Anno XXV - N. 2 - Dicembre 2014 - sped. A. P. - 70% - DCB Modena e 5,16 La Colposcopia in Italia SICPCV CLaolposcopia in Italia SICPCV Colposcopia in Italia La Organo Ufficiale della Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico Vaginale ANNO XXV - N. 2 Dicembre 2014 Comitato di Redazione Direttore Responsabile Fausto Boselli Comitato Scientifico Carinelli Silvestro (Milano) Chiossi Giuseppe (Modena) Fidelbo Melchiorre (Catania) Gallia Laura (Asti) Giunta Antonio (Partinico, PA) Tortolani Francesca (Modena) Visci Paolo (Pescara) Coordinamento Editoriale Perino Antonio (Palermo) Peroni Mario (Ascoli Piceno) Piccoli Roberto (Napoli) Redazione 41043 Casinalbo (Mo) Via Brescia, 5 Tel. 059 551685 Fax 059 5160097 Autorizzazione del Tribunale di Ascoli Piceno Iscr. al Reg. Stampa n. 196 del 14-03-1983 Sommario La European Federation of Colposcopy ed il Controllo di Qualità in Colposcopia Carmine Carriero, Fausto Boselli HPV test nello screening primario del cervicocarcinoma: i punti deboli Carlo A. Liverani, Antonella Villa, Veronica Boero, Ermelinda Monti, Benedetta Agnoli, Elisa Sipio, Fabiana Fanetti, Giada Libutti, Anna Pisani-Mainini, Giorgio Bolis. 9 Adenocarcinoma invasivo del canale cervicale in gravidanza: caso clinico A. Pagan, D. Tsiroglou, S. Berardi, L. Laurino, F. Ferrarese, C. Paolello, E. Miotto, G. Dal Pozzo 14 Il controllo nel tempo delle pazienti trattate per CIN 2-3: l’esperienza del Centro di Ginecologia Oncologica Preventiva dell’ULSS 20 di Verona P. Cattani, R. Colombari, B. Bertolin, D. Dalfior, M. Iannone, M. Mantello, V. Morini 17 Trattamento cervicale e patologia ostetrica A. Ciavattini, F. Mancioli, S. Lorenzi, J. Di Giuseppe, L. Moriconi 21 Rubriche Accreditamento professionale in colposcopia e fisiopatologia del tratto genitale inferiore a cura della SICPCV 31 Notiziario della società 32 Stampa/Pubblicità Tipolitografia F.G. snc Strada Provinciale 14, 230 Savignano sul Panaro (Mo) Tel. 059 796150 Fax 059 796202 Proprietario Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico Vaginale Via dei Soldati, 25 00186 Roma Finito di stampare nel mese di Dicembre 2014 3 SICPCV 1 2 CLaolposcopia in Italia SICPCV SICPCV Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico Vaginale affiliata alla International Federation for Cervical Pathology and Colposcopy (IFCPC) Consiglio Direttivo Presidente Aldo Vecchione () Vice Presidenti Antonio Frega Giancarlo Mojana Roberto Zarcone Segretario Generale Tesoriere Fausto Boselli Segretario Aggiunto Stefano De Martis Consiglieri Maggiorino Barbero Paolo Cattani Andrea Ciavattini Carlo Penna Paolo Scirpa Francesco Sopracordevole Revisori dei Conti Emanuela Sampugnaro Alberto Biamonti Fabrizio Fabiano Revisori dei Conti supplenti Maria Antonietta Bova Marco Palomba Comitato Scientifico Componenti Andrea Amadori, Alberto Agarossi, Carmine Carriero, Paolo Cristoforoni, Rosa P. De Vincenzo, Gian Piero Fantin, Maria G. Fallani, Bruno Ghiringhello, Carlo A. Liverani, Ankica Lukic, Giovanni Miniello, Daria Minucci, Antonio Perino, Giancarlo Petricone, Sergio Votano CLaolposcopia in Italia SICPCV La European Federation of Colposcopy ed il Controllo di Qualità in Colposcopia Carmine Carriero*, Fausto Boselli** * Professore aggregato, Università degli Studi di Bari, U.O. Ostetrico Ginecologica II, Ospedale Policlinico di Bari ** Responsabile Modulo di Ginecologia Oncologica Preventiva – Clinica Ostetrica e Ginecologica – Azienda Ospedaliero Universitaria - Policlinico di Modena La Colposcopia in Italia Anno XXV – N. 2 – Dicembre 2014 - pagg. 3 - 8 Storia della Federazione Europea di Colposcopia La Federazione Europea di Colposcopia (European Federation of Colposcopy) è la federazione delle Società Nazionali di Colposcopia di tutta l’Europa, fu concepita da Joe Jordan e Renzo Barrasso a Cracovia nel 1995. Successivamente, nel 1996, durante il Congresso della IFCPC a Sidney, numerosi rappresentanti delle Società colposcopiche Europee approvarono l’idea, cosicché nel 1998 si tenne il primo Meeting Europeo a Dublino. Nel Congresso IFCPC 1999 di Buenos Aires fu ufficialmente fondata la Federazione Europea di Colposcopia (presidente fondatore Joe Jordan, segretario Renzo Barrasso). I Paesi che originariamente parteciparono al primo meeting EFC furono: Regno Unito, Irlanda, Francia, Spagna, Portogallo, Italia, Austria, Germania, Olanda, Polonia, Grecia, Yugoslavia, Repubblica Ceca e Israele. Il primo congresso ufficiale della Federazione (definito come secondo meeting della EFC, considerando il primo quello di Dublino del 1998) fu nell’isola di Rodi nel 2001, con 630 delegati rappresentanti di 24 Paesi. I successivi Congressi EFC, a cadenza triennale, si tennero a Parigi (2004), Belgrado (2007), Berlino (2010) e Praga (2013). Il settimo meeting dell’EFC si svolgerà ad Istanbul nel 2016 e, successivamente, grazie alla votazione durante l’assemblea generale della EFC a Praga nel 2013, l’ottavo Meeting della European Federation of Colposcopy si terrà in Italia, a Roma, nel 2019. Gli obiettivi originari della EFC, come da statuto, si possono così riassumere: - To promote the best possible standards of colposcopy in Europe. - By 2004 to agree minimum standards of training for colposcopy in Europe. - In 2004 to work towards the introduction of minimum standards of training throughout Europe. - Eventually to introduce a programme to audit the results and treatment of CIN. - To support IFCPC in its aims to promote colposcopy worldwide. - To organise a European meeting every 3 years. Nel perseguire questi obiettivi si è ritenuto essenziale sviluppare dei rapporti scientifici con le seguenti organizzazioni: - IFCPC (International Federation of Cervical Pathology and Colposcopy) - ECCSN (European Cervical Cancer Screening Network) - WHO International Network on control of gynaecological cancer - WHO Collaborating Centre for research in human reproduction. Il raggiungimento degli obiettivi dell’EFC dovrebbe garantire alle donne Europee che: - tutti gli operatori che pratichino la colposcopia ricevano un addestramento e raggiungano un livello di competenza concordato. - Il trattamento della CIN sia effettuato solo da operatori considerati come colposcopisti esperti. - Siano istituite procedure di audit e controllo di qualità che garantiscano il raggiungimento in tutta l’Europa dei migliori standard di qualità possibili in colposcopia e nel trattamento della CIN. Il controllo di qualità in colposcopia Durante il Congresso di Berlino del 2010 la Federazione Europea di Colposcopia, con il suo Presidente Ulrich Petry (Wolfsburg, Germania), ha pianificato le attività future della EFC in rapporto ai seguenti obiettivi (1): - to develop common European standards of how to train and practice high quality colposcopy; - to redefine the role of colposcopy as the key method for a professional management of atypical screening results for the next decades, considering the imple- 3 4 SICPCV mentation of HPV vaccination and the shift to primary HPV screening for cervical cancer prevention. Per il raggiungimento di questi obiettivi sono stati pianificati dei Meeting Satelliti, destinati ad un rappresentate di ognuna delle Società Nazionali di Colposcopia membri della Federazione, il quale ha potuto esprimere le sue idee ed il suo consenso sulle varie iniziative. I meeting svolti finora sono stati tre, tutti a Berlino, a partire dall’aprile 2011 fino all’inizio del 2014. Un futuro quarto meeting è in previsione per il 2015. CLaolposcopia in Italia Tabella 2. - Minimum standards for training in colposcopy Il primo meeting satellite dell’EFC sul controllo di qualità in colposcopia (Berlino, aprile 2011) Nel primo meeting satellite dell’EFC erano rappresentati 25 dei 31 membri (Società di Colposcopia Nazionali). In primo luogo sono stati rivalutati tutti i risultati del lavoro della Federazione fino a quel momento: ad esempio, gli standard di qualità della colposcopia e del trattamento della CIN, gli standard sul training in colposcopia e i requisiti per il mantenimento della competenza colposcopica (caseload annuale) (2-3). La tabella 1 riporta gli standard di colposcopia approvati dai delegati presenti. La tabella 2 fa riferimento ai carichi di lavoro (caseload), sia per i trainees (allievi) che per i trainers in colposcopia. Inoltre, sono state discusse le implicazioni sul futuro della colposcopia in ragione dello screening con HPV primario e dell’introduzione della vaccinazione. È stato anche istituito il Training and Education Committee con il Figura 1. - Schema del metodo Delphi (from: Chuls K, 1998-2002) Figura 2. - Partecipanti alle due Delphi Survey dell’EFC. 30/30 member, 5/5 associate member and 2/4 (Montenegro, Norway) potential member countries participated in the Delphi consultation: Tabella 1. - The Berlin 2011 Consensus Quality Indicators coordinamento di Simon Leeson (UK) e la partecipazione di Tamar Alibegashvili (GEO), Carmine Carriero (ITA), Damian Dexeus (SPA), Jean-Luc Mergui (FRA) and Pekka Nieminen (FIN). Durante il meeting è stato posto come obiettivo principale la revisione del Core Curriculum per il colposcopista e degli Standard di qualità in colposcopia, con l’utilizzo del metodo Delphi, al fine di coinvolgere esperti da tutti i Paesi europei. Il Metodo Delphi (4) per il raggiungimento di un Expert Panel Consensus è una survey che è sviluppata su due o CLaolposcopia in Italia SICPCV Tabella 3. - Core curriculum (51 competencies) of 2002 Tabella 4. - EFC Quality Standards in Colposcopy proficiency (2013) Identified targets più round: a partire dal secondo turno esiste un feedback sui risultati dei turni precedenti, cosicché gli stessi partecipanti valutano nuovamente gli stessi argomenti, influenzati dalle opinioni degli altri. Questo metodo consente la partecipazione di un numero elevato di esperti, anche a livello internazionale, grazie alla metodica “online”, con un numero variabile di round (Figura 1.). Sono stati invitati alle due EFC Delphi Survey numerosi esperti (2 per Paese) di 39 Paesi Europei, hanno risposto 37 Paesi su 39 (Figura 2.). Il secondo meeting satellite dell’EFC sul controllo di qualità in colposcopia (Berlino, settembre 2012) Sono stati presentati i risultati delle due Delphi Survey ed Expert Panel Consensus sia sul core curriculum (5) che sugli standard di qualità in colposcopia (6). Per quanto riguarda il core curriculum del colposcopista (riportato nella Tabella 3) non ci sono state importanti modifiche e i 51 punti sono stati sostanzialmente confermati. Per gli standard di qualità in colposcopia il Round 1 ha identificato una lunga lista di potenziali standard, con suggerimenti da parte dei partecipanti e del comitato direttivo. Sono stati proposti 37 potenziali standard, inclusi nei Round 2 e 3, dove sono stati valutati con uno score (scala Likert di 5 punti), tenendo conto che i risultati del Round 2 erano inclusi nel Round 3 in modo che i partecipanti potessero riflettere sulle opinioni degli altri, ed eventualmente modificare o meno le proprie. Alla fine del Round 3 sono stati identificati 6 standard considerati i più importanti: 5 che avevano ottenuto un punteggio > 4,5 ed un sesto con punteggio 4. Nei Round 4 e 5 del Delphi è stato, infine, determinato quantitativamente il valore dell’indice da considerare accettabile per ognuno dei 6 standard, che sono riportati nella Tabella 4. Infine, per quanto riguarda le problematiche legate all’HPV testing, alla vaccinazione ed al futuro della col- Target Percentage of excisional treatments/conizations containing CIN2+ 85% Percentage of cases having a colposcopic examination prior to treatment for abnormal cervical cytology 100% Percentage of excised lesions/conizations with clear margins 80% Documentation of whether the squamocolumnar junction has been seen or not 100% Number of colposcopies personally performed each year for a low-grade/minor abnormality on cervical cytology >50 Number of colposcopies personally performed each year for high-grade/major abnormality on cervical cytology >50 poscopia in Europa, sono state preannunciate le due review, scaturite dalle discussioni avvenute durante i 2 meeting ed, in particolare, nell’ambito del Training and Education Committee, che saranno pubblicati successivamente (7-8). Il terzo meeting satellite dell’EFC sul controllo di qualità in colposcopia (Berlino, febbraio-marzo 2014) Durante i due precedenti meeting satelliti dell’EFC, nonché durante l’assemblea generale del Congresso di Praga del 2013 è emerso il concetto che la EFC attribuisca la più alta priorità allo sviluppo di strategie di controllo della qualità in colposcopia (9). Lo scopo è quello di standardizzare ed armonizzare l’educazione, il training e la pratica in colposcopia in tutta Europa e regioni limitrofe. Il compito assegnato all’European Education Committee (EEC) ed ai meeting satelliti è anche quello di sviluppare un programma di massima per corsi di colposcopia di base e avanzata, definendo le core competencies, i tempi ed i requisiti minimi per la valutazione finale, nonché un modello di programma di training colposcopio, inclusi i limiti di tempo minimo/ massimo e il minimo caseload accettabile. Analogamente, si sottolinea la necessità di definire un quadro per l’approvazione da parte dell’EFC di concetti di Quality Assurance (QA) nella pratica colposcopica dei singoli Paesi (definizione di “expert colposcopist” e istituzione dell’“European Colposcopy Diploma”). 5 6 CLaolposcopia in Italia SICPCV Nel terzo incontro, a Berlino, 36 delegati erano presenti in rappresentanza di 27 Paesi membri. In primo luogo sono stati approvati i requisiti per corsi di base organizzati a livello nazionale, con l’approvazione dell’EFC, su richiesta della Società di Colposcopia nazionale: - nei Paesi con Società di Colposcopia nazionali il corso deve essere organizzato prioritariamente da queste e non da altri soggetti; - il contenuto deve essere basato sul Core curriculum approvato dall’EFC e rivisto nel 2012 (Tabella 5.); - la durata minima è di 360 minuti (non incluse le pause) o di 8 ore (pause incluse); - la certificazione seguirà il format dell’EFC; - la valutazione post-corso seguirà la EFC evaluation form (Figura 3.); - la Società nazionale interessata compila una lettera richiedendo l’approvazione (Figura 4.). Per i corsi avanzati si procederà in seguito a focalizzare i contenuti e i requisiti. Per quanto riguarda i programmi di Training colposcopico, l’EFC ha prospettato dei requisiti per l’approvazione (10): - The aim of the training programme was “to enable trainees to obtain the core knowledge, develop the necessary skills, and the personal and professional attributes to enable them to be lifelong learners and compassionate colposcopists” (Training Committee Meeting, Paris 2002). - The programme curriculum should incorporate the Tabella 5. - EFC Core curriculum (revision 2012) EFC core curriculum devised by the Delphi process in 2002 and revised in a second EFC Delphi in 2012. This was a competency-based curriculum; - There was agreement that a trainee would see a minimum of 100 cases, of which 50 should be new patients and 30 have abnormal cytology; - Training should be completed within 24 months; - There should be an exit assessment of some sort. La definizione di un European Colposcopy Diploma è confermata come volontà della EFC di realizzare una certificazione che migliori la colposcopia europea e possa facilitare la circolazione dei colposcopisti in tutta Europa. Per questo progetto è auspicabile che i diversi standard di qualità e i programmi di training e accreditamento nei vari Paesi europei divengano sempre più omogenei, pur considerando le esistenti distinzioni, Figura 3. - EFC Basic Course Evaluation Form CLaolposcopia in Italia SICPCV Figura 5. – Measurement of Quality of Colposcopy Figura 4. - Letter for application of Basic Colposcopy Course to EFC dovute a tradizioni, legislazioni, condizioni economiche e sociali, politiche della salute, limitazioni di tipo culturale e religioso. Una esigenza fortemente manifestata, in rapporto all’educazione e al training dei colposcopisti, è l’uso della tecnologia e dell’informatica, come ad esempio la creazione dell’Electronic log book for training, destinato alla gestione dei giovani colposcopisti in training, e più in generale del web based colposcopy data management + QA programs. Il controllo di qualità in colposcopia: ruolo dell’Italia L’ultimo progetto discusso nel III meeting satellite è quello relativo ad uno studio, che coinvolga 10 Paesi, tra cui l’Italia (Figura 5.), con lo scopo di determinare come i servizi di colposcopia supportino i programmi di screening cervicale nella gestione delle donne con pap test anormale e di vedere come la colposcopia sia correntemente usata per trattare le lesioni precancerose e valutare quelle anormalità che non richiedano trattamento. Il titolo del progetto è: Measurement of Quality of Colposcopy within cervical screening in Europe – an EFC Position Paper, con la partecipazione per i diversi Paesi di Marc Arbyn, Sonia Andersson, Christine Bergeron, Simon Leeson, Carmine Carriero, Grainne Flan- nelly, Wojciech Kolawa, Miriam Mints, Esther Moss, Pekka Nieminen, Philippa Permain, Charles Redman, Olaf Reich, Radovan Turyna, Jana Zodzika, Ulli Petry. Gli obiettivi specifici del lavoro sono: - To assess current measurement of colposcopy practice in Europe; - To evaluate variation in context of national populations and screening programmes; - Assess how agreed standards are implemented and measured; - Record improvements of care as a consequence of quality measures. Dal punto di vista dell’Italia, per la partecipazione a questa indagine, si è ipotizzata l’istituzione di una rete di colposcopisti membri della SICPCV, che potrebbe essere chiamata Quality Assurance of Colposcopy Italian Network (QACINet) cogliendo l’occasione per coinvolgere il più possibile i centri di colposcopia del Paese e conducendo il tipo di analisi richiesta dal progetto europeo, in modo da raccogliere il pool di dati relativi all’Italia. Questo potrebbe rappresentare solo l’inizio di un possibile sviluppo molto promettente sul Controllo di Qualità per la Società Italiana di Colposcopia, che ha sempre dato grande importanza a questo aspetto come compito istituzionale: vedi, ad esempio, SICPCV Quality sul sito web della Società (11). Parallelamente, si preannuncia molto interessante la possibilità, esplicitamente espressa dalla EFC nei confronti dell’Italia e della Germania, di sviluppare un LogBook elettronico in italiano, per i colposcopisti italiani in training, che poi affronteranno l’accreditamento. Si tratta di un vero e proprio libretto, non cartaceo, ma elettronico, che raccoglie dettagliatamente tutta la storia e gli eventi del training del soggetto, da lui stesso gestito su internet (per esempio dal website della Società). Tale progetto potrebbe rientrare nell’ambito delle varie auspicabili opportunità di ampliare ed arricchire ulteriormente il sito web ufficiale della SICPCV (http://www. colposcopiaitaliana.it/). 7 8 CLaolposcopia in Italia SICPCV Bibliografia 1. EFC Newsletter - february 2012. http://www.e-f-c.org/ pages/newsletter.php. 2. EFC recommendations/guidelines: http://www.e-f-c. org/pages/recommendationsguidelines.php. 3. EFC education http:// www.e-f-c.org/pages/education.php. 4. Cuhls K. Delphi method. UNIDO. http://www. unido.org/fileadmin/import/16959_DelphiMethod. pdf. 5. Moss EL , Arbyn M, Dollery E, Leeson S, Petry KU, Nieminen P, Myerson M, Redman CWE. European Federation of Colposcopy Training Curriculum Core Compentencies: A Delphi consensus study. From: http://www.e-f-c.org/pages/ education/colposcopicstandards.php. 6. Moss EL , Arbyn M, Dollery E, Leeson S, Petry KU, Nieminen P, Redman CWE. European Federation of Colposcopy quality standards Delphi consultation. Eur J Obstet Gynecol Repr Biol 2013;170:255-258. 7. Leeson SC. Alibegashvili, T, Arbyn, M, Bergeron C, Carriero C, Mergui JL, Nieminen P, Prendiville W, Redman CWE, Rieck, GC, Quaas J, Petry KU. HPV Testing and Vaccination in Europe. J Low Genit Tract Dis. 2014;18:61-9. 8. Leeson SC. Alibegashvili, T, Arbyn, M, Bergeron C, Carriero C, Mergui JL, Nieminen P, Prendiville W, Redman CWE, Rieck, GC, Quaas J, Petry KU. The Future role for Colposcopy in Europe. J Low Genit Tract Dis. 2014 Jan;18(1):70-8. 9. EFC Newsletter - July 2014 http://www.e-f-c.org/pages/ newsletter.php. 10. http://www.e-f-c.org/media/ Notes_from_EFC_3rd_Satellite_Meeting.pdf. 11. http://www.colposcopiaitaliana.it/interna05.asp.htm. CLaolposcopia in Italia SICPCV HPV test nello screening primario del cervicocarcinoma: i punti deboli Carlo A. Liverani, Antonella Villa, Veronica Boero, Ermelinda Monti, Benedetta Agnoli, Elisa Sipio, Fabiana Fanetti, Giada Libutti, Anna Pisani-Mainini, Giorgio Bolis. Oncologia Ginecologica Preventiva – Dipartimento per la Salute della Donna e del Neonato. Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. La Colposcopia in Italia Anno XXV – N. 2 – Dicembre 2014 - pagg. 9 - 13 Introduzione Il Pap test è il test di screening che ha avuto più successo nella storia della medicina moderna. Lo screening del cancro cervicale utilizzando lo striscio citologico ha diminuito il numero di nuovi casi di cancro e il numero di morti dovute a cancro della cervice uterina dal 1950. Dopo che il papillomavirus umano (HPV) è stato identificato come causa principale del cervicocarcinoma invasivo, sono stati sviluppati i test per la ricerca dell’HPV nello screening. Ma mentre le infezioni da HPV sono molto comuni, sappiamo anche che esse possono regredire spontaneamente entro uno o due anni in oltre il 90% dei casi (1). Circa il 30% delle giovani donne che iniziano la prima attività sessuale risultano HPV positive entro un anno dal primo rapporto sessuale con un primo partner e quasi la metà diventano HPV positive entro tre anni. La probabilità cumulativa di transizione da uno stato HPV DNA negativo ad uno stato HPV DNA 16 positivo, cioè il genotipo riconosciuto a più elevato rischio oncogeno, è maggiore del 30% dopo soli 24 mesi dalla prima esposizione sessuale (2). La storia naturale dell’infezione da HPV è molto complessa e comprende fasi di latenza e di riattivazione del virus, anche a seconda della sede interessata e soprattutto dell’assetto immunitario del soggetto infettato (3-5). La difficoltà di stabilire buone misure di passata esposizione all’HPV ha portato l’American Cancer Society (ACS) a non raccomandare l’HPV test prima di iniziare il programma di vaccinazione contro l’HPV, in quanto tutti i test clinicamente disponibili riflettono esclusivamente l’attuale shedding virale (6). Confronto fra Pap test e HPV test in Europa Il Pap test ha una sensibilità riportata fra il 50 e oltre l’80%, ma è considerato un test la cui interpretazione è soggettiva. I risultati dei test per l’HPV non sono invece soggettivi (7,8). Tuttavia laddove esistono buoni servizi di citologia, come appunto avviene nei paesi europei, il Pap test ha buona sensibilità e specificità: un risultato dubbio o di basso grado, successivamente confermato all’esame colposcopico ed istologico, porta generalmente ad una condotta di attesa, con ripetizione dell’esame dopo circa 6 mesi, al fine di identificare i casi che probabilmente regrediscono spontaneamente; viceversa un risultato di alto grado, successivamente confermato colposcopicamente ed istologicamente, porta ad un trattamento escissionale. Al contrario l’interpretazione di un test HPV positivo può portare a condotte differenti e ancora poco standardizzate, che espongono la donna a possibili sovratrattamenti (1). Tuttavia un recente lavoro che ha valutato l’efficacia dello screening basato sull’HPV test in quattro studi europei randomizzati ha dimostrato come la probabilità cumulativa di sviluppare un cancro cervicale fosse nettamente superiore nelle pazienti allocate al braccio Pap test rispetto a quelle allocate al braccio HPV test (9). Questo lavoro è stato però duramente criticato, in quanto in realtà nessuno dei quattro studi presi singolarmente era riuscito a portare dati sufficientemente robusti che dimostrassero una vera riduzione nell’incidenza di cancro cervicale, per cui i dati sono stati uniti in un’analisi finale. Ciononostante anche così, i tassi di cancro cervicale non sono risultati diversi nel braccio HPV test rispetto al braccio Pap test nei primi due anni e mezzo dall’arruolamento delle pazienti. A questo punto gli autori hanno deciso di eliminare ben 52 casi di cancro sui 107 totali, adducendo il motivo che questi potevano riflettere i casi “prevalenti” nella popolazione studiata. Questa scelta è stata giudicata discutibile (10). Nei rimanenti 55 casi (cioè poco più della metà degli originali) sono stati diagnosticati 19 cancri in 419.000 donne dopo HPV test e 36 cancri in 358.656 donne dopo Pap test: questo risultato ha fatto concludere agli 9 10 SICPCV autori che la protezione offerta dal test HPV era del 6070% maggiore di quella dovuta al Pap test (9). Occorre peraltro considerare che i dati sono stati dominati dallo studio italiano (40% dei casi totali), in cui tutte le donne positive sono state indirizzate immediatamente a colposcopia, con oltre il doppio di biopsie effettuate rispetto al braccio Pap test. Si tenga altresì presente che non è stata osservata alcuna riduzione dei cancri negli studi sia svedese che inglese, durante lo stesso periodo di tempo. Inoltre solo 11 su 19 cancri cervicali rilevati dopo l’arruolamento dei casi erano inizialmente positivi all’HPV test (cioè solo il 58%). Il tasso di falsi negativi del 42% non è lontano da quelli del Kaiser Permanente (31%) e dello stesso studio ARTISTIC (25%), così come di altri studi clinici (11). Secondo l’autore di questa critica, sta iniziando un altro “esperimento sfortunato” in Europa, dove i tagli alla Sanità stanno facendo rimuovere il test di screening di maggior successo nella storia della medicina, a favore di uno screening primario con HPV test ad intervalli prolungati (9). La mia osservazione personale è che ciò non accadrà in Italia, perché i medici e le pazienti stesse non rispetteranno questa regola, continuando ad effettuare il Pap test unitamente all’HPV test e rifiutando intervalli di re-screening a distanza di 5-6 anni, quali quelli indicati dagli studi che valutavano il rapporto costo-efficacia di queste nuove strategie. Ciò che inevitabilmente si verificherà invece, sarà un enorme aumento dei costi sanitari e dell’ansia delle donne, così come un sovraccarico di casi per i centri di secondo livello, oltre agli inevitabili sovratrattamenti. Nuovi algoritmi per l’utilizzo dei test HPV in USA Da quando le tecnologie di biologia molecolare hanno cominciato ad espandersi in tutto il mondo, portando alla richiesta di HPV DNA testing assolutamente non necessari, già nel 2008 L. Stewart Massad dell’American Society for Colposcopy and Cervical Pathology (ASCCP) ricordava come un Pap test annuale fra i 20 e i 29 anni comportasse il rischio di mancare una lesione di meno dello 0.2% e come dieci Pap test aggiuntivi effettuati fra i 30 e i 50 anni fossero in grado di fare crollare il rischio di mancare una lesione a meno dello 0.001% (12). Nel 2009 lo studio ARTISTIC concludeva come in due round di screening combinati, un co-test con citologia e HPV test non rilevava un maggiore tasso di lesioni preneoplastiche rispetto alla citologia da sola (13). In virtù dell’insufficiente evidenza di un dimostrato effetto sulla mortalità per cancro cervicale, le linee guida giapponesi (2010) e quelle canadesi (2013) non raccomandavano l’impiego dell’HPV test da solo o in co-testing (HPV + Pap) per lo screening di popolazione (14,15). CLaolposcopia in Italia In Australia, l’Australian Health Ministers’ Advisory Council (AHMAC) ha recentemente approvato il programma provvisorio di rinnovo dello screening cervicale nazionale. In attesa di successive decisioni sulla strategia da adottare, è stato anticipato che eventuali modifiche al programma di screening non saranno attivate prima del 2016. Fintanto che la strategia non verrà modificata, le donne dovranno continuare ad effettuare il Pap test ogni due anni, politica che ha già dimezzato l’incidenza e la mortalità per cancro cervicale nel corso degli ultimi 22 anni (Renewal of the National Cervical Screening Program Partner Reference Group: http://www.cancerscreening.gov.au/). Dopo che l’abuso dei test per l’HPV aveva portato le maggiori associazioni americane a pubblicare una vera e propria dichiarazione sul corretto impiego di questi test (16), nel 2013 un ennesimo lavoro sottolineava come la sensibilità dell’HPV test fosse simile a quella del Pap test, ma causasse più sovradiagnosi, ammonendo sull’opportunità di implementare l’HPV test nei paesi con programmi di screening organizzati (17). Nel 2014 un recentissimo studio con follow-up a lungo termine (donne seguite per ben 13 anni) ha dimostrato che l’incidenza cumulativa di lesioni di alto grado della cervice uterina era la stessa per lo screening con HPV e per il Pap test: peccato che gli autori concludano che l’aumentata sensibilità dell’HPV test riflette dunque una diagnosi più precoce piuttosto che una sovradiagnosi (18). Ma, a parte il fatto che la sensibilità è appunto risultata la medesima, non si capisce perché si debbano rilevare in età giovanile lesioni che possibilmente avrebbero potuto essere diagnosticate – e quindi trattate – successivamente, per esempio dopo un’eventuale gravidanza. I nuovi algoritmi americani sono molto complessi anche per gli addetti ai lavori e, nel loro tentativo di mantenere un corretto rapporto costo-efficacia, rischiano di essere poco fruibili e soprattutto di non essere rispettati (19-22). La tabella n. 1 mostra tutte le situazioni in cui i test HPV non sono indicati (caselle rosse). L’esperienza quotidiana dimostra tuttavia che questi test vengono ampiamente e diffusamente impiegati anche nei casi non raccomandati, ingenerando confusione e ansia tanto nei clinici quanto nelle pazienti, oltre che una dilatazione della spesa sanitaria (non tanto per il costo del test in sé, quanto per la cascata di esami, controlli e trattamenti che ne conseguono). Non si dimentichi inoltre che ben il 25% dei membri dei comitati di American Cancer Society (ACS), American Society for Colposcopy and Cervical Pathology (ASCCP) e American Society for Clinical Pathology (ASCP) che stilano le linee guida, hanno riportato conflitti di interesse dichiarati con le ditte produttrici dei test HPV (23). CLaolposcopia in Italia SICPCV Tabella n. 1 – Algoritmi USA 2013 per l’impiego dell’HPV test Tabella n. 2 – Sensibilità e specificità di HPV test e biomarkers (Killeen JL et al. 2014) Confronto fra HPV test e immunocitochimica 1679 (33%), cioè all’incirca una donna su tre, laddove la percentuale di Pap test anormali è stata del 7%. La concordanza per tutti e quattro questi test si è avuta nel 41% dei casi totali, solo nel 30% nel gruppo di donne di età superiore ai 30 anni e nel 29% nel gruppo di donne appartenenti allo screening primario. Nelle donne con Pap test anormale, il 68% risultava positiva a tutti e quattro i test. Ciò significa che se viene impiegata la citologia nella gestione dei risultati HPV positivi, nel 32% dei casi l’invio ad esame colposcopico dipende da quale tipo di test viene utilizzato. Inoltre per la gestione delle donne HPV positive ma con citologia normale, che rappresentano la maggioranza dei casi, il disaccordo fra i test è risultato ancor più accentuato. Se da un lato queste pazienti devono essere considerate a più elevato rischio e quindi non è consigliabile un intervallo di re-screening allungato (che è il motivo per il quale sono stati implementati questi test), dall’altro lato sappiamo anche che tale rischio è relativamente basso e un re-test a distanza di 6-12 mesi porta a controlli ravvicinati molte donne che sarebbero risultate negative se fosse stato utilizzato un HPV test differente. La conclusione degli autori è che nello screening primario di donne di età superiore ai 30 anni la discordanza fra i test HPV validati rende problematico accettare la strategia basata su questi test come benefica (25). L’accuratezza del Pap test può essere migliorata tramite l’impiego di biomarkers quali le proteine p16 e Ki-67. Numerosi studi sono stati pubblicati a proposito della colorazione immunocitochimica per p16 e Ki-67 nella gestione dei risultati citologici anormali e tutti hanno confermato l’affidabilità di questa metodica, che risulta di semplice esecuzione, facilmente riproducibile e di basso costo. La tabella n. 2 riporta i risultati di uno studio su 515 pazienti, dove la sensibilità di p16/Ki-67 + per lesioni di alto grado risulta analoga se non addirittura di poco superiore a quella dell’HPV DNA test, con specificità addirittura più che quadrupla (24). Punti deboli dei test HPV I test per la ricerca dell’HPV sono stati messi in commercio da numerosissime ditte farmaceutiche, ma la loro utilità è stata approvata esclusivamente per pochi test cosiddetti “validati”. Uno studio che ha valutato la concordanza di quattro di questi test validati, ha portato tuttavia a risultati sconcertanti. Su un campione totale di 5.064 donne, per il 95% costituito da soggetti di età compresa fra i 23 e i 65 anni (tutte appartenenti allo screening primario), sono stati effettuati e studiati quattro tipi di HPV test: HC-II (Qiagen), Cobas (Roche), CLART (Genomica) e APTIMA (Hologic). La positività ai test è risultata rispettivamente del 20.4%, 26.8%, 25.1% e 16.7%. Le pazienti risultate positive ad almeno uno di questi test sono state Conclusioni Una donna con un Pap test negativo e un HPV test positivo sicuramente va tranquillizzata e adeguatamente informata sulla natura regressiva di tale condizione, ma allo stesso tempo noi le stiamo dicendo di essere por- 11 12 SICPCV tatrice di un’infezione con un virus oncogenico, che tale virus appartiene ai tipi ad alto rischio, che non ci sono lesioni, che comunque non esiste una cura, e che è trasmesso sessualmente. L’impatto emotivo di queste informazioni è tale, per cui la paziente inizia quasi sempre una cascata di domande del tipo: - Come ho preso questo virus? - Se l’ho preso tramite un rapporto sessuale, ciò significa che il mio partner ha avuto una relazione con un’altra donna? Quanto tempo fa? - Sono contagiosa? Diffonderò l’infezione ad altre persone? Devo usare il preservativo per sempre? - I rapporti orali sono pericolosi? E quelli anali? -Devo prendere particolari precauzioni con la biancheria intima e gli asciugamani, dato che ho una figlia che usa il mio stesso bagno? - Ci sono rischi di infezione per il bambino nel caso volessi una gravidanza? - C’è una cura definitiva per questo virus? - Posso prendere farmaci che aumentano le mie difese immunitarie? - Dovrei fare la vaccinazione, o nel mio caso non serve più? - Mi ammalerò di cancro prima o poi? - Quanto tempo devo attendere prima di essere relativamente sicura? Quali e quanti controlli dovrò fare? - Il mio compagno deve fare un test o un esame per scoprire se anche lui è infetto? Non è sempre facile rispondere a tutte queste domande e comunque eventuali incertezze sull’HPV non possono essere risolte semplicemente fornendo più informazioni (26). Ma soprattutto, anche in conseguenza di ciò ma non solo, quello che molti clinici in realtà fanno è: - prescrivere test anche al partner - richiedere test in sedi differenti (anale, vulvare, peniena, orale) - utilizzare test non validati - sottoporre a screening con HPV test donne al di sotto dei 30 anni - ripetere i test ogni 2-3 anni, se non prima - fare test anche per i tipi di HPV a basso rischio CLaolposcopia in Italia - impiegare l’HPV test sia nelle lesioni di basso che di alto grado - usare lo screening con HPV test come test per le infezioni sessualmente trasmesse Tutte queste indicazioni non sono raccomandate e possono portare a sovratrattamenti, tanto dannosi quanto inutili: terapie chirurgiche, terapie escissionali o ablative con LASER o radiofrequenza, terapie con farmaci costosi (imiquimod) o chemioterapici (5-FU), etc. Le conseguenze di questi trattamenti sono ovviamente controlli ripetuti e ravvicinati, prescrizione di ulteriori accertamenti, dilatazione dei costi e dell’ansia delle pazienti e dei familiari. Infine è dimostrato che un singolo HPV test non è utile per predire una lesione di alto grado, né per guidare le scelte sul follow-up nelle donne di età compresa fra i 20 e i 59 anni (27). Dunque i test andranno ripetuti e il carico emotivo ed economico aumenterà di conseguenza. Nessun lavoro finora ha studiato realmente le conseguenze e la ricaduta economica, sociale e psicologica di donne risultate positive ad un tipo di HPV ad alto rischio, con tutti gli accertamenti che inevitabilmente ne sono seguiti (in termini di controlli ulteriori e trattamenti molto spesso inutili se non dannosi). Lo screening è offerto a individui sani: le sovradiagnosi che si generano creano un potente feedback positivo verso ulteriori sovradiagnosi. Le risorse impiegate in cure non necessarie vengono di fatto sottratte ai soggetti che invece ne hanno bisogno, distogliendo attenzione, tempo e denaro (28-37). Infine occorre essere molto attenti sull’affidabilità di un singolo HPV test: rimandare a distanza di 3-5 anni una donna con HPV DNA test negativo comporta un rischio reale di mancare una possibile lesione di alto grado o un cancro invasivo. Le strategie basate sull’HPV test, oltre ai limiti intrinseci della metodica descritti in questo articolo, sono complicate da porre in atto e molto facili ad essere male interpretate, sia per ignoranza, sia per interessi economici, sia per medicina difensiva. Si realizza un circolo vizioso, conseguenza di una combinazione tossica di conflitti d’interesse e buone intenzioni (38). CLaolposcopia in Italia SICPCV Bibliografia 1. Liverani CA. Reconsidering primary HPV testing in cervical cancer screening in European countries. 2014 Preventing Overdiagnosis conference, Abstract #44. Oxford University, Oxford (UK), 15-17 Settembre 2014. 2. Winer RL, Feng Q, Hughes JP, et al. 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Dal Pozzo Unità Operativa Complessa di Ginecologia ed Ostetricia – Ospedale Regionale di Treviso * Unità Operativa di Anatomia, Istologia Patologica, Citodiagnostica e Citogenetica – Ospedale Regionale di Treviso ° Unità Complessa di Radioterapia Oncologica – Ospedale Regionale di Treviso °° Struttura Complessa di Oncologia – Ospedale Regionale di Treviso °°° Unità Operativa Complessa di Ginecologia ed Ostetricia – Ospedale di Portogruaro La Colposcopia in Italia Anno XXV – N. 2 – Dicembre 2014 - pagg. 14 - 16 Introduzione Il carcinoma invasivo della cervice uterina in gravidanza è una patologia rara anche se in termini di incidenza rappresenta la neoplasia ginecologica più frequentemente riconosciuta nel corso della gestazione. L’aumento dell’età media della prima gravidanza, che oggi si attesta fra i 25 ed i 35 anni, ha determinato un incremento di casi diagnosticati. Vi è forse ancora la percezione che la gravidanza in qualche modo possa ostacolare la corretta interpretazione dell’esame colpocitologico. La letteratura conferma invece un’alta accuratezza nella diagnostica delle neoplasie cervicali intraepiteliali ed invasive della colpocitologia, anche se eseguita in corso di gestazione (1,2,3). La gravidanza, infatti, rappresenta un momento in cui la donna può entrare nel percorso della prevenzione del carcinoma del collo uterino attraverso l’esecuzione del Pap test (4). L’iter diagnostico di un Pap test anomalo in gravidanza è lo stesso della paziente non gravida. Vi è tuttavia una certa riluttanza ad eseguire la biopsia cervicale in gravidanza per il timore di sanguinamenti non controllabili. I dati della letteratura sottolineano come questo timore sia assolutamente ingiustificato. Da una datata, ma pur sempre attuale, review della letteratura condotta da Hacker risulta che il rischio di sanguinamento dopo biopsia della portio in gravidanza risulta dello 0,6% ed è assolutamente sovrapponibile a quello che si verifica nella paziente non gravida (5). Di fronte ad una diagnosi istologica di CIN 1,2,o 3 vi è sostanzialmente in letteratura uniformità di opinione circa l’opportunità di differire il trattamento in puerperio (6-12 settimane) controllando la paziente mediante colposcopia ogni 3 mesi durante la gravidanza ed eventuale ripetizione della biopsia qualora il quadro colposcopico diventasse sospetto per neoplasia invasiva (6,7). L’indicazione alla conizzazione in gravidanza rimane sostanzialmente limitata ai casi di sospetto di microinvasione. In questo caso la conizzazione dovrebbe essere eseguita dopo il primo trimestre, ma prima delle 20 settimane ove possibile. Le attuali tecniche escissionali peraltro consentono di limitare al massimo le complicanze (8). Il trattamento del carcinoma francamente invasivo dipende da una molteplicità di fattori che ne condizionano le scelte, fra questi: l’estensione della malattia (stadio) ed il volume del tumore; l’epoca gestazionale; il desiderio di avere un figlio o un altro figlio; l’eventuale patologia associata alla gravidanza; lo stato psicologico della paziente; i convincimenti etici della coppia. In linea di massima potremmo considerare le 23 settimane di gestazione (cioè l’epoca di vitalità del feto) lo spartiacque fra la possibilità di avere una condotta ad indirizzo conservatore o demolitore. Prima delle 23 settimane, previo consenso della coppia ed espletamento di tutte le pratiche di legge per l’interruzione della gravidanza, è indicata l’isterectomia radicale con linfoadenectomia pelvica con o senza conservazione delle ovaie in base allo stadio ed al tipo istologico di tumore. C’è discussione se l’isterectomia in quest’epoca debba essere preceduta o no dallo svuotamento uterino comunque da eseguirsi nella stessa seduta operatoria dell’isterectomia radicale (isterosuzione se epoca precoce o isterotomia se più avanzata, ma comunque prima delle 23 settimane) (9,10). Viceversa dopo la 28a settimana gestazionale la letteratura è concorde nel suggerire una condotta d’attesa per raggiungere un’epoca gestazionale più avanzata, limitando maggiormente possibile le problematiche legate ad una prematurità fetale. Si ritiene un limite accettabile quello delle 32 settimane, anche perché dal punto di vista materno i report della letteratura non evidenziano un significativo peggioramento prognostico nel procrastinare il trattamento di qualche settimana. Problemi decisionali importanti si presentano quando la diagnosi viene posta fra le 23 e le 28 settimane gestazionali; in questa epoca gestaziona- CLaolposcopia in Italia SICPCV le la condotta terapeutica dipende dalle caratteristiche della neoplasia (istotipo, grading, stadio, volume, ...), ma anche dai convincimenti e dalle volontà della coppia e perciò deve essere individualizzata pur rimanendo valido il concetto di raggiungere, ove possibile, le 32 settimane gestazionali. Caso clinico Paziente di 37 anni (Para 1022: Aborto spontaneo 2005; IVG 2006; TC nel 2007 di gravidanza bigemellare, biamniotica, bicoriale) con ultimo Pap test negativo del 2007. Si reca dal ginecologo curante per visita di controllo non sapendo ancora di essere gravida. Nel corso della vista il ginecologo esegue Pap test il cui referto, che giunge dopo 14 giorni circa quando la paziente è in gravidanza a 5 settimane, risulta essere di cellule ghiandolari atipiche di verosimile origine endometriale (AGC). Dopo pochi giorni la paziente esegue colposcopia che dimostra la presenza di un polipo cervicale di circa 1 cm che viene rimosso per torsione. L’esame istologico, che giunge a 9 settimane circa, conclude per un POLIPO GLANDULO IPERPLASTICO ma nella descrizione microscopica segnala la presenza di focolai di displasia ghiandolare. La paziente viene seguita in gravidanza ed a 24 settimane per la presenza di scarse perdite ematiche dai genitali si riscontra nuovamente un polipo cervicale ma più grande (3 cm), peduncolato e facilmente sanguinante che perciò il ginecologo ritiene nuovamente di rimuovere per torsione. All’esame istologico che giunge a 25+3 settimane risulta trattarsi di: frammenti di ADENOCARCINOMA PAPILLARE ENDOCERVICALE G2 con base d’impianto non valutabile. A questo punto la paziente viene inviata nella nostra struttura dove si ripete colposcopia (26 +4 settimane) che risulta non conclusiva, ma si eseguono ambulatorialmente 4 biopsie con piccola ansa a radiofrequenza che risultano tutte 4 positive per Adenocarcinoma endocervicale ben differenziato infiltrante di tipo misto, endocervicale ed intestinale (p16+). Siamo giunti a 28 settimane gestazionali. Previo couselling con la coppia si ricovera la paziente in ostetricia a 31+3 settimane per indurre la maturità polmonare fetale. La gravidanza procedeva in regolare evoluzione se si eccettua la presenza di diabete gestazionale in terapia solo dietetica. Completata la maturità polmonare perciò a 31+6 settimane abbiamo deciso di eseguire in anestesia generale conizzazione con ansa a radiofrequenza: BASE del cono con ansa da 20 mm ed approfondimento (APICE del cono) con ansa da 15 mm. A 32+3 settimane l’esame istologico della BASE DEL CONO conferma trattarsi di adenocarcinoma endocervicale di tipo misto, endocervicale, intestinale e focalmente villoghiandolare, mediamente differenziato con estensione orizzontale di 1,8 cm e spessore di mm 3. Non evidente angioinvasione (almeno pT1b1); margine radiale indenne. Si associano focolai di decidualizzazione stromale. L’apice del cono risulta infiltrato perciò si decide per espletamento del parto mediante taglio cesareo e concomitante chirurgia radicale nella stessa seduta. Previo colloquio con neonatologi e la paziente si rispetta la volontà della stessa, giunti a questa epoca gestazionale, di ridurre i rischi di morbilità neonatologica e guadagnare un’altra settimana. A 33+3 settimane (20/2/2012) si esegue nella stessa seduta in sequenza: taglio cesareo (neonato maschio di 2105 gr; Apgar 8,9,10), washing peritoneale, legatura bilaterale dell’arteria ipogastrica, laparoisterectomia radicale secondo PIVER 3 con asportazione di colletto vaginale di circa 2 cm, salpingectomia bilaterale, linfoadenectomia pelvica bilaterale (iliaci esterni, interni, comuni ed otturatori), sospensione delle ovaie nelle docce parietocoliche. Il decorso postoperatorio è risultato assolutamente regolare. L’esame istologico dell’utero non ha dimostrato focolai residui di adenocarcinoma ma 1 linfonodo otturatorio profondo di destra (su 28 linfonodi totali esaminati) ha evidenziato una metastasi sub massiva (Washing ed esame istologico della placenta negativi) perciò in una discussione collegiale multidisciplinare (ginecologi, oncologi, radioterapisti, anatomopatologi e radiologi) dopo TAC total body risultata negativa per localizzazioni secondarie si è deciso per chemioterpia con carboplatino e taxolo per 4 cicli e successiva radioterapia esterna per 28 cicli. Dopo 10 mesi dall’intervento definitivo il follow-up citologico, clinico e strumentale risulta essere negativo. Discussione e conclusioni La gestione di questo caso clinico fa capire come il management del carcinoma invasivo della cervice uterina diagnosticato in un’epoca gestazionale fra le 23 e le 28 settimane, possa essere estremamente complesso non solamente dal punto di vista strettamente clinico ma anche perché deve tener conto dei desideri e delle aspettative della coppia. Uno dei punti fondamentali della nostra gestione è stata la decisione di eseguire o no la conizzazione. Dopo esserci confrontati con altri specialisti del settore, abbiamo ritenuto opportuno procedere alla conizzazione perchè qualora i margini del cono risultassero negativi si poteva optare di dilazionare leggermente i tempi sia del taglio cesareo che della chirurgia radicale. Un altro punto fondamentale è stato quello della stadiazione prechirurgica con RMN ed il suo ruolo in gestazione. Dopo avere consultato i radiologi siamo giunti alla conclusione che l’esecuzione della RMN durante la 15 16 CLaolposcopia in Italia SICPCV gestazione non aggiunge elementi sull’interessamento linfonodale in quanto quest’ultimi sicuramente risulterebbero aumentati di volume per effetto della gestazione. Dai pochi casi clinici che esistono in letteratura l’orientamento della gestione della paziente con carcinoma invasivo della cervice uterina in gravidanza ed in particolare adenocarcinoma stadio Ib1, è stato quello che durante la chirurgia radicale gli annessi venivano asportati insieme all’utero. Noi, contrariamente a quello che suggerisce la letteratura, dopo accurato colloquio con la paziente e in considerazione della sua giovane età abbiamo optato per la conservazione delle ovaie. Infine, dopo il risultato dell’esame istologico che mostrava una metastasi submassiva a livello del linfonodo otturatorio risulta evidente anche che l’intervento avrebbe avuto una radicalità maggiore se avesse compreso anche la linfadenectomia lomboaortica ma sul tavolo operatorio alla palpazione linfonodale a livello pelvico non si apprezzava nessun linfonodo patologicamente aumentato di volume. Il tutto risulta essere ancora più complicato dal fatto che in letteratura, in merito al management del carcinoma invasivo della cervice uterina in gravidanza, è stato studiato solamente per l’istotipo squamoso. In conclusione, risulta fondamentale sottolineare l’importanza di alcuni concetti riguardo la diagnosi e la gestione del carcinoma della cervice uterina in gravidanza. L’esecuzione del Pap test in gravidanza, viene raccomandato secondo anche le linee guida della SICPCV in tutte le donne che non hanno una citologia negli ultimi tre anni preferibilmente alla prima visita in gravidanza. Fare particolare attenzione, analogamente alle paziente non in gravidanza, alle diagnosi di AGC che non hanno quadri colposcopici patognomonici e sono di difficile valutazione sia per l’anatomopatologo che per il clinico. Per questo motivo la colposcopia in gravidanza dovrebbe essere eseguita da colposcopisti esperti nella valutazione dei quadri colposcopici particolari indotti dalla gravidanza stessa. Nel sospetto di una lesione, qualunque essa sia ma in particolare nel dubbio di una lesione ghiandolare, non esitare nell’esecuzione di una biopsia anche se da eseguirsi nel III trimestre. Infine è importante che questi casi vengano centralizzati in strutture dove è possibile un approccio di tipo multidisciplinare. Bibliografia 1. Smith, Creasman WT. Preinvasive and invasive cervical neoplasia, chapt. 186 in Malignant Disease (part XVI) SA Gall section. In: Gleicher N, ed. Principle and Practice of Medical Therapy in Pregnancy. New York: Appleton and Lang Publ. 1992: 1132-1137. 2. 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Anche il rischio di carcinoma della cervice è più elevato (fino all’8‰) e tale permane per molti anni dopo il trattamento. I fattori che influenzano l’aumentato rischio di ricomparsa della malattia sono ormai ben documentati. In primo luogo rivestono un ruolo importante le caratteristiche morfologiche della lesione intese come estensione, grado di atipia, multifocalità, associazioni di lesioni ghiandolari, malattia residua sui margini chirurgici del cono. In secondo luogo ha notevole peso l’età della paziente in quanto espressione indiretta della difficoltà di controllo sia citologico sia colposcopico di una cervice atrofica ma soprattutto in quanto indice della ridotta risposta immunitaria dell’ospite nei confronti del virus. Ed è proprio la persistenza dell’infezione virale dopo il trattamento, a prescindere dal motivo che l’abbia determinata, che è oggi riconosciuta come il vero fattore di rischio per le recidive delle lesioni preneoplastiche della cervice. Alla luce di questo le linee guida delle più importanti Società Scientifiche Internazionali raccomandano l’impiego dell’HPV test nel follow up della pazienti trattate per Cin di alto grado. Il fatto che il follow-up nelle pazienti trattate per CIN vada condotto in modo assai accurato non può far dimenticare che i controlli debbano essere programmati tenendo in considerazione non solo la sicurezza diagnostica ma anche i costi e la reale attuabilità del programma, intesa come buon gradimento da parte delle donne e come durata sostenibile nel tempo. L’introduzione dell’HPV test soddisfa certamente queste esigenze ma, data l’alta sensibilità di questo test, ci si è più volte chiesti se sia opportuno il suo utilizzo nel primo controllo dopo 6 mesi dal trattamento (compor- tamento da noi già da tempo utilizzato) o se sia più conveniente il suo impiego nel secondo controllo, 6 mesi dopo il primo con Pap test negativo. La nostra esperienza Negli anni 2010 e 2011 presso il Centro di Ginecologia Oncologica Preventiva dell’ULSS 20 di Verona sono state sottoposte ad escissione chirurgica 191 pazienti affette da CIN 2–3. Tutti i trattamenti sono stati eseguiti con ansa o ago a radiofrequenza, ambulatorialmente ed in anestesia locale. L’età delle pazienti è risultata compresa tra i 23 ed i 75 anni (media 36,4 anni). Il follow up programmato per queste pazienti comportava un primo controllo a 6 mesi dall’intervento con esecuzione di HPV test HC2, Pap test e colposcopia. In caso di negatività di tutti i test il controllo successivo (HPV test HC2, Pap test e colposcopia) era programmato dopo ulteriori 12 mesi: alla negatività anche di questo secondo controllo la paziente ritornava agli intervalli triennali di screening. Se invece uno dei test del primo controllo risultava positivo la paziente proseguiva il follow up con visite semestrali fino alla negativizzazione di tutti i test o fino alla ripetizione di un trattamento escissionale. 57 pazienti delle 191 sottoposte al trattamento non sono state incluse nello studio perché non hanno eseguito in modo completo i controlli programmati: mancata esecuzione di uno dei test, tempistica dei controlli non rispettata, interruzione del follow up (abbandono, cambio di residenza …..) o gravidanza. Delle 134 pazienti seguite nel modo prestabilito 105 (78,35%) già al primo controllo hanno dimostrato una completa negatività di citologia, HPV test e colposcopia (Tabella 1). Di queste, 104 hanno mantenuto la negatività anche alla seconda visita e pertanto nell’arco di 18 mesi sono rientrate nei normali intervalli di screening. Una paziente ha invece presentato una ripositivizza- 17 18 CLaolposcopia in Italia SICPCV zione sia dell’HPV test che del Pap test (LSIL) con colposcopia negativa: entrambi i test si sono negativizzati definitivamente a distanza di 12 mesi (reinfezione?). 13 pazienti (9,70%) hanno presentato al primo controllo citologia negativa ma HPV test positivo (Tabella 1). Queste pazienti, seguite semestralmente nel tempo, hanno evidenziato in 9 casi una negativizzazione definitiva anche dell’HPV test ed in 3 casi una positivizzazione della citologia con successivo trattamento escissionale (1 caso di CIN2 e 2 di CIN1). In 1 caso, pur con Pap test negativo, si è ritenuto opportuno eseguire un reintervento per HPV test positivo e colposcopia altamente significativa (che ha rivelato un CIN2). 15 pazienti (11,19%) al primo controllo hanno dimostrato sia l’HPV test che il Pap test positivi (11 LSIL e 4 HSIL) (Tabella 1). Tutte le pazienti con HSIL sono state rioperate (3 con esito di CIN3 e 1 di CIN2). Il management delle pazienti con LSIL è stato invece deciso in base al referto colposcopio: 1 sola paziente è stata rioperata (CIN 2), mentre le altre, seguite attentamente nel tempo, sono andate incontro a negativizzazione dei controlli (una paziente dopo 4 controlli positivi). 1 sola paziente (0,74%) ha avuto al primo controllo l’HPV test e la colposcopia negativi ma il Pap test positivo (ASCH): coerentemente con il quadro colposcopio la paziente è stata seguita nel tempo con negativizzazione definitiva della citologia già al secondo controllo. In tutti i 134 trattamenti escissionali seguiti nel tempo il patologo aveva rilevato le condizioni dei margini sul frammento di tessuto escisso. Dal punto di vista progno- stico abbiamo ritenuto opportuno valutare solo la positività del margine endocervicale in quanto, come consigliato dalla letteratura, durante gli interventi chirurgici viene sempre eseguita una accurata radiovaporizzazione del letto chirurgico e dei margini periescisssionali a comprendere anche quelle aree di trasformazione atipica eventualmente residue dopo l’escissione. Nei 134 interventi osservati il margine endocervicale è risultato negativo in 117 casi (87,31%) e positivo in 17 (12,68%) (Tabella 2). Come era prevedibile quest’ultimo gruppo di pazienti è risultato più a rischio di persistenza: se infatti 11 pazienti di questo gruppo (64,70%) sono risultate negative già al primo controllo (a conferma che i margini di resezione positivi non giustificano un intervento immediato), 6 (35,29%) hanno però presentato una positività per l’HPV test e di queste 4 (23,52%) sono state sottoposte ad un secondo intervento. Se si considera che delle 117 pazienti con margini liberi 22 (18,80%) sono risultate positive all’HPV test e di queste 5 (4,27%) sono state rioperate si intuisce l’importanza di questo indicatore per la prognosi delle pazienti trattate per CIN 2-3 (Tabella 2). Conclusioni Questa nostra esperienza conferma il ruolo dell’HPV test nel controllo delle pazienti trattate per CIN ad alto rischio. Ci consente inoltre, ed è questo il vero scopo del nostro lavoro, di affermare, pur con i limiti dovuti alla numerosità del campione, che la tempistica e le Tabella 1. - Controllo nel tempo delle pazienti trattate per CIN 2-3 Risultati dei test Controlli successivi n. pazienti I controllo n. pazienti Negativizzazione Progressione HPV- CIT- 105 (78.35%) 105 - HPV+ CIT- 13 (9,7%) 9 4 HPV+ CIT+ 15 (11,19%) 10 5 HPV- CIT+ 1 (0,74%) 1 - 134 (100%) 125 9 Totale Tabella 2. - Margine chirurgico endocervicale e persistenza di malattia n. pazienti n. pazienti HPV+ al primo controllo n. pazienti con progressione Libero 117 22 5 Interessato 17 6 4 Margine chirurgico endocervicale SICPCV modalità del primo controllo a 6 mesi dall’intervento sono efficaci e vantaggiose. Quasi l’80% delle pazienti studiate ha dimostrato una negativizzazione già a 6 mesi dall’intervento di tutti i 3 test utilizzati e questa negatività è stata confermata nella totalità dei casi (eccetto uno con ASCH) dopo un intervallo di 12 mesi. Se si considera inoltre il numero delle pazienti con la prima citologia post chirurgica positiva (15) e quello delle pazienti che evidenzieranno nel tempo una ripresa della malattia (pur con la prima citologia negativa) (4) si evince che solo nel 6,71% dei casi l’HPV test ha dimostrato un’eccessiva sensibilità a scapito della specificità. A fronte di ciò sono indiscutibili sia le garanzie di ottima sicurezza clinica che ci viene offerta da questa strategia, sia gli evidenti vantaggi organizzativi che consentono alla maggior parte delle pazienti il ritorno ai normali controlli di screening dopo 2 controlli di secondo livello eseguiti in meno di 2 anni. La colposcopia nei controlli di follow up post chirurgico è risultata per noi sempre molto utile non solo per la fidelizzazione delle pazienti al nostro Centro (tutte le donne hanno gradito un controllo eseguito dal ginecologo) ma anche per una valutazione degli esiti chirurgici e per un esame clinico del basso tratto genitale (sono comunque pazienti a rischio di patologie HPV correlate). La situazione, tuttavia, in cui la colposcopia è risultata veramente preziosa è nel management delle pazienti con HPV test o Pap test positivo: la decisione se eseguire un secondo intervento o se proseguire i controlli nel tempo è sempre stata presa sulla base del quadro colposcopio che ha permesso di identificare le pazienti in cui la malattia era in fase di ripresa da quelle in cui la positività dei test rappresentava solamente uno strascico della patologia già trattata. Il valore prognostico del margine chirurgico endocervicale interessato dalla lesione viene confermato da CLaolposcopia in Italia questo nostro studio. Il risultato che però riteniamo più importante sottolineare è la conferma che la semplice positività del margine chirurgico non deve indurre ad un immediato reintervento: nella nostra esperienza, infatti, solo 4 pazienti (23,52%) delle 17 con margine positivo sono state sottoposte ad un secondo trattamento mentre le altre 13 (76,48%) sono andate incontro comunque a remissione completa della malattia. Le pazienti da noi osservate avevano un’età compresa tra i 23 ed i 75 anni: 125 avevano meno di 50 anni e 9 oltre 50: data l’esiguità di questo secondo gruppo ci è impossibile estrapolare considerazioni significative sul ruolo dell’età della paziente sia per quanto riguarda gli aspetti chirurgici (16 pazienti con margine chirurgico endocervicale positivo avevano meno di 50 anni ed 1 oltre 50) sia per quanto riguarda il controllo nel tempo (delle 9 pazienti sottoposte ad una seconda escissione solo 1 aveva oltre 50 anni). Quello che possiamo comunque asserire è che le lesioni preneoplastiche della cervice si confermano una patologia dell’età fertile e che, soprattutto negli ultimi anni, l’età di insorgenza di queste malattie si è abbassata (36,4 anni è l’età media nella nostra casistica, 35,6 per le pazienti con CIN2, 37,7 per quelle con CIN3 ) rendendo quanto mai importante la precocità e l’accuratezza del percorso diagnostico ma soprattutto la qualità degli eventuali interventi chirurgici in funzione della fertilità futura. Questa nostra esperienza, pur soddisfacente negli aspetti sopra riportati, lascia comunque aperti alcuni importanti interrogativi che necessitano ulteriori studi ed approfondimenti: tra questi l’effettiva incidenza in queste pazienti di recidive a lungo termine, visto il perdurare nel tempo del rischio evidenziato da tutta la letteratura più recente ed il ruolo che la vaccinazione contro l’HPV può avere in questo gruppo di donne già affette da una patologia HPV correlata. 19 20 CLaolposcopia in Italia SICPCV Bibliografia 1. Anderson ES et al.: Followup in patients with cervical intraepithelial neoplasia in the cone margin. Gynecol. Oncol.; 39, 3287-331, 1990. 2. Murdoch JB et al.: Histological incomplete excision of CIN after large loop excision of the trasformation zone(LLETZ). Br. J. Obstet. Gyn.; 99, 990, 1992. 3. Lapaquette TK et al : Management of patients with positive margins after cervical conization. Obstet. Gynecol.; 82, 440, 1993. 4. 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Le linee guida italiane ed internazionali individuano nella chirurgia cervicale il trattamento della CIN ≥ 2, in considerazione del fatto che il 5-12% delle CIN progredisce a cancro cervicale (2,3). La conizzazione cervicale ha come obiettivo quello di asportare le lesioni precancerose, preservando la funzione cervicale (1). Dal momento che molte di queste donne non hanno completato il corso della loro vita riproduttiva al momento della diagnosi, il trattamento di queste anomalie della cervice ha potenzialmente delle conseguenze su una eventuale gravidanza, prima tra tutte il parto pretermine. Nonostante molti studi abbiano valutato l’esistenza di una possibile associazione tra i trattamenti sul collo dell’utero e gli outcome avversi della gravidanza, vi sono pareri discordanti in letteratura. Alcuni Autori sostengono che nelle donne con pregressa conizzazione si verifichino più frequentemente eventi avversi della gravidanza come l’incompetenza cervicale, la rottura prematura delle membrane amniocoriali (PROM) ed il parto pretermine (4-6), mentre altri Autori ritengono che il rischio di parto prematuro sia correlato all’altezza e al volume del cono cervicale, ovvero che, tanto più è la quantità di tessuto rimossa, tanto più viene meno la funzione di contenimento della cervice (7-11). In passato il trattamento di scelta per la displasia moderata-severa è stato la conizzazione mediante lama fredda; attualmente il suo uso è limitato in considerazione dell’eccessivo sanguinamento intraoperatorio e postoperatorio, del rischio di infezione e dell’associazione con la stenosi della cervice (12-14). Vengono quindi utilizzate altre procedure escissionali, come la conizzazione mediante laser e la LEEP (Loop Electrosurgical Excisional Procedure), ed i trattamenti ablativi. I vantaggi della conizzazione con laser sono da ricon- durre al fatto che può essere effettuata in anestesia locale, provoca un minor sanguinamento e permettere una miglior definizione delle dimensioni del cono; lo svantaggio è che talvolta è impossibile la valutazione dei margini del cono per via del danno termico inflitto al tessuto. Rispetto alla conizzazione a lama fredda, la LEEP è meno costosa, è tecnicamente più facile e veloce, è meno dolorosa, è associata a meno emorragie, rimuove una quantità minore di tessuto e può essere effettuata in regime ambulatoriale. Dal momento che i margini del tessuto prelevato mediante la LEEP possono essere adeguatamente valutati e la curva di apprendimento della tecnica è più rapida rispetto alla conizzazione laser, nel corso degli anni la LEEP è divenuta il trattamento di scelta per la CIN (15-19). I trattamenti ablativi includono l’ablazione mediante laser, la crioterapia e la “electrofulguration”; sebbene tali procedure non forniscano campioni di tessuto valutabili istologicamente e possano essere applicate solo a determinati tipi di pazienti, sembrano avere la stessa efficacia delle tecniche escissionali riguardo alla eliminazione della CIN e alla riduzione del rischio di progressione a cancro (12-14). Conizzazione a lama fredda Nel 1938 è stata avanzata per la prima volta l’ipotesi che la conizzazione potesse avere un impatto negativo su una futura gravidanza, aumentando l’incidenza di parto pretermine e di altre complicanze ostetriche (20). I primi studi che hanno indagato tale associazione hanno fornito risultati contraddittori, (21-25) mentre quelli successivi hanno dimostrato chiaramente l’aumentato rischio di complicanze ostetriche dopo tale procedura (26-32). Qui di seguito verranno riportati i dati della letteratura più recenti. Nel 2006 Klaritsch et al. hanno effettuato un’analisi re- 21 22 CLaolposcopia in Italia SICPCV trospettiva paragonando il rischio di parto pretermine e di altre complicanze ostetriche tra un gruppo di donne con anamnesi positiva per conizzazione della cervice a lama fredda (65 donne con un totale di 76 parti) ed un gruppo di donne appartenenti alla popolazione generale (29711 parti): tale rischio è risultato del 22,4% nel primo e del 6,6% nel secondo gruppo (OR 4.07, 95% CI, 2.22-7.10; p < 0.001). Hanno inoltre notato un aumento di quasi 8 volte del rischio di PROM pretermine (OR 7.70, 95% CI, 3.87-14.21; P < 0.001) e di lacerazioni della cervice che hanno richiesto la riparazione chirurgica (OR 7.53, 95% CI, 2.63-17.57; P < 0.001), ma nessun aumento significativo di taglio cesareo, basso peso alla nascita o durata del travaglio (5). Non sono state notate ulteriori differenze dividendo questi gruppi in plurigravide e donne con unica gravidanza e tra la prima gravidanza dopo conizzazione e le gravidanze successive. Essendo però questo uno studio retrospettivo e con pochi casi, non si possono trarre delle conclusioni certe, dal momento che l’analisi dei dati non ha tenuto conto delle variabili come il fumo, la presenza di altre malattie a trasmissione sessuale e fattori socioeconomici considerati fattori di rischio sia per CIN che per parto pretermine (20). Nel 2007 Bruinsma et al. hanno effettuato uno studio analogo a quello del gruppo di El-Bastawissi del 1999 riportando però dei risultati diversi: hanno notato un aumento del rischio di parto pretermine tra le donne con displasia cervicale non trattate rispetto alla popolazione generale (Rapporto di prevalenza, 1.5; 95% CI, 1.4-1.7) ed un rischio ancora più elevato nelle donne che avevano ricevuto il trattamento (OR 2.0; 95% CI, 1.8-2.3) (28). I gruppi di Kyrgiou e Arbyn, rispettivamente nel 2006 e nel 2008, hanno condotto due metanalisi in cui hanno riportato un aumentato rischio di parto pretermine (rispettivamente rischio relativo [RR], 2.59, 95% CI, 1.83.72 e RR, 2.78, 95% CI, 1.72-4.51) e di basso peso alla nascita (rispettivamente RR, 2.53, 95% CI, 1.19-5.36, rischio relativo, 2.86, 95% CI, 1.37-5.97) nelle donne con storia di conizzazione cervicale a lama fredda; in particolare il gruppo di Kyrgiou ha riportato che la rimozione di più di 10 mm di tessuto cervicale aumenta tale rischio (1,29). Michelin et al. nel 2009 hanno osservato un aumento di prevalenza di aborti spontanei e di parti pretermine nel gruppo di donne sottoposte a conizzazione a lama fredda rispetto al gruppo di donne sottoposte a LEEP per CIN (26% e 5.2%, 23% e 5.5%, rispettivamente), concludendo che nelle donne con desiderio di futura gravidanza dovrebbe essere proposta la LEEP quale trattamento di scelta (30). Nel 1980 Leiman et al. hanno riportato gli outcome di 88 gravidanze da 77 donne con pregressa conizzazione a lama fredda dividendo tali donne in due gruppi in base alla profondità del cono: il tasso di parto pretermine nel gruppo di donne con un cono maggiore di 2 cm è stato del 44% (n=16) vs il 12% nel gruppo di donne con un cono minore di 2 cm (n = 51) (p<.01) (31). Tali dati sono in accordo con quelli di Raoi del 1997 (32). Conizzazione laser In considerazione dei limiti della conizzazione a lama fredda esposti sopra e dei progressi della tecnologia, la conizzazione mediante laser è diventata una valida alternativa per il trattamento della displasia cervicale. In letteratura vi sono dei dati discordanti riguardo all’associazione tra conizzazione laser ed aumentato rischio di outcome ostetrici sfavorevoli (33-36). Nel 2004 Sadler et al. hanno riportato un aumento del rischio di PROM pretermine tra le donne sottoposte a conizzazione laser con un rischio relativo corretto di 2.7 (IC 95% 1.3-5.6), ma non un aumento di parti pretermine (RR 1.3, IC 95%, 0.8-2.2) (4), in accordo con i dati del gruppo di Raio del 1997 (7). Nonostante gli studi di Raio e Sadler non abbiano riportato un aumento di incidenza di parto pretermine dopo conizzazione laser, entrambi hanno dimostrato un aumentato rischio di outcome ostetrici sfavorevoli nel caso di dimensioni maggiori del cono. In particolare, Raio et al. hanno dimostrato un aumentato rischio di parto pretermine nelle donne con una altezza del cono maggiore di 10 mm, mentre Sadler et al. hanno riportato un aumento di 3 volte del rischio di PROM pretermine e relativo parto pretermine nelle donne con un cono di altezza maggiore di 17 mm. Hagen nel 1993 e Sagot nel 1995 non hanno invece riportato un’associazione tra l’altezza del cono ed il rischio di parto pretermine, (33-35) mentre Raoi et al. nel 1997 hanno confermato un rischio aumentato se l’altezza del cono era più di 10 mm (95% CI, 1.2-102.1) (32). Nel 2008 Masamoto et al hanno effettuato uno studio retrospettivo su 47 donne con laser conizzazione con una profondità media del cono di 15 mm; di queste il 19.1% ha partorito pretermine (36). LEEP In considerazione dei vantaggi sopra esposti, la LEEP è divenuta nel corso degli anni il trattamento di scelta per la displasia cervicale (15-19). Gli effetti della LEEP sull’esito della gravidanza rimangono ancora controversi, ma sembrano essere sicuramente più limitati rispetto a quelli indotti dalle altre tecniche. Alcuni studi hanno segnalato un aumento significativo del rischio di parto pretermine dopo LEEP. Nel 2005 SICPCV Samson et al. hanno effettuato uno studio caso controllo su un gruppo di 571 donne con gravidanza non gemellare senza fattori di rischio per parto pretermine. Gli Autori hanno riportato nelle donne trattate esclusivamente con LEEP un aumento statisticamente significativo del tasso di parto pretermine (OR 3.5, IC 95%, 1.90-6.95), PROM (OR, 4.10, 95% CI, 1.48-14.09) ed un più alto rischio di neonati con basso peso alla nascita (OR, 3.00, IC 95%, 1.52-6.46). Tuttavia, non si notava una differenza statisticamente significativa nel rischio di “vero” parto pretermine prima delle 34 settimane di gestazione, nella durata media della gravidanza, nei tassi di induzione del travaglio, nella modalità di parto e negli outcome neonatologici (8). Nel 2003 è stata effettuata una metanalisi da Crane il quale ha riportato che le donne con pregressa LEEP avevano un rischio aumentato di parto pretermine (RR, 1.8; 95% CI, 1.18-2.76 p=0.006) e bambini con basso peso alla nascita (inferiore a 2500 g; RR 1.60, 95% CI, 1.01-2.52 p=0.04), rischio aumentato anche nel sottogruppo di donne fumatrici (6). La metanalisi del 2006 di Kyrgiou et al. ha incluso 10 studi (di cui 5 erano stati inclusi nella già citata analisi Crane) ed ha dimostrato che le donne con una LEEP precedente hanno avuto un aumento del rischio di parto pretermine (RR, 1.7; 95% CI, 1.24-2.35), PROM (RR, 2.69, 95% CI, 1.62-4.46) e basso peso alla nascita (RR, 1.82; 95% CI, 1.09-3.06); sempre in questo studio è stata valuta l’associazione tra le dimensioni del cono ed il rischio di parto pretermine ed è stato notato un aumento significativo di parto pretermine se l’altezza del cono era maggiore di 10 mm (RR = 2.6; 95% CI, 1.3-5.3), mentre non è stata notata una differenza significativa se l’altezza del cono era inferiore ai 10 mm (RR 1.5; 95% CI, 0.6-3.9) (1). Nel 2009 Jakobsson et al. hanno riportato un rischio simile rispetto a quello dello studio di Nohr del 2007 in una coorte di 624 donne finlandesi che hanno partorito dopo la LEEP (RR, 2.61; 95% CI, 2.02-3.2), ma hanno aggiunto un sottogruppo di controllo di 258 donne che hanno partorito prima e dopo una LEEP: il tasso di nascita pretermine è stato del 6,5% prima della LEEP e del 12% dopo la LEEP (37). Nel 2009 Noehr et al. hanno condotto in Danimarca uno studio di associazione tra la profondità del cono cervicale rimosso mediante LEEP e rischio di parto pretermine in 566 donne con gravidanza dopo tale procedura correggendo i risultati ottenuti in modo da eliminare i fattori confondenti che includono l’età, l’abitudine tabagica nel corso della gravidanza e lo stato civile delle pazienti. I risultati ottenuti hanno evidenziato come ci sia una correlazione tra altezza del cono cervicale asportato e rischio di parto prematuro: in particolare, il rischio aumentava del 6% per ogni millimetro di tessuto cervicale escisso (OR 1.06; IC 1.03-1.09) e la stima dell’OR per parto prematuro dopo un cono di 10 mm risultava di CLaolposcopia in Italia 1.46 (IC 95% 1.11-1.92); successivamente all’asportazione di 20 mm di tessuto cervicale l’OR aumentava fino a 2.85 (95% IC 2.15-1.92). Inoltre l’analisi statistica dei dati ha evidenziato che la probabilità di parto pretermine aumentava di quasi 4 volte nelle donne sottoposte a 2 o più LEEP rispetto alla popolazione generale con un OR di 3.78 (IC 95% 2.58-5.53) e di circa due volte se paragonate alle donne sottoposte ad una sola procedura cervicale prima della gravidanza con un OR di 1.88 (IC 95% 1.27-2.78). Lo stesso studio ha negato la possibile corrispondenza tra stadio della diagnosi istologica sul cono cervicale e l’outcome ostetrico sfavorevole e tra il tempo intercorso tra la procedura e la gravidanza successiva (38). Sempre nello stesso anno, lo stesso gruppo ha effettuato uno studio su 552678 gravidanze in Danimarca, di cui 8180 successive a LEEP e laser conizzazione. Nelle gravidanze successive a LEEP hanno notato un aumento statisticamente significativo di parto pretermine rispetto ai controlli (OR 2.07, 95% CI, 1.882.27) anche dopo la sola biopsia (OR 1.66, 95% CI, 1.491.84), come dimostrato già da altri autori (Kristensen et al, 1993; Hagen et al, 1993; Raio et al, 1997; El-Bastawissi et al, 1999) (7,26,27,33). Hanno poi suddiviso i parti pretermine in base all’epoca gestazionale (32-35, 28-31 e 21-27 settimane di gestazione); in tutte e tre le categorie il rischio di parto pretermine dopo procedure chirurgiche è risultato significativamente aumentato rispetto ai controlli, rispettivamente OR 1.89 (95% CI, 1.71-2.09), 3.28 (95% CI, 2.56-4.19) e 3.16 (95% CI, 2.27-4.40). Dopo l’adattamento per variabili ostetriche l’incremento del rischio di parto pretermine per le gravidanze post-trattamento è solo lievemente attenuato (OR, 2.00, 95% CI, 1.83-2.20) (39). Nel 2010 Ortoft et al. hanno esaminato l’associazione tra LEEP e parto pretermine su una popolazione danese riportando un aumento di 3 volte del rischio di parto pretermine prima delle 37 settimane di gestazione che diminuiva con l’avanzare dell’epoca gestazionale (11.1% vs 4.1% dei controlli OR 2.4, 95% CI, 1.8-3.1), di morte perinatale (OR 4.1, 95% CI, 1.3-13) e di PROM prima delle 37 settimane di gestazione (OR 3.0; 95% CI, 2.2-4.1) in quasi 600 donne trattate con LEEP prima della gravidanza, rispetto ai controlli. Tuttavia, tali differenze non sono state notate nel sottogruppo di donne che hanno partorito prima e dopo aver effettuato un trattamento di conizzazione. Nello stesso studio è stato visto che, indipendentemente dal tipo di procedura utilizzata, donne che hanno effettuato più di una procedura di conizzazione hanno avuto un rischio quasi 10 volte superiore di parto pretermine (OR 9.9, IC 95%, 6-17) rispetto alle donne appartenenti al gruppo di controllo (24). Nel 2010 Andia et al. hanno esaminato, attraverso uno studio caso-controllo multicentrico e retrospettivo, gli outcome ostetrici in termini di età gestazionale al par- 23 24 SICPCV to, modalità del parto stesso, peso ed indice di Apgar alla nascita ed emogas-analisi del sangue cordonale in tre gruppi di donne (Gruppo A, gravidanza dopo Large Loop Excision Transformation Zone, LLETZ; Gruppo B, gravidanza prima della LLETZ, Gruppo C di controllo con anamnesi negativa per chirurgia cervicale sia prima che dopo la gravidanza). Hanno evidenziato una differenza statisticamente significativa (p< 0,05) nel rischio di parto pretermine prima delle 35 settimane gestazionali (maggiore nel Gruppo A rispetto al Gruppo C) e nel peso alla nascita che risultava in media minore nei neonati di donne sottoposte a conizzazione rispetto alla popolazione generale. Non sono state osservate differenze statisticamente significative tra il Gruppo A e il Gruppo B. Per quanto riguarda le altre variabili prese in considerazione, non sussistevano differenze statisticamente significative tra i 3 gruppi presi in esame (40). La principale ragione per cui gli Autori hanno deciso di strutturare lo studio attraverso una analisi tripla è stata quella di comparare gruppi di donne ad alto rischio per patologia cervicale con la popolazione generale; è infatti noto come i fattori di rischio per la CIN siano sovrapponibili a quelli per il parto pretermine e come la stessa neoplasia cervicale intraepiteliale possa esser ritrovata con frequenza maggiore nelle donne che vanno incontro a parto prematuro (28). Già precedentemente alcuni Autori avevano dedotto il ruolo confondente dei fattori di rischio per la neoplasia cervicale nella valutazione della correlazione conizzazione/parto prematuro. Ad esempio nel 2007 Nohr et al. hanno pubblicato uno studio di coorte di 15000 gravidanze osservando un rischio di parto pretermine aumentato di quasi 2 volte nelle donne sottoposte in precedenza a LLETZ (OR 1,8; IC 95%, 1,1-2,9) ed individuando altre variabili come il fumo di sigaretta durante la gravidanza, pregressi parti pretermine o il basso stato socio-economico tra i fattori ad alto rischio per l’espletamento del parto prima delle 37 settimane gestazionali (41). In accordo con tali dati, nel 2010 Van de Vijver et al. hanno ritrovato che le donne sottoposte a conizzazione avevano un maggior rischio di parto pretermine e di basso peso alla nascita nelle future gravidanze ma specificavano, anche, come non fosse chiaro quanto questo fosse dovuto alla procedura stessa o ai fattori collegati con la CIN (42). Un disegno di studio sovrapponibile a quello di Andia, è stato il lavoro di Albrechtsen et al. del 2008 ma i risultati ottenuti non sono simili (43). Nella discussione dei dati ottenuti, Andia et al. hanno analizzato le possibili motivazioni di tale discordanza ed hanno concluso che ciò può dipendere dalla non omogeneità del campione analizzato nello studio precedente dal momento che era stato preso in considerazione un intervallo di tempo eccessivamente ampio (1967-2003) in cui le abitudini CLaolposcopia in Italia della popolazione presa in esame potevano essersi modificati così come le tecniche chirurgiche. In contrapposizione a tali dati, i risultati di altri studi che hanno utilizzato dei disegni simili non hanno dimostrato un aumento degli outcome ostetrici sfavorevoli dopo LEEP. (11,44-48) Acharya et al., in particolare, hanno analizzato mediante uno studio retrospettivo caso controllo gli outcome ostetrici di 89 donne dopo LEEP confrontate con 158 donne di controllo. Non hanno osservato una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi in termini di peso alla nascita o di incidenza di parto prematuro. Tuttavia è stato notato un aumento di quattro volte del rischio di parto pretermine (OR 4.0, IC 95%, 1.0-16.0; p=0.05) e basso peso alla nascita (OR 14.0; 95 % IC 1.7-114; p=0.01) nel sottogruppo di donne con un’altezza del cono maggiore di 25 millimetri (11,46). Lo studio retrospettivo di Bruinsma et al. del 2007 ha mostrato un aumento di rischio di parto prematuro in donne che avevano avuto un precedente riscontro di CIN, indipendentemente dal fatto che siano state sottoposte o meno a LEEP. Questo risultato suggerisce che il rischio di parto prima delle 37 settimane di gestazione sia maggiore nella popolazione con diagnosi di CIN rispetto al gruppo di controllo, ma indipendente dall’utilizzo della LEEP. (47) Nel 2008 Arbyn et al. hanno effettuato una metanalisi in cui hanno esaminato i dati di 7 studi con 3600 donne trattate con LEEP prima della gravidanza: non hanno riportato nessun aumento del rischio di parto pretermine in epoca gestazionale inferiore a 32 o 34 settimane di gestazione (RR 1.2, IC 95%, 0.5-2.9) o del tasso di mortalità perinatale (RR, 1.17; 95% CI, 0.74-1.87), ma hanno notato un aumento di tale rischio nelle donne trattate con conizzazione a lama fredda. Nonostante la mancanza della dimostrazione di un aumentato tasso di parto pretermine a qualsiasi epoca gestazionale, gli autori sono stati cauti ed hanno concluso che la LEEP non può essere considerata completamente priva di outcome avversi (29). Probabilmente la mancanza di eventi avversi con le tecniche ablative e la crioterapia è dovuta al fatto che la profondità di tessuto distrutto è di circa 5 mm, mentre con i trattamenti escissionali è solitamente più profonda e centrale (13). Nel 2010 il gruppo di Werner ha effettuato uno studio retrospettivo su una popolazione di 241701 donne che avevano partorito tra il 1992 e il 2008 in un singolo centro, e tra queste 511 erano state sottoposte a LEEP nello stesso ospedale prima della gravidanza e 842 erano state sottoposte a LEEP dopo la gravidanza. Tenendo conto di fattori di confondimento quali l’età, l’etnia e la nulliparità, gli Autori non hanno riscontrato una differenza statisticamente significativa nell’incidenza di parto prematuro tra la popolazione generale e le pazienti sottoposte a LEEP prima o dopo la gravidanza. Addirittura, è emerso che l’unica differenza significativa fos- SICPCV se nella direzione opposta, tanto che il rischio di parto prematuro tra le 34 e le 36 settimane di gestazione fosse ridotto nelle donne sottoposte a LEEP, anche se tale risultato potrebbe essere attribuito alle caratteristiche demografiche delle pazienti in studio e al non aver considerato il fumo come fattore confondente (48). In un lavoro uscito recentemente, Frey et al. hanno effettuato un’analisi secondaria di uno studio di coorte retrospettivo multicentrico. Hanno valutato se esistesse un aumentato ricorso al taglio cesareo nel gruppo di 598 donne sottoposte a LEEP prima della gravidanza (gruppo A) rispetto al gruppo di 588 donne che avevano effettuato solamente lo screening citologico (gruppo B) e al gruppo di 552 donne che avevano effettuato una biopsia cervicale prima della gravidanza (gruppo C). Dopo l’aggiustamento per i fattori confondenti, sono emersi tassi simili di taglio cesareo sia dopo il confronto tra il gruppo A ed il gruppo B (31.6% vs 29.3%, OR 1.06, IC 95% 0,79-1,41) sia dopo il confronto tra gruppo A e gruppo C (31.6% vs 29,0%, OR aggiustato 0,99, IC 95% 0,74-1,33) (49). Riguardo alla possibile utilità di valutazioni seriate della cervice uterina in gravide con pregressa LEEP, non esiste una concordanza in letteratura. Nel 1995 Ricciotti et al. hanno misurato ecograficamente la lunghezza della cervice prima e dopo la LEEP ed hanno dimostrato che esiste una forte relazione tra l’altezza del cono del tessuto escisso e la riduzione della lunghezza del collo e forse quindi indirettamente con il rischio di parto pretermine (50). Al contrario nel 2000 Althuisius et al. hanno osservato che 56 donne gravide appartenenti ad un gruppo di 185 donne con meno di 40 anni sottoposte a LEEP non hanno avuto un rischio aumentato di parto pretermine. Hanno affermato quindi che la LEEP non è da considerare un’indicazione per valutazioni seriate della cervice in gravidanza (51). Tecniche ablative Alcuni studi caso-controllo retrospettivi hanno esaminato le procedure ablative, fornendo dei risultati contradditori. Su 4 studi, 3 hanno concluso che non vi è un aumentato rischio di parto pretermine dopo ablazione laser della cervice, sebbene l’altro studio riporti un rischio relativo di 1.39 (95% CI, 1.18-1.63) (4,9,34). Nel 1999 van Rooijen et al. ed El-Bastawissi et al., Crane nel 2003, Kyrgiou nel 2006 ed Arbyn nel 2008 hanno riportato un rischio non aumentato di outcomes ostetrici sfavorevoli dopo vaporizzazione laser e crioterapia (1,6,27,29,52). In particolare, Arbyn et al. hanno riportato un rischio relativo complessivo di parto pretermine di 0.87 (IC 95%, 0.53-1.45) considerando complessivamente le tecniche ablative (29), risultato simile a quello riportato da Kyrgiou et al. per la ablazione laser (RR 0.87, 95% CI, CLaolposcopia in Italia 0.63-1.20) (1). Nessuna delle due metanalisi ha indicato un incremento di incidenza di neonati con basso peso alla nascita da donne trattate con tecniche ablative. L’unico gruppo che ha segnalato un aumento di complicanze ostetriche dopo trattamenti ablativi per CIN è stato quello di Jakobsson nel 2007 che ha riportato un RR di parto pretermine di 1.47 (95% CI, 1.29-1.67) tra le 9000 donne sottoposte ad ablazione (tenendo conto delle variabili come il fumo, l’età e la parità) (53). Al contrario, nello studio di Noehr del 2009 già citato si è visto che l’ablazione è associata ad aumento del rischio di parto pretermine rispetto ai controlli, OR 1.40 (95% CI, 1.13-1.73) (38). Outcome ostetrici post conizzazione: procedure a confronto Riguardo alla scelta della procedura di conizzazione in relazione al desiderio di una futura gravidanza, Mathevet et al. nel 2003 hanno dimostrato, con uno studio prospettico randomizzato, che non vi sono differenze statisticamente significative nell’outcome ostetrico tra conizzazione a lama fredda e LEEP, (54) mentre Crane et al. nel 2006 hanno effettuato uno studio che mostrava che entrambe le procedure erano associate ad un raccorciamento della lunghezza della cervice e ad un rischio di parto prematuro prima delle 37 settimane (55). Shanbhag et al. nel 2009 non hanno osservato differenze negli outcomes ostetrici in base ai diversi trattamenti utilizzati (LEEP, escissione laser, conizzazione a lama fredda) (56). Nel 2010 Nam et al. hanno effettuato uno studio su 65 donne in gravidanza che avevano effettuato una LEEP o una conizzazione a lama fredda. Dai dati ricavati dall’analisi univariata è stata evidenziata una correlazione statisticamente significativa tra parto pretermine e tipo di conizzazione, volume del cono e lunghezza cervicale nel II trimestre (rispettivamente p≤0.001, p=0.019, p≤0.001), mentre nell’analisi multivariata è stata evidenziata una correlazione statisticamente significativa tra parto pretermine e lunghezza cervicale nel II trimestre (p=0.012, OR 0.194, 95% IC 0.055-0.693) (57). Nel 2011 Armarnik et al. hanno effettuato un’analisi retrospettiva comparando l’outcome ostetrico di 53 pazienti sottoposte a conizzazione (43.1% LEEP, 17.1% lama fredda, 4.9% laser, 34.1% altro) e 104670 donne non sottoposte a tale procedura. Nel primo gruppo sono state riscontrate una maggiore incidenza di cerchiaggio per incompetenza cervicale, di taglio cesareo (24.6%) e di morte neonatale (8.77%). Bisogna però tenere in considerazione che i due gruppi erano disomogenei in termini di età (rispettivamente 32.22 ± 4.58 vs 29.52 ± 5.53, p<0.001), di epoca gestazionale al parto (rispettivamente 37.31 ± 4.09 vs 39.07 ± 2.32, p <0.001) ed incidenza di 25 26 SICPCV complicanze ostetriche. Gli Autori hanno notato, dopo aver eliminato i fattori di confondimento, un rischio di parto prematuro prima delle 34 settimane aumentato di almeno tre volte nelle donne sottoposte a conizzazione rispetto a quelle non sottoposte a tale procedura (OR 2.8, 95 % CI 1.3-6.1). Non sono state, invece, riscontrate differenze significative negli outcomes ostetrici e perinatali tra i due sottogruppi di donne sottoposte a cerchiaggio cervicale dopo conizzazione (58). Ruolo della cervicometria post conizzazione Studi presenti in letteratura hanno evidenziato che la stima ecografica della lunghezza della cervice uterina mediante la tecnica dell’ecografia transvaginale possa essere ritenuta un fattore predittivo del rischio di parto prematuro. Non esistono, invece, risultati univoci degli effetti della LEEP sulla misura ecografica della cervicometria. Il primo studio condotto in questo senso su una coorte di gestanti sottoposte a chirurgia cervicale prima della gravidanza è stato quello di Berghella et al del 2004 il cui obiettivo è stato di andare a valutare l’accuratezza predittiva della misurazione ecografica della cervice uterina per parto prematuro nel gruppo selezionato. I risultati ottenuti hanno dimostrato come il rilievo di una lunghezza cervicale inferiore a 25 mm a 24 settimane di gestazione sia più frequente nelle donne sottoposte a conizzazione a lama fredda e a conizzazione laser piuttosto che a LEEP; nella coorte analizzata, una cervicometria inferiore a 25 mm è stata associata con un rischio statisticamente significativo di parto prima delle 35 settimane gestazionali (RR 4.75, IC 95% 1.5715.33), associazione confermata anche nel sottogruppo di gestanti che avevano come unico fattore di rischio la precedente procedura escissionale a livello cervicale (RR 5.43, IC 95% 1.57-20.47). La presenza di funneling associato determinava un maggior tasso di parti prematuri (59). Nel 2006 Crane et al. hanno condotto uno studio di coorte prospettico su un gruppo di donne in gravidanza con anamnesi positiva per trattamento cervicale in seguito al riscontro di neoplasia intraepiteliale (LEEP, crioterapia e conizzazione a lama fredda) e due gruppi di controllo, l’uno comprendente gestanti con storia di parto prima delle 37 settimane di gestazione in assenza di trattamento cervicale e l’altro costituito da donne a basso rischio per parto prematuro e senza storia di procedure cervicali per displasia. Dalla comparazione dei dati relativi alla cervicometria ottenuta attraverso ecografia transvaginale a 20 settimane di gestazione gli Autori hanno dedotto come questa sia in media di misura minore nelle gravide sottoposte ai trattamenti CLaolposcopia in Italia sopra riportati e in quelle con pregressa storia di parto pretermine rispetto al gruppo a basso rischio, e come la lunghezza cervicale nei primi due gruppi sia più frequentemente inferiore ai 30 mm. I risultati ottenuti non hanno mostrato una maggiore incidenza di funneling nelle donne sottoposte a trattamento cervicale (55). Nel 2010 Fischer et al. in uno studio di coorte prospettico osservazionale hanno confrontato la lunghezza della cervice a 15-22 settimane di gestazione tra il gruppo di 85 gravide con pregressa LEEP ed il gruppo di 85 gravide, appaiate per età, razza, settimane gestazionali e parità. Sono emersi valori medi di cervicometria significativamente inferiori nel gruppo con precedente LEEP (3.3 cm vs 3.9 cm, p<0.001); non è stata osservata invece nessuna differenza statisticamente significativa nella percentuale di casi con cervicometria inferiore a 2.5 cm (5.9 vs 2.4%) (60). Usando il cut-off di 30 mm l’ecografia trans vaginale è risultata avere un fattore predittivo positivo del 53.8% e negativo di 95.2 % per parto prematuro nelle donne sottoposte prima della gravidanza a LEEP (55). Ruolo del cerchiaggio cervicale preventivo post conizzazione Il cerchiaggio cervicale è uno dei trattamenti effettuati in gravidanza per ridurre il rischio di parto prematuro determinato da incompetenza cervicale; viene effettuato o a scopo preventivo durante il primo trimestre o dopo il rilevamento dei cambiamenti della cervice uterina durante la gravidanza stessa. Sietske et al. nel 2001 hanno valutato l’outcome ostetrico di pazienti con riscontro di lunghezza cervicale inferiore ai 25 mm ed anamnesi positiva per parto pretermine dopo posizionamento di cerchiaggio cervicale, seguito da bed rest; hanno riportato che in tali donne la procedura ha prolungato la durata della gravidanza e ridotto il rischio di morte neonatale rispetto alle donne sottoposte solamente a bed rest (11). Zeisler et al. nel 1997 hanno riportato che il cerchiaggio profilattico in donne sottoposte a conizzazione non diminuisce il numero di parti prematuri, ma aumenta di due volte il numero di ospedalizzazioni durante la gravidanza (p=0.006) (61). Nel 2010 Shin et al. hanno effettuato uno studio retrospettivo su 56 donne gravide dopo LEEP delle quali 25 sottoposte a cerchiaggio e 31 sottoposte a management d’attesa. I due gruppi erano simili per caratteristiche demografiche, indicazione alla conizzazione e profondità del cono. Si sono osservati outcome ostetrici sovrapponibili tra i due gruppi e ne è quindi risultato che il cerchiaggio non è preventivo (62). Ad oggi non esistono perciò indicazioni ad effettuare il cerchiaggio cervicale nelle donne sottoposte a conizzazione dal momento che è ancora argomento di discussione se il CLaolposcopia in Italia SICPCV cerchiaggio come tecnica preventiva riduca o meno il rischio di parto prematuro nella popolazione genericamente a rischio. Il ricorso al cerchiaggio per via addominale potrebbe essere giustificato solo nei casi in cui, per prevenire la fertilità, si ricorra a trachelectomia totale. In letteratura sono presenti dei lavori che hanno valutato l’outcome ostetrico di donne con posizionamento di cerchiaggio addominale in occasione dell’intervento di trachelectomia radicale: i risultati hanno evidenziato come il buon esito della gravidanza sia stato possibile nei casi in cui il cerchiaggio si era mantenuto in sede (63). Conclusioni Nonostante sia difficile stabilire se esista un’associazione fra trattamenti cervicali per CIN ed outcome sfavorevoli materno-neonatali, dal momento che sussistono fattori di rischio comuni (il fumo, le malattie sessualmente trasmesse, il numero di partner, l’età, la parità e l’ambiente socio-economico di appartenenza), dai dati emersi dagli studi più recenti si può affermare che non esista un aumentato rischio di parto pretermine o rottura prematura delle membrane amnio coriali pretermine in donne con pregressa conizzazione cervicale qualora la profondità del cono sia inferiore ai 10-15 mm, in base agli studi presi in considerazione e che tale rischio sia aumentato proporzionalmente all’aumentare dell’altezza e volume del cono. Dall’analisi della letteratura emerge, inoltre, che, nonostante il dato che la lunghezza media della cervice durante il II trimestre sia inferiore nelle donne con pregresse conizzazione cervicale rispetto alla popolazione a basso rischio di parto pretermine, non vi è indicazione ad effettuare un controllo ecografico seriato della lunghezza della cervice in donne con pregresso trattamento cervicale, dal momento che non è stato osservato un miglioramento degli outcome materno-neonatali dopo l’effettuazione del cerchiaggio cervicale nel sottogruppo di donne con cervicometria inferiore ai 25 mm. Bibliografia 1. Kyrgiou M, Koliopoulos G, Martin-Hirsch P, Arbyn M, Prendiville W, Paraskevaidis E. Obstetric outcomes after conservative treatment for intraepithelial or early invasive cervical lesions: systematic review and meta-analysis Lancet 2006;367:489-98. 2. ACOG Practice Bullettin Number 99, December 2008. Management of abnormal cervical cytology and histology. 3. 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Flacone da 130 ml. 130 ml contengono: Principio attivo: Metronidazolo 1 g. Eccipienti: contiene sodio metil p-idrossibenzoato e sodio propil p-idrossibenzoato. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA: Crema vaginale. Soluzione vaginale. 4. INFORMAZIONI CLINICHE: 4.1 Indicazioni terapeutiche: Crema vaginale. Cervico-vaginiti e vulvo-vaginiti causate da Trichomonas vaginalis anche se associato a Candida albicans, Gardnerella vaginalis ed altra flora batterica sensibile. MECLON® crema vaginale può essere impiegato anche nel partner a scopo profilattico. Soluzione vaginale. Coadiuvante nella terapia di cervico-vaginiti, vulvo-vaginiti causate da Trichomonas vaginalis anche se associato a Candida albicans, Gardnerella vaginalis ed altra flora batterica sensibile. MECLON® soluzione vaginale può essere impiegato anche dopo altra terapia topica od orale, allo scopo di ridurre il rischio di recidive. 4.2 Posologia e modo di somministrazione: Crema vaginale. Somministrare profondamente in vagina il contenuto di un applicatore una volta al giorno per almeno sei giorni consecutivi, preferibilmente alla sera prima di coricarsi, oppure secondo prescrizione medica. Nelle trichomoniasi, maggior sicurezza di risultato terapeutico si verifica con il contemporaneo uso di Metronidazolo per via orale sia nella donna non gestante che nel partner maschile. Per un’ottimale somministrazione si consiglia una posizione supina, con le gambe leggermente piegate ad angolo. Per ottenere una migliore sterilizzazione è preferibile spalmare un pò di MECLON® crema vaginale anche esternamente, a livello perivulvare e perianale. Se il medico prescrive il trattamento del partner a scopo profilattico, la crema deve essere applicata sul glande e sul prepuzio per almeno sei giorni. Istruzioni per l’uso: Dopo aver riempito di crema un applicatore, somministrare la crema in vagina mediante pressione sul pistone, fino a completo svuotamento. Soluzione vaginale. Somministrare la soluzione vaginale pronta una volta al giorno, preferibilmente al mattino, oppure secondo prescrizione medica. Nella fase di attacco l’uso della soluzione vaginale deve essere associato ad adeguata terapia topica e/o orale. L’irrigazione va eseguita preferibilmente in posizione supina. Un lento svuotamento del flacone favorirà una più prolungata permanenza in vagina dei principi attivi e quindi una più efficace azione antimicrobica e detergente. Istruzioni per l’uso: Dopo aver versato il contenuto del flaconcino nel flacone, inserire la cannula vaginale sul collo del flacone stesso. Introdurre la cannula in vagina e somministrare l’intero contenuto. 4.3 Controindicazioni: Ipersensibilità verso i principi attivi od uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4 Avvertenze speciali e opportune precauzioni d’impiego: Evitare il contatto con gli occhi. Il consigliato impiego contemporaneo di Metronidazolo per via orale è soggetto alle controindicazioni, effetti collaterali ed avvertenze descritte per il prodotto summenzionato.Evitare il trattamento durante il periodo mestruale. Tenere il medicinale fuori dalla portata e dalla vista dei bambini. 4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione: Nessuna. 4.6 Gravidanza e allattamento: In gravidanza il prodotto deve essere impiegato solo in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo del medico. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari: MECLON® non altera la capacità di guidare veicoli o di usare macchinari. 4.8 Effetti indesiderati: Dato lo scarso assorbimento per applicazione locale dei principi attivi Metronidazolo e Clotrimazolo, le reazioni avverse riscontrate con le formulazioni topiche sono limitate a: Disturbi del sistema immunitario: Non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili): reazioni di ipersensibilità. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo: Molto rari (frequenza <1/10.000): fenomeni irritativi locali quale prurito, dermatite allergica da contatto, eruzioni cutanee. L’eventuale manifestarsi di effetti indesiderati comporta l’interruzione del trattamento. 4.9 Sovradosaggio: Non sono stati descritti sintomi di sovradosaggio. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE: 5.1 Proprietà farmacodinamiche: Categoria farmacoterapeutica: Antinfettivi ed antisettici ginecologici/Associazioni di derivati imidazolici - Codice ATC: G01AF20. Meccanismo d’azione/ effetti farmacodinamici: Il MECLON® è una associazione tra Metronidazolo (M) e Clotrimazolo (C). Il (M) è un derivato nitroimidazolico ad ampio spettro di azione antiprotozoaria e antimicrobica. Ha effetto trichomonicida diretto ed è attivo su cocchi Gram-positivi anaerobi, bacilli sporigeni, anaerobi Gram-negativi. Presenta attività spiccata sulla Gardnerella vaginalis. Non è attivo sulla flora acidofila vaginale. Il (C) è un imidazolico con spettro antifungino molto ampio (Candida, etc.). È attivo anche su Trichomonas vaginalis, cocchi Gram-positivi, Toxoplasmi, etc. È stato documentato che l’associazione Clotrimazolo-Metronidazolo dà luogo ad effetti di tipo additivo, pertanto essa è in grado di conseguire tre vantaggi terapeutici principali: 1) Ampliamento dello spettro d’azione antimicrobica, per sommazione degli effetti dei due principi attivi; 2) Potenziamento dell’attività antimicotica, antiprotozoaria ed antibatterica; 3) Abolizione o ritardo della comparsa dei fenomeni di resistenza. Studi microbiologici in vitro hanno dimostrato che l’attività trichomonicida e antimicotica risulta potenziata quando il (M) e il (C) sono associati nelle stesse proporzioni che sono presenti nel MECLON®. Anche l’attività antibatterica esaminata su diversi ceppi di microorganismi è risultata elevata ed è emerso un potenziamento di essa quando i due principi attivi del MECLON® vengono associati. 5.2 Proprietà farmacocinetiche: Dalle indagini farmacocinetiche sui conigli, cani e ratti risulta che dopo ripetute applicazioni topiche di MECLON® non si rilevano concentrazioni apprezzabili di Clotrimazolo e Metronidazolo nel sangue. Per applicazione vaginale nella donna il (M) e il (C) vengono assorbiti in una percentuale che varia tra il 10% e il 20% circa. 5.3 Dati preclinici di sicurezza: La tossicità acuta del MECLON® nel topo e nel ratto (os) è risultata molto bassa, con una mortalità di appena il 20% dopo 7 giorni, a dosi molto elevate (600 mg/Kg di (C) e 3000 mg/Kg di (M), sia da soli che associati). Nelle prove di tossicità subacuta (30 giorni) il MECLON®, somministrato per via locale (genitale) nel cane e nel coniglio, non ha determinato alcun tipo di lesione nè locale nè sistemica anche per dosi molte volte superiori a quelle comunemente impiegate in terapia umana (3-10 Dtd nel cane e 100-200 Dtd nel coniglio; 1 Dtd = dose terapeutica/die per l’uomo = ca. 3,33 mg/Kg di (C) e ca. 16,66 mg/Kg di (M)). Il MECLON® somministrato durante il periodo di gravidanza per via topica vaginale nel coniglio e nel ratto non ha fatto evidenziare alcun segno di sofferenza fetale per dosi die di 100 Dtd, nè influssi negativi sullo stato gestazionale. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE: 6.1 Elenco degli eccipienti: Crema vaginale. Eccipienti: Stearato di glicole e polietilenglicole; Paraffina liquida; Sodio metile p-idrossibenzoato; Sodio propile p-idrossibenzoato; Acqua depurata. Soluzione vaginale. Flacone da 10 ml. Eccipienti: Alcool ricinoleilico; Etanolo; Acqua depurata. Flacone da 130 ml. Eccipienti: Sodio metile p-idrossibenzoato; Sodio propile p-idrossibenzoato; Acqua depurata. 6.2 Incompatibilità: Non sono note incompatibilità con altri farmaci. 6.3 Periodo di validità: Crema vaginale: 3 anni. Soluzione vaginale: 3 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione: Questo medicinale non richiede alcuna particolare condizione per la conservazione. 6.5 Natura e contenuto del contenitore: MECLON® crema vaginale. Tubo in alluminio verniciato internamente con resine epossidiche e fenoliche. Gli applicatori monouso sono di polietilene. Tubo da 30 g + 6 applicatori monouso. MECLON® soluzione vaginale. Flaconi di polietilene a bassa densità; flaconcini di polietilene; cannule vaginali di polietilene. 5 flaconi da 10 ml + 5 flaconi da 130 ml + 5 cannule vaginali monouso. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione: Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO: ALFA WASSERMANN S.p.A. - Sede legale: Via E. Fermi, n. 1 - Alanno (PE). Sede amministrativa: Via Ragazzi del ‘99, n. 5 - Bologna. 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO: MECLON crema vaginale: A.I.C. n. 023703046. MECLON soluzione vaginale: A.I.C. n. 023703059. 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE: 11.05.1991 (GU 07.10.1991) / 01.06.2010. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO: Determinazione AIFA del 27 Ottobre 2010. 20% + 4% crema vaginale, tubo da 30 g + 6 applicatori Prezzo: € 11,50 200 mg/10 ml + 1 g/130 ml soluzione vaginale, 5 flac. 10 ml + 5 flac. 130 ml + 5 cannule Prezzo: € 13,80 Medicinale non soggetto a prescrizione medica (SOP) CLASSE C RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE: MECLON® “100 mg + 500 mg ovuli”. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA: Un ovulo da 2,4 g contiene: Principi attivi: Metronidazolo 500 mg; Clotrimazolo 100 mg. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1 3. FORMA FARMACEUTICA: Ovuli. 4. INFORMAZIONI CLINICHE: 4.1 Indicazioni terapeutiche: Cerviciti, cervico-vaginiti, vaginiti e vulvo-vaginiti da Trichomonas vaginalis anche se associato a Candida o con componente batterica. 4.2 Posologia e modo di somministrazione: Lo schema terapeutico ottimale risulta il seguente: 1 ovulo di MECLON® in vagina, 1 volta al dì. 4.3 Controindicazioni: Ipersensibilità verso i principi attivi od uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4 Avvertenze speciali e opportune precauzioni d’impiego: Evitare il contatto con gli occhi. Il consigliato impiego contemporaneo di Metronidazolo per via orale è soggetto alle controindicazioni, effetti collaterali ed avvertenze descritte per il prodotto summenzionato. MECLON® ovuli va impiegato nella prima infanzia sotto il diretto controllo del medico e solo nei casi di effettiva necessità. Tenere il medicinale fuori dalla portata e dalla vista dei bambini. 4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione: Nessuna. 4.6 Gravidanza e allattamento: In gravidanza il prodotto deve essere impiegato solo in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo del medico. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari: MECLON® non altera la capacità di guidare veicoli o di usare macchinari. 4.8 Effetti indesiderati: Dato lo scarso assorbimento per applicazione locale dei principi attivi Metronidazolo e Clotrimazolo, le reazioni avverse riscontrate con le formulazioni topiche sono limitate a: Disturbi del sistema immunitario: Non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili): reazioni di ipersensibilità. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo: Molto rari (frequenza <1/10.000): fenomeni irritativi locali quale prurito, dermatite allergica da contatto, eruzioni cutanee. L’eventuale manifestarsi di effetti indesiderati comporta l’interruzione del trattamento. 4.9 Sovradosaggio: Non sono stati descritti sintomi di sovradosaggio. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE: 5.1 Proprietà farmacodinamiche: Categoria farmacoterapeutica: Antinfettivi ed antisettici ginecologici Associazioni di derivati imidazolici - Codice ATC: G01AF20. Meccanismo d’azione/effetti codinamici: Il MECLON® è una associazione tra metronidazolo (M) e clotrimazolo (C). Il (M) è un derivato nitroimidazolico ad ampio spettro di azione antiprotozoaria e antimicrobica. Ha effetto trichomonicida diretto ed è attivo su cocchi Gram-positivi anaerobi, bacilli sporigeni, anaerobi Gram-negativi. Presenta attività spiccata sulla Gardnerella vaginalis. Non è attivo sulla flora acidofila vaginale. Il (C) è un imidazolico con spettro antifungino molto ampio (Candida, etc.). È attivo anche su Trichomonas vaginalis, cocchi Gram-positivi, Toxoplasmi, etc. È stato documentato che l’associazione Clotrimazolo-Metronidazolo dà luogo ad effetti di tipo additivo, pertanto essa è in grado di conseguire tre vantaggi terapeutici principali: 1) Ampliamento dello spettro d’azione antimicrobica, per sommazione degli effetti dei due principi attivi; 2) Potenziamento dell’attività antimicotica, antiprotozoaria ed antibatterica; 3) Abolizione o ritardo della comparsa dei fenomeni di resistenza. Studi microbiologici in vitro hanno dimostrato che l’attività trichomonicida e antimicotica risulta potenziata quando il (M) e il (C) sono associati nelle stesse proporzioni che sono presenti nel MECLON®. Anche l’attività antibatterica esaminata su diversi ceppi di microorganismi è risultata elevata ed è emerso un potenziamento di essa quando i due principi attivi del MECLON® vengono associati. 5.2 Proprietà farmacocinetiche: Dalle indagini farmacocinetiche sui conigli, cani e ratti risulta che dopo ripetute applicazioni topiche di MECLON® non si rilevano concentrazioni apprezzabili di Clotrimazolo e Metronidazolo nel sangue. Per applicazione vaginale nella donna il (M) e il (C) vengono assorbiti in una percentuale che varia tra il 10% e il 20% circa. 5.3 Dati preclinici di sicurezza: La tossicità acuta del MECLON® nel topo e nel ratto (os) è risultata molto bassa, con una mortalità di appena il 20% dopo 7 giorni, a dosi molto elevate (600 mg/Kg di (C) e 3000 mg/Kg di (M), sia da soli che associati). Nelle prove di tossicità subacuta (30 giorni) il MECLON®, somministrato per via locale (genitale) nel cane e nel coniglio, non ha determinato alcun tipo di lesione nè locale nè sistemica anche per dosi molte volte superiori a quelle comunemente impiegate in terapia umana (3-10 Dtd nel cane e 100-200 Dtd nel coniglio; 1 Dtd = dose terapeutica/die per l’uomo = ca. 3,33 mg/Kg di (C) e ca. 16,66 mg/Kg di (M)). Il MECLON® somministrato durante il periodo di gravidanza per via topica vaginale nel coniglio e nel ratto non ha fatto evidenziare alcun segno di sofferenza fetale per dosi die di 100 Dtd, nè influssi negativi sullo stato gestazionale. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE: 6.1 Elenco degli eccipienti: Eccipienti: Miscela idrofila di mono, di, tri-gliceridi di acidi grassi saturi. 6.2 Incompatibilità: Non sono note incompatibilità con altri farmaci. 6.3 Periodo di validità: 3 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione: Questo medicinale non richiede alcuna particolare condizione per la conservazione. 6.5 Natura e contenuto del contenitore: 10 ovuli in valve in PVC, racchiusi in scatola di cartone. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione: Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO: ALFA WASSERMANN S.p.A. - Sede legale: Via E. Fermi, n. 1 - Alanno (PE). Sede amministrativa: Via Ragazzi del ‘99, n. 5 - Bologna. 8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO: A.I.C. n. 023703010. 9.DATA DELLA PRIMAAUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE: 27.11.1978 (GU 16.01.1979) / 01.06.2010. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO: Determinazione AIFA del 27 Ottobre 2010. 100 mg + 500 mg ovuli, 10 ovuli Prezzo: € 11,50 Medicinale non soggetto a prescrizione medica (SOP) CLASSE C 70,0 0 Accreditamento professionale in colposcopia e fisiopatologia del tratto genitale inferiore settanta/00 7 0,0 0 Prosegue la positiva esperienza della Società Italiana di Colposcopia e patologia cervico vaginale (SICPCV) per l’accreditamento professionale in colposcopia e fisiopatologia del tratto genitale inferiore. Coloro che vorranno sottoporsi a questo test di autovalutazione potranno farlo in occasione del corso di Corsi o Congressi che ne daranno informazione. L’esame è indipendente dallo svolgimento e dalla partecipazione al corso. Vi potranno partecipare, volontariamente e gratuitamente, tutti i soci in regola ed in possesso dei requisiti di idoneità. Le modalità di iscrizione e di autocertificazione sono indicate nella scheda, scaricabile dal sito www.colposcopiaitaliana.it. Con l’Educazione Continua in Medicina (ECM) lo specialista soddisfa i criteri obbligatori per l’aggiornamento dal punto di vista istituzionale. Le Società Scientifiche possono attribuire l’accreditamento in materie specialistiche. Quest’ultimo aspetto, contrariamente al primo, è facoltativo, ma dovrebbe in futuro, diventare una caratteristica fondamentale per garantire ottimali standard di lavoro. Con queste finalità si è impegnata la SICPCV, riuscendo così ad organizzare, come precedentemente riportato, la prima sessione d’esame per l’accreditamento. Nel corso dell’anno, date e sedi verranno annunciate al fine di soddisfare le esigenze di tutti i soci che ne faranno richiesta. Come modalità di valutazione della preparazione del candidato è stato scelto il metodo dei quiz. È stato realizzato un programma computerizzato con 500 test. Il candidato dovrà rispondere a 50 di questi test, che il computer sceglierà casualmente. Naturalmente i testi delle domande sono protetti da una serie di password che ne impediscono la lettura e la modifica. Per ogni domanda sono previste 3 risposte, di cui una sola sarà esatta. La domanda può essere formulata anche su un’immagine colposcopica. Per superare il test e quindi ottenere il diploma di accreditamento, bisogna rispondere ad almeno 40 quesiti sui 50 presenti. Se le risposte esatte sono inferiori a 30 il test non è stato superato. Se le risposte esatte sono fra le 30 e le 39, il candidato verrà sottoposto immediatamente ad un’ulteriore verifica condotta su 30 domande. In questa ultima evenienza il test sarà superato se le risposte esatte saranno almeno 25. A giudicare i candidati sarà un’apposita commissione formata da 4 membri nominati per ogni sessione d’esame dal consiglio direttivo della SICPCV. Allo specialista che avrà superato la prova l’esame la SICPCV rilascerà un diploma di accreditamento che avrà la validità di 3 anni. Il candidato che non supera l’esame dovrà attendere almeno 6 mesi prima di ripresentarsi. Dopo 2 esami consecutivi non superati, dovranno trascorrere almeno 12 mesi per ripresentarsi. Si consiglia inoltre a tutti i soci di consultare regolarmente il nostro sito web www.colposcopiaitaliana.it. È possibile avere ulteriori chiarimenti inviando una email a [email protected] o un fax al numero 059/5160097. settanta/00 a cura della SICPCV CLaolposcopia in Italia SICPCV Notiziario della Società a cura del dr. Fausto Boselli Le notizie e gli aggiornamenti di Corsi e Convegni saranno disponibili nel nostro sito: www.colposcopiaitaliana.it Per contattare la Segreteria della SICPCV potete scrivere a [email protected] Infine vi ricordo le modalità di iscrizione o di rinnovo della quota associativa. La Quota Associativa Annuale è di € 70,00. Essa da diritto a: • diventare Socio effettivo della S.I.C.P.C.V.; • ricevere la rivista “La Colposcopia in Italia”; • partecipare gratuitamente al Congresso Nazionale annuale della Società. Rinnovo Quota Annuale (per chi è già Socio): • ritagliare il bollettino stampato a fianco; • compilare, in modo leggibile, il frontespizio con i propri dati anagrafici; • barrare la casella che indica: Rinnovo quota sociale; • effettuare il versamento presso l’Ufficio Postale; • conservare la Ricevuta. Iscrizione alla Società (per diventare Socio): • ritagliare il bollettino stampato a fianco; • compilare, in modo leggibile, il frontespizio con i propri dati anagrafici; • barrare la casella che indica: Nuovo Socio, Prima iscrizione; • effettuare il versamento presso l’Ufficio Postale; • conservare la Ricevuta; • inviare alla Sede della Società la domanda di iscrizione, allegando copia del versamento; • la domanda e copia del versamento devono essere inviate al seguente indirizzo: S.I.C.P.C.V. Via dei Soldati, 25 – 00186 Roma • la domanda deve essere scritta su carta intestata o ricettario, occorre specificare: titolo di studio, specializzazione, telefono, attività svolta, luogo di lavoro, recapito per la corrispondenza. Variazioni di Indirizzo Si ricorda a tutti i Soci di comunicare tempestivamente le variazioni di indirizzo. La comunicazione deve essere inviata sia alla sede di Roma, sia alla Redazione della Rivista: • S.I.C.P.C.V. Via dei Soldati, 25 – 00186 Roma tel. e fax 06/6868142; • dr. Boselli Fausto Redazione “La Colposcopia in Italia” Via Brescia, 5 – 41041 Casinalbo MO – tel. 059/551685 – fax 059/5160097 – email: [email protected] (indirizzo da utilizzare anche per la corrispondenza che riguarda la Rivista). Cod. MC-11-002 meclon crema vaginale O meclon ovuli O meclon soluzione vaginale O Depositato presso l’AIFA in data 08/02/2011 Confezioni