’uomo, è un’esaltazione delle virtù proprie della
natura umana che opera nella consapevolezza della
legge, virtù che se non sono ancora quelle dell’Alberti e
di Macchiavelli, gli si avvicinano, e ci fanno apparire
Dante pur al limite del Medioevo, come un precursore
dei tempi nuovi.
Nozze d’Argento per l’Unitre
Rossana Giorgetti Pesaro
Significativa la serata del 12 dicembre 2015,
nella sala Santa Rosa dell’Unitre, per festeggiare
i
primi
25
anni
della
sua
esistenza.
L’avvenimento infatti, è stato celebrato nella
stessa
sede
dove
Augusto
Giuliodori,
Primo
Presidente, aveva voluto e inaugurato la nascita
di questa prestigiosa associazione. Nell’occasione
è stato presentato un bel libro che riunisce i
ricordi, i documenti, le fotografie, gli articoli,
raccolti in decenni in un unicum che, lasciando
una traccia indelebile dell’Unitre, ha il merito di
onorare i Soci fondatori e tutti i collaboratori di
questi venticinque anni. E chi, se non Massimo
Morroni
poteva
sobbarcarsi
l’impegno
scegliere, catalogare e riunire tutto il materiale,
utile a essere pubblicato? Infatti, dopo il saluto
della Presidente in carica Antonietta Mattioli,
che
ha
rimarcato
il
cammino
e
l’ascesa
dell’Unitre, Massimo, docente all’Unitre,
ha
presentato il libro, servendosi di slides che hanno
messo in luce i personaggi e gli eventi più
importanti, mentre PierMattia Cubelli, altro
valido Presidente, commentava e rinverdiva quei
ricordi con aggiunte ed aneddoti vari. Presenti,
l’assessore alla Cultura MauroPellegrini, alcuni
soci fondatori, la figlia di Giuliodori e un buon
numero di soci, affezionati fruitori di questa
benemerita associazione.
Natale all’Unitre
Rossana Giorgetti Pesaro
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Rubrica e …………… Spigolature
Crisi e banche: cos’è il bail-in e cosa
rischia il correntista
Dall’anno nuovo, l’eventuale crisi di una banca verrà
risolta con il nuovo meccanismo detto “bail-in”: il
salvataggio dell’istituto di credito, cioè, non avverrà
più con soldi pubblici dello Stato e/o delle banche
centrali (come è stato sino a oggi), ma attraverso la
riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti
(come quelli dei correntisti che abbiano depositato più
di 100mila euro) o la loro conversione in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura
sufficiente a risolvere la crisi e a mantenere la fiducia del mercato.
Cosa rischia chi ha acquistato azioni,
obbligazioni o ha un deposito in conto corrente
nel caso di crisi di una banca: l’indice di solidità
patrimoniale per comprendere l’affidabilità
dell’istituto di credito
In ogni caso, azionisti e creditori non potranno subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso
di liquidazione della banca secondo le procedure ordinarie.
La Banca d’Italia ha diffuso una guida (scaricabile dall’ indirizzo della stessa www.bankitalia.it) con delle
FAQ sul bail-in. Eccola sintetizzata qui di seguito.
Cos’è il bail-in
Per decenni il conto dei dissesti creditizi veniva ripianato dagli Stati, con il ricorso alla fiscalità o ai Fondi di
garanzia, come avvenuto in molti casi anche in Europa dopo il crack di Lehman Brothers: secondo Eurostat,
a fine 2013 gli aiuti ai sistemi creditizi nazionali per reggere l’urto della crisi finanziaria globale avevano
accresciuto il debito pubblico di quasi 250 miliardi in Germania, quasi 60 in Spagna, 50 in Irlanda e nei Paesi
Bassi, poco più di 40 in Grecia, 19 circa in Belgio e Austria e quasi 18 in Portogallo. In Italia il sostegno
pubblico è stato di circa 4 miliardi, tutti ormai restituiti. Dall’anno prossimo invece a pagare il conto di errori
di gestione ed eventuali illeciti del management saranno chiamati (con svalutazioni progressive) innanzitutto
gliazionisti, in subordine gli obbligazionisti e, se non bastassero i loro sacrifici, anche i correntisti (ma,
come detto, solo coloro che hanno più di 100mila euro depositati).
Cosa rischiano i risparmiatori in caso di bail-in?
In pratica, non appena subentra la crisi di una banca, le perdite vengono assorbite seguendo una gerarchia di
priorità: a subire immediatamente le conseguenze sono i proprietari della banca ossia gli azionisti. Solo dopo
si passa alla categoria successiva. L’ordine di priorità per il bail-in è questo: innanzitutto, come detto,
vengono gli azionisti; poi i detentori di altri titoli di capitale; gli altri creditori subordinati (ossia coloro che
hanno i titoli di debito subordinato, quelli cioè più rischiosi); i creditori chirografari; persone fisiche e
piccole e medie imprese titolari di depositi per importi oltre i 100mila euro; il Fondo di garanzia, che
contribuisce al bail-in al posto dei depositanti protetti.
Ad esempio, chi ha un deposito di 200mila euro non deve temere che, all’apparire di una crisi, il suo deposito
verrà ridotto o convertito in azioni, se la predetta crisi potrà essere assorbita attingendo dalle risorse degli
azionisti.
In sostanza, prima si sacrificano gli azionisti, riducendo o azzerando il valore delle azioni. Poi si interviene su
alcune categorie di creditori, i cui titoli possono essere trasformati in azioni — per ricapitalizzare la banca —
e/o svalutati se l’azzeramento del valore delle azioni non basta a coprire le perdite.
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È, dunque, necessario che gli investitori facciano estrema attenzione ai rischi di alcune tipologie di
investimento, in particolare al momento della sottoscrizione.
Quali sono le forme d’investimento e di risparmio bancario escluse dal bail-in?
Sono completamente esclusi dall’ambito di applicazione e non possono quindi essere né svalutati né convertiti
in capitale:
1) i depositi protetti dal sistema di garanzia dei depositi, cioè quelli di importo fino a 100.000 euro;
2) le passività garantite, inclusi i covered bonds e altri strumenti garantiti;
3) le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria, come ad
esempio il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito;
4) le passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni;
5) le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7
giorni;
6) i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa
fallimentare.
Cosa rischiano i depositanti?
I depositi fino a 100mila euro, quelli cioè protetti dal Fondo di garanzia, sono esclusi dal bail-in. Questa
protezione riguarda, ad esempio, le somme sul conto corrente o in un libretto di deposito e i certificati di
deposito coperti dal Fondo di garanzia. Anche per la parte eccedente i 100mila euro, i depositi delle persone
fisiche e delle piccole e medie imprese hanno un trattamento preferenziale: sopporterebbero un sacrificio solo
nel caso in cui il bail-in di tutti gli strumenti con un grado di protezione minore non fosse sufficiente a coprire
le perdite e a ripristinare un livello adeguato di capitale. I depositi al dettaglio oltre i 100mila euro possono
essere esclusi dal bail-in per evitare rischi di contagio e preservare la stabilità finanziaria, sempre che il bail-in
sia stato applicato ad almeno l’8% del totale delle passività. Ulteriori chiarimenti in materia di conti correnti e
bail-in sono indicati nell’articolo a fianco.
Come cautelarsi dal rischio di bail-in?
Innanzitutto l’investitore / correntista dovrà porre attenzione al rating, la valutazione delle agenzie
internazionali, che però in passato non ha evitato scottature.
C’è poi il consensusdegli analisti, ovvero i “consigli” di eventuale acquisto, mantenimento o vendita di un
titolo.
Utile può essere anche l’andamento dei Cds, i credit default swap che rappresentano il “premio” per
assicurarsi contro il default (il loro rapido aumento segnala tensioni).
Il dato, però, più interessante è il coefficiente patrimoniale (o anche coefficiente di solidità patrimoniale).
Espresso come Cet 1, (che sta per Common equity tier 1), tale valore viene indicato nelle comunicazioni di
bilancio e rappresenta il rapporto tra capitale ordinario versato e attività ponderate per il rischio delle banche.
Più alto è il Cet 1, maggiore — sempre che i bilanci siano veritieri — è la solidità dell’istituto, dunque di
azioni e bond.Se il Cet 1 scende sotto la soglia fissata dalla Banca Centrale, l’istituto deve porre in atto
operazioni di rafforzamento patrimoniale. Così, qualora sopraggiunga un grave squilibrio, può scattare la
risoluzione e il bail in.
News UniTre Osimo – Novembre - Dicembre 2015
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