MAGAZINE
COPIA OMAGGIO - anno X - numero 52 - gennaio / febbraio 2016
OCULISTICA
SECCHEZZA OCULARE
MEDICINA
LA TOSSE CHE
NON PASSA
SPECIALE
ARTICOLAZIONI
& ARTROSI
INTERVISTA
ANTONELLA
CLERICI
liftissime
OVALE RILASSATO - PERDITA DI VOLUME - RUGHE PROFONDE
IL PRIMO LIFTING 3D LIERAC
Il lifting 3D dei Laboratoires Lierac
coniuga il meglio di scienza e
natura in sinergia. Il complesso CellJunction* associato a efficaci estratti
vegetali aiuta a distendere i tratti in
superficie e ridensificare i volumi in
profondità. Ridisegnato, l’ovale del viso
è come liftato in 3 DIMENSIONI.
R I S U LTAT I
All’applicazione(1)
La pelle appare
distesa e levigata
Dopo 4 settimane
L’ovale è come
ridisegnato(2)
I volumi sono riequilibrati(2)
Le rughe sono attenuate(3)
Ora è il momento
di non arrendersi
al tempo!
editoriale
I dieci anni che hanno cambiato il nostro mondo
Il 2016 rappresenta un traguardo importante per Mia Farmacia. Ricorrono, infatti, dieci anni dalla nascita della nostra
comunità: un consorzio di professionisti e di clienti che si riconoscono nel valore imprescindibile della salute.
In questi dieci anni vi ho resi partecipi, con le mie riflessioni,
dei grandi cambiamenti avvenuti nella società italiana ed europea, con particolare attenzione al mondo della sanità e del
welfare. La storia contemporanea, però, non è un processo
lineare, ma avanza con accelerazioni fulminee che riguardano
anche il nostro settore.
Nell’Italia post bellica gli stessi ordini professionali erano eredi
della struttura delle “corporazioni”, nate durante il ventennio
mussoliniano, attraverso le quali il potere cercava di dare ai
professionisti una funzione sociale ben precisa. Poi, con la
svolta avvenuta negli anni Ottanta a livello mondiale, una forma di liberismo ha preso il sopravvento sovvertendo le regole
anche nel modello del welfare. Oggi, forse al culmine della
sua parabola e allo stesso tempo all'inizio del suo declino, il
liberismo di mercato entra con prepotenza nell'ambito delle
professioni sanitarie e della previdenza.
Da quest'anno le farmacie non saranno più regolamentate
secondo un modello concessorio che rientra in un program-
anno X numero 52
gennaio - febbraio 2016
copia omaggio
Editore
Consorzio MIA FARMACIA
Via Emilia 84
40011 Anzola dell'Emilia - Bologna
[email protected]
Registrazione
Tribunale di Bologna n. 7688 del 26/07/2006
Direttore Responsabile
Cesare Bellavitis
Marketing e Pubblicità
Daniela Ziering Sintini
[email protected]
Commerciale
Alessandro Benassi
[email protected]
Redazione
Silvia Colombini
Chiara Solitario
[email protected]
ma di tutela da parte dello Stato, ma potranno essere gestite
da qualsiasi società di capitale, nazionale o multinazionale,
con l'unico vincolo di non essere già presente nella filiera del
farmaco come professionista medico o industria farmaceutica. Non esisterà più, quindi, la corrispondenza tra la figura
del farmacista tutore e garante della salute pubblica e il gestore della farmacia.
Così sicuramente si sostituirà la tutela dello Stato con quella
di forti oligopoli privati.
Questo consorzio è nato dieci anni fa con l'intento di aiutare
le farmacie socie a difendere in maniera più incisiva la propria indipendenza. Grazie alla condivisione di valori e competenze, al successo di molte nostre iniziative che ci avete
riconosciuto in tante occasioni, siamo fiduciosi della strada
intrapresa.
E come in natura le specie più resilienti non sono quelle più
forti, ma quelle che si adattano ai cambiamenti dell'ambiente
che le circonda, così noi vi promettiamo, nei prossimi anni, di
cambiare senza mai tradire quei valori della nostra professione che ci hanno consentito di sopravvivere e rigenerarci ogni
volta più forti nella nostra storia millenaria.
Dott. Cesare Bellavitis
Collaboratori scientifici a questo numero:
Sara Ciastellardi
Giuseppe Di Mauro
Luciano Pinto
Katia Marilungo
David Calabrò
Fabio Calabrò
Carmine Zoccali
Maurizio Fontana
Fabrizio Di Benedetto
Chiara Segré
Mario Puviani
Roberto Castello
Anna Frigo
Adriana Bonora
Luciano G. De Carlis
Grafica e impaginazione
Supporti Grafici
40024 Castel San Pietro Terme - Bologna
Stampa
Mediagraf s.p.a.
Ringraziamo tutti coloro che hanno collaborato alla nostra iniziativa editoriale comprese le Aziende che hanno aderito con la loro
inserzione
È vietata la riproduzione totale o parziale di ogni
contenuto di questa pubblicazione senza l’autorizzazione dell’editore. Tutti i punti di vista espressi
in questa pubblicazione sono quelli dei singoli
autori e non riflettono quelli delle strutture a cui
essi appartengono o dell'editore. Errori di stampa
o refusi involontari di trascrizione presenti nella
rivista saranno corretti a pagina 50, del prossimo
numero, se segnalati alla redazione o all'editore.
3
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l’equilibrio della flora batterica intestinale, le vitamine B6 e B12
e l’acido folico contribuiscono al regolare funzionamento
del sistema immunitario.
MiaLax è un integratore alimentare* a base di estratti vegetali;
con Senna, Aloe, Cascara e Rabarbaro utili per favorire il riequilibrio
del transito intestinale.
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Sommario
ALIMENTAZIONE
7 La stevia
dolcezza in tavola…
e nella vita
17
PEDIATRIA
11 Le vaccinazioni
una difesa per i nostri figli
e per la comunità
ASSOCIAZIONI
15 AIMaC (Associazione
Italiana Malati di Cancro,
parenti e amici)
Sapere per combattere
PSICOLOGIA
17 Tutto sotto controllo:
quando l’ordine
diventa “ossessione”
ATTIVITÀ FISICA
21 Attività motoria controllata:
un aiuto per il diabete
Mania dell’ordine e altri disturbi d’ansia
25
SPECIALE
25 Articolazioni&Artrosi
INTERVISTA
30 Antonella Clerici
MEDICINA
33 Nuove terapie per l’epatite C
e il tumore epatico
37 Lotta contro i tumori:
ricerca, prevenzione,
informazione
41 Curare le verruche:
trattamenti e terpie
Curare e mantenere in forma le articolazioni
43
43 Tosse: un sintomo
da non trascurare
OCULISTICA
47 Secchezza oculare
“occhio” a non sottovalutarla
48 NEWS
50 TESTIMONIANZE
Attenzione ai diversi tipi di tosse
5
Integratore
alimentare
multivitaminico
multiminerale
con luteina
è un integratore alimentare multivitaminico – multiminerale
completo, indicato in tutti i casi di ridotto apporto con la dieta
o aumentato fabbisogno fisiologico di tali sostanze.
In particolare:
le vitamine del gruppo B:
Acido pantotenico, Niacina, Riboflavina,
Vitamina B12 e B6 contribuiscono a ridurre
la stanchezza e l’affaticamento;
il calcio è necessario per il mantenimento
di ossa normali;
i minerali: Ferro, Rame, Selenio e Zinco
contribuiscono alla normale funzione
del sistema immunitario;
la tiamina contribuisce alla normale
funzione cardiaca.
Uso e dosi
Una compressa al giorno da
deglutire con un sorso d’acqua.
Confezione
:
astuccio da 70 compresse
6
alimentazione
La stevia
dolcezza in tavola…
e nella vita
Dott.ssa Sara Ciastellardi
Medico chirurgo, Nutrizionista e Omeopata
(Livorno-Grosseto-Pisa)
www.dietasaraciastellardi.it
L
e bontà che il palato riesce ad
assaporare sono numerose, ma
tra tutte il gusto dolce, spesso, è
quello preferito. Questa predilezione ha radici molto profonde,
infatti i primi gusti che il bimbo incontra sono
il dolce del latte materno o quello artificiale.
Per ragioni antropologiche l’essere umano
predilige due sapori: il dolce e il salato. Nonostante tutto, l’alimentazione del sapiens
(ovvero dell’uomo) si basa sulla frutta e sui
vegetali, entrambi “dolci”. In altre parole, in
ogni DNA c’è scritto che il gusto dolce è utile e
sicuro. Infatti, i frutti velenosi o i vegetali tossici
raramente sono dolci, più spesso sono amari.
Un altro motivo per il quale si ricerca il sapore dolce è che, erroneamente, insieme ai
carboidrati (che sono sempre degli zuccheri)
viene escluso dall’alimentazione, soprattutto
quando si vuole controllare il peso. Nulla di
più sbagliato perché eliminarli significherebbe
desiderarli ancora di più!
Anche un’alimentazione, però, troppo ricca di
carboidrati (tutti gli zuccheri, i dolci, i gelati, la
pizza, la pasta, il pane e i cereali in generale)
potrebbe stimolare la produzione di insulina
e di conseguenza il desiderio di dolce, in una
sorta di circolo vizioso.
energia che, se non serve nell’immediato,
viene immagazzinata come tessuto adiposo:
il cosiddetto grasso corporeo. Questo avviene
specialmente se gli zuccheri sono consumati
lontano dal pasto principale o nell’ambito di
un pasto troppo ricco di carboidrati. Se, invece, vengono inseriti all’interno di un’alimentazione corretta e bilanciata sono gustosi (come,
ad esempio, la pasta) e molto utili per non
sovraccaricare l’organismo di troppe proteine.
La stevia: che cos’è?
I dolci veri e propri non sono da demonizzare, anzi, un consumo moderato allieta tutti o
quasi. Ci sono, infatti, alcuni tipi di dolci adatti
ad ogni alimentazione, basta non abusarne
troppo. Altri, invece, sono da modificare a volte nella composizione e da integrare in modo
diverso in ogni singola tabella alimentare per
quei soggetti che, per qualche motivo, devono controllare gli zuccheri come, ad esempio,
Zuccheri alleati
e non nemici
Lo zucchero semplice (bianco di barbabietola) è una fonte di calorie considerate “vuote”,
o meglio sono calorie (circa 400 kcal per 100
g) che non apportano nessun nutriente, solo
7
alimentazione
gli intolleranti al glucosio o i diabetici.
Ecco che, allora, l’industria alimentare ha messo a punto i dolcificanti. Uno degli ultimi a
nostra disposizione è la stevia.
In realtà la stevia è una pianta, Stevia Rebaudiana, appartenente alla famiglia delle Asteracee, con proprietà dolcificanti. Le sue foglie
sottili, di colore verde scuro, contengono due
principi attivi: lo stevioside e il rebaudioside.
Entrambi conferiscono, specialmente alle foglie, il tipico gusto dolce.
Usi e limiti della stevia
Le foglie della stevia, specialmente se essiccate, hanno un potere dolcificante molto più
elevato rispetto allo zucchero bianco di barbabietola. Ecco un valido esempio: un quarto di
cucchiaino di polvere di stevia equivale a
un cucchiaio di zucchero bianco.
La stevia è da molto tempo utilizzata come
dolcificante nei Paesi Sud Americani; attualmente è apprezzata e consumata anche in
Europa, Svizzera e USA. Pur essendo ammessa dalla legislazione italiana attuale come
additivo alimentare, è stato fissato un limite
massimo di dose giornaliera (2mg/kg per
peso corporeo).
Bambini e dolcificanti
Consigli preziosi
componenti alimentari che “copre” altri
sapori e che si trova ancora a basso costo.
Le marmellate in genere hanno un’esigua percentuale di frutta e un cospicuo
quantitativo di zucchero bianco, proprio
perché la frutta è più costosa. Ormai, da
tempo, ci si è abituati a questo sapore
molto dolce: marmellata infatti significa
dolce. Poco importa di che frutta è fatta.
Se invece si consuma una marmellata che
non contiene né zucchero bianco né dolcificanti, ma solo ed esclusivamente frutta,
possibilmente di buona qualità, se all’inizio potrà sembrare poco dolce, risulterà
però più gustosa. Dopo poco, poi, diventerà buonissima e quando capiterà di assaggiare le formulazioni con tanto zucchero
bianco, si capirà la differenza e si scoprirà
che sono solo dolci e per niente saporite.
Tutti i dolcificanti, in linea di massima, dovrebbero essere considerati un prodotto
di “transizione”, da usare con moderazione. Per abituarsi a dei gusti più naturali e
meno sintetici, il dolcificante (stevia compresa) potrebbe avere una sua utilità. Di
conseguenza quando si decide, per qualsiasi motivo, di abbandonare lo zucchero
(bianco di barbabietola, grezzo o di canna) si possono usare alcuni edulcoranti in
piccole quantità, da ridurre progressivamente fino ad eliminarli del tutto.
I segreti della marmellata
I sapori che possiamo percepire sono molti e hanno diverse sfumature. Abituarsi
a riconoscerli e ad apprezzarli è uno dei
piaceri della vita: perché privarsene? Lo
zucchero bianco di barbabietola è uno dei
8
In commercio si trovano molti dolcificanti a
base di stevia. Per prima cosa vanno esaminati
attentamente tutti i vari costituenti. Se si tratta
di stevia come unico componente è comunque buona regola non abusarne.
I dolcificanti in generale vanno considerati
come prodotti da utilizzare saltuariamente,
anche perché il gusto è uno dei nostri sensi in
grado di modificarsi nel tempo. Se ci si abitua
a sapori sempre dolci, difficilmente si riescono
ad apprezzare quelli che lo sono di meno e le
varie sfumature di sapore.
Non bisognerebbe dare ai bambini nessun
alimento che contenga dolcificanti perché,
in certi casi, potrebbe risultare tossico. Molti
prodotti considerati light (bibite comprese)
includono dei dolcificanti al posto dello zucchero, quindi, non sono adatti al consumo
in giovane età. Sarebbe importante, invece,
educare i più piccoli ad apprezzare tutti i
gusti, evitando di condizionare il loro palato
abituandolo solo alla monotonia del dolce,
molto dolce e basta.
Con i bambini è importante intraprendere la
strada dell’educazione alimentare che può
Testo raccolto da Chiara Solitario
diventare una piacevole scoperta per tutta
la famiglia. Su questo principio si basano i
metodi efficaci che riguardano l’alimentazione dei più piccoli, ma anche dei grandi e che
possono impedire di mangiare in maniera
sbagliata.
I bambini, infatti, non vanno messi a dieta.
Se c’è un problema di salute o di peso, attraverso un percorso di gioco, si può insegnare
loro a nutrirsi in modo gustoso e salutare e al
contempo farli divertire. Se proprio si deve aumentare il gusto dolce, di tanto in tanto, se non
ci sono controindicazioni di salute, è meglio
preferire il miele, il fruttosio e solo in ultimo lo
zucchero, magari quello grezzo di canna.
Diabete e intolleranze
al glucosio
Nel diabete, sia di tipo I che di tipo II lo zucchero è da tenere sempre sotto controllo,
così come i carboidrati. Stessa cosa nelle
intolleranze al glucosio o nella resistenza periferica all’insulina, dove i dolcificanti potrebbero rappresentare sia la fase di transizione
per riabituare il gusto sia un’alternativa per
rendere più dolce un alimento particolare
(una volta ogni tanto).
Abbiamo
tutti lo stesso
desiderio.
Andare dove
i nostri sogni
ci portano.
In Mylan ci impegniamo affinchè
ognuno di noi possa vivere i propri
sogni, fornendo l’accesso a cure
di qualità a 7 miliardi di persone.
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Una salute migliore
per un
mondo migliore
7MLD:1
pediatria
Le vaccinazioni
una difesa per i nostri figli
e per la comunità
L
a vaccinazione è lo strumento
più sicuro ed efficace di cui disponiamo per ottenere la protezione da alcune gravi malattie
infettive, potenzialmente mortali.
Grazie alla vaccinazione, il vaiolo è stato debellato ed i casi di poliomielite si sono ridotti
da oltre 350.000 del 1988, a meno di sessanta
nei primi nove mesi di quest’anno. In Italia,
dove l’ultimo caso di polio risale al 1998, si
è significativamente ridotta l’incidenza di
molte altre malattie infettive prevenibili con
le vaccinazioni, quali il tetano, l’epatite B, il
morbillo, la rosolia, la parotite, la meningite e
una grave malattia come la difterite.
Lo Stato Italiano garantisce l’offerta gratuita
delle vaccinazioni prioritarie, per raggiungere
e mantenere i livelli di copertura vaccinale
(almeno 95 individui vaccinati su 100) necessari a prevenire la diffusione delle specifiche
malattie. Tale pratica comporta benefici anche
per chi non è vaccinato in quanto, se in una
comunità la percentuale di soggetti vaccinati è
adeguatamente elevata, viene a ridursi la trasmissione dell’agente infettivo (immunità di
gregge), per cui saranno protetti anche coloro
che non possono essere vaccinati.
La gravità delle
malattie infettive
Paradossalmente le vaccinazioni sono “vittime del loro successo”. Quando i programmi
raggiungono il loro obiettivo eradicando,
eliminando o contenendo le malattie prevenibili con le vaccinazioni, la capacità della
popolazione di valutarne i vantaggi tende a
diminuire. È sempre più elevato il numero
di genitori, ma a volte anche di medici e di
operatori sanitari, che non avendo esperienza di malattie quali poliomielite, tetano o difterite, non si rendono conto di quante morti
e disabilità oggi non si verificano solo perché
vengono evitate dalle vaccinazioni. Si tende
a ritenere che queste malattie non siano gravi e si focalizza l’attenzione sulla sicurezza,
sulla utilità dei vaccini e sugli ipotetici danni che potrebbero causare. Ci si preoccupa
dell’eventuale insorgenza di reazioni locali,
di febbre, di danni causati dalla somministrazione di vaccini multipli in un arco di tempo
ritenuto troppo breve, senza rendersi conto
che il rifiuto del vaccino mette a rischio non
solo l’individuo, ma l’intera comunità.
Dott. Giuseppe Di Mauro
Prof. Luciano Pinto
SIPPS - Società Italiana
di Pediatria Preventiva e Sociale
11
pediatria
Vaccino no, vaccino sì: due casi emblematici
La diffidenza
verso i vaccini
La diffidenza verso i vaccini è responsabile,
con ogni probabilità, della riduzione delle
coperture vaccinali pediatriche all’età di ventiquattro mesi che si è verificata in Italia nel
2014. Per il secondo anno di seguito vi è stata una flessione di tutte le coperture vaccinali, che è stata molto più accentuata per i
vaccini contenuti nel vaccino MPR (Morbillo,
Parotite e Rosolia): la copertura media, inferiore di oltre 8 punti all’obiettivo del 95%,
è insufficiente ad arginare la circolazione del
virus del morbillo. È lecito, quindi, temere
che vi possa essere un incremento dei casi di
questa malattia, dopo due anni in cui il loro
numero si stava riducendo. Pone interrogativi anche il calo delle coperture per i vaccini
contenuti nel vaccino esavalente, in quanto
si possono creare casi di persone suscettibili,
con conseguente rischio di coincidenze sporadiche anche di malattie attualmente non
presenti in Italia, come la difterite.
Cosa dice
la legge italiana
Nel nostro Paese i bambini che per scelta
dei propri genitori non hanno completato
il ciclo di vaccinazioni obbligatorie, possono
iscriversi alla scuola dell'obbligo, ed è aperta
la questione se far prevalere o meno il diritto
di un bambino ad essere protetto mediante
la vaccinazione rispetto alla volontà dei suoi
genitori di non vaccinarlo. In Italia la patria
potestà è stata sostituita dalla responsabilità
genitoriale, che dovrebbe implicare anche
l’adozione di misure di protezione della salute del bambino di riconosciuta efficacia, che
non possono non includere le vaccinazioni,
ma se un genitore non vuole vaccinare il figlio, sono ben pochi i mezzi disponibili per
modificare questa scelta.
La storia di due bimbi, che abitavano in
paesi lontanissimi fra di loro, potrà fornire elementi utili per riflettere su questa
situazione.
1° CASO Il 27 giugno 2015 è deceduto
in un grande Ospedale di Barcellona il
piccolo Pau, un bimbo spagnolo di sei
anni, dopo quasi un mese di ricovero in
terapia intensiva per una malattia infettiva
prevenibile con le vaccinazioni, la difterite.
Nella Spagna, dove l’ultimo caso di questa
malattia era stato segnalato nel 1986, la
copertura vaccinale è superiore al 95%.
Pau non era stato sottoposto ad alcuna
vaccinazione per scelta dei genitori.
Le autorità spagnole hanno controllato tutti
coloro che erano stati in contatto con il bimbo. In 8 compagni di scuola, in regola con
le vaccinazioni, è risultato presente l’agente
responsabile della difterite, il C. Diphteriae,
ma l’essere vaccinati ha evitato qualsiasi
danno: è stata sufficiente una terapia antibiotica per scongiurare ogni pericolo.
Oggi i genitori del piccolo Pau rimpiangono di non avere vaccinato il proprio figlio.
Come tanti altri giovani, sono cresciuti
senza conoscere i rischi causati dalle malattie prevenibili mediante le vaccinazioni,
che le precedenti generazioni ben conoscevano perché avevano avuto una esperienza diretta o indiretta dei danni causati
da queste malattie.
Un dibattito
internazionale
Il tema dell’opportunità o meno di vaccinare
i bambini è al centro di dibattiti internazionali. Scienziati e famiglie, favorevoli o contrari,
portano argomenti a sostegno della propria
tesi che continuano la polemica. Il problema
è importante per tutti: in Italia ci sono società
scientifiche come la SIPPS (Società Italiana di
Pediatria Preventiva e Sociale) e la SIP (Società Italiana di Pediatria) che, lavorando per
promuovere la salute dei bambini, oggi intervengono presso le Autorità Responsabili della
2° CASO Il 30 giugno 2015 il Senato
della California ha approvato un disegno
di legge che abroga le esenzioni dalle
vaccinazioni per motivi religiosi e filosofici
e mantiene in vigore solo quelle per
motivi medici. I bambini i cui genitori
rifiutano la vaccinazione e non sono in
grado di garantire un’esenzione medica
dovranno studiare nelle loro case. La
legge ha trovato un incredibile ed efficace
testimone nel piccolo Rhett Krawitt, un
bimbo di 7 anni, appena uscito da 3
anni e mezzo di chemioterapia per una
leucemia, che ha guidato una battaglia
insieme ai genitori per fare escludere dalla
sua scuola i bambini non vaccinati.
Cosa fare con i bambini malati
Il problema è di grande attualità: sono tanti
i bimbi affetti da malattie onco-ematologiche che vengono sottoposti per anni a chemioterapia, con conseguente depressione
delle difese immunitarie che si protrae fino
a 6-12 mesi dopo la sospensione delle cure.
Nei bambini sottoposti a trapianto di midollo, sono assolutamente controindicati nei
primi due anni dal trapianto i vaccini viventi
attenuati, quali morbillo, rosolia e parotite.
Le istituzioni devono trovare al più presto
una soluzione per aiutare i bambini con
difese immunitarie compromesse, nel momento in cui vorranno e potranno frequentare la scuola come gli altri.
Salute Pubblica del nostro Paese per concorrere alla elaborazione di un programma di interventi in grado di sanare questa situazione.
Il loro obiettivo è creare un movimento di
opinione a favore delle vaccinazioni, a difesa
non solo dei bambini che non possono essere
vaccinati, ma anche di tanti altri che corrono
il rischio di essere danneggiati da una malattia che era prevenibile. La paura dei presunti
effetti collaterali dei vaccini potrebbe impedire di vedere i danni terribili delle malattie
infettive, che i vaccini stessi sono in grado di
debellare.
Testo raccolto da Silvia Colombini
12
M
rmenti lattici che favoriscono l’’equilibrio
e
F
i
d
della flora intestinale
di
iliar
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associazioni
AIMaC
(Associazione Italiana Malati di Cancro, parenti e amici)
Sapere per combattere
Affrontare il cancro implica un lungo e complesso percorso che
inizia dal momento della diagnosi e prosegue con la cura, i trattamenti e i controlli periodici. In tale scenario, la qualità della comunicazione-informazione riveste un alto valore sociale, ed è questo
uno degli obiettivi che da sempre AIMaC persegue, rispondendo
a un’esigenza prima non corrisposta.
Fondata nel 1997, AIMaC è una Onlus riconosciuta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali come organizzazione
che svolge attività di evidente funzione sociale sul territorio
nazionale.
L’informazione è la prima medicina
Per vincere la battaglia contro il cancro bisogna combattere con armi
efficaci ed una corretta informazione è una di queste.
AIMaC fornisce ai malati e ai loro familiari:
una collana di 33 libretti, realizzati insieme ai più importanti
istituti scientifici universitari, che approfondiscono i principali tipi di
cancro, i trattamenti, gli effetti collaterali;
una serie di pubblicazioni e video che forniscono risposte a domande su terapie e altre problematiche;
un sito internet (www.aimac.it), completo e di facile navigazione,
tanto da ottenere il bollino di HON (Health On the Net Foundation)
che certifica e valuta l’affidabilità scientifica dei siti sanitari;
un’oncoguida (www.oncoguida.it), strumento per sapere a chi
rivolgersi per le diagnosi, i trattamenti terapeutici, il sostegno psicologico, la riabilitazione e l’assistenza, le terapie del dolore e per far
valere i propri diritti.
Questi materiali sono un valido aiuto nel lungo percorso della malattia, dalla diagnosi alle cure e alla riabilitazione.
I diritti del malato
Importantissima è anche l’informazione relativa ai benefici previsti
dalle leggi in ambito lavorativo, previdenziale e assistenziale. AIMaC
è stata la prima Associazione a pubblicare il libretto “I diritti dei
malati di cancro” che è diventato uno strumento di consultazione indispensabile, anche per gli operatori delle strutture sanitarie.
AIMaC, portando avanti le istanze dei pazienti, è riuscita ad ottenere tra
gli altri, i seguenti riconoscimenti giuridici a tutela dei malati di cancro:
il diritto del malato di passare dal tempo pieno al tempo parziale
per potersi curare, per poi riprendere il normale orario di lavoro;
la riduzione dell’accertamento dell’invalidità e dell’handicap causati dalla malattia oncologica da un anno a quindici giorni, che permette di accedere velocemente ai benefici economici e ai congedi
lavorativi previsti.
Tra le tante, la novità più rilevante per i malati di cancro con invalidità
superiore al 50% è il diritto di chiedere e ottenere trenta giorni di
congedo all’anno senza perdere retribuzione, per curarsi e affrontare le fasi critiche della malattia.
L’importanza della ricerca
AIMaC promuove anche ricerche e progetti per il miglioramento della
qualità di vita dei malati oncologici. Per donne e uomini che si ammalano di cancro in età fertile, AIMaC, per esempio, è attiva con iniziative che
informano su come preservare la fertilità.
I progetti continuano ogni giorno, in collaborazione con Ministeri, Istituto
Superiore di Sanità-ISS e con i maggiori Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico-IRCCS oncologici e policlinici universitari.
Il servizio offerto da AIMaC è completamente gratuito. L’associazione si
finanzia attraverso le quote associative, gli atti di liberalità e il 5 per mille.
Assistenza costante
Oltre a questo, AIMaC è sempre vicina con una linea di ascolto
(servizio di Help-Line Numero Verde 840 503 579) attiva dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle 19.00 alla quale rispondono volontari
del servizio civile che, coordinati da un oncologo, uno psicoterapeuta e un avvocato, offrono a malati e familiari assistenza e risposte
personalizzate.
È attivo anche un forum online (forumtumore.aimac.it) dove chi
affronta il cancro può condividere esperienze, consigli, dubbi.
Inoltre, presso i principali istituti dei tumori di molte città italiane,
AIMaC ha allestito punti di accoglienza e informazione.
Per maggiori informazioni:
Associazione Italiana Malati di Cancro, parenti e amici (AIMaC)
Via Barberini, 11 - 00187 Roma
Numero verde: 840 503 579 - tel. 06 4825107 – fax 06 42011216
[email protected] - www.aimac.it
15
16
psicologia
Tutto sotto controllo:
quando l’ordine
diventa "ossessione"
V
i è mai capitato di non riuscire
a prendere sonno ossessionati dal pensiero di una lavatrice
non fatta? O di non sentirvi a
posto se la vostra macchina
non è luccicante? O ancora di continuare a
pulire e lucidare la doccia agguerriti contro
una goccia di calcare?
La cura per l’igiene personale o la pulizia di
ambienti e cose per qualcuno è una mania
che può trasformarsi in vero e proprio disturbo. Colpisce una donna su quattro, ma anche qualche uomo e fa parte di quei disturbi
d’ansia di cui soffre il 20% della popolazione.
Viene definita rupofobia e letteralmente
significa paura dello sporco.
Il soggetto che ne è vittima compie ripetutamente l'atto della pulizia su se stesso
(il lavaggio continuo delle mani) o sull'ambiente che lo circonda (la casa).
In termini meno tecnici può anche essere
definita "sindrome di Pilato", l'uomo che
si lavò le mani: una paura patologica del
contatto con lo sporco per evitare qualsiasi
tipo di contaminazione o di germe. Chi vive
questo disagio ha il bisogno continuo
di lavarsi le mani e pulire la casa
e tutti gli oggetti di uso quotidiano, disinfettandoli a
fondo.
Dott.ssa Katia Marilungo
Psicologa, Psicoterapeuta e Psiconcologa
(Civitanova Marche - MC)
www.katiamarilungo.name
Quali sono le cause
Le cause sono svariate e possono essere
ricercate in varie direzioni:
educazione molto rigida, che crea un
nesso causale tra il piacere seguito da una
necessità di igienizzarsi, ad esempio, l'idea
che, da bambini, dopo aver giocato o fatto
qualcosa di piacevole, magari all'aria aperta, sia necessario ripulirsi;
fattori che gravitano intorno alla sfera
sessuale, ai rapporti interpersonali o anche
al rapporto con se stessi, per esempio, la necessità di avere sempre tutto sotto controllo
che spesso va di pari passo con la continua
ricerca della perfezione;
un accumulo di aggressività;
praticare attività che in realtà
non destano vero
interesse;
imporsi una
morale troppo rigida;
un eccesso di autocontrollo che impedisce alle emozioni di esprimersi;
paura di sentire e percepire il proprio
vuoto interiore.
Dal punto di vista della psicosomatica,
l'esigenza di una pulizia esteriore potrebbe essere una metafora della paura dello
"sporco" interiore, del lato più oscuro di
ognuno di noi.
Come si manifesta
Nella realtà solo alcune persone hanno la
consapevolezza di avere ansie causate dalla mania dell’ordine quando, invece, è un
problema diffuso, seppur in maniera non
patologica.
I sintomi tipici si possono manifestare con
i seguenti comportamenti:
mamme che mettono a posto i giochi
dei figli mentre essi ancora giocano;
mariti che controllano e risistemano
con metodicità le cose già riordinate
dalla moglie;
17
psicologia
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LE SINTOMATOLOGIE
PIÙ FREQUENTI
Nelle nevrosi legate alla mania dell’ordine,
si possono individuare i seguenti tipi:
i checkers (controllori): mettono in
atto rituali di controllo per vincere la loro
paura eccessiva e irrazionale che possa accadere qualcosa di catastrofico, a seguito
delle loro azioni;
i washers and cleaners (pulitori): ossessionati dal timore di essere contaminati
da germi, sporco o sostanze estranee;
gli orderers (ordinatori): compiono
determinate azioni in modo particolare e
perfetto, sempre esageratamente dediti
alla cura e all’ordine;
gli hoarders (accumulatori): collezionano oltremisura oggetti insignificanti trovando estrema difficoltà nel disfarsi di cose
vecchie e inutili;
gli scrupolosi: ossessionati da problemi morali e religiosi, cercano continue conferme sulla loro purezza morale.
Sono queste le patologie nevrotiche più
diffuse.
18
donne che non riescono ad andare a letto la
sera se non hanno concluso tutte le faccende;
persone che al lavoro hanno una scrivania sgombra e sempre libera.
Tutto questo può portare a reazioni scomposte e irritate per nulla, incapacità di concentrazione, senso continuo di ansia, sensazione di continui sintomi fisici, pensieri
caotici tipici del rimuginio.
compulsioni: comportamenti (lavarsi di
continuo, mettere meticolosamente in ordine, controllare eccessivamente) o azioni
mentali (pregare, ripetere frasi, contare)
ripetitive e intenzionali.
Vengono messe in atto in seguito all’insorgere di un’ossessione con lo scopo di prevenire o ridurre l’angoscia.
Il bisogno di controllo
Più si agisce per rimuovere il disordine, più
la dimensione del "caos" aumenterà inconsapevolmente: è quindi inutile cercare
di fuggirla, molto meglio accoglierla e imparare a viverla un po' alla volta.
Per prima cosa si dovrebbe prestare attenzione ai segnali di una situazione psicologica particolare, che può trovare proprio
nella ricerca spasmodica di ordine un suo
tentativo di sfogo.
Ci sono, inoltre, alcuni comportamenti che
potrebbero risultare d'aiuto.
Rispettare il nostro sistema immunitario,
è utile conoscere seriamente il suo funzionamento in termini di autoregolazione e
protezione, poiché preserva adeguatamente ogni singolo individuo e non ha bisogno
di meccanismi compensatori che lo stressano di più.
Prendere consapevolezza del nostro eros,
liberandolo da una morale rigida che nega
la libertà di vivere serenamente il piacere
e l’intimità.
Riavvicinarsi a tutte quelle attività manuali
che ci mettono in contatto con la natura,
la terra, la materia, praticando hobby e
piccole attività con piante, fiori, terra, “sporcandosi le mani” solo per piacere.
Praticare tecniche di rilassamento basate
sul massaggio, capaci di rimettere ognuno
in contatto con il corpo e con le emozioni
inespresse.
Infine, se tutto questo risultasse inefficace,
ci si potrebbe rivolgere con fiducia alla psicoterapia in modo da individuare le cause
e il conflitto sottostante tali problematiche.
Attraverso numerose tecniche si può risolvere in tempi brevi questo disturbo e tornare a essere liberi di vivere la propria vita, le
proprie relazioni e la propria quotidianità.
Mantenere in ordine il proprio contesto di
vita o l’ambiente di lavoro è sinonimo di
equilibrio interiore e chiarezza mentale, ma
c'è un limite oltre il quale questa capacità
diventa un'ossessione. Ciò accade quando non si riesce più a essere tranquilli se
non è sistemato o messo in ordine tutto
fino all’ultimo dettaglio, quando un po'
di disordine può rovinare il proprio umore
compromettendo tutte le attività della giornata, creando una sgradevole sensazione di
"incompiutezza" che porta dritti a un’ansia
inerente a tutte le emozioni costantemente
tenute sotto controllo.
È una forma acuta, nella quale si scarica
un fortissimo bisogno di controllo al fine
di impedire, inconsapevolmente, che le
emozioni emergano o di gestire insicurezze radicate o di sentirsi a posto con la
coscienza; l’ordine va a coincidere con un
ordine morale, un senso di "pulizia interiore". Quello che da una parte viene tenuto a
bada con estremo controllo, dall’altra parte
si trasforma in azioni rituali che vanno a minare la libertà di vivere il proprio tempo e
l'impossibilità di lasciarsi andare pienamente al relax, alle emozioni, ai cambiamenti.
Il disturbo
ossessivo-compulsivo
Si parla di disturbo ossessivo-compulsivo
quando quando il paziente soffre di entrambe le seguenti componenti:
ossessioni: idee, pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti come
intrusivi e inappropriati che non riflettono
semplicemente un’eccessiva preoccupazione per i problemi della vita reale, ma che
sono un prodotto della mente e non vengono imposte dall’esterno;
Convivere con il caos
Testo raccolto da Silvia Colombini
attività fisica
Attività motoria
controllata:
un aiuto per il diabete
Dott. David Calabrò - Dott. Fabio Calabrò
Dottori in Scienze Motorie
(AIRPeC - Associazione Interdisciplinare di Ricerca in Posturologia e Chinesiologia
CSEN - Centro Nazionale di Formazione Settoriale)
www.airpec.it (Reggio Calabria)
Dott. Carmine Zoccali
A
dottare stili di vita sani,
come una corretta alimentazione e un regolare esercizio fisico, è una buona
norma nella prevenzione,
nella cura e nella riduzione dei fattori di rischio legati a svariate patologie.
Negli ultimi anni la comunità scientifica internazionale, dopo risultati ottenuti a seguito
di studi e ricerche, concorda nell’affermare
l’influenza benefica che un’attività fisica
Medico chirurgo, Specialista in Ortopedia e Traumatologia
Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (Roma)
controllata e mirata può avere nella cura
del diabete tipo 1 e 2.
Oltre a migliorare la funzionalità dell’apparato
cardiovascolare, respiratorio e muscolare, l’esercizio fisico aiuta a ridurre l’indice glicemico.
Svolgere attività fisica regolarmente permette di:
ridurre la glicemia sistemica;
mantenere le funzioni vascolari;
mantenere le funzioni neurologiche.
Abbinato a un regime alimentare equilibrato
e a basso livello di zuccheri, il movimento fisico organizzato secondo precisi parametri è
quindi un alleato valido per aiutare chi soffre
di diabete. È importante però che l’attività sia
programmata con esercizi che, favorendo un
elevato consumo glicemico, non inducano
il sistema epato-pancreatico a super compensare la glicemia nel sangue. Inoltre, ogni
programma va valutato e adattato allo stato
clinico del paziente, tenendo conto di parametri quali eventuali problematiche muscolo-scheletriche, sistemiche e neurologiche,
spesso frequenti nelle persone che soffrono
di questa malattia.
Decidere il programma
Il tipo di movimento studiato specificatamente per curare il diabete differisce
dall’attività fisica generale. È fondamentale
che l’esecuzione degli esercizi preveda
un impegno aerobico e anaerobico alternato e il monitoraggio della frequenza
cardiaca. È altresì fondamentale evitare il
rischio di ipoglicemia o di iperglicemia (abbassamento o aumento eccessivo dei livelli
di zucchero nel sangue). Nei soggetti non
diabetici l’incremento del consumo di zucchero, conseguente all’attività muscolare,
non presenta problemi poiché l’organismo
è in grado di autoregolarsi. Nei diabetici
insulino-dipendenti (quelli che ricevono
l’insulina, l’ormone che regola i livelli del
glucosio nel sangue, dall’esterno), la modi-
21
attività fisica
Diabetes Specific
Exercises (D.S.E.):
uno studio
e un trattamento
per il diabete
Tra i tanti studi che vengono svolti nel
mondo per valutare l’efficacia dell’esercizio fisico nel trattamento del diabete,
ha riscosso interesse quello pubblicato
dai responsabili delle attività di Ricerca
Scientifica dell’AIRPeC (Associazione Interdisciplinare di Ricerca in Posturologia
e Chinesiologia). La ricerca ha coinvolto
234 pazienti diabetici insulino-dipendenti che, sulla base del programma
di sperimentazione di esercizi specifici
D.S.E., sono stati sottoposti per un anno
ad attività motoria controllata e specifica. Per selezionare gli esercizi e personalizzare il programma è stato utilizzato
un innovativo metodo di valutazione in
grado di calcolare che il rapporto tra
intensità, tempo e carico degli esercizi
svolti fosse sempre costante. In questo modo si è potuto controllare che a
una determinata esecuzione di esercizi
corrispondesse un preciso consumo glicemico. I pazienti sono stati sottoposti
a misurazioni della glicemia ematica
prima e dopo ogni seduta di attività e
a controlli anche nei giorni di sospensione dall’esercizio fisico. I dati emersi
dalla sperimentazione hanno evidenziato che dei 234 pazienti osservati, i 141
trattati con D.S.E. hanno avuto riduzione
della glicemia ematica alla fine di ogni
seduta di trattamento e una riduzione
importante dell'emoglobina glicosata,
senza causare fenomeni d’ipoglicemia
o iperglicemia e senza mai subire ricoveri, contrariamente a quanto accadeva
nei mesi precedenti al trattamento. I 93
pazienti che, nello stesso periodo, avevano praticato attività sportive specifiche o non avevano svolto alcuna attività
motoria, non hanno invece presentato
diminuzioni stabili dei livelli di glicemia
degne di nota.
22
ficazione dei valori glicemici causata dall’esercizio fisico può provocare delle variazioni incontrollate del livello di zuccheri presenti nel sangue.
Per questo i cicli di esecuzione e di svolgimento
delle sedute vanno personalizzati e impostati
su un consumo glicemico ematico controllato
e progressivo e non sulla base di un incremento
delle prestazioni (come nello sport).
Quali valutazioni fare
Prima di iniziare il programma vanno eseguite
delle valutazioni funzionali sul paziente come:
analisi della mobilità articolare;
test di flessibilità muscolare;
test per la soglia aerobica consigliata;
monitoraggio della cardio frequenza;
calcolo del consumo di ossigeno (valutazione del VO2max su normogramma Astrand e
Ryhming);
valutazione dell’equilibrio statico.
Vanno anche eseguiti l’esame dei dati antropometrici (altezza, peso, perimetro addominale, plicometria, ovvero la misurazione del
grasso corporeo) e un’anamnesi completa
(raccolta delle informazioni sulla storia clinica
del paziente).
Gli esercizi da scegliere
Nel trattamento del diabete di tipo 1 e 2, per
pazienti insulino e non insulino dipendenti,
gli esercizi specifici previsti possono essere
40 e sono standardizzati, in modo da produrre effetti sulla riduzione glicemica che
si possano monitorare e confrontare. In generale, il programma può avere una durata
di 60 minuti e vengono selezionati 8 dei 40
esercizi da eseguire con l'ausilio di piccoli e
grandi attrezzi da palestra (piccoli manubri,
bacchetta, spalliera svedese, cyclette, ecc.).
Gli attrezzi da fitness, come le macchine per
il potenziamento muscolare e il tapis roulant,
invece, sono stati considerati inadatti per
questo tipo di attività poiché vi è un grande
impegno muscolo-tendineo e articolare che
influirebbe, negativamente, sull'allenamento
prolungato e sulle complicanze fisiche.
Gli esercizi coinvolgono tutti i distretti corporei
e si eseguono in diverse posizioni del corpo
nello spazio:
posizione eretta (ortostasi);
posizione distesa (clinostasi);
posizione seduta;
posizione quadrupedica.
Le attività sono calibrate nell’intensità attraverso tempi di esecuzione e recupero
funzionale, ritmo di esecuzione e carico
con piccoli attrezzi, mantenendo tra queste
modalità un rapporto costante.
Ottenere buoni risultati
Per ottenere risultati soddisfacenti è importante che il paziente si affidi a un’équipe
qualificata, in grado di seguirlo. Diabetologo, medico di base e biologo analista
devono confrontarsi con il posturologo e
con i professionisti dell'attività motoria che,
insieme, devono valutarne e monitorarne
lo stato di salute.
Fondamentale poi anche la costanza
dell’allenamento, che va svolto due-tre
volte la settimana. Il paziente deve essere motivato e avere fiducia nell’efficacia
dell’attività che sta svolgendo, considerandola al pari di un farmaco. Se l’esercizio
viene svolto sporadicamente o abbandonato, i benefici vengono vanificati. In certi
casi è consigliabile affiancare un supporto
psicologico professionale che, integrato al
protocollo di cura, può aiutare il paziente
a trovare le motivazioni necessarie per seguire con regolarità il programma di attività
fisica stabilito. Una malattia sistemica come
il diabete, tra le emergenze sanitarie identificate dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità per la sua crescente diffusione in
tutto il mondo, merita da parte di medici, esperti in attività motoria, professionisti
della sanità e pazienti, tutta l’attenzione
possibile per evitare complicazioni pericolose e trovare, insieme, la cura migliore.
Testo raccolto da Silvia Colombini
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L
e circa duecentosei ossa che compongono lo scheletro umano sono formate da
una superficie esterna più compatta, a strati
come una cipolla (osso corticale lamellare)
e da una porzione interna spugnosa meno
resistente (osso spongioso). Collegate dalle articolazioni,
che ne permettono il movimento, si suddividono in: ossa
lunghe (per esempio, il femore), brevi (come lo scafoide
della mano) e piatte (le ossa della volta cranica). Composte
da tessuto vivo, elastiche e resistenti, le ossa sono irrorate
da vasi sanguigni e rivestite da connessioni nervose e, nonostante rappresentino solo il 18% del peso corporeo, sono
in grado di sostenere il corpo umano in ogni situazione.
25
speciale
Le ossa: un sistema
forte e flessibile
Il sistema scheletrico, formato da ossa, cartilagini e articolazioni è l’impalcatura del nostro corpo che:
ci sostiene;
protegge gli organi interni;
produce le cellule del sangue con il midollo osseo presente al suo interno;
fornisce una riserva di calcio;
costituisce il cosiddetto apparato locomotore che, con il sistema di leve composto
anche dai muscoli e tendini, ci consente di
camminare, saltare, correre.
Il sistema scheletrico vive strettamente
in connessione con gli altri sistemi che
compongono l’organismo umano: la sua
mobilità articolare è il presupposto che sta
alla base del buon funzionamento di tutto il
corpo. Tenerla sotto controllo, preservandola
da malattie e lesioni, significa mettere delle
ottime basi non solo per conservare le nostre articolazioni, ma anche la nostra salute.
È da considerare, inoltre, il fatto che per ogni
osso esistono più snodi articolari che devono
svolgere, a seconda della posizione, funzione
statica o dinamica. Vero e proprio sistema di
connessione meccanico, sottoposto a sollecitazioni continue, l’apparato articolare necessita, quindi, di particolari attenzioni.
26
La funzione
delle articolazioni
Le articolazioni sono strutture complesse
che mettono in relazione le ossa tra di loro
permettendo allo scheletro di muoversi. Nel
corpo ne abbiamo circa 360 con differenti
gradi di mobilità. Sono formate da diversi
elementi, in particolare le superfici articolari tra un osso e un altro sono composte
da cartilagine, un tessuto liscio e morbido,
che separa le due estremità delle ossa favorendone lo scorrimento di una sull’altra
e sono solidarizzate dai legamenti. Senza
pensarci, per merito di queste caratteristiche, ogni giorno, compiamo delle azioni
all’apparenza semplici, che però riusciamo
a fare solo grazie al buon funzionamento
delle nostre articolazioni. Per questo anche
le piccole patologie che le riguardano, se
trascurate, possono impedirci di compiere
movimenti ordinari come, ad esempio, nel
caso delle articolazioni delle mani, girare la
chiave nella serratura o infilare il filo nella
cruna di un ago.
Le malattie reumatiche
Tra le tante tipologie di malattie reumatiche, quelle degenerative legate alle
articolazioni sono le più diffuse e, se
trascurate, possono provocare disabilità
importanti. Colpiscono maggiormente le
articolazioni mobili che, proprio perché
fungono da ammortizzatore tra le ossa,
sono soggette a maggiore usura. L’origine
è difficile da determinare, anche se spesso
è riconducibile ad una risposta del sistema
immunitario, ad un processo infiammatorio (ad esempio, l’artrite) o degenerativo
(ad esempio, l’artrosi).
Con il passare degli anni, queste patologie
si evolvono tendendo a cronicizzare. Per
questo è molto importante diagnosticarle
per tempo e seguire una terapia adeguata: farmacologica per alleviare il dolore,
riabilitativa per recuperare la funzionalità
perduta e, a volte, chirurgica per correggere eventuali situazioni compromesse.
Rivolgersi a un team di specialisti, quali
l’ortopedico, il reumatologo e il fisiatra, è il
modo migliore di intraprendere la via della
guarigione.
Che cosa è l’artrosi
L’artrosi è una malattia degenerativa del rivestimento elastico e liscio (cartilagine) che
ricopre due ossa contrapposte che costituiscono un’articolazione. È strettamente correlata all’invecchiamento ed è dovuta alla progressiva perdita di acqua che fa rinsecchire e
rende rigida la cartilagine.
Con il passare degli anni, come la pelle si raggrinza perché perde liquidi, così la cartilagine
articolare si disidrata perdendo spessore e si fissura sino a formare delle “ulcere” da cui emerge l’osso. Questa è la normale evoluzione, di
tutte le articolazioni del corpo, che si manifesta
dopo i quarant’anni con dolore, gonfiore e difficoltà di movimento. La cosiddetta artrosi può
colpire le articolazioni in diverse parti del corpo
(prevalentemente le articolazioni portanti della
colonna vertebrale, delle ginocchia e delle anche) e si manifesta in diversi modi.
Artrosi primaria
(primitiva)
Di origine genetica, si presenta ai cambi di
stagione o quando c’è più umidità e si manifesta soprattutto la mattina con dolori migranti. Con il movimento, le articolazioni si
“scaldano” e il fastidio passa. In questi casi è
sufficiente non esporsi al freddo: la “maglia
della salute” è sempre un ottimo rimedio
perché il calore aiuta a stare meglio. Attenzione anche al sovrappeso perché può influire
negativamente sulle articolazioni.
Artrosi secondaria
Rispetto alla precedente, è più grave e più
veloce nel manifestarsi e può essere determinata dalla obesità marcata, dagli esiti di
fratture scomposte (tipiche degli incidenti
stradali), dalle malattie reumatiche (artrite
reumatoide). Condizioni generali (eredo-familiari, ad esempio, come fra le altre, quella
delle mani oppure altri fattori come squilibri
ormonali) possono accelerarla.
L’anca artrosica
(coxartrosi)
L’articolazione dell’anca è costituita da una
cavità ossea ricevente, detta acetabolo e da
una prominenza sferica definita testa del femore, che si adatta perfettamente all’aceta-
speciale
tisone (non nei pazienti diabetici, con ulcera
gastrica in atto o con glaucoma).
In pazienti giovani o in forme artrosiche precoci si possono eseguire interventi chirurgici
in artroscopia o con protesizzazione in chirurgia mini invasiva (ultima novità chirurgica).
La rizoartrosi del pollice
bolo. Tutt’attorno vi sono tessuti molli (membrana sinoviale, capsula articolare, tendini e
muscoli) che nutrono, mantengono in sede
e muovono l’articolazione.
L’anca artrosica si presenta con:
aree di cartilagine assottigliata o assente;
cavità ossee piene di tessuto gelatinoso
(geodi);
speroni ossei sporgenti dai margini dell’articolazione (osteofiti);
deformità della testa femorale (ovalizzazione).
I sintomi precoci sono: dolori nella regione inguinale o glutea, specie nella stagione freddo-umida; impaccio motorio all’inizio
della deambulazione (specie la mattina), in
molti casi irradiato alla faccia anteriore della
coscia e per questo, spesso, confuso con patologie del ginocchio.
In una prima fase, il calore locale (termoforo)
dà beneficio e spesso la situazione rimane
stazionaria per anni. In seguito compaiono limitazioni articolari (dell’intra-rotazione
dell’arto) e dolori più intensi e prolungati.
Con il progredire dell’irrigidimento dell’anca può realizzarsi anche la diminuzione
dei dolori, ma diventano difficili specifici
movimenti.
La diagnosi si fa essenzialmente osservando come il paziente cammina mentre entra
nell’ambulatorio (zoppia di fuga = camminare
accelerando il passo caricando il lato dolente;
zoppia di caduta = l’arto sofferente tende a
scendere durante il passo a causa del suo accorciamento) e ascoltandolo mentre descrive
i suoi disturbi e gli eventuali traumi o malattie
avute nel passato. Radiografie e solo in casi
eccezionali TAC o Risonanza Magnetica Nucleare permettono di confermare la diagnosi.
La terapia iniziale comprende:
farmaci antinfiammatori non steroidei (fans);
calore esogeno (termoforo) ed endogeno
(radar terapia);
tens (corrente antalgica a onde quadre);
terapia manuale (lavoro di allungamento
sui fasci muscolari contratti);
rieducazione progressiva al carico e al
cammino;
controllo del peso corporeo.
Si prosegue con infiltrazioni articolari (eseguite con aghi particolari e sotto il controllo
radiologico), con un farmaco che associa un
gel viscoelastico (che esplica un effetto ammortizzante), all’acido ialuronico (nutriente
per la cartilagine). In fasi più avanzate possono essere efficaci preparati a base di cor-
La rizoartrosi è una delle forme più frequenti
di artrosi che si sviluppa alla base del dito
pollice, vicino alla piega del polso, nell’articolazione trapezio-metacarpica situata tra
un osso corto e piatto (trapezio) e un osso
lungo (primo metacarpo). La sua particolare
forma ne ha determinato la definizione di
articolazione “a sella”. Infatti, la superficie articolare del trapezio ricorda la superficie d’appoggio di una sella da cavallo; mentre la parte corrispondente del metacarpo assomiglia
alle natiche del cavaliere! È proprio in virtù di
questa curiosa conformazione che il pollice è
in grado di muoversi molto più ampiamente
delle altre dita, come chiunque può verificare
osservando la propria mano.
Il pollice è quindi un dito molto importante,
che nell’uomo svolge funzioni particolari, anche perché è dotato del movimento dell’opposizione (particolarità esclusiva della razza
umana) grazie al quale si possono afferrare
oggetti grandi e piccoli con la medesima efficacia, poiché il pollice affronta le altre dita
opponendosi loro e stringendo gli oggetti da
due lati. L’eccessivo utilizzo, però, soprattutto
nei movimenti dove occorre precisione (per
esempio il cucito), può portare ad una usura
che, associata alla naturale disidratazione dei
tessuti, provoca un consumo di cartilagine e,
quindi, l’artrosi.
I sintomi
La rizoartrosi si manifesta inizialmente con
un dolore sordo alla fine dell’attività lavorativa. Con il passare del tempo, si annuncia
anche la mattina diventando sempre più violento, cominciando all’inizio del movimento
per arrivare ad intorpidire l’articolazione fino
ad irrigidirla. A questo punto i dolori si assopiscono, ma si perde la funzione del dito
nei movimenti più fini. Il pollice si accosta al
secondo dito, diminuendo l'efficacia dell'opposizione e, in certi casi avanzati, compare
una deformità definita “pollice a zeta”: una
27
speciale
iperestensione dell’articolazione metacarpofalangea e una flessione fissa dell’interfalangea distale. Tale deformità fa perdere
completamente la funzione residua prensile
del pollice. Questa patologia colpisce più
frequentemente il sesso femminile, in età
adulto-anziana.
La diagnosi
Per effettuare una diagnosi corretta bisogna
però prestare molta attenzione. Infatti, questo tipo di artrosi può venire erroneamente
confusa con altre malattie della mano. Tra
tutte, può assomigliare ad una infiammazione del tendine estensore breve e abduttore
lungo del pollice, definita “Malattia di De
Quervain”, oppure venire identificata con
una sindrome del nervo mediano al carpo.
I sintomi però sono differenti. Quando la patologia è una tendinite, ad esempio, il dolore
è più localizzato nel polso; se si tratta di una
irritazione del nervo, invece, si percepisce
come un dolore “elettrico” principalmente
nelle prime tre dita (pollice, indice, medio)
della mano.
Le manifestazioni sicure
della rizoartrosi sono:
il restringimento dello spazio di scorrimento tra le due ossa;
la presenza di calcificazioni anomale;
la formazione di speroni ossei definiti
osteofiti.
Per riuscire ad emettere una diagnosi certa è
sempre fondamentale effettuare una radiografia.
Le terapie
Nelle fasi iniziali il dolore causato dalla rizoartrosi può essere efficacemente controllato
con terapie mediche e fisiche. Antinfiammatori non steroidei, laser, bacinelle galvaniche,
paraffino terapia e fanghi possono essere
tutti efficaci nell’alleviare il dolore.
Nelle fasi più avanzate, invece, possono
risultare utili infiltrazioni intrarticolari con
cortisonici e anestetici locali. Un tutore, che
immobilizza la base del pollice, può essere
utile, ma limitante per le attività quotidiane.
Purtroppo la malattia può avanzare seguendo un decorso che richiede una solu-
zione chirurgica. È sempre importante che
l’ortopedico-fisiatra segua e aiuti il paziente
in tutte le diverse fasi della malattia. Mentre
un tempo si utilizzavano, in caso di chirurgia,
le protesi trapezio–metacarpiche, le ultime
ricerche sono orientate maggiormente verso
due tipologie di interventi.
Artrodesi: consiste nella fusione delle due
superfici articolari che vengono prima ripulite
dalla cartilagine residua e poi fissate con fili in
acciaio per circa 45 giorni; offre un recupero
della forza del dito a scapito del movimento
ed è più adatto ai lavoratori manuali pesanti
di sesso maschile.
Artroplastica: resezione di una fetta di
osso del trapezio e di una ricostruzione della capsula con una “cravatta” tendinea che
circonda il metacarpo, mantenendolo nella
giusta posizione per circa 25 giorni.
Dopo una breve sospensione dei movimenti
e l’assunzione di antinfiammatori è consentito
riprendere le normali attività. Questo intervento è più adatto al sesso femminile perché si
mantengono i gesti più fini.
Come prevenire
l’artrosi e mantenere
in buona salute
le articolazioni
Come tutti i sistemi meccanici, anche quello legato alle articolazioni si regge su un
equilibrio delicato. Utilizzarlo troppo poco
o abusarne sono due condizioni che favoriscono l’insorgere del processo degenerativo. Nel caso, poi, delle articolazioni
mobili (funzionali al movimento come,
ad esempio, quelle di ginocchio, spalla o
gomito), composte da elementi complessi e sottoposte a continue sollecitazioni e
usura, è ancora più importante prestare
attenzione. Per riuscire a mantenerne la
struttura elastica e la lubrificazione (grazie al liquido sinoviale contenuto nella
capsula articolare che permette alle ossa
di scivolare una sull’altra), conservarne la
mobilità e favorire il metabolismo fisiologico della cartilagine, è fondamentale
praticare attività fisica dolce
dolce. Nuoto,
yoga, esercizi di stretching: sono tante
28
le possibilità per prevenire l’insorgere
dell’artrosi, alleviare il dolore quando si
presenta, migliorare l’equilibrio fisico. Riuscire a mantenere una postura corretta è,
infatti, molto importante perché permette
di distribuire il peso in maniera omogenea
senza stressare eccessivamente certe articolazioni a scapito di altre, evitando così
il rischio di cadute accidentali causate da
alterazioni o asimmetrie.
A tavola, invece, bisognerebbe consumare
moderatamente la carne poiché i grassi
di origine animale possono attivare le infiammazioni articolari. Assumere integratori a base di proteine e nutrienti specifici
(elastina, collagene, glucosamina, acido
ialuronico e altri) è una buona regola da
seguire con il controllo del medico.
Per le donne, che sono i soggetti maggiormente colpiti, è importante effettuare per tempo una valutazione dei fattori
di rischio che permetta loro di cautelarsi
prima dell’insorgere della malattia e di rallentarne il decorso.
Testo raccolto da Silvia Colombini
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il foglio illustrativo. Può indurre fotosensibilizzazione. Attenzione i medicinali vanno assunti con cautela per
un breve periodo di tempo, non superando le dosi consigliate e solo per le indicazioni riportate nel foglio
illustrativo. Autorizzazione su domanda del 07/08/2014.
29
intervista
Antonella Clerici
l’arte della semplicità
di una donna vera
S
aranno i colori, lo sguardo,
l’energia, ma quando entra in
una stanza, la illumina tutta.
Antonella Clerici ha quella
luce rara fatta di bellezza e
di passione, dove la capacità di sorridere al
mondo si unisce a un’acuta sensibilità verso la vita e le persone. Con una laurea in
giurisprudenza, Antonella comincia giovanissima la sua carriera di conduttrice televisiva e ancora oggi, dopo quasi trent’anni
di successi, conserva intatta la spontaneità
e l’entusiasmo degli esordi. Dalle trasmissioni sportive al Festival di Sanremo (quarta
donna che ha avuto l’onore di condurlo da
sola) agli eventi di beneficenza (tra gli altri
anche la Partita Interreligiosa per la pace,
promossa da Papa Francesco), la signora
Clerici si muove con professionalità, grazia
e cuore sul piccolo schermo come nella vita
privata. Grande professionista, amata per il
suo essere semplice e spontanea, Antonella è anche una donna creativa e capace di
sperimentare, tanto che è stata proprio lei a
inaugurare con “La prova del cuoco” la stagione delle trasmissioni televisive dedicate
alla cucina che oggi, dopo quindici anni e
più di tremila puntate, è ormai un piccolo
classico. Attenta all'universo dei ragazzi, con
il programma “Ti lascio una canzone”, giunto ormai alla sua ottava edizione, ha regalato emozioni al pubblico e opportunità ai
giovani partecipanti, lanciandone alcuni nel
firmamento della musica. Generosa e versatile, Antonella è capace di passare dall’abito da sera alla tuta rock, dal grembiule alle
pailettes, restando sempre se stessa. Facile
alla risata come alle lacrime, è un vulcano
d’idee e di emozioni capace di comunicare a
un grande pubblico. Forse è quello il segreto
30
intervista
del suo successo così duraturo: saper arrivare senza filtri e sovrastrutture al cuore delle
persone. Tra gli impegni di lavoro e quelli di
casa (è mamma di una splendida bambina),
sembra aver trovato gli ingredienti giusti per
vivere bene.
Lei ha detto che la ricetta della felicità è la semplicità, ma spesso ci vuole
molto lavoro per raggiungerla. Qual è il
segreto per distinguere l’essenziale dal
superfluo?
Mah, il segreto forse non c’è. Bisogna solo
capire che le cose importanti della vita sono
altre, quelle che tutti conosciamo: l’amore,
l’amicizia, la salute, il fatto di stare bene.
Il nostro lavoro nel mondo dello spettacolo
non è leggero, è comunque un lavoro dove
bisogna impegnarsi molto, essere sempre
sul pezzo, dove non sei mai arrivato e dove
ogni giorno devi lottare per quello che fai. È
chiaro, però, che sono consapevole di fare
il mestiere più bello del mondo e di essere
una privilegiata.
Oggi alle donne è richiesto tanto: lavoro,
famiglia, bellezza. Come non farsi prendere dall’ansia di prestazione?
Non è facile evitare di farsi prendere dall’ansia da prestazione. A noi donne chiedono
di rimanere giovani in eterno, di essere
sempre bellissime, perfette, di non mollare
mai. Dobbiamo essere delle buone madri,
mogli e amanti, ed è tutto molto faticoso.
Secondo me, però, questo dipende un po’
anche da noi. Infatti dovremmo imparare a
non farci fagocitare da quello che vogliono
gli altri e a essere sempre noi a decidere. Io,
ad esempio, ogni tanto non ci sono per nessuno. Non posso essere sempre perfetta e
disponibile, quando sono stanca sono stanca
e quando voglio andare a dormire vado a
dormire. Cerco, insomma, di riprendermi la
mia vita e stare lontana da questi stereotipi
imposti dall’esterno.
D’obbligo parlare di alimentazione.
Quanto è importante per la salute?
L’alimentazione è importante, certo, anche se
non bisogna diventare degli oltranzisti o dei
talebani dell’alimentazione. Bisogna mangiare
un po’ di tutto, non eccedere e nutrirsi il più
possibile sano e bene. Poi, se sano e bene
serve anche alla testa ok, ma se ogni tanto un
peccato di gola serve a tirarci su di morale e
a corroborare anche il cervello ben venga. Per
me è molto meglio un panino con salame della quinoa, te lo dico francamente.
Come si allena per sostenere i ritmi televisivi?
Mi esercito tre volte alla settimana a casa.
Mi alleno fisicamente, cerco di fare un po’ di
movimento, altrimenti peserei 250 kg visto
tutto quello che mangio. In realtà io faccio
movimento per poter mangiare di più, non
è che mi muovo per dimagrire. Oltre ad allenarmi poi, faccio anche una settimana di
beauty farm all’anno, così mi pulisco la coscienza per i peccati di gola commessi. Alla
fine, cerco soprattutto di sorridere molto,
perché questa è la cosa più importante.
In tempi di crisi, siamo tornati a cucinare con gli avanzi come i nostri non-
ni. Forse è vero che la difficoltà aguzza
l’ingegno? In cucina, come nella vita,
serve la fantasia?
Sì, la fantasia è molto importante anche in
cucina. “La Prova del Cuoco” è nata proprio
con l’obiettivo e con l’idea di insegnare alla
gente che per fare ottimi pranzi non bisogna
spendere necessariamente cifre da capogiro.
Questo principio sta alla base del programma da quindici anni, da quando siamo andati in onda con la prima puntata. I nostri chef,
con una spesa di appena dodici euro, riescono a preparare dei menu veramente gustosi,
e soprattutto facili da realizzare.
Scrive libri, fa televisione, ma è attiva
anche in tanti eventi di beneficenza.
Quanto è importante fare qualcosa per
gli altri per stare bene con noi stessi?
Io non sono una di quelle persone che fanno
beneficenza per cose, persone, iniziative che
non conosco, lontane dalla mia vita, persone
che donano e basta, finita lì. Io cerco sempre,
invece, di fare beneficenza dimostrandomi generosa con quelli che mi stanno intorno. Non
amo quelli che trattano male i propri collaboratori di lavoro e poi credono di essere sensibili perché fanno donazioni per gli ospedali
dei bambini in Sud Africa. Penso che la vera
beneficenza si possa dimostrare nei confronti
delle persone con cui viviamo a stretto contatto ogni giorno. Basta mostrarsi disponibili,
dare una mano, aiutare, essere presenti alle
necessità di chi c’è vicino. Poi, chiaramente,
si fa beneficenza anche occupandosi di tutte
quelle iniziative che ti stanno più a cuore.
Gusteau, lo chef del film d’animazione
“Ratatouille”, dice che "Chiunque può
cucinare!", intendendo dire che non
tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi
in chiunque. Al di là degli ingredienti e
delle ricette, cosa ci vuole per cucinare
bene a tavola, e nella vita?
Ci vuole Amore, con la A maiuscola.
Lei comunica energia e positività, un
messaggio importante. Qual è il suo più
grande desiderio?
Il mio più grande desiderio è quello di passare molto tempo con mia figlia, la cosa più
preziosa della mia vita, e i miei amati libri.
Intervista di Silvia Colombini foto di Federico Guberti
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Nuove terapie
per l’epatite C
e il tumore
epatico
Prof. Fabrizio Di Benedetto
Direttore Chirurgia Oncologica,
Epatobiliopancreatica e Trapianti di Fegato
Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico
(Modena)
L'
infezione da virus dell’epatite C (HCV) è la più comune
causa di malattia cronica
epatica. La sua evoluzione è
generalmente lenta, nell’ordine di decenni (10-20 anni). Gli esiti a lungo
termine dell’infezione sono molto variabili
e spaziano da alterazioni istologiche minime del tessuto epatico, fino alla cirrosi epatica e al tumore del fegato (epatocarcinoma
o HCC). Nella maggior parte dei casi la malattia decorre in maniera asintomatica fino
alle fasi più avanzate e circa il 70% delle
persone infette non sa di esserlo.
Cause del virus
Esistono 6 genotipi del virus dell’epatite C
che si presentano con frequenze diverse a
seconda delle zone geografiche. Nel nostro
Paese è prevalente il genotipo 1 (in particolare 1b), che si riscontra in circa il 50%
delle persone infette. Anche i genotipi 2, 3
e 4, più comuni in aree geografiche dove
la prevalenza dell’infezione è elevata (Paesi
asiatici, Est Europa ed Egitto) mostrano una
frequenza in aumento in Italia, a causa dei
flussi migratori.
Le principali alterazioni istologiche dell’infezione cronica da virus C sono rappresentate da un’attività infiammatoria che può
evolvere in una fibrosi epatica progressiva,
indipendentemente dal genotipo e dalla carica virale. La progressione della fibrosi si
verifica nell’arco di decenni e può essere
accelerata da diversi cofattori, quali:
consumo di alcolici;
diabete mellito;
età (quando l’infezione è stata contratta);
coinfezione con virus HIV o con un altro
virus epatotropo (che colpisce le cellule
epatiche).
La fibrosi evolve in cirrosi nel 10-40% dei
pazienti con epatite cronica C e le cause di
mortalità annua da complicanze della cirrosi HCV-associata si aggirano intorno al 4%
(Fonte: European Association for the Study
of the Liver 2011).
Il tumore epatico
L’epatocarcinoma (HCC) rappresenta il 90%
dei tumori maligni primitivi epatici e la cirrosi è tra i più importanti fattori di rischio.
Tra i pazienti cirrotici l’incidenza annuale di
HCC è compresa tra l’1% e il 4%, a seconda
della gravità della malattia e della etnicità.
A cinque anni dalla diagnosi, nei pazienti
cirrotici è stata osservata un’incidenza di
tumore del fegato del 17% nei Paesi occidentali e del 30% in Giappone. La mortalità
associata è invece del 33% nel primo anno,
dopo la diagnosi.
A differenza di quanto si osserva nei pazienti con epatite B, nei quali l’insorgenza
33
medicina
di tumore si può avere anche in assenza di
cirrosi, nei pazienti con epatite C il fattore
di rischio è la presenza di cirrosi.
Questi aspetti esprimono quanto siano importante la diagnosi precoce ed i controlli
clinici, anche a lungo termine, dei pazienti
portatori dell’infezione, soprattutto alla luce
delle più recenti innovazioni nella terapia
antivirale dell’Epatite HCV-relata. Quando la
malattia è evoluta in cirrosi (complicata o
meno dall’insorgere di tumore) il trattamento specifico diventa ancora più importante sia per ridurre il rischio di comparsa
di HCC, sia in previsione di un percorso
trapiantologico.
Cure per il tumore
In caso di epatocarcinoma si può intervenire sia con resezione epatica (asportazione
di parti di fegato), sia con trapianto di fegato. Un trattamento non esclude l’altro. Nel
paziente con cirrosi epatica ed HCC, ovviamente, il trapianto di fegato cura, allo stesso
modo, la cirrosi e il tumore.
La resezione epatica si può eseguire con
tecnica classica (chirurgia tradizionale), ma
anche con tecniche mini invasive come la
chirurgia laparoscopica e la chirurgia robotica, che permettono interventi con minori traumatismi e una più rapida ripresa
funzionale dei pazienti.
Altri trattamenti sono quelli ablativi, chemio-embolizzazione e radiofrequenza, che
sono indicati nei pazienti che non possono
tollerare l’intervento chirurgico a causa della cirrosi epatica.
Le terapie
più consigliate
Negli ultimi tre anni si è assistito a un radicale cambiamento delle prospettive terapeutiche per i malati affetti da epatite C.
Fino a pochi anni fa, la cura più comune
era costituita dall’associazione di principi
attivi contenenti interferone (denominazione che indica vari tipi di proteine prodotte dalle cellule per difendersi dall’attacco virale) in diverse formulazioni che, pur
consentendo la guarigione in una discreta
percentuale di casi, provocava effetti collaterali in una quota non trascurabile di pa-
34
zienti, tanto da comportare la sospensione
prematura del trattamento nel 10-20% dei
soggetti trattati.
Dal 2011 è stato possibile ottenere un miglioramento dei risultati clinici, con l’associazione di inibitori delle proteasi in grado
di fermare il progredire del virus da utilizzare nei pazienti con epatite C di genotipo
1, con l’esclusione dei pazienti con cirrosi
scompensata. L’efficacia, tuttavia, si associava ad effetti collaterali.
Nel gennaio 2014 è iniziata la diffusione
in Europa di antivirali ad azione diretta (DAAs) che, in associazione con altri
principi attivi, sembrano consentire la
guarigione (definita come risposta virale
sostenuta o SVR) in un’alta percentuale di
casi (dal 70% ad oltre il 90%), variabile a
seconda del genotipo, del grado di fibrosi
e della progressione dell’epatopatia.
Il trapianto di fegato
Sono tre le fasi principali del trapianto:
l'epatectomia (cioè la rimozione del fegato malato);
il confezionamento delle anastomosi
(l'unione tra i vasi del fegato del donatore
e quelli del ricevente, mediante suture);
la rivascolarizzazione del “nuovo” fegato
(la ripresa della normale irrorazione sanguigna che permette al fegato donato di
ricominciare a funzionare).
Infine si sutura la via biliare del fegato
“nuovo” e quella del ricevente.
Ciascuna fase presenta delle specifiche
difficoltà, in particolare bisogna fare molta
attenzione al sanguinamento (nella prima
fase) e agli effetti sul cuore e sui polmoni
che possono verificarsi, soprattutto, nella
terza fase.
Le terapie post-trapianto
La reinfezione dell’organo, in un paziente
sottoposto a trapianto di fegato per epatopatia HCV relata e con attiva replicazione
virale, è universale ed avviene entro poche
ore dall’intervento. La recidiva di epatite è,
pertanto, frequente nella quasi totalità dei
pazienti con aspetti anche aggressivi fino
all’evoluzione in cirrosi epatica, conclamata entro tre anni dal trapianto.
La risposta alla terapia antivirale, in questi
pazienti, è il fattore prognostico anche a
lungo termine della sopravvivenza dell’organo trapiantato e del paziente. Tuttavia,
fino ad oggi, i risultati della terapia antivirale standard non dimostravano significativa efficacia ed il loro impiego era limitato
dai gravi effetti collaterali.
L’introduzione, da circa due anni, nella
pratica clinica dei nuovi antivirali ha
completamente rivoluzionato la terapia
della recidiva di epatite HCV post-trapianto,
permettendo una guarigione dall’infezione
ed un miglioramento, anche del quadro
istologico, in una elevatissima percentuale
di pazienti (fino all’85-95% dei casi trattati),
senza significativi eventi avversi.
La più recente possibilità di utilizzo di
schemi terapeutici che prevedano l’associazione di più antivirali di ultima generazione ha permesso di migliorare i protocolli di trattamento, in termini di durata
ed efficacia, anche in pazienti con forme
di epatite colestatica.
Testo raccolto da Chiara Solitario
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É un dispositivo medico CE 0426. Leggere attentamente le avvertenze e le istruzioni d’uso. Autorizzazione del 12/11/2015
medicina
Lotta
contro i tumori:
ricerca, informazione,
prevenzione
Dott.ssa Chiara Segré
I
l 4 febbraio è la Giornata Mondiale
contro il Cancro, nata per coinvolgere
le persone e le istituzioni nella lotta
contro questo insieme di malattie.
Oltre che in quell’occasione, la Fondazione Veronesi sostiene la prevenzione e
la ricerca in ambito oncologico tutto l’anno.
A febbraio Gold for Kids
Prevede attività legate all’oncologia pediatrica e adolescenziale per sensibilizzare i ragazzi su questo tema: con l’inizio
della pubertà diventa più difficile monitorarli ed è quindi necessario renderli consapevoli che ci possono essere rischi da
non sottovalutare. I casi di tumore adolescenziale sono per fortuna molto rari, circa
mille l’anno in Italia, ma il problema è il
ritardo diagnostico causato sia dai medici
di base, che possono non riconoscere la
malattia indirizzando tempestivamente il
ragazzo dallo specialista oncologo sia dagli
Biologa e Dottore di ricerca
in Oncologia Molecolare
Responsabile Supervisione scientifica
Fondazione Umberto Veronesi
(Milano)
stessi ragazzi che tendono a minimizzare i
sintomi e a non rivelare che qualcosa non
va fino all’ultimo. Nel 2015 è stato organizzato un incontro a Milano con quattrocento
alunni degli Istituti Superiori che, dopo la
visione del film "Colpa delle stelle" (storia
di due adolescenti malati di tumore), hanno incontrato i loro coetanei ex pazienti
dell’Istituto dei Tumori di Milano e il Dott.
Andrea Ferrari, medico responsabile del
Progetto Giovani dell’ospedale milanese
e fondatore del progetto SIAMO (Società
Italiana Adolescenti con Malattie Oncoematologiche). Raggiungere le scuole è
fondamentale per svolgere attività di prevenzione, come è importante continuare a
fare raccolta fondi che la Fondazione Veronesi devolverà poi all’AEIOP (Associazione
Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica) per sostenere i protocolli di cura per
l’oncologia pediatrica e per gli adolescenti
negli ospedali di tutta Italia.
A ottobre Pink is Good
È la campagna rosa per aiutare le donne
a combattere il tumore al seno. Nel 2015
ha coinvolto oltre cinquanta aziende: grazie
a loro nel 2016 la Fondazione Veronesi sosterrà ben venti ricercatori. Come testimonial
c’è la squadra delle Pink Runner, donne dai
30 ai 60 anni che, guarite dopo una diagnosi
di tumore al seno, ora corrono in maratone
internazionali come quella di New York e di
Valencia, testimoniando che, dopo la malattia, si può ricominciare a vivere. Lo sport è
fondamentale sia per aiutare a prevenire
l’insorgenza dei tumori, sia per abbassare
37
medicina
il rischio di recidiva in chi lo ha già avuto. A
celebrare il connubio tra movimento e ricerca c’è anche la camminata non competitiva
PittaRosso Pink Parade, il cui ricavato serve a
finanziare la ricerca per arrivare a curare e a
guarire il 100% delle donne colpite da tumore al seno (ora siamo al 90%) con terapie
sempre più specifiche e senza effetti collaterali.
Progetto SAM:
Salute al Maschile
È il progetto finalizzato alla prevenzione per gli
uomini che, spesso, si trascurano mentre è importante renderli consapevoli dei rischi per la
loro salute che un eventuale ritardo di diagnosi
può provocare. Una patologia maschile come il
varicocele, ad esempio, ovvero una dilatazione
delle vene dello scroto che colpisce circa il 15%
dei ragazzi, è in genere asintomatica. Facilmente risolvibile con un piccolo intervento, se trascurato alla lunga può causare infertilità e l’uomo spesso se ne accorge quando, diventato
Predisposizione
genetica e ricerca
Ammalarsi di tumore dipende da fattori
diversi, compreso quello legato all’ereditarietà familiare. Le ultime ricerche hanno
identificato alcuni geni che, ad esempio
nel caso del tumore al seno, possono aumentare il rischio di sviluppare la malattia.
Si può parlare di un probabile fattore
ereditario quando:
ci sono due familiari con diagnosi di
carcinoma al seno al di sotto dei 50 anni
di età o 3 familiari di qualunque età;
c’è presenza di casi in famiglia di tumore
al seno maschile;
si ha una donna in famiglia con tumore
al seno in entrambe le mammelle o sia al
seno che all’ovaio;
si ha presenza in famiglia di una donna
con diagnosi di tumore al seno al di sotto
dei 35 anni di età.
É importante ricordare che ogni caso va
discusso con il proprio medico per decidere se indirizzarsi presso un genetista oncologo. Chi viene valutato a rischio dovrà
seguire un protocollo di sorveglianza più
stringente.
La ricerca è sempre fondamentale e
oggi sono in fase di sviluppo e di sperimentazione preclinica nuovi anticor-
38
adulto, prova senza successo ad avere dei figli.
Poi ci sono i tumori maschili: quello alla
prostata che ha maggiore incidenza dopo
i cinquant’anni e il tumore al testicolo, che
si manifesta invece prima e dal quale, se si
interviene con tempestività, si guarisce nel
95% dei casi. Una grande arma è la prevenzione: fare controlli urologici regolari
da intensificare con il passare del tempo,
soprattutto dopo i 40 anni (ogni 1-2 anni)
e imparare l’autopalpazione del testicolo
che, analogamente a quella del seno per
le donne, permette di identificare eventuali
anomalie. Le attività del progetto SAM che si
svolgono in novembre prevedono materiale
informativo, articoli sui canali di diffusione
della Fondazione Veronesi (www.fondazioneveronesi.it) e collaborazioni costanti con
l’AURO (Associazione Urologi Ospedalieri) e
la SIURO (Società Italiana di Urologia Oncologica) per organizzare con i medici, in tutta
Italia, giornate di visite urologiche gratuite.
pi monoclonali, farmaci intelligenti che
riconoscono le mutazioni specifiche di
proteine presenti nelle cellule tumorali
che possono essere efficaci nello sconfiggere la malattia quando altri farmaci non
lo sono più.
Prevenire ogni giorno
La prevenzione primaria è fondamentale
per tutti i tumori, ad eccezione di quelli
infantili, le cui cause non sono ancora ben
note e per i quali non ha senso incolpare
lo stile di vita, il cui ruolo si consolida nel
corso del tempo. Per gli adulti invece lo
stile di vita influisce fino al 30% nelle
probabilità di contrarre la malattia ed è
importante ricordarsi di:
non fumare e non bere alcolici;
mantenersi attivi ogni giorno con almeno trenta minuti di passeggiata o movimento fisico moderato;
a tavola privilegiare frutta, verdura, legumi, cereali e diminuire i cibi di origine
animale;
mangiare in modo equilibrato tenendo
il peso sotto controllo.
Ricordare poi che qualsiasi attività fisica o
creativa che permetta di alleviare lo stress
porta benefici ed effetti positivi al cuore e
alla salute in generale. Bisogna sempre
seguire le cure adeguate suggerite dal
proprio medico e ricordarsi che imparare a gestire lo stress psicologico migliora
la qualità della vita: oltre alla cura, è un
obiettivo fondamentale della medicina.
Prima e dopo il tumore
Chi ha superato la malattia racconta di
come questa abbia rappresentato uno
spartiacque tra il prima e il dopo.
Secondo molte testimonianze delle Pink
Runner, spesso dopo la diagnosi si diventa una persona migliore perché si
è costretti a trovare forze ed energie
sconosciute.
È ovvio che sarebbe meglio non ammalarsi, ma la malattia diventa un modo per vivere due vite diverse e non sempre quella
che viene dopo è peggiore. Gli psiconcologi sono concordi nell’affermare che non
tutti reagiscono allo stesso modo, c’è chi
desidera condividere la propria esperienza e chi invece ha bisogno di tempo per
elaborare in solitudine la malattia. A tutti
è, comunque, sempre giusto e doveroso
fornire risposte, informazioni, rassicurazioni perché per ogni malato è vitale.
È questa la lezione che ogni ricercatore e
medico impara, con il privilegio di svolgere concretamente, nel suo piccolo, qualcosa di utile.
Testo raccolto da Silvia Colombini
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medicina
Curare
le verruche:
Dott. Mario Puviani
Direttore Dermatologia
e Chirurgia Dermatologica
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Poliambulatorio Dermamedica
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trattamenti e terapie
L
e verruche " muni" o “volgari” sono l’espressione cutanea
dell’ingresso di un virus, della classe dei papilloma virus
(HPV), negli strati più superficiali della pelle. Si manifestano in maniera
diversa in base alla sede colpita.
A livello plantare, nei piedi o nelle mani si
presentano come un’area cutanea circolare,
con una superficie ruvida e irregolare di aumentata consistenza, molto simile ai tilomi
(i calli), ma con piccole aree di colore scuro
all’interno che rappresentano capillari trombizzati. In questa sede, essendo localizzate
soprattutto nelle zone di maggior pressione,
le verruche hanno un marcato spessore e
causano dolore (motivo per cui i pazienti si
rivolgono al medico di medicina generale e
conseguentemente al dermatologo che potrà
differenziare i calli dalle verruche, clinicamente, con la sola osservazione della lesione).
A livello dorsale (oppure sulle dita delle
mani o dei piedi) hanno un aspetto più esofitico (con proliferazione esterna), che si definisce a cavolfiore (il motivo è una risposta
epidermica più florida all’ingresso del virus,
perché queste aree non sono sottoposte a
carico). Le verruche volgari possono manifestarsi anche sul viso, più frequentemente degli uomini, nelle aree della barba in versione
“filiforme”. La diffusione del virus è, quindi,
facilitata dalla rasatura.
In qualsiasi modo queste si presentano sono
comunque ostacoli da sconfiggere ed eliminare, perché rappresentano l’espressione di
un’infezione virale contagiosa.
Il contagio
La modalità di contagio virale può essere ambientale o interumana. È importante sfatare
la leggenda che sia la piscina il serbatoio del
papilloma virus. È ovvio che il virus penetra
meglio nella pelle se presenta minuscole
fessurazioni e in piscina il contatto prolungato con l’acqua provoca un macerazione
della pelle stessa che, camminando a piedi
nudi, facilita la penetrazione del virus. Allo
stesso modo, d’altronde, il virus può infettare
pazienti affetti da iperidrosi, cioè una sudorazione eccessiva a livello dei piedi, cosa che,
sempre per la conseguente macerazione,
facilita il contagio virale.
La trasmissione può essere quindi limitata
evitando il contatto diretto col suolo, soprattutto se le superfici plantari sono macerate
o danneggiate per un qualsiasi motivo, con
l’acqua e prestando attenzione alla sudorazione. Le lesioni possono disseminarsi in seguito a grattamento oppure semplicemente
per contiguità. Quest’ultimo è il caso delle
verruche interdigitali.
La terapia
L’ustione da freddo è senza dubbio il metodo classico più utilizzato dai dermatologi
per curare e poi sconfiggere del tutto una
verruca volgare. La crioterapia con azoto liquido per il trattamento della lesione sfrutta,
infatti, la progressiva formazione di bolle e
la conseguente eliminazione di strati cornei
contenenti il virus, oltre all’effetto citotossico
della temperatura stessa (-150 gradi circa)
sulle cellule infettate dal virus.
Per verruche di piccole dimensioni localizzate nelle mani e nei piedi, ma non sul volto, è possibile utilizzare prodotti domiciliari
acquistabili in farmacia contenenti acidi in
percentuale controllata, in grado di esfoliare
gradualmente lo strato corneo per eliminare
il virus.
Nuovi trattamenti
Esistono altre tipologie di cure per cercare di
rimuovere queste fastidiose protuberanze.
Le asportazioni tramite laser, in particolari sedi quali il volto, possono essere preferibili rispetto ad altri trattamenti perché
meno dolorose e per il minor rischio di
esiti cicatriziali in regioni visibili.
Un’altra possibilità è una soluzione liquida, che può essere applicata esclusivamente dal dermatologo sulla verruca, a
base di acido nitrico, acidi organici, rame
e zinco che causa una precipitazione e denaturazione delle proteine cellulari senza
risultare caustica (senza cioè provocare
ustione). Tale azione sul tessuto infettato
dal virus è chiamata "mummificazione".
Le verruche assumeranno in poco tempo una colorazione grigiastra e cadranno
spontaneamente, senza che il paziente avverta alcun tipo di dolore.
Un ultimo consiglio per i pazienti che di
solito vengono infettati dal virus della verruca, è quello di assumere integratori specifici che solo il dermatologo potrà consigliare in base alle diverse età, con lo scopo
di fortificarne le risposte immunitarie.
Testo raccolto da Chiara Solitario
41
LA
LA“BEAUTY
“BEAUTYFARM”
FARM”A
ACASA
CASATUA
TUA
LA
“BEAUTY
FARM”
A
CASA
TUA
66 volte
6 volte
volte
++ efficace
+
efficace
efficace
rispetto
rispetto
alla
rispetto alla
alla
pulizia
pulizia
pulizia
manuale
manuale
manuale
LA LA LA BEAUTY
BEAUTY
BEAUTY
FARM
FARM
FARM
A CASA
A CASA
A CASA
TUA
TUA
TUA
11 solo
1 solo
solo
prodotto
prodotto
prodotto
per
viso,
per
per
viso,
viso,
corpo
corpo
corpo
ee e
piedi
piedi
piedi
KITESFOLIANTE
ESFOLIANTE
KIT
ESFOLIANTE
VISO
CORPO
VISO
VISO&&
&CORPO
CORPO
9Veloce: solo 1 minuto per il 9Pelle profondamente detersa
9Pelle subito morbida
9Veloce: solo 1 minuto per il 9Pelle profondamente detersa
9Pelle profondamente detersa 9Veloce: solo 1 minuto per il 9Pelle subito morbida
9Pelle subito morbida
viso e 5 per il corpo
da make‐up ed impurità e luminosa
viso e 5 per il corpo
viso e 5 per il corpo
da make‐up ed impurità da make‐up ed impurità e luminosa
e luminosa
9Completamente impermeabile
92
2 Velocità: decisa o delicata
Velocità:
decisa
o
delicata
9Rughe
Rughe e linee sottili
e
linee
sottili
9Completamente impermeabile
92
92
2 Velocità: decisa o delicata
Velocità:
2 Velocità: decisa o delicata
Velocità:
decisa
decisa
o delicata
o delicata 9Completamente impermeabile
9Rughe
9Rughe
Rughe e linee sottili
Rughe e linee sottili
e linee
e linee
sottili
sottili
si usa anche sotto la doccia
per le pelli più sensibili
ridotte
si usa anche sotto la doccia
si usa anche sotto la doccia
per le pelli più sensibili
per le pelli più sensibili
ridotte
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9Pori e punti neri meno visibili
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Tosse:
un sintomo
medicina
Dott. Roberto Castello
Dott.ssa Anna Frigo
Unità Operativa Clinica Medicina Generale
e Sezione di Decisione Clinica
Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata
(Verona)
da non trascurare
L
a tosse è la conseguenza di
un’inspirazione forzata, improvvisa, espulsiva, finalizzata al drenaggio di secrezioni o di corpi
estranei delle vie aeree. Può
essere un atto volontario o riflesso.
Dal punto di vista clinico è importante distinguere la tosse in:
acuta (inferiore a tre settimane di durata);
subacuta (dalle tre alle otto settimane di
durata);
cronica (superiore a otto settimane di durata).
La diagnosi
L’approccio diagnostico è di rilevante importanza e quasi sempre è guidato dalle caratteristiche della tosse e dai risultati della visita
specialistica.
È importante indagare in modo scrupoloso:
sulla modalità di insorgenza del sintomo;
sugli orari in cui si presenta;
sulla stagionalità;
sulle condizioni che scatenano l’attacco
(ad esempio, l’aria aperta o l’esposizione al
fumo della sigaretta);
sui sintomi di accompagnamento.
Inoltre è fondamentale distinguere la tosse
secca dalla tosse produttiva (associata ad
escreato).
La causa
L’impulso che scatena la tosse è mediato da
particolari recettori, i tussicettori, che a loro
volta sono attivati da stimoli di diversa natura: infiammatori, meccanici, termici e chimici. Considerati come recettori di irritazione,
sono presenti nel naso, nella gola, nelle vie
aeree medie e basse, nel polmone, nella
pleura, nell’orecchio, nel pericardio, nella
mucosa toraco-addominale e nello stomaco.
La tosse cronica o persistente, in particolare,
può essere causata da molteplici fattori, talvolta concomitanti, ma non sempre di facile
individuazione. Molto frequenti sono le patologie del rinofaringe, specie se accompagnate da gocciolamento retro nasale di muco,
le pneumopatie croniche ostruttive, l’asma
bronchiale e le sindromi asmatiche. A seguire, tra le principali cause, anche il reflusso
gastroesofageo e l’uso di alcuni farmaci che
potrebbero, talvolta, facilitare la comparsa
della tosse.
43
medicina
I diverse tipi di tosse
La tosse cronica produttiva è comunemente associata alle pneumopatie croniche
ostruttive (in particolare asma e broncopneumopatia cronica). Se accompagnata da
produzione di escreato abbondante (tipica
dei fumatori), indirizza di più verso la diagnosi di BPCO (Bronco-Pneumopatia Cronica Ostruttiva).
La tosse cronica secca con respiro sibilante
(specie in quei pazienti con storie di allergie
non forti), dovrebbe far insorgere il sospetto
di un’asma allergica.
Invece, nel caso in cui il paziente lamentasse
una tosse secca e stizzosa, che compare più
frequentemente dopo pranzo (in posizione
sdraiata), si potrebbe ipotizzare che lo stimolo irritativo possa essere dovuto da un reflusso gastro-esofageo.
La tosse continua e produttiva indirizza di
più verso una causa infettiva come una bronchite acuta/cronica o una polmonite. Anche i
disturbi della deglutizione con aspirazione di
materiale nelle vie aeree o carcinomi (tumori
maligni) delle vie aeree potrebbero manifestarsi con tale sintomatologia.
La tosse continua stizzosa (tipo tic) è indicativa di stato d’ansia, ma potrebbe nascondere anche una tubercolosi polmonare.
Sintomi e terapie
Se soprattutto notturna, secca e stizzosa, che
compare in corrispondenza dell’assunzione
di nuovi farmaci, questo tipo di tosse impone
una rivalutazione della terapia.
I farmaci, più comunemente implicati, sono
quelli appartenenti alla classe degli ACE inibitori. Anche lo scompenso cardiaco cronico
può manifestarsi con tosse insistente e secca,
con ortopnea (difficoltà respiratoria in posizione supina) e in questo caso è giusto far
prevalere i segni e i sintomi legati all’insufficienza cardiaca.
Esistono, poi, una serie di patologie rare che
inducono a una progressiva trasformazione
del tessuto polmonare con fibrosi. In questi
casi il paziente si presenta affaticato, lamenta
sensazione di “fame d’aria”, tosse secca con
il riscontro all’auscultazione del torace dei
caratteristici rumori “a velcro”. Spesso il pa-
44
ziente riferisce anche l’esposizione a fattori di
rischio per lo sviluppo di tali patologie, come
numerose sedute di radioterapia o il contatto
con materiali tossici per attività lavorativa o
diletto.
La tosse cronica in generale può manifestarsi, quindi, sotto varie forme, ognuna delle
quali potrebbe essere correlata o indicativa
di più patologie.
La tosse
e altre patologie
Esistono tipi di tosse che rivelano particolari
patologie. Vediamo le principali.
Abbaiante: tracheiti dei bambini o un’infezione in corso da virus del morbillo;
bovina: paralisi delle corde vocali;
convulsa: infezione da Haemophilus della
pertosse;
metallica: compressione della trachea;
trigeminale: irritazione del quinto nervo
cranico.
L’associazione con escreato striato di sangue
può essere indicativa di neoplasie, ascessi,
bronchiti, tubercolosi, embolia polmonare,
aneurisma e infine malattie emorragiche. Se
si associa, invece, a vomica (emissione dalla
bocca di materia purulenta) si dovrebbe sospettare la presenza di un ascesso polmonare o di una fistola tracheo-esofagea.
Le analisi
La sequenza con cui vengono condotte le
indagini diagnostiche è dettata, comunque,
dall’analisi differenziale ipotizzata dallo specialista sulla base della storia del paziente e
dell’esito della visita medica. È importante
sottolineare che il sintomo cronico consente
una valutazione graduale.
Gli esami dirimenti sono la valutazione spirometrica e la radiografia del torace. La
prima consente di misurare il flusso di aria
nel corso della respirazione e di inquadrare,
in poco tempo, se il problema principale sia
l’ostruzione al flusso (tipica, ad esempio, della BPCO) o un alterato scambio di ossigeno
e anidride carbonica (ad esempio, in caso di
fibrosi polmonare). Ulteriori esami come Tac
del torace, broncoscopia, ecocardiogramma,
gastroscopia, vengono prescritti sulla base
delle evidenze cliniche.
La cura
La terapia della tosse cronica è, ovviamente,
determinata dalla diagnosi. Le pneumopatie
croniche ostruttive e lo scompenso cardiaco
necessitano di terapia specifica.
La tosse da reflusso gastro-esofageo migliora
con l’avvio della dieta opportuna e con farmaci
che riducono l’acidità gastrica. La tosse da farmaci scompare, invece, con la sospensione del
farmaco ritenuto responsabile della patologia.
È fondamentale eliminare tutti i fattori di rischio, come alcuni principi attivi (ACE inibitori o betabloccanti, presenti anche in alcuni
tipi di colliri), il fumo di sigaretta, gli allergeni,
i fumi in generale e le polveri. Naturalmente
vanno curate anche le patologie concomitanti come il reflusso gastro-esofageo o lo
scompenso cardiaco.
La terapia, a volte, può trattare solo il sintomo, qualora la causa non fosse identificata
con rapidità. I principi attivi da utilizzare in
questi casi non hanno azione narcotica e
non procurano secchezza delle mucose
(come il destrometorfano). Alcuni possono
essere somministrati anche ai bambini (oxolamina), altri invece, anche se molto efficaci,
potrebbero provocare un effetto sedativo.
Va ricordato, infine, che la tosse cronica non
curata può dare corso a complicanze, come
perdita di coscienza, ipertensione, strappi
muscolari, fuoriuscita di ernie inguinali, dolore muscolare, emorragie congiuntivali e
persino aritmie e convulsioni.
Testo raccolto da Chiara Solitario
Un nuovo
modo
di curare
la tosse
Calma la tosse
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C
B
oculistica
Secchezza oculare:
“occhio” a non sottovalutarla
M
olti pazienti si rivolgono
all’oculista lamentando
disturbi oculari di vario
genere: bruciore, prurito,
sensazione di avere un
corpo estraneo nell’occhio, lacrimazione, occhio rosso.
Il compito dello specialista è saper distinguere un fastidio momentaneo legato a condizioni transitorie e di scarsa importanza clinica,
da una vera sindrome da occhio secco.
Quest’ultima è una malattia multifattoriale,
non solo delle lacrime, ma di tutta la superficie oculare che produce sintomi di fastidio,
disturbi della visione e instabilità lacrimale
associati ad un certo grado di infiammazione,
soprattutto della congiuntiva oculare e palpebrale.
Le cause
L’occhio secco può essere causato da una ridotta produzione di lacrime (come avviene nella
sindrome di Sjögren) o, più frequentemente,
da un’elevata evaporazione lacrimale.
In questa seconda possibilità giocano un ruolo importante le palpebre contenenti delle
piccole ghiandole (ghiandole di Meibomio)
in grado di produrre una sostanza oleosa che
viene liberata ad ogni movimento di apertura
e chiusura delle palpebre stesse. Tale sostanza gioca un ruolo fondamentale nel garantire
la stabilità della protezione e lubrificazione
della superficie oculare. Ogni alterazione delle ghiandole provoca, come conseguenza, un
cattivo funzionamento delle proprietà che le
lacrime devono avere.
Altri fattori
Spesso si associano altri fattori, ad esempio:
l’uso di lenti a contatto;
vivere
PANTONE Red
032in un ambiente secco e polveroso;
utilizzare colliri che contengono conservanti.
Anche alcuni farmaci sistemici, malattie immunitarie, menopausa, possono causare o
CMYK
BLACK AND WHITE
concorrere al peggioramento dei sintomi di
occhio secco.
Esistono alcuni elementi che contribuiscono pesantemente a velocizzare l’iper-evaporazione delle lacrime. Sono tutte quelle
attività che riducono la frequenza o la completezza dei movimenti di apertura e chiusura delle palpebre: la lettura, le difficoltà visive,
l’uso del computer, le condizioni ambientali
irritanti, l’affaticamento. Altre cause in gioco
sono le congiuntiviti allergiche, l’uso di lenti a contatto, un’alimentazione inadeguata,
malattie come il morbo di Parkinson, l’ipertiroidismo e le malattie autoimmuni, l’utilizzo
di farmaci ansiolitici, betabloccanti e altri.
Diventa, quindi, importante che il medico
presti attenzione al paziente nella sua globalità ed effettui, nel corso della visita, i test
necessari per rilevare il tempo di rottura del
film lacrimale, il corretto allineamento delle
ghiandole di Meibomio e la loro secrezione,
la presenza di aree di secchezza congiuntivale e corneale ed eventuali alterazioni della
posizione palpebrale.
Come migliorare la
qualità delle lacrime
Dott. Adriana Bonora
Unità Operativa Complessa di Oculistica
Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata
(Verona)
comunque, ottimi prodotti che concorrono a
migliorare il comfort oculare. Anche per quanto riguarda il numero di somministrazioni,
non c'è una regola che vada bene per tutti.
Le lacrime artificiali andrebbero utilizzate più
volte al giorno e, possibilmente, si dovrebbero
individuare quelle situazioni che, senza dubbio, potranno essere successivamente causa
di secchezza, in modo da instillarle prima della
comparsa dei sintomi (ad esempio, prima di
iniziare il lavoro al computer o prima di uscire
di casa, in una giornata ventosa).
Conclusioni
L’occhio secco è una malattia multifattoriale
della superficie oculare che va correttamente diagnosticata e trattata dallo specialista.
Compito del paziente è quello di conoscere
le specificità della propria sintomatologia per
essere in grado di gestirla nelle sue variabili
manifestazioni, occupandosi costantemente
dell’igiene palpebrale e imparando ad utilizzare i sostituti lacrimali, nei diversi momenti
della giornata, per migliorare non solo la salute dell’occhio, ma anche la propria qualità
di vita.
Capita molto spesso di riscontrare una blefarite, ovvero una infiammazione del bordo palpebrale. Le blefariti possono essere
di vario tipo, più o meno grave, ma vanno
sempre curate con una costante igiene pal- Testo raccolto da Chiara Solitario
pebrale (sono disponibili saponi specifici per
questo scopo) e con impacchi caldo-umidi
che contribuiscono a liberare gli orifizi ostruiti
delle ghiandole di Meibomio. Esistono in
commercio moltissime "lacrime artificiali".
Non sono tutte uguali e si dovrà prescrivere
al paziente il prodotto più adeguato alla
sua specifica situazione. Come regola generale andranno evitati i sostituti lacrimali che
contengono conservanti tossici come il benzalconio cloruro.
Il lubrificante ideale non esiste, ma ci sono,
47
news
4 febbraio:
Giornata Mondiale
contro il Cancro
Evento che coinvolge milioni di persone in
tutto il pianeta, la Giornata Mondiale contro il Cancro è l’occasione che ognuno di
noi ha di lottare, informarsi e prendere
posizione per combattere una delle malattie
più devastanti per l’umanità.
Giornata sostenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 4 febbraio nei prossimi
tre anni viene dedicato al tema “We can.
I can.” (Noi possiamo. Io posso), a indicare l’opportunità che abbiamo, insieme o da
soli, di prendere parte alla battaglia contro il
cancro. Chiunque può fare la differenza: malati sopravvissuti, parenti, medici, personale
ospedaliero e organizzazioni.
In Italia, la LILT (Lega Italiana per la Lotta
contro i Tumori) partecipa attivamente nelle sue varie sedi sparse su tutto il territorio.
13 febbraio:
Giornata di Raccolta
del Farmaco
Istituita nel 2000 dalla Fondazione Banco Farmaceutico Onlus, la GRF (Giornata di Raccolta
del Farmaco) permette a ognuno di noi di
aiutare chi necessita di cure. Negli anni la partecipazione della collettività è molto cresciuta.
Oggi le farmacie coinvolte sono più di 3.670
con oltre 14.000 volontari. Questa grande adesione ha permesso di raccogliere nell’ultima
edizione oltre 360.000 farmaci e di sostenere
così più 700.000 persone. In quindici anni di
La LILT, che da oltre novant’anni promuove
nelle sue cento sezioni attività di prevenzione, anche quest’anno aderisce alla Giornata
con iniziative diverse per ogni Regione proprio per dare a tutti gli italiani l’opportunità
di darsi da fare con progetti capaci di aiutare chi soffre.
Purtroppo di cancro muoiono ancora quasi otto milioni di persone all’anno. Questo
dato è destinato ad aumentare per arrivare
nel 2030, secondo l’UICC (Unione Internazionale Contro il Cancro), a raggiungere i 17
milioni di morti. Per questo è importante lavorare insieme per promuovere, come recita
il messaggio della Giornata, nuovi progetti
che facilitino l’accesso alle cure, incrementino le attività di prevenzione, supportino chi
è ammalato.
Seguire sane e buone regole nella nostra vita
è la maniera migliore per combattere quotidianamente la malattia, partecipare al 4 febbraio è il modo per agire insieme agli altri.
attività, inoltre, i farmaci raccolti sono stati
circa 3.400.000, una cifra importante raggiunta grazie ai volontari, alle farmacie e al
sostegno delle Istituzioni. Per la XVI edizione
del 13 febbraio 2016 Banco Farmaceutico,
presente in 97 provincie italiane e in più di
1.200 comuni, su tutto il territorio nazionale,
ha in programma di migliorare ancora i risultati raggiunti finora. Partecipare è facile: basta
andare in una delle farmacie che aderiscono
all’iniziativa, acquistare un farmaco da banco
e consegnarlo ai volontari presenti.
I farmaci verranno poi inviati agli Enti assistenziali coinvolti che li doneranno alle per-
Per maggiori informazioni:
LILT - Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori
www.legatumori.it sezione “la LILT in Italia”
dove trovare i riferimenti per ogni regione
www.worldcancerday.org
sone in difficoltà. Aiutare con un sostegno
sanitario chi si trova in una situazione di
bisogno è un atto di grande valore, che viene effettuato seguendo standard di qualità,
sicurezza e trasparenza.
Ogni passaggio, dalla donazione alla consegna dei farmaci, viene documentato per garantire a tutti i partecipanti il raggiungimento
della destinazione finale, vale a dire le persone bisognose che abitano in aree limitrofe alle
diverse zone di raccolta.
Purtroppo il fenomeno della povertà sanitaria
è in forte aumento. È importante, quindi, che
tutti contribuiscano donando un farmaco, sabato 13 febbraio.
Per maggiori informazioni:
Fondazione Banco Farmaceutico Onlus
via Lorenzini, 10 - 20139 Milano
tel. +39 02 70104315
[email protected]
www.bancofarmaceutico.org
48
testimonianze
Trapianto di fegato
da donatore a cuore fermo
grande risultato per un’équipe italiana
I
l risultato che abbiamo raggiunto effettuando, il 3 settembre 2015, il primo
trapianto di fegato in Italia prelevato
da un donatore a cuore fermo, rappresenta un traguardo molto importante. A
poco più di trent’anni dal primo trapianto di
fegato in Italia, un nuovo capitolo si aggiunge a completare la storia della medicina nel
nostro Paese. Un protocollo similare è in atto
presso il Policlinico San Matteo di Pavia (che
ha collaborato in questa occasione con noi
dell’Ospedale Niguarda) per il prelievo dei
reni da donatori a cuore non battente, organi
che a differenza del fegato meglio sopportano periodi prolungati di ischemia. La tecnica
prevede l’utilizzo dell’ECMO (Extra Corporeal
Membrane Oxygenation) metodologia che
permette con la circolazione extracorporea di
continuare ad ossigenare a livello distrettuale
gli organi, nel nostro caso del comparto addominale. In questo modo riduciamo significativamente il loro deterioramento e noi medici
possiamo intervenire avendo a disposizione
più tempo. La procedura, attivata dopo i venti
minuti dall’arresto cardiaco previsti dalla legge
italiana per la dichiarazione di morte, ci ha consentito, infatti, di avere quattro ore a disposizione per espletare tutte le valutazioni necessarie
(esami ematici funzionali ed esami bioptici) a
stabilire la perfetta funzionalità del fegato. L’organo non aveva ricevuto danni, era in perfetta
forma e pronto per venire trapiantato. In questo modo, utilizzando per un nuovo fine una
metodica quale l’ECMO messa a punto anni fa
dal gruppo del professor Gattinoni per altri scopi terapeutici, grazie all’esperienza maturata da
tutta l’équipe che ha partecipato all’intervento,
alla collaborazione e alla tempestività, siamo
riusciti ad arrivare a un risultato che apre nuovi
scenari nel futuro dei trapianti di fegato.
Al primo intervento, che ha avuto tanto risalto
sulla stampa ed è stato un caso d’importanza
50
Prof. Luciano G. De Carlis
Direttore Chirurgia Generale e dei Trapianti
Niguarda Transplant Center (Milano)
scientifica internazionale, ne sono seguiti in
questi giorni altri tre ai quali non è stata data
analoga rilevanza mediatica. Voi siete i primi
a cui lo dico. È una notizia significativa perché
noi vogliamo che questa procedura non sia
solo un evento occasionale, ma diventi una
metodologia da portare avanti in modo continuativo.
È fondamentale attivarsi non solo quando c’è
la morte cerebrale, che rappresenta la condizione in cui gli organi continuano a ricevere
dal cuore l’ossigenazione necessaria a mantenerli vitali, perché il numero di pazienti che
abbiamo in attesa di un trapianto di fegato è
sempre superiore al numero di donatori disponibili. Potendo utilizzare anche i donatori a cuore non battente (DCD), possiamo
aiutare più persone in attesa di un organo.
Per fortuna nel Nord Italia il numero di donatori è oggi a livelli delle migliori aree d’Europa
superando il numero di donatori per milione
di abitanti dell’Inghilterra, della Francia e della
Germania, che rappresentano delle vere eccellenze, ma nonostante questo è vitale poter
comunque incrementare anche con i DCD
le possibilità di trapianto. Poi ogni Paese ha
la sua legislazione. In Italia il tempo necessario per la determinazione legale della morte
prevede la registrazione elettrocardiografica
dell’arresto cardiaco per un periodo di venti
minuti, mentre in altre parti d’Europa è di cin-
Ospedale Niguarda - Milano
que minuti e in alcuni Stati d’America ne bastano addirittura due. Noi abbiamo una legge
più garantista e io sono d’accordo, penso che
affrettare troppo i tempi o cambiare la legge
sia controproducente e potrebbe portare ad
elementi di sfiducia nel complicato processo
di prelievo e di trapianto. Un altro vantaggio
della metodica da noi attuata è, quindi, che
possiamo permetterci di rispettare i tempi
previsti riuscendo a mantenere gli organi in
condizioni perfette per venire trapiantati.
Certo, ci vuole esperienza e capacità decisionale che in una struttura come la nostra non
mancano. Il Niguarda è uno dei centri italiani
più importanti nel settore. Abbiamo eseguito
circa 1700 trapianti di fegato, oltre 2500 di reni
e 150 di pancreas oltre a più di 1000 trapianti
di cuore e 100 di polmone. I malati arrivano
da noi in cerca di una cura che spesso non è
la risposta sufficiente per debellare la malattia.
Bisogna così decidere per un trapianto e tutto
il nostro personale è abituato alla necessità di
dover decidere, e successivamente intervenire, in tempi brevi.
Il nostro è un lavoro appassionante e di
grande soddisfazione. Io eseguo trapianti dal
1983 e ritengo che sia una parte dello studio
della medicina che riserva ancora possibilità
di ricerca scientifica e di sviluppo consistenti,
come dimostra peraltro anche il nostro ultimo
risultato. Oltre ai trapianti, ci sono ancora da
esplorare le possibilità offerte dall’utilizzo degli
organi artificiali e delle cellule staminali, tutti
ambiti di ricerca che offrono grandi possibilità anche per i giovani studiosi, che accorrono
numerosi da noi per specializzarsi. Vedo ogni
giorno con piacere che i ragazzi affrontano
con entusiasmo le nuove sfide qui al Niguarda, dove si trovano a contatto con una realtà
multidisciplinare di grande valore clinico e
scientifico.
Testo raccolto da Silvia Colombini
Vibovit aqua e Vibovit ABC
sono caramelle gommose multivitaminiche all’invitante gusto di frutta, appositamente studiate
per integrare la dieta giornaliera e il fabbisogno specifico dei bambini grazie alle vitamine
e ai minerali che contengono.
Zinco
Vitamina B12
Acido folico
Selenio
Biotina
SENZA CONSERVANTI
SENZA LATTOSIO
SENZA GLUTINE
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