Opinioni > Italia > Cultura - Lunedì 15 Settembre 2014, 13:30
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"Dal caso di Madame..."
L’estinzione di una specie, quella dei librai
I librai italiani contro i colleghi francesi"
Flaminia Paolucci Mancinelli
Se cerchiamo, ad esempio sul vocabolario Treccani, il significato della parola ‘libraio’ troviamo
quanto segue: «Chi esercita, in proprio o alle dipendenze d’altri, il commercio dei libri ed è a
diretto contatto con il cliente». Dunque trattasi di un commerciante, punto e a capo.
Da tempo, da quando le catene di librerie e poi le società di shop-online hanno iniziato a
implementare nel loro business i libri, è iniziata una concorrenza, spesso con colpi bassi e al
limite della legalità (con promozioni e scontistiche selvagge), che hanno messo in difficoltà i
librai tradizionali. Coloro che ad un certo punto hanno iniziato ad autodefinirsi:
indipendenti.
Passaggio successivo: la diffusione, grazie allo sviluppo della tecnologia e quindi dell’editoria
digitale, degli e-book.
Il Lettore, a questo punto, poteva scegliere. Decidere dove e in quale formato acquistare il
suo libro. E la figura professionale del libraio, così come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi, è
destinata a morire. Chi di voi va ancora a comprare il pane dal fornaio?
Chi di voi si fa fare un golf su misura da una magliaia?
Chi di voi va ancora dal ciabattino a farsi risuolare le scarpe?
Tutte le attività lavorative connesse a questi commerci sono con il tempo scomparse.
Così, come le macchine hanno sostituito gran parte dei lavori manuali che un tempo erano
svolti da operai e contadini, manovali e impiegati. Molto merito (o responsabilità, dipende dal
punto di vista) ha avuto la tecnologia, lo sviluppo dell’informatica e dei macchinari per le
produzioni.
Quello che in molti annunciavano come un prossimo felice affrancamento dell’essere umano
da lavori umilianti e faticosi, la millantata promessa di una maggiore disponibilità di tempo
libero, si è rivelata in pochi anni tutt’altro, un biglietto di sola andata per la disoccupazione che
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Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/cultura/2014-09-15/142319-lestinzione-di-una-specie-quella-dei-librai
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
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ha colpito ampi strati della popolazione.
A nessuno è venuto in mente di fermare il progresso, così come a nessuno potrebbe venire in
mente di gridare: 'fermate il mondo voglio scendere!' anche se quanto lo circonda e gli si
prospetta per il futuro assolutamente non gli piace.
Invece, coloro che commerciano in libri non si ritengono uguali agli altri lavoratori, tant’è
che hanno scatenato una guerra senza quartiere a chiunque abbia osato invadere il loro
orticello. Guerra ai Bookshop online, guerra all’editoria digitale.
A chi tra questi librai indipendenti aveva la pretesa di ottenere dallo Stato nuove leggi
protezioniste, qualcuno fece notare che i prezzi promozionali e gli sconti agevolavano
l’acquisto da parte dei Lettori e quindi non aveva senso imporre un prezzo fisso ai libri.
C’è da osservare che, molto umanamente, a quei librai interessava forse solo mantenere attivo
il loro conto in banca. Ma allora perché non dirlo, perché ammantare con altro una richiesta
relativa alla rivendicazione dei propri profitti?
E perché impedire la splendida rivoluzione insita nell’e-book, rivestendo un supporto (quello
cartaceo) di significati e valori che non gli appartengono, trattandosi appunto solo di un
dispositivo per la lettura?
Forse perché un Lettore per acquistare un e-book non necessita di entrare in una libreria?
Cos’ha in meno il contenuto (romanzo, saggio o silloge che sia) di un libro digitale rispetto a
quello pubblicato su un libro cartaceo?
Nulla.
Viste le loro posizioni ideologiche franare, visto messo a rischio il loro commercio, questi
lavoratori hanno dato vita ad un’ulteriore mistificazione: l’insostituibile valore del libraio.
Da commerciante egli si è ammantato di paludate facoltà e indispensabili prestazioni, quasi che
il lettore sia un inetto imbecille, gattonante, assolutamente incapace di scegliere l’oggetto del
proprio futuro piacere culturale, strumento conoscitivo o di svago senza l’ausilio di un
libraio/taumaturgo. Questo lo stato dell’arte di una situazione davvero particolare, nella quale
l’ennesima casta cercava di salvaguardare i propri diritti a discapito delle normali regole
commerciali.
Ed è a questo punto che dalla Francia è arrivata la pubblicazione di un libro di memorie dell’ex
première dame di Francia Valérie Trierweiler (intitolato ‘Merci pour ce moment’).
Una mia amica ha scritto su Facebook, a commento del contenuto di questo ‘saggio’: «Valérie
Trierweiler, ex moglie di François Hollande, ha scritto nel suo ultimo libro che il marito definiva i
poveri ‘senzadenti’. E lei gentile signora cosa rispondeva? E perché è rimasta accanto a
Hollande? Come mai ha scelto di rivelare queste meschinerie di Monsieur Le Président solo
quando egli ha deciso di divorziare? Che squallore...» E chiudeva il suo Post complimentandosi
con i librai francesi che, con un veloce passaparola, avevano esposto nelle vetrine dei propri
negozi un cartello molto esplicito, quello che vedete riproposto nella fotografia a lato. Che
testualmente dice: «La libreria non ha la vocazione ad essere la lavatrice dei panni sporchi della
signora Trierweiler». In parallelo quei librai d’Oltralpe si sono rifiutati di ospitare nei propri
negozi quel libro anche a costo di subire perdite di incassi importanti, essendo ovviamente il
volume molto richiesto.
Da noi, dove al momento ancora non esiste una traduzione in lingua italiana, si è però accesa
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un’animata discussione che, prendendo spunto dalla scelta dei librai francesi, ha coinvolto
Lettori e librai italiani. Ho scritto ‘discussione’? Forse avrei fatto meglio a definire tali
conversazioni dei ‘corpo a corpo violenti’, degli ‘scontri all’ultimo sangue’, dei ‘duelli al di là
del bene e del male’.
La tesi di partenza, sostenuta da molti librai, è stata: che diritto ho io, libraio, di pormi tra
l’Editore e il Lettore? Sviluppata poi con una improvvida citazione della censura: perché il
librario dovrebbe impersonare il ruolo del censore?
Questa posizione retorica, in realtà, non riuscirebbe a convincere neppure il più ‘ingenuo tra i
sempliciotti’: tacciare i librai francesi di censura? Ma in quale film? Neppure lo sceneggiatore di
un Fantasy a basso costo avrebbe usato tale inventiva.
Eppure mi è capitato di leggere il misero scaricabarile di un libraio che non esitava a scrivere:
«Sta a noi scegliere quali libri vendere? Dopotutto noi siamo aperti per vendere, io posso pure
essere contrario a un titolo in particolare, posso decidere di non metterlo in vetrina ma se
qualcuno mi chiede un titolo posso rifiutarmi di venderlo?» E poco oltre ancora: « Se c'è qualche
‘guardone’ che ha bisogno di guardare fra le lenzuola di Hollande la colpa è del libraio che
vende il libro? Noi siamo un esercizio commerciale, alla fine, per quanto orribile sia dirlo. Già la
media dei lettori in questo paese è bassissima se dovessi anche rifiutarmi di vendere libri (libri
che si possono tranquillamente comprare in internet spesso con lo sconto) chiuderei nel giro di
qualche mese.»
E a questo punto, anche il più serafico tra i lettori dovrebbe saltare sulla sedia: ma come il
libraio si è trasformato in Ponzio Pilato? Lui dei libri che vende nel suo negozio se ne lava le
mani?
Anzi, il suo principale interesse è ‘vendere libri’, del tutto indifferente al contenuto che questi
diffondono.
Ma, poi, da una dichiarazione all’altra, da un Post a un altro, da un commento a un flame,
certuni librai hanno iniziato a gettare la maschera ammettendo che il timore per le mancate
vendite era ciò che impediva loro di intraprendere una strada analoga a quella dei librai
francesi.
Un momento di verità, la confessione di un’assoluta venerazione per il dio denaro, ma per
ricadere subito dopo in un fumoso argomentare. La domanda che questi commercianti,
domanda provocatoria e indisponente più o meno suonava così: «Chi sono io libraio per
proporre ai miei acquirenti l’ultimo libretto 'rosa' ambientato a New York e negare invece la
pubblicazione di Barbara D’Urso? Perché ‘Merci pour ce moment’ di Valérie Trierweiler no
e ‘Cinquanta sfumature di grigio’ di E.L.James sì? I clienti leggono ciò che vogliono, non sono
io a fare il mercato.»
Noooo?
Ma come non sei tu quel consigliere indispensabile, quella guida integerrima e disinteressata
cui l’inetto lettore deve affidarsi per scegliere le sue letture? Non sei sempre tu colui che dice di
svolgere una funzione culturale e sociale insostituibile, che i cattivacci del business del libro
ostacolano con mille trabocchetti solo per vile profitto?
La schizofrenia di coloro che vogliono salvare l’insalvabile accelera, se possibile, la morte delle
librerie che, nei loro ultimi giorni, assomigliano sempre più a bazar e ad empori che non a luoghi
di cultura. Il numero dei lettori scende irrimediabilmente e quei pochi che restano imparano a
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usare la piattaforma di Amazon e a leggere testi in digitale.
E il libraio? Come il ciabattino, lo spazzacamino e l’ombrellaio, anche lui dovrà rassegnarsi ad
iscriversi alle liste di disoccupazione e si preparerà a svolgere un altro mestiere. Tutti servono
ma nessuno è indispensabile in questa civiltà gettata a rotta di collo in un’inarrestabile corsa al
‘progresso’. I Big Data, in un futuro molto prossimo, saranno in grado di aiutare i lettori in
difficoltà, suggerendo titoli di loro gusto, senza per questo assumere un’aria spocchiosa o,
peggio, arrogante. C’è da aggiungere che, forse, se non terremo d’occhio questa evoluzione,
rischieremo molto più che non da un libraio attento solo al proprio profitto, ma di questo avremo
modo di parlare in prossime occasioni.
Per concludere, trovo necessario tornare al tema della censura, tanto improvvidamente tirato
in ballo nelle discussioni di questi giorni. Noi siamo i cittadini di uno Stato nel quale, per secoli, il
Sant’Uffizio della chiesa cattolica stilò un elenco di pubblicazioni che ai comuni mortali era
vietato leggere, pena l’accusa di eresia; mi riferisco all’Indice dei libri proibiti (‘Index librorum
prohibitorum’) che restò in vigore fino al 4 febbraio 1966.
Questa data ci dimostra, con estrema evidenza, quanto giovane sia la nostra democrazia,
quanto a lungo, anche dopo la caduta del Fascismo, questo Stato è rimasto prono alle leggi e
alla volontà dello Stato del Vaticano, e quanto quindi sia delicato un discorso sulla ‘censura’.
Ma dopo il ventennio fascista e quella data del 1966, i cittadini di questa Repubblica sono caduti
preda del Berlusconismo (altro periodo oscuro della Storia patria) che adottando
un’interpretazione particolare della politica Liberale, l’ha tradotta nella realtà con uno squallido
e strumentale lassez-faire per valori e principi. Una già barcollante cultura è franata nel nulla, la
TV di Stato è stata depredata del poco che aveva e se qualcuno proprio non riusciva a fare a
meno del piccolo schermo veniva indirizzato sui canali del Premier, accrescendo l’audience di
programmi demenziali ogni giorno più pingui di lucrose raccolte pubblicitarie.
Figuriamoci, quindi, se in questo Paese ci sia da sentirsi offesi a parlare di Censura… Ma tanta è
l’ipocrisia che, di fronte alla scelta coraggiosa dei cugini francesi, noi troviamo persino la faccia
tosta di mostrarci scandalizzati, e di impartire lezioni di biasimo e condanna a chi rinuncia a un
guadagno certo pur di far saltare un perverso meccanismo che strumentalizza la libertà di idee
e di comunicazione per far passare nelle coscienze una perversa mistificazione della realtà.
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