Opinioni > Italia > Societa - Mercoledì 23 Aprile 2014, 13:30
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Qualità: chi la controlla?
Alessandro Longo
Quelli con qualche anno in più sulle spalle ricorderanno il Carosello televisivo: «Galbani vuol
dire fiducia», uno slogan pubblicitario. «Costa un po’ di più, ma dà fiducia».
E invece, qualche anno fa, si è scoperto che, anche nel caso di un’azienda solida e nota come
la Galbani, alcune date di scadenza sulle confezioni erano state falsificate e per un breve
periodo di tempo avevamo mangiato formaggi scaduti. Dove finisce allora la nostra fiducia?
Si è poi verificato, dopo qualche tempo, il caso dell’inquinamento del latte in cartone per la
melammina cinese o, in Italia, per il ‘Itx’, ovvero ‘Isopropyl Thioxantone’ usato per le vernici
dei contenitori di cartone.
Giustamente la notizia ha suscitato grande clamore sui mezzi di comunicazione, ma presto si è
sgonfiata. Perché? Nel caso cinese, la risonanza è stata ampia, ma di breve durata, perché si
sa che in quel frenetico e lontano Paese non si va molto per il sottile sulla sicurezza degli utenti.
Nel caso a noi più vicini, quello delle vernici, anche se non meno grave in linea di principio, si è
arrivati all’incriminazione della Nestlè e della Tetrapak, due grosse società molto ben
strutturate che però alla fine dei processi sono state condannate a pene molto lievi. Le due
società, hanno potuto dimostrare di essere dotate di avanzati sistemi di gestione aziendale per
la qualità, per cui i casi verificatisi sono stati conseguenza di falle temporanee di gestione e
tempestivamente corretti in modo rassicurante per l’utenza.
Il programma televisivo ‘Report’, poi, quasi ogni settimana ci informa di casi simili che
continuano ad accadere ogni giorno in altri settori produttivi nel nostro Paese, e spesso
veniamo ammoniti a controllare con attenzione, sulle etichette dei prodotti tutta una congerie di
dati: la filiera produttiva, i marchi DOP, DOC, ecc., la data di produzione e quella di scadenza e
persino l’analisi chimica del contenuto. Insomma, dobbiamo recarci nei supermercati muniti
di un libretto di appunti su cui segnarci con attenzione tutti questi dati, che tra l’altro sono
scritti in caratteri molto piccoli, per cui conviene portarsi anche una lente di ingrandimento. E
tutto questo dobbiamo farlo noi, ignoranti cittadini, non laureati in chimica, noi che
paghiamo le tasse per dei servizi che lo Stato dovrebbe garantirci senza pretendere da noi
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Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/societa/2014-04-23/126908-qualita-chi-la-controlla
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una competenza che non abbiamo, né abbiamo voglia o tempo di acquisire. E’ per questo
motivo che sono importanti i due casi che sopra ho citato anche se sono datati. Se le etichette,
che ci sforziamo di decifrare per evitare di intossicarci, non sono affidabili, non possiamo far
altro che alzare le mani e proclamare la nostra inadeguatezza al cimento. Chi deve controllare
per la nostra sicurezza?
Tutti questi fatti sono significativi perché mettono in evidenza che la sicurezza non può essere
gestita con superficialità, ma va inquadrata in un completo ‘sistema di gestione per la
qualità’.
Il complesso sistema di norme comunitarie sulla gestione per la qualità, genericamente indicate
in Italia, con le sigle UNI-EN-ISO 9004-2000, periodicamente aggiornate e attualizzate, sono
molto rigorose e essere in grado di dimostrare di saperle rispettare costituisce un requisito
standard di cui nessuna azienda oggi può più fare a meno senza screditarsi. La credibilità
delle certificazioni di qualità è assicurata dal rigore con cui queste certificazioni vengono
accreditate a chi le richiede. Gli stessi Enti certificatori (in Italia ne esistono molti, specializzati
nei vari settori produttivi) sono a loro volta sottoposti a periodiche e severe ispezioni da parte di
un organismo internazionale, il SINCERT, che sulla terzietà fonda la propria serietà e
autorevolezza
Dobbiamo, quindi, fidarci più di questi enti certificatori europei che dello Stato cui
paghiamo le tasse? Così le tasse le paghiamo due volte: una annuale con l’F24 e una
quotidiana quando compriamo i prodotti di cui abbiamo necessità, che costano tanto anche
perché le ditte che li fabbricano devono acquisire un certificato di qualità valido e scaricano su
di noi i relativi oneri economici
Ad esempio, l’attuale legislazione italiana sui lavori pubblici già da molti anni (art. 8, legge
11 febbraio 1994, n. 109, la famosa ‘legge Merloni’) incoraggia le imprese di costruzione ad
adottare (si dice implementare) un Sistema di gestione per la Qualità, incentivandolo con
agevolazioni per la partecipazione alle gare di appalto (riduzione degli importi delle garanzie
fidejussorie, facilitazioni organizzative ecc.). Ed infatti oggi quasi tutte le imprese di costruzione
medio-grandi in Italia si fregiano della certificazione di ‘Gestione per la Qualità’.
Per le piccole imprese (la maggioranza, in Italia) invece, il problema è ancora caldo. La
qualità, almeno all’inizio, è costosa sia in termini economici che di impegno organizzativo
e nel caso di piccole realtà imprenditoriali di mentalità tradizionalista, spesso costituite da due o
tre operai esperti e bravi nel proprio lavoro, capire che spendere qualcosa di più, oggi, nella
speranza di goderne i frutti chissà fra quanto tempo, è sempre difficile in un mercato ottuso e
spesso degradato e presuntuoso come quello italiano. Un mercato fatto di imprenditori a volte
convinti di essere detentori non di una professionalità, ma di una vera e propria ‘arte’, che si
trovano a lottare contro una concorrenza senza scrupoli, che preferisce pagare in nero la
manovalanza extracomunitaria senza alcuna specializzazione, utilizzando materiali di bassa
qualità e prezzo, piuttosto che ingaggiare, secondo le leggi, operai esperti, e realizzare opere
fatte secondo le regole dell’arte (come in effetti si suole dire).
Le imprese del resto sono organismi a scopo di lucro, si sa. Ma cosa è meglio? guadagnare
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tanto e subito, magari imbrogliando, truffando e maltrattando i dipendenti, o più saggiamente
pazientare, essere parchi, lungimiranti, e fare della durata del lavoro e della propria buona
coscienza un’arma vincente, ma con il rischio di rimanere senza lavoro? Sono discorsi
complessi che si intrecciano col problema dei controlli che le amministrazioni appaltanti troppo
spesso trascurano, soprattutto in tempi di crisi come quello che stiamo vivendo. Ma non si deve
rinunciare a perseverare nel miglioramento della società in cui viviamo. E’ così che dalla
gestione per la qualità deriva naturalmente la sicurezza del lavoro o la sua sostenibilità, come
piace tanto dire oggi. Ma purtroppo, spesso ci si limita solamente a dirlo, salvo poi stupirsi ed
indignarsi quando accadono gli incidenti.
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