Cultura e Spettacoli 39
BRESCIAOGGI
Sabato 18 Agosto 2012
STORIALOCALE. Pubblicatodall’editoreGaspari il primo volumedella ricercarealizzata da MauroPellegrini
Calcinato,dopolaGrandeGuerra
divieneil«covodelbolscevismo»
Letensionisociali,maturatedurante
ilconflittomatenuteafreno
dall’autoritarismomilitare,
esplodonoalritornodalfronte
Flavio Marcolini
Esce in questi giorni il primo
volume della ricerca storiografica «Calcinato zona di guerra. Storia politica e sociale di
una comunità agricola di fronte alla Grande Guerra e alle
sue conseguenze» di Mauro
Pellegrini. Il libro è dedicato
in particolare al rapporto fra
«Mobilitazione bellica e società dal 1915 al 1919» ed è pubblicato da Gaspari editore (pagine 304, euro 15).
Ricercatore al Museo della
Guerra Bianca di Temù, Pellegrini ha lavorato all’opera per
oltre tre anni, indagando «l'
evoluzione delle dinamiche sociopolitiche dalla crisi del sistema liberale fino all'instaurazione della dittatura fascista, analizzando i rapporti tra
le classi, le tendenze progressiste e reazionarie e la stratificazione di memorie separate del
conflitto», come spiega presentando l’attività svolta.
La ricerca si è sviluppata nei
fondi documentari inediti dell'
Archivio storico comunale di
Calcinato e di quelli dei comuni limitrofi, nonché all'Archi-
vio di Stato di Brescia, all'Archivio Centrale di Stato di Roma, all'Archivio dell’Ufficio
Storico dello Stato Maggiore
dell’Esercito di Roma, agli Archivi parrocchiali di Calcinato, a quello diocesano di Brescia, e consultando altri fondi
privati e fonti memorialistiche.
«CON LA MOBILITAZIONE del
maggio 1915 e l'imposizione
degli istituti della zona di guerra - racconta lo storico - le classi subalterne di Calcinato, comunità di 5mila abitanti nella
quale convivevano tradizionalismo agrario e significative
presenze industriali, videro interrompersi il processo di
emancipazione che si stava sviluppando attraverso la prassi
rivendicativa socialista e cattolica».
«Lo smantellamento delle
strutture politiche attuato durante la mobilitazione creò dopo la guerra fratture insanabili in un tessuto sociale fortemente stratificato, in bilico tra
progresso e reazione. Questo
primo saggio analizza gli stati
d'animo nella società locale,
evidenziando resistenze e spi-
L’immagine pubblicata sulfrontespizio dellibrodi MauroPellegrini
Durante
lamobilitazione
bellicafurono
smantellate
lestrutture
politiche
Questofatto
provocò
fratture
insanabili
neltessuto
sociale
rito adattivo di fronte all'autoritarismo militare, seguendo
la gente comune nel vissuto
quotidiano: al fronte e nelle dinamiche familiari, nelle campagne e nelle fabbriche, nei
rapporti di classe e tra queste
e gli elementi di controllo e stabilizzazione dello status quo,
nelle relazioni fra cittadini e
autorità, tra militari e civili e
tra autorità civili e autorità militari sul territorio».
«L’obiettivo - sottolinea - è valutare le distorsioni economiche e sociali che contribuirono a determinare le tensioni
del dopoguerra e la deriva reazionaria dopo l'incandescente
biennio rosso nella Calcinato
"covo del bolscevismo bresciano", evidenziando elementi di
rottura e continuità nella rielaborazione dell’esperienza della Grande Guerra».
DIMENSIONI, private e pubbliche, drammi personali, familiari e collettivi che il tempo
sembrava aver rimosso dalla
memoria e che invece tornano
a intrecciarsi sapientemente
in queste pagine, facendo rivivere i personaggi.
«Al primo volume - conclude
Pellegrini - ne seguiranno altri
tre, nei quali mi soffermerò
sul periodo dalla smobilitazione al consolidamento del fascismo, sull’esperienza della
guerra nella creazione della
memoria divisa e sull’istituto
della raccomandazione politica in zona di guerra».
SETTECENTOEDINTORNI. Numerosigli artisti brescianiche sifecerolargo ed ebberofama fuoridaiconfini provinciali
GallinaconquistaVenezia conuna pala
LaDisputa diGesù fu esposta apiazzaS.Marco
Riccardo Bartoletti
Se è vero che nel corso del XVIII secolo a Brescia affluirono
numerosi artisti «foresti» che
rivitalizzarono con i loro apporti la cultura locale, è altrettanto documentata la presenza bresciana in terre limitrofe.
Anzi, alcune di queste personalità acquisirono la piena formazione e fortuna nelle città
dove si trasferirono, tanto che
la loro origine bresciana rimase un ricordo confuso; in altri
casi questi artisti non godettero in patria degli stessi riconoscimenti professionali ottenuti extra moenia.
Vera e propria «meteora»
nella nostra città fu Giuseppe
Zola: nato nella parrocchia di
Sant'Agata nel 1672, egli giunse ben presto a Ferrara dove
avrebbe conosciuto una ricchissima e fortunata serie di
committenze in campo civile e
religioso. Dello Zola infatti, avviato ad una prima educazione artistica dal padre orafo e
forse dal clarense Giuseppe
Tortelli, è attestata a Brescia
solo la decorazione di uno
scomparso pallio funebre per
la Confraternita di Santa Maria delle Grazie. Nella città
estense invece fecero moda i
suoi paesaggi, genere pittorico in cui si specializzò, destinati soprattutto al collezionismo
privato (un buon corpus di
opere si conserva alla Pinacoteca Nazionale di Ferrara).
Decisiva fu per lui la meditazione sulle opere del veneziano Marco Ricci, tale da indirizzare il bresciano ad una maniera esecutiva più veloce e impressionistica, rispetto ad una
prima fase più descrittiva che
amalgamava il gusto descrittivo alla fiamminga e la tradizione classicista bolognese.
Sconosciuto in patria fu anche Tomaso Porta, nato nella
parrocchia di San Giovanni
Evangelista nel 1686, che, trasferitosi a Verona nel 1717-18,
intraprese, pure lui, la carriera di pittore paesaggista ed è
documentato che almeno un
figlio, Andrea, seguì con successo le orme paterne. Certo
Tomaso sapeva accontentare
la sua clientela, impaginando
paesaggi di romantica intonazione, peraltro mai reali ma costruiti, o meglio assemblati, recuperando suggestioni nordiche (Paul Brill), meditando
sulle ambientazioni incolte e
selvagge del napoletano Salvator Rosa, sulle allucinate visioni del genovese Alessandro
Magnasco e sulle magistrali
orchestrazioni cromatiche del
Ricci.
Tomaso «impastò» quindi
abilmente questi ingredienti
stilistici, rispondendo al meglio alle richieste del mercato
veronese. Egli lavorò durante
la fortunata epoca culturale
animata dalla colta figura del
conte Scipione Maffei (l'alter
ego del nostro cardinal Querini in terra scaligera), interve-
nendo in prestigiose dimore
cittadine e del territorio, elette a sede di eruditi incontri dal
sapore arcadico della nobiltà.
Il Porta, per esempio, eseguì
paesaggi per la splendida villa
Sagramoso Perez Pompei, edificata a Illasi (Vr) dal conte
Giunio III Pompei su progetto
di Giovanpietro Pozzo, lavorando al fianco di illustri maestri dell'accademismo veronese quali Simone Brentana e
Louis Dorigny. Nella città veneta realizzò, fra le tante commissioni, un ciclo di tele ispirate a episodi della Gerusalemme Liberata per Palazzo
Canossa, edificio in cui Giambattista Tiepolo sarebbe intervenuto per la decorazione del
soffitto del salone.
SI CONCLUDE questa carrellata
di «pittori bresciani Doc
d'esportazione», ricordando
Ludovico Gallina (Brescia
1752 - Venezia 1787), formatosi
all'Accademia della città lagunare. La sua diligente pittura,
calibrata nelle scelte cromatiche, gli procura importanti riconoscimenti presso la Dominante ed una sua pala, la Disputa di Gesù fra i Dottori del
Tempio eseguita per la parrocchiale di Bedizzole nel 1777, fu
pubblicamente esposta in
piazza San Marco, suscitando
lodi e consensi così grandi che
innescarono episodi di fanatismo nei confronti del Gallina,
costretto perciò a camminare
per strada con il volto coperto
PERSONAGGI. Originario diPozzolengo
Capello, lo «speziale»
chemiseinordine
irimedipiùusati
Pubblicònel1725unmanuale
di farmacologia davvero esauriente
Purtroppo, la speranza di verifiche incrociate in archivio storico a Pozzolengo è andata in
fumo con l'incendio dei documenti anteriori al '700. Ma la
fama di Giovan Battista Capello, «speziale» nato a Pozzolengo intorno al 1695, è riportata
dal «Dizionario Biografico»
Treccani come figura importante nella storia della farmacopea. Ed è ancora in catalogo
(Feltrinelli, per esempio) quel
suo ponderoso «Lessico farmaceutico-chimico contenente li rimedi più usati oggidì»
(1728) che gli diede fama, e si
diffuse in tutta Europa con velocità prodigiosa. Come solo i
libri giusti al momento giusto
san fare. Rampollo, si dice, di
una nobile famiglia veneziana
che annoverava fin dal tredicesimo secolo letterati, filosofi,
diplomatici e militari di carriera, Giovan Battista si dedica
col fratello minore, Arcadio, allo studio della «spezieria».
Nel 1725 il grande balzo: va
ad esercitare «all'insegna de'
tre Monti in Campo sant'Apollinare» nella Venezia di Giacomo Casanova, nato giusto in
quell'anno. Tre anni dopo fa
stampare il suo manuale di farmacologia pratica, le cui ristampe ampliate furono 11 solo nel '700. Qui, elencate in ordine alfabetico, trovano spazio preparazioni di varia prove-
nienza. Tutti medicamenti rigorosamente elencati nelle loro composizioni, pesati, con indicazioni terapeutiche, e tutti
personalmente testati, come
spiega la prefazione. In epoca
in cui la vita si manteneva o
perdeva per le più fosche superstizioni, definire su basi
più solide la figura dello speziale non guastava. Il successo
europeo, immediato e duraturo, nasceva forse proprio dalla
chiarezza, l'empirica praticità
e, fors'anche, l'affidabilità delle «preparazioni».
Oltre che dal divulgare «segreti di spezieria» spesso gelosamente custoditi come la procedura e gli ingredienti per
creare la famosissima Teriaca
Veneziana, considerata per secoli il miglior farmaco universale. Di illuministica scientificità, però, è ancora prematuro
parlare. Nessuno si chiede
più, neanche per i preparati di
erboristeria, in quale giorno siano stati fatti e se le erbe fossero al massimo della loro facoltà medicamentosa: indicazioni che Capello, con scrupolo
dà con estrema naturalezza.
Elencando però con rovinoso sussiego anche gli infallibili
rimedi della «neve di Marte»
e della «Calce di Saturno», delle «pillole capitali di Paracelso» o dell'«orina di fanciullo». • E.SOM.
PUBBLICAZIONI. Ilbancario- scrittore
Scheggediintelletto
isagaciaforismi
di Giuseppe Vavassori
Ilpalazzoleseha preparato
100 paginedi«perle raccolte»
Massimiliano Magli
LudovicoGallina: «La disputa di Gesùfra iDottori delTempio»
da un fazzoletto «per salvarsi
dai bacci e dagli abbracciamenti» (così riferisce lo scultore bresciano Giovanni Battista Carboni nell'opera manoscritta Notizie istoriche delli
pittori, scultori ed architetti
bresciani, conservata presso
l'Archiginnasio di Bologna e
data alle stampe nel 1962 a cura di Camillo Boselli).
Ma quando il quadro giunse
a Brescia, esposto provvisoria-
mente in Sant'Agata, l'accoglienza fu molto più tiepida e
non mancarono le critiche …
come si suol dire: Nemo
propheta in patria sua!
Bibliografia: Giuseppe Zola, in
Il settecento a Ferrara (catalogo della mostra), Ferrara 1971;
F. Butturini, Tomaso, Andrea
Porta e Agostino paesisti veronesi del Settecento, Verona
1977
Arriva la pensione e i pensieri
hanno libero sfogo, come la
saggezza che, a carriera conclusa, ha tutto il suo bel da fare
per fissare idee, parole e massime. Così ha fatto il palazzolese
Giuseppe Vavassori in un libercolo pubblicato a sue spese
per amici e conoscenti, ma anche per chi è interessato a conoscere la sua.
«Schegge di intelletto» recita il titolo della pubblicazione,
che contiene mille aforismi.
Attivo anche presso l'Accademia Tennis Vavassori, di cui è
direttore tecnico il fratello Renato, Giuseppe non ha perso il
tempo per raccogliere le sue
idee e metterle per iscritto
«convinto che in una società
sempre più frenetica, ci debba
essere il tempo per leggere,
sempre e comunque. Per cui la
scelta di un genere come quello dell'aforisma è legato proprio alla volontà di consentire
una lettura rapida, come avviene per sms ed email».
Così spiega lui nella presentazione del libretto, che poi tanto striminzito non è visto che
raccoglie oltre cento pagine.
Al loro interno comunque
GiuseppeVavassori
non ci sono aforismi diritti
dell'autore, ma di personalità
e personaggi incontrati. «Non
ho voluto appositamente citare la fonte - spiega - per non
influenzare il lettore. L'aforisma è un messaggio libero,
che deve essere valorizzato
per quello che dà, non per chi
lo ha detto». Vogliamo chiudere questa presentazione con
l'aforisma 10: «Un sorriso è
un modo economico per migliorare il tuo aspetto», insomma, una lettura pratica anche
di un piccolo gesto.
Bancario, classe 1952, laureato in economia e commercio,
Vavassori ora dà spazio anche
alla sua vena scrittoria. •
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