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Numero 53
25 Novembre 2014
97 Pagine
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Nuova Volkswagen
Passat
Mini 5 porte
Formula 1
Porta al debutto il fenomenale
2.0 TDI da 240 cv. Cresce anche
il prezzo
La nuova Mini 5 porte diventa più
versatile senza rinunciare a stile e
tecnologia
Il Gp di Abu Dhabi ha visto andare
in scena la cavalcata trionfale di
Hamilton e l’amara disfatta di
Rosberg
Prima della Classe
E’ sempre lei,
ma più comoda
Abu Dhabi 2014
| prova su strada |
Mercedes-Benz
GLA 45 AMG
da Pag. 2 a Pag. 15
All’Interno
NEWS: Ford Mustang Shelby GT350 | Audi Prologue concept | Mazda CX-3 | Audi A7 h-tron concept
Mercedes-Maybach Classe S | M. Clarke Motori sovralimentati (VI parte) | Dakar: Lanciata la 37a edizione
PROVA SU STRADA
Mercedes-Benz GLA 45 AMG
Alla faccia
del crossover
Chiamarla crossover ci viene difficile
dopo averla guidata. La GLA AMG è
a tutti gli effetti una sportiva grazie al
motore turbo da 360 CV. È più comoda
della Classe A 45 AMG e più morbida
su strada, ma non rinuncia
all’accelerazione brutale
di Andrea Perfetti
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Prova
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Media
realtà di tutti i giorni è più facile stare sulla media
dei 10 l/100km, che sono comunque un buon
valore per un’auto che fila di corsa a 250 km/h
(limitati dall’elettronica) e schizza a 100 in meno
di 5 secondi (4,8) aiutata dal cambio a 7 marce
a doppia frizione e dalla trasmissione integrale
4MATIC.
La tecnica
La Mercedes-Benz GLA 45 AMG sotto il cofano
ospita il motore turbo a quattro cilindri AMG da
2,0 litri con iniezione diretta di benzina (pressione massima di iniezione pari a 200 bar). La
potenza mostruosa di 181 cavalli/litro è conseguita grazie all’impiego del turbocompressore
Twinscroll che lavora in abbinamento con l’impianto di scarico dotato di valvola elettronica
parzializzatrice e presenta una strozzatura minima, tale da consentire una sovralimentazione
sempre molto pronta. Il SPEEDSHIFT DCT AMG
ha tre programmi di guida (automatico C, automatico sportivo S, manuale M) e col settaggio
più aggressivo regala spettacolari doppiette a
ogni cambio di marcia. In modalità C è attiva la
funzione ECO start/stop. La potenza viene scaricata a terra dalle quattro ruote (dotate di grandi
pneumatici 235/45 R 19). Il ripartitore della coppia alle ruote posteriori è integrato nel cambio.
Quando si verifica un pattinamento sull’asse anteriore, il comando della frizione a lamelle lo rileva e per mezzo di una pompa idraulica comprime
le lamelle, trasferendo la coppia motrice alle ruote posteriori. In condizioni di marcia normale la
GLA 45 AMG ripartisce la coppia tra avantreno
e retrotreno con un rapporto 50:50. L’ESP offre
la tipica impostazione AMG, che consente di settarlo col programma Sport che limita al massimo il sottosterzo in curva, agendo sui freni delle
I
n Mercedes-Benz hanno il coraggio di
definirla crossover. Invece – e per fortuna, secondo noi – la GLA 45 AMG è
un’autentica vettura sportiva, stretta
parente della Classe A 45 AMG, ma
più confortevole e abitabile rispetto a
questa. In AMG hanno infatti compiuto un grande lavoro sull’assetto della GLA per trasformare la crossover d’origine in un’auto capace di
emozionare sul serio il pilota e i suoi passeggeri.
Obiettivo centrato, come vedremo tra poco. La
GLA 45 AMG si fregia ovviamente del titolo di
auto col motore due litri turbo più potente oggi
sul mercato, grazie a 265 kW (360 CV) e 450
Nm. Non sono niente male anche i consumi (dichiarati) di benzina: in teoria con 7,5 litri si percorrono 100 chilometri (CO2: 175 g/km). Nella
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Prova
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ruote interne. Oltre all’elettronica, ci sono anche
interventi sulle sospensioni; l’avantreno McPherson è dotato di assi più rigidi, mentre il retrotreno
a quattro bracci oscillanti è rivisto. C’è poi l’assetto sportivo AMG, caratterizzato da ammortizzatori che danno più sostegno in curva e da barre
stabilizzatrici più grandi che si sposano però con
l’assetto moderatamente rialzato del posto di
guida, che si presenta leggermente più accessibile rispetto a quello della Classe A 45 AMG.
Finiture arrabbiatissime
La GLA 45 è una AMG da capo a piedi. Lo vedi subito dalle enormi scarpe, che sono splendidi cerchi in lega a 5 doppie razze verniciati in grigio con
finitura a specchio. Il frontale è dominato dallo
spoiler e dalla mascherina in grigio opaco e non
mancano nemmeno le prese d’aria laterali, un
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dettaglio da supercar. Loghi AMG e Turbo sono
presenti ovunque a distinguerla da una normale
GLA, mente in poppa svettano gli enormi scarichi doppi rettangolari e cromati che rendono
davvero arduo passare inosservati. Ma chi compra una AMG, sarà anche orgoglioso di guidarla
e di mostrarla agli amici, è poco ma sicuro. La
stessa, maniacale cura per il dettaglio è presente
anche nell’abitacolo che profuma di corse automobilistiche. I sedili di pelle sono infatti di serie e
impreziositi dalle cuciture e dalle cinture rosse.
Il volante è piccolo e sportivo, con la parte bassa
immancabilmente piatta e con i paddle del cambio facilmente raggiungibili. La strumentazione
presenta 2 quadranti e il display centrale a colori. L’inserto sulla plancia è realizzato in alluminio
spazzolato. Sono fatti con estrema cura anche
il tunnel centrale, i rivestimenti delle porte e
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quello del tetto. Da segnalare ai nostri lettori anche l’ottima abitabilità della GLA 45 AMG, che
ospita in modo molto confortevole 4 adulti, che
dispongono di 421 litri di bagagliaio (fino alla
soglia della cappelliera). Niente male se consideriamo la compattezza generale della crossover
tedesca, lunga 444 cm e alta solo 147 cm.
La nostra prova
La Mercedes-Bens GLA 45 AMG sprizza carattere da ogni lato la si guardi. Il problema è che
risulta difficile restare troppo tempo a osservarla: i dettagli sportivi, le scritte AMG e Turbo
riportate su ogni lato, le pinze dei freni rosse e
gli enormi scarichi rettangolari ci obbligano dopo
pochi istanti a prendere il volante tra le mani e
partire. Vi abbiamo detto dell’abitacolo, confortevole e rifinito con grandissima cura (il prezzo
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Prova
di listino lo impone d’altra parte). Gli interni della GLA 45 AMG sono un salotto sportivo caldo
e accogliente che coccola gli ospiti con un mix
particolare che mischia sapori agrodolci. Da
una parte si apprezzano i dettagli più lussuosi,
dall’altra si respira un’aria realmente corsaiola. La Mercedes-Bens GLA 45 AMG non è certo
una crossover molliccia sulle sospensioni e lenta
nell’incedere. Anzi, è il contrario esatto. Il quattro cilindri è un portento e stupisce per quanto
sappia essere persino regolare. Non esplode mai
con rabbia, ma sprigiona una potenza impressionante con una regolarità esemplare. E c’è a ogni
regime: a parte un lieve ritardo fino a 2.000 giri,
da qui in avanti inchioda i passeggeri sui sedili e
fa raggiungere alla vettura velocità disarmanti in
pochissimi secondi. Il cambio a 7 marce è ottimo
in modalità automatica e molto efficace anche
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nella gestione manuale; al massimo è il motore
che spesso lo prende in contropiede, arrivando
troppo presto al limite dei 6.500 giri, oltre il quale non conviene andare. Sono validi nella guida
stradale sportiva anche i freni sovradimensionati
e lo sterzo, mentre il setting degli ammortizzatori rivela una taratura meno estrema rispetto
alla Classe A 45 AMG. Sulla GLA è stato tenuto in
debito conto anche il confort; da un lato la vettura ha un rollio maggiore in curva, dall’altro è più
comoda e fruibile nella guida di tutti i giorni, dove
incassa senza problemi buche e dossi artificiali.
Una nota positiva anche dal consumo di benzina:
se non ci si lascia prendere dalla foga di questo
splendido motore AMG, è facile superare la barriera psicologica dei 10 km/l. Niente male per il
2 litri turbo più potente del mondo. Il prezzo è di
59.500 euro chiavi in mano.
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Nuova Volkswagen Passat
Prima della
Classe
La nuova Passat Berlina e Variant realizzata da
quel mago di Walter de Silva fa un netto balzo in
avanti e si pone come valida alternativa nel
segmento premium. Porta al debutto il
fenomenale 2.0 TDI da 240 cv.
Cresce anche il prezzo
di Andrea Perfetti
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sette punti in più rispetto alla Passat vecchia e un
punto più rispetto alla vettura Premium col valore residuo più alto. Questo giudizio dà alla Passat
“8” un valore residuo maggiore, consentendo al
contempo rate di leasing più basse.
Media
Nuovi motori
I motivi di interesse non finiscono qui. La nuova
Volkswagen Passat Berlina e Variant vanta anche motorizzazioni all’altezza delle ambizioni. Ci
sono i nuovi motori a benzina 1.4 TSI da 125 e 150
cavalli con cambio manuale a 6 marce, i sempre
ottimi 2.0 TDI da 150 e 190 cavalli (il primo con
cambio manuale 6 marce o DSG 6 marce). Ma
sul nostro mercato sarà un sicuro successo
anche il nuovo 1.6 TDI da 120 cavalli (cambio
manuale 6 marce o DSG 7 marce), mentre ai
più esigenti è dedicato il nuovissimo 2.0 BiTDI
da 240 cavalli. Di questo gioiello tecnologico vi
parleremo tra poco. Per la prima ci sarà anche la
M
ission Possible. È quella
della nuova Passat che da
diversi anni è la Volkswagen più venduta nel mondo (lo scorso anno sono
state vendute 1.100.000
vetture; 22.000.000 da quando esiste. Ogni due
minuti viene venduta una Passat) e che ambisce
a conquistare i clienti del segmento D premium,
quelli che oggi comprano BMW, Mercedes-Benz
e Audi. Per riuscirci la Casa di Wolsburg ha presentato a Parigi l’ottava generazione della Passat nelle versioni Berlina e Variant, entrambe
disegnate dal milanese Walter de Silva (direttore
del design del gruppo Volkswagen). A pochi giorni di distanza dalla presentazione siamo volati in
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Passat con propulsione ibrida plugin (TSI 156
cavalli più il motore elettrico da 115 cavalli), si
chiamerà GTE (come la Golf che abbiamo appena provato). Quattro gli allestimenti previsti: Trendline, Comfortline (con in più tra l’altro
Front Assist e funzione City Emergency Brake,
Park Pilot, cerchi in lega da 17”), Highline (in più
ha Adaptive Cruise Control, sedili in alcantara,
fari posteriori a LED) e la Businessline (in più rispetto alla Comfortline ha l’Adaptive Cruise Control, il navigatore satellitare e la predisposizione
Bluetooth). Per la Passat Berlina i prezzi partono
da 28.200 euro (Trendline 1.4 TSI 125 cv); la Passat Variant con lo stesso motore costa 29.400
euro. La nuovissima 2.0 BiTDI DSG 4MOTION
Highline ha un prezzo di 45.100 euro nella versione Berlina, di 46.100 euro in quella Variant. Si
tratta di una quotazione alta, a ma a ben guardare i contenuti offerti da questa Passat sono davvero importanti. Il suo Turbodiesel TDI 4 cilindri a
Sardegna per provare le due vetture che hanno
davvero tanti spunti di interesse. Le Volkswagen
Passat Berlina e Variant nascono da un’attenta analisi del mercato dell’auto, che negli ultimi
anni ha visto crescere la diffusione dei marchi
premium nel segmento D a scapito di quelli più
generalisti. La nuova Passat ha quindi alzato
l’asticella alle voci design, qualità, dotazioni e
prestazioni per confermare la sua leadership
soprattutto nella scelta da parte delle aziende. A
loro è infatti dedicato l’allestimento Businessline,
abbinato esclusivamente alle motorizzazioni TDI
1.6 (120 cv) e 2.0 (150 cv). La bontà della nuova Passat è già stata certificata – se così si può
dire - dalle società di noleggio a lungo termine
che hanno esaminato l’auto e le hanno attribuito
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iniezione diretta è il più potente mai realizzato dalla Volkswagen; è biturbo, ha 240 cavalli e
consuma solo 5,3 l/100 km (139 g/km di CO2).
La Berlina tocca i 240 km/h, mentre la Variant
si ferma (per così dire…) a 238 km/h. Vista la
coppia mostruosa di questo due litri (500 Nm),
la Passat biturbo ha di serie la trazione integrale 4Motion, abbinata al nuovo cambio DSG a 7
marce.
Design da berlina sportiva
La nuova Passat ha fatto un
notevole balzo stilistico in
avanti. Parola di De Silva
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Il maestro Walter de Silva ha ragione (vedi il nostro video) da vendere, quando afferma che la
nuova Passat ha fatto un notevole balzo stilistico
in avanti. Detto in parole semplici: oggi è un’auto
più bella. La Variant è sempre piaciuta molto, e
l’ottava generazione non è da meno. Oggi però
anche la Berlina nasce con un’identità propria e
con un posteriore molto più sportivo e dinamico
in virtù della linea di demarcazione delle “spalle” dell’auto (che ricorda in modo abbastanza
evidente la muscolosità delle recenti Audi). Inoltre c’è meno sbalzo davanti e dietro, un dettaglio
essenziale che fa prendere due piccioni con una
fava. Da un lato l’auto diventa immediatamente
più sportiva nell’immagine, dall’altro cresce l’interasse e quindi l’abitabilità. La nuova Volkswagen Passat Berlina è infatti più corta di 2 mm
(misura 476 cm), più bassa di 1,4 cm, eppure l’interasse cresce di 7,9 cm. Il risultato è un comfort
interno degno di una limousine anche per cinque
persone adulte. La Passat B8 (nome dato a questa generazione) è oggi più bassa e più larga.
Anche il motore riceve un nuovo posizionamento che permette di abbassare il cofano motore e
arretrare il parabrezza. Ci sono importanti novità anche nel frontale: la calandra del radiatore
è più grande dei gruppi ottici, che ospitano fari
alogeni o fari con tecnologia LED. Questi ultimi
sono disponibili in due diverse varianti. La nuova
Passat segna quindi una significativa inversione
di tendenza: le dimensioni esterne diminuiscono
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Prove
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La Passat riceve i comandi relativi allo sterzo inviati mediante tale levetta, mentre chi guida agisce solo sul freno. Quattro stili di guida. La nuova
Passat offre quattro opzioni di guida(Eco, Sport,
Normal, Individual) e, con il DCC presente di serie sulla biturbo da 240 cavalli, anche Comfort.
La nostra prova su strada
La nuova Volkswagen Passat Berlina e Variant
è una vettura dalle dimensioni importanti, lo
è sempre stata. Ma oggi ci stupisce con proporzioni nuove, mai viste prima sulla vettura di
Wolfsburg. È più larga e più bassa, soprattutto la
versione sedan mette in mostra muscoli sportivi
sottolineati dalla gommatura generosissima e
dagli sbalzi ridotti. Il look dinamico si sposa con
interni che si fanno ammirare da quanto sono
curati. Nulla è lasciato al caso, c’è una cura maniacale che riguarda sia la scelta dei materiali
che gli abbinamenti cromatici. Le versioni Highline che abbiamo provato, in particolare, denotano una qualità che pone la Passat ai primi
posti anche tra le rivali dal nome pesante (Audi,
(seppure di poco), mentre l’abilità di ingegneri e
designer regala uno spazio interno persino maggiore. Inoltre il bagaglio è quello di sempre, che
non ha pari nel segmento premium: la capacità
della Variant è aumentata di 47 litri e raggiunge
oggi 650 litri (abbattendo i sedili e caricando fino
al tetto, la capacità arriva a 1.780 litri). La Berlina ha un grande vano da 586 litri (+21 rispetto a
prima). Non bastassero queste migliorie, anche
il peso della vettura diminuisce. Sono 85 i kg in
meno.
Anteprime tecnologiche
La nuova Passat B8 si svela ai nostri occhi con
dettagli tecnologici da ammiraglia tedesca. Non
ci riferiamo tanto al Head Up Display (è la prima
Volkswagen ad averlo), quanto allo spettacolare
Active Info Display. Si tratta della strumentazione digitale optional su tutte le versioni al posto
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Mercedes-Benz e BMW). In questo la Volkswagen non ha lesinato gli sforzi per alzare il livello
qualitativo, che è realmente eccezionale. L’abitabilità è ottima, al pari della volumetria dei bagagliai che accontenterà anche le famiglie più
numerose. Stupisce lo spazio a disposizione dei
posti dietro, che fa di Passat anche una valida
auto di alta rappresentanza. Abbiamo apprezzato la leggibilità della classica strumentazione,
ma ancora più positivo è il giudizio sul display
digitale optional (prima d’ora lo avevamo apprezzato solo sulla Mercedes-Benz Classe S).
Dà un ulteriore tocco di classe agli interni ed è
molto chiaro da consultare. Il nostro test parte
dalla motorizzazione 1.4 TSI da 150 cavalli. Questo motore è dotato di un sistema di gestione
attiva dei cilindri (ACT), che disattiva il secondo
e il terzo cilindro quando non serve la massima
potenza, con una sensibile riduzione dei consumi. La nuova Passat 1.4 TSI 150 cv consuma 4,9
l/100 km (Passat Variant 5,1 l/100 km). Il sistema ACT è attivo tra 1.400 e 4.000 giri e a velocità
inferiori a 130 km/h, mentre la potenza massima
di quella analogica con le classiche lancette. Il
display misura 12,3 pollici e ospita i classici quadranti (tachimetro, contagiri, livello del carburante ecc.) che variano di dimensione a seconda
delle altre informazioni richieste (ad esempio in
modalità navigazione la mappa è più grande e i
quadranti sono di dimensione inferiore). L’effetto grafico è affascinante e assolutamente in linea
col nuovo profilo premium della Passat. Vi segnaliamo una primizia assoluta della Passat B8.
Con il comando elettrico degli specchi (!) è oggi
possibile guidare finalmente con semplicità il rimorchio durante la retromarcia. Si chiama Trailer Assist e la Volkswagen è la prima al mondo
a offrire un sistema di assistenza che consente
di effettuare le manovre con rimorchio. Il guidatore regola la direzione della vettura con rimorchio utilizzando la levetta di regolazione degli
specchietti, che funziona come un vero joystick.
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arriva tra 5.000 e 6.000 giri. Di questo propulsore colpisce la grande pienezza dell’erogazione
a ogni regime; la spinta convince anche ai bassi e
permette un uso limitato dell’ottimo cambio manuale . Le prestazioni sono notevoli (220 km/h
per la Berlina, 218 per la Variant), mentre i 100
orari si raggiungono in appena 8,4 secondi (8,6
la Variant). Il comportamento stradale è ottimo.
Merito del nuovo telaio MQB e dello sterzo, preciso e assai comunicativo. Evidenziamo anche la
grande insonorizzazione del motore 1.4 TSI, che
non fa mai sentire la sua voce. Su tutte le versioni è promossa l’efficacia delle sospensioni anche
dove la strada non è perfetta. Il motore 2.0 TDI
150 cavalli sarà uno dei più apprezzati sul nostro
mercato. Ed è facile capire perché. A 1.750 giri il
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TDI fornisce già la coppia massima di 340 Nm.
Le prestazioni ricalcano quelle appena descritte
per la Passat 1.4 TSI (velocità massima di 220
km/h, da 0 a 100 in 8,7 secondi), mentre calano ulteriormente i consumi, che sono di soli 4,0
l/100 km (106 g/km CO2). La Passat può essere equipaggiata con il cambio a doppia frizione
(a 6 rapporti). Il nuovo TDI pone nuovi standard
per quanto è silenzioso. Anche a motore freddo
è assai difficile scorgere la timbrica del diesel; assenti anche le vibrazioni a ogni regime. Il TDI 150
cv lavora in perfetto accordo col cambio DSG e
riesce a conciliare in modo perfetto la brillantezza di marcia con i consumi bassi (nel nostro test
abbiamo misurato 5,8 l/100 km con uno stile
non troppo attento all’economia di esercizio).
A chi vuole il massimo in materia di prestazione,
ma soprattutto di piacere di guida, è dedicata
invece la nuova Passat 2.0 BiTDI da 240 cavalli.
Quest’auto mostra quasi con arroganza di cosa
sia oggi capace la Volkswagen e manda un messaggio diretto alle tre rivali premium tedesche:
oggi le loro vetture del segmento D dovranno
misurarsi con un concorrente molto, molto temibile. Il quattro cilindri biturbo ha un’erogazione di potenza semplicemente impressionante.
Il bello è che questa si sposa con una rotondità
e una fluidità che fino a oggi avevamo provato
solo al volante di auto con almeno sei cilindri. Il
silenzio a bordo è sovrano fino a circa 3.000 giri,
oltre i quali compare una rombosità piena e cupa
che accompagna una crescita di giri e di velocità
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Prova
degna di un’auto sportiva. La trazione 4MOTION
è una scelta obbligata per dare motricità a tanto ben di Dio e lavora in perfetta sincronia con il
cambio DSG a 7 marce. Gli innesti sono immediati sia in automatico che in manuale, grazie ai
due paddle dietro al volante. I consumi risultano
spesso superiori al dato dichiarato (7 l/100 km
contro i 5,3 dichiarati), ma con la Passat 240 cavalli è impossibile non farsi prendere la mano e
affondare l’acceleratore. Lei va da 0 a 100 in soli
6,1 secondi con una progressione che inchioda al
sedile e che prima d’ora non si era mai vista su
una vettura con motore due litri diesel. Ma questo è solo uno dei primati della nuova Volkswagen Passat. L’ottava generazione vuole creare
scompiglio nel ricco mercato delle auto premium
e nel corso della nostra prova ha dimostrato di
possedere argomenti molto convincenti. In più la
Passat ha quel certo understatment che ha conquistato generazioni di automobilisti.
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PROVA SU STRADA
Mini 5 porte
E’ sempre lei,
ma più comoda
In listino a partire da 17.900 euro la nuova Pulsar
segna il ritorno di Nissan nel segmento C. Linee
ispirate a Qashqai e tanto spazio a bordo sono gli
elementi chiave di un modello che si dimostra
molto concreto ma senza effetti speciali
di Emiliano Perucca Orfei
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progressivamente gli schienali posteriori con
modalità 60/40. Un vano che è stato oggetto di
attenzione da parte dei suoi progettisti anche in
ambito di facilità d’uso visto che, come optional,
è previsto uno speciale pack portaoggetti che include anche il piano del bagagliaio a fissaggio variabile. Come tutte le Mini di ultima generazione
anche la nuova 5 porte offre la strumentazione
analogica/digitale incastonata sul piantone dello
sterzo e la strumentazione centrale con anello a
led pensato per fornire indicazioni visive riguardanti lo stato di diverse funzioni ma soprattutto
in grado di ospitare, in alternativa al display TFT
a quattro righe, un più sofisticato display digitale
da 6,5” (820 euro) o da 8,8” (2.120 euro) il cui
software si controlla dal Mini controller installato
sulla consolle centrale. Il bluetooth, invece, rimane a pagamento: 155 euro. Funzionalità (e prezzi) di stretta derivazione BMW che integrano funzioni di navigazione, entertainment e telefonia
Media
È
t utta nuova anche per noi.
Questo è il claim con cui Mini
ha accolto l’arrivo di una nuova
versione a cinque porte che, in
cinquantacinque anni di storia, era forse stata pensata ma
mai realizzata in alcuna delle gestioni che hanno
accompagnato lo sviluppo del brand inglese da
metà degli anni ‘50 ad oggi. Insomma, un prodotto completamente nuovo, prima di oggi sostituito in parte da quella Clubman che in virtù della
nuova nata dovrà rivedere il suo modo d’essere:
da Mini con un bagagliaio più capiente e mezza
porta in più, infatti, la Clubman strizzerà l’occhio
ad un pubblico più vicino a quello delle station
wagon mantenendo comunque un occhio di riguardo per l’essere cool ed allo stesso tempo
andando a colmare e completare la gamma inserendosi, appunto, tra la nuova cinque porte e
la più generosa Countryman.
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Prova
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oltre a quelle previste da Mini Connected come la
chiamata di soccorso intelligente o alcuni servizi
specifici Mini accessibili attraverso la connessione 3G integrata nelle vetture dotate del top
di gamma in termini di multimedialità. Tramite
la connessione è possibile accedere anche alle
informazioni in tempo reale sul traffico ma anche accedere ai social come Facebook, Twitter e
molti altri senza passare per lo smartphone.
Tecnologia e meccanica:
è raffinata
Non mancano alcune feature tecnologiche
anch’esse già viste sulla nuova Mini 3 porte: l’head up display, il park assistant, la retrocamera di
parcheggio e la regolazione attiva della velocità
e del mantenimento della distanza di sicurezza
possono essere parte della dotazione alla stregua del avviso di tamponamento/investimento
pedone o della attivazione automatica dei fari e
Come cambia rispetto alla 3 porte
Una gamma più razionale, comunque coerente
con il brand Mini per quanto concerne lo stile, che
anche nella cinque porte rimane assolutamente
in linea con quanto ci siamo a abituati a vedere
dai primi anni 2000 in avanti. Rispetto alla normale tre porte le novità non sono tanto davanti,
dove il look rimane sostanzialmente quello della
tre porte, ma di fianco e dietro: il passo, innanzitutto è stato allungato di 72 mm (2.567 mm)
per fare più spazio dentro mentre la lunghezza
è cresciuta sino a 3.982 mm (+161) alla stregua
dell’altezza che è cresciuta di 11. Invariata invece la larghezza mentre per quanto concerne gli
interni i nuovi valori dimensionali non hanno portato in dote solo un nuovo look ma anche 72 mm
in più per le gambe di chi siede dietro, 15 mm per
la testa e 61 all’altezza dei gomiti. A crescere è
anche il volume del bagagliaio, che con un +67
litri tocca ora 278 estendibile a 941 abbattendo
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Prova
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disposizione della SD (1.995 cc, 360 Nm a 1.500
giri) che è stato sviluppato ex novo per soddisfare le nuove richiste di potenza dei clienti più attenti alle prestazioni ma anche ai consumi. Bassi
i consumi dichiarati mediamente da Mini: si va da
5,9 a 3,5 l/100 km con emissioni da 136 a 92 g/
km sia con i cambi manuali a sei marce proposti
di serie sia con i nuovi Steptronic a sei marce disponibili per tutti ad eccezione della Mini One D.
I prezzi per il mercato italiano partono da 19.100
euro della versione base a benzina One, per crescere sino ai 29.400 della più ricca Cooper SD a
gasolio in versione Business XL.
degli abbaglianti. Tra le tecnologie in dotazione
alla nuova Mini 5 porte non ci sono solamente
quelle relative al confort di bordo o alla sicurezza
(airbag frontali, laterali, laterali a tendina, ISOFIX e controllo pressione pneumatici). Per assicurare un miglior feeling di guida all’avantreno
con sospensioni McPherson e ad un retrotreno
multilink si affiancano il servosterzo elettromeccanico, il controllo di stabilità e di trazione ed il
sistema EDLC che nella Mini 5 porte Cooper S
e Cooper SD simula la presenza di un differenziale autobloccante frenando la ruota soggetta
a pattinamento per spostare la coppia dove invece c’è più grip. Per chi volesse il massimo è
disponibile anche il controllo elettronico degli
ammortizzatori che lavora in simbiosi con i Mini
Driving Modes (mid mode, sport o green) per
variare le impostazioni base di servosterzo e
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Dal vivo: com’è fuori
Se siete tra quelli a cui la terza generazione di
Mini “suona strana” nella zona anteriore certamente quando vi ritroverete di fronte alla nuova
5 porte le cose cambieranno. Il nuovo frontale,
più alto e voluminoso, assume tutta un’altra dimensione nella volmetria del nuovo modello che
è stata allungata nella zona posteriore ma soprattutto allungata di passo per offrire più spazio
ai passeggeri posteriori ed integrare al meglio la
seconda coppia di porte. In buona sostanza, anche se la cosa è assolutamente non confermata
da BMW, l’idea è quella che prima della tre porte
risposta dell’acceleratore in funzione di una guida più sportiva o rilassata.
Motorizzazioni e prezzi:
per tutti i gusti
La nuova Mini 5 porte si presenta sul mercato
con sei motori che vanno, come al solito, anche
a declinare la gamma. Mini One 5 porte arriverà con il nuovo tre cilindri da 102 CV (1.198 cc,
180 Nm a 1.800 giri), Mini Cooper con l’unità da
136 CV (1.499 cc, 220 Nm a 1.250 giri) mentre
Mini Cooper S sfrutterà il potenziale del quadricilindrico turbocompresso da 192 CV (1.998 cc,
280 Nm 1.250 giri). La gamma a gasolio, invece,
parte dalla One D a tre cilindri da 95 CV (1.496
cc, 220 Nm a 1.500 giri) e sale sino ai 116 CV
(270 Nm a 1.750) della medesima unità potenziata per la Cooper D. Sono 170, invece, i CV a
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Prove
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maggiore Countryman così come l’accesso all’abitacolo che è vincolato da porte piccole e che
non si aprono a 90° come altre competitor. In
ogni caso, anche in considerazione del concetto
originale di Mini e della dimensione della vettura,
lo spazio posteriore si può considerare buono
(in quanto utilizzabile da persone di corporatura normale) anche se per soli due passeggeri: il
centrale, infatti, deve fare i conti con un mobiletto centrale davvero molto “presente”. Niente
male il vano bagagli: certo i 278 litri non sono il
record della categoria ma non sono pochi (118 in
più risptto alla prima Mini by BMW) e si possono
espandere facilmente abbattendo gli schienali
posteriori.
Su strada
Per la nostra prova abbiamo scelto la Cooper
D, da 116 CV e la Cooper S da 192 CV. Una volta
sia stata disegnata la 5 porte o se non altro che
i compromessi stilistici siano andati a “danno”
della corta piuttosto che della lunga: un ragionamento industrialmente logico visto che, per
quanto il concept originale sia a sole tre porte, il
mercato delle B a cinque porte che il BMW Group
ha voluto aggredire con Mini conta l’85% delle
vendite nel segmento B...
Dal vivo: com’è dentro
Fino al montante B la nuova Mini 5 porte è sostanzialmente identica alla terza generazione di
Mini arrivata anch’essa quest’anno sul mercato.
I riferimenti alla Mini originale, insomma, rimangono forti e molto presenti a partire dallo strumento circolare al centro della plancia che però,
con l’avvento dell’ultima generazione, ha perso
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avviato il propulsore diesel ci si accorge sin dai
primi metri di essere alla guida di un tre cilindri.
Non che il sound sia particolarmente fastidioso o
le vibrazioni siano eccessive, benchè superiori a
quelle di un quadricilindrico di pari cilindrata, ma
la timbrica è certamente qualcosa di atipico così
come l’erogazione che sembra dare il meglio di
sé ai regimi intermedi piuttosto che ai bassi (dai
1.000 ai 1.500) o agli alti (oltre i 3.500) regimi.
Un motore comunque piacevole da guidare, grazie anche ad un cambio a sei marce ben tarato e
molto gradevole da utilizzare. Rispetto alle Mini
di precedente generazione il nuovo Cooper D
offre un comando della frizione più leggero ed
un feeling sullo sterzo che può cambiare: molto
“maschio”, come in passato, nella modalità più
sportiva e decisamente più vicino alle esigenze
del pubblico femminile nelle modalità Green e
normale. Buono l’assetto che ci è sembrato un
anche la classica funzione di tachimetro (inutilizzabile) per fare posto ad una multimedialità
più spinta e ad una interfaccia di comunicazione
macchina/uomo “sensoriale”: la cornice, infatti,
vanta un sistema di illuminazione a LED che cambia colore in base a diversi tipi di impostazione.
Può ad esempio variare tonalità in base al regime
del motore, suggerire se si sta guidando bene o
male in funzione dei consumi e molto altro. Tra le
novità introdotte dalla terza generazione anche
il selettore, alla base del cambio, della modalità
di guida Driving Modes. Assemblata con cura,
non eccezionale in termini di ergonomia (ma per
mere questioni di stile) e costruita su materiali
di buona qualità la Mini 5 porte è profondamente diversa dal montante B in poi: lo spazio per
chi siede dietro non è certo quello della sorella
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giusto compromesso tra sicurezza, prestazioni
e confort di guida. Decisamente contenuti i consumi: viaggiando senza forzare si sta nei pressi
dei 5 l/100 km. Decisamente più interessante,
in termini prestazionali, la performance del Cooper S che proviamo in abbinamento al cambio
automatico a sei marce (1.900 euro): un motore
che fa sentire la propria voce all’avviamento sparendo nella normale marcia su strada quando si
va a passeggio per poi riapparire quando si va a
forzare col piede destro sul pedale del gas. Sopra
i 3.000 giri il due litri Mini spinge davvero forte e
permette di assaporare le buone doti del telaio
e delle sospensioni che rispondono ai comandi
del volante (molto preciso) in maniera rigorosa
e veloce.
Lontani dal dichiarato, invece, i consumi: le
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Prove
medie senza esagerare sono nell’ordine dei 7,8
l/100 km contro i 5,4 dichiarati dalla Casa. Rispetto alla Mini standard la nuova 5 porte appare
decisamente più a suo agio sul “veloce” mentre
nello stretto si riesce comunque a divertirsi pur
pagando qualcosa in termini di agilità rispetto
alla sorella a tre porte: la differenza di peso ma
soprattutto il passo più lungo, del resto, non potevano che portare a questo risultato. La fisica,
dopotutto, è tale anche per Mini.
In conclusione
Il nuovo progetto Mini hatchback è stato evidentemente pensato per essere davvero molto
interessante nella versione a cinque porte (che
nel segmento B vale l’85% delle vendite) ed i primi riscontri - assicurano in Mini - sono davvero
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Prove
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Prova
interessanti: del resto, senza nulla togliere al
fascino unico della Mini tradizionale, i tecnici e
gli stilisti di Monaco sono riusciti ad offrire quel
quid di versatilità in più che sino ad oggi si ritrovava in parte nella Clubman e, passando ad una
categoria (soprattutto di prezzo) superiore nella
Countryman.
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pistoncini all’anteriore e a quattro al posteriore,
accoppiate a dischi da 394 e 380 mm, promettono alte prestazioni in frenata. In più il diffusore
posteriore, lo splitter anteriore e la griglia in fibra
di carbonio sono stati progettati per garantire un
ottimo carico aerodinamico ma regalano anche
un look piuttosto aggressivo.
All’interno della Ford Shelby GT350 dominano
i nuovi sedili sportivi Recaro e per evitare fastidiosi riflessi della luce sono state ridotte le cromature e le superfici lucide. Inoltre il selettore
di guida della console centrale permette di modificare le impostazioni principali della vettura
come il controllo della stabilità, l’ABS, la risposta
dell’acceleratore e quella dello scarico. In via opzionale Ford ha messo a disposizione un Tech
Pack aggiuntivo che permette di avere sedili elettrici in pelle, climatizzatore bi-zona e il sistema di
infotainment MyTouch Ford da 8 pollici abbinato
al sistema Shaker Audio.
«Quando abbiamo iniziato a lavorare su questa
macchina - ha dichiarato Raj Nair, Vice Presidente el gruppo Ford - abbiamo voluto costruire la
migliore Mustang possibile per visitare i posti che
più amiamo e soprattutto la pista. Ogni cambiamento che abbiamo attuato su questa vettura è
stato guidato dalle esigenze funzionali di un potente propulsore, reattivo e agile».
Ford Mustang Shelby GT350
quando i cavalli non bastano mai
Ford svela la nuova Shelby GT350 Mustang, una muscle car con
motore V8 da 5.2 litri capace di erogare 500 CV e 542 Nm di coppia
L
a Casa dell’Ovale Blu ha rivelato attraverso un video ufficiale la Ford Shelby
GT350 Mustang, la nuova versione ancora più prestazionale del preparatore
americano. Sotto il cofano della Shelby Mustang
pulsa un motore aspirato V8 da 5.2 litri capace di erogare oltre 500 CV. Con il più potente
propulsore aspirato mai realizzato da Ford, la
nuova GT350 (la sua antenata risale al 1965) è
stata realizzata con materiali avanzati e vanta
ammortizzatori MagneRide, freni ad alte prestazioni e un’aerodinamica all’avanguardia. Il nuovo
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motore ad albero piatto, ovvero caratterizzato da
cilindri sfasati a 180° come avviene sulle vetture
da corsa, è in grado di erogare 542 Nm di coppia
i quali sono trasmessi alle ruote attraverso un
cambio manuale a 6 rapporti e un differenziale
Torsen autobloccante.
Di serie la nuova Shelby GT350 si presenta con
un cofano alleggerito in alluminio e con cerchi
da 19 pollici con pneumatici Michelin Pilot Super
Sport mentre in via opzionale potranno essere
installati il radiatore per l’olio motore e quello per
l’olio della trasmissione. Le pinze Brembo a sei
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Il nuovo design esterno
All’anteriore domina un’unica grande calandra,
più piatta rispetto agli modelli attualmente in
commercio, e ai lati spiccano i nuovi gruppi ottici che sfruttano la tecnologia laser Matrix. Anche la zona posteriore è stata modificata come
dimostrano il nuovo diffusore in alluminio nero
lucido che integra i tubi di scarico e i fari a LED
con vetro 3D. In frenata si illumina anche il fondo
dell’incisione tridimensionale dando l’impressione che la luce si muova in direzione dell’osservatore. Lo stile elegante continua poi nella parte
centrale della Prologue dove i parafanghi, le portiere e gli elementi posteriori delle fiancate risultano essere bombati e pieni. I retrovisori esterni
realizzati in alluminio, alloggiano i nuovi sensori
dedicati all’apertura delle porte. Queste ultime
infatti perdono le tradizioni maniglie e si aprono
elettromeccanicamente non appena si toccano
Audi Prologue concept
Il nuovo design del lusso
e della sportività
le superfici illuminate dei sensori. Da notare anche i larghi parafanghi che ospitano enormi cerchi in lega da 22 pollici.
Il “maggiordomo” in macchina
All’interno dell’Audi Prologue l’eleganza si mixa
con la tecnologia. Le superfici del display e dei
comandi sono integrate in modo innovativo nella
plancia portastrumenti e nella console del tunnel
centrale. Innovativo il servizio di bordo chiamato
“Butler” (che significa “maggiordomo”): il software dell’Audi è in grado di identificare i quattro
passeggeri grazie ai loro smartphone e di regolare i sedili e il climatizzatore secondo le singole
esigenze. L’abitacolo promette quindi di regalare comfort e lussuosità a bordo anche grazie ai
rivestimenti in pelle e alle finiture in alluminio e
legno di alta qualità. Sulla plancia compaiono addirittura 4 schermi touchscreen che permettono
Media
In occasione del Salone di Los Angeles, il costruttore tedesco ha
presentato ufficialmente l’Audi Prologue concept, un prototipo che
anticipa le future linee del marchio tedesco. L’eleganza si fonde con
la tecnologia e la potenza
I
n occasione del Salone di Los Angeles, la
Casa dei Quattro Anelli ha tolto il velo alla
tanto attesa Audi Prologue concept, una
coupè di grandi dimensioni che anticipa il
nuovo stile del costruttore tedesco. Con i suoi
5,10 metri di lunghezza, 1,95 metri di larghezza e
un’altezza di 1,39 metri, la futura Audi A9 si presenta come una sportiva di lusso leggermente
più corta e più bassa dell’attuale A8, pronta per
sfidare le altre ammiraglie del segmento come
50
Mercedes Class S Coupé e Bentley Continental
GT .
Le nuove linee sono pulite e moderne e conferiscono alla vettura dinamicità ed eleganza. Il
Responsabile del Design Marc Lichte la definisce come «l’auto più sportiva del segmento di
lusso. È un esempio del futuro del marchio Audi.
La nostra équipe ha battuto nuove strade sia per
quanto riguarda il design degli esterni, sia per
quanto riguarda gli interni».
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News
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
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di regolare fari e impianto audio: tre orientati verso il guidatore e il quarto, più grande, destinato
all’infotainment del passeggero.
Un V8 che canta
Sotto la carrozzeria composta in gran parte da
alluminio e acciaio ad alta resistenza, si nasconde il propulsore 4.0 litri TFSI V8 biturbo. Si parla
di una potenza nominale di 605 CV e di una coppia di 700 Nm, che può aumentare a 750 Nm
per 15 secondi con la funzione overboost. Nonostante l’elevata massa di 1.980 kg a secco, il
propulsore, secondo la Casa tedesca, è in grado
di far scattare l’Audi Prologue da 0 a 100 km/h
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in appena 3,7 secondi e di consumare 8,6 litri
ogni 100 km con emissioni di CO2 pari a 199g/
km. Questo è possibile, oltre che all’aerodinamica ricercata, anche grazie all’inedito impianto
elettrico a 48 V che consiste in un sistema mild
hybrid che in frenata recupera fino a 12 kW. Da
sottolineare anche la presenza di un cambio
tiptronic a otto rapporti e della trazione integrale
permanente quattro.
Completano la dotazione i freni a disco carboceramici con pinze anteriori a sei pistoncini e lo
sterzo integrale dinamico che promette di facilitare le manovre di parcheggio e rendere più precisa la guida su strada.
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Media
Mazda CX-3
Il KODO design continua
Al salone di Los Angeles, la Casa giapponese ha presentato la nuova
Mazda CX-3, la Suv compatta dal design moderno e dinamico che
arriverà sul mercato il prossimo anno
L
a casa di Hiroshima ha svelato al salone
di Los Angeles la nuova Mazda CX-3, la
SUV compatta che arriverà sul mercato
il prossimo anno. Il nuovo crossover si
aggiunge alla gamma di veicoli di ultima generazione del marchio nipponico caratterizzati dall’inedita SKYACTIVE TECHNOLOGY e dal KODO
design. La Mazda CX-3 si presenta con un’inedita griglia anteriore sporgente composta da
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sette listelli orizzontali e circondata da una cornice metallica. La forma dei nuovi gruppi ottici a
LED è stata ricercata per creare un tutt’uno con
la griglia del radiatore e questo si traduce in un
design moderno e dinamico che colpisce. Proseguendo sulla fiancata si fa notare il montante
posteriore di colore nero che si “mimetizza” tra
i vetri oscurati e rende elegante e solido il retrotreno. Degni di nota anche i cerchi lucidati da
18 pollici che riempiono i grandi archi ruota e la
nuova verniciatura Ceramic Metallic che cambia
tonalità a seconda del punto di vista. All’interno
ritroviamo pressoché lo stesso stile visto nella
Mazda 2. Nell’abitacolo del nuovo SUV spiccano
quindi le bocchette di aerazione circolari, i rivestimenti bicolore, e nuove finiture in metallo lucido in contrasto con inserti neri. Le versioni top di
gamma acquisteranno in più il recente heads-up
display, che proietta sul vetro le informazioni di
navigazione, e il sistema d’infotainment Mazda
Connect con collegamento Bluetooth e internet
radio Aha by HARMAN.
Arriva il motore SKYACTIV-D
di nuova generazione
Nel Nord America la CX-3 sarà proposta con
il motore a benzina SKYACTIV-G da 2.0 litri
abbinato alla trazione integrale e al cambio automatico SKYACTIV-DRIVE a 6 rapporti. In Europa
invece, oltre allo stesso 2.0 benzina in due differenti livelli di potenza, il crossover arriverà con
l’inedito motore diesel SKYACTIV-D da 1.5 litri di
ultima generazione a cui potrà essere abbinata
la trazione anteriore o integrale e cambio manuale o automatico a 6 rapporti. La Mazda CX-3
arriverà sul mercato il prossimo anno, prima in
Giappone e poi negli Stati Uniti, ad un prezzo di
commercializzazione ancora sconosciuto. «Questi sono tempi entusiasmanti per Mazda - ha
dichiarato Jim O’Sullivan, Presidente e CEO di
Mazda North America - con profitti e vendite che
superano le aspettative e gli obiettivi sia negli
Stati Uniti e nel mondo. CX-3 completa la line-up
Mazda, in quanto colpisce perfettamente il bersaglio di un segmento in rapida crescita».
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Media
Audi A7 h-tron concept
l’auto a idrogeno
diventa anche plug in
Audi presenta A7 Sportback h-tron quattro concept, un interessante
prototipo fuel cell alimentato a idrogeno che permette di ricaricare la
batteria anche grazie alla presa di corrente
G
iapponesi e Coreani iniziano a puntare sull’idrogeno con la tecnologia
fuel cell. Ma era presumibile che i
colossi tedeschi non restassero a
guardare alla finestra ancora per molto. Ecco
quindi spuntare al Salone di Los Angeles l’Audi
A7 Sportback h-tron quattro concept, un prototipo spinto da un sistema fuel cell alimentato a
idrogeno che aggiunge però la possibilità di ricarica plug in degli accumulatori.
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Cella a combustibile:
come funziona
La cella a combustibile è montata nella parte
anteriore al pari del motore a combustione nella tradizionale A7 Sportback. Poiché convoglia
esclusivamente vapore acqueo, l’impianto di
scarico è realizzato in materiale plastico leggero. La cella a combustibile è composta da
oltre 300 cellette, collegate insieme. Il cuore
di ogni singola cella è la membrana polimerica.
Su entrambi i lati di questa membrana si trova
un catalizzatore al platino. Il funzionamento della
cella a combustibile è piuttosto semplice. All’anodo viene fornito idrogeno, che viene scomposto in protoni ed elettroni. I protoni migrano
attraverso la membrana verso il catodo, dove
reagiscono con l’ossigeno presente nell’aria
producendo vapore acqueo. Gli elettroni, invece, forniscono corrente elettrica al di fuori della
cella. A seconda del punto di carico, la tensione
delle singole celle è compresa tra 0,6 e 0,8 Volt.
L’intera cella a combustibile funziona in un range
di tensione compreso tra 230 e 360 Volt. Tra i
gruppi ausiliari più importanti ci sono un turbocompressore che comprime l’aria nelle celle, il
cosiddetto ventilatore di ricircolo, che fa tornare
l’idrogeno non utilizzato all’anodo, aumentando così l’efficienza e una pompa per il liquido di
raffreddamento. Questi componenti vantano un
azionamento elettrico ad alta tensione e sono
alimentati dalla cella a combustibile. Il necessario raffreddamento della cella a combustibile è
assicurato da un circuito di raffreddamento
indipendente. Uno scambiatore di calore e un
elemento di riscaldamento termoelettrico autoregolante garantiscono temperature piacevoli
nell’abitacolo. La cella a combustibile, che funziona in un range di temperatura intorno agli 80
°C, implica sollecitazioni maggiori a carico del
raffreddamento rispetto a un motore a combustione paragonabile, ma offre un rendimento fino
al 60% superiore, cioè quasi il doppio rispetto a
un comune motore a combustione. La vettura
può essere avviata a freddo fino a una temperatura di -28 °C.
Possibilità di ricarica plug-in
Una peculiarità della A7 Sportback h-tron quattro è rappresentata dalla tecnologia ibrida plugin, un’evoluzione delle concept car Audi A2 H2 e
Q5 HFC. Questo modello vanta una batteria agli
ioni di litio ricaricabile tramite cavo collegato
alla presa di corrente, con capacità energetica
(8,8 kWh) ed è stata ripresa dalla A3 Sportback
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permanente. Ognuno di essi eroga 85 kW o addirittura 114 kW quando la tensione viene aumentata per brevi periodi. La coppia massima
raggiunge i 270 Nm per ciascun motore elettrico. Nell’alloggiamento dei motori elettrici sono
integrati rotismi planetari con una trasmissione
singola di 7,6:1. Un blocco di parcheggio meccanico e una funzione di differenziale completano il
sistema. Con una potenza di trazione di 540 Nm,
la Audi A7 Sportback h-tron quattro, del peso di
circa 1.950 chilogrammi, passa da 0 a 100 km/h
in 7,9 secondi. La velocità massima, invece, tocca i 180 km/h, un valore di rilievo assoluto tra la
concorrenza. Il Powermeter, che sostituisce il
contagiri nella strumentazione, informa il conducente sul reale flusso di potenza. Nei settori esterni si vedono il livello di riempimento del
serbatoio dell’idrogeno e il livello di carica della
batteria. Premendo il tasto EV, il nuovo modello
viaggia sfruttando esclusivamente la corrente
della batteria. Passando dalla modalità D alla
e-tron. La batteria si trova sotto il vano bagagli.
Il sistema di gestione termica sfrutta un circuito
di raffreddamento indipendente. Questa batteria è in grado di accumulare l’energia recuperata in frenata e generare una notevole potenza
in modalità Boost. L’assale anteriore e quello
posteriore non sfruttano alcuna trasmissione
meccanica della forza. La coppia può essere regolata elettronicamente in fase di slittamento
ed essere modificata in maniera continua. Con
la corrente della batteria, la Audi A7 Sportback
h-tron quattro percorre fino a 50 chilometri. La
batteria posta nella zona posteriore della vettura
ibrida plug-in può essere caricata tramite cavo.
A seconda della tensione e dell’intensità di corrente, per ricaricare completamente la batteria
sono necessarie tra le due ore (presa di tipo
industriale/360 Volt) e le quattro ore (presa di
tipo domestico/230 Volt). La batteria funziona a un livello di tensione diverso rispetto alla
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modalità S del cambio automatico, il recupero
di energia in fase di decelerazione aumenta per
caricare in modo più efficace la batteria durante
la guida sportiva. Anche le frenate hanno luogo
quasi sempre in modalità esclusivamente elettrica. In questo caso, i motori elettrici fungono
da alternatore e convertono l’energia cinetica
dell’auto in corrente elettrica, che viene accumulata nella batteria. I freni a disco intervengono solo in caso di forti decelerazioni o frenate di
emergenza. Nella fiancata destra della coupé a
cinque porte è collocato lo sportello del serbatoio, sotto il quale si trova un manicotto per il rabbocco dell’idrogeno.
Un pieno di idrogeno dura 500 km
Un «pieno» di H2 dura tanto quanto il rifornimento di un’auto tradizionale (circa tre minuti).
In questo caso, i serbatoi comunicano tramite
l’interfaccia a infrarossi con la stazione di rifornimento, compensando i livelli di pressione e
cella a combustibile. Tra i due componenti si trova quindi un trasformatore a corrente continua
(DC/AC). Il cosiddetto convertitore “tri-port” si
trova sotto il pacco del celle a combustibile. In
diverse modalità di esercizio, questo convertitore riesce a equalizzare le tensioni, permettendo
così ai motori elettrici di esprimere il massimo
rendimento (95%).
Due motori elettrici: non si rinuncia alla trazione quattro
L’elettronica di potenza nella parte anteriore e
posteriore converte la corrente continua, proveniente dalla cella a combustibile e dalla batteria, in corrente alternata per i motori elettrici
che azionano separatamente l’assale anteriore
e quello posteriore. Entrambi i motori elettrici,
che vengono raffreddati insieme ai trasformatori di tensione da un circuito a bassa temperatura, sono macchine sincrone a eccitazione
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temperatura. I quattro serbatoi per l’idrogeno
della Audi A7 Sportback h-tron quattro si trovano sotto il pianale del vano bagagli, davanti all’assale posteriore e nel tunnel centrale. Uno strato
esterno in plastica rinforzata in fibra di carbonio
(CFK) riveste il corpo in alluminio. I serbatoi possono contenere circa 5 kg di idrogeno a una pressione di 700 bar, sufficienti per oltre 500 km.
Secondo il ciclo NEDC, il consumo è di circa un
chilogrammo di idrogeno per 100 chilometri, un
quantitativo che genera la stessa energia di 3,7
litri di benzina. La A7 Sportback h-tron quattro
si muove senza produrre emissioni. Utilizzando
l’idrogeno, a patto che sia ricavato da fonti rinnovabili, il modello può così essere considerato
globalmente a zero emissioni. Dal 2013 Audi gestisce in Bassa Sassonia un impianto pilota in cui
viene usata corrente eolica da fonti rinnovabili
per generare idrogeno tramite elettrolisi. Attualmente, questo idrogeno viene sfruttato per produrre metano sintetico (Audi e-gas). In futuro si
potranno rifornire le vetture a celle a combustibile incanalando l’idrogeno in una apposita rete. Si
tratta di una possibilità concreta per la mobilità
sostenibile a emissioni zero.
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Gomme invernali e catene
falsi miti e leggende
Sfatiamoli con enrico De Vita
Proprio in questi giorni entrano in vigore le ordinanze che obbligano
a montare pneumatici invernali o a dotarsi di catene a bordo.
È l’occasione ideale per sfatare i più frequenti luoghi comuni
insieme al nostro editorialista Enrico De Vita
P
roprio in questi giorni in molte zone
del Paese entrano in vigore le ordinanze provinciali che obbligano a
montare pneumatici invernali o a
dotarsi di catene da neve a bordo. È l’occasione
ideale per sfatare i più frequenti luoghi comuni
legati alle dotazioni anti-neve insieme al nostro
editorialista Enrico De Vita.
1) I pneumatici invernali sono più soggetti al
fenomeno dell’acquaplaning
«Falso. Nessuno pneumatico da autovettura è in
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Attualità
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grado di impedire il fenomeno dell’ acquaplaning
a velocità superiori a 70 km/h, quando l’asfalto è ricoperto da 1 centimetro di acqua. Infatti,
a tale velocità, il battistrada non fa in tempo a
centrifugarla ed è costretto a salire sullo strato
fluido. Quando la superficie della strada è lucida,
completamente sommersa dalla pioggia, si deve
quindi rallentare e non superare gli 80 km/h.
In caso contrario si rischia davvero di “sciare”
sull’acqua e allora non c’è pneumatico che tenga».
2) Il Codice della Strada impone di montare
gomme invernali o di avere a bordo catene in
determinate Province o Regioni
«Vero. In presenza di neve il CdS impone di avere a bordo catene o di montare pneumatici invernali, dispositivi che non sono alternativi ma
complementari l’uno con l’altro. Estremizzando,
chi è residente in Sicilia e deve mettersi in viaggio può tenere tranquillamente delle catene nel
bagagliaio. Chi viaggia invece dove è facile che
si incontrerà neve, specialmente sui tratti autostradali, è bene che inizi a valutare la possibilità
di dotarsi di gomme invernali. In generale sono
una cinquantina le Province che che obbligano a
dotarsi di mezzi anti-sdrucciolevoli a partire dal
15 novembre fino al prossimo 15 aprile».
3) Le gomme invernali si possono montare anche solo sull’asse di trazione
«Falso. Le gomme invernali vanno montate su
tutte e quattro le ruote. Il Codice non lo dice
esplicitamente, ma è una questione assoluta di
sicurezza. Quando c’è neve, una gomma invernale assicura un’aderenza laterale (per la tenuta in curva) e longitudinale (indispensabile per
accelerare e frenare) superiore dicirca quattro
volte rispetto ad un estivo a pari condizioni. Se si
montano soltanto due pneumatici invernali, per
esempio sull’asse di trazione anteriore, alla prima curva non si avrà più aderenza al posteriore.
O meglio si avrà un’aderenza di gran lunga minore di quella anteriore. Percorrere una discesa innevata con gomme estive al posteriore significa
andare incontro a un testacoda garantito alla prima curva. Questo avviene perché la vettura non
ha più aderenza in appoggio. Con una trazione
posteriore ed estivi montati davanti si va invece
incontro a un bel dritto».
4) Le catene sono meno efficaci delle gomme
invernali
«Falso. Le catene sono efficacissime in caso di
neve abbondante e ghiaccio. Ancora più delle
invernali. Ma hanno un grosso limite: possono
essere utilizzate solo fino a 50 km/h. L’invernale
invece consente di viaggiare tranquillamente a
70, 80, 90 km/h e anche di più, se uno è bravo».
5) In certe tratte le catene sono vietate
«Falso. La leggenda metropolitana l’ha creata
l’anno scorso il legislatore quando ha provato
a mettere fuori legge le catene, nel tentativo di
obbligare tutti a dotarsi di gomme invernali. Le
cose non stanno così come la proposta voleva
far credere. Le catene, specialmente in certe
condizioni, sono l’ideale. Alcuni mezzi spala-neve, per esempio sullo Stelvio, se non montassero
le catene non andrebbero da nessuna parte. Le
catene non sono alternative, ma complementari
agli invernali. Ripeto: vanno bene in situazioni difficili e a basse velocità».
6) I pneumatici “All Seasons” sono validi come
invernali
«Vero. I pneumatici “All Seasons”, letteralmente
“Per tutte le stagioni”, hanno in effetti un’omologazione M+S che per il Codice è sufficiente
per poter viaggiare in regola d’estate e anche
d’inverno. Ma rimangono pur sempre un compromesso sia in condizioni di asciutto, che di
bagnato, sia su neve sia col caldo asciutto. E un
compromesso non potrà mai garantire massima
sicurezza in ciascuna di queste condizioni».
7) Gli “All Seasons” sono più costosi dei pneumatici tradizionali
«Falso. I prezzi degli “All Seasons” sono in linea
con quelli degli estivi di buona qualità. Per cui
rappresentano di certo una scelta economica
perché vanno bene per tutto l’anno, non costringendo al cambio gomme due volte l’anno».
8) Le gomme termiche sono costossissime
«Falso, forse lo erano una volta. Vent’anni fa
quando sono arrivati sul mercato i primi modelli erano davvero costose, oggi invece hanno un
prezzo che mediamente non supera del 10% il
valore di quelle estive. Specialmente su Internet
si possono trovare offerte e prezzi molto variabili».
9) I modelli di pneumatici invernali più recenti
sono più efficaci
«Il progresso è continuo e inarrestabile. Gli ultimi
modelli usciti sono sempre i migliori».
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Attualità
Periodico elettronico di informazione motociclistica
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10) Ogni pneumatico ha una sua velocità massima ammissibile
«Vero. I pneumatici presentano sulla spalla una
sigla numerica. Il primo numero indica la larghezza del battistrada. Se leggiamo 195 significa
che la nostra gomma sarà larga 195 mm. C’è poi
un altro numero, preceduto da una barra, che indica il rapporto in centesimi dell’altezza di sezione rispetto alla sua larghezza. La lettera R indica
semplicemente che si tratta di un pneumatico
radiale. Segue, quindi una cifra – per esempio
14, 15, 16 – che indica in pollici la misura del cerchio. Abbiamo infine l’indice di carico e il codice
di velocità: cioè una lettera dell’alfabeto che può
essere per esempio Q, S, H, Y, eccetera, che indica qual è la velocità massima che può sopportare la gomma a pieno carico. L’indice Q è il più
basso e indica un limite di 160 km/h, si sale poi
di 10 km/h con la sigla S, quindi con T. La lettera
H permette di raggiungere i 210, V i 240 e Z va
oltre i 240».
11) Usare pneumatici invernali d’estate è vietato, si rischiano multe
«Niente di più falso. D’inverno si può montare un
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pneumatico con un indice inferiore di una unità,
cioè di 10 km/h, a quello estivo, come è riportato sul libretto di circolazione. Una vettura che
monta un invernale H per esempio è in condizioni perfette se il libretto permette una estiva H.
Ma potrebbe montare anche un invernale T, con
codice quindi inferiore a quanto riportato sul libretto. Ma in estate la si dovrà cambiare, qualora
sul libretto il codice T non sia contemplato fra le
opzioni possibili. Oggi però la stragrande maggioranza dei pneumatici invernali parte dal codice H, quindi non c’è problema. L’allarme lanciato
nel maggio scorso era solo un pretesto per spingere gli automobilisti a recarsi dal gommista. In
pratica l’unico caso in cui non si può mantenere
un’invernale anche d’estate è quando la gomma
termica mostra una codice di velocità inferiore
a quello indicato dal libretto. In tutti gli altri casi
le invernali possono essere mantenute anche in
estate».
12) Cambiare le gomme due volte l’anno è una
spesa non trascurabile
«Vero ma... Bisogna considerare che bisognerebbe andare comunque dal gommista a far
bilanciare le gomme e a controllare la pressione almeno due volte l’anno. Facendo in questo
modo l’auto non vibra, rimane confortevole e
soprattutto si conservano molto più a lungo i
pneumatici. Naturalmente non ha senso comprare un treno di invernali se si cambia auto ogni
due d’anni. Se si preventiva di tenerla per almeno
quattro anni però diventa conveniente».
13) Le gomme invernali si usurano più di quelle
estive
«Falso. Le gomme invernali, utilizzate a bassa
temperatura si usurano meno di quelle estive
utilizzate durante la stagione calda sugli stessi
percorsi. Non è, quindi, vero che le gomme invernali si consumano di più. Questo può succedere
solo se le manteniamo anche d’estate, e le utilizziamo ad alta velocità, a temperature elevate e
su strade asciutte.
14) Dopo 1-2 anni le invernali vanno cambiate
indipendentemente dal grado di usura perché
la mescola si è indurita
«Falso. Una leggenda da sfatare racconta che le
invernali dopo un anno si degradano e non vanno più bene. Falso, la mescola non si degrada e
mantiene per anni le sue caratteristiche di aderenza a bassa temperatura. Ciò che si modifica,
come in tutti i pneumatici, è lo spessore del battistrada, che ha relazione con la profondità delle
scanalature (aquaplaning e cattura del cordone
di neve). In aggiunta, l’usura smussa il bordo
acuminato delle lamelle e questo danneggia in
una certa misura sia la marcia su bagnato sia
quella su ghiaccio».
15) Gli invernali sono una tipica truffa italiana
«Falso. Non sono una truffa italiana perché sono
stati inventati in Scandinavia. In Italia il pneumatico invernale è ideale a basse temperature, e
non solo in presenza di neve ma anche con pioggia, ghiaccio e neve. In tutte queste condizioni
gli invernali offrono prestazioni di gran lunga superiori a quelle estive, fino a quattro volte di più!
Certo che ci sono regioni, come quelle del Sud
dove non nevica quasi mai, per cui sarebbe follia
obbligare a montare gomme termiche.»
16) I pneumatici ricoperti sono pericolosi
«Falso. Vanno benissimo, ciò che conta è la mescola. Se è di buona qualità, morbida e ben tassellata è perfetta».
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Interviste
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Marek Neumann, Intel
«Auto come aerei, tutto sarà in
mano all’elettronica. Non c’è
pericolo»
abbattere gradualmente i costi
e oggi abbiamo tecnologie più
complesse ma anche molto più
accessibili per i nostri clienti.
Siamo davanti ad una catena di
eventi razionali, ognuno interconnesso con l’altro».
di Matteo Valenti | Le tecnologie di bordo sono destinate a rivoluzionare
l’automobile, almeno per come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi.
Marek Neumann della Intel ci aiuta a capire che cosa dobbiamo
aspettarci dall’auto di domani
T
Tutti conoscono Intel, il colosso
americano diventato celebre
per i suoi microprocessori. Il
grande pubblico ha incontrato
l’Azienda di Santa Clara con la
diffusione di massa nelle abitazioni dei primi personal computer, circa 20 anni fa. In realtà la
Intel Corporation nasce molto
prima, nel 1968 per l’esattezza,
grazie alla lungimiranza dei fondatori Robert Noyce e Gordon
Moore. Sarà poi la genialità di
Andrew “Andy” Grove a fare di
questa realtà, pioniera nell’informatica, una delle più grandi
multinazionali del mondo. Rispetto a vent’anni fa, all’alba
della diffusione di massa dei
PC, il mondo è molto cambiato.
Oggi i processori sono sempre
più piccoli e potenti, ma anche
molto più diffusi di un tempo.
Questo perché attualmente
66
una miriade di oggetti di uso
quotidiano, anche quelli più impensabili fino a poco tempo fa,
incorpora un microprocessore.
Tra questi ci sono senza dubbio
le automobili che nell’ultimo decennio sono state rivoluzionate
da sistemi di infotainement e
dispositivi di sicurezza elettronici sempre più avanzati. Per
questo motivo Intel ha creato
al suo interno una vera e propria divisione Automotive che
si occupa di sviluppare nuove
tecnologie a supporto dei sistemi di bordo delle auto più
moderne. Per fare degli esempi
concreti, troviamo i processori
Intel per esempio sulle BMW,
dove fanno funzionare il tanto elogiato ConnectedDrive,
ma anche su alcuni modelli di
vertice del Gruppo HyundaiKia e sulla Q50 della Infiniti.
L’azienda californiana in ogni
caso fornisce tecnologie a
moltissimi altri costruttori automobilistici, che però preferiscono mantenere riservata la
collaborazione. Dal momento
che le tecnologie di bordo sono
destinate a rivoluzionare l’automobile, almeno per come
l’abbiamo conosciuta sino ad
oggi, abbiamo intervistato Marek Neumann, Director of Architecture for Intel’s Automotive Solutions Division, che ci ha
aperto inediti scenari sul futuro
e le potenzialità dei nuovi sistemi pensati per le quattro ruote.
Come è destinata a cambiare
l’automobile con l’arrivo di sistemi di infotainment sempre
più complessi e sofisticati?
«Oggi dobbiamo considerare il sistema di infotainment
come uno degli elementi fondamentali durante lo sviluppo di
un’automobile. In futuro le tecnologie di bordo avranno sempre maggiori capacità di interazione sia con il guidatore che
con i passeggeri. A dire il vero
diventeranno un ponte che
metterà in collegamento con
il mondo esterno chi si trova a
bordo di un auto in movimento,
in una maniera molto diversa
rispetto a quanto è accaduto
sino ad oggi. L’automobile si
connetterà automaticamente
ai nostri social network, memorizzerà i nostri impegni di lavoro e tutto quello che in generale
può essere reso accessibile attraverso la tecnologia mobile».
Un tempo i sistemi multimediali erano riservati alle
ammiraglie. Oggi li troviamo
anche sulle citycar. Come si è
arrivati a questa rivoluzione?
Come si è riusciti a realizzare
sistemi sempre più accessibili
dal punto di vista dei costi?
«C’è una cosa di cui Intel è molto orgogliosa. Sto parlando della Moore’s Law (letteralmente
“La legge di Moore”, Gordon
E. Moore è il co-fondatore della Intel, ndr), che illustra come
Intel sia sempre riuscita nel
corso della sua storia a raddoppiare all’incirca ogni due anni
la capacità dei propri semiconduttori, dei chip, per intenderci.
Quello che all’inizio del secolo,
nei primi anni 2000, si poteva
ottenere da un personal computer molto ben equipaggiato,
oggi si può fare tranquillamente con un tablet. Seguendo
un trend di questo tipo siamo
stati in grado allo stesso di
Intel oggi è molto interessata a quello che chiamate “Internet of things”. Grazie alla
tecnologia ogni oggetto potrà
essere collegato ad un altro.
Ogni tipo di oggetto potrà diventare “intelligente” perché
sarà in grado di comunicare
con un altro. Come cambieranno il mondo dell’auto queste importanti innovazioni?
Qual tipo di scenario dobbiamo immaginarci per il futuro?
«Sono convinto che tutto questo avrà ricadute enormi sul
sull’automobile e più in generale sul mondo dei trasporti.
Oggi abbiamo ancora delle
applicazioni piuttosto semplici
di questa tecnologia. Ci sono
auto per esempio che aiutano
a trovare un parcheggio libero, altre che possono interagire con i parchimetri. Ma per il
futuro possiamo immaginare
potenzialità molto più complesse. Lo smartphone sarà
perfettamente integrato all’automobile. Facciamo un esempio. Abbiamo un appuntamento registrato in agenda, che
però viene spostato di alcune
ore dal nostro ufficio. A questo
punto il telefono sarà in grado
di mettersi in contatto con il
navigatore, che riorganizzerà
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automaticamente il viaggio dal
momento che è cambiato l’ordine degli impegni. E magari noi
non ce ne accorgeremo nemmeno perché non riceveremo
più la chiamata della segretaria. Il passaggio da operazioni
molto semplici a interazioni
molto più complesse sta divenendo realtà».
La tecnologia Car-to-X è la
nuova frontiera dell’auto.
Quando riusciremo a vedere
veicoli in grado di comunicare
tra loro, indipendentemente
dalla tipologia e dalla marca
del mezzo? Sarà possibile un
dialogo tra auto e moto un
domani? Potrebbe essere un
grande passo in avanti a favore della sicurezza?
«Le sue ultime parole sono
quelle più importanti. Per noi
è assolutamente fondamentale portare avanti lo sviluppo di
tecnologie che non siano sfruttabili soltanto da un singolo
marchio. Noi ci impegniamo a
realizzare piattaforme comuni per l’interazione dei veicoli
che possano andar bene non
solo per tutti i brand ma anche
per ogni tipo di veicolo. Piattaforme che dovranno condividere peraltro la stessa rete di
comunicazione. E una tecnologia basata sulla standardizzazione deve essere in grado
di comunicare con l’ambiente
circostante senza fare differenze. Questo percorso include
fino in fondo anche le moto.
Sarebbe fantastico proteggere
68
Interviste
Periodico elettronico di informazione motociclistica
i motociclisti dall’urto contro
un’automobile causato dall’automobilista che non si è accorto o non ha realizzato a quale
velocità si stava avvicinando
la moto all’incrocio. Un caso
incidente drammatico ma purtroppo molto frequente. Solo
se saremo in grado di mettere
in collegamento ogni protagonista di un flusso di traffico,
grazie ad una piattaforma tecnologica comune, potremo aumentare la sicurezza con questa tecnologia».
Intel sta già lavorando a questo?
«Noi favoriamo da sempre la
nascita di piattaforme tecnologiche comuni. Non vogliamo
creare un sistema chiuso. Intel ha sempre voluto fornire
delle innovazioni standard e
preferiamo convincere i nostri clienti, invece di imporre
la nostra tecnologia. Lavoriamo all’interno degli schemi
standard stabiliti dalla IEEE. In
questo modo le nostre piattaforme si dimostrano adatte alle
diverse esigenze di numerosi
clienti e possiamo dare vita a
soluzioni aperte e compatibili.
Molto meglio rispetto ad avere tante soluzioni, tutte diverse tra loro e ciascuna adatta
solamente ad un esigenza specifica».
I moderni sistemi di infotainment sono sempre
più ricchi di potenzialità, alcune semplicemente
inimmaginabili sino a poco
tempo fa. Come affrontate il
problema, che diventerà sempre più presente, della protezione dell’enorme mole di dati
prodotta da queste tecnologie? Le grandi aziende sarebbero disposte a pagare a peso
d’oro dati sui consumi e le abitudini degli automobilisti...
«Lo scenario da lei tracciato
nella sua domanda è davvero
molto concreto. Non voglio rispondere con un opinione ma
con una posizione ben precisa.
La persona che genera questa
mole di dati (l’automobilista in
questo caso, ndr) deve avere
la possibilità di decidere come
vengano utilizzati. Intel ha una
strategia molto precisa a riguardo, che mette al centro
prima di tutto la privacy ma
anche tutti gli aspetti legati alla
sicurezza. Per far sì che i dati
vengano gestiti nella maniera
corretta la prima cosa da fare
è renderli sicuri. Per questo in
Intel abbiamo una vera e propria ossessione per la sicurezza. Ogni tecnologia viene sottoposta periodicamente ad un
esame di sicurezza e non c’è
possibilità di scampo, bisogna
superarlo per forza. Il nostro
obiettivo è riuscire a costruire per le aziende quello che
chiamiamo “trusted root”».
In pratica di cosa si tratta?
«Dovete pensare a qualcosa di
simile ai chip di identificazione delle carte d’identità. Noi
montiamo questo sistema di
controllo in ogni componente
hardware, che, se viene correttamente installato e gestito,
riesce a realizzare una “catena
di fiducia” attraverso l’intero
sistema. In questo modo permettiamo solo ai membri di
questa catena, ovvero a chi è
realmente autorizzato, di mettersi in contatto con l’automobile o con il proprio device.
Questo è il sistema principale
attraverso cui riusciamo a garantire al tempo stesso sicurezza e tutela della privacy.
Alcuni anni fa Intel poi ha acquisito McAfee che la maggior
parte delle persone conoscono
per essere una delle società
più famose nella produzione di
sistemi anit-virus. Ma le stesse
tecnologie di protezione sviluppate da McAfee possono
essere applicate anche a sistemi integrati [come quelli delle
automobili], all’infotainment e
a qualsiasi dispositivo pensato
per comunicare con altri device».
È impossibile quindi che i costruttori auto possano arrivare un giorno a cedere tutta
questa enorme mole di informazioni ad altre aziende?
«Non posso negare con
assoluta certezza questo
scenario. Dipende dal tipo di
contratto che si stabilisce tra
il proprietario di un’auto e l’azienda che ha realizzato il sistema di infotainment. Oggi
non sappiamo ancora quali
saranno i modelli di business
che si svilupperanno tra questi
attori. È chiaro però che queste
tecnologie mettono nelle mani
dei produttori una leva molto
importante in fase di vendita. I
costruttori potrebbero dire ad
un cliente: “Ti offro uno sconto di 2.000 euro sull’acquisto
dell’auto se mi permetti di utilizzare i dati generati dai tuoi
69
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sistemi di bordo. Per esempio
quante volte metti la freccia,
quante volte freni o qual è la tua
stazione radio preferita”. Le
potenzialità di questo business
sono enormi ma non riguarda
direttamente Intel.
Da un lato c’è chi produce i
dati [l’automobilista in questo
caso] dall’altro chi desidera
mettere le mani su questi dati
[le grandi aziende].
Lo scopo di Intel deve essere
solo quello di assicurare che
non succeda nulla di indesiderato a questi dati».
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Interviste
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Come ha dimostrato la storia degli ultimi anni ogni sistema informatico, anche ad
altissimi livelli, può essere
vulnerabile. Auto sempre più
connesse e tecnologiche, capaci di agire automaticamente anche su motore, cambio,
freni, ecc., non rischiano di
trasformarsi in un pericolo
per gli automobilisti nel momento in cui dovessero essere prese di mira dagli hacker?
«Gli hacker riescono ad agire
quando trovano uno spiraglio
lasciato aperto da un ingegnere
lavora in maniera superficiale
o da un sistema di verifica non
abbastanza accurato. Nella
maggior parte dei casi un sistema è vulnerabile perché si
sono commessi degli errori,
perché si è costruita una struttura in maniera superficiale o
altrimenti sono causati dall’ignoranza. Noi di Intel però abbiamo una vera ossessione per
la sicurezza. Per questo ogni
singolo controller, ogni singola
unità Intel installata su un’automobile lavora solamente con
un interlocutore autenticato.
È come se tu dovessi dare il tuo
codice bancario a qualcuno.
Per non correre rischi non lo
comunicherai via email ma lo
pronuncerai a voce personalmente al destinatario che poi
lo trascriverà su un pezzo di
carta.
Il nostro sistema di sicurezza funziona proprio così.
Una determinata comunicazione viene recepita dalla centralina dei freni per esempio solo
se la centralina stessa certifica
che l’impulso proviene da qualcuno autorizzato ad emetterlo».
«Sessant’anni fa gli aerei si facevano volare attraverso cavi
d’acciaio, pompe idrauliche,
attuatori meccanici. Oggi dozzine di milioni di passeggeri salgono tutti i giorni su aeroplani
che non hanno nemmeno un
solo collegamento di tipo meccanico. Tutte le componenti
in pratica vengono controllate
con tecnologia ride-by-wire.
E nessuno si meraviglia. L’auto oggi sta attraversando lo
stesso percorso. Lo sterzo è
servoassistito elettricamente,
i cambi sono gestiti completamente attraverso computer e
nessuno teme che un automatico decida improvvisamente
di inserire la retro in autostrada. Certo ci vorrà del tempo
per abituarsi e per fidarsi delle
novità, ma se svilupperemo le
tecnologie gradualmente, con
cautela e soprattutto mettendo al centro la sicurezza, credo
che otterremo la stessa reazione che oggi abbiamo con le
persone che viaggiano in aereo.
Nessuno si stupirà o avrà qualcosa da temere».
Le tecnologie dell’auto vigilano sempre più sulla guida
dell’automobilista.
Ormai
l’auto frena da sola in presenza di un ostacolo, guida autonomamente in coda e con le
telecamere vede nel buio ciò
che l’occhio umano non potrebbe mai scorgere. Queste
tecnologie non rischiano di
diseducare gli automobilisti?
“Posso distrarmi tranquillamente, per esempio per utilizzare il mio smartphone, tanto
in caso di pericolo fa tutto la
macchina”.
«Credo che questo aspetto si
risolva con una questione di
educazione civica e stradale.
Quando sono arrivati i primi
cellulari non c’erano regole
per l’utilizzo così le persone
scrivevano messaggi e telefonavano in libertà, tanto che si
sono verificati molti incidenti.
Questo si verifica ogniqualvolta arriva una nuova tecnologia.
Possiamo realmente eliminare
questo rischio? Io credo di no,
perché l’essere umano è portato a commettere errori per
natura.
Puoi messaggiare tranquillamente in autostrada perché
tanto c’è il Lane Assist? Ovviamente no. La domanda reale è:
bisogna disciplinare le tecnologie oppure gli automobilisti?
La soluzione è creare maggiore
consapevolezza tra chi si mette
alla guida.»
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Antonio Solinas, Abinsula
«Al volante delle auto del
futuro saremo dei supereroi»
di Matteo Valenti | Antonio Solinas, Direttore R&D&I di Abinsula S.r.l.,
un’interessantissima startup sarda specializzata nelle piattaforme
“connected car”, ci aiuta a capire come i sistemi di bordo siano destinati
a rivoluzionare le automobili nei prossimi anni
A
Antonio Solinas è il Direttore
R&D&I di Abinsula S.r.l., un’interessantissima startup sarda
specializzata nelle piattaforme
“connected car”. È la persona
ideale per capire come i sistemi di bordo siano destinati a
rivoluzionare le automobili nei
prossimi anni. Ma grazie alla
sua esperienza potremo comprendere meglio anche le dinamiche sotterranee che si
muovono le quinte del mondo
dell’auto, sempre più diviso tra
Open Automotive Alliance, Apple Carplay e Mirrorlink.
Come è destinata a cambiare
l’automobile con l’arrivo di sistemi di infotainment sempre
più complessi e sofisticati?
«I sistemi di infotainment oggi
vivono un momento importante nell’innovazione dell’auto. Risultano infatti essere
gli strumenti abilitanti per le
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Interviste
Periodico elettronico di informazione motociclistica
connected car. Se da un lato un
sistema di infotainment connesso permette di veicolare
informazioni e intrattenimento
sempre aggiornati all’interno del veicolo, dall’altro lato
risulta essere punto centrale
per portare le informazioni del
veicolo sul cloud permettendo
così la localizzazione, la visualizzazione dei dati dell’auto da
remoto sia dal guidatore stesso che dalla casa produttrice.
Una volta creato il canale però
le applicazioni saranno tante e
diverse, dalla possibilità di aggiornamento del sistema, alla
manutenzione preventiva alla
condivisione di informazioni
riguardante il traffico e gli incidenti in tempo reale. Ogni
auto diventa sensore comune.
Ma una volta creato il canale
di comunicazione gli scenari futuribili hanno limite solo
nella fantasia. L’auto potrà
diventare un vero ufficio in mobilità o quadro strumenti per
gestire la demotica in casa. Opportunità che dovranno essere sfruttate con nuovi modelli
di interazione in grado di non
distrarre il guidatore. Ci sarà
quindi molta attenzione alle
funzionalità per i passeggeri».
Un tempo i sistemi multimediali erano riservati alle
ammiraglie. Oggi li troviamo
anche sulle citycar. Come si è
arrivati a questa rivoluzione?
Come si è riusciti a realizzare
sistemi sempre più accessibili
dal punto di vista dei costi?
«L’innovazione nei dispositivi
“mobili”, smartphone e tablet,
ha permesso di abilitare economie di scala e poter attingere
da questo dominio alcuni vantaggi in termini di progettazione e disponibilità di elementi
elettronici: microcontrollori,
memorie, display. In alcuni casi
a questo vantaggio si è sommato quello derivante dall’utilizzo di sistemi opensource
come Linux. Vi è ancora un costo di progettazione maggiore
derivante dall’attenzione alla
qualità e agli aspetti di sicurezza ma i costi si sono notevolmente ridotti a fronte poi di
investimenti sempre maggiori.
Noi come Abinsula abbiamo
puntato molto sull’utilizzo dei
sistemi opensource in auto e
i risultati degli ultimi due anni
sono molto promettenti. L’utilizzo dell’opensource ci ha
permesso di tagliare enormemente i tempi di sviluppo ed
evitare l’obsolescenza tipica di
questo mercato. Si pensi che la
progettazione di un sistema di
infotainment un tempo andava
oltre i 5 anni e doveva rimanere
in auto per altri 6-7 anni. In genere in auto avevamo sistemi
“vecchi” di 10 anni se paragonati con il nostro smartphone.
Attraverso l’opensource abbiamo abbattuto enormemente i
tempi e costi di progettazione».
Tra Google ed Apple è in atto
una vera e propria battaglia
per stringere accordi con i
diversi costruttori. Le cose
stanno davvero così o c’è spazio per tutti?
«Google ed Apple si sono mossi
su un terreno inesplorato abilitante le connected car, quello
della comunicazione con i dispositivi mobile che risultano
essere strumenti di interazione
integrati nella plancia e gateway per la connettività. In questo segmento si è affacciata
ultimamente anche Windows
e RIM con Blackberry e QNX
non starà alla finestra. C’è abbastanza spazio, certo è che in
questo settore la presenza sul
mercato mobile rappresenta
già un vantaggio competitivo
enorme. Ma le modalità di abilitare le connected cars sono
diverse. Per esempio l’innovazione stessa dei dispositivi
di infotainment integrati nella
plancia dove i competitor sono
diversi: QNX, Windows, Linux,
Android, etc..
Vi è un altro segmento interessante che è quello di utilizzare
la porta diagnostica dell’auto
per comunicare e abilitare le
connected cars.
Questo segmento è enormemente frammentato e accessibile a startup, questo mercato
non necessita di alleanze con i
costruttori».
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Interviste
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Bluetooth, WiFi, 3G etc. Oggi i
vari costruttori tendono ad isolare completamente i sistemi di
powertrain dai sistemi di infotainment permettendo solo la
lettura dei dati e non la scrittura. In questa maniera la sicurezza potrebbe essere preservata,
anche se gli hacker tendono
sempre a trovare una strada
alternativa. Oggi molti costruttori stanno portando in azienda
con nuove professionalità e gli
hacker ed esperti di sicurezza
sono tra questi, in particolare
hacker esperti di vulnerabilità
nei sistemi embedded. Questa
è una problematica che deve
essere trattata con attenzione
ed è sotto l’occhio critico dei
progettisti».
I moderni sistemi di infotainment sono sempre più
ricchi di potenzialità, alcune
semplicemente
inimmaginabili sino a poco tempo fa.
Come affrontate il problema,
che diventerà sempre più presente, della protezione dell’enorme mole di dati prodotta
da queste tecnologie? Le
grandi aziende sarebbero disposte a pagare a peso d’oro
dati sui consumi e le abitudini
degli automobilisti...
«Privatezza e sicurezza dei dati
sono problemi che abbracciano tutto il mondo degli oggetti
intelligenti, dai wearable devices alle auto connesse. E’
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necessario che le varie agenzie
che regolano questi aspetti aggiornino i loro modi di misurare
e intervenire in caso di abuso.
E’ pur vero che se il dato opportunamente filtrato e mascherato può servire per abilitare funzioni dove l’utente stesso può
avvantaggiarsene, per esempio
proprio quello sui consumi e
sulle abitudini, per esempio algoritmi in grado di suggerirti la
guida, dove fare rifornimento
in base al tragitto e quando e
come fare manutenzione».
Come ha dimostrato la storia
degli ultimi anni ogni sistema
informatico, anche ad altissi-
mi livelli, può essere vulnerabile. Auto sempre più connesse e tecnologiche,capaci di
agire automaticamente anche
su motore, cambio, freni, ecc.,
non rischiano di trasformarsi
in un pericolo per gli automobilisti nel momento in cui dovessero essere prese di mira
dagli hacker?
«Ci sono diversi esempi di hacking in auto. Ad oggi molti passano per la porta OBD e quindi
è necessario comunque avere
accesso fisico all’auto. E’ pur
vero che con le auto connesse
tutto questo sarà un problema
più vasto, i punti di accesso
potrebbero essere molteplici:
La tecnologia Car-to-X è la
nuova frontiera dell’auto.
Quando riusciremo a vedere
veicoli in grado di comunicare
tra loro, indipendentemente
dalla tipologia e dalla marca
del mezzo? Sarà possibile un
dialogo tra auto e moto un
domani, a favore della sicurezza?
«Molte delle attività sulle Carto-x sono oggi veicolate dai
costruttori che quindi tendono a chiudere le informazioni
all’interno della comunità. Però
vi sono diversi altri modelli
abilitanti, come quelli che passano per l’integrazione con lo
smartphone o tramite la porta
OBD che potrebbero svilupparsi in maniera indipendente. Per
esempio Waze, acquisito da
Google un anno fa permette già
di comunicare incidenti, rallentamenti, code o problemi nella
strada. Ma con l’integrazione
più spinta degli smartphone in
auto e moto questo potrebbe
essere solo la punta di un iceberg. L’importante sarà trovare un modello di interazione in
grado di rendere questi contenuti fruibili in maniera contestuale al mezzo, per esempio
per le moto è già in sperimentazione un casco in realtà aumentata e per le auto un proiettore
connesso verso il parabrezza,
esempi indipendenti dalla marca del mezzo».
Le tecnologie dell’auto vigilano sempre più sulla guida
dell’automobilista.
Ormai
l’auto frena da sola in presenza di un ostacolo, guida autonomamente in coda e con le
telecamere vede nel buio ciò
che l’occhio umano non potrebbe mai scorgere. Queste
tecnologie non rischiano di
diseducare gli automobilisti?
“Posso distrarmi tranquillamente, per esempio per utilizzare il mio smartphone, tanto
in caso di pericolo fa tutto la
macchina”
«Sì, il futuro dell’auto va verso
l’ipersensorialità, il guidatore
sarà quasi un supereroe con vista ad infrarossi e informazioni
su Head Up Display. Sarà importante veicolare il concetto
che i sensi sono solo di supporto che per guidare un auto e la
moto ci vuole ancora il cervello
lucido. Noi tendiamo ad avere
fiducia, specie se le nuove tecnologie nascono per l’auto in
auto. Lo smartphone è purtroppo un problema perché non
nasce per l’auto, l’integrazione
di questo dentro l’auto dovrà
tenere conto di questo aspetto,
quindi veicolare informazioni
in maniera poco distraente e
input ricevuti tramite controllo vocale o tramite controlli al
volante. La speranza è che l’integrazione vada proprio nella
direzione di risolvere un problema e non di amplificarlo».
Come stanno reagendo i principali operatori che potrebbero vedere in questo segmento
il futuro del loro business,
visto che i margini su voce e
sms si stanno sempre più assottigliando grazie al voip?
«Le aziende di telecomunicazioni da tempo stanno convertendo la loro offerta in modo da
utilizzare voce, sms, connessione dati come abilitante per
altri servizi.
Se oggi troviamo nell’offerta
delle TLC servizi come quelli
di pagamento via smartphone
o vendita di contenuti multimediali è proprio per questo
motivo. In auto potranno e dovranno inventarsi nuovi servizi,
immagino quelli derivanti dalla
pubblicità in base alla localizzazione o di modelli di utilizzo
professionali in grado di garantire una banda maggiore per
chi utilizza l’auto come ufficio
in mobilità.»
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L’unica vettura di Formula Uno a utilizzare il compressore centrifugo a comando meccanico
è stata la sfortunata BRM di inizio anni Cinquanta
Motori sovralimentati
I centrifughi a comando meccanico
di Massimo Clarke | I compressori di questo tipo talvolta non vengono
azionati da una turbina (come nei “turbo” che da anni dominano la
scena), ma sono collegati all’albero a gomiti
L’
idea di “soffiare” letteralmente
aria all’interno dei cilindri utilizzando un dispositivo funzionante
più o meno come un ventilatore e
non come una pompa che sposta una quantità
fissa di fluido a ogni giro, è vecchia quasi quanto
il motore. Ci aveva pensato già Louis Renault nel
1902, ottenendo anche il primo brevetto relativo
a un motore sovralimentato con un dispositivo
di questo genere. Il “ventilatore” previsto non
era a flusso assiale, come quelli che quasi tutti
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Tecnica
Periodico elettronico di informazione motociclistica
abbiamo in casa, ma radiale. In altre parole il
grande tecnico e imprenditore francese proponeva di impiegare un compressore centrifugo
(dispositivo apparso nel 1899), indicando una via
che è stata successivamente seguita da tutti. La
stessa soluzione è stata impiegata nel 1907 da
Lee Chadwick e dal suo tecnico Nicholls per la
prima vettura sovralimentata della storia, che ha
esordito in gara, vincendo, l’anno successivo. Inizialmente era stato utilizzato un compressore a
stadio singolo, comandato da una cinghia piatta
La foto consente di osservare chiaramente la girante del centrifugo a comando
meccanico posto sopra la parte posteriore del basamento della recentissima Kawasaki H2
in cuoio, con la girante che ruotava a una velocità
nove volte superiore a quella del motore, ma in
seguito i due americani sono passati a un compressore a tre stadi, con giranti del diametro di
254 mm. In questo caso l’aria in pressione veniva inviata al carburatore (nello schema proposto
da Renault il carburatore era invece collocato a
monte del compressore). I compressori centrifughi, portati a uno straordinario stadio di sviluppo
in campo aeronautico nel corso degli anni Trenta
e Quaranta, sulle auto non hanno mai avuto una
grande diffusione. Per quanto riguarda i modelli
di serie vanno ricordate solo alcune applicazioni
da parte della Duesenberg e della Studebaker. A
livello di vetture da competizione spiccano solo
poche, ma comunque significative, realizzazioni
americane (negli USA si correva su piste ovali e
quindi in gara i motori subivano poche variazioni
di regime e di carico). Le prime a intraprendere questa strada sono state la Miller e la Duesenberg negli anni Venti. In Europa ha adottato
una sofisticata sovralimentazione di questo tipo
soltanto la BRM per la sua prima monoposto di
Formula Uno, dotata di un motore a sedici cilindri
di 1500 cm3. Questa vettura ha fatto la sua apparizione alla fine del 1949 ed è stata afflitta da una
serie di notevoli problemi tecnici, nel corso del
suo lungo e laborioso sviluppo. Nel 1951 erogava
430 cavalli a 10500 giri/min. Nelle rare occasioni
in cui non si sono verificati problemi meccanici,
la vettura non si è rivelata comunque competitiva dato che era pressoché impossibile guidarla.
La potenza era elevata, ma i cavalli arrivavano
tutti assieme, in maniera troppo repentina. La
causa di questo grosso problema era costituita
proprio dal tipo di compressore impiegato.
La pressione varia con il regime di
rotazione
I centrifughi sono acceleratori di flusso che
possono fornire pressioni di sovralimentazione
considerevoli, ma per farlo devono girare molto
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Tecnica
Periodico elettronico di informazione motociclistica
ove viene quindi richiamata altra aria. La “bocca” di aspirazione di questi compressori è infatti
sempre quella frontale, in asse con la girante.
L’aria spinta verso l’esterno dalla forza centrifuga viene letteralmente “scagliata” dalla girante,
in una direzione che è la risultante di due forze
agenti rispettivamente in senso radiale e in senso tangenziale, ed entra nel diffusore. All’interno
di quest’ultimo, la cui sezione aumenta rapidamente, l’aria rallenta e ciò determina un aumento di pressione. Quando viene compressa l’aria
subisce anche un riscaldamento. Quanto minore
è l’innalzamento di temperatura, con un eguale
incremento di pressione, tanto migliore è il rendimento del compressore. I centrifughi sono eccellenti sotto questo aspetto.
I compressori a doppio stadio
In campo auto di recente la Audi ha sondato la strada del centrifugo azionato elettricamente. In questo V6 diesel entra in
funzione ai bassi regimi, prima che il turbo fornisca una adeguata pressione
forte. Inoltre, il meglio di sé lo danno in un arco
di regimi decisamente ristretto. Mentre la pressione di sovralimentazione con i compressori
volumetrici rimane pressoché costante per tutto
il campo di utilizzazione del motore e la risposta
è pronta sin dai bassi regimi, con i centrifughi
questo non accade. La pressione di sovralimentazione che forniscono aumenta infatti con il
quadrato del regime di rotazione. Un compressore centrifugo ha una struttura molto semplice.
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È infatti costituito da due sole parti: un carter
dotato di una tipica conformazione a chiocciola
e una girante munita di una serie di palette. Ciò
non deve però trarre in inganno. Nelle realizzazioni più evolute questi dispositivi sono molto
sofisticati, principalmente per quanto riguarda la
geometria delle palette. Quando la girante ruota,
la forza centrifuga agisce sull’aria presente nei
vani tra le palette, spingendola verso l’esterno;
ciò crea una depressione nella zona centrale,
In campo aeronautico venivano impiegati non
solo per aumentare la potenza del motore ma
anche (anzi, soprattutto) per compensare la diminuzione di potenza che si manifestava in maniera sempre più accentuata all’aumentare della
quota, a causa della rarefazione dell’aria. Per
soddisfare esigenze sempre maggiori in questo
senso sono stati messi a punto sistemi di comando a due velocità e sono stati sviluppati raffinati
compressori a doppio stadio. In campo automobilistico va segnalato il meccanismo con variazione di rapporto realizzato negli anni Cinquanta
dalla americana Paxton, azienda tuttora celebre
nel campo del tuning, i cui prodotti sono stati
impiegati a suo tempo anche dalla Studebaker.
Attualmente sono dotati di serie di un compressore centrifugo alcuni motori a quattro tempi per
moto d’acqua costruiti dalla Yamaha. Al recente
Salone della moto di Milano ha destato grande
interesse la Kawasaki H2, azionata da un motore
1000 a quattro cilindri, munito di un centrifugo
a comando meccanico collegato all’albero a gomiti per mezzo di una catena silenziosa e di un
gruppo epicicloidale (che assicura un forte incremento della velocità di rotazione). Nel settore
delle parti speciali per il tuning diverse aziende
propongono compressori centrifughi di notevole
interesse; nomi come Vortech, Powerdyne, Procharger e Rotrex sono ben noti a tutti gli appassionati di elaborazioni automobilistiche.
L’impego del motore elettrico per
migliorare la risposta ai bassi regimi
Una recente proposta di notevole interesse prevede l’impiego di un compressore centrifugo
azionato da un motore elettrico; la soluzione
consente di avere una coppia elevata già ai regimi più bassi, unitamente a una grande prontezza nella risposta. Questa strada (che la Holset
aveva indicato vari anni fa per i motori dei veicoli
industriali) è già stata sondata dalla Audi per un
suo V6 diesel di 3000 cm3, in abbinamento con
un classico turbo. Stanno lavorando in questa
direzione anche aziende come la Valeo e non
è escluso che i compressori di questo tipo non
possano avere presto una notevole diffusione.
All’inizio della loro storia i motori a reazione per
impiego aeronautico hanno largamente utilizzato i compressori centrifughi, ma ben presto sono
stati quelli a flusso assiale ad imporsi e ad essere
quindi adottati universalmente. Li avevano già
impiegati i tedeschi durante la seconda guerra mondiale, indicando a tutti la via migliore. In
campo automobilistico tra il 1956 e il 1965 una
azienda americana ha realizzato un interessante
compressore assiale, comandato meccanicamente, che è stato costruito in circa 600 esemplari. Si tratta della Latham, il cui prodotto era
straordinario ma costoso e molto complesso da
costruire. Inoltre doveva girare fortissimo; questo rendeva necessario un sistema di collegamento all’albero a gomiti con un rapporto di trasmissione impressionante. In seguito il marchio
e i diritti sono stati acquistati da un appassionato
imprenditore californiano e il prodotto ha subito
dei miglioramenti a livello di aerodinamica interna e di sistema di fabbricazione. Oggi un compressore assiale a quattro stadi viene proposto
dalla Axialflow Engineering Co.
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SPECIALE f1
Abu Dhabi 2014
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Formula 1 Abu Dhabi 2014
le pagelle del gran finale
di Giovanni Bregant | Il Gp di Abu Dhabi ha visto andare in scena la
cavalcata trionfale di Hamilton e l’amara disfatta di Rosberg, ma anche
la grinta di Massa, il talento di Ricciardo e l’inefficacia delle Ferrari
A
lla vigilia, l’unica cosa che sembrava
poter ostacolare la vittoria del titolo
da parte di Hamilton era l’ennesimo
inconveniente tecnico, ma stavolta
la cattiva sorte ha colpito Rosberg, trasformando la gara del tedesco in un calvario e quella
dell’inglese in una cavalcata trionfale.
Non si pensi però ad un regalo: Hamilton ha
vinto meritatamente titolo e gara, superando
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Formula 1
Periodico elettronico di informazione motociclistica
momenti difficili e una strenua resistenza da
parte di Rosberg. La gara di Abu Dhabi non è
stata certo la più difficile per lui e nemmeno la
più spettacolare, ma immaginiamo che l’inglese
dalla prima all’ultima curva abbia sentito con trepidazione ogni rumore e vibrazione dell’auto, e
questo probabilmente è stato più difficile di qualsiasi duello ruota a ruota. In ogni caso, voto 10 a
Hamilton, campione!
Rosberg un vero combattente,
Massa rinato
Voto 9 a Rosberg, che esce sconfitto ma a testa alta da questo mondiale e da questa gara: a
Hamilton bastava un secondo posto e con una
Mercedes così era un risultato sicuro, salvo inconvenienti tecnici. Il tedesco quindi poteva solo
vincere e sperare che qualcosa accadesse. Ha
fatto la pole, ma ha sbagliato la partenza (un errore ininfluente, con il senno di poi), il resto è già
storia. Una sconfitta senza colpe, se non quella
di essere stato (di poco) meno efficace di Hamilton nell’arco di tutta la stagione.
Voto 9 anche a Massa, che sfiora l’impresa dopo
una stagione di rinascita e una gara condotta
sempre in zona podio: al via supera il compagno di squadra e naturalmente approfitta dei
problemi di Rosberg, però rimane il dubbio
che se ci avesse creduto di più fin dai primi giri
forse oggi staremmo a parlare della sua vittoria a
sorpresa. Chi invece ha dato il tutto per tutto, dal
primo all’ultimo giro, è Ricciardo: partito dai box
per colpe non sue, ha rimontato con caparbietà
fino al 4° posto, annichilendo ancora una volta la
concorrenza interna di Vettel. Una gara finale da
voto 10 per il pilota che è stato la sorpresa più
bella del campionato.
Vettel è rimasto in letargo
Voto 7,5 a Bottas invece, che parte malissimo e
poi fatica più del dovuto, forse, a riportarsi alle
spalle del compagno di squadra: coglie comunque il sesto podio stagionale, ma non è stata
la sua gara più bella. Solo voto 6 a Vettel, e ad
essere onesti è una sufficienza un po’ generosa,
come quella regalata dall’insegnate all’ultima
interrogazione dell’anno per non dover proprio
bocciare: parte dai box per la squalifica come
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Formula 1
Periodico elettronico di informazione motociclistica
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In un contesto tecnico così, dare un voto ai piloti
è sempre difficile, per cui ci limitiamo al 6 politico per Raikkonen e a un 6,5 per lo spagnolo che
comunque, fino all’ultimo, ha dato la sensazione
di provarci sempre, anche quando non c’è niente
per cui lottare e ha già in tasca un contratto con
un’altra scuderia. La sua caparbietà mancherà ai
tifosi, anche a quelli a cui in fondo in fondo non è
mai stato simpatico.
Regia di Ecclestone:
l’incarnazione dell’anti-sport
Voto 3 ad Abu Dhabi, scintillante e sfarzoso
contesto per concludere il Mondiale: la pista ha
poco da dire come tracciato e si fa apprezzare
solo per lo sfondo architettonico. Non a caso la
regia di Bernie Ecclestone ci ha fatto seguire più
di mezza gara con inquadrature ampie o dall’alto, dalle quali in effetti il contesto era emozionante, anche se della guida dei piloti si capiva poco
o niente. Qualcuno gentilmente spieghi a mister Ecclestone che i tifosi di F1 non siano degli
aspiranti architetti, ma degli appassionati che si
Ricciardo, ma mentre l’australiano arriva 4°, lui
si ferma all’8° posto a più di 30 secondi dal suo
compagno di squadra. Nessuno ha ancora capito esattamente cosa sia successo quest’anno
al campione tedesco, ma quella di Abu Dhabi è
stata a ben guardare la gara simbolo di un campionato fallimentare per lui. Chi invece non ha
niente da rimproverarsi è Button, che nell’ultima
gara dell’anno - e forse della sua carriera in F1 - si
qualifica davanti a Magnussen e in gara porta la
sua MacLaren ancora una volta al miglior risultato possibile, anche se è “solo” un 5° posto. Di
questo però l’inglese non ha colpe, quindi per lui
voto 8,5. Sperando di rivederti ancora il prossimo anno, Jenson. Voto 5,5 a Magnussen invece,
che sicuramente aveva il potenziale per conquistare qualche punticino ma chiude solo 11° una
gara piuttosto incolore. Per il danese, comunque, è tutta esperienza utile. È tornato sui suoi
standard migliori, invece, Hulkenberg, 6° dopo
84
emozionano per una curva presa con l’acceleratore a tavoletta più che per un tunnel realizzato
per passare sotto ad un albergo, per un controllo
al limite più che per il numero di yacht attraccati
a bordo pista. Insomma non ci siamo, ma la tendenza pare essere questa, per lo meno finché gli
organizzatori avranno i soldi, cioè per molti molti
molti anni.
Voto 10, invece, alla buona sorte - di Hamilton e
di noi tutti - che ha fatto sì che l’insana idea del
doppio punteggio in questa gara non facesse
alcuna differenza. Altrimenti, più che di finale a
sorpresa, avremmo dovuto parlare di beffa, per
il pilota inglese ma anche per tutti noi che come
bambini continuiamo, nonostante la FIA, a incantarci a guardare queste macchinine colorate girare in tondo.
L’anno prossimo pare che l’esperimento non
sarà ripetuto e almeno questo pericolo forse è
scampato, in attesa di nuove e artificiose idee
per rendere più emozionante uno sport che era
decisamente più emozionante quando nessuno
si arrovellava su come renderlo tale.
avere superato un bel po’ di auto tra cui quella
di Perez: forse è poco spettacolare, ma è veloce e concreto, e per un team di metà classifica
un pilota così è una risorsa preziosa. Voto 8. Una
bella gara, comunque, è anche quella di Perez,
che quest’anno ha dimostrato di essere cresciuto molto come pilota e anche ad Abu Dhabi ha
badato giustamente a portare a casa dei punti,
stando lontano dai guai: voto 7,5, concreto.
Ferrari imbarazzanti
A questo punto tocca per forza parlare dei ferraristi: Alonso e Raikkonen hanno chiuso rispettivamente 9° e 10° superati da entrambe le Force India, ma anche dalle Red Bull che partivano
in fondo alla griglia. Lente e impacciate, con la
capacità poco invidiabile di macinare le gomme dopo pochi giri, le monoposto di Maranello
hanno disputato una delle gare più brutte di un
campionato che per fortuna è ormai alle spalle.
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Formula 1
Periodico elettronico di informazione motociclistica
per tornare ad essere protagonisti il prima possibile. Oltre ad una grande sete di vittoria, con Sebastian condividiamo l’entusiasmo, la cultura del
lavoro e la tenacia, elementi chiave per costruire
insieme a tutti i membri della Scuderia un nuovo
capitolo nella storia Ferrari”.
La prima dichiarazione di Vettel
Ufficiale
Vettel è pilota Ferrari
Affiancherà Raikkonen
Maranello rompe gli indugi ed a poche ore dal via dell’ultimo GP della
stagione comunica la coppia piloti 2015: fuori Alonso, in partenza verso
la McLaren Honda, e dentro il quattro volte campione del mondo
tedesco. In coppia con Raikkonen
S
ebastian Vettel, quattro volte Campione del Mondo di F1 con Red Bull,
sarà ufficialmente un pilota Ferrari a
partire dalla stagione 2015. Il comunicato di Maranello, che parla di collaborazione
tecnico/agonistica, non lascia dubbi nemmeno sul destino di Fernando Alonso visto che a
guidare l’altra monoposto sarà Kimi Raikkonen. L’ingaggio del tedesco, che ha firmato un
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contratto triennale, costerà alla Ferrari una cifra
vicina ai 100 milioni di euro. “La Scuderia Ferrari
ha deciso di riporre la sua fiducia nel più giovane
pluricampione della storia della Formula 1” – ha
dichiarato il Team Principal, Marco Mattiacci.
“Sebastian Vettel rappresenta una combinazione unica di gioventù ed esperienza, e porta con
sé uno spirito di squadra fondamentale per affrontare insieme a Kimi le sfide che ci attendono
“La prossima fase della mia carriera in Formula 1
sarà insieme alla Scuderia Ferrari: per me è il sogno di una vita che si avvera”, ha dichiarato Sebastian Vettel. “Quando ero un ragazzino, Michael Schumacher sulla Rossa era il mio più grande
idolo ed ora per me è un enorme onore avere la
possibilità di guidare una Ferrari. Ho già avuto un
piccolo assaggio di quello che è lo spirito Ferrari
quando ho conquistato la prima vittoria a Monza
nel 2008, con un motore della Casa del Cavallino
Rampante. La Scuderia ha una grande tradizione
in questo sport e sono estremamente motivato
ad aiutare la squadra a tornare al vertice. Darò
il cuore e l’anima per far sì che questo accada”.
E Alonso?
Contestualmente all’annuncio di Vettel la Scuderia Ferrari e Fernando Alonso comunicano di
aver interrotto consensualmente il loro rapporto
di collaborazione tecnico-agonistica. Fernando
Alonso lascerà la squadra alla conclusione di
questo campionato, al termine di un quinquennio che ad oggi lo ha visto conquistare 1186 punti, 44 podi e 11 vittorie. Lo spagnolo, salvo eventi
clamorosi dell’ultima ora, dovrebbe tornare al
volante di una McLaren con l’incognita del motore Honda dopo l’incredibile rottura di fine 2007,
anno in cui fu tra i protagonisti di una incredibile
spy-story sui segreti della Ferrari per cui il team
di Woking fu costretto a pagare una maxi-multa
di 100 milioni di dollari: una storia mai digerita
da Ron Dennis, storico team owner McLaren, e
con la quale si spera Alonso non si ritrovi a fare
i conti nel corso della sua permanenza in Inghilterra. “Oggi non è una giornata facile perché, nonostante io guardi sempre al futuro con grande
entusiasmo e determinazione, alla fine di questa
stagione si chiuderà la mia avventura come pilota Ferrari” – ha dichiarato Fernando Alonso.
“E’ una decisione difficile, ma allo stesso tempo
molto ragionata, sulla quale dall’inizio alla fine ha
prevalso il mio amore per la Ferrari. Ho sempre
avuto la fortuna di decidere del mio futuro e ho
questa opportunità anche adesso, e per questo
devo ringraziare la squadra, che si è dimostrata
in grado di comprendere la mia posizione. Lascio
la Scuderia Ferrari dopo cinque anni, durante i
quali ho raggiunto il mio miglior livello professionale, affrontando grandi sfide che mi hanno spinto a trovare nuovi limiti e in cui ho dimostrato
di essere anche un grande tifoso, anteponendo
gli interessi della Scuderia al mio”. “Quando ho
dovuto prendere decisioni importanti per il mio
futuro, l’ho fatto con la Ferrari nel cuore, guidato dal mio amore per la squadra. Sono molto
orgoglioso di ciò che abbiamo realizzato insieme. Grazie agli sforzi degli uomini e delle donne
di Maranello per tre volte siamo arrivati secondi
nel Mondiale di Formula 1, per due volte combattendo fino all’ultima gara, campione virtuale per
molti giri.
Senza ombra di dubbio, di questi ultimi cinque
anni porto con me alcuni dei ricordi più belli della mia carriera, oltre a lasciare nella squadra più
che amici una famiglia. Ora guardo avanti con
grande entusiasmo, ma con la certezza di portare sempre il Cavallino nel cuore. Ringrazio tutti
coloro che ripongono in me la loro fiducia”.
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Dakar
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Dakar 2015
Lanciata ufficialmente
la 37esima edizione
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di Piero Batini | Argentina-Bolivia-Cile. Dal 4 al 17 Gennaio. 13 tappe,
una giornata di riposo. Oltre 9.000 chilometri attraverso i tre Paesi
Sudamericani saranno lo sfondo del passaggio di 414 veicoli per un
totale di 665 Concorrenti
P
ienone a un passo dalla Concorde,
piazza “storica” non solo per Parigi.
Da uno dei luoghi da dove ha mosso
i primi passi l’avventura inventata da
Thierry Sabine, è stata presentata la 37a edizione
della Dakar Argentina-Bolivia-Cile 2015. Etienne
Lavigne, direttore della Dakar, e David Castera,
il responsabile del percorso, hanno svelato, o
per meglio dire, sintetizzato, le linee essenziali dell’edizione che prende il via il 4 gennaio da
Buenos Aires, e che si concluderà ancora nella
capitale argentina 14 giorno dopo, il 17 gennaio.
Niente di nuovo, e niente che segnali una qualche
indulgenza sulla natura del percorso e dell’impegno che attende i partecipanti. Sarà ancora una
volta una Dakar da difficile a impossibile, unica
variante concepibile in questo senso la clemenza
del meteo.
Auto e moto su percorsi separati
Il percorso si specializza ulteriormente, separando in più occasioni i tracciati di moto e auto, e rispettivamente quad e camion, in modo da garantire un ulteriore coefficiente di “specializzazione”
che renderà sicuramente più “aspri” i contenuti
delle contesa. In compenso la “separazione” dei
percorsi renderà ancor più interessante la corsa
delle quattro ruote, i cui equipaggi non avranno
più, in quelle occasioni, le tracce delle due ruote
88
passate prima di loro sulla pista, e certamente
cresce ancora il livello di quella sicurezza che è
un po’ il nodo gordiano e la contraddizione di fondo del Rally più lungo, duro e difficile del Mondo.
Oltre 9.000 chilometri per moto e auto, poco più
di 8.000 per i camion che non passeranno in Bolivia ma che resteranno più giorni nell’”Inferno”
del deserto cileno. Di questi, più della metà sono
di prova speciale, con settori cronometrati che
possono superare i 500 chilometri e che saranno oltre 700 nel caso della tappa di ritorno dalla
Bolivia, tra Uyuni e Iquique. E ancora, tre tappe
oltre i 3.500 metri di altitudine, con una punta
oltre in 4.200, giornata di riposo, a Iquique nel
Nord del Cile, separata per moto e macchine,
quest’ultime mandate al giro di boa della Bolivia
prima dello stop, e finalmente una tappa marathon, ovvero senza assistenza possibile se non
quella tra i concorrenti, anche per gli equipaggi
auto. La Dakar 2014 non registra un nuovo record di partecipazione ma, tenuto conto dei tempi e della flessione inevitabile, “tiene” in maniera
impressionante. Il che è sinonimo di un interesse
crescente. 414 veicoli in totale, suddivisi in 164
moto, 138 auto, 48 quad e 64 camion. Sono la
cifra iperbolica di 665 concorrenti in rappresentanza di 53 nazioni del pianeta. Rispetto all’edizione 2014, cedono qualche unità moto, auto e
camion, e guadagnano i piccoli quattro ruote che
godono in Sud America di un successo crescente, favorito anche dalle vittorie, uniche della storia per gli americano latini, di argentini e cileni.
Peugeot torno dopo 25 anni
Il valore della partecipazione verte su alcune novità importanti, quando non sensazionali. La più
“grossa”, sintesi di una nouvelle vague globale,
è il ritorno alla Dakar, dopo 25 anni, di Peugeot.
La Casa francese, che ha dominato la ParigiDakar per quattro anni, dal 1987 al 1990 con le
205 e 405 T16 Grand Raid, allinea alla partenza
del Rally tre inedite 2008 DKR, autentici prototipi concepiti con uno schema rivoluzionario. A
guidarle, la sensazione fa sì che lo sappiano ormai tutti, saranno Stephane Peterhansel, Carlos
Sainz e Cyril Despres. I tre campioni sommano
17 vittorie, quasi metà delle Dakar disputate.
Quello di Despres è anche il nome che rivoluziona la “mappatura” della gara delle moto. Passato
alle auto, il francese fa venire meno il duello che
ha caratterizzato dieci anni di Dakar delle moto,
e virtualmente apre la porta al quinto successo
di Marc Coma, campione in carica. Ma, naturalmente, non è una porta spalancata. A volerci
mettere una “zeppa” a tutti i costi ci sono Honda, che schiera il Team HRC e punta sul talento
del futuro Joan Barreda, e Yamaha, che ha completato il reclutamento di una Squadra senza
compromessi di ambizioni con l’acquisizione di
Alessandro Botturi. Tra le auto la situazione appare altrettanto avvincente. Joan “Nani” Roma
non avrà la strada libera. Oltre a Peugeot, che
comunque non si ritiene nel numero dei favoriti
a causa della precocità con cui è stata allestita la
2008, altre Mini All4 Racing sono in buone mani,
soprattutto quella di Nasser Al-Attyia che ha finalmente deciso di partecipare con la macchina
tedesca ma con il proprio Team “intestato” al
Qatar.
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Dakar
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“Racing” della storia Peugeot, mi sono affacciato
sul soprastante piano sopraelevato.
Auto leggendarie parlano tra loro
Risucchiato istantaneamente in una dimensione Pixar “Cars”. Quattro macchine della Storia
Peugeot alla Dakar facevano quadrato attorno
alla sagoma ancora “Carbon” notte della nuova 2008 DKR. Su quel metro e mezzo di livello
al di sopra della Storia dell’Automobile si era
riunita l’intera storia tecnica della Peugeot da
Rally-Raid, con uno sguardo preciso, e forse altrettanto precise intenzioni, sulla sua proiezione
futura! Sin da subito mi è apparso chiaro che non
si trattava di un incontro fortuito o di una visita di
cortesia. La 2008 DKR era da sette mesi in giro
per il mondo, impegnata tra saloni e test africani, in una corsa all’ultima fase dello suo sviluppo
prima di affrontare la gara del debutto. La 205
T16, nata nel 1987, qui in versione gialla, è la
macchina che ha acceso miccia e fantasia della
Peugeot alla Dakar. Macchina e Piloti su un piano
superiore di spettacolo ed efficacia. È il prototipo che derivava dalle scomparse Gruppo B dei
Rally, convertito e adattato alla “missione” dakariana ancora sotto la direzione di Jean Todt.
Le modifiche, tuttavia, non erano trascurabili. Il
quattro cilindri a sedici valvole con turbina Garret e iniezione Magneti Marelli, posizionato posteriormente alle spalle del navigatore, era stato
“smorzato” al di sotto dei 400 cavalli, circa 380,
per livellarlo alle nuove esigenze di affidabilità e
longevità, e il telaio, monoscocca con appendici
tubolari in acciaio, era stato profondamente rivisto, con l’allungamento del passo di una trentina
di centimetri e l’adozione di sospensioni modificate in funzione dell’escursione necessaria
per affrontare gli insidiosi terreni della Dakar. Il
debutto della 205 T16 Gran Raid, capace di 230
chilometri orari, fu fulminante. Jean Todt aveva
schierato tre GR, affidate a Ari Vatanen, Shekhar
Mehta e Andrea Zanussi. Ari Vatanen, in coppia
con Bernard Giroux, vinse la 9a edizione della
Paris-Alger-Dakar 1987. La 205 T16 nicchia e
Peugeot alla Dakar 2015
I retroscena del vertice
segreto di Sochaux
Piero Batini | Nell’atmosfera discreta de l’Aventure Peugeot, 205 T16,
405 T16 e 2008 DKR si confrontano sugli ultimi dettagli di strategia
Dakar. Simbolico passaggio di consegne tra i “Miti” del passato e la
“Belva” del futuro
A
vevo in programma il viaggio a Sochaux già da un po’. Per gli appassionati del Marchio, e soprattutto
per chi abbia voglia di ripercorrere
la storia dell’Automobile partendo dal momento “Zero”, il Museo della Famiglia Peugeot è un
must e una “scusa” memorabile. Ma lo è anche
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per chi è a caccia, e la verità è che, essendo sulle
tracce di una 204 ex East Safari dei ‘settanta, dovevo confrontare i miei indizi con il mezzo di riferimento gelosamente custodito in Alsazia. Potete immaginare la sorpresa e lo stupore quando,
in ammirazione della piccola “berlina” africana
al piano di sotto del padiglione dedicato alle
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sorride, annuisce. L’anno successivo l’asso
finlandese portò al debutto la nuova “arma”
Peugeot, la 405 T16 Grand Raid, ma non con
altrettanta fortuna. “Parla”, dall’angolo opposto
dello straordinario “Ring” del salone di Sochaux,
la 405 T16. “Eravamo alla prima stagione, e la
macchina non era ancora del tutto affidabile. È
lo scotto che ogni Squadra, dalle private alle più
grandi e ufficiali, deve obbligatoriamente pagare.
La Dakar è una corsa troppo lunga e difficile, ed
è praticamente impossibile vincere al debutto. E
poi non bisogna dimenticare il “furto” che subimmo, altrimenti forse le cose sarebbero andate a
finire diversamente”.
Peugeot sul tetto del mondo
E infatti, la 205 nicchia ancora, a vincere l’edizione 1988 della Paris-Dakar fu ancora il piccolo “mostro” Peugeot, quella volta con Juha
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Dakar
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Kankkunen e Juha Piironen ai comandi e alla
navigazione, che fino al controverso episodio di
Bamako avevano il compito di coprire le spalle a
Vatanen. Inutile dire che il bis scatenò un entusiasmo incredibile tra gli appassionati, e un’ondata di contagioso interesse anche tra i meno
“competenti”. “Sì - insiste la 205 - tutte scuse,
sta di fatto che eravamo due a zero!” A questo
punto la 405 T16 Grand Raid si inalbera: “Non
puoi aver dimenticato quello che è successo nel
1989, all’undicesima Paris-Tunis-Dakar. Eravamo cresciuti in tutti i sensi. La potenza a 400
cavalli tondi tondi, passo e carreggiata analoghi
ma aumentata l’escursione delle ruote e, soprattutto, la stabilità. Ari era estasiato dal comportamento della sua macchina, e da quel momento
non ce ne fu per nessuno. Già prima della Dakar
avevamo vinto tutto, in Marocco, Tunisia, al Faraoni, e la supremazia alla Dakar era tale che il
povero Todt dovette, a Tombouctou, lanciare in
aria una monetina per stabilire chi, tra Vatanen
e Jacky Ickx, doveva vincere la corsa. Dopo l’apoteosi della prima vittoria ottenuta, non ci fermammo un solo minuto ripetendoci nel 1990 con
un’altra stagione a dir poco formidabile. Ben 15
tappe, ricorderai, vinte sulle venti disputate della Dakar, bravo Ari ma bravi anche Waldegaard
e Ambrosino, sul podio “totale”, e Wambergue.
Senza contare, forse lo hai dimenticato, le due
Pikes Peak vinte dalla nostra collega “alleggerita”, almeno dei 400 litri di carburante necessari
alla Grand Raid. Una supremazia assoluta, Vatanen divenne addirittura un numero uno cinematografico. Nessuno poteva fermarci, solo la Casa
che, alla fine della seconda stagione da mattatrice, decise di lasciare imbattuta la disciplina e
di passare la mano ai “Cugini”. Due pari, e con
il seguito di eredità, un patrimonio tecnologico
e di competitività incomparabile, che lasciammo dopo di noi. Due pari e quindi, se permetti,
oltre!” La 2008 DKR è lì, in mezzo alle dispute
delle grandi antenate. Respira l’atmosfera di
un’epoca che è chiamata a rievocare, e ne assorbe i significati. Un volume di informazioni e di
emozioni uniche, che raccoglie in quei momenti
che rappresentano un passaggio di consegne
avvenuto dopo venticinque anni. Tra un mese e
mezzo tocca a lei. L’epoca dell’apprendistato e
dei tour di presentazione sfuma rapidamente, e
il carico di responsabilità è secondo solo a quello
di adrenalina che inietta nei 340 cavalli del T16
ora in configurazione V6.
Tutto è in mano alla 2008 DKR
Largo alla coppia, alla fluidità aggressiva nel
passaggio sugli ostacoli. Le antenate sembrano
piccole macchine, quasi imperfette. Gran parte
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delle combinazioni e degli schemi sono cambiati.
Due ruote motrici in luogo delle quattro, ma mezzo metro di diametro delle ruote ed escursione
delle sospensioni doppia, minore potenza, ma
un range di utilizzo incredibilmente più esteso.
Stessa sopraffina interpretazione meccanica,
ma anche un sacco di elettronica di supporto, e
un occhio attentissimo all’evoluzione dei regolamenti. Un’”arma” pensata, sviluppata e realizzata con un solo scopo: la Dakar. Christophe
Dupont, responsabile delle attività de l’Aventure
Peugeot e anfitrione squisito, mi riporta tra gli
umani. «Lasciamo che si dicano le ultime cose.
Tutto sommato, il momento ha una grande carica di simbolismo. La 2008 DKR è venuta a
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Dakar
Sochaux per raccogliere il testimone dell’Avventura della Dakar direttamente dalle… ruote di due
auto mitiche».
È vero. Tutto quello che la 2008 DKR ha vissuto
fino a questo momento è solo il trailer dell’esperienza che la Macchina vivrà di qui a poco più di
un mese. Adesso c’è solo il tempo per andare a
“cambiarsi”, indossare la nuova tenuta da combattimento con i nuovi colori di guerra, e aspettare che i suoi nuovi Piloti, Cyril Despres, Stephane
Peterhansel e Carlos Sainz, chiudano il circuito di accensione. La 204 East Safari Rally avrà
ancora un po’ di pazienza, torneremo per due
chiacchiere. Ora sono 48 giorni al via della Dakar
Argentina-Bolivia-Cile.
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