MILANO IN CONTROLUCE
Le vetrate nel centro di Milano
A cura di Cesare Facchetti
www.assofrancescosforza.it
Perché un itinerario alla
scoperta delle vetrate del
centro storico?
I milanesi, si sa, sono concreti,concentrati ed efficienti; ma quandosi tratta di vivere ed apprezzare la loro città
diventano superficiali e distratti. Quanti milanesi non sono mai entrati a San Bernardino alle Ossa, quanti non hanno
addirittura mai visto il Cenacolo! Figuriamoci dunque se si mettono ad alzare il naso e a vedere cosa scherma la luce
nelle finestre della loro città. Beh, se lo facessero forse scoprirebbero non solo persiane, tapparelle e tendine, ma anche
un numero notevole di vetrate, talvolta splendide. La scelta di andare alla ricerca delle vetrate dell'Ottocento e del
Novecento mira proprio a gettare luce su una fase non “classica” e non universalmente nota di quest'arte “minore”.
Queste vetrate soffrono un po' della nostra indifferenza, non solo perché vorrebbero essere guardate, ma perché se non
ci si accorge che ci sono, esse possono essere modificate o restaurate in malo modo, asportate o addirittura distrutte
senza che nessuno dica una parola. Dunque, anche in questo caso andare per vedere e conoscere è un modo di
appropriarsi della città, e di scoprirsi un po' più ricchi.
Milano e la vetrata:
all'ombra del Duomo
Anche se la vetrata italiana muove i suoi primi passi ad Assisi, dove operano maestranze tedesche che “esportano” la
loro tecnica ed il loro stile, e le vetrate più significative del medioevo sono tutte nel centro Italia (Orvieto, Firenze...), Il
Duomo di Milano è il più grande ed importante complesso di vetrate nella nostra nazione. Gli ideatori della cattedrale
ambrosiana infatti hanno affidato la decorazione “narrativa” non alla pittura in tavole ed in muro, ma proprio alla
vetrata, voltando clamorosamente le spalle a quelle che erano le tendenze del tempo e del territorio italiano. I lavori per
le vetrate del duomo iniziano nel Quattrocento, quando quest’arte era oramai decisamente decaduta dal rango di “arte
maggiore” che occupava nel medioevo, a quello di “arte minore”. Il fatto di affidare la “decorazione narrativa” alla
vetrata poi è tipico delle chiese d'oltralpe, in una cattedrale italiana “normale” vedremmo cicli di affreschi e grandi pale
e polittici.
La lunga, intensa e spettacolare vicenda delle vetrate del Duomo è sicuramente determinante di quel primato che la città
di Milano ha detenuto nel campo della pittura vetraria per tutta l'Età Moderna ed oltre. Quindi, anche se il Duomo non
rappresenta il punto focale di questo percorso, è come se la grande ombra di questo monumento invadesse parte del
nostro campo visivo.
L'Ottocento romantico e il
monopolio dello Studio
Bertini
Giovanni Bertini, tornato dalla Francia a riportare in vita l'arte della vetrata (è l'inizio degli anni Venti dell'Ottocento)
non ci propone una “resurrezione” della tecnica e dello stile della vetrata medievale, ma la sua “evocazione” romantica.
isognerebbe dire, per essere più chiari che i pittori vetrari di primo Ottocento arrivano quasi a snaturare la vetrata, che
non è più la tradizionale pittura “di vetro” con i toni propri di ogni lastra e ogni pasta, disegnati e ombreggiati solo dalla
“grisaille” nera e lumeggiati dal “giallo d'argento”; la vetrata diventa pittura su vetro, dove alla povertà dei toni dei vetri
“industriali” ottocenteschi suppliscono i colori degli smalti, il cui “arcano” è stato dapochi anni scoperto dalla
manifattura di porcellane di Sèvres. L'intervento sempre più massiccio del pennello sulla lastra rende sempre più simili
le vetrate alle tele dipinte ad olio con la tavolozza abbassata di bruni del pittore ottocentesco.
La dinastia Bertini
Capostipite della dinastia è Giuseppe Bertini Senior (1766-1841), che non era vetraio ma pittore a smalto su metallo e
porcellana. Egli aveva imparato il mestiere proprio nelle manifatture di Sèvres dove si scoprivano i segreti di nuovi
colori da usare anche sul vetro. Il figlio di Giuseppe Senior, Giovan Battista (1799-1849), vinse nel 1827 il concorso
indetto dalla Veneranda Fabbrica del Duomo e garantì alla dinastia, per tutto il resto del secolo XIX, il monopolio sui
lavori di creazione e restauro delle vetrate del Duomo. Il più importante tra i figli di Giovan Battista fu Giuseppe (18251898), personaggio centrale della vicenda artistica milanese a metà dell'Ottocento, e a lungo docente di pittura a Brera.
Giuseppe era il direttore artistico dello studio Bertini ed aveva come “braccio destro” il fratello Pompeo (1829- 1899).
Lo scapestrato figlio di Pompeo, Guido (1872-1938), condusse stancamente la bottega alla chiusura. I Bertini applicano
di preferenza la formula della Vetrata-Quadro, ottenuta attraverso una tecnica mista: mosaico di vetri colorati dipinti a
grisaille e pittura a smalto su vetri satinati. Tale tecnica dava risultati simili alla pittura ad olio. Alla tendenza della
Vetrata -Quadro si oppose a partire dagli anni Trenta dell'Ottocento quella della vetrata “archeologica” che recupera in
maniera letterale la tecnica e lo stile della vetrata medievale. I Bertini tendevano a trascurare questa moda francese. La
“vetrata quadro” Bertiniana si avvicina di volta in volta ai modelli di Sabatelli, di Hayez, dei pittori troubadour o
“classicisti-romantici”, laddove in Francia si sarebbero prese le mosse da Ingres o Delacroix, e si attiene sempre ad uno
stile accademico narrativo e ricco di citazioni. Lo Studio Bertini e l'insegnamento di Giuseppe a Brera ebbero un ruolo
importante nella formazione degli artefici delle generazioni successive; sappiamo infatti che presso lo Studio Bertini si
erano formati alcuni degli artisti della Beltrami & C. ed è verosimile che anche Corvaya e Bazzi, maestri degli smalti su
vetro si siano formati proprio a quella scuola.
I laboratori del Novecento
Dopo tre quarti di secolo di monopolio bertiniano sulla vetrata milanese, allo scoccare del XX secolo le cose cambiano
radicalmente, e una nuova generazione di artefici si affaccia sul mercato. Lo stile e la tecnica di questi artigiani
risentono delle novità in fatto di linee e materiali tipiche dell'era dell'Art Nouveau. Dagli Stati Uniti arrivano le novità di
Tiffany e La Farge, che inventano paste vitree con infiniti colori, trasparenze ed effetti, che permettono di ottenere
vetrate “ apuro mosaico”, senza pittura ma con effetti di luce “impressionisti”. In Europa stanno prendendo piede tutti
quei modernismi che riuniamo sotto il termine di Art Nouveau. Se le vetrate delle chiese rimangono più legate alla
maniera ottocentesca le vetrate “laiche” , il cui uso si diffonde in maniera esplosiva nelle case e nei luoghi pubblici di
ogni genere, dalla banca al “tabarin”, non possono essere più le stesse. Nel primo lustro del secolo XX a Milano
fiorirono diverse officine che
eseguivano vetrate.
La prima officina che iniziò a produrre vetrate laiche a Milano fu quella di Luigi Fontana, attiva addirittura dal 1887,
esauritasi nel 1933 come ditta autonoma non per cessare, bensì per fondersi con la bottega di Pietro Chiesa e formare la
FontanaArte, tuttora attiva, nonostante dagli anni Settanta non si occupi più di vetrate.
La Beltrami & C. era la prima in ordine di importanza, se non in ordine cronologico; operò dal 1900 circa al 1926 ed
ebbe la produzione più copiosa, la più vasta rinomanza e le committenze
più prestigiose, esportando anche all'estero (Germania, Egitto). Il grande lucernario dell'aula del Parlamento italiano è
opera di Beltrami &C.
La Corvaya & Bazzi è attiva dal 1906 al 1948, ed è la più singolare tra le botteghe di questa epoca, per via della sua
tecnica particolarissima, detta tubage, che consiste nella pittura a smalti colorati stesi entro un disegno realizzato con
smalti a rilievo. Anche questo laboratorio fu assai prolifico e le sue opere sono inconfondibili.
La Vetreria Brescian a Testori, poi Studio Artistico Italiano della Vetrata, fondata a Brescia addirittura nel 1878, si
trasferisce a Milano dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, ed è attiva fino al 1935 circa; la sua produzione a noi
nota risale agli anni Dieci e Venti.
La Bottega di Pietro Chiesa, artista di origini ticinesi e imparentato con l'omonimo pittore, è la più vicina alle
avanguardie stilistiche di Novecento e del Déco', attiva dal 921-23 come entità autonoma, fino l 1933, anno in cui
insieme al laboratorio di Luigi Fontana confluisce nella FontanaArte. Pietro Chiesa è famoso per aver eseguito le
vetrate per il Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, su commissione di Gabriele D'annunzio e in collaborazione con
artisti come Marussig e Gio Ponti.
Due parole sulla tecnica
La tecnica tradizionale della vetrata è quella sviluppata nel corso del Medioevo, consiste nel creare “mosaici” di tessere
ottenute da lastre di vetro colorato “in pasta”, legate tra loro con listelli di piombo e montate in telaio. Le pitture
“ammesse” dalla tecnica tradizionale sono una pittura monocroma nera o bruna detta “grisaille” e il “giallo d'argento”.
Queste pitture, dopo la cottura diventano parte del vetro e sono stabili. Da parte di alcuni si considera che solo le vetrate
ottenute con la tecnica tradizionale siano “ortodosse” e vere vetrate, mentre tutte le altre sarebbero aberrazioni.
Tecniche e materiali nuovi
tra Ottocento e Novecento
La tecnica tipica dell'Ottocento è la pittura a smalto su vetro. Al chiaroscuro a grisaille si aggiunge una “pelle” di
pittura, con colori a base di povere di vetro e sali metallici, gli smalti, appunto. Anche lo smalto deve essere cotto per
aderire al vetro, ma questa è una tecnica difficile e meno stabile della grisaille e del giallo d'argento. La pittura a smalto
su vetro è uno sviluppo della tecnica della pittura a smalto su ceramica e su metallo. Nel Novecento, sull'onda delle
scoperte di Tiffany, presero piede nuovi tipi di vetro, meno trasparenti e più d'effetto dei classici vetri soffiati o laminati
industriali. Questi vetri hanno molti nomi e si ottengono in diversi modi. I più tipici e preziosi sono detti Opalescenti o
vetri “Monaco”. Si fece molto uso di vetri stampati con disegni a rilievo e di “gemme” di vetro. Anche la pittura su
vetro ebbe uno sviluppo, con l'invenzione dello smalto a rilievo, che permetteva di eseguire le vetrate con la tecnica del
tubage, dove un tratto di smalto nero a rilievo sostituiva il reticolo dei piombi (ciò permetteva maggiore libertà nel
disegno). Entro il tratto nero dello smalto a rilievo si stendevano gli smalti colorati. Lo smalto a rilievo è invenzione
francese, ma la tecnica del tubage, come lo si vede nelle vetrate qui prese in esame, è esclusiva milanese della bottega
Corvaya & Bazzi.
Gli stili delle vetrate
Milanesi tra Ottocento e
Novecento:
Romanticismo, neo medioevo,
troubadour (circa 1820-40)
È lo stile di Giovanni Bertini e della prima produzione di suo figlio Giuseppe, nei temi rivisita episodi di storia laica e
biblica, caricandoli di sentimenti e prestando grande attenzione alla ricostruzione di “scene e costumi” d'epoca. Il
periodo più gettonato per la rievocazione è il medioevo, lo stile preferito è il gotico.
Eclettismo (circa 1850-1900)
Lo stile “Vintage” dell'Ottocento maturo si chiama Eclettismo, perché ama usare e mischiare elementi di diversi stili
storici. I preferiti sono il rinascimentale e il barocco, ma anche lo stile neo romanico, insieme con il “moresco” (cioè
mediorientale, arabo) ha i suoi estimatori. Lo stile Umbertino di fine Ottocento è l'ultima forma dell'eclettismo
ottocentesco, nella forma di un classicismo meticciato qua e là con il Liberty.
Liberty (circa 1900-1915) e
Déco' (circa 1915-35)
I “modernismi” sono gli stili che cercano nella natura e nella astratta geometria forme sganciate da quelle degli stili
storici. Non hanno largo seguito in Italia dove sono spesso mischiati con gli stili storici, ma segnano delle loro linee i
primi prodotti del design nazionale. Il liberty, dalle linee morbide e flessuose è spesso chiamato Stile Floreale perché
ama la decorazione vegetale, Il Déco' invece è più secco e geometrico.
Lo stile Novecento (anni Venti)
Novecento è il classicismo moderno, spesso associato all'architettura “fascista”, è rigoroso, solenne ed ha in comune
con l'art Déco' la semplificazione delle linee della decorazione. Associamo lo stile Novecento agli artisti del gruppo
nato attorno a Margherita Sarfatti nel 1922; ricordiamo tra gli altri Sironi, Funi, Wildt.
Committenti laici vecchi e
nuovi, (nobili, banchieri,
chanteuses...)
A metà Ottocento erano principalmente le chiese a commissionare vetrate. Gian Giacomo Poldi Pezzoli rappresenta uno
dei rarissimi casi di un laico che ordina vetrate per la propria dimora: è la manifestazione di un gusto coraggioso e
innovatore che si ritrova anche in altre scelte per la decorazione di quella casa straordinaria che è ora il Poldi Pezzoli:
un gusto che in alcuni motivi e combinazioni tecniche precorre il gusto dell'Art Nouveau di quasi mezzo secolo.
Seguiranno l'esempio di Poldi Pezzoli i Tittoni Traversi, che per la loro villa di Desio commissioneranno ai Bertini
vetrate ora perdute (o disperse?). Al volgere del secolo anche borghesi, aziende, istituzioni iniziano ad amare questa
forma di decorazione. Milano all'inizio del Novecento è la capitale italiana della vetrata, con più laboratori attivi che
esportano nel Nord Italia e all'estero, mentre a Roma si mettein luce solo un laboratorio, e solo a partire dagli anni
Dieci: quello di Cesare Picchiarini. La committenza milanese ama le vetrate molto più di quella della Roma Umbertina,
e sembra più aggiornata nei gusti e più disposta a rischiare, dal momento che è composta prevalentemente da
imprenditori. A Roma invece si costruisce e arreda per dei “burocrati”. La Milano del Decollo Industriale è anche la
Milano del decollo di quelle che allora si chiamavano le Arti Industriali. Non per nulla la casa-tempio milanese della
Banca d'Italia si fregia di molte vetrate. Tra i committenti eccellenti vale la pena citare anche la Banca Commerciale
Italiana di Piazza Scala con il suo Velario firmato Beltrami & C., la casa editrice musicale Ricordi, che nella sua sede
milanese aveva un Orfeo sempre di Beltrami & C. ora purtroppo disperso o perduto, oppure il Teatro Eden: un teatro di
Varietà in Largo Cairoli di cui ora rimangono solo le pensiline in ferro battuto, ma che ai tempi della Belle Epoque si
fregiava di vetri piombati in tutte le vetrine (da attribuire sempre a Beltrami & C.). A anche di queste opere, polverizzate
dal tempo e dalla smania tutta milanese per il restyling, prima che dalle guerre, rimangono solo le fotografie. Chissà che
fine hanno fatto le vetrate Liberty del casino di Via fiori Chiari, smantellato dopo il 1958?
Guida alle vetrate del centro
storico
Questo libretto mira ad essere una guida, un vademecum per un'ideale visita alle vetrate del centro di Milano poste in
edifici diversi dalle chiese (si considera qui la cappella dell'Annunciata dell'Università come parte della Cà Granda più
che come entità ecclesiastica autonoma). Chi vorrà provare a vedere di persona le vetrate prese in esame (ma non tutte e
non sempre sono aperte al pubblico) trova in questo libretto gli elementi per goderne e capirle. Alcune di queste vetrate
sono inedite, tra queste le vetrate della fondazione Matthaes, quelle del palazzo di via Visconti di Modrone, quelle di
casa Campanini, le perdute vetrate del Caffè Eden e, incredibilmente, le vetrate della cappella dell'Annunciata
dell'Università Statale.
Cappella dell'Università
Statale di Milano, via Festa
del Perdono, 1858 circa
Nella cappella dell'Annunciata dell'Università Statale di Milano, ex Ospedale Maggiore, si trovano tre vetrate
sicuramente attribuibili a Giuseppe Bertini, verosimilmente coeve o di poco successive ai lavori di costruzione del coro
di detta cappella, terminato nel 1858. Le tre vetrate raffigurano storie correlate all'Ospedale. I titoli posti sotto le tre
storie sono: “San Carlo porta il Perdono all'Ospedale” (motto Humilitas), “San Camillo assiste e conforta gli infermi in
questo Ospedale” (motto Charitas), “Tobia col figlio seppellisce di notte gli uccisi dai Babilonesi” (motto Misericordia).
Le storie sono tipiche vetrate-quadro dipinte a smalto e grisaille, su vetri colorati e incolori, sono trattate con fare
illustrativo, spiccato senso dell'ora e dell'atmosfera e hanno fastose incorniciature neo manieriste, sull'impronta di quelle
disegnate dal Pogliaghi.
Le vetrate del museo Poldi
Pezzoli, Via Manzoni
(1855, 1900 circa)
La casa del Conte Gian Giacomo Poldi Pezzoli ha un angolo riposto, il Gabinetto dantesco, che serviva al suo
committente per isolarsi e meditare, ma che fu anche un importante “laboratorio” per l'evoluzione dello stile eclettico
verso il Liberty. Il centro iconografico di questo ambiente è proprio una vetrata, la dantesca, replica rimpicciolita della
grande dantesca dell'Ambrosiana (del 1851), sempre dipinta a smalto ma aggiornata nell'incorniciatura, raggiante di
linee che sembrano già Liberty, e affiancata dalla piccola vetrata con l'episodio di Dante e frate Ilario (qui niente smalti,
solo vetri colorati in pasta e grisaille). Il museo Poldi Pezzoli ospita anche altri singolari oggetti legati all'arte della
pittura su vetro: per esempio le lastre dipinte dal Bertini a grisaille e smalto, raffiguranti i figurini in costume d'epoca
disegnati dall'Hayez per il ballo in maschera dato a Milano dal conte ungherese Battiany. Questi sono conservati nel
museo due piccoli pannelli di Beltrami & C., raffiguranti fiori di glicine realizzati a puro mosaico di vetri opalescenti,
probabilmente esposti all'esposizione internazionale di Milano del 1906.
Le vetrate
dell'Ambrosiana, Piazza
Pio XI (1851, 1921, 1925)
Nel complesso della Pinacoteca e Biblioteca Ambrosiana troviamo una ricca decorazione vetraria risalente agli anni
Venti. I primi lavori interessarono la Biblioteca; nel 1921 il prefetto dell'Ambrosiana, monsignor Grammatica, affidò i
lavori per la creazione della Sala di Lettura nel cortile coperto, realizzato da Ambrogio Annoni (supervisione di Luca
Beltrami). Le vetrate del soffitto e delle lunette risultano affidate a Giovanni Buffa, collaboratore di Beltrami & C. Il
successore di Grammatica, Mons. Galbiati iniziò nel 1925 la risistemazione della Pinacoteca. La realizzazione delle
vetrate spetta a un ex collaboratore di Beltrami & C Guido Zuccaro passato a collaborare con Corvaya & Bazzi. Le
vetrate della Pinacoteca coniugano dunque il disegno solido e classico di Zuccaro con la tipica tecnica di Corvaya e
Bazzi, il tubage. Della decorazione di Buffa in biblioteca notiamo il bellissimo stemma Borromeo, dove la tecnica della
grisaille su vetri colorati si coniuga con l'uso del giallo d'argento e della pittura su vetro. Al piano di sopra tra le opere di
Guido Zuccaro per Corvaya è bene menzionare lo stemma della palma e la figura femminile nella sala del Moretto,
dove è anche lo scalone con il mosaico virgiliano. Ma certamente la perla tra le vetrate dell'Ambrosiana è la
monumentale Vetrata dantesca, opera (1851) di Giuseppe Bertini, esposta a Londra all'intern o del Crystal Palace nel
1865 e acquisita dall'Ambrosiana due anni dopo. La vetrata dantesca non era destinata ad una finestra in particolare, ma
fu fatta a scopo dimostrativo. Essa è una celebrazione di Dante attorniato da eatrice, da Matelda, e da pannelli
raffiguranti alcune storie prese dalla Commedia. Al di sopra di tutto sta la ergine. Viene da dire che questa vetrata sta a
Dante come le Maestà di Duccio o di Martini stanno alla Madonna. Per dare alla Vetrata dantesca il corretto respiro e
leggibilità venne appositamente aperta una galleria dove esporre l'opera alla luce naturale.
Le vetrate della Banca
d'Italia, Via Cordusio,
1914
Nel cuore della “City” milanese si colloca l'imponente edificio della Banca d'Italia, che tanto è possente mole di marmi
all'esterno, tanto, all'interno è alleggerito da ampie aperture e schermi di luce. La hall al primo piano è pensata
dall'architetto Broggi quasi come un cortile coperto, dove la luce piove dall'alto attraverso il lucernario e si spande negli
ambienti circostanti attraverso ampi finestroni. In questi ampi finestroni stanno le vetrate di Corvaya & Bazzi, dove la
decorazione a palmette e rosette (dipinta a tubage) in accordo con lo stile ionico dell'edificio, è rarefatta e si limita ad
angoli e cornici, per favorire la funzione di illuminazione delle finestre. Ben altro valore figurativo e simbolico hanno le
tre vetrate poste sullo scalone che conduce al piano nobile (ci sarebbe anche un lucernario ma sembra essere stato
chiuso); sono realizzate dal laboratorio Beltrami & C. e attraverso la rappresentazione di Mercurio, della Temperanza e
dell'Abbondanza simboleggiano la prospera economia della Milano di quegli anni. Il “trittico” dello scaloneè la più
importante testimonianza superstite dello stile tardo di Beltrami & C., caratterizzato dall'abbandono dell'uso della
pittura per definire i volumi delle figure e dall'uso di accostare vetri diversi per grado di trasparenza, omogeneità di
colore, disegno stampato in rilievo. Il risultato è nondimeno classico e lussuoso, appena sfumato di una punta di Art
Déco'.
I velari della Banca Commerciale
Italiana in Piazza della Scala
(1906-1911)
I velari sono collocati in un edificioprogettato da Luca Beltrami, con uno stile sospeso tra quello del bramantesco
battistero di San Satiro e l'Eclettismo dell'Opéra di Parigi. La costruzione viene iniziata nel 1906 e terminata nel 1911.
L'edificio ha due velari, uno nel salone delle casse e l'altro nel “cortile coperto”. Luca Beltrami affida i lavori per queste
vetrate al laboratorio che fa capo al cugino Giovanni. Il velario del salone delle casse si ha una cornice decorativa a
girali di fogliami e si armonizza con lo stile neo manierista del salone. Beltrami non rinuncia all'uso di gemme e vetri a
rilievo tipici della sua vena Liberty e utilizzati anche in complessi come il Casinò di San Pellegrino Terme. Il cortile
coperto ha velari con motivi decorativi barocchi, sempre in armonia con lo stile della sala, realizzati in toni dorati, ma
queste vetrate hanno l'aria di essere state pesantemente rimaneggiate e la maggior parte dei vetri non sembra originale.
Vetrate di Casa Campanini,
in via Bellini, 1904
Casa Campanini è, insieme a Palazzo Castiglioni in Corso Venezia, uno dei monumenti esemplari del Liberty milanese.
Non poteva mancare in questa elegante residenza privata, tra le altre decorazioni, qualche
manufatto in vetro colorato, che fa capolino da tutte la finestre sotto forma di un vetro cattedrale azzurro e vetri satinati.
Soprattutto ci piace notare il fregio del cancello interno, composto da piccoli pannelli in vetri cattedrale e opalescente,
con uno schematico ma elegante disegno di ninfee. Lo stile del disegno e il presentarsi di queste vetrate come discreti
tocchi di colore e pura decorazione potrebbe far pensare a Luigi Fontana come esecutore che all'alba del secolo era
quello dallo stile più sobrio e minimale.
Il cinema Odeon, Pietro
Chiesa, 1935 circa
Dall'ingresso dalle sale del cinema Odeon, in via Santa Radegonda si può scorgere una delle vetrate progettate ed
eseguite da Pietro Chiesa. Le vetrate si armonizzano con lo stile Deco'-Novecento dell'edificio, rappresentano fontane
stagliate su un fondo astratto e senza prospettiva, sono realizzate in vetro Monaco, (simile all'alabastro) in toni che
variano tra il grigio caldo e l'ocra dorata. In queste vetrate non si fa ricorso alla pittura per definire i volumi, il segno dei
piombi è netto e grafico. L'uso dei vetri alabastrini è tipico di questo artigiano-designer che ne falargo uso soprattutto al
Vittoriale degli Italiani.
Le vetrate del Museo
Matthaes di Milano, in Foro
Buonaparte, da attribuire a
Beltrami & C. (1895-1905?)
Nel Museo di Arte e Scienza, di solito si vanno a scoprire i trucchi delle tecniche e delle falsificazioni, per farsi
“l'occhio da conoscitori”. Difficilmente si nota che nell'appartamento al primo piano (zona ora destinata agli uffici del
museo) è conservato un complesso di vetrate decorative. I vetri si possono datare ad anni 1985-1905, cioè ad anni poco
successivi alla costruzione e ai primi interventi decorativi dello stabile che ospita il museo (anni '80 dell'Ottocento). Le
vetrate sono sia addossate alle finestre per schermarle che poste tra un ambiente e l'altro a fare da tramezzo: hanno
motivi ornamentali di stile eclettico, soprattutto vasi di fiori e ghirlande di foglie, in colori delicati e spesso quasi neutri,
con disegni elaborati di esecuzione raffinatissima. Alcuni di questi pannelli non sono normalmente piani ma si
sviluppano tridimensionalmente in corrispondenza del motivo decorativo principale. E’ notevole anche la presenza di
gemme di vetro. Queste vetrate potrebbero essere attribuite al laboratorio Beltrami & C. considerato il gusto eclettico, il
carattere lussuoso ed elaborato, il modo di tagliare i vetri di foglie e fiori in pezzi piccolissimi. Queste vetrate mostrano
ello stile e nello stato dei materiali la loro età antica (forse prima del 1900) e mostrano di essere state pochissimo
restaurate o manomesse.
Palazzo privato in via
Visconti di Modrone, 21Corvaya Bazzi & C, 1935 circa
Un poderoso palazzo stile Novecento, affacciato sulla cerchia dei navigli, si apre in un atrio colonnato alla romana
antica, di lucido granito. in fondo all'atrio sta, a fare da fondale di scena un'ampia vetrata dipinta a smalti e tubage,
raffigurante un giardino ideale popolato di statue, di pioppi alti e slanciati, con una grande vasca di fontana in primo
piano. Vetrate così ne faceva Corvaya & C. negli anni, Venti, ne aveva fatte prima anche Beltrami, ma questa è
impressionante per misure ed effetto monumentale. E' firmata, Corvaya Bazzi & C di Oriani, che è la denominazione
della ditta dopo la morte di Salvatore Corvaya (1934). Periodo in cui la direzione artistica del laboratorio era passata a
Guido Zuccaro (ex designer e artigiano di Beltrami). Lo stile di quest'opera è estremamente lineare, non lontano dal
Déco' di Pietro Chiesa; non c'è uso di grisaille per definire i volumi delle cose, gli smalti sono stesi a campiture quasi
piatte, eppure l'effetto atmosferico e poetico è notevole.
Altre vetrate minori
Nel palazzo occupato dall'assessorato alla cultura del comune di Milano, in piazza alla Scala, ci sono alcune vetrate a
tubage di Corvaya & Bazzi, semplici e sobrie, circa 1911. All'interno di palazzo Castiglioni (Corso Venezia) pietra
miliare del Liberty milanese, vi sono delle vetrate (molto restaurate) alcune delle quali forse di mano di Corvaya &
Bazzi.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALEBIBLIOGRAFIA
ESSENZIALE
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