Anno XLVII - semestrale - N. 1 - Maggio 2003 Sped. A.P. - art. 2 comma 20/c Legge 662/96 - Fil. Bergamo Direttore Responsabile: mons. Achille Sana; autorizzazione n. 8 del 17-5-1948 del Tribunale di Bergamo. Con l'approvazione dell'Autorit¥ Ecclesiastica Il nuovo logo de “La Sveglia” Riflessioni in margine al recente conflitto Un look più giovane L’Onu ha un futuro? Negli ultimi mesi l’Associazione degli Ex Allievi è progressivamente ringiovanita. Ecco la nascita del sito web nello scorso mese di ottobre: oltre 10.000 pagine viste nell’ultimo semestre (più della metà gli ingressi unici), considerevoli anche gli ingressi dall’estero (Europa, America del Nord e del Sud, ex Unione Sovietica e perfino dal Giappone). Fatto il sito ora mettiamo mano e portafoglio alla “Sveglia”: abbiamo per ora cominciato a rinnovare il logo. Lo abbiamo ringiovanito, facendo andare il pensione l’ormai leggendaria “sveglia della g” inventata dal prof. Luciano Doneda a cui va un ringraziamento per un logo azzeccato che ha fatto la storia del giornale. Dimenticavo il concorso “La mia scuola in uno spot”. Nonostante qualche difficoltà organizzativa iniziale sono stati diversi gli allievi che si sono cimentati in questa avventura. I lavori, già in avanzato stato di elaborazione, sono gradevoli e ricchi di spunti su cui meditare. L’anno prossimo sarà un’iniziativa da riproporre estendendola anche agli altri istituti superiori della bergamasca creando una giusta e sana competizione. Nel momento in cui la coalizione anglo-statunitense si prepara a lanciare l’attacco finale su Baghdad, il presidente George W. Bush ed il primo ministro Tony Blair dichiarano che lo scopo della guerra è quello, nobile, di volere liberare la popolazione irachena dalla crudele tirannia di Saddam Hussein. Questa, nella migliore delle ipotesi, è una mezza verità. Se i soldati statunitensi fossero intervenuti in Irak a causa della violazione dei diritti umani, ad oggi si sarebbero dovuti iniziare decine di conflitti in Africa ed in Medio Oriente.Infatti, lo scopo della guerra è quello di eliminare le armi di distruzione di massa ed assicurare che Saddam Hussein non costituisca più una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il conflitto è la conseguenza dei crimini commessi l’11 Settembre 2001 e della conseguente drammatica svolta nella politica estera americana, ossia la formulazione della dottrina dell’attacco preventivo contro quelle nazioni che si ritiene siano una minaccia, a lungo termine, per gli Stati Uniti e per l’Occidente. Il problema che oggi, eventualmente si pone è come questa dottrina possa essere compatibile con un ordine mondiale multilaterale. Gli Stati Uniti non possono ritenere che altre nazioni si dichiarino d’accordo sul fatto che solo gli USA abbiano il diritto di decidere quando e dove si possa e si debba interferire ed intervenire negli affari interni di altri Stati sovrani e se questa rimanesse l’impostazione della politica estera e di sicurezza degli Stati fabio colombo Assemblea degli Ex Allievi Sabato 24 maggio alle 17.00 è convocata l’Assemblea annuale degli Ex allievi. Dopo il saluto del Rettore, il vicepresidente Fabio Colombo aggiornerà sulle iniziative dell’associazione. Saranno premiati i neolaureati e verrà consegnato un omaggio ai “reduci” delle Maturità 1983 e 1993. Seguirà la premiazione del concorso “La mia scuola in uno spot”. Al termine un rinfresco. fabio marazzi continua in ultima La sveglia maggio 2003 Al Sant’Alessandro gli Ex salgono in cattedra Bentornati “ragazzi” Ormai da sei mesi, sta procedendo la serie di incontri, dedicati agli studenti del quarto anno dei licei, con gli Ex-allievi che hanno accettato di presentarsi sia come persone, che professionisti, per spiegare ai nostri studenti i loro percorsi. Chi più chi meno, i nostri relatori erano emozionati nel tornare nella loro scuola con un ruolo diverso, “dall’altra parte della barricata” ! Il motivo per cui ve ne parlo è che molti di loro sono stati, per alcuni anni, seduti nei banchi anche delle mie classi e quindi ho potuto ritrovare in loro qualche gesto, qualche atteggiamento, il sorriso e lo sguardo di allora. Cambiati? Sì ma non così tanto, qualche capello in meno, qualche ruga in più e molta più sicurezza. Industriali, managers, liberi professionisti che hanno raccontato di sé, dei loro percorsi scolastici e non, senza falsi pudori; hanno risposto alle mie domande (finalmente senza l’incubo del voto!) con il desiderio di dare dei messaggi utili, dei consigli ai giovani studenti, ai futuri universitari, alcuni dei quali li hanno ascoltati con vivo interesse o curiosità, altri con la presunzione di aver già fatto la propria scelta e la paura di veder messe in crisi le anch’io ho dato un minimo contributo alla buona riuscita del futuro dei miei studenti.Nonostante il tempo il filo che ci lega tutti non si è spezzato, l’appartenza alla scuola è significata dal senso di collaborazione, dalla disponibilità ad essere utili a qualcuno, il che gratifica anche chi nella nostra scuola continua a credere. milly denti Hanno partecipato i professionisti certezze acquisite. Dai più adulti (30 anni dal diploma) ai più giovani neolaureati, per tutti il leit motiv più volte sottolineato è stata l’utilità del metodo di studio acquisito al liceo, la necessità di competenze informatiche o nelle lingue straniere, e soprattutto scegliere ciò che piace perché solo così l’impegno non pesa, gli ostacoli si superano, si trova la tenacia necessaria. E’ innegabile che anch’io mi sono emozionata nel rivedere questi ex studenti che mi hanno fatto riflettere sul tempo che inesorabilmente passa, sulla fondatezza di qualche giudizio scolastico troppo severo che piacevolmente la vita riesce abilmente a smentire, e, in positivo, ho provato l’orgoglio di dire che pag. 2 Alberto Baldi Claudio Brembati Fabio Marazzi Filippo Crippa Gianpietro Masserini Giovanni Modina Giuseppe Delmestri Marco Ferrarini Matteo Zanetti Mattia Rossi Nicoletta Ianniello Paolo Aymon Paolo Nusiner e gli universitari Andrea Nozza Chiara Mascher Clara Bracchi Claudia Vismara Fabio Nani Giordano Suardi Laura Locatelli Marco Ghitti Nazareno Lombardi Paolo Canova Patrizia Cirillo Salvatore Giusto Sara Pessina La sveglia Non ci rendiamo conto di vivere in contraddizione M olti nostri comportamenti sono il frutto di automatismi, radicati nell’abitudine, nell’educazione o nella cultura. Spesso convinzioni e comport- amenti non sono in accordo e diverse convinzioni sono in contraddizione, senza che ce ne rendiamo conto. La cognizione e il comportamento funzionano spesso per compartimenti stagni riducendo la complessità della vita quotidiana senza dover sempre tener conto che tutto è connesso con tutto. A volte non ci rendiamo conto di vivere in contraddizione con noi stessi: siamo in una situazione di dissonanza cognitiva. Se sei contro la guerra è meglio che usi la bicicletta al posto dell’automobile I mmaginatevi cinque amici che prendono le loro macchine per andare ad una marcia contro una guerra che ritengono causata dal desiderio di controllare pozzi petroliferi, senza rendersi conto che bruciando benzina contribuiscono a rendere scarsa la risorsa per cui credono si combatta la guerra. Oppure che usano l’ascensore anche per salire al primo piano (magari chiamandolo dall’ottavo), consumando elettricità prodotta bruciando petrolio. Se supponiamo che i cinque siano anche a favore di una guerra contro la maggio 2003 Anche tu pensi che il petrolio sia stata la causa della guerra? desertificazione nei paesi più poveri, che è favorita dall’effetto serra, prodotto dal consumo di petrolio, allora la dissonanza è massima. Dissipare la dissonanza è possibile e il primo passo è la presa di coscienza della sua esistenza: i nostri comportamenti quotidiani, risultato dell’abitudine, della cultura o della pigrizia d’azione o di pensiero, hanno un impatto globale. Scegliendo l’automobile o il motorino invece della bici o del mezzo pubblico, chiamando l’ascensore, dilungandomi in docce calde sto dando il mio piccolo contributo alla guerra, alla desertificazione e a preservare le relazioni economiche e politiche che ne sono alla base. Ma cambiare questi comportamenti in capo agli adulti è un’impresa molto difficile. Si può influire sulle nuove generazioni, non ancora condizionate Q uanti dei lettori di questo moralizzante contributo pensano ora: “Ma non esagerare! Il piccolo piacere di una doccia contribuisce alla guerra!? Mi vuoi instillare futili sensi di colpa!”. Io stesso, che scrivo, mi scopro a trovare facili giustificazioni quando compio scelte ecologicamente non compatibili (se tutti gli esseri umani utilizzassero tanta energia prodotta dal petrolio come faccio io, pag. 3 allora la terra sarebbe già diventata un posto invivibile). Abbiamo fondato Adventerra Games per sviluppare giochi S e è tanto difficile cambiare per gli adulti, cosa fare? Accettare l’ineluttabilità del destino? La risposta di un gruppo di persone di più paesi (Italia, USA, Austria, Turchia, Slovenia, Brasile) cui faccio parte è stata ottimista. Si può influire sulle nuove generazioni, non ancora condizionate ad essere con i propri comportamenti bombe ecologiche vaganti. Abbiamo fondato Adventerra Games S.r.l. (www.adventerragames.co m) e Greengames.org con l’obiettivo di sviluppare giochi (da tavolo, di carte, multimediali) per bambini e ragazzi al fine di instillare in loro tramite il divertimento c o m p o r t a m e n t i e c o c o m p a t i b i l i . Perseguiamo la massima diffusione dei giochi nel mondo (abbiamo progetti in Lombardia, a New York) in modo che da adulti adottino comportamenti e scelte ecocompatibili. Magari nel frattempo i bambini e i ragazzi riusciranno a far venire qualche dubbio ai propri genitori quando prendono la macchina per andare insieme alla manifestazione per la pace. giuseppe delmestri socio fondatore di Adventerra Games S.r.l. La sveglia Eh sì, lavoravo lassù, proprio dentro quel “buco”, al 26° piano di un simbolo infranto. Dell’incidente aereo al grattacielo Pirelli dello scorso 18 aprile 2002 si è parlato tanto sia sui giornali, che in televisione; ma in realtà oggi poco è rimasto nei cittadini di quel dramma, velocemente “catalogato” dai mass media come un “tragico incidente”. Quella maledetta sera di un anomalo e caldo aprile, le immagini del colosso di vetro in fiamme, simbolo moderno di una Milano operosa e benestante, hanno fatto in pochi minuti il giro del mondo, giungendo drammatiche in tutte le case di questo pianeta sempre più globalizzato, anche nella condivisione delle paure e delle ansie. Paure ed Ansie che sembrano sempre essere di altri, quando le vediamo in tv, salvo poi comprenderne – in questi casi così eclatanti – la loro incredibile vicinanza anche a noi. Oggi a quasi un anno di distanza, tutto questo sembra dimenticato; solo in pochi, di quelli che passano nella zona della stazione centrale di Milano, alzano gli occhi per guardare lassù il “gigante ferito” ed Io purtroppo sono ancora fra questi. Eh sì, lavoravo lassù, proprio dentro quel “buco”, al 26° piano di un simbolo infranto. Ancora mi si stringe il cuore quando guardo lo squarcio, così mestamente “ingarzato” da una rete nerastra. E subito il pensiero corre alle colleghe, alle amiche, Alessandra ed Annamaria, che ora non ci sono più. Alessandra proprio di recente avrebbe compiuto gli anni. Non faccio particolare fatica a rientrare ogni giorno nel ventre del palazzo, ma certo non posso fare a meno di notare come in tanti piccoli aspetti la vita di noi “regionali” maggio 2003 Pirellone 18 aprile 2002 Lassù c’ero anch’io sia cambiata da quel triste giorno. I nostri sei ascensori “all’americana” - un orgoglioso brivido da 30 piani in 30 secondi giacciono inutilizzabili e semidistrutti nel loro silenzioso sarcofago di cemento, l’ingresso – prima sempre popolato e rumoroso – appare oggi silenzioso, mestamente vuoto. Molti colleghi entrano ed ancor più escono in fretta, come se il palazzo fosse per loro un luogo quasi ostile e poi i segni del “botto”, rimasti qua e là un po’ dappertutto: tubature ammaccate dai vetri caduti, passerelle dai tetti “bollati”, verniciature e intonaci “segnati”, “lame” di vetro ancora affioranti dalle aiuole dei dintorni. Eravamo quasi in 1.500 nel Palazzo prima dell’incidente, sembravamo un po’ delle api operaie nell’alveare, oggi in meno di 400, in una struttura così grande, sembriamo più gli ultimi abitanti di una “città fantasma”. Eppure nessuno di noi si è arreso, nessuno si è lasciato prendere dallo scoramento, nessuno ha approfittato del disastro per non lavorare. I dipendenti regionali hanno invece fornito un’eccezionale risposta; uniti e coesi in modo impensabile prima dell’evento, hanno saputo rimboccarsi le maniche e ricostruire dal nulla tutto ciò che avevano perduto. Non un solo giorno si è fermata l’attività generale, gli uffici colpiti sono stati tutti subito riattivati: c’è chi ha lavorato sulle scale, chi al bar, chi nelle sedi periferiche in una febbrile corsa contro il tempo per tornare alla “normalità”. Alcuni di noi sono stati impegnati senza sosta per pag. 4 giorni, anche la domenica e nei ponti del 25 aprile e del 1° maggio. Aiutati dai volontari della Protezione Civile, dai Vigili del Fuoco e dalle diverse società che avevano con noi lavori in appalto, i piani colpiti dall’evento sono stati svuotati e tutto il materiale è stato catalogato, guardato, ricostruito. Computer ed atti bagnati e bruciati sono stati affidati alle mani esperte di una società specializzata nel recupero dei documenti e già alla fine di maggio la situazione regionale si era di fatto normalizzata. I “numeri” di quanto operato danno un’idea della misura del disastro: 1.000 sono stati i traslochi di postazioni di lavoro resisi necessari ed eseguiti nell’arco di 15 giorni, 560 i dipendenti che hanno dovuto essere “ricollocati” in strutture esterne prese in affitto subito dopo l’incidente, 11 i piani riaperti in tre giorni dopo un febbrile lavoro di verifica delle strutture e di bonifica dell’ambiente, 33 gli Enti e le Organizzazioni che hanno preso parte agli interventi all’interno dei piani colpiti subito dopo l’evento e per diversi giorni dopo di questo, praticamente è come se l’incidente avesse colpito un intero piccolo comune, come tanti ve ne sono anche in Lombardia. Oggi per Regione Lombardia sta per iniziare l’ennesima nuova scommessa. Il Pirelli, entro la fine di marzo, sarà completamente svuotato; anche gli 11 piani, simbolo dell’orgoglio dell’Ente, saranno liberati e sarà dato il nicola angelini continua in ultima La sveglia maggio 2003 La libera scelta di non essere liberi H o deciso di non parlare del conflitto iracheno, che chissà se sarà già finito quando leggerete, bensì del fatto che un evento ben più rilevante di una semplice guerra si è verificato in questi ultimi giorni e stranamente non ha ricevuto il meritato rilievo mediatico. Non sto parlando della nomina di Lucia Annunziata alla RAI, che in realtà ha avuto ben più rilievo di quanto meritasse, bensì dello sconvolgente risultato del referendum tenutosi il 16 marzo nel Principato del Liechtenstein. Ed è perfettamente inutile che facciate quella faccia lì, come a dire “è arrivato lo scemo del villaggio”, la notizia è veramente di quelle che minano alla radice le convinzioni e i luoghi comuni tipici delle civiltà occidentali. E che sarà mai, direte voi? E se mi lasciate continuare ve lo dico, rispondo io! Dunque capita che il 64,3% dei 17.800 aventi diritto al voto (e, mi sia consentita una parentesi, visto che il Liechtenstein conta 30.000 abitanti, chi saranno mai i 12.200 non aventi diritto al voto? Non le donne, visto che il ridente Principato ha loro concesso il diritto di voto fin dal lontano 1984. Ci devono essere un sacco di minorenni!), dunque, dicevo, capita che costoro, con una maggioranza che in confronto il referendum sulla monarchia italiana sembra un pareggio, abbiano referendato di attribuire maggiori poteri al principe Hans-Adam II, tra i quali quello di licenziare il governo, bloccare le leggi votate dal Parlamento e intervenire nella nomina dei giudici. Ossia, per i non adepti, tutti i poteri tipici di un monarca assoluto, o per dirla tutta di un tiranno. Voilà: il paradosso è servito: nella democraticissima Europa esiste gente che liberamente e democraticamente sceglie la tirannia. E occhio a non fare facili battute: il Liechtenstein non è mica la repubblica delle banane! A parte il fatto che il principino (che ha 58 anni), secondo le recenti classifiche di Forbes, dispone di un patrimonio personale di circa 2 miliardi di dollari (curiosità: il terzo posto nella classifica dei monarchi più ricchi, dopo il solito re arabo e il sultano del Brunei, gli è insidiato da un altro despota di tutt’altro carattere: Saddam Hussein) e non è quindi propriamente un balabiotto, vi segnalo che il Liechtenstein è l’unico paese del modo occidentale in cui non esiste imposta sul reddito delle persone fisiche (che vuol dire che i 30.000 abitanti non pagano una lira di tasse) e che nei forzieri delle banche del pag. 5 Principato ci stanno ricchezze oltre ogni immaginazione, frutto del segreto bancario vigente, che in confronto le banche svizzere sono colabrodi, e della tendenza degli istituti di credito a non fare troppe domande sulla provenienza del contante. D’altra parte i Liechtensteinesi (ma come si chiamano costoro? Non è che poi salta fuori una cosa tipo gli abitanti di Ivrea che si chiamano eporediensi o qualcosa di simile?) sono talmente gelosi della loro identità, e talmente ben messi finanziariamente, che si permettono di rimandare a casa con le pive nel sacco la coda di celebrità (cantanti, tennisti, piloti e quant’altro) che gradirebbe assai fissare una residenza, anche solo fittizia, nella ridente località, ammaliata da questa anomalia dell’assenza di tassazione, che in confronto il Principato di Monaco è un vampiro che succhia sangue. Ma ho divagato, come al solito, perché in realtà volevo porre la filosofica e profonda questione della libera scelta di essere governati da un tiranno, che suona molto di un controsenso, ma forse non è altro che una sfumatura diversa dello stesso atteggiamento bovino che caratterizza altri popoli occidentali. Che differenza c’è tra un assenteismo del 30-40% alle elezioni e la scelta consapevole di affidare pieni poteri a un principe? Perlomeno la seconda è figlia di una volontà espressa; in fondo, se si ritiene che qualcuno sia veramente in gamba, non è meglio dirgli chiaro in faccia “Fai pure quello che vuoi e non rompermi le scatole ogni 3 per 2?” A una condizione, è chiaro: se poi salta fuori che non sei in gamba, ma sei uno scemo, ci fai il favore di levarti di torno. Ma questo lo sanno anche in Liechtenstein: gli elettori si sono riservati il diritto di abolire la monarchia, via referendum. E se davvero avessero ragione loro? masse La sveglia maggio 2003 il Ghana la mia Africa A vevo sempre pensato l’Africa “nera” come distese di savane brulicanti di ogni forma di vita, fatta di safari e cocktail al tramonto... mentre mi sono trovato di fronte paese ricco di culture millenarie, paesaggi mozzafiato, di un’atroce storia recente di gente piena di voglia di vivere. Iniziava così la mia personale crociata contro i problemi odontoiatrici delle popolazioni del continente africano, più precisamente il Ghana,mia prima esperienza in tale terra. Preso possesso del mio alloggio, una simpatica cameretta con aria condizionata (!) facevo conoscenza degli altri discreti inquilini con cui avrei diviso la mia vita notturna per i successivi due mesi:sfrattato lo scorpione dalla doccia (più che altro per incompatibilità caratteriale) si presentarono a me gecki, millepiedi grossi come grissini, falene delle dimensioni del palmo di una mano, placidi rospi e l’animale più temibile del circondario: la zanzara portatrice della malaria. L’indomani mattina potevo ammirare la bellezza del luogo in cui mi trovavo: un piccolo paradiso sulle rive del fiume Volta, e mi si presenta un’immagine che mi seguirà per tutta la permanenza sul posto: pescatori con le piroghe accompagnati dal suono dei tamburi del villaggio sull’altra sponda del fiume; suono che accompagna tutte le ricorrenze locali, dai matrimoni ai funerali (tanto che spesso non se ne capisce la differenza). Dopo un breve periodo di “adeguamento” al clima e alla gente, veramente simpatica e ospitale, piena di voglia di vivere, sempre disposta a contraccambiare un sorriso, mi tuffai nel mondo dell’odontoiatria di frontiera: deciso a debellare per sempre carie, tartaro, aliti fetidi e sorrisi mutilati mi trovai di fronte ad una ben più cruda realtà, purtroppo la maggior parte dei casi si rivelavano irrecuperabili e si risolvevano con estrazioni la maggior parte delle volte complicate (ricordo ancora la donna di un villaggio a cui ho estratto nove tra radici e rimastigli di denti e il poveruomo che dopo una rissa è ricorso alle mie cure con cinque estrazioni come risultato...). La cosa che più mi ha sconcertato è il numero pag. 6 esiguo di bambini da me curato, questo dovuto probabilmente al motto: se non fa male da morire non vado dal dentista o forse al fatto che lo yavù (uomo bianco) incuteva un certo timore... Il Ghana rappresenta un vero paradiso per gli appassionati di erpetologia come me: pitoni, cobra, agame, varani e tartarughe marine che vengono a deporre le uova sulle spiagge semideserte. A riportarmi alla realtà sono state le visite ad alcuni ospedali nella zona centrale del paese, la più povera, ove ci sono ancora bambini che muoiono di stenti o persone affetti da AIDS che, senza cure, attendono di morire in un letto di ospedale. E ancora la visita ai castelli, questa era conosciuta come la costa degli schiavi, che fungevano da centro di raccolta e stoccaggio di milioni di esseri umani che erano considerati come merci in attesa di essere esportate. Sono ancora intrisi della sofferenza che provocarono a quegli esseri umani, sofferenza di una storia recente che è bene non dimenticare... edoardo mocchi La sveglia Il direttore di Canale 5 ripercorre le tappe della sua carriera e spiega come funziona una rete ell’ufficio di Giovanni N Modina, al sesto piano del quartier generale di Mediaset a Cologno Monzese, la batteria di schermi tv che fronteggia la grande scrivania è completamente spenta: tranne che per un solo monitor, sintonizzato sul Televideo della Rai. “Guardi – ci fa notare a un certo punto il direttore di Canale 5 – la televisione mi ha sempre interessato, però sinceramente pensavo che avrei fatto tutt’altro. Credo sia stata la vita che mi ha portato qui. Sono contento di ciò che ho fatto in questi anni, mi va bene così; però dire che le tappe che ho percorso, e quindi anche i successi raggiunti, sono stati sempre frutto della programmazione di un bravissimo automa che ha messo in ordine tassello dopo tassello questo no. La vita è una scoperta su se stessi e sugli altri, una scoperta che continua: per cui non c’è stata una mia scelta che – sia da un punto di vista personale sia professionale – abbia esattamente portato nella direzione in cui mi sarei immaginato”. Approfittiamo subito della sua disponibilità chiedendole di raccontare ai lettori de “La Sveglia” le tappe del suo percorso professionale “Sono nato nel 1960 a Tagliuno, capoluogo e sede comunale di Castelli Calepio: un posto che magari non è fra i più chiusi della Bergamasca, perché ha un’uscita autostradale ed è sulla direttrice che porta al lago d’Iseo; però è pur sempre un paesino a 20 chilometri da Bergamo, a 30 da Brescia, a 70 da Milano. Forse è stato proprio per farmi uscire dall’ambiente un po’ maggio 2003 Giovanni Modina Ecco la mia tivù ristretto del paese che i genitori mi hanno fatto frequentare le scuole medie inferiori a Sarnico, un centro già un po’ più grande e più aperto, e poi hanno fatto di tutto per mandarmi al “Sant’Alessandro”. Ricordo quelli del liceo come anni fra i più felici della mia vita; probabilmente perché non ero costretto ad ammazzarmi di studio visto che me la cavavo, e poi perché ero in una classe stupenda con la quale continuiamo regolarmente a ritrovarci. Successivamente la vita è stata, nel bene e nel male, un po’ più complicata. Mi sono diplomato nel ‘79 allo Scientifico; subito mi sono poi iscritto ad Architettura perché mi pareva il miglior modo di coniugare un desiderio di creatività con l’acquisizione di un sapere tecnico che mi sembrava desse più garanzie. Già allora non sapevo – e non l’ho capito ancora adesso – se fosse meglio coltivare i miei sogni piuttosto che da buon bergamasco andare sul sicuro, un passettino dietro l’altro. Ho sempre cercato di contemperare le due cose e devo dire che di pag. 7 esperienze negative non ne ho fatte tante. Però, una volta superati quattro esami ad Architettura, ho deciso di passare a Economia: non a Bergamo però – perché c’era anche un po’ di malcelato orgoglio nel non voler tornare con i vecchi compagni un anno indietro – ma alla Bocconi. Alla fine mi laureo in finanza: avrebbe potuto essere la carta vincente per la mia carriera perché a metà degli anni ‘80 stavano esplodendo i cosiddetti “derivati” – opzioni, future e prodotti del genere – che adesso sono sulla bocca di tanti ma che allora erano in pochissimi a conoscere. E invece di coltivare la mia laurea, cerco subito la possibilità di fare un master: sempre con addosso un’inquietudine strana, che non ho ancora ben capito se sia finita o dove mi porterà ancora. E allora faccio questo master in marketing e comunicazione, dubbioso se cogliere fino in fondo le prospettive che mi avrebbe aperto o entrare immediatamente in azienda. O meglio: entro a Rti, l’azienda che raggruppava le reti Fininvest (poi confluita in Mediaset), non mi convinco che sia il posto ideale per me, torno a lavorare in una multinazionale, poi di nuovo mi colgono altri dubbi e decido di tornare. Di nuovo in Fininvest ho fatto esperienze a tutto campo: nel senso che non parlo benissimo le lingue, però evidentemente la capacità di relazione che avevo mi ha subito indirizzato all’estero. Così ho passato molti mesi in Polonia a gestire il palinsesto di “Polonia 1”, molti alberto pesenti palvis continua alle pagine seguenti La sveglia Ecco la mia tivù mesi in Turchia a gestire quello di “Kanal D”; mi sono dedicato per parecchio tempo alle relazioni con i mercati esteri, con l’Irlanda e addirittura con la Russia ai tempi di Gorbaciov; poi mi sono occupato di marketing e di cinema, in particolare di Medusa, che adesso è diventata la più grande casa di distribuzione italiana”. Nell’aprile 2001 lei è diventato direttore di Canale 5. Che cosa trova di specifico nel dirigere un’azienda radiotelevisiva rispetto ad altri contesti aziendali, dei quali ha avuto esperienza prima di entrare a Rti? “Guardi, non lo so perché la posizione del direttore di rete è talmente anomala (in Italia siamo in sei o sette) che è difficile fare confronti. Le posso dire solo ciò che penso avrei potuto fare in un altro contesto. Ammettiamo che la mia carriera fosse andata altrettanto bene fossi rimasto nel settore finanziario cosa potrei essere adesso? Forse il responsabile della “merchant bank” interna di un grosso gruppo bancario. Fossi rimasto in una multinazionale, oggi potrei forse essere un direttore di area, qualcosa come il capo della Nestlè in Sudamerica. Due posizioni abbastanza vicine al mio precedente ruolo a Mediaset, quello del direttore di coordinamento. Adesso ricopro un ruolo molto più “pubblico”, molto più rivolto verso l’esterno, nel quale anche il fatto di tenere o meno certe posizioni su piccole polemiche che ci riguardano fa trasparire una certa fisionomia caratteriale, una certa formazione, un certo tipo di idee. L’essere arrivato a una direzione maggio 2003 di rete ha insomma “stravolto” un po’ la mia figura professionale: ringrazio chi mi ha scelto per questo ruolo, il quale comporta però la necessità di doti, qualità o comunque di un atteggiamento che prima non ritenevo né di avere né che fosse nelle mie corde. Non mi ci trovo male come temevo, ma mi sto ancora chiedendo se è esattamente ciò per cui sono più adatto”. Possiamo parlare un po’ di televisione? Non tanto del giudizio che tutti ce ne possiamo fare da spettatori, ma piuttosto di “come funziona” una rete come Canale 5, come si arriva al prodotto che entra nelle nostre case “Faccio una piccola premessa di tipo economico. Siamo in una situazione di “quasi duopolio” nel quale il nostro principale antagonista – quello che una volta era il monopolista, la Rai – si era nel corso del tempo, per ragioni che non avevano niente a che fare con il mercato, organizzato in tre reti, le quali avevano piano piano assunto una fisionomia diversa. Anche chi ha deciso di contrastare il monopolio Rai ha pensato che la via più facile fosse quella di opporsi negli stessi modi, quantitativamente e forse anche qualitativamente: ed è nata Mediaset, composta anche da qui tre reti con tre fisionomie diverse. Ecco dove volevo arrivare: per far funzionare tre reti come fossero aziende diverse, in una situazione come quella del mercato italiano, non si può per ragioni di efficienza lasciare che giochino la loro partita in totale autonomia. Diventa necessaria una struttura organizzativa complessa che prevede l’autonomia delle direzioni, ma impone alle direzioni di rete e al controllo editoriale l’utilizzo degli “staff” a matrice orizzontale, cioè di servizi aziendali in comune. A parte quelli di carattere generale – le risorse umane, i servizi pag. 8 generali, il legale, l’amministrazione e controllo, la finanza, tipici anche delle altre aziende multiprodotto e multicanale – noi abbiamo in più degli staff peculiari: le produzioni interne d’intrattenimento, le produzioni fiction, gli acquisti dei diritti e delle fiction, la gestione delle risorse artistiche e l’ufficio marketing. Questo fa sì che il nostro processo decisionale sia molto complesso, perché partendo da un indirizzo determinato dall’editore e da chi interpreta le volontà dell’editore in termini di risultato, cioè dai direttori di rete, bisogna poi entrare in un circolo virtuoso di carattere economico che c’impone di andare a cercare i prodotti prima all’interno dell’azienda, poi all’esterno nelle realtà con cui abbiamo rapporti professionali più sviluppati; e soltanto in casi o di emergenza, o di particolare euforia di cambiamento, fuori da questi canali. Come avviene allora il processo? In prima battuta rivestono un ruolo importante gli uomini della finanza e del controllo, che devono tenere sotto controllo il corso del titolo nelle borse interne e internazionali. A questo scopo fissano parametri di redditività, considerano le prospettive a medio-lungo termine del titolo, esaminano la struttura dei costi e dei ricavi e fanno tutte le valutazioni tecniche. Una seconda fase vede l’ingresso della nostra concessionaria di pubblicità, Publitalia `80, la quale ai dettami dei finanziari risponde con una verifica di fattibilità, valutando la situazione di mercato, pesando i fattori esterni che possono complicare o migliorare il quadro, esaminando le prospettive del mercato pubblicitario. A questo punto tocca a noi, editore, valutare, con le risorse che abbiamo a disposizione, La sveglia quale tipologia di palinsesti a medio-lungo termine riusciamo a fornire, ovviamente contemperando le esigenze contrattuali (per quanto riguarda sia gli artisti, sia l’acquisto dei diritti dei prodotti stranieri, sia gli impegni sulle fiction) e il risultato che ci aspettiamo in termini di “share”, di percentuali di ascolto. Mescoliamo il tutto per valutare se le esigenze di tutti sono soddisfatte oppure se la coperta risulta da qualche parte corta e – dovesse risultare corta – chi deve fare il sacrificio. Siamo alla fase numero tre: il direttore di rete con i suoi diretti collaboratori decide il palinsesto, cioè la programmazione stagionale”. Dalla sua descrizione ricavo la strana impressione che il ruolo del direttore di rete, per quanto importante, sia condizionato da tanti vincoli. Resta comunque un margine soddisfacente di autonomia? “Resta senz’altro, nel senso che quelli descritti sono, più che veri vincoli, le condizioni per sedersi al tavolo: come le regole che uno accetta quando gioca a carte o si mette alla guida. In questo quadro il ruolo della direzione di rete rimane comunque fondamentale. E’ dalla gestione quotidiana delle cose, anche piccole, così come impostata dalle diverse figure di direzione che si sono avvicendate, che emergono un indirizzo editoriale e un’immagine pubblica della rete. C’è chi ad esempio è più un gestore di risorse, chi è più un creativo, chi è più orientato a privilegiare l’aspetto informativo e chi al contrario è più un esperto di televisione nel senso di diritti, fiction e cose del genere. Alla lunga queste differenze di impostazione diventano evidenti e un esperto le nota benissimo”. Come viene gestita la parte giornalistica? “Per legge la parte giornalistica non dipende dalla direzione di rete quanto a contenuti, ma maggio 2003 soltanto quanto a collocazione. Il direttore del Tg5, Enrico Mentana, è responsabile non solo del telegiornale, ma anche di “Verissimo”, “Terra” e di tutti gli “speciali” giornalistici. Mentana dipende da me solo per gli orari dove io potrei decidere di collocarlo: però la struttura giornalistica, il Tg5 in sostanza, è totalmente indipendente da me perché per legge il giornalista dev’essere svincolato dalla rappresentanza dell’editore”. Come nasce un programma di Canale 5? Quanto tempo passa dall’idea alla sua messa in onda? “Proviamo a fare l’esempio di un programma d’intrattenimento. L’idea può avere tre partenze diverse: ci può essere un nostro collega della struttura d’intrattenimento interna che, direttamente o tramite i suoi responsabili, viene a presentare la sua idea di programma; ci può essere il contatto che – diretto con le direzioni di rete o mediato dalla struttura d’intrattenimento – ci viene proposto da un fornitore esterno; ci può essere l’idea creativa partente dal nostro interno e commissionata a esterni o a interni. Diciamo che il primo “step”, cioè quello di una possibile valutazione positiva del progetto, viene superato; s’ipotizzano una scaletta, un cast, una collocazione oraria e, se tutto appare fattibile, s’ipotizza una qualche forma di “test”: una prova che può essere “non in onda” – si realizza un numero zero e lo si fa testare a dei gruppi qualitativi – piuttosto che un vero “speciale” in onda. Dall’inizio sono passati a questo punto da due a tre mesi. Mettiamo che il test sia andato bene: in vista della preparazione dei palinsesti della stagione futura (a meno di essere in emergenza nella stagione in corso) interpelliamo le persone del nostro controllo di gestione interno, analizziamo la struttura dei costi sulla tipologia ipotizzata – sei, otto, dodici puntate – e pag. 9 Ecco la mia tivù valutiamo esattamente i contratti che dovremo stipulare con autori, registi, artisti: se sta nei binari di budget definiti l’anno prima, e se ci pare interessante come proposta alternativa di palinsesto, la inseriamo nella programmazione. A quel punto si parte”. Che cosa succede quando finalmente il programma viene messo in onda? Se i risultati non soddisfano può essere sospeso? Se ha successo viene riproposto in un maggior numero di puntate, si studiano delle derivazioni? “I casi in cui sbagliamo drammaticamente le aspettative di ascolto sono molto rari e dipendono, più che da un nostro errore di valutazione, da un cambio nella programmazione della concorrenza che per ragioni di alchimie particolari magari ci penalizza. Vere e proprie sospensioni di un programma ne ho viste non più di cinque o sei in tutta la mia esperienza. Può però succedere che il risultato non sia all’altezza delle aspettative: ciò significa che con la fine della stagione il programma non verrà più riproposto, o che potrà passare su un’altra rete o in un’altra fascia oraria. Se invece il programma fosse andato così come ci si aspettava – è il caso più frequente – entrerà a far parte del “magazzino idee” che noi continueremo a tenere presente, fino ad esaurimento del ciclo di vita, per l’utilizzo nei palinsesti. Ultima ipotesi: se il risultato d’ascolto fosse stato assolutamente superiore alle aspettative ci troveremmo di fronte a un “problema” in senso positivo, e la soluzione potrebbe essere un allungamento del La sveglia Ecco la mia tivù ciclo di vita o uno sfruttamento più ravvicinato e veloce, anche con “cloni” e filiazioni immediate. Lei ha sotto gli occhi il fatto che la Gialappa’s Band ha potuto fare un programma come “Mai dire Grande Fratello” proprio perché “Grande Fratello” ha costituito per noi un elemento importante del palinsesto. Non si può definire propriamente un “clone” però tra virgolette, mi passi il termine, è un programma che “si ciba” di “Grande Fratello” e che comunque, senza l’argomento principale, avrebbe dovuto trovare altre connotazioni”. Possiamo fare un confronto tra la televisione italiana e quella degli altri paesi? In generale come siamo messi? Quali sono i nostri punti di forza e di debolezza? “Mi creda: checché ne abbia scritto il “Financial Times” – in un articolo che posso peraltro condividere per alcune osservazioni – non siamo certamente peggio degli altri, anzi! Conosco bene la tivù degli altri paesi. Quella americana è diventata più che altro una grande vetrina dei propri prodotti, come un grande canale di televendita per il mercato estero. Programmano quasi ventiquattr’ore al giorno le serie che loro stessi producono perché possano essere “testate” di fronte al pubblico americano e vendute. Per loro è più importante l’introito della vendita dei prodotti sui mercati terzi dell’introito pubblicitario, cosa paradossale per un mercato grande come gli Stati Uniti. Anche guardando all’Europa non abbiamo secondo me troppo da invidiare agli altri. Un po’ per lo sciovinismo dei maggio 2003 francesi e un po’ per le caratteristiche di chiusura determinate dalla lingua inglese (che fa sì che si ricevano solo prodotti parlati in inglese piuttosto che ridoppiati), mi pare che le altre televisioni siano più “resistenti” delle nostre ai prodotti che vengono dall’estero. Nel complesso, le dico francamente che l’intrattenimento in Italia non è secondo me né migliore né peggiore – certamente non è peggiore – che sulle altre televisioni. Quanto all’informazione, ritengo già una garanzia il fatto che abbiamo sette telegiornali sulle diverse reti: sono d’accordo che la Bbc inglese faccia buoni notiziari e per certi aspetti – come la presenza di inviati in giro per il mondo – costituisca una struttura ragguardevole, però non credo che l’Italia si trovi in una situazione così “terribile”. La varietà di opinioni politiche che si registra nei notiziari delle diverse reti, e soprattutto l’obbligatorio distacco dalla linea editoriale nel gestire i diversi telegiornali, mi paiono sufficiente garanzia di pluralismo. Per ciò che riguarda le fiction, non solo acquisiamo quanto di meglio ci sia sul mercato internazionale, ma produciamo anche a buoni livelli: nessuno in Europa e nel mondo – è una cosa incredibile – produce per il solo mercato televisivo a un costo orario alto come il nostro. A noi “Ferrari” è costato quanto un film americano, e tuttavia il suo unico sbocco è stato la programmazione nella televisione italiana: un prodotto di questo valore gli altri lo programmano ma soprattutto lo vendono. Noi no”. Lei ha detto poco fa di non sentirsi molto a suo agio nei panni del “guru” che sa vedere il futuro Vorrei però chiederle ugualmente qualche scenario da qui a qualche anno: come sarà il sistema televisivo, che offerta avremo? pag. 10 “La grande novità a livello tecnico è quella del digitale, non ci sono dubbi. Faccio però una considerazione: gli eventi televisivi non si creano solo perché dal punto di vista tecnico avremo la possibilità di avere un’enormità di canali. Il problema è e sarà sempre di più il prodotto. Guardi, su questo punto sono molto critico forse perché sono di posizioni un po’ vecchie: quando per ragioni televisive si sono moltiplicati gli appuntamenti, per esempio quelli sportivi, gli appuntamenti stessi hanno perso di richiamo. Non possiamo aumentare a dismisura il numero degli appuntamenti solo perché dall’altra parte c’è disponibilità di emissione. Temo però che si andrà comunque su questa strada: se non lo dovessimo fare, la grandissima disponibilità di offerta tecnica si accompagnerà comunque all’impossibilità di fare dei veri e propri canali con un contenuto vero. Allora quale scenario si potrebbe verificare? Una grande disponibilità teorica di canali tematici con però poche punte di offerta vera: magari ci saranno canali che 24 ore su 24 daranno “a rullo” i telefilm degli anni ‘60, altri che allestiranno tanti piccoli “Grande Fratello” per monitorare in continuità una via della città, come le telecamere dei grandi magazzini, altri che ripeteranno tutta la storia della televisione, senza considerare che poi anche i materiali di deteriorano insomma non so con cosa andremo a riempire tutti questi nuovi canali”. alberto pesenti palvis ndr. Il testo integrale dell’intervista può essere letto sul sito degli Ex Allievi www.exsantalex.it alla rubrica “Le interviste di Alberto Pesenti Palvis”. La sveglia maggio 2003 Ferruccio Pilenga, seriatese di 42 anni, ex alunno del Sant’Alessandro, nell’89 ha fondato la Scuola italiana cani Salvataggio con sede a Seriate e centro di addestramento a Sarnico: la più grande organizzazione nazionale dedicata alla preparazione dei cani e dei loro conduttori per il salvataggio in mare e nelle acque interne. protezione civile e guardia costiera a seconda del tipo di emergenze. Il traguardo raggiunto è la quota di cento unità cinofile brevettate in servizio costante, per lo più terranova, labrador e golden retriver: i primi cani a sperimentare il salvataggio tuffandosi dall’elicottero, che è una “macchina da tempesta”. Quest’anno Ferruccio Pilenga ha fondato anche la Squadra italiana cani salvataggio, operativa 24 ore su 24, proprio in una terra, quella bergamasca, coperta quasi interamente da montagne. Un fatto straordinario? Per niente. Basti pensare ai salvataggi raccontati da Ferruccio Pilenga: storie tanto spettacolari da essersi ritagliate un posto di assoluto Q uando parla dei suoi cani-bagnino ha una voce forte e sicura. Come se le persone salvate in tutta Italia potessero sentirlo. Dai bambini strappati dal mare che se li stava per inghiottire nel ‘94 a Marina di Massa ai marinai recuperati dalla barca in procinto di schiantarsi contro gli scogli a Zoagli, in Liguria. Fino al contributo offerto lo scorso novembre alle popolazioni bergamasche alluvionate, quando i suoi cani hanno trascorso nelle stanze della Prefettura una notte intera, pronti ad intervenire in caso di bisogno. Merito di Ferruccio Pilenga, seriatese di 42 anni, ex alunno del Sant’Alessandro (maturità scientifica nel ‘79), che nell’89 ha fondato, e ne è tuttora presidente, la Scuola italiana cani Salvataggio (Sics) con sede a Seriate e centro di addestramento a Sarnico: la più grande organizzazione nazionale dedicata alla preparazione dei cani e dei loro conduttori per il salvataggio in mare e nelle acque interne. Un’associazione di volontariato che dipende da prefettura, dipartimento di Meglio un cane per bagnino rilievo sulla stampa e le tv di mezzo mondo. Vedi la mareggiata a Marina di Massa, ricostruita negli States e messa in onda da Discovery Channel. O il salvataggio a Zoagli, pubblicato sul “Reader Digest” e poi ripreso da una troupe canadese per girare uno speciale sui cani-bagnino. “La cosa che più mi aveva entusiasmato era che il documentario fosse nientemeno che per National Geographic e in più che la produzione volesse proprio la storia del mio primo terranova Mas”. Quell’impresa non mostra solo pag. 11 al mondo il lavoro coraggioso dei cani, ma in seguito diviene lo spunto per girare uno spot pubblicitario su cibo per cani, commissionato da una grande ditta americana: “La scene furono ricostruite sul lago di Iseo, a Riva di Solto, con onde artificiali per quelle in acqua – ricorda l’istruttore bergamasco - Quasi una tempesta perfetta dove il mio nuovo Mas doveva lavorare da solo, lanciarsi dall’elisoccorso, prendere in bocca la cima della barca per trarla in salvo con tutti gli occupanti”. Qualche cambiamento e poi di nuovo altri ciak. Si gira ancora. Questa volta per la Rai, protagonisti nel “Pianeta delle Meraviglie” condotto da Licia Colò. E’ finita? Certamente no. Il nostro Ferruccio è affascinato da una leggenda. Quella che narra dei terranova perfettamente a loro agio sui velieri da dove nei secoli scorsi si lanciavano senza paura nel mare in burrasca per recuperare un uomo a mare. Sarà vero? “E’ proprio così – conferma Pilenga – con il regista della stessa trasmissione Rai nel 2001 siamo saliti sulla Palinuro: un veliero stupendo con tre alberi, 160 uomini di equipaggio, un capitano molto disponibile, tre labrador e sette terranova che hanno potuto emulare i loro antenati. Erano tranquillissimi e il salvataggio compiuto dal terranova Alyssa è stato perfetto. Ora vorrei riprovarci sull’Amerigo Vespucci”. E magari fra un secolo Ferruccio Pilenga sarà ricordato non solo per le imprese dei suoi cani-bagnino, ma anche come colui che per primo riuscì a riportare i terranova sui velieri con le vele spiegate al vento. teresa capezzuto La sveglia maggio 2003 C i stimola ad alcune considerazioni la recente uscita di un agile libretto dal titolo “Veleni – Intrighi e delitti nei secoli” scritto a quattro mani per la casa editrice “Le lettere” da due tossicologi forensi dell’università di Firenze, Francesco Mari ed Elisabetta Bertol. Per il suo carattere infingardo, per il suo agire di sottecchi, a tradimento, per il rifiuto di esporsi in prima persona da parte dell’assassino, l’avvelenamento è da sempre considerato il peggiore tra i delitti. Una legge romana, risalente all’imperatore Antonino Pio, è chiara al proposito: “È più grave uccidere un uomo con il veleno che con la spada”. In tempi di diffuso fervore religioso, il tossico rappresenta l’essenza stessa del demoniaco. A precisarne i caratteri nel corso dei secoli sono le sue caratteristiche, la sua evoluzione, la sua stessa vocazione. Infatti, la via battuta da avvelenatori, fattucchiere, apprendisti stregoni è stata quella di rincorrere un veleno sempre più in grado di rendere “naturale” la dipartita del disgraziato da eliminare. Ecco allora il farsi largo dell’arsenico che, grazie alle sue caratteristiche, viene ben presto eletto “principe dei veleni”: l’arsenico è difatti solubile, incolore, ma, soprattutto, insapore. Aneddoti storici percorrono trasversalmente la storia del tossico: la morte dell’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo avvenuta con l’avvelenamento dell’Ostia santa ricevuta per mano di un frate; la carta da parati che rivestiva la camera da letto di Napoleone a Sant’Elena e che IL PRINCIPE DEI VELENI all’insaputa delle teorie del tempo conteneva un pigmento verde all’arsenico responsabile della probabile e lenta intossicazione dell’Imperatore; l’acqua di Giulia Tofana colpevole della morte di oltre 600 persone nella Roma papalina del XVII secolo. La scienza, che permea ogni istante della nostra vita, si è fatta largo nel corso dei secoli anche per questa strada: l’opera degli avvelenatori è diventata via via più difficile prima con la nascita dell’autopsia, poi con la prova biologica. In più, grazie alla scienza, il nostro costume si è rivoluzionato: nuovi metodi hanno scalzato l’indignazione, la paura di ciò che è diverso, il sospetto e tutti gli altri campanelli di allarme che in passato segnalavano e decretavano la presenza di un avvelenatore. Seguire le pag. 12 vicende del veleno nel corso dei secoli significa gettare uno sguardo alla storia da una diversa angolatura. Come si è modificata la giurisprudenza, la morale, la letteratura, l’arte in generale dinanzi all’urgenza di porre fine a ogni tipo di veneficio? Ma soprattutto: oggi la scienza sembra poter ogni cosa e tuttavia come tutto ciò che è umano anche la scienza poggia su delle premesse che, come tali, non sono invincibili. È intorno a queste fondamenta che bisogna gettare più di uno sguardo: da lì, da quel crinale sottile, il veleno di domani potrà crearsi un varco, con il rischio allora che tutte le nostre difese lo trovino ancora una volta, per un’altra volta ancora, incolore, insapore e inodore. giovanni caldara La sveglia maggio 2003 Una mamma del Sant’Alessandro ci parla della sua attività presso il C.N.R. In Inghilterra per la fusione nucleare Il mio lavoro di fisico, specializzato nello studio della fusione termonucleare controllata, mi porta spesso in giro per il mondo per intervenire a conferenze specifiche o per collaborare con istituti di ricerca simili a quello del C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche) in cui lavoro a Milano. Una di queste collaborazioni è con il Centro di Ricerche di Culham, vicino ad Oxford, dove è in funzione l’esperimento più interessante per il mio campo di ricerca: il JET. Questo è un tokamak, una struttura toroidale, dove gli atomi leggeri di idrogeno sono ionizzati da un riscaldamento elevatissimo, cioè gli elettroni e gli ioni di questi atomi vengono separati. L’idrogeno passa allora allo stato di Plasma, quarto stato della materia, e la fusione di questi nuclei può essere possibile, generando cosi grandi quantità di energia, come quelle sviluppate nel sole e che ci permettono di vivere. Il fatto che queste energie siano di molto superiori a quelle che attualmente si possono ottenere dai processi inversi di separazione di atomi pesanti (fissione nucleare) o dalla combustione del carbone portano a potenziare la ricerca scientifica nel campo della fusione in cui opero anch’io. Per me questo è un lavoro molto interessante, che, come dicevo, mi obbliga ad assentarmi da casa per periodi anche superiori al mese. Pertanto, a volte, sono costretta a portare con me anche mio figlio Jacopo, attualmente alunno della II media sez. C del Sant’Alessandro. Ecco perché alla fine del 2002 Jacopo mi ha accompagnato per la seconda volta in Inghilterra, dove per due mesi ha frequentato la Scuola Europea di Culham, adagiata in una tranquilla campagna inglese solcata dal Tamigi a pochi Km da Oxford. É stata per entrambi un’esperienza positiva: per me continuava ad essere un momento professionale importante di confronto e collaborazione con altri colleghi non solo inglesi, e per mio figlio un nuovo momento di crescita, già sperimentato due anni prima, quando frequentava la quinta elementare. Per tutti e due si è trattato pertanto di ritrovare posti e persone già noti, capaci di farci sentire a nostro agio da subito. Nei fine settimana abbiamo visitato non solo Londra (il British Museum, tappa preferita di Jacopo, la National Gallery, la Tower Hill, Westmister Abbey, Westmister Cathedral e tante altre zone interessanti scoperte preferibilmente a piedi), ma anche l’Oxfordshire con l’incantevole vallata del Tamigi e del Cavallo Bianco, e regioni limitrofe come il Cotswolds con le sue dolci colline non lontano da Bath, famosa per le sue terme romane, Gloucester con la sua Abbazia dallo splendido chiostro, Stonhenge con i suoi noti monumenti megalitici. Per me erano tutti posti già visti più volte, ma per Jacopo si è trattato di conoscere luoghi che solo in Inghilterra si possono trovare: soprattutto la calma quasi irreale e fuori dal mondo delle campagne e dei tipici villaggi con le case con i caratteristici tetti di paglia. Una delle cose che ha stregato di più mio figlio sono state però le chiese, che in ogni paese, grande o piccolo che sia, sono circondate da cimiteri semplici ma `veri’. Lapidi di pietra e tanto verde intorno: la pace lì diventa quasi palpabile. Anche questa volta, alla fine del nostro soggiorno, ci è dispiaciuto molto lasciare questo angolo di Inghilterra, che conoscevamo sempre di più ed apprezzavamo, senza fare i soliti confronti con l’Italia. Credo che ogni paese vada amato per quello che è e spero che in futuro Jacopo possa fare ancora altre esperienze analoghe, perché sono convinta che il confrontarsi con altri modi di pensare, di vivere e di studiare non è affatto retorica, ma un concreto e costruttivo tipo di scuola. silvana nowak ricercatrice presso l’Istituto di Fisica del Plasma del CNR di Milano pag. 13 La sveglia maggio 2003 Fabio Zambelli ha messo a punto un sistema di raffreddamento a liquido Il computer dal cuore di ghiaccio asce un pc raffreddato a N liquido con migliori prestazioni rispetto al tradizionale sisyema di raffreddamento ad aria. Si chiama Icecore (dall’inglese “Hi score” rende bene il doppio senso di “punteggio massimo” quanto a prestazioni e di “nucleo di ghiaccio” per il mantenimento di una temperatura più bassa rispetto ai normali sistemi) ed è la macchina progettata, elaborata e assemblata da Fabio Zambelli di Cenate Sotto, 20 anni, ex allievo del collegio vescovile Sant’Alessandro. Il prototipo è stato presentato proprio dall’inventore nel negozio di Trescore dove lavora nell’ambito dell’informatica e a breve Fabio Zambelli ne chiederà l’esclusiva per la Bergamasca. Da circa quattro mesi una ditta americana, che ha anche filiali europee, ne ha avviato la produzione in blocco a livello industriale. Ma il prototipo messo a punto da Fabio è più funzionale rispetto a quelli statunitensi, perché ha dimensioni molto ridotte. Più o meno è un cubo di 40 x 35 centimetri. “Il mio sistema sarebbe l’ideale per applicazioni scientifiche che richiedono grafica altamente avanzata o per le aziende che tengono acceso il pc tutto il giorno – spiega Fabio Zambelli -. Ma come funziona questa macchina? “In pratica è un impianto a liquido a circuito chiuso con scmbiatore di calore, un impianto diverso da quello comunemente installato, dove il raffreddamento invece consiste in un dissipatore ad aria attivo abbinato ad una ventola che ruotando genera un rumore elevato. chiarisce -. Io ho sostituito il dissipatore con uno scambiatore di calore in rame dove viene fatta circolare, grazie all’ausilio di una pompa idraulica, una soluzione composta in buona parte da acqua distillata che si immette poi in un radiatore dal corpo radiante in rame e quindi è rimessa in circolo dalla pompa”. Già da piccolo Fabio aveva messo a punto dei progetti, però nell’ambito dell’elettronica. Poi vengono i tempi del liceo al Sant’Alessandro, dove affina le proprie capacità: “L’esperienza del liceo mi è servita per mettere a punto questo progetto, parlo delle conoscenze di fisica e di geometria – ricorda Fabio -. Un grazie va quindi al mio insegnante, Domenico Gualandris ma anche al preside monsignor Achille Sana, per la sua disponibilità”. Alice Gamba espone a Berlino are una nuova vita agli prendere i materiali che la gente oggetti che vengono scartati, D butta in discarica e, dopo averli per creare pezzi d’arredamento lavati e ripuliti, rimodellarli per unici: è questa la passione che ha portato Alice Gamba (ndr. ex allieva), studentessa dell’Accademia Carrara di Bergamo, ad essere selezionata come unica artista italiana per esporre al RestCycing Art Festival di Berlino. L’evento, giunto quest’anno alla 2ª edizione, si terrà nella capitale tedesca il 24 e il 25 maggio e vedrà la partecipazione di 50 artisti internazionali, esperti in pittura, scultura, disegno, moda e graffito, il tutto con l’utilizzo di materiali poveri di riciclo e di riuso, come lattine o bottiglie di plastica. Nato come evento mediatico per accrescere la sensibilità del pubblico nei processi di riuso e di riciclo dei contenitori di consumo e di imballaggio ed evitare gli sprechi, il Festival ha tuttavia assunto lo status di vero e proprio evento d’arte. E lei, Alice, ventunenne bergamasca che frequenta il quarto anno dell’Accademia di belle arti, sarà la prima italiana in assoluto a vedere esposte le proprie opere in quella che è diventata la galleria d’arte ecologica per eccellenza. Tanto che il viaggio sarà a carico dell’ambasciata italiana a Berlino. “Quello che faccio è pag. 14 dar loro nuova vita sotto forma di oggetti d’arredamento - spiega Alice - Con questi materiali creo tavoli, poltrone, divani.., tutto quello che può arredare un ambiente. La partecipazione al Festival di Berlino è nata per gioco: stavo navigando in Internet per cercare materiale per la mia tesi, quando casualmente sono finita nel sito del RestCycling Art Festival. Ho letto il bando di concorso e mi sono iscritta, spedendo tutto il materiale richiesto a Berlino. Pochi giorni fa mi è arrivata un’e-mail in cui mi comunicavano che facevo parte dei 50 artisti accettati all’esposizione. E’ una bella soddisfazione, ma soprattutto è una grande opportunità per farmi conoscere anche all’estero (...). Ma ci sarà anche la possibilità, per ciascuno dei partecipanti, di poter portare a Berlino ed esporre una decina di proprie opere, che potranno essere vendute a prezzi compresi tra 1 e 100 euro”. Attenti dunque a ciò che buttate dalla finestra: potrebbe rientrare in casa vostra per la porta principale. simona gauri da Il Giorno La sveglia maggio 2003 NOTIZIE DALLA SCUOLA Notizie in breve Un sfida per i genitori • La prof. Marta Recalcati ed il marito Enrico Nusiner hanno adottano Samreedhi, una bambina indiana di un anno. • Rette per il prossimo anno scolastico 2003-2004: Scuola Media con settimana tradizionale 2.895, Scuola Media con settimana corta 3.450, Biennio 3.490, Triennio 3.595. • La Scuola Media ha vinto il concorso didattico di Coin “Aspettando Natale...” Ha ricevuto in premio cento volumi che sono stati donati alla Biblioteca del Collegio. • Mons. Achille Sana è stato nominato Rettore della nuova scuola media istituita dall’Opera S. Alessandro a Villa d’Adda. • Giovedì 19 dicembre è nata Sara, prima figlia della prof. Cristina Baccanelli e di Luca Monguzzi, entrambi ex allievi. • Venerdì 17 gennaio Xavier Jacobelli, direttore del Corriere dello Sport-Stadio, è stato ospite degli studenti della Scuola Media. • Carlo Allevi e Susi Grassi hanno superato la fase eliminatoria della gara di matematica “Kangourou” e accedono alla finale nazionale di Mirabilandia il 6-7 maggio. • Mercoledì 26 marzo il Sant’Alessandro ha conquistato il titolo provinciale di Pallamano battendo Dalmine (15-5) e Treviglio (12-9). • Edy Poloni e Carlo Vizzardi hanno ricevuto una menzione d’onore per la partecipazione al Certamen Classicum di Clusone, gara di traduzione dal latino in italiano. • Sono 80 gli studenti che affronteranno i prossimi Esami di stato (nel 2002 erano stati 66): 61 dello Scientifico (+13) e 19 del Classico (+1). • Sabato 31 maggio si disputerà il “X Gran Premio Donadoni” sul classico percorso di 6.6 km da Ponte Giurino a Berbenno. • Susi Grassi, dopo aver dominato la fase d’istituto e quella provinciale delle Olimpiadi della matematica 2003, affronterà per la quarta volta consecutiva la finale di Cesenatico dall’8 all’11 maggio. Per la finale si è qualificato anche Federico Rossi. • La squadra del Sant’Alessandro, capitanata da Susi Grassi, si è qualificata al secondo posto nella gara nazionale dei Giochi a squadre di Matematica disputata l’8 aprile 2003. Riforma Moratti. Quale sarà il ruolo dei genitori? A questi quesiti ha dato risposta il preside Luigi Roffia, in servizio all’ex Provveditorato di Bergamo (Centro servizi amministrativi) a chiusura di un ciclo di incontri organizzato a marzo in Collegio dall’Agesc del Sant’Alessandro, guidato dalla signora Marcella Vernice Ruggeri, che è anche vicepresidente del consiglio d’istituto. Durante l’incontro è emerso in particolare che i genitori devono cogliere una grande sfida: “L’autonomia offre l’opportunità ai genitori di sentirsi dentro la scuola, facendosi portatori di bisogni educativi a cui i docenti devono rispondere attraverso le varie discipline – ha sottolineato Roffia – Scuola e famiglia devono educare insieme, ciascuna non abdicando al proprio ruolo”. Proprio la filosofia dei genitori del Sant’Alessandro: “L’iniziativa è nata dall’esigenza dei genitori di approfondire le dinamiche e le problematiche adolescenziali, il rapporto tra genitori, figli e scuola – precisa la signora Ruggeri – Tutto ciò è stato reso possibile anche grazie alla disponibilità del preside, monsignor Achille Sana, che crede nella presenza dei genitori per un loro forte protagonismo nella scuola”. teresa capezzuto S.O.S per “La Sveglia” Al momento in cui va in stampa questo numero de “La Sveglia”, sul conto corrente dell’Associazione degli Ex allievi sono depositati 287 euro, mentre per la sola cellofanatura e spedizione ne servono circa 500! A nome dell’Associazione ringrazio coloro che costantemente ci fanno pervenire la loro offerta e invito tutti gli Ex allievi a fornire suggerimenti per la soluzione di questo annoso problema. Scrivete a Eugenio Donadoni email: [email protected]. Grazie C/C N. 17088246 Associazione degli Ex Allievi del Collegio Vescovile S. Alessandro Via S. Alessandro 49, 24100 Bergamo pag. 15 La sveglia maggio 2003 ULTIMA PAGINA L’Onu ha un futuro? dalla prima Uniti, ciò comporterebbe una crisi definitiva del sistema di amministrazione della pace e sicurezza mondiale, che, dalla fine della IIª Guerra Mondiale sino ad oggi, è stata affidata alla gestione ed all’amministrazione delle Nazioni Unite. La caratteristica di un sistema multilaterale, quale quello delle Nazioni Unite, è che le decisioni che concernono la sicurezza globale sono prese in conformità con regole predeterminate e se le Nazioni Unite dovessero legittimare il fatto che una sola nazione, l’unica che peraltro risulta avere la forza militare per farlo, imponga in via preventiva la propria decisione, il sistema sarebbe fatalmente distrutto. Né vi è motivo che una nazione si rechi a dibattere alle Nazioni Unite, a meno che riconosca che le decisioni politiche siano il prodotto di una negoziazione e di un dibattito genuini e pertanto riflettano gli interessi di più Paesi partecipanti al sistema. Va peraltro ricordato che questa non è certo la prima volta che si dà inizio ad un conflitto, senza autorizzazione del Consiglio dell’ONU, per poi ratificarne, a posteriori, la legittimità e pertanto, ad oggi, il sistema multiglobale è sì in crisi, ma certamente non in pezzi come, da più parti, si è detto. Certamente il conflitto in Iraq ed il dibattito svoltosi nei mesi precedenti al 20 marzo, provocheranno una seria riflessione finalizzata a rivedere ed aggiornare i sistemi di funzionamento e controllo del Consiglio di Sicurezza, soprattutto mettendo in luce l’arcaico sistema del diritto di veto e la forte dipendenza delle Nazioni Unite da interessi, più o meno palesi, di ordine più economico che umanitario. Il problema vero che oggi emerge è che solo un organismo che la comunità globale accetti come legittimo può credibilmente esprimere giudizi allorché vi siano abusi e violazioni dei diritti umani tali da giustificare un’azione di polizia internazionale e ad oggi, fate salve le necessarie revisioni sui meccanismi di funzionamento, l’unico soggetto legittimato sono le Nazioni Unite.Bisogna augurarsi che questo conflitto a ciò sia servito, che gli Stati Uniti riconoscano che una posizione isolazionista è assolutamente dannosa e che la vicenda irachena non può essere un modello per interventi futuri ed infine, che la comunità globale inizi ad elaborare nuove regole che si possano applicare allorché l’abuso dei diritti umani giustifichi un’azione di polizia contro gli “Stati canaglia”. fabio marazzi docente dell’università di Bergamo Pirellone 18 aprile 2002: Lassù c’ero anch’io dalla quarta via ad una grande opera di restauro. Sì, proprio un restauro, il primo esempio di restauro di un edificio moderno, che utilizzerà tecniche ingegneristiche mai provate in Italia. Le linee guida infatti sono l’unico paragone possibile: quello del “Palazzo di Vetro” dell’ONU a New York non va dimenticato infatti che il Pirelli è tutt’oggi la torre ad uffici in calcestruzzo più alta del mondo; un “limite strutturale” di 127,10 metri ideato dalla genialità di Giò Ponti negli anni ‘50 e mai eguagliato proprio perché troppo vicino ai limiti massimi consentiti dalle leggi della fisica. Solo il metallo infatti dà la sicurezza necessaria nell’edificazione delle torri una volta superati i 100 metri d’altezza. Il grattacielo rimarrà chiuso fino alla fine del 2004 e sarà sottoposto ad opere strutturali di recupero che spaziano dal colossale remake della facciata continua a vetri, alla ridefinizione degli spazi interni sullo stile delle linee progettuali dello stesso architetto studiate per la Pirelli negli anni ‘60. I dipendenti, nuovamente sottoposti allo stress del trasloco verso la nuova sede provvisoria di Via Taramelli (zona Pola/Lagosta), aspettano ora fiduciosi l’esito di questo maquillage, sperando di poter presto rivedere il simbolo di Milano guarito dalle ferite e pronto per rappresentare nuovamente e degnamente la Regione Lombardia nel mondo. Il ricordo del 18 aprile 2002 invece, così come quello delle nostre amate colleghe scomparse, ci accompagnerà per sempre, ormai marchiato a fuoco nel nostro cuore. nicola angelini La Redazione: Teresa Capezzuto, Gianpietro Masserini, Alberto Pesenti Palvis. Disegni di Stefano Savoldelli. Segretario di