BESTIARIO silvio merlino. il colibrì va alla guerra. Dipinti: Silvio Merlino Sculture: Tobia Ravà Spazio Lazzari 21|09|2012> 30|11|2012 A cura di: Francesco Stefanini Testi di: Achille Bonito Oliva e Arturo Schwarz Grafica|impaginazione: Steven Crosato Marta Guglielmini Con il patrocinio di: e il supporto di: Silvio Merlino, troppo facile e scontato dire che il nome suggerisce un presagio (nomen omen) ma lui un po’ mago lo è veramente. Quando titola un quadro “Tzinacàn” (il mago della piramide di Qaholm), in cui un giaguaro misura con segreti passi uguali il tempo e lo spazio della prigione, ispirandosi a “L’Aleph” di Borges, allora si capisce in che direzione vanno le frecce al curaro scagliate da Merlino. Provate ad addentrarvi nel suo opificio, vi si avvertono un’atmosfera inconsueta e la sensazione di essere costantemente spiati. Le sue tele appese ti guardano insistenti con gli occhi di ossidiana dati in prestito a una pantera nera, lenti ottiche convesse ingrandendosi lampeggiano di fosforo nello sguardo di una tigre. Giri le spalle e una cascata di occhi allineati (duecentododici) ti vengono incontro luminosi, come la prima luce del mattino che penetra dalle tapparelle socchiuse. In una stanza in penombra, un pigmento di puro cobalto si staglia luminoso e fosforescente e come un fulmine, zigzagando, squarcia un buio tenebroso. Su una parete tappezzata di scatole nere sovrapposte, trovano alloggio tanti colibrì con minute penne sfavillanti d’iridescenti pigmenti. Improvvisamente credi di aver sbagliato luogo, pensi di stare in un museo zoologico. E’ recente una notizia che ha fatto molto scalpore: la richiesta da parte del fisco di farsi pagare le tasse dal proprietario del famoso dipinto “Canyon” di Rauschenbeg, con un Aquila Calva impagliata, quadro valutato centinaia di milioni di dollari ma invendibile per una legge americana che proibisce il possesso, la vendita e il trasporto di animali protetti, sia vivi che morti. Silvio non potrà mai correre il rischio di sanzioni di questo tipo, né potrà mai essere denunciato dagli animalisti. I suoi animali sono ricostruiti in laboratorio con infinita pazienza e straordinaria abilità tecnica. Tutto il fantasmagorico mondo dell’artista è ricco di presenze simboliche, di animali e di bestie feroci, inerti e soccombenti, vittime della crudeltà e della violenza umana, che giacciono a pelle di tappeto su grandi tele. Le piume, le pellicce, le penne, tutto è finto, ma incredibilmente verosimile, un finto più vero del vero. Il suo è un mondo di denuncia contro gli artisti imbalsamatori, contro le mafie occidentali che commissionano ai bracconieri del Sud del Mondo la cattura di animali rari, come le migliaia di farfalle del genere Morpho con le quali un artista molto famoso costruiva le sue presunte opere d’arte. Il registro narrativo di Merlino non contiene solo il bestiario ma anche altri soggetti: i “cuorecervello”, gli “ex voto rosa-cuore” e i cuori rossi o blu con i vasi sanguigni recisi, posti come su un tavolo di anatomia. Poi i gioielli, quasi sempre diamanti che emanano sfaccettate luci e bagliori, e infine i simboli del potere: la bandiera americana. T R A S C E N D E N TA L E Merlino è un pittore-narratore, le sue associazioni forma- contenuto non sono mai scontate. Lui si muove nella sorpresa e n e l l ’i n e d i t o. Tr o p p o r i c c o i l s u o p a t r i m o n i o c u l t u r a l e e t r o p p o c o m p l e s s o i l s u o m o n d o i n t e r i o r e p e r r i c o r r e r e a interpretazioni che sarebbero inevitabilmente superficiali. Quando parla dei suoi lavori con uno spiccato accento partenopeo e arguta ironia, ti fa sprofondare nei suoi abissi ancestrali, ti apre squarci e voragini di conoscenze ma, quando credi di essere sulla sua strada, improvvisamente ti sorprende e ti spiazza con deviazioni improv vise. La sua pittura di grande qualità ar tistica è indirizzata alla denuncia sociale, il suo racconto mai rassicurante, è inquietante ed enigmatico. L’artista, come un vero mago, tiene segreti i suoi arcani miscugli di oro e mirra e i suoi impasti misteriosi di pigmenti di polvere pirica e grani di lapislazzuli. La sua ricerca come i “primitivi” alchimisti tende a rendere l’uomo sempre più edotto alla conoscenza per liberarlo dal piombo venefico dell’ignoranza. Se penso di identificare Merlino con uno dei suoi animali, mi viene d’acchito di pensarlo un colibrì, minuto nel fisico ma tenace e resistente, con becco-lingua arguto e pungente. E, al contrario del colibrì del quadro dal titolo ”I colibrì non amano le mine anti-uomo”, immagino il più piccolo uccello del mondo che va in battaglia armato con casco e bombe. Metafora: anche i più piccoli e indifesi prima o poi si ribellano ai grandi e potenti e se sono in tanti, vincono la guerra. tobia ravà. gli animali cambiano pelle e i numeri diventano concetti. Tobia, dalla sua magione immersa in un ombroso parco, dà spesso i numeri. Sì, numeri! Lui è un artista e nel contempo un attento e profondo studioso di Ghematria e Qabbalà, entrambe un approccio simbolico all’interpretazione dell’universo e alla sua creazione, attraverso le infinite possibilità combinatorie dei numeri. Qualcuno sostiene che chi sa leggere la Qabbalà ha una chiave per capire il mondo. Ho cercato di informarmi. Alla domanda - che cos’è la Qabbalà - Haim Baharier risponde: ”Più facile dire ciò che non è. In apparenza è qualcosa che ribalta. Rovescia le parole, conta il valore numerico delle lettere, gioca con te e questo giocare trae in inganno: o la si considera una cosa seria quanto il libretto d’istruzione del televisore, oppure come un passatempo enigmistico…” Tobia Ravà lavora congiuntamente su Bibbia, Matematica, Filosofia e Psicoanalisi e inserisce i numeri e le lettere, come simboli e concetti, nei dipinti e ne riveste le sue sculture come nuova pelle. Non posso tentare nessun approccio di lettura “cabalistica” sull’interpretazione dei numeri che conosco come la fisica quantistica, cioè zero. Cercherò allora di parlare del lavoro di Tobia con particolare attenzione alle sue sculture con i parametri interpretativi ed estetici che mi sono più congeniali . Tobia, grande affabulatore d’immagini, fa uso di un ampio registro di tecniche sperimentali, utilizza con sapienza tutti i possibili accorgimenti tecnici e tecnologici che gli sono utili per realizzare il suo personalissimo mondo figurale. Spesso, come nella migliore tradizione Pop, utilizza immagini di forte impatto visivo, le più quotidiane possibili e le più conosciute. In quest’occasione presenta solo sculture: animali. Ma guarda caso! Non propone l’ornitorinco, bensì il coccodrillo, lo squalo, il pesce, la tartaruga, l’elefante, di più facile identificazione per tutti. Fa ricorso a volte a calchi di sculture del settecento o dell’ottocento, perché lui non modella per intero le sculture, si diverte a trovarle e a trasformarle come fossero dei “Ready Made”. Sceglie tra quello che trova secondo una sua precisa idea. I suoi soggetti diventano occasioni di pagine aperte, di lettura comparata. Quasi una poesia visiva di citazioni e racconti, dove l‘integrazione forma-scrittura è resa più efficace dalla non complessità delle forme. Quelli che non conoscono il valore ghematrico dei segni, che senza un’opportuna decodificazione rimangono puri caratteri senz’altra possibilità di traslare significati più complessi, guardano l’opera come fosse la “Stele di Rosetta” o una lapide Etrusca, ben consapevoli che al di là del puro godimento estetico ci sono significati profondi a loro preclusi. Nei lavori di Ravà sono incalzanti i ritmi visivi e sapiente è il gioco dei contrasti, vicini a certe suggestioni dell’ Optical-Art, nel susseguirsi incessante delle grafie, bianco su nero, quasi un Keith Haring senza l’utilizzo di figure. Per le opere di Ravà, ho accennato a una cultura visiva che probabilmente attinge inizialmente alla Pop Art americana ma a mio parere con declinazioni occidentali. Tobia sembra pescare in quell’incredibile serbatoio d’immagini, spesso bizzarre e sorprendenti, che con il termine “Camp Art ” identificano una nuova corrente dell’arte, che tende a ribaltare il concetto di estetica, intesa in senso classico come ricerca di pura armonia e bellezza. Questa nuova filosofia estetica invece indica una consapevole scelta poetica indirizzata all’amore dell’innaturale e dell’eccessivo, al gioioso, all’artificio, al barocco e all’ironia. Oggi è una delle tendenze tra le più vitali e controverse dell’arte contemporanea. Alcuni nomi per confermare la tesi: Damien Hirst, Quinn, Schnabel, Van Der Velde, i Crackin Art, qualcuno inserisce anche il nostro Clemente ecc. Quello che mi pare interessante negli ultimi lavori di Tobia è questo citazionismo, intelligente e arguto, ironico e consapevole, che tende a superare le gerarchie estetiche un po’ stantie e finora consolidate. La sua scelta di campo è evidente, dietro l’apparente piacevolezza dell’immagine c’è sempre un messaggio alto da cogliere, sottile e misterioso, sicuramente spirituale e talvolta persino subliminale. I suoi divertenti animali tatuati di “segni” a una lettura epidermica appaiono come giocattoli ingranditi. L’enorme e pacifico squalo se ne sta tranquillo e mansueto, il coccodrillo con le sue rosse fauci spalancate, persa la sua originale aggressività, come un enorme lucertolone che si crogiola al sole, t’ispira una tenera simpatia. Scrive Stefano Bartezzaghi sul “Venerdì di Repubblica”- “Se si rovesciano le parole, dogliocapo è un’emicrania”. Ho pensato a Tobia e conoscendolo uomo colto e spiritoso, credo non mi stupirebbe se un giorno con la sua ironia titolasse il suo immaginifico bestiario: Drillococco, Rugatarta e così via… Francesco Stefanini Settembre 2012 silvio merlino. il kleenex della vita e la macchia dell’arte. Oggi la realtà sociale e culturale è dominata da sistemi totalitari: l’ ideologia politica, la psicoanalisi e le scienze, che risolvono all’interno della propria ottica, del proprio progetto, le antinomie e gli scarti prodotti da essa nel suo farsi. Il sistema sociale è negativamente protetto da un altro sistema, tipicamente religioso, che possiamo chiamare della cultura delle previsioni. Tale sistema stringe la vita dentro un campo di concentrazione che ne assottiglia l’espandersi e tende a ridurre il desiderio e la produzione materiale al di fuori dalle vie tortuose e imprendibili in cui si forma. Lo strabismo è la pratica divaricante dal sistema totalitario e totalizzante del pensiero occidentale, irriducibilmente logocentrico, che tende a ricomporre il conflitto e a ristabilire la pace sociale, utilizzando la mistificante nozione della dialettica, della soluzione di ogni dissidio attraverso l’uso meccanico della categoria dello scontro e del confronto. Ciò che invece per Silvio Merlino non è riducibile a confronto, nel senso che non può confondersi con la vita, è l’arte che serve sempre a spingere l’esistenza verso condizioni di impossibilità. L’impossibilità, in questo caso, è la possibilità di tenere la creatività artistica ancorata al progetto della propria produzione, basata, non demagogicamente sullo scontro tutto ideale e idealistico con la realtà, bensì sulla coazione a porsi in una posizione di necessaria lateralità, mediante la pratica dell’errore e dello sbaglio. In questo senso, la sensibilità armata dell’arte produce un ineluttabile armistizio in quanto opera sull’interstizio, su una lunghezza d’onda non prevista, se non nei termini astratti di produzione del commento. L’arte di Merlino non è mai commento, oppure è la postilla inserita dall’artista dentro il luogo del linguaggio, che non è mai doppio e speculare rispetto alla realtà. In questo senso la produzione di Merlino è eccentrica e tautologica, si muove lungo sentieri che richiedono altra disciplina e altra concentrazione. Qui la concentrazione diventa deconcentrazione, rottura del bisogno sociale, immissione in esso di un livello negativo. Il negativo dell’arte come idea del lutto, come possibilità di riparare alla perdita iniziale, alla rottura del sistema inconscio, delle relazioni iniziali, e anche delle relazioni col sistema sociale. L’esperienza artistica, per questo, è un’esperienza laicamente necessaria, che ribadisce l’ineliminabilità della rottura, l’insanabilità del conflitto, la mistificazione del rapporto inconciliato con le cose. L’intransitivo dell’arte nasce dalla lucida e Stoica consapevolezza della irriducibilità del frammento, dell’impossibilità di riportare unità, di ritotalizzare ciò che si può soltanto sospettare e mai più raggiungere. Ma il frammento non significa poetica del frammento, non significa perdita della visione, bensì coscienza di operare e solo attraverso la pratica relativa dell’errore e dello sbaglio, costituiti dall’opera. In questo senso l’opera è indispensabile, in quanto ristabilisce concretamente rotture e squilibri nel sistema religioso di quei tempi di specializzazione, politica, psicoanalisi e scienza, che ottimisticamente tendono, invece, a rendere sintomatico il quotidiano, per riconvertire il frammento in termini di totalità metafisica. La vita è come un enorme kleenex a cui Merlino risponde con la macchia dell’arte. Su tessuti acrilici ostinatamente dipinge arrovellati percorsi impressi di macchie che per i popoli precolombiani erano i segni di una scrittura come prove di comunicazione sociale. Contro il kleenex collettivo ecco le macchie individuali di Merlino che con spirito resistenziale ne moltiplica la differenza, spostando il linguaggio artificiale del visivo verso l’evocazione di una naturalezza a memoria dell’idea di foresta. Su questi labirinti colano e aderiscono forme di animali che sembrano piovere in verticale sulla tela e dar peso in tal modo ad una fame ecologica che solo l’arte ora sembra evocare. Un’ecologia dell’arte è quella di Silvio Merlino che mette in evidenza la forza morale di un artificio quale prodotto artistico, una sorta di Stele di Rosetta che vuole proiettare a futura memoria l’etica del creare. All’asettico atteggiamento statistico di parte dell’arte attuale, ‘artista napoletano risponde con la coraggiosa ripresa di uno Sturm und Drang, con l‘impeto romantico di una volontà di rappresentazione del valore della libertà individuale e del suo bisogno di vedersi proiettata in un sociale non più omologato. Perché l’arte infatti fa la differenza, costruisce il tempo lungo della contemplazione e di una durata del prodotto estetico alternativa alla velocità consumistica della società di massa. Achille Bonito Oliva United States of Amazon 1252 Trota Midrascica tobia rava’. ovvero dell’inestinguibile sete di conoscenza, dell’irrefrenabile pulsione comunicativa. Soltanto con i surrealisti si giunse a ridare all’arte la sua vocazione illuminante. Memori degli insegnamenti di Freud, essi si pongono come obiettivo di rivelare anche la parte sommersa del modello. Da qui l’interesse per il sogno, per gli stati psico-fisici alterati – per i fenomeni, in breve – che permettono loro di evidenziare le manifestazioni dell’inconscio. Con i surrealisti, le esigenze estetiche passano quindi in secondo ordine dal momento che primeggia la volontà di esprimere, con la maggiore autenticità possibile, i propri sogni e desideri, la propria visione del mondo. È un fatto occasionale, anche se non irrilevante, che tale esigenza abbia prodotto alcuni tra i maggiori capolavori dell’arte moderna e contemporanea. Quello che conta, per il surrealista, ripetiamolo, è la fedeltà al proprio io interiore e, di conseguenza, la valenza iniziatica ed eversiva dell’opera. Sono esattamente queste le due preoccupazioni primarie di Tobia Ravà – mettere l’arte al servizio della mente e attribuirle un valore iniziatico. Egli riesce a trasmettere, attraverso il semplice uso di numeri e delle lettere dell’alfabeto ebraico, un messaggio che non è soltanto di altissimo valore estetico, ma che possiede anche una profonda valenza iniziatica. Si è detto che la bellezza coincide con la verità e che la verità ha una carica eversiva perché illuminante. Lo constatiamo, come non mai, nelle opere del nostro artista. Ed è stupefacente come, con le sue sapienti incursioni nell’antica arte cabalistica della ghematria – la tecnica che permette di trovare le corrispondenze segrete tra alcuni termini, rilevandole dal valore numerico delle lettere che le compongano – Ravà sia riuscito a comporre delle opere che parlano così bene ai nostri occhi e alle nostre menti. E questo, anche se il messaggio concettuale ha un carattere subliminale. Un esempio, tra tanti, delle scoperte di Ravà. La somma dei valori numerici delle lettere che compongono, in ebraico, i nomi dei quattro elementi, è la stessa che si ottiene sommando il valore numerico delle lettere che compongono la parola athanor – il crogiolo dell’alchimista: esch (fuoco: 301) + maim (acqua: 90) + adama (terra: 50) + avir (aria: 217) = 658. Batanur (forno-crogiolo) = 658. Stupefacente poi il lavoro fatto da Ravà sulla sequenza dei numeri di Fibonacci, i cui esiti egli traduce in opere di un valore trascendente. Chiariamo, a proposito dell’alchimia, che in origine, l’unico scopo dell’ars magna era di giungere alla conoscenza totale dell’uomo – detta aurea apprehensio – per liberarlo dal piombo dell’ignoranza. E ciò in obbedienza all’ingiunzione incisa nel corridoio del tempio di Apollo a Delphi: gnothi seaton (conosci te stesso). Gli antichi alchimisti, che operavano prima dell’era volgare, non si stancavano di ripeterlo: “Il nostro oro non è l’oro dei volghi, è l’oro della conoscenza aurea, dell’aurea apprehensio”. Soltanto con l’emergenza dell’alchimia cristiana ed islamica è subentrato il fraintendimento, e quella che era solo una metafora fu invece presa alla lettera! Il vero cabalista l’aveva ben capito: i quattro elementi stavano per l’uomo – microcosmo che comprende il Tutto, dato che l’uomo è il riflesso del macrocosmo, dell’universo. Mentre il crogiolo stava per il fuoco del magistero alchemico, per la longissima via che porta alla conoscenza. Torniamo alla ghematria per precisare inoltre che, per la tradizione midrashica e cabalista, l’universo era stato creato con l’ausilio delle lettere dell’alfabeto ebraico e in virtù della loro valenza numerica. Ma di più, per queste tradizioni, la carica iniziatica dell’arte era l’esito della abilità dell’artista di creare un’opera grazie alla stessa tecnica. Così, l’archetipo biblico dell’artista, Bezalel, era riuscito a compiere un’opera considerevole grazie alla sua abilità di “combinare le lettere con le quali il cielo e la terra erano stati creati” (Talmud babilonese, Berakhot 55a). Per concludere vorrei dare un ultimo esempio, di come la ghematria consenta di scoprire verità archetipiche. Ahavah (amore) e ehad (unità) hanno lo stesso valore numerico (13) per segnalare che amore significa, appunto, unità. Grazie, caro amico, per averci fatto scoprire, nuovamente, che l’arte non è un mero esercizio formale il cui compito sarebbe quello di produrre opere per i salotti di casa. L’arte non è un divertissement ma provoca, quando è veramente tale, una trasformazione interiore, un’emozione illuminante. Arturo Schwarz Silvio Merlino Ex voto di rame cuorecervello Un diamante è per sempre Autoritratto con 212 occhi (particolare) Ex voto rosacuore Ritratto di Carlo Giuliani Stasera fammi dormire a casa tua Domani ti porto al mare Tobia Ravà 1263 Trachemis nera 1032 Leviatano infinito 1252 Trota Midrascica 1265 Incontro midrascico rosso 1261 fili nero 1216 Shir Tanin - Il canto del drago 1244 Trachemis ghematrica Tobia Ravà nasce a Padova nel 1959. Si è laureato in Semiologia delle Arti all’Università di Bologna, dove è stato allievo di Umberto Eco, Renato Barilli, Omar Calabrese e Flavio Caroli. Ha frequentato la Scuola Internazionale di Grafica di Venezia ed Urbino. Espone dal 1977. E’ presente in collezioni sia private che pubbliche, in Europa, Stati Uniti, America Latina e in Estremo Oriente. Lavora a Venezia e a Mirano. Alcune personali: 1994 “Art Jonction”; Galleria Rino Costa; Cannes 1995 “Rettilivision”; Galleria Rino Costa; ArteFiera; Bologna 1997 “Dall’Altrove”; Galleria L’Ariete; Bologna 1998 ArteFiera, Bologna Art Expo, Barcellona “Orizzonti dall’Altrove”; Galleria Estro; Padova 1999 “Le radici del presente”; Palazzo Scotti; Treviso St’art, Strasburgo (F) 2000 Galeria d’Art Susany; Vic (S) 2001 “Exponentialische Variationen”; Jüdisches Museum Rendsburg und Bamberger Haus Rendsburg (D) 2002 “Tra spirito e materia”; Spazio Tikkun; Milano Galerie Archange; Parigi (F) 2003 “Memoria del futuro”; Fondazione-Museo Miniscalchi-Erizzo;Verona 2004 “Codici Spirituali e Memoria del Futuro”; ex Chiesetta di Sant’Anna; San Marino (RSM) “Memoria del Futuro”; Kunstforum Rheinhessen; Essenheim (Germania) 2005 “Elementi dialettici di calcolo trascendentale”; Ermanno Tedeschi Gallery; Torino “Messaggero mediterraneo”; Tobia Ravà e Abdallah Khaled; Galleria d’Arte l’Occhio 2006 “Tobia Ravà Codice Binario”; Ermanno Tedeschi Gallery; Milano “Codice binario”; Artemisia art gallery world’s artists ; Principato di Monaco 2007 “Computi inauditi”; Galleria d’arte L’Occhio; Venezia “Pagine trascendentali”; MEB Museo Ebraico di Bologna 2008 “Computi inauditi”; Artiscope; Bruxelles 2010 “TREeQUATTORDICI” opere di Tobia Ravà; Museo delle Macchine Tessili I.T.I. “V. E. Marzotto” Valdagno (VI) “NOTES incontra l’arte: Tobia Ravà, collezione primavera–estate 2011” esposizione e sfilata; Miroglio Fashion Showroom; Milano. “Tobia Ravà”; Terminal 107; Terminal passeggeri Porto di Venezia 2011 “Algoritmi e ghematriot” ; Galleria Ribolzi; Montecarlo “Algoritmi e ghematriot”; Galleria l’Occhio; Venezia Tobia Ravà Alcune personali: 1979 “La Cappella Underground”; Trieste 1981 “Concerto per mare, odore di resina di pino, grilli e pianoforte”; La Cappella Underground; Trieste 1983 Expo Arte; stand Toselli; Bari Campiello della Feltrina; Venezia 1984 Museo de Bellas Artes; Bilbao La Bertesca; Genova 1987 Lucine Bilinelli; Bruxelles Nohra Haime; New York 1988 Piramide; Firenze 1989 Lucio Amelio; Napoli 1991 Salon de Mars; stand Vidal; Parigi Franco Toselli; Milano 1992 Art 23 ’92, stand Amelio; Basilea Nohra Haime; New York Juliet; Trieste (con L.Ontani) 1994 Artissima; stand Arte 3; Torino “Red Filippers”; Nohra Haime; New York 1995 Galleria Nazionale d’Arte Moderna; Roma Piece Inique; Parigi Filò Arte; Treviso 1998 Oprandi; Boltiere (con L.Ontani) Alter; Torino (con M.Corona) 1999 Galleria Jan Wagner; Berlino 2000 ”I colibrì non amano le mine anti-uomo” Artissima; Torino 2001 Silbernagl; Milano 2002 Zelig; Abbazia di S.Vito; Polignano a Mare (BA) 2003 Silbernagl; Artefiera; Bologna 2005 Nohra Haime; New York 2010 Filomarino Artgallery; Napoli 2012 Silbernagi Undergallery; Milano Silvio Merlino Silvio Merlino è nato a Napoli nel 1952. E’ stato un precoce protagonista degli anni 70 decisivi per la cultura artistica. Ogni suo quadro mira ad esasperare la celerità e la trasparenza della visione, così da includere nei suoi percorsi e nei suoi spazi, quelle forze ed energie che fanno affiorare il mondo sconosciuto della fantasia e dello sguardo inusuali. Vive e lavora a Treviso. via Paris Bordone, 14 I-31100 Treviso t: 0422598564 e: [email protected] w: lazzariweb.it