Paolo Piu
CYBERNAUTICA
Cambiamento e Saggezza per non naufragare
Ed. on-line Pensieroattivo- Roma
INDICE - SOMMARIO
Premessa
Cap. 1 – Le Radici della Cultura
1.01 – Miti e Cultura …………………….………………...
1.02 - Le quattro C della “Cultura” per Fare………...…..
1.03 - I quattro verbi fondamentali….……………….…..
1.04 - Le quattro “ FFFF”…………………………………
1.05 - La Strategia………………… ……………………..
1.06 - Il marchio e l’ identità.…………………………….
1.07 - L’ innnovazione, la creatività e l’empatia .………..
1.08 - Come proteggere l’invenzione……………………
Riflessioni sul primo capitolo…………………..
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Globalizzazione e deterritorializzazione……………
New Economy e Cyberspazio..………………………
Effetti dell’ ICT e riorganizzazione operativa………
Caratteristiche delle imprese dell’economia digitale .
E-Companies e Cybermarketing….…………………
Struttura e Funzione del sito Internet………………
I pirati del Cyber Spazio……………………………. .
Consigli virtuali per essere reali ……………………..
Riflessioni sul terzo capitolo e su Internet….…...
Cap. 4 –La saggezza
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4.01 4.02 4.03 4.04 4.05 4.06 4.07 4.08 -
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Considerazioni conclusive……………………………………..
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Glossario della Cybernautica………………………………….,
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Appendice
Congiuntura Internazionale……………………………………
Commercio mondiale…………………………………………..
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Riferimenti bibliografici………………………………………..
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Nota sull’ICE (Istituto Nazionale per il Commercio Estero)…
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Cap. 2 - La Disciplina
2.01 2.02 2.03 2.04 2.05 2.06 2.07 2.08 -
Origini e definizioni di Marketing…………………
Fattori del marketing “Le 12 P “…………….…….
Le 4 P preliminari di accesso al mercato..….……
Le 4 P del marketing “mix”…………… ………
Le 4 P dell’ implementazione e mantenimento….
Una donna per convincere……………………….…
Evoluzione del contesto economico sociale…….….
Tavole comportamentali…………………………...
Riflessioni sul secondo capitolo……………….
Cap. 3 - Il Cambiamento
3.01 3.02 3.03 3.04 3.05 3.06 3.07 3.08 -
Paradosso di Easterlin e lettera di Epicuro... …………
Fare attenzione quando si imitano gli altri….………..
La Finestra di Johari… …………………….………..
La farfalla e la candela ( Favola di Leonardo).………
IL Rasoio di Occam…………………………….……
I veri e falsi Politici ( Salomone, Confucio, Trilussa ).
Ma cos’è la Democrazia ?………………………….…
L’ Amministrazione Pubblica……………………..…..
Riflessioni sul quarto capitolo………………………..
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“Mannaggia ‘a pressa! Dicette ‘a maruzza”
“Maledizione alla fretta, disse la lumaca”
(Carluccio ‘a Peste)
L’essere è l’inizio della strada del fare
(Lao Tzu)
Senza un cambiamento spirituale dell’ uomo,
qualsiasi modifica dell’ambiente e
qualsiasi innovazione tecnologica
non porta crescita umana.
J. Sorel Huxley
Queste pagine sono la sintesi di una ricerca attraverso
4 fondamentali momenti del nostro agire:
Cultura, Disciplina, Cambiamento e Saggezza
3
Maggio1972 - Visita in Italia del Ministro del Commercio Estero Cinese
"Tutte le forze politiche democratiche, tutte le parti sociali, tutte le forze
dell'economia sono legittimate a partecipare alla costruzione della democrazia"
(Aldo Moro)
"un uomo buono il cui pensiero politico è piu che mai attuale!”
(Papa Wojtyla)
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Premessa
Calpestato, bistrattato, sfruttato e sporcato, il nostro Pianeta trema
e a stento respira solcato dai fiumi dei rifiuti urbani e industriali,
nelle vibrazioni dei motori, nei boati delle guerre, nelle urla delle
città, nel rigurgito degli oceani, negli ingorghi delle strade, degli
scarichi e delle discariche e invecchia, nelle rughe dell’odio.
E noi ?
abbiamo rotto ……………………………………l’armonia
fare in fretta, fare in fretta, sbrigarsi, correre, più veloci, più
veloci per arrivare primi, per ricevere l’applauso.
Di chi?
Quando approdai in Cina per la prima volta, ero stato da qualche anno assunto
all’Istituto Nazionale per il Commercio Estero a Roma.
A destinarmi agli “affari cinesi” era stato il Dott. Pruner , responsabile dei Mercati
Esteri, in considerazione delle mie radici culturali nuragiche e delle mie precedenti
esperienze alla FIAT e nell’Arma dell’Aeronautica.
Grazie alla competenza e al dinamismo del mio capo diretto Gino Tranfo, che è stato
per me un’autorevole guida, abbracciai con entusiasmo il mio lavoro di relazioni e
assistenza alla Rappresentanza del CHINA COUNCIL in Italia.
La dedizione al lavoro e la competenza da me maturata negli affari cinesi, convinsero
il Direttore Generale Metello Bilotta, ad affidarmi l’organizzazione della prima
missione ufficiale italiana in Cina.
“Era il 16 maggio 1971” , l’aereo dell’Air France, con 80 membri della delegazione
economica italiana atterrò per la prima volta sul suolo della capitale cinese.
Ad attendere Zagari c’erano il Ministro del Commercio Estero e il Ministro degli
Affari Esteri della Repubblica Popolare. La missione era stata organizzata per rendere
omaggio al grande popolo asiatico, all’indomani del riconoscimento ufficiale.
Doveva essere una missione esplorativa, un primo approccio verso una più ampia
collaborazione culturale e commerciale. C’erano Giovannino Saragat, Nasi, Luraghi,
Donati, Antonello Marescalchi, Peppino Fiori, Bruno Vespa e tanti altri importanti
rappresentanti del mondo economico e culturale italiano.
La Cina nel 1971 era ancora sotto l’alone della “ rivoluzione culturale”. Nella piazza
“Tien An-men” vegliavano le gigantografie di Marx, Engels, Lenin, Mao e Stalin; i
libretti rossi venivano ancora stampati in milioni di esemplari, i “daze-bao” (giornali
murales) tingevano ancora i muri di rosso e le “guardie rosse” garantivano l’ordine
politico e sociale del popolo cinese. “East is red”. L’0riente era veramente rosso.
La bicicletta costituiva il più importante mezzo di locomozione e la tuta grigio/blu,
abbigliamento unistagione e unisex, vestiva donne, uomini, gerarchi e bambini.
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Sembrava di essere sbarcati in un altro “Pianeta”. Milioni di biciclette
scampanellavano durante il giorno, poi il profondo silenzio della notte e la luna gialla
che colorava nel suo viaggio silenzioso lo Yang Tse-Chiang. (Fiume giallo)
Era la Cina dove i cubetti di ghiaccio ancora non esistevano, dove l’unica bevanda
per dissetarsi, anche nelle calde giornate estive, era il tè: alle orchidee, al gelsomino,
al garofano, alla rosa.
Ancora oggi mi resta scolpito nella mente l’incontro con Chu En-Lai, nella sala del
Congresso Nazionale di Pechino il 24 maggio 1971.
Stringendo la mano a Chu provai la stessa emozione che qualche settimana prima
avevo provato a Roma, a San Pietro in Vincoli, rivisitando la scultura del Mosè di
Michelangelo. Chu sprigionava un potere carismatico impressionante. Il suo sguardo
era profondissimo, i suoi movimenti quasi di un extraterrestre. Un profeta, uno
statista preoccupato del destino di un miliardo di esseri umani.
Chu En-Lai parlava 4 lingue, aveva studiato in Europa ed aveva un’ottima
conoscenza della cultura occidentale. Durante l’incontro, rivolgendosi all’Italia e
quindi all’Europa, disse tra l’altro : ” Voi europei avete iniziato un processo di
integrazione tra i popoli molto importante, non dovete abbandonarlo, perché non
dovete lasciare alla Russia e agli Stati Uniti il privilegio di scrivere la storia “
Emozioni simili, seppure di intensità diversa, le provai nelle occasioni che ebbi di
incontrare Willy Brandt, Makarios, John Kennedy, Mitterand, Moro, Berlinguer e
Wojtyla, grazie al meraviglioso lavoro che ho avuto la fortuna di svolgere.
Ma il messaggio di Chu En-lai e quello di Wojtyla ( “il tuo volto Signore io cerco”)
costituiscono il “leitmotiv” che ha influenzato il mio pensiero e il mio
comportamento nelle attività svolte nei diversi paesi del mondo.
L’esperienza cinese mi permise anche di leggere, per dovere professionale, il “libretto
rosso dei pensieri di Mao” dove, in particolare, mi colpì i paragrafo dal titolo:
“l’uomo che rimosse le montagne”.
Quel paragrafo dovrebbero leggerlo tutti coloro che sono responsabili
dell’educazione e della gestione delle risorse umane e materiali, e in particolare,
coloro che sono addetti alla rimozione dei rifiuti.
Il documento che vi accingete a leggere è un po’ la storia di un normale lavoratore,
che ha volato attraverso più di 70 paesi della superficie terrestre, e di ciò che gli è
rimasto dallo scambio di pensieri e di esperienze con operatori economici, operatori
culturali, politici, ladri onesti e ladri disonesti.
In qualità di “civil servant” ho cercato sempre di rendermi utile a tutti coloro che ho
incontrato nel mio lavoro di informazione, di assistenza e di formazione.
Ovviamente l’esperienza operativa è stata completata con la lettura di giornali, libri,
riviste e documenti per motivi di ricerca e di aggiornamento nei vari paesi visitati.
Per entrare meglio in sintonia con coloro che leggeranno queste pagine, illustro
brevemente un episodio che forse ha favorito la mia fuga dall’ Isola.
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Poco tempo dopo essermi laureato ebbi un colloquio col direttore della fabbrica di
mattoni che allora stava accanto allo stadio Amsicora a Cagliari. (Quello di Gigi
Riva) Sembrava che tutto andasse per il meglio, relativamente alla mia assunzione,
ma mentre mi avviavo all’uscita, da una specie di soffitta, una tegola o un
calcinaccio, mi piombò sul cranio frantumandosi. Niente di grave, la mia testa rimase
intatta, solamente un piccolo bernoccolo che servì a confermarne la durezza nuragica.
La notte, però, feci uno stranissimo sogno. La mia piccola 500 verde pisello si era
trasformata in una caravella rossa e mentre dirigevo la produzione dei mattoni,
piombò nel mio ufficio e mi disse “ Ma che stai facendo, scemo! - Il mondo è tanto
grande e tu vorresti passare tutta la vita a contare i mattoni dietro la stessa scrivania!
– Carica oggetti e ricordi sul mio sedile posteriore e vattene a girare il mondo”!.
Non feci caso a quel sogno, ma non accettai l’offerta di lavoro del mattone e partii a
fare uno “stage” in Inghilterra.
Tra gli “angli” appresi che, oltre a camminare col gregge, si poteva anche camminare
in fila, aspettando ordinatamente il proprio turno.
Il mio primo lavoro stipendiato, tuttavia, si era svolto presso l’Amministrazione
Provinciale di Cagliari, prima che mi laureassi, dove per circa un anno sono stato
addetto alla distribuzione di un sussidio agli ex “ammalati” che venivano dimessi
dall’ Ospedale Psichiatrico (O.P.). Il sussidio in bilancio era denominato “Tabacco
agli ammalati tranquilli”.Tanto tranquilli non erano, perché uno di questi mi raccontò
che un giorno, rientrato a casa, incontrò sua moglie che lanciava tutti i piatti e i
bicchieri per aria e lui per fermarla le ruppe una sedia in testa: “Appu pigau una
carira e sidd’appu segara in conca”! – Ho preso una sedia e gliel’ ho rotta in testa Poi mi spiegò che dovevo ringraziare il Padreterno perché, se non ci fossero stati
loro, io non avrei mai avuto un posto di lavoro in Sardegna.
Dopo la fuga in Continente, esperienza FIAT e servizio militare in Aeronautica a
Firenze, approdai a Roma e anche nella “Città Eterna” non si trattò di un lavoro
normale, perché in effetti dovevo assistere i rappresentanti in Italia di un popolo di un
miliardo di individui che ufficialmente, per motivi politici, dovevamo ignorare.
Per l’Italia la Cina era Taiwan e il nome Pechino non poteva essere scritto in nessuna
carta ufficiale e men che meno in un passaporto. I nostri visti e i loro visti venivano
rilasciati su foglietti volanti, se no sarebbe stato implicito il riconoscimento ufficiale.
Finché non riconoscemmo ufficialmente la Cina, i rapporti commerciali venivano
mantenuti grazie a un accordo para-diplomatico ICE - China Council.
Il ricorso alla mia fantasia per aggirare le regole della diplomazia e della burocrazia al
fine di risolvere i problemi, mi valse la fiducia dei Cinesi che scherzando dicevano
che in Cina, dopo Marco Polo, l’italiano più noto era Paolo Piu.
Dopo la lunga parentesi cinese, ho peregrinato per 30 città italiane con un team di
esperti per promuovere l’associazionismo e, prima di essere trasferito a Riyadh, ho
avviato il progetto “Mezzogiorno ICE/FES” (Fondo Sociale Europeo).
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In Arabia Saudita, per poter capire usi e costumi, ho dovuto leggere il “Corano” e ho
anche approfondito la “Sharia” mentre televisione, radio, giornali e altri media
quotidianamente ripetevano a tutti noi occidentali che eravamo degli infedeli e
dovevamo convertirci al più presto per non finire all’inferno.
Da parte mia, ero riuscito ad avviare un dialogo sulla religione con alcuni “ mattaua “
(guardie religiose) alle quali cercavo di spiegare che “religione” significa gioia di
vivere e non sottomissione e paura”. Un mattaua amico mi suggerì di lasciar perdere
perché rischiavo di veder rotolare la mia testa nella sabbia rossa del Najd.
Oggi, finalmente libero da incarichi ufficiali, al servizio di me stesso, mentre passano
gli anni, talvolta mi sento un po’ come il “giornale di ieri”. Ma il giornale di ieri,
come quello di avantieri o di 40 anni fa, o come i geroglifici di 5000 anni fa, sono
parte della nostra storia e ogni tanto è utile guardare nello specchietto retrovisore.
Cristoforo Colombo, che aveva gli strumenti per solcare gli oceani e le conoscenze
tecniche per dominare i venti, lesse a fondo le intuizioni che Marco Polo aveva
annotato nel “Milione”, viaggiando nelle terre dell’ Oriente. Erano due Italiani e noi
italiani più che a “prendere”, andiamo in giro per il mondo per “apprendere”.
La nostra è una cultura mediterranea aperta allo scambiato e alla conoscenza.
In realtà devo ringraziare la “sorte” perché mi ha fatto approdare all’Istituto e in
particolare Roberto Vanore, che mi ha trasmesso la passione per la formazione
internazionale, senza la quale non avrei mai potuto apprendere e forse scrivere.
In particolare, ringrazio gli Italiani che pagano le tasse e si impegnano affinché
l’Amministrazione Pubblica possa dare servizi utili, efficaci e in tempo reale, ma
soprattutto i vari funzionari con i quali ho collaborato appartenenti alle Ambasciate,
alla Sace, alla Simest, alle Camere di Commercio, alle Associazioni di Categoria e
soprattutto agli amici della Federexport Ing. Gianfredo Comazzi, Ing. Silvio
Baronchelli e Lorenzo Papi che hanno contribuito a diffondere i vantaggi
dell’associazionismo anche all’estero. Dimenticavo due persone che, nei miei primi
impegni giovanili, mi hanno insegnato che cultura e servizio pubblico sono prioritari
in una società civile: Il Dott. Todde, Ragioniere Capo dell’Amministrazione
Provinciale di Cagliari e Paolo De Magistris,
responsabile illuminato
all’Amministrazione Regionale che fu anche Sindaco di Cagliari. Il primo per avermi
insegnato ad applicare il principio kantiano che “senza libertà non ci può essere
responsabilità”; il secondo per l’aiuto e la fiducia che accordò all’ AIESEC Sarda
(Associazione Internazionale per gli scambi tra studenti delle facoltà di Economia)
nella quale insieme al mio maestro Pino Usai, sviluppai i primi approcci di
internazionalizzazione per gli universitari sardi.
: “ La verità un giorno la si trova, il giorno dopo la si perde, ma se riusciremo a
pensare e agire mantenendo l’animo incorrotto, allora la verità verrà da sola a
bussare alla nostra porta, senza che la cerchiamo”.
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Primo Capitolo
Le radici della “Cultura”
“ Nessun fiume è grande e ricco di per sè, ma è il fatto di ricevere
e convogliare in sè tanti affluenti a renderlo tale ”. - Friedrich Nietzsche.
1.01 – Miti e cultura
Dopo la sconfitta dei titani, gli dei chiesero a Zeus di celebrare la vittoria attraverso la
creazione di un gruppo di divinità che rappresentassero l’arte e la scienza..
Zeus amò per nove notti Mnemosyne, dea della memoria, figlia di Urano (il cielo) e
Gaia (la terra) e, dopo nove mesi nacquero le muse.
Nove giovinette che gareggiavano in bellezza con la loro madre.
Calliope dea della poesia epica, Clio dea della storia, Erato dea del lirismo erotico,
Euterpe dea della musica, Melpomene cantante della tragedia, Polimnia dea della
lirica, Talia dea della satira, Tersicore dea della danza, Urania dea dell’astronomia e
della scienza.
Storici, antropologi e filosofi hanno più volte sostenuto che i miti greci appartengono
alla nostra cultura in maniera così profonda, che sarà difficile anche per i secoli futuri
poterli sradicare.
In effetti, prima che Esiodo scrivesse la “Teogonia” (nascita degli dei), circa 8 secoli
prima di Cristo, l’unico contenitore dove venivano conservati fatti, leggende e
misfatti che governavano la vita quotidiana della Grecia, era la memoria. Attraverso
la memoria individuale e collettiva venivano veicolati gli eventi e il sapere, nello
spazio e nel tempo. Una evoluzione simile è avvenuta in tutte le altre civiltà del
nostro Pianeta.
Scrittura, pittura, scultura e musica, ci hanno permesso e ci permettono di rivivere
emozioni dei nostri antenati attraverso la lettura e l’interpretazione delle opere che ci
hanno lasciato. - In una retrospettiva di Picasso, a San Paolo del Brasile, c’era scritto:
“ l’arte non dice la verità ma aiuta a comprenderla ”.
La memoria è un’energia vivente, che ci viene innanzi tutto dai nostri genitori e
penetra nella nostra coscienza trasmettendoci emozioni originali sperimentate dagli
antenati. E’ un software che ci riporta alle nostre radici.
E’ l’identità di una civiltà che si tramanda di generazione in generazione.
Le radici, tuttavia, pur facendo parte del nostro bagaglio culturale, non vanno confuse
col concetto più ampio di cultura, poiché, quanto più ci chiudiamo nelle nostre radici,
tanto più queste marciscono e la cultura scompare.
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La cultura è una pianta che va alimentata con ingredienti selezionati e deve
continuamente confrontarsi con le altre culture per poter produrre frutti sani.
Non può esistere cultura senza apertura alle altre culture, senza una sistematica
potatura dei rami secchi e delle radici marce. Potare, potare, potare…..è potere.
La cultura non va confusa con l’erudizione o con la competenza.
L’erudizione è la cultura del pappagallo che può ripetere a memoria una
enciclopedia.
La competenza, è la conoscenza limitata di un tecnico che può costruire un perfetto
impianto per inscatolare i pomodori pelati, ma non sa se i cinesi usano i pelati o se gli
americani comprano il pelato in barattoli di vetro o in scatole di latta, perché un
tecnico deve saper produrre secondo le indicazioni dell’uomo o della donna di
marketing. E’ difficile che un professionista specializzato senza cultura generale
possa essere un bravo capitano d’impresa.
La cultura è apprendimento quotidiano e continuo; è il coraggio di continuare ad
apprendere anche quando siamo stanchi. E’ la cornice dentro la quale viene
amplificata la presentazione della nostra professionalità, della nostra conoscenza,
della nostra capacità, delle nostre cognizioni tecnologiche e, naturalmente, della
nostra identità.
La cultura è una grande “K” (cervello, memoria, intelletto) dentro una sfera che
cresce quotidianamente con l’osservazione, il confronto e l’apprendimento.
Tamerlano in un tempio di Samarcanda fece scolpire un’epigrafe che diceva :
“guardate quello che abbiamo saputo costruire e poi potrete giudicarci”.
In effetti non esiste cultura fine a se stessa, se no si ricade nell’erudizione.
Poiché nel secondo capitolo parleremo di “marketing”, anticipiamo subito che la
“Kultura di Marketing” è intelligenza, capacità di sintesi, funzionalizzazione, che
serve a pensare, creare, produrre e scambiare.
Alberto Savino sosteneva che “cultura” significa: “abituarsi a pensare con la propria
testa”; Lenin quando diceva : “ diamo l’istruzione al popolo e rivolteremo il mondo”
non intendeva trasmettere cultura, ma sottintendeva la manipolazione dei cervelli.
“Senza cultura e senza formazione, un popolo non è in grado di produrre ricchezza e
quindi non è in grado di scambiare prodotti che, oltre alla materia e al lavoro,
inglobano un fondamentale contenuto intangibile di creatività”.
Lo scambio di prodotti tra le antiche civiltà era sicuramente stimolato dal desiderio
velato di scambiare cultura. “Il Milione” di Marco Polo, è una cronaca illuminante al
riguardo ed é interessante leggere insieme dove si racconta della nobile città di Toris,
oggi luogo di distruzione al centro di una tremenda guerra fratricida.
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Il Milione fu scritto sotto dettatura, nel 1298, da Rustichello da Pisa, compagno di
prigionia di Marco Polo:
“Toris è una grande cittade, che è in una provincia ch’è chiamata Arac (Irac), nella
quale hae ancora più cittade e più castella. Ma conterò di Toris, però che la più bella
e la migliore che sia nella provincia. Gli uomini di Toris vivono di mercanzia e
d’arti, cioé di lavorare drappi a seta e ad oro; ed è il luogo si buono, che d’India e di
Baudac e di Mosul e di Cremo(Cormosa) vi vengono gli mercanti e di molti altri
luoghi; e gli mercatanti latini vanno quivi per le mercatanzie istrane, che vengono da
lunghe parti, e molto vi guadagnano. Quivi si trova molte pietre preziose. Gli uomini
sono di piccolo affare, e havvi di molte maniere di genti. Quivi hae ermini e nestorini
e iacopini, georgiani e persiani, e di quelli v’ha che adorano Malcometto, cioè lo
popolo della terra che si chiamano Taurizinz (Taurizi). Intorno alla città ha begli
giardini e dilettevoli d’ogni frutta. Gli saracini di Toris sono molto malvagi e
disleal”.
(Dal “ Milione “ di Marco Polo - cap. XX )
Si racconta che Einstein parlando con un amico, un giorno si espresse in questi
termini:
“ nel mondo ci sono due cose infinite: la stupidità e lo spazio.
Della prima sono certo della seconda no”.
“Nell’ Umanitario, dizionario integrato on-line di Pensieroattivo.it, si legge :
Cultura – “E’ un dono della natura che trasforma gli uomini in esseri umani”.
A una condizione però, che sia a misura della persona umana, “superando la
tentazione di un sapere legato al pragmatismo e disperso negli infiniti rivoli
dell’erudizione”, come ricordava spesso Papa Wojtyla.
La cultura è fine a se stessa se non contempla il rispetto degli altri, la produzione di
ricchezza e la crescita umana per tutti i popoli della Terra.
La cultura di ognuno di noi dipende principalmente da 4 variabili:
le radici, l’ambiente in cui abbiamo ricevuto l’educazione elementare,
l’approfondimento professionale e il livello di sensibilità umana che riusciamo a
raggiungere. E’ lo specchio della nostra identità.
In genere, il percorso normale per acquisirla passa attraverso la Fede (o fiducia in
qualcuno o qualcosa), la Conoscenza, la Coscienza, e la Saggezza.
Logicamente, a sostegno di una cultura c’è sempre una morale che gli uomini non
riescono mai a definire, perché la collegano ai tempi, alle mode e alle convenienze e
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perché sono abituati ad analizzare e a dibattere problemi troppo complessi dove
spesso perdono di vista la ragione e la semplicità delle cose.
Personalmente ho costatato che in qualsiasi paese se uno riesce a comportarsi con
dignità, professionalità e disponibilità ottiene il rispetto in tutte le lingue.
Ovidio nelle “Metamorfosi” sostine che la cultura ci insegna a vedere e a lodare ciò
che è meglio, ma poi il nostro istinto egoistico accumulante ci spinge a fare ciò che è
peggio :
“Video meliora proboque: deteriora sequor”.
Montaigne nel suo “Dizionario della Saggezza” nel parlare della cultura ci dice che
l’ignoranza che conosciamo, critichiamo e condanniamo non è mai l’ignoranza totale
perché escludiamo sempre la nostra e poi aggiunge :
“chi vuole guarire dall’ignoranza bisogna che la confessi”.
Nel secondo capitolo, quando parleremo di “total quality”, non dobbiamo fare
l’errore inverso di escludere quella di tutti gli altri e considerare solo la nosta.
Chiudiamo col grande Goethe, che a chi pensa di essere molto intelligente, ricorda
che usualmente : “tutto ciò che è intelligente è già stato pensato, basta cercare di
ripensarlo di nuovo”.
La cultura è indispensabile per poter avviare qualsiasi progetto e ne sono
profondamente convinto tanto che, all’epoca degli affari cinesi, avevo iniziato un
progetto di apprendimento del cinese, ma la vita è quello che ti succede quando sei
impegnato in altri progetti e, improvvisamente, trovai l’altra metà, che mi regalò due
belle bimbe e si dileguò il tempo da dedicare alla lingua cinese.
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1.02 – Le 4 C della “Kultura” per fare.
“Se non siete disposti a scambiare cultura, se non credete nella creatività
e nell’innovazione non avventuratevi negli scambi internazionali”
Queste pagine introduttive ci danno una prima indicazione di quanto sia ampio e
importante il bagaglio culturale che ognuno di noi ha il dovere di costruirsi e ci
spiega perché dobbiamo essere grati a coloro che hanno vissuto prima di noi e ci
hanno trasmesso arte, scienza, filosofia e spiritualità.
La cultura di cui parleremo, come si è accennato nel primo paragrafo, è un concetto
che va al di là dell’erudizione pura e semplice, perché si tratta di un “mix di “imputs”
e “pratiche” che ci permettono di tradurre l’energia intangibile del marketing, che
muove le nostre azioni quotidiane e le trasforma in beni e servizi.
Scriveremo pertanto questo tipo di cultura con la lettera “K” maiuscola, che è diversa
dalla “Capa” di coloro che, come dicono i napoletani :
“ tengono a’ capa p’ spartì i recchie”
Le “4 C “ che compongono la K del fare sono il poker dei requisiti attraverso i quali
ognuno di noi può diventare attore nel mondo della creatività, dell’innovazione, della
produzione e dello scambio. Tutta la nostra vita, dal momento in cui riceviamo
l’educazione e l’istruzione per muoverci autonomamente, è fatta di scelte e decisioni
che dipenderanno dal livello culturale che riusciremo a raggiungere.
CULTURA - CONOSCENZA - COMPETENZA - CAPACITA’
Riservandoci di esaminare più avanti come e quando sia nato il marketing, per
comprendere l’importanza delle “ 4 C “, introduciamo una definizione di marketing
presentata da Philip Kotler nel suo manuale :“Marketing dalla A alla Z “del 2004.
“Marketing is a social and managerial process, by which singles or groups receive
what they wont and need, through creating, producing and exchanging goods and
services of value”. (Il Marketing è un processo sociale e manageriale, attraverso il
quale gli individui singoli o in gruppi ricevono ciò che necessitano e desiderano
creando, producendo e scambiando beni e servizi).
Ricordo che all’ultimo convegno di Milano, davanti a 80 operatori economici
europei, prima d’ iniziare la sua lezione Philip chiese :
“Secondo voi il marketing serve a vendere”?
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La risposta all’unisono fu……………… “sìììì”.
“Bravi”, disse. “ Il marketing non serve a vendere ma a produrre”!.
Poi aggiunse: “il marketing non è né una scienza né una tecnica,ma una disciplina di
vita per produrre beni e servizi che siano utili e competitivi”
Senza le “ 4 C “ non si può creare, non si può produrre, non si può offrire e non si
possono soddisfare i bisogni e i sogni della gente.
- La cultura (Sapere e valori condivisi) inizialmente ci viene dalla famiglia, dalla
scuola e dalla università. Poi tutto è lasciato alla nostra curiosità, alla nostra volontà,
alla nostra sensibilità, ai nostri interessi e alle nostre amicizie. Leggere tanto e di
tutto, ascoltare tutti, con spirito critico senza schermi di destra o di sinistra. Cercare la
verità ascoltando le opinioni degli altri.
Attraverso l’università, la ricerca e l’autoapprendimento, il bagaglio culturale si
amplifica, includendo l’economia, la statistica, la storia, la geografia, l’antropologia,
la sociologia, la psicologia, l’empatia, il diritto, le religioni e chi più ne aggiunge più
svilupperà la sua sensibilità per capire i singoli mercati esteri e il mercato globale nel
suo insieme e diciamo pure le altre genti.
La caratteristica del marketing è quella di integrare e funzionalizzare elementi
appartenenti a discipline diverse, per orientarle verso un comune obiettivo.
- La conoscenza (Osservazione e ricerca) é la seconda “C” che si acquisisce con
l’esperienza diretta. - Leonardo diceva : “ Knowledge comes out of the feeling “ Qualche inglese ha tradotto l’originale che noi ritraduciamo : “ la conoscenza
discende dall’intuizione ”.
“ Ogni passo avanti nella conoscenza è il prodotto del coraggio e della durezza con
noi stessi, diceva Nietzsche.
La conoscenza nella cultura del fare viene individuata come la parte prettamente
tecnica, dove prendono forma l’invenzione e la creatività, che sono le sorgenti
dell’innovazione.
- La competenza (Know How ovvero sapere + saper fare) si ottiene con la
specializzazione e con la formazione e può riguardare sia processi tecnico produttivi
sia materie di gestione amministrativa, finanziaria e di risorse umane. In sintesi si
tratta della parte professionale della nostra cultura.
- La capacità (Saper essere), concerne due aspetti : la nostra attitudine a fare una
determinata cosa (produrre beni o servizi) e la nostra genialità nel mettere insieme
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strumenti, mezzi e risorse necessari all’attività produttiva, coinvolgendo i nostri
atteggiamenti e le nostre capacità relazionali.
Tutto ciò, nell’era delle caverne era molto semplice, con l’evoluzione dell’uomo si è
passati alle botteghe artigiane, quindi alle università tecnico/scientifiche, agli atelier
delle industrie e oggi alle simulazioni virtuali nei laboratori di ricerca.
Sia nel campo della produzione di beni che in quella dei servizi ogni giovane che si
affaccia al mercato del lavoro, a seconda degli studi che ha concluso o delle
specializzazioni che ha maturato, deve effettuare delle scelte. Naturalmente ciò vale
per chi ha la fortuna di poter effettuare delle scelte e sfortunatamente non e
praticabile per chi è costretto ad accettare quello che trova. (vedi call center)
Ma i giovani non devono mai scoraggiarsi poiché, in quanto giovani hanno la forza e
il tempo per apprendere, provare, meditare e cambiare. Un giovane deve sempre
essere portatore di energie positive, deve credere in quello che fa, deve essere
convinto e convincere gli altri, pensando con la propria testa e mantenendo l’animo
incorrotto. Goethe diceva che :
“ Scambiare informazioni è natura, tener conto delle informazioni è cultura “.
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1.03 - I Quattro verbi fondamentali
ANALIZZARE-SEGMENTARE–GERARCHIZZARE – FUNZIONALIZZARE
“ non esti a sindi scirai in chizzi ma a inzertai s’ora ”
Tradotto in italiano significa : “non bisogna svegliarsi presto, ma indovinare il
momento”. Un proverbio inglese sostiene esattamente il contrario : “ early bird catch
the worm “ (l’uccello mattiniero prende il verme). Ovvero, l’uomo nuragico, rispetto
a quello anglosassone, è convinto che svegliarsi presto non serve a nulla se le cose
girano male. L’ uccello cercherà invano il verme , se quest’ultimo si sveglierà tardi.
Ecco l’importanza di conoscere le altre civiltà prima di muoversi, di conoscere l’altro
prima di accoglierlo o di affrontarlo.
Ma questo, come abbiamo visto fa parte della cultura e la cultura ci dice che per
apprendere bisogna essere presenti e partecipare, ascoltare e capire. Vi ricordate quel
napoletano che pregava San Gennaro per ottenere una vincita all’ Enalotto? Stufo
per le insistenze, San Gennaro, un giorno lo chiamò e gli disse : “senti caro, ti
ringrazio per la tua fede, ma se tu non giochi mai, difficilmente potrai vincere“!
Le occasioni, purtroppo, in un mondo in cui ci sono tanti altri esseri umani, bisogna
andare a cercarsele e per trovarle non si può dormire o spostarsi a caso sperando di
trovare quelle buone.
Solo se ci siamo assicurati una buona istruzione e una buona formazione possiamo
procedere nella nostra caccia alle informazioni che ci indirizzano verso le occasioni.
Un discorso analogo vale per chi deve produrre, il quale potrà darsi una struttura
produttiva e coinvolgere risorse umane e finanziarie solamente dopo che avrà
effettuato le ricerche e le analisi nei mercati di sbocco.
Lo stesso discorso vale quando si devono ipotizzare cambiamenti all’interno di una
organizzazione.
In questo processo di selezione delle informazioni, delle strutture, delle decisioni, dei
comportamenti, delle tecniche, dei metodi e dei modi sia a livello individuale che
collettivo, ci vengono in aiuto 4 verbi che dobbiamo sempre coniugare. Bisogna
sempre ricordare che nei nostri pensieri e nelle nostre azioni è bene inserire più verbi
e meno aggettivi e sostantivi. Il verbo è dinamismo.
Es. Capire per produrre, vendere e guadagnare oppure studiare e lavorare per vivere.
Il pesce non si prende seduti su un sasso ad abbronzarsi, senza una buona lenza e una
buona esca. Mi sembra che fosse Seneca, che diceva che la fortuna di solito arriva
quando il genio incontra l’occasione.
Analizzare – L’analisi ha una doppia funzione, in quanto significa fotografare
determinati elementi o determinate situazioni in momenti diversi e
contemporaneamente cercare di capirne l’andamento.
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L’analisi, pertanto, si distingue dalla ricerca pura e semplice, perché è il risultato di
un film girato in un arco di tempo in un dato mercato. La semplice ricerca di mercato
tende più a fotografare la situazione di quel mercato in un dato momento.
Segmentare – E’ un verbo che hanno incominciato a coniugare in modo esponenziale
gli esperti di marketing e significa raggruppare le cose per famiglie omogenee: i
vermi che si svegliano tardi, quelli che si svegliano presto, quelli con un reddito sopra
i 100 mila euro, i vermi medici, i vermi avvocato, i vermi politici, i vermi magistrato,
i vermi della gamma bassa, quelli della gamma media, quelli della gamma alta e cosi
discorrendo. Nel mondo esiste una infinità di famiglie di vermi. - Bisogna tuttavia
fare attenzione perché spesso esistono vermi non riconducibili a famiglie, per i quali
non è possibile effettuare una segmentazione ( ufo, kamikaze, no-global e Onlus).
Questo è un primo significato del verbo segmentare, ma segmentare vuol dire anche
effettuare una scelta di campo, ovvero individuare in quale settore, area o
raggruppamento economico/sociale si intende svolgere la propria attività e ancora più
specificatamente in quale fascia di quel settore ci vogliamo collocare.
La segmentazione, in definitiva, è quella che quotidianamente ci porta a decidere
quello che faremo in relazione agli interessi e agli obiettivi che ci prefiggiamo.
Segmentiamo i settori, segmentiamo le attività, segmentiamo i colleghi, segmentiamo
gli amici, segmentiamo i clienti, segmentiamo i fornitori, segmentiamo le donne e poi
troviamo la moglie o viceversa.
La segmentazione è importante, ma da sola non è sufficiente a suggerirci l’ordine
secondo il quale dobbiamo effettuare le nostre scelte che vengono prima delle nostre
offerte, perché per offrire, bisogna prima scegliere le persone, capirne gusti e
abitudini e poi stabilire quello che dobbiamo offrire.
Il terzo verbo – Gerarchizzare – Non vuol dire, come pensava un sindacalista del
Nord, far indossare divise diverse a seconda del grado, ma rispettare delle priorità la gerarchia delle cose - individuando quali sono le cose che vengono prima e quelle
che vengono dopo, affinché tempo e spazio possano essere razionalmente utilizzati.
E’ famosa la storia del vaso cinese nel quale se si sbagliano le priorità lo spazio non è
sufficiente. Per chi non se la ricorda, si tratta di mettere dentro un vaso tre mucchietti
: uno di pietre grandi, uno di pietre piccole e uno di sabbia. Se si incomincia dalle
pietre grandi i tre mucchi entrano nel vaso, se si incomincia dalla sabbia i tre mucchi
non entrano nel vaso. Eppure si tratta degli stesi materiali e dello stesso spazio.
Il periodo che ho lavorato a Riyadh ricordo di aver avuto a che fare con un elettricista
pakistano, il quale nella sua testa aveva solo le gerarchie religiose e non pensava
tanto a quelle operative, e prima di mettere le mani sul guasto dimenticò la cosa più
importante, quella di staccare la corrente. Mi fece saltare tutto l’impianto e lui rischio
di restare carbonizzato.
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Dunque, gerarchizzare è importante, non gerarchizzare può essere molto pericoloso.
I giovani hanno sempre una grande fantasia ed è inutile che mi dilunghi a spiegare
che il verbo gerarchizzare va riferito e soprattutto applicato sia nella fase
organizzativa di qualsiasi struttura, sia nella fase realizzativa di qualsiasi lavoro,
progetto o processo produttivo.
Il quarto verbo – Funzionalizzare – è un po’ più complesso da spiegare, ma è
oltremodo importante nel nostro mondo moderno dove ormai, ad eccezione degli
artisti, tutti lavorano in team o in rete. Nell’era della pietra, come si è già accennato,
era semplicissimo “funzionalizzare” perché, in ambito familiare o tribale la madre
allattava, il bimbo accendeva il fuoco e il papà andava a caccia e tutto era ben
funzionalizzato.
Nella nostra civiltà, più numerosa e più complessa, la funzionalizzazione riguarda le
interrelazioni tra le persone ma soprattutto quella tra enti pubblici e tra aggregazioni
private, se si vuol parlare di Marketing Territoriale.
Ciò non è facile perché in genere tutti, persone, imprese, enti tendono a collocarsi in
un anello funzionale dove si lavora di meno e si guadagna di più. Dove,
possibilmente, quello che c’è da fare si lascia fare agli altri in un contesto di sana
competizione.
La funzionalizzazione tuttavia è di fondamentale importanza nei processi di
produzione di beni o di servizi perché evita doppioni o sprechi che nel nostro mondo
libero incominciano a essere fuori moda. Ma lo sono sempre stati.
La funzionalizzazione è la chiave principale all’interno del marketing dove le risorse
umane e quelle materiali, quelle tangibili e quelle intangibili devono essere ordinate
secondo regole precise per poter interagire e generare efficacia.
In sintesi in un sistema ben “funzionalizzato” 2+2 può fare 6 – In un sistema non
organizzato funzionalmente 2+2 rischia di fare 3 - Perché due fanno la stessa cosa, o
uno circola a vuoto.
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1.04 – Le quattro FFFF.
“E’ utile evitare se poi serve a far meglio quello che si deve fare”.
(Brecht)
Sinora abbiamo esaminato il poker delle chiavi per entrare nel mondo della
produzione, abbiamo definito i 4 verbi che ci permettono di organizzare una
struttura e di “dare un ordine logico” alle nostre scelte, possiamo passare pertanto alle
regole che orientano la nostra azione e i nostri comportamenti per renderli efficaci .
Per introdurre le “ 4 F “ dobbiamo ancora una volta chiedere aiuto alla lingua
inglese, senza la conoscenza della quale è azzardato operare nelle relazioni
internazionali. Anche queste lettere vanno prese in considerazione nell’ordine logico
in cui sono indicate.
FOCUSED – FLEXIBLE – FAST - FRIENDLY
Una regola base per ricordare è quella di registrare sempre i concetti, nella nostra
memoria, seguendo una successione sensata .
Tradotte in italiano le 4F significano:
Mirati, Flessibili, Rapidi e Cordiali.
Dobbiamo essere innanzitutto FOCUSED che in italiano, come si è appena detto,
significa fare delle scelte decise, convinte. Dobbiamo individuare il bersaglio o
l’obbiettivo e metterlo a fuoco.
La seconda F ci dice che dobbiamo essere FLEXIBLE, ovvero flessibili poiché,
come si è evidenziato in precedenza, le occasioni sono fuggenti, i bersagli sono
mobili e i nostri obbiettivi possono muoversi a seconda dei cambiamenti. Pertanto
sempre massima flessibilità ed “estote parati”. John Lennon, a proposito di flessibilità
diceva che “la vita è quello che ti succede mentre sei impegnato in altri progetti” e
pertanto se sei rigido sei un soprammobile.
La terza F ci dice che nel momento in cui siamo sicuri di aver individuato e messo
bene a fuoco le prime due F dobbiamo essere FAST = svelti, rapidi, veloci , ovvero
sparare il colpo prima che spari l’altro o prima che l’altro ( il target) scompaia dalla
nostra vista. La successione che nasce nella logica americana della “competition” è
un po’ la logica della “mors tua vita mea”. Ma nella nostra logica umana e sociale ciò
dovrebbe avvenire solo per legittima difesa.
Se non siamo in guerra ma in un contesto di pace e di sana concorrenza, entra in
gioco la quarta leva che, a dire il vero, é valida anche in casi di guerra per il vincitore,
il quale dovrebbe curare una dignitosa sepoltura dei nemici e una ricostruzione del
paese sconfitto.
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FRIENDLY, vuol dire che, malgrado tutto, dobbiamo essere cordiali, essere gentili,
essere comprensivi, dare amicizia e impegno di collaborazione.
Nel marketing e nella vita questa leva è veramente una marcia in più che spesso ci
permette di sconfiggere il nostro concorrente, anche se offre un prodotto migliore e a
prezzo più basso, poiché :
“gentilezza e cortesia del venditore conferiscono valore aggiunto al prodotto”.
Nel nostro marketing personale le 4 F sono importantissime, nella scelta degli amici,
dei collaboratori, dei partners commerciali e, se ci allarghiamo alla convivenza
matrimoniale, la quarta F è la chiave per la comunicazione con moglie e figli anche se
i fili che la reggono spesso sono delicati e fragili.
E’ bene ricordare che nella letteratura specifica si parla sempre di uomo di marketing
ma le donne, in genere, lo sanno praticare molto meglio degli uomini, perché lo
hanno praticato da sempre.
E’ facile intuire che l’applicazione delle 4 F assume importanza strategica nel campo
dei servizi, dove non basta solamente avere il miglior prodotto e il miglior rapporto
qualità/prezzo ma, come vedremo meglio più avanti, entrano in gioco una serie di
altri elementi che inducono il cliente a scegliere un servizio o un prodotto piuttosto
che un altro sulla base di una serie di elementi che vengono aggiunti al prodotto. Tali
elementi sono sviluppati nel secondo capitolo, nelle “4 P” del marketing mix,
trattando il concetto di “bene-servizio” dove, si rileva che :
“Sovente non è il prezzo più basso a far decidere l’acquisto”.
Le quattro F non sono solamente le fasi da seguire per rendere efficace la nostra
azione di venditori o cacciatori di clienti, ma a un attento esame risultano anche le
regole di comportamento per una organizzazione o un individuo, impegnati nella
fornitura di assistenza, informazioni o servizi.
Soprattutto in campo progettuale e organizzativo l’applicazione delle quattro F , in
tempo reale, può portare al successo di una nostra offerta o al raggiungimento di un
obbiettivo.
Pensate a un ufficio di prima assistenza o a un centralino che risponde a una vostra
domanda in modo mirato, flessibile, rapido e cordiale.
Alla faccia dei “call center” o delle segreterie telefoniche che ormai vi mettono in
“waiting list” e, dopo avervi fatto ascoltare una sgradevole musica per più di 10/15
minuti, vi dicono che gli operatori sono tutti impegnati e per evitare perdite di tempo
vi consigliano di richiamare più tardi. Ah…! quelle belle telefoniste degli anni 70
gentili e mirate . Qui la tecnologia ha fallito.
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1.05 – La Strategia
“La visione senza l’azione è un sogno,
l’azione senza visione è un incubo”
Quando si parla di Strategia generalmente si tende a confonderla con aspetti
strategici, tattiche o politiche operative che riguardano singole aree funzionali o
determinati momenti dell’azione dell’impresa : strategie di crescita, strategie di
nicchia, strategie di mercato, strategie di prodotto, strategie di prezzo, strategie di
pubblicità, e cosi via discorrendo.
Tutte quelle che abbiamo nominato sono tasselli del mosaico della “Strategia
dell’impresa”. La Strategia con la S maiuscola è un collante nel quale convergono
tutti gli altri, chiamiamoli “ aspetti strategici” attraverso i quali si persegue
l’eccellenza operativa.
Nel suo libro “ What is Strategy ” del 1996, Michael Porter, ha ampiamente
approfondito l’argomento facendo una netta distinzione tra i momenti e/o le tattiche
o politiche operative di eccellenza e il “Posizionamento Strategico dell’impresa”.
Tutto ciò che verrà detto in questo paragrafo riguarda anche il posizionamento
strategico di ogni singolo individuo nell’ambiente in cui dovrà realizzare la sua
professione o la sua carriera nella società civile.
Quando parliamo di “Strategia”, dunque, facciamo riferimento al “ modo in cui
un’impresa (o un individuo) decide di combinare insieme le sue competenze, i suoi
processi chiave e tutte le altre risorse tangibili e intangibili per affermarsi in un
determinato mercato ( o collettività)“.
Si tratta di definire un corollario chiaro e comprensivo all’interno del quale si
dovranno muovere tutte le politiche di organizzazione, di prodotto, di gestione delle
risorse, di distribuzione, di innovazione e di comunicazione, funzionali al marketing.
Scegliere una Strategia significa individuare una posizione di partenza per decidere
verso quale direzione andare. Dunque Strategia non significa posizione statica dell’
impresa ma
“azione dinamica che assicura l’esistenza nel tempo”.
La strategia è dentro il marketing, ma viene prima del marketing, nel senso che senza
strategia non si può fare marketing e senza marketing non si può fare strategia.
La strategia morde la coda del marketing e il marketing morde la coda della strategia.
Questo significa, che il “Top Management” di un’azienda deve fare marketing
insieme a tutte le risorse umane che operano nella stessa.
Come vedremo più avanti, ogni azienda sviluppa 4 funzioni fondamentali : analisi,
produzione, amministrazione e vendita, le quali hanno una disciplina comune che si
chiama “marketing”.
Senza marketing chiunque è un ciottolo in balia dell’ energia degli altri.
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Qualsiasi progetto strategico richiede la funzionalizzazione delle risorse umane e
delle risorse materiali tangibili e intangibili.
Ma perché è importante avere una strategia e quali sono le fonti di questa strategia?
Avere una Strategia è come possedere una bussola e questa va costruita attraverso
l’osservazione e l’analisi dei processi, la selezione e l’utilizzo in tempo reale delle
informazioni.
Anche la strategia si basa su quattro pilastri portanti:
value, mission, vision and perception.
Per capire questi 4 parametri, che in italiano si traducono in
VALORI, MISSIONE, VISIONE e PERCEZIONE
prendiamo in considerazione due imprese di trasporti.
La missione di tutt’e due le aziende è quella del trasporto di persone.
La prima però effettua collegamenti destinati a operatori economici o impiegati, la
seconda collegamenti destinati a turisti. La visione del servizio di trasporto nelle due
imprese è completamente diversa.
Una opera nell’ottica di un servizio che deve essere reso in modo rapido, puntuale ed
economico, funzionale al business, l’altra organizza un servizio che si sviluppa in un
contesto di tempo libero.
Per le due imprese il valore dipende dalla soddisfazione del cliente .
Le due imprese pertanto dovranno formulare la loro strategia in relazione al mercato
obbiettivo (dove esiste una specifica richiesta da soddisfare), ma le loro proposte
saranno in competizione con altri trasportatori anch’essi organizzati con una rete di
mezzi di trasporto.
Se le nostre aziende sapranno assicurare confort e puntualità dei mezzi, dislocazione
delle località e della centralità dei punti di accesso, qualità del personale e possibilità
di collegamenti con altre reti di trasporti e naturalmente un’adeguata azione di
informazione, il cliente, per le sue necessità, sceglierà il mezzo di trasporto delle
compagnie che abbiamo ipotizzato e sarà disposto a pagare un prezzo adeguato alla
sua percezione (Valore del servizio).
Dunque, la strategia è intesa a individuare una serie di soluzioni originali e di
vantaggi per il cliente tali, da conferire all’azienda una posizione nel mercato che la
concorrenza non è stata in grado di raggiungere.
Prendiamo ad esempio la Mc. Donald’s e cerchiamo di mettere a fuoco le leve
principali della sua strategia :
- Value - Accogliere e far incontrare i giovani
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-
Mission - Fornire una ristorazione veloce
Vision - Qualità, servizio e pulizia
Perception Luogo accogliente dove incontrarsi per nutrirsi.
Mentre se consideriamo quelle della Benetton :
- Value - Solidarietà
- Mission - Vestire i giovani
- Vision - Presenza globale e capillare nel mercato
- Perception - Appartenenza a un mondo per la pace
L’ Harley Davidson non è solamente una fabbrica di motociclette, ma è un club che
diffonde lo stile di vita Harley Davidson . Ha creato il suo marchio attraverso il quale
vende abbigliamento sportivo per i motociclisti, organizza gare, organizza gite e
viaggi, vende le sue penne e i suoi orologi, ha i suoi ristoranti. Il suo sito in Internet è
un vero specchio della sua immagine. Il suo valore è uno stile sportivo per “elite”.
L’Ikea non è solo un negozio di mobili, ma ha un posizionamento strategico nel
“sistema casa” che è difficile da imitare. I commessi sono dei consulenti, i centri
d’acquisto dispongono di capienti parcheggi, all’interno funzionano ristoranti e punti
di ritrovo per bambini, i prodotti, generalmente disponibili per la pronta consegna,
sono di buona qualità e hanno prezzi convenienti, il particolare sistema di
imballaggio permette al cliente di trasportare e assemblare i mobili da solo.
I suoi valori sono il risparmio e la rapida soddisfazione delle esigenze di arredamento
di una famiglia in evoluzione.
La Coca Cola non vende solamente bevande , lattine e bottigliette di vetro, ma offre
momenti di relax. Basta pensare agli slogan della sua pubblicità : “ Insieme c’è più
gusto ” – “ Play refreshed “ tradotto in italiano “ goditi una pausa “. Vende inoltre i
suoi gadget, locandine, sottopiatti e sottobicchieri facendosi pagare la pubblicità dai
clienti. Sfrutta i suoi punti di distribuzione vendendo altri prodotti. Ha creato uno stile
Coca Cola e vende relax.
Queste sono le quattro leve strategiche della Ferrari:
Successo (primi) – Servire un’elite – Prestigio nel mondo – Possedere il top.
(Nell’ordine : Value - Mission - Vision - Perception)
A livello singolo possiamo ipotizzare la strategia di un “birdwatcher” (osservatore
d’uccelli) in questi termini:
- Value : nessun valore
- Mission : impossibile
- Vision : nebbia totale
- Perception : fannullone
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La strategia pertanto non nasce guardando gli uccelli, ma è frutto di un’attenta
osservazione del mondo che ci circonda, di intuizioni, di creatività e di
organizzazione accompagnata dalla “governance” di chi è al timone dell’ azienda, sia
come gruppo, sia come singolo, perché, nel mercato in continua evoluzione bisogna
“monitorare” costantemente le strategie dei concorrenti e quando necessario innovare
e cambiare.
Particolare attenzione va riservata alla “Visione” perché da questa, sia a livello
singolo sia collettivo, dipende l’ “Organizzazione” che è il corpo nel quale la strategia
si articola nei quattro elementi portanti della sua struttura:
- Risorse materiali - (luogo, uffici e attrezzature)
- Conoscenze - (Know-how, tecniche produttive, brevetti)
- Risorse umane - (Specializzazioni, professionalità, esperienze)
- Posizionamento – (Nei confronti di fornitori, clienti, autorità e altri partners)
Un esperto olandese incontrato in una riunione a Parigi a proposito dell’innovazione
strategica sosteneva che :
“ il problema non è come farsi nascere in mente idee innovative, ma
come far piazza pulita di quelle vecchie “.
Nel 1890, nei suoi “Principi”, Alfred Marshal considerava l’economia come
“ lo studio dell’uomo nei suoi affari quotidiani”
A quei tempi il marketing veniva chiamato mercatistica e la sua dinamica non era
conosciuta a livello di disciplina, ma la definizione di Marshal si può adattare al
marketing contemporaneo e in effetti possiamo dire che:
l’economia è la scienza delle scelte
il marketing è la disciplina
la strategia è l’intuizione
la governance è il timone.
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1.06 – Il Marchio e l’ identità
“Senza identità non possiamo ne dialogare ne confrontarci con gli altri”
Nome, marchio, marca, logo, brand vengono usati indifferentemente dalla gente
anche se gli stessi termini hanno sfumature diverse.
Il nome o marchio si può considerare la chiave e allo stesso tempo il risultato della
strategia in quanto sintetizza i valori tangibili e intangibili dei prodotti e
dell’immagine che l’ azione strategica dell’impresa é riuscita a incidere nella
memoria del cliente.
Se non esistessero i marchi, i prodotti sarebbero del tutto anonimi e le nostre scelte
avverrebbero a caso. Il messaggio di qualità e di affidabilità trasmesso dal marchio,
tuttavia, non è presente nel marchio appena ideato ma si produce solo in seguito
all’uso e alle azioni di comunicazione e di pubblicità per mezzo delle quali il marchio
si carica di significati.
Vi siete mai chiesti quanto valgano i marchi della Nike , della Mercedes o della CocaCola ?
Forse 90 milioni di dollari, o forse 200 milioni di euro.
In una rivista di finanza e marketing, parlando di “attività intangibili”, un
amministratore della Coca-Cola si esprimeva in questi termini:
“ Tutti i nostri stabilimenti e impianti potrebbero essere distrutti da un incendio
domani, ma questo influirebbe in misura minima sul valore della nostra azienda “.
E’ stato detto anche che una marca fa ricavare da un prodotto più denaro di quanto ne
valga. (Vi dice niente il caso Parmalat che adesso prevede di risarcire i danni pagando
con nuove azioni?)
Alcuni sono portati a pensare che per creare un’immagine sia sufficiente la
pubblicità, ma la pubblicità può servire solamente ad attirare l’attenzione su una
marca. Oggi, è ancora più difficile a causa della proliferazione dei media, che stanno
sempre più erodendo il potere persuasivo della pubblicità di massa.
Costruire una marca richiede tempo e investimenti in relazioni pubbliche, in
sponsorizzazioni, in eventi sociali, in esperienze positive, in club, in testimonials e,
naturalmente anche in pubblicità.
Una volta affermatasi una marca diventa il simbolo distintivo dell’immagine di
un’azienda e dei suoi prodotti ed è in grado di condizionare le scelte del consumatore
rispetto ai prodotti concorrenti.
Lo spirito della marca percepito dai clienti è di conseguenza diffuso in tutte le fasi di
marketing dei prodotti ( condizionamento, vendita, pubblicità, eventi ) e nelle
interrelazioni dell’azienda con gli altri interlocutori : dipendenti, fornitori,
distributori, strutture di vendita.
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E’ molto importante che la personalità della marca venga trasmessa da tutti i partners
dell’ azienda (Identità).
Tutto deve avere uno stile coerente con le aspettative del cliente.
Tutti conosciamo da tempo le giapponesi Toyota e Sony e negli anni più recenti si
sono affermati a livello globale i nomi coreani di Hyunday e Samsung, ma presto alle
tigri orientali si affiancherà la Cina con due nuovi nomi che già sono conosciuti in
Asia : il produttore di computer Lenovo e la Haier che già vende anche negli Stati
Uniti, frigoriferi e lavatrici, attraverso una grande catena di grande distribuzione. La
Lenovo ha sponsorizzato insieme a Coca-Cola, McDonald’s, Panasonic e Visa , le
Olimpiadi invernali a Torino nel 2006, e nel 2008 i Giochi di Pechino .
Parlando della strategia si è detto che deve mantenersi in linea con i tempi e con le
strategie degli altri. La stessa considerazione vale anche per la marca con la variante
che in questo caso si corre il rischio che il marchio perda incisività e quindi generi
una perdita di clienti.
Qualcuno ha paragonato la marca a una bandiera estendendo alla stessa tutti i valori
affettivi della fedeltà e del senso di appartenenza. In effetti, quando si decide di
cambiare il simbolo o il nome che caratterizza una marca, se la scelta è indovinata si
acquisiscono nuovi clienti, ma se la scelta è sbagliata si rischia che il numero dei
clienti che si perdono superi quello dei “ new comers “.
Le marche più affermate tendono a sfruttare il loro successo ampliando le linee di
prodotto secondo una tecnica di vendita usata da tempo negli Stati Uniti chiamata
“piggy backing “, che significa in italiano “cavalcare il dorso del maiale”. Tale
tecnica viene utilizzata anche per estendere la marca ad altre linee di prodotto e
alcune marche hanno iniziato vere e proprie politiche di espansione, ritenendo che il
fatto di avere un marchio famoso e prestigioso possa abilitarle a introdursi con
successo in qualsiasi altra categoria di prodotti.
Se si considerano gli insuccessi registrati da certe importanti aziende globali, è facile
arguire che in molti casi, invece di introdurre delle strategie originali, si sono limitate
a produrre versioni imitative di altri prodotti di successo.
Secondo Kotler, molti responsabili di gestione dei marchi (Brand Manager), rischiano
di far morire i marchi, in quanto tendono a sviluppare politiche di espansione o
cambiamento basate sui prezzi, ampliamento gamma prodotti o condizioni
contrattuali, dimenticando le relazioni col cliente (CRM – Customer Relationship
Management), come vedremo più avanti nel capitolo dedicato al Cyberspazio.
Non si deve dimenticare che la marca o brand, è una posta attiva invisibile
dell’impresa fondata sul numero dei clienti fedeli al marchio e dai loro programmi
d’acquisto in relazione al prezzo, ma anche al loro modo di essere o di voler apparire.
I termini marchio, marca, brand, logo, come già è stato notato, vengono usati
indifferentemente dalle persone anche se il logo ha un significato più ampio e più
complesso del marchio, in quanto sotto uno stesso logo spesso vengono individuate
diverse marche che garantiscono prodotti e/o servizi dello stesso livello
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Il caso più evidente sono le catene di alberghi.
Strettamente collegati al marchio o al logo sono i nomi che vengo dati ai prodotti.
Drew Smitt, esperto di un’importante agenzia internazionale di comunicazione,
sostiene che un nome deve essere scelto con una sguardo al futuro, valutandone la
potenzialità di crescere e diventare internazionale. Per far questo è necessaria una
grande esperienza multilingue e multiculturale considerando che tra le principali
lingue parlate nel mondo occidentale ci sono solamente 1.300 parole in comune.
Paul A. Herbig, nel suo ultimo libro “ Marketing Interculturale ” ha dedicato un
capitolo alle “gaffe” culturali di aziende affermate a livello internazionale, criticando
la faciloneria con la quale talvolta si opera nella comunicazione senza tener conto
della cultura e delle tradizioni dei singoli paesi. .
La Ford, ad esempio, nella sua politica di penetrazione in America Latina incappò in
due grossi errori culturali che causarono gravi perdite alla casa automobilistica. A un
camioncino a basso costo venne dato il nome di “ Feira “ che in lingua spagnola
significa “ vecchiaccia “, mentre l’ammiraglia fu presentata col nome di “ Caliente “
che, sempre in lingua spagnola vuol dire “ prostituta “. Una multinazionale
dell’alimentazione, sempre in America Latina, mise in commercio nella grande
distribuzione locale una confezione gigante di burro col nome “ Burrad “ che
significa “ grosso sbaglio “.
In Bangladesh, la Bata, ha scatenato una rivoluzione di fedeli che hanno distrutto
decine di vetrine e causato feriti, per aver messo in commercio delle calzature con un
marchio in cui tre campanelle stilizzate somigliavano alla scritta “ Hallah “.
Persino la Coca Cola è incappata in un incidente culturale in occasione dei mondiali
di calcio quando ha diffuso in tutto il mondo le lattine con le diverse bandiere dei
paesi partecipanti ed è stata costretta dal governo dell’Arabia Saudita a ritirare quelle
con la bandiera saudita, poiché per il mondo islamico costituiva un sacrilegio gettare
nelle immondizie una scritta con il nome di Hallah. Pensate che persino un gurù della
globalizzazione, Lewitt Straus, diversi anni fa coniò per la Parker un messaggio
globale con un’unica impostazione grafica, che tentava di dire qualcosa a tutti “Make
your mark with a parker “ ma non diceva niente a nessuno, in quanto ci fu un grave
calo delle vendite e la Parker ripristinò il suo precedente approccio in 150 paesi
diversi con 40 agenzie pubblicitarie, decentrate, responsabili della comunicazione.
Think global but act local!
I marchi, i loghi, i nomi specie nell’attuale contesto internazionale dove le radici
culturali dei popoli stanno globalmente riemergendo (glocalizzazione), costituiscono
l’elemento più sensibile della strategia di un’azienda, grande o piccola che sia, in
quanto simboli, nomi e prodotti suscitano reazioni e questioni etiche reali o potenziali
e, non solo bisogna tener presente la cultura del paese ma anche le sub-culture nello
stesso paese (Etnie, religioni, origini).
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Prima di chiudere questo paragrafo, vi riferisco alcune considerazione sull’identità
fatte durante i miei viaggi in diversi luoghi e situazioni.
La prima impronta, come si è visto è quella relativa alle radici. Nel mio caso mi ha
sempre accompagnato un “mix” di pecorino, cannonau e pani crasau insieme a “sa
bosci de su mari e de su bentu” (la voce del mare e del vento) che è la mia “sardità”.
Poi trasferitomi in Continente, vedo Firenze, Milano, Padova, Roma , Bari e Catania.
Vado in Francia, in Germania, in Spagna, in Olanda e incomincio a sentirmi italiano.
Un giorno , mi trovo negli Stati Uniti e mi accorgo di essere europeo.
Per volontà del destino mi trovo in Arabia Saudita in mezzo ai musulmani, e nei
discorsi con i Francesi, i Tedeschi e gli Americani dico sempre: “ noi cristiani”.
In Estremo Oriente e in Africa la mia identità è il colore bianco della pelle.
Ma alla fine quei tre quarti di cannonau e di acqua marina nel mio DNA vengono
sempre fuori. Sono un pesce alla ricerca delle acque cristalline dell’Isola.
L’identità non deve essere un fatto statico, una cariatide alla quale ti senti
incatenato, ma è una costruzione culturale che ognuno fa all’ interno di se stesso, è
una crescita sociale che porta a comunicare con gli altri e a capirli e a liberare la
propria mente dall’ isolamento.
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1.07 – L’ Innovazione, la creatività e l’empatia
L’innovazione senza progresso umano crea solo nuovi disagi ( Huxley)
L’innovazione non si realizza con una o due sedute di “brainstorming”
ma si costruisce giorno per giorno osservando e razionalizzando
Spesso si innova ritornando ai valori del passato.
Parlando della conoscenza abbiamo citato Leonardo, che cinquecento anni fa non
parlava la lingua inglese, ma aveva già capito, prima della scoperta dell’ America,
che la conoscenza nasceva dall’intuizione, quella stessa intuizione che abbiamo visto
spingere Cristoforo Colombo ad avventurarsi negli Oceani..
Oggi, pare che tutti siano d’accordo sul fatto che l’innovazione, intesa come
intuizione di cambiamento, sia uno dei fattori fondamentali per il successo di una
impresa o degli individui singolarmente considerati. La cultura di massa spesso
confonde il significato di innovazione con quello di restauro o sostituzione. Cosi, c’è
chi si rifà il viso o altre parti del corpo, c’è chi cambia la macchina, c’è chi cambia i
luoghi di svago, c’è chi cambia l’amante e così via, dimenticando che l’innovazione:
“è un fatto psico/filosofico la cui scatola sta nel nostro cervello”.
In termini di mercato, quando si parla di innovazione generalmente ci si riferisce
all’innovazione di prodotto e quando si parla di R&D (Ricerca e sviluppo) ci si
concentra prevalentemente sui nuovi materiali, su nuove tecniche e su nuove
tecnologie.
In effetti, accanto all’innovazione di prodotto esistono altri tre tipi di innovazione ,
altrettanto importanti relativi al modo di pensare, all’organizzazione e al marketing.
Alcuni Top-Managers sostengono che la vera innovazione è costituita da una
ragionevole evoluzione e non da un continuo sconvolgimento che talvolta snatura i
prodotti e crea problemi all’interno dell’impresa e anche tra i consumatori e
utilizzatori finali.
Nel 1929, Shumpeter, sostenne che l’innovazione in un regime di monopolio è il
“premio naturale” per l’azienda innovatrice mentre in un regime di libera concorrenza
costituisce una minaccia costante per l’azienda.
Lo psicologo Erikson, in una recente analisi effettuata sull’argomento, ha rilevato che
la gran parte dei grandi innovatori sono arrivati alle loro scoperte dopo aver
sperimentato dei periodi più o meno lunghi di solitudine, di crisi o di emarginazione.
Gli innovatori tuttavia, non esistono solamente nell’area imprenditoriale, ma esistono
anche nei campi della letteratura, del cinema, dell’arte, dell’etica e della politica.
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Questi sono altrettanto importanti, poiché ci permettono di liberarci dalla schiavitù
delle nostre abitudini, che ci impediscono di evolverci e di crescere in un mondo che
cambia. (Speriamo in meglio)
Anche un altro studioso di discipline umane, l’antropologo Turner, condivide le
considerazioni di Erikson, avendo rilevato che i grandi innovatori in genere
provenivano e provengono da ambienti marginali e spesso erano o sono individui
incompresi o considerati strani.
Questo ci conforta e soprattutto costituisce uno stimolo per i giovani, nel
convincimento che molte angosce sono dei fantasmi e possono essere vinte col
coraggio, lo studio, la ricerca e la passione per quello in cui crediamo.
Nel contesto del marketing contemporaneo, diversi esperti sostengono che
l’innovazione, per poter divenire reale elemento di crescita di un’impresa o di una
società civile, deve rispondere a tre requisiti principali :
creatività, unicità, eccellenza.
Ma la “creatività” che cosa è? E’ possibile insegnarla?
Il concetto di creatività nasce negli anni ’20, come atteggiamento mentale esclusivo
degli esseri umani.
Nel 1929 Henri Poincaré (matematico francese) formula una definizione che viene
successivamente accettata in diversi campi e in differenti contesti del pensiero e
dell’attività umana :
“CREATIVITA’ SIGNIFICA UNIRE ELEMENTI ESISTENTI
CON CONNESSIONI NUOVE CHE SIANO UTILI”
La parola creatività entra nel lessico italiano solamente agli inizi degli anni ’50 ed è
a partire dal dopoguerra che si diffondono i concetti di nuovo e di utile, che
individuano l’attività creativa nella Società e nella Storia, sino ai nostri giorni.
NUOVO significa superamento delle regole
UTILE significa nuova regola condivisa.
La creatività si manifesta nelle diverse forme di benefici (economici, etici, estetici,
spirituali) per le singole persone, aziende e collettività.
Quando si parla di indicatori di innovazione di un paese, si fa riferimento al numero
di brevetti registrati durante l’anno.
La creatività non è patrimonio esclusivo di un singolo prodotto o di un processo di
innovazione, ma dovunque precede l’invenzione e diventa innovazione quando è
economicamente realizzabile e utile all’umanità.
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Secondo una ricerca dell’ ITCP (Dipartimento Americano per l’ Informazione, la
Tecnologia e le pratiche Creative), la creatività non si può insegnare ma si può
stimolare. Per farlo sono indispensabili tre fattori :
- INDIVIDUI GENIALI
- PATRIMONIO DI CONOSCENZE
- STRUTTURE ISTITUZIONALI
- INVESTIMENTI
in un contesto dove interagiscono:
cultura – organizzazione – logistica e promozione.
La ricerca dell’ ITCP, si pone l’interrogativo di come la creatività possa contribuire
alla nascita di nuove professioni e quindi di nuovi posti di lavoro in interazione con la
“Computer Science” e la “Information Technology” .
La risposta si troverebbe nella creazione di “Centri di promozione e sviluppo delle
pratiche creative”, dove collaborano università, centri di ricerca, musei, gruppi di
artisti, esperti di tecnologie dell’ informazione e della comunicazione, operatori
pubblici e operatori privati e tanti giovani motivati.
Le risorse umane impegnate nei Centri interagiranno tra di loro, ampliando le
conoscenze e quindi sviluppando le rispettive specializzazioni attraverso la
collaborazione e lo scambio di esperienze.
I nuovi impieghi sarebbero la conseguenza logica della creatività e delle innovazioni
che i gruppi produrrebbero.
In un recente seminario sul tema, promosso dallo scrivente e realizzato di recente in
Abruzzo, con giovani, esperti e rappresentanti di Istituzioni, sono state individuate
più di 20 nuove professioni che potrebbero aiutare le imprese nel processo di
innovazione e soprattutto motivare i giovani. I rappresentanti dell’ICE ( Gianni
Boncagni Direttore della Formazione e Gian Luigi Liberati Direttore delle Risorse
Umane hanno sottolineato l’importanza delle nuove professioni, in particolare quelle
legate al Web : Customer Relation Manager, Information Manager, Cross Cultural
Manager, Export Manager, ARP2 (Analisti per la razionalizzazione dei processi
produttivi), RIOG (Responsabili per l’innovazione nell’organizzazione d’impresa e
nella gestione del personale). Maria Teresa Letta, che era presente in rappresentanza
della Croce Rossa Italiana, ha indicato almeno 7 nuove professioni quali quelle degli
Specialisti per la guida delle ambulanze, per il salvataggio in acqua e sulla neve, per
l’assistenza psicologica in occasione di catastrofi, per cinofili destinati alla ricerca di
persone, per infermieri clown per il supporto medico ai bimbi e agli anziani ed altre
attività socio assistenziali che sviluppano la sensibilità, aprono la mente alla cultura e
alla generosità e gratificano soprattutto i giovani. Altri settori nei quali sono state
individuate professioni gratificanti sono stati quello del Turismo, dove si aprono
interessanti possibilità per Promotori e Guide per il Turismo Culturale e Tematico, e
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quello agricolo per Ingegneri da impiegare nelle imprese per la razionalizzazione
dell’uso delle energie e per le nuove energie ricavate dagli scarti vegetali.
Il discorso, in attesa che le università diventino più sensibili a queste nuove tendenze,
può essere avviato attraverso i CRUC “Centri risorse umane creative” per giovani
destinati ad affiancare gli imprenditori in discipline informatiche e sociali. Tali Centri
potrebbero anche promuovere la collaborazione tra imprenditori privati, università e
responsabili pubblici di marketing del territorio (Risorse umane, risorse naturali,
infrastrutture e servizi).
Silvia Motta, manager di un importante gruppo industriale italiano, è dell’idea che :
“la creatività non é patrimonio esclusivo di poche persone geniali,
ma é piuttosto un seme che si può coltivare “.
Questa illuminata definizione mi trova d’accordo anche perché creazione e
invenzione, come già si è detto, non sono patrimonio esclusivo dei singoli prodotti o
dei processi per produrli, ma riguardano un’ampia gamma di supporti culturali,
organizzativi, logistici e promozionali legati alle risorse umane.
I giapponesi, in una guida operativa per le PMI, tempo fa, individuavano 4 tipi di
creatività necessari per il successo delle aziende nella competizione globale :
Creatività organizzativa
Creatività produttiva
Creatività di marketing
Creatività nei servizi della P.A.
Non dobbiamo dimenticare che i creatori (Knowledge Workers) sono i principali
interpreti che intuiscono le nuove esigenze e i desideri della gente.
A questo punto, possiamo introdurre il concetto di “ empatia “ che, sotto il profilo
scientifico, è un processo psicologico per cui una persona si identifica con un’altra e
ne condivide le emozioni ma, in termini pratici, significa “mettersi le scarpe di un
altro e comminarci a lungo”.
Le doti empatiche presuppongono una grande predisposizione all’ascolto dell’altro e
sono fondamentali, non solo per essere dei creatori e dei buoni venditori, ma anche
per essere dei buoni coordinatori e gestori di risorse umane.
Il successo di molte P.M.I (piccole e medie imprese) nei mercati mondiali, è spiegato
proprio dal fatto che riescono a combinare quattro elementi fondamentali per il
successo: Empatia, Creatività, Unicità ed Eccellenza che sono i requisiti
dell’innovazione. Naturalmente, associano all’innovazione grande cultura
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imprenditoriale e convinzione sui fini sociali dell’impresa e sul coinvolgimento
umano delle risorse che vi lavorano.
Poiché in precedenza avevamo parlato di strategia, possiamo a questo punto
azzardare che : strategia e innovazione sono carte vincenti rispetto alla riduzione dei
costi (che spesso é vanificata nel confronto con i paesi emergenti) e nella guerra
contro i “clonatori ” di prodotti .
Il processo di “delocalizzazione” ( affidamento di fasi produttive o apertura di
stabilimenti di produzione in paesi emergenti “low cost” - a basso costo di
manodopera ) è solamente una soluzione temporanea nel problema della
competizione e favorisce la “clonazione”.
Un paese avanzato come il nostro non può sperare di risolvere i problemi lasciando
fuggire gli imprenditori ma deve urgentemente riorganizzare un sistema nazionale in
cui all’innovazione dei processi produttivi si devono accompagnare innovazione
organizzativa, innovazione di marketing, innovazione amministrativa, innovazione
politica e del territorio. E soprattutto onestà intellettuale.
Tutti i paesi del mondo sono consci che solamente attraverso i processi di
innovazione dell’economia e quindi di coloro che devono favorirla, politici e
amministratori pubblici, si genera crescita e nuovi posti di lavoro. Un paese come il
nostro fondato da sempre sulla creatività, sull’abilita e l’intelligenza delle risorse
umane non può permettere che le nostre migliori forze creative vadano a realizzarsi
all’estero.
Recenti analisi dell’ OCSE hanno evidenziato che l’Italia, tra i paesi industrializzati,
negli ultimi 10 anni ha realizzato il tasso più basso di “knowledge investment”, vale
a dire che il nostro Paese investe sempre meno in conoscenza (ricerca, istruzione
superiore e software). I nostri prodotti esportati, inoltre, sono sempre più low-tech e
stiamo sempre più acquistando brevetti dall’estero. Lo stesso discorso si può fare per
le pubblicazioni scientifiche che nel nostro Paese scarseggiano. Dobbiamo fare
ricorso a quelle in lingua inglese, per chi la conosce.
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Ma il tempo che cosa è ?
Nel sesto capitolo della “Montagna incantata” di Thomas Mann, il protagonista Hans
Castorp, si pone una domanda : “Che cosa è il tempo”?
“Un mistero, un mistero privo di essenza, inafferrabile e potente. Una condizione del
mondo delle apparenze, un movimento congiunto e immedesimato dell’esistenza del
corpo nello spazio e nel suo movimento. Ma se non ci fosse movimento forse non ci
sarebbe nemmeno il tempo? E non essendoci il tempo forse non esisterebbe neppure
il movimento? O viceversa? O sono essi una sola ed unica cosa?………….Il tempo è
attivo, agisce, produce. Che cosa produce? Cambiamento ! “
Dunque, il cambiamento è una costatante della nostra vita e l’innovazione è la
compagna inseparabile del nostro percorso terreno.
Malgrado noi, la natura cambia ogni giorno, si rinnova, si evolve e……migliora.
Cambiamento, dunque non vuol dire necessariamente accrescere, aumentare,
complicare, ma spesso significa ridurre, ridimensionare, semplificare, adeguare le
nostre azioni e i nostri progetti alle nuove situazioni che il tempo produce.
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1.08 - Come proteggere l’invenzione
“Essere creativi significa trovare soluzioni nuove,
chiare, semplici e utili che, naturalmente, vengono copiate”
L’ idea di proteggere le invenzioni e la creatività affonda le radici nel Rinascimento
italiano, anche se la prima legge in proposito è nata nel 1624 in Inghilterra ed era
ispirata al principio di ricompensare gli inventori, legandoli ai vantaggi economici
generati dall’invenzione.
Successivamente, sono nate leggi e convenzioni internazionali intese a proteggere la
proprietà intellettuale, i brevetti e il copyright.
Nel precedente paragrafo si è già detto che quando si parla di indicatori di
innovazione di un paese generalmente si fa riferimento al numero di brevetti registrati
durante l’anno.
Sotto il profilo giuridico il marchio rappresenta un diritto esclusivo di utilizzare una
certa parola, un disegno o un altro segno per contraddistinguere prodotti o servizi.
L’art. 16 della legge italiana sui marchi stabilisce che possono costituire oggetto di un
marchio diversi segni quali : parole, disegni, lettere dell’alfabeto, cifre, suoni, forma
del prodotto o della confezione, combinazioni di colore o tonalità cromatiche. La
possibilità di registrare il marchio a livello internazionale è stata originariamente
introdotta dall’ Accordo di Madrid nel 1891, successivamente ampliata col Protocollo
di Madrid. Le domande di registrazione si indirizzano all’ OMPI (Organizzazione
Mondiale Proprietà Industriale ) attraverso l’amministrazione competente del paese di
origine, in Italia è l’ Ufficio Italino Brevetti e Marchi . - E’ possibile registrare il
marchio solamente a livello europeo attraverso l’ UAMI
(Ufficio per
l’Armonizzazione del Mercato Interno) che ha Sede ad Alicante ed è operativo dal
1996.
In un articolo sul “Financial Times”, Robert Shiller, esperto del “London Project
Syndicate” , ha fatto cenno a un recente accordo siglato da USA, Australia, Giappone
e Corea, nel quale è prevista la possibilità di brevettare dei metodi per fare affari Business Methods – che in definitiva costituiscono politiche di marketing originali.
Questo tipo di brevetto è inteso a favorire la creatività di chiunque lavori in
un’impresa ricompensandolo in rapporto ai maggiori introiti che l’azienda riesce a
realizzare.
Un altro importante motore, inteso a stimolare le invenzioni suscettibili di divenire
innovazioni, è stato avviato nel settore finanziario, dando la possibilità a chi brevetta
l’invenzione e non possiede i capitali necessari, di ottenere adeguati finanziamenti per
sfruttare le opportunità di mercato.
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Questa innovazione pare che stia rilanciando il “ Rish-sharing” ( La partecipazione
della banca finanziatrice al rischio d’impresa) che gli istituti finanziari tradizionali
sono sempre stati piuttosto restii a sviluppare.
Anche in presenza di brevetti registrati presso i più importanti organismi
internazionali, per arginare il fenomeno della “clonazione” , spesso sono inevitabili
lungaggini e spese impreviste dovute all’insorgere di controversie.
Sempre secondo Shiller, il brevetto è efficace per la promozione della creatività
solamente quando l’innovazione che ne deriva implica un costo elevato per
l’investitore e un basso costo d’uso per il consumatore o utilizzatore.
Questa ipotesi riguarda solamente un calcolo matematico limitato al caso in cui
dall’innovazione si attende una maggiore competitività basata sul prezzo, ma come è
stato osservato nel paragrafo precedente è possibile ipotizzare tutta una serie di
innovazioni collaterali che possono portare alla possibilità di mantenere lo stesso
prezzo dei prodotti ovvero di aumentarlo.
Queste politiche di prodotto, che rientrano in una più ampia strategia dell’azienda, si
stanno sempre più affinando e sviluppando attraverso il Supply Chain Management
(SCM ), in italiano gestione della catena del valore , che si avvale di una serie di
strumenti tra i quali l’ APS (Advanced Planning and Scheduling ) che
approfondiremo nel capitolo del Cybermarketing.
Questi processi vanno più in là della semplice delocalizzazione di fasi produttive
dell’azienda e comprendono tutta una serie di valori condivisi da tutte le risorse
umane, interne ed esterne all’azienda, compresi i consumatori e gli utilizzatori finali.
In pratica, si tratta di un’ equazione inserita in un sistema, dove si propone al cliente
un prodotto più un valore aggiunto, ovvero con la collaborazione dello stesso
consumatore/utilizzatore e di tutti gli altri partners coinvolti, si riesce a sviluppare
creatività, innovazione e contenuto fisico del prodotto/servizio coerente con i bisogni
e i desideri del cliente.
Il discorso allargato della catena del valore è più che mai attuale per i nostri distretti
industriali, molti dei quali, senza una chiara strategia, rischiano di alienare all’estero
le loro funzioni ad alto contenuto competitivo, invece di cercare attraverso cultura,
creatività, innovazione e cambiamento, le strade corrette per sfruttare i nuovi
potenziali per il Made in Italy, che si aprono nei paesi emergenti e di nuova
industrializzazione. La storia ci insegna che i momenti di crisi e di recessione
stimolano l’innovazione e il cambiamento e per far questo necessitano fiducia,
rispetto e coinvolgimento di tutte le risorse presenti all’interno dell’azienda e del
territorio, private e pubbliche.
Mi propongo di trattare queste problematiche in un nuovo lavoro dedicato al
Marketing Territoriale, che costituisce la base di qualsiasi strategia politica di una
nazione e che presuppone la partecipazione di tutte le risorse pubbliche e private ad
una logica di sistema.
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Concludiamo questo paragrafo, citando alcuni esempi di aziende italiane che si sono
distinte per creatività e innovazione. Incomincio dalla Parmalat che nel settore
alimentare ha rivoluzionato il sistema di distribuzione del latte introducendo tre
importanti innovazioni : maggiore protezione del prodotto dalla luce, maggiore
maneggevolezza, minori costi di trasporto. Purtroppo il Gruppo si è successivamente
avventurato in investimenti in settori dove non aveva le conoscenze e le competenze
acquisite nell’alimentare . Il marchio, tuttavia ha conservato il suo valore.
Un altro gruppo italiano “ Merloni “, che sta affrontando la concorrenza cinese nel
settore degli elettrodomestici anche in Europa, sta sviluppando un programma “ Web
Ready Appliances Protocol “ - WRAP SpA – con l’obiettivo di trasformare gli stessi
in macchine intelligenti in grado di comunicare con gli altri apparecchi e servizi che
esistono in una casa . Se esiste già una caldaia la lavatrice chiederà l’acqua calda alla
stessa quando necessario, oppure attraverso una tecnologia chiamata “power
modulation” che sfrutta la rete elettrica, potrà comunicare con un centro di assistenza
che ne individua i guasti.
Mario Moretti, alcuni anni fa ha lanciato nei mercati mondiali “la scarpa che respira”
che oggi è venduta in 60 paesi diversi col marchio Geox per un totale di oltre 7
milioni di paia. La sua azienda da lavoro a più di 5.000 persone e la sua idea è stata
portata avanti malgrado i grandi del settore come Diadora, Adidas, Timberland, Fila
ed altri gliela avessero bocciata.
In un recente aticolo sull’industria d’avanguardia italiana, il Sole 24ore ha citato la
D’Andrea SpA di Lainate, guidata da Sergio Bassanetti che opera nella nicchia della
produzione di accessori hi-tech per i robot esportando altre il 70% della produzione e
poco più lontano, a Cardano al Campo, la ditta Galdabini che fabbrica presse hi tech
a deformazione, settore nel quale l’Italia ha conquistato il podio davanti a Cina,
Germania e Giappone.
La caratteristica dell’ Italia non sono solamente i cluster manifatturieri ma anche le
filiere produttive che in diversi settori partono dalle macchine.
E’ recente la costituzione di un Consorzio di Meccatronica, nel Parco Scientifico del
Bergamasco (Meccanica, elettronica e informatica industriale).
Mentre in questi giorni (3 marzo 2010) la stampa nazionale ha dato notizia che la
Ferrania (antica fabbrica italiana di pellicole fotografiche e lastre radiografiche) ha
iniziato un processo di riconversione per la produzione di pannelli fotovolaici . La
prima lavorazione del silicio cristallino è partita in febbraio.
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*Riflessioni sul primo capitolo
Culture:“Is a nature’s gift that turns man into human beings”
(La cultura è un dono che trasforma gli uomini in esseri umani)
Se ci fermiamo un istante a chiederci cosa sia il pensiero ci rendiamo conto che è una
navicella che viaggia più veloce di qualsiasi altro elemento presente nell’universo.
La sua velocità è istantanea in qualsiasi spostamento dentro e fuori di noi, ma per
“volare sull’ali dorate” presuppone la cultura.
“ Mai gli uomini potranno inventare un computer veloce come il pensiero”!
Siamo in Italia, ma in un istante possiamo pensare di essere in Papuasia.
Siamo sulla Terra ma in un istante possiamo pensare di essere sul pianeta Anik
distante dal nostro 90 miliardi di anni luce ma dove regna l’armonia.
Siamo dei poveracci, ma in un istante possiamo immaginare di essere padroni di un
Regno, dove dai rubinetti dell’acqua in inverno esce il vino rosso e d’estate la birra
fresca e al posto dei lampadari pendono i prosciutti. Amiamo una persona ma
improvvisamente la odiamo.
Pensiamo di essere generosi ma simultaneamente ci accorgiamo di essere egoisti.
Il pensiero ci fa esistere, ci fa amare, ci fa sognare, ci fa sperare.
Se approfondiamo l’argomento, poi, ci accorgiamo che il pensiero nasce nella
memoria, si sviluppa nell’intelletto e si nutre di cultura, l’alimento che lo fa crescere
sano e gli permette di costruire la coscienza dell’essere e le cose umane.
In una meditazione mattutina, pensando al pensiero mi sono venute alla mente quattro
diverse categorie di pensiero:
“ positivo, negativo, vegetativo e parallelo o creativo”
Il primo è associato alla considerazione che la vita è un dono concessoci dal
Padreterno e dobbiamo viverlo e conservarlo rispettando noi stessi e gli altri.
Il secondo, nikilista o fondamentalista, considera l’esistenza un errore, capitatoci
nostro malgrado e che pertanto va corretto con la distruzione dell’essere.
Il terzo è il non pensiero di chi vegeta e non ritiene necessario distinguere tra bene e
male, tra amore e odio, tra egoismo e generosità, tra giustizia e ingiustizia.
Il quarto è forse quello più pratico perché ci aiuta a risolvere i problemi e a superare
gli ostacoli. E’ quello che accetta la sconfitta e ne trae insegnamento.
Uno dei massimi studiosi di intelligenza umana, David Perkins, docente alla Harward
Scool of Education, ritiene che il pensiero creativo sia indispensabile per rompere con
la tradizione obsoleta e burocratizzata, e sia fondamentale per il cambiamento. Lo
chiama infatti “pensiero trasformativo”.
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Nello stesso libro il Prof. Perkins sottolinea che il “lampo di genio” che porta al
cambiamento non nasce affatto dall’improvvisazione ma è l’ultima fase di una lunga
passione e applicazione basata su una conoscenza profonda dell’argomento.
Nell’Umanitario (Dizionario on-line di Pensieroattivo) alla voce “genio” si legge:
Genio – Normalmente si è geni solo al 20 per cento, il restante 80% è ricerca,
cultura e soprattutto volontà e impegno. Se sei benestante, ti puoi permettere più
soluzioni geniali.
Colpo di genio: “come poter acquistare “tempo”?
Facendo fare agli altri le cose per le quali perderesti tempo.
La Cultura, tuttavia, come si è cercato di evidenziare in questo primo capitolo,
costituisce l’elemento essenziale per essere creativi o geniali e oggi, come vedremo
più avanti avventurandoci nel Cyberspazio o in una “second life”, i mezzi e gli
strumenti per ricercare, approfondire, conoscere si sono moltiplicati in modo
esponenziale, ma soprattutto i giovani devono essere guidati perché troppa
informazione spesso porta alla disinformazione o a sentieri impervi e manipolati.
Wikipedia, la più kliccata delle enciclopedie on-line, generata dai cybernauti
(navigatori in Internet), è una fonte libera e non certificata. Un bene per chi già
possiede una cultura, un male complesso per chi non ha punti di riferimento.
Google ha recentemente lanciato una nuova enciclopedia - KNOL – con l’intento di
certificare il sapere nell’universo selvaggio di Internet. (www.knol.google.com)
Un‘ultima osservazione: “La cultura non va confusa con la teoria perché è la guida
pratica del nostro agire; il risultato delle nostre letture, dell’osservazione, della
selezione e della nostra formazione quotidiana”.
Il pensiero è il frutto della cultura, ma attenti alle incrostazioni, il pensiero deve
essere originale, flessibile e sano.
Alcuni esempi del pensiero di alcuni nostri “padri” possono essere utili per meglio
mettere a fuoco le nostre idee :
“Si fallor sum” - Possiamo pervenire alla conoscenza
di noi stessi solo se pensiamo dubitando(S.Agostino)
“Cogito ergo sum” – Il famoso Deshartes (Cartesio)
“Pensare significa non pensare come gli altri”- (Jonesco)
“ Pensare significa pensare con la propria testa mantenendo l’animo incorrotto”
(Ignazio Silone)
“La notizia va sempre controllata” - (Indro Montanelli a proposito dello scoop).
Un’ ultima osservazione sull’innovazione:
“ innovare talvolta vuol dire anche ritrovare dei valori perduti”.
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Il MKT quotidiano