Supplemento al n. 954 di Consulente immobiliare – Poste Italiane Sped. in A.P. – D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1 – DCB Milano
I QUADERNI
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Condizionatori
in condominio
• l’installazione all’interno
dei beni condominiali
• i limiti derivanti dal regolamento
• la tutela del decoro architettonico
• le autorizzazioni
per la realizzazione dei lavori
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TECNICI
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SOMMARIO
I QUADERNI DI
IMMOBILIARE
CONDIZIONATORI IN CONDOMINIO
3
INTRODUZIONE
APPROFONDIMENTO • Gli elementi costitutivi dell’impianto di condizionamento
4
• L’installazione nella proprietà privata
7
• L’installazione all’interno dei beni condominiali
10
• I limiti e i divieti in condominio
14
• Le innovazioni
19
• La tutela del decoro architettonico
21
• Le autorizzazioni per la realizzazione dei lavori
29
• Le immissioni rumorose
38
• Le agevolazioni fiscali
45
Questo quaderno è a cura di
Donato Palombella, Giurista d’impresa esperto in diritto immobiliare, autore di numerose opere in
materia urbanistica, appalti e tutela del consumatore in ambito immobiliare.
IMMOBILIARE
Direttore Responsabile:
Ennio Bulgarelli
Coordinatore editoriale:
Piera Perin
Redazione:
Paola Furno
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www.tecnici24.ilsole24ore.com
Supplemento al n. 954 del Consulente immobiliare
Reg. Trib. Milano n. 4143, 11.10.1956 ISSN 0010–7050
Questo fascicolo è stato licenziato per la stampa il 23.5.2014
Riproduzione, anche parziale, vietata senza autorizzazione scritta dell’Editore
Stampa: Rotolito Lombarda – Via Sondrio, 3 – 20096 Seggiano di Pioltello (MI)
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nella Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17 dicembre) aggiorna e
riforma gli articoli del codice civile e delle disposizioni di
attuazione che disciplinano la materia. Un provvedimento
che ha il merito di affrontare parte delle questioni che hanno formato oggetto di contrasti giurisprudenziali, nonché di
consacrare in norma principi che già hanno trovato consolidata conferma da parte dei giudici di legittimità, ma lascia
comunque spazio a non pochi dubbi interpretativi su alcune
problematiche trattate forse non con la dovuta attenzione e
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Dalle parti comuni alle innovazioni e agli interventi particolari, dall’assemblea all’amministratore, dal regolamento
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materiale promozionale. Consenso:
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CONDOMINIO
introduzione
Introduzione
Con l’arrivo della bella stagione torna a farsi vivo il problema di sfuggire alla calura estiva
anche perché il ben noto cambiamento climatico in atto, e il conseguente surriscaldamento
del nostro pianeta, sta determinando l’avvicendarsi di stagioni estive particolarmente torride.
I nostri nonni si rifugiavano in campagna o al mare, oggi la tecnologia ci viene in contro con
un’ampia gamma di condizionatori.
Il problema sembrerebbe risolto, almeno quello del raffrescamento, ma ciò comporta la
nascita di grattacapi di altra natura: la scelta dell’impianto più adatto alle nostre esigenze,
potenza, marca, modello e, di recente, anche la possibilità di adattare lo split in funzione
dell’arredamento.
Ovviamente occorre fare i conti con la perdurante crisi economica per cui occorre pensare
anche al costo d’acquisto, all’impianto, alla messa in opera e ai consumi. A questo punto
la fatica sembra essere ormai superata e già pensiamo di poterci finalmente godere il
“freschetto”, invece le difficoltà sono sempre in agguato!
Occorre pensare al rispetto di una vera e propria miriade di norme di varia natura, non
sempre chiare, e spesso in aperto contrasto tra loro, che sembrano congiurare contro di
noi; soprattutto, occorre evitare di sollevare inutili polveroni in condominio per scongiurare
che l’aumento della temperatura non sia dovuto alla calura estiva, quanto agli attriti con il
vicinato, che metterebbero a dura prova le nostre coronarie.
Di seguito cercheremo proprio di affrontare le tematiche più scottanti che sorgono in ambito
condominiale.
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CONDOMINIO
articolo
Gli elementi costitutivi
dell’impianto di condizionamento
In linea di principio, potremmo affermare che il condizionatore d’aria è una
macchina normalmente utilizzata per innalzare, o più spesso per abbassare,
la temperatura di un ambiente circoscritto. In definitiva si tratta di una
macchina capace di sviluppare energia positiva (calore) o negativa (freddo);
l’energia prodotta viene scambiata con un fluido il quale, messo a sua volta
in circolazione, cede il proprio potenziale termico all’ambiente circostante
provvedendo, in tal modo, a innalzarne o abbassarne la temperatura.
Dal punto di vista componentistico, l’impianto di condizionamento è composto essenzialmente da due elementi, uno interno
(split) e l’altro esterno (motore), normalmente dotato di una o più ventole.
Questi due elementi sono collegati tra loro
attraverso dei tubi in rame per la circolazione dei fluidi (uno in ingresso e uno in
uscita).
Abbiamo, inoltre, una serie di cavi per assicurare l’alimentazione elettrica che, solitamente, alimenta l’unità esterna e, da essa,
quella interna; l’impianto elettrico, poi, richiede una linea autonoma, protetta con
un magnetotermico di adeguata potenza e
(ovviamente) la messa a terra.
Gli organi di comando e controllo, almeno
negli apparecchi moderni, sono assicurati
da efficienti radiocomandi a infrarossi, dotati di funzioni sempre più raffinate mentre i software, ormai particolarmente sofisticati, assicurano le opzioni più disparate,
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dal risparmio energetico, alla rilevazione
della presenza umana negli ambienti, dalla
temporalizzazione, al controllo a distanza
tramite smartphone.
La guida sui condizionatori d’aria elaborata dall’ENEA divide i condizionatori in due
grandi gruppi:
pompe di calore – apparecchi in grado sia
di riscaldare sia di raffrescare l’ambiente;
raffrescatori – apparecchi che raffrescano
o deumidificano l’ambiente in cui vengono
installati.
Abbiamo, poi, tre “modelli base”:
– monoblocco, composto da un unico elemento che riunisce, al suo interno, tutti i
componenti dell’apparecchio;
– split, caratterizzati dalla presenza di due
elementi, uno esterno e l’altro interno;
– multi split, in cui una sola unità esterna
è capace di alimentare due o più unità
interne.
Gli impianti di condizionamento, inoltre,
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CONDOMINIO
articolo
possono essere sostanzialmente di due tipologie:
– centralizzati, quando servono tutto il
condominio;
– singoli, quando sono utilizzati da ogni
singola unità immobiliare.
Le unità interne (o split), dal punto di vista costruttivo, possono essere distinte in
cinque tipologie:
1. a muro: da installare a muro, possibilmente in posizione alta;
2. a pavimento: cosiddetta tipologia a fancoil;
3. a consolle: per installazione a soffitto
senza controsoffitto;
4. a cassetta: per installazioni a incasso nei
controsoffitti;
5. canalizzabili: per l’installazione assiemata
a condotti d’aria e anemostati.
L’installazione di un impianto di condizionamento all’interno di una normale
abitazione non crea grosse difficoltà; gli
impianti ormai sono talmente diffusi che
una ditta installatrice può provvedere alla
realizzazione dell’intero impianto in poche
ore di lavoro e senza che sia necessario
provvedere, almeno di norma, a opere edili
consistenti.
Le uniche cautele riguardano la realizza-
zione dell’impianto elettrico e per lo scarico dell’acqua.
Gli impianti di condizionamento, infatti,
generano condensazione per cui non bisogna mai dimenticare il tubo di scarico per
evacuare l’acqua di condensa.
In realtà questo è l’unico elemento che potrebbe causare qualche difficoltà in quanto
occorre collegare l’impianto a uno scarico,
pensando alle necessarie pendenze ed evitando che si creino dei ristagni di acqua
che potrebbero innescare dei fastidiosi
problemi di infiltrazione ai danni delle unità immobiliari vicine (Cass. civ., Sez. III,
sent. n. 26239, 13 dicembre 2007).
Con l’occasione si rammenta che è vietato
innestare il tubicino di scarico della condensa nel pluviale condominiale in quanto
ciò determina una illegittima alterazione
del pluviale destinato, per sua natura, al
convogliamento delle sole acque meteoriche (Trib. Padova, Sez. civ., sent. n. 352, 22
febbraio 2011).
Una scappatoia potrebbe essere rappresentata dal classico (e poco elegante) recipiente per la raccolta della condensa; in tal
caso dobbiamo pensare che non tutti i mali
vengono per nuocere. L’acqua di conden-
VIA LIBERA AL NUOVO LIBRETTO DI IMPIANTO
Anche i condizionatori, come le caldaie, devono essere dotati di un libretto di impianto.
Il D.M. sviluppo economico 10.2.2014 “Modelli di libretto di impianto per la climatizzazione e di
rapporto di efficienza energetica di cui al D.P.R. 74/2013”, pubblicato sulla G.U. 55 del 10.3.2014,
ha introdotto dei nuovi format per il “Libretto di impianto” e il “Rapporto di efficienza energetica”, che hanno trovato applicazione dall’1.6.2014.
Tra le maggiori novità si segnala l’obbligo, introdotto dall’art. 1, di dotare tutti gli impianti termici
di un “libretto di impianto per la climatizzazione” conforme al “nuovo modello”.
Il successivo art. 3, comma 6, specifica che, «nel caso di dismissione dall’impianto senza sostituzione di componenti o apparecchi, le relative schede dovranno essere conservate dal responsabile dell’impianto per almeno 5 anni dalla data di dismissione».
Anche in questo settore l’informatica è destinata ad assumere un peso sempre maggiore. Il comma 7, infatti, stabilisce che il libretto può essere reso disponibile anche in formato PDF, o elettronico tuttavia, in caso di controllo, il documento dovrà essere immediatamente disponibile e
stampabile.
Dalle novità non si salvano neanche i vecchi impianti che, a far data dall’1.6.2014 devono adeguarsi alle nuove regole. In questo caso, il comma 8 stabilisce che i “libretti di centrale” e i “libretti di impianto”, già compilati e conformi rispettivamente ai modelli riportati negli allegati I e
II del D.M. 17.3.2003, devono essere allegati al format riportato nel D.M. 10.2.2014.
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sa, infatti, è demineralizzata e potrà essere
utilizzata per il ferro da stiro, la batteria
dell’auto o... per innaffiare le orchidee.
L’installazione dell’unità esterna (il cosiddetto “motore”) è l’elemento destinato a
creare i grattacapi maggiori.
In questo caso, infatti, potremmo essere
costretti a rispettare una serie di vincoli
con cui non è sempre agevole fare i conti.
In tale contesto, dovremmo rispettare una
disciplina complessa, che trova le proprie
radici nei limiti imposti alla proprietà privata e al condominio, al rispetto dell’interesse pubblico, alla sicurezza, alla tutela
del decoro architettonico dell’edificio.
E non è tutto. Potrebbero entrare in discussione anche elementi di diversa natura
quali la statica dell’edificio.
In linea di principio potrebbero essere ipotizzabili due alternative: posizionamento
all’interno della proprietà privata ovvero di
spazi condominiali.
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formazione e alle nuove procedure standardizzate per la valutazione
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L’installazione
nella proprietà privata
È legittima l’installazione
del motore del condizionatore
nella proprietà privata? Quali
novità per la realizzazione di opere
all’interno della proprietà privata
con la riforma del condominio?
In linea di principio potremmo affermare
che il sistema più semplice per installare un
impianto di condizionamento è quello di posizionare il motore all’interno della proprietà di uso esclusivo.
Il proprietario, infatti, può legittimamente
collocare il condizionatore all’interno della proprietà privata il che apre le porte a
un’ulteriore problematica: occorre stabilire,
in primo luogo, quale siano i beni privati e
quelli condominiali. Secondo il vecchio diritto romano, il diritto di proprietà era un diritto assoluto nel senso letterale del termine e
la proprietà non incontrava nessun ostacolo.
Il nostro ordinamento si ispira (almeno in linea di principio) allo stesso concetto ma il
diritto di proprietà del singolo condomino
incontra tutta una serie di limiti consistenti, in primo luogo, nella tutela dell’interesse pubblico e, parallelamente, nella tutela
dell’eguale diritto degli altri condomini.
Questo vuol dire che anche l’installazione
del motore all’interno della proprietà privata
richiede il rispetto di alcune regole e l’instal-
lazione diventa pienamente legittima solo
quando siano rispettati i limiti imposti dalla
legge a tutela degli interessi pubblici, della
sicurezza, del decoro, dei beni comuni e del
regolamento condominiale.
Per quel che riguarda gli aspetti prettamente
condominiali, occorre tener presente che il
singolo condomino che voglia eseguire delle
opere all’interno della proprietà esclusiva è
comunque obbligato a rispettare non solo la
normativa edilizia e urbanistica ma anche
il regolamento condominiale che potrebbe
disciplinare la realizzazione dell’impianto.
Specie negli edifici più moderni, infatti, non
è raro che il costruttore inserisca nel regolamento condominiale contrattuale specifiche
norme dirette a impedire che venga violato
il decoro architettonico dell’edificio e l’euritmia delle facciate.
Le novità della “riforma”
del condominio
Ogni condominio può eseguire, nella porzione
di sua proprietà esclusiva, tutte le opere che
ritiene opportune purché non rechino danno
alle parti comuni dell’edificio e non contrastino con i divieti eventualmente imposti dal
regolamento condominiale (tra le tante: Cass.
civ., Sez. II, sent. n. 5612, 17 aprile 2001).
La realizzazione di opere all’interno della proprietà privata è disciplinata da leggi speciali e
da norme urbanistiche estremamente severe
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mentre, sul piano condominiale, viene regolata dall’art. 1122 cod. civ. “Opere sulle parti
dell’edificio di proprietà” che risulta ormai ridisegnato dalla recente riforma del condominio.
Il “vecchio codice del 1942” si limitava a vietare ai condomini di eseguire opere capaci
di arrecare danno alle parti comuni dell’edificio; la nuova formulazione dell’art. 1122
cod. civ., ridenominato “Opere su parti di proprietà o uso individuale” appare più incisiva
e severa vietando la realizzazione di opere
«che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla
sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio». E non finisce qui. La novità principale
è contenuta nel secondo capoverso che impone al condomino l’obbligo di avvisare preventivamente l’amministratore. La norma,
a ben vedere, è ancor più severa, in quanto
pone a carico del condomino che voglia effettuare delle opere nell’unità immobiliare di
sua proprietà, l’obbligo «in ogni caso di dare
preventiva notizia all’amministratore che ne
riferisce all’assemblea».
In sostanza, ogni condominio può eseguire,
nella porzione di sua proprietà esclusiva,
tutte le opere che ritiene opportune purché
non siano anche solo potenzialmente capaci di arrecare un danno alle parti comuni
dell’edificio e non contrastino con i possibili
divieti contenuti nel regolamento di condominio. Il condominio, inoltre, prima di dare
l’avvio a qualunque lavoro all’interno della
proprietà privata, dovrebbe “notiziare” l’amministratore che, a sua volta, dovrebbe sottoporre la questione al vaglio dell’assemblea.
Il condominio che intende installare un condizionatore, quindi, prima di dare l’avvio ai
lavori, dovrà farsi carico di avvisare preventivamente l’amministratore. Il codice non
prevede una forma particolare per tale comunicazione e, in linea di principio, potrebbe essere sufficiente anche il classico “colpo
di telefono”. Ai fini probatori (e per evitare
le solite inutili liti tra vicini) sarebbe comunque opportuno utilizzare la forma scritta,
ovvero una raccomandata o, volendo, si potrebbe anche ricorrere a mezzi più moderni
quali la PEC (posta elettronica certificata)
che assicura valore probatorio all’invio della
posta elettronica (riquadro 1).
L’amministratore di condominio, dal suo
RIQUADRO 1 Modello 1 – Comunicazione all’amministratore di condominio.
(Luogo e data)
Raccomandata a.r.
Egr. Sig.
..........................................
Amministratore del Condominio di
..........................................
Via ........................... n. ....
..........................................
Oggetto: Condominio via............................ – installazione dell’impianto di condizionamento
Nella qualità di proprietario dell’appartamento sito in via................. piano.............. interno................,
facente parte del Condominio................... da Lei amministrato, Le comunico, per Sua opportuna conoscenza e per quanto di Sua competenza, che entro il.................... inizierò i lavori per l’installazione
di un impianto di condizionamento presso la mia unità immobiliare.
Le opere saranno realizzate dalla ditta........................ sotto la direzione e il controllo del
geom. ...................... che garantisce l’esecuzione a regola d’arte dell’impianto e delle relative opere.
L’installazione dell’impianto non comporta alcuna modifica delle strutture e degli impianti condominiali e sarà effettuata avendo cura di non pregiudicare l’estetica del fabbricato.
L’opera non è vietata dal regolamento di condominio.
Vorrà comunicare quanto sopra agli altri condomini e, con l’occasione, vorrà porgere loro le mie
scuse per gli inevitabili rumori derivanti dall’esecuzione delle opere.
Cordiali saluti.
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CONDOMINIO
articolo
canto, dovrà vigilare affinché le opere eseguite sulle parti private non provochino
danni alle parti comuni e, in caso di pericolo,
dovrà, senza alcun indugio, provvedere alla
convocazione dell’assemblea affinché promuova le azioni giudiziarie più opportune
(Cass. civ., Sez. II, sent. n. 25251, 16 ottobre
2008).
Il parere dell’assemblea
Il nuovo codice del condominio impone
al condomino di notiziare l’amministratore della propria volontà di eseguire i lavori.
Quest’ultimo, a sua volta, dovrebbe sottoporre all’assemblea la questione.
Ma qual è la funzione del coinvolgimento
dell’organo assembleare?
In primo luogo, il coinvolgimento dell’assemblea serve a far suonare il campanello
d’allarme: attenzione, verranno eseguiti dei
lavori quindi... occorre vigilare, controllando
che essi non coinvolgano beni comuni e che
non vengano lesi diritti condominiali.
Sotto altro correlato punto di vista, l’autorizzazione concessa dall’assemblea costituisce riconoscimento dell’inesistenza di un
interesse attuale e concreto, da parte di altri
condomini, a procedere a una utilizzazione
del bene incompatibile con quanto richiesto dal condominio-proponente. Poniamo il
caso in cui un condomino voglia posizionare
il motore del condizionatore su un volume
tecnico posto sul terrazzo. Ottenere il placet
preventivo da parte dei vicini eviterà certamente delle liti future stimolando la soluzione preventiva di ogni possibile controversia.
Non bisogna dimenticare che l’assemblea
di condominio non può adottare provvedimenti che, esulando da eventuali paletti imposti dal regolamento condominiale,
imponga dei limiti alla proprietà privata; di
conseguenza, la delibera assembleare che,
per esempio, imponga il divieto di installare dei condizionatori sul balcone o terrazzo
di proprietà esclusiva del singolo condomino, sarebbe illegittima se non totalmente
nulla. A favore della nullità si è espressa la
Cassazione che, con la sent. n. 9908 del 27
aprile 2009, ha dichiarato «nulla la delibera
condominiale adottata a maggioranza che
pur incidendo sulle parti comuni limita l’uso
che i condomini possono fare della parte di
proprietà esclusiva dell’immobile condominiale».
I FORMULARI
FORMULARIO LOCAZIONI
NUOVA
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a cura di Augusto Cirla
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articolo
L’installazione all’interno
dei beni condominiali
Potrebbe accadere che il condomino, non disponendo di un balcone o
di un terrazzo privato ove installare il motore del condizionatore, cerchi
di aggirare l’ostacolo posizionando l’impianto su beni di uso comune in
un’apertura del muro perimetrale o ancorando lo stesso tramite staffe alla
facciata dell’edificio. A questo punto si pone il solito interrogativo: il singolo
condominio può “appropriarsi” del bene condominiale?
La risposta è affermativa, a certe condizioni,
ovviamente.
Poniamo il caso che l’impianto venga posizionato sulla facciata condominiale. In tal
caso entra il gioco il principio generale in
tema di uso delle cose comuni, in virtù del
quale ciascun condomino può servirsi del
bene comune a condizione che non ne alteri
la destinazione e che renda possibile il pari
uso agli altri condomini.
In tale ipotesi troverebbe applicazione l’art.
1102 cod. civ. secondo il quale ciascuno dei
partecipanti alla comunione può servirsi
della cosa comune purché non né alteri la
destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso. L’esercizio
di tale diritto non richiede né l’approvazione
dell’assemblea né, tanto meno, dell’amministratore. In linea di principio, quindi, sarebbe possibile installare il condizionatore sulla
facciata condominiale a condizione che non
si impedisca ai vicini di fare altrettanto. In
realtà le condizioni sono ben differenti in
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quanto potrebbero venire in discussione
problematiche di diversa natura quali, per
esempio, la tutela del decoro architettonico
del fabbricato.
Ma, in definitiva, è possibile installare l’impianto sui beni comuni? Per sciogliere il
nodo gordiano occorre preventivamente rispondere a un diverso quesito ovvero occorre individuare quali siano i beni condominiali. In tale contesto il riferimento normativo è
costituito dall’art. 1117 cod. civ., totalmente
ridisegnato dalla legge 220 dell’11 dicembre
2012 – “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”, più comunemente nota
come “Riforma del condominio”.
I beni comuni:
la facciata dell’edificio
L’art. 1117 n. 1, del “vecchio” codice civile, non inseriva le facciate tra gli elementi
comuni dell’edificio ma parlava, genericamente, di “muri maestri”. La giurispruden-
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articolo
za aveva colmato questa lacuna in primo
luogo stabilendo che l’elencazione contenuta nell’art. 1117 cod. civ. dovesse essere
interpretata in senso oltremodo estensivo e,
quindi, stabilendo che la facciata di prospetto dell’edificio doveva essere comunque considerata come un elemento condominiale
costituendo una delle strutture essenziali ai
fini dell’esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato. In buona sostanza, il
termine “muro maestro” veniva interpretato
in maniera estensiva (Cass. civ., Sez. II, sent.
n. 945, 30 gennaio 1998) comprendendo il
concetto di “facciata” con il quale veniva sostanzialmente a coincidere.
Il Legislatore della riforma ha fatto propria,
recependola, l’interpretazione giurisprudenziale riscrivendo quasi interamente l’art.
1117, n. 1, cod. civ. e ha fornito un riconoscimento giuridico agli sforzi interpretativi inserendo, a buon diritto, le facciate tra gli elementi comuni dell’edificio. Con l’entrata in
vigore della riforma del condominio, quindi,
il problema può dirsi definitivamente risolto.
I beni privati:
i balconi e le terrazze
Abbiamo visto che la facciata rientra ormai, a piano titolo, tra i beni condominiali.
Occorre tener presente, a questo punto, che
il termine “facciata” può essere soggetto a
una interpretazione più o meno estensiva.
Sotto questo profilo, il concetto di “facciata”
potrebbe essere espanso fino a comprendere non solo la parete esterna del corpo di
fabbrica ma anche gli elementi che, pur appartenendo alle singole unità immobiliari,
ne costituiscono parte integrante. Stiamo
parlando, a questo punto, dei balconi e delle
verande.
Di norma i balconi vengono considerati
come beni di pertinenza del singolo proprietario-condomino e, quindi, come beni
privati; in alcuni casi, invece, possono entrare a far parte dei beni condominiali, il che
potrebbe accadere, per esempio, quando
vengono considerati come un abbellimento
della facciata. Si pensi, a titolo esemplificativo, ai balconi ricchi di fregi, di un palazzo
all’interno di un centro storico. In sostanza, i
balconi vengono considerati come elementi
della facciata nella misura in cui rappresentino dei componenti capaci di caratterizzare
l’edificio e, più in generale, il contesto in cui
il fabbricato si colloca. Il contesto cittadino,
infatti, spesso è in grado di caratterizzare gli
elementi costruttivi.
Come dicevamo, almeno in linea di massima, i balconi aggettanti, vengono considerati privati almeno per due ordini di motivi:
in primo luogo perché, per loro funzione,
sono destinati al servizio soltanto dei piani
o delle porzioni di piano da cui si accede.
Inoltre, sporgendo dalla facciata dell’edificio, vengono considerati dei prolungamenti
della singola unità immobiliare dalla quale
si protendono e, di conseguenza, vengono
considerati a tutti gli effetti come parte inscindibile della singola unità immobiliare a
cui appartengono (Cass. civ., Sez. II, sent. n.
13509, 27 luglio 2012; sent. n. 21199, 31 ottobre 2005; sent. n. 8159, 7 settembre 1996;
sent. n. 7831, 3 agosto 1990 e sent. n. 637, 21
gennaio 2000).
Costituiscono al contrario, proprietà comune, le solette che dividono le terrazze a livello non aggettanti, incassate cioè nell’edificio
condominiale. Secondo i giudici di legittimità un bene è comune solo quando, per la sua
funzione, è destinato al servizio dell’intero
edificio condominiale (Cass. civ., Sez. II, sent.
n. 15913, 17 luglio 2007 e sent. n. 14576, 30
luglio 2004).
Discorso analogo può essere fatto per le terrazze aggettanti che vengono considerate
come dei prolungamenti dell’unità immobiliare e, in questa prospettiva, appartengono
in via esclusiva al proprietario dell’appartamento costituente la “res” principale. Soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore devono
considerarsi comuni a tutti, quando si inseriConsulente immobiliare 2014
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scano nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole.
«Pertanto, anche nei rapporti con il proprietario di analogo manufatto che sia posto al
piano sottostante sulla stessa verticale, nell’ipotesi di strutture completamente aggettanti – in cui può riconoscersi alla soletta del
balcone funzione di copertura rispetto al balcone sottostante e, trattandosi di sostegno,
non indispensabile per l’esistenza dei piani
sovrastanti – non può parlarsi di elemento
a servizio di entrambi gli immobili posti su
piani sovrastanti, né quindi di presunzione
di proprietà comune del balcone aggettante
riferita ai proprietari dei singoli piani» (Cass.
civ., Sez. II, sent. n. 14576, 30 luglio 2004).
L’installazione di un condizionatore d’aria
singolo, posizionato sul balcone o sul terrazzo di proprietà esclusiva del singolo condomino è stata ritenuta come una operazione
del tutto legittima (Cass. civ., Sez. II, sent.
n. 14576, 30 luglio 2004). Ciò non toglie che
la circostanza che il balcone o il terrazzo
costituiscano una proprietà esclusiva non
esime il proprietario da un uso indiscriminato della proprietà; il posizionamento di un
condizionatore d’aria non deve essere causa
di infiltrazioni per gli appartamenti sottostanti, né deve trasformarsi in atti emulativi
costituenti esercizio di un diritto soggettivo
che non abbia altro scopo se non quello di
nuocere o recare molestia ad altri configurandosi, in tale prospettiva, una ipotesi di
“molestia” ovvero di abuso del diritto.
Installazione del motore
sulla facciata condominiale
In definitiva, è possibile installare il motore
del condizionatore sulla facciata condominiale?
È questo l’interrogativo che molti si pongono. In linea di principio, potremmo affermare che al quesito è possibile fornire due
diverse soluzioni in quanto bisogna distinguere l’ipotesi in cui il condizionatore venga
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installato sulla facciata dello stesso fabbricato in cui si trova l’immobile che trae vantaggio dall’impianto ovvero l’ipotesi in cui si
intenda posizionare il condizionatore sulla
facciata del fabbricato confinante, appartenente a un diverso condominio.
Nel primo caso, la soluzione al dilemma
sarà senz’altro positiva, per cui potremmo
affermare che ciascun condominio ha il diritto di installare il motore del condizionatore sulla facciata condominiale in quanto,
in sostanza, si tratta di utilizzare il bene
comune (ovvero il muro di facciata) in maniera tale da trarne un’utilità aggiuntiva rispetto agli altri comproprietari. Ovviamente
l’esercizio di tale diritto, di per sé del tutto
legittimo, incontra i limiti consueti di cui abbiamo parlato in precedenza: il condomino
non dovrà impedire agli altri inquilini il pari
uso della cosa comune né dovrà mutarne la
destinazione; occorrerà rispettare, inoltre, i
consueti principi per garantire la sicurezza
e non incidere negativamente sul decoro architettonico del fabbricato (Cass. civ., Sez. II,
sent. n. 1708, 18 febbraio 1998 e sent. n. 1637,
4 marzo 1983).
Cosa diversa è quando si voglia installare
il condizionatore sul muro del fabbricato
confinante. In questo caso l’operazione sarebbe possibile solo previo parere positivo
dell’assemblea del condominio confinante
in quanto si tratterebbe di creare una vera
e propria servitù a carico del fabbricato vicino e a favore del proprietario dell’unità
immobiliare servita dall’impianto di condizionamento (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 10324,
21 aprile 2008). L’ipotesi potrebbe essere
particolarmente frequente nei vecchi edifici di cui sono ricchi i nostri centri storici. I
fabbricati d’epoca, infatti, venivano costruiti
senza un preciso ordine, addossando i corpi
di fabbrica gli uni sugli altri creando una serie di rapporti incrociati nelle attuali realtà
condominiali. Non è assolutamente raro il
caso in cui il piano interrato appartenga a
un fabbricato, il piano terra abbia accesso
da un condominio diverso e i piani superiori
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a un terzo condominio. Per non parlare del
caso, ancora più frequente, in cui i corpi di
fabbrica, pur se costituenti condomini del
tutto autonomi tra loro, sono costruiti in
aderenza.
Da ultimo, occorre tener presente che, giustamente, alcuni hanno sottolineato che la
facciata del fabbricato, oltre ad assicurare
una funzione strutturale, assolve anche al
compito di “appoggio” per tutta una serie di
cavi, tubi e fili di varia natura. In tale contesto sarebbe del tutto legittimo “appoggiare”
anche le zanche del motore del condizionatore. La Corte di Cassazione, ha stabilito,
recentemente, che il muro a confine si presume di proprietà di entrambi i proprietari
confinanti (Cass., sent. n. 22275, 27 settembre 2013).
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I limiti e i divieti in condominio
I limiti derivanti dal regolamento;
i limiti imposti dalle norme
in materia di condominio e
quelli derivanti dalle norme sulla
comunione; il divieto di modificare
la destinazione di beni comuni,
di impedire il “pari uso” agli altri
condomini e di compromettere
la statica dell’edificio.
Limiti derivanti
dal regolamento di condominio
Limiti all’installazione dell’impianto di condizionamento dell’aria potrebbero derivare
dal regolamento di condominio; ovviamente
parliamo del regolamento condominiale di
origine contrattuale.
L’art. 1138, comma 1, cod. civ. “riformato”
stabilisce che:
«Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato
un regolamento, il quale contenga le norme
circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione
delle spese, secondo i diritti e gli obblighi
spettanti a ciascun condomino, nonché le
norme per la tutela del decoro dell’edificio e
quelle relative all’amministrazione».
Ci si riferisce, quindi, ai regolamenti condominiali predisposti dal costruttore e accettati dai singoli condomini-acquirenti e loro
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successori e aventi causa ovvero ai regolamenti condominiali predisposti e approvati
dall’assemblea condominiale con le specifiche procedure previste dal codice civile.
Secondo la Cassazione, i limiti al godimento
della proprietà esclusiva dei singoli condomini contenuti nel regolamento condominiale contrattuale devono essere espressi
in maniera chiara e inequivocabile dovendo
risultare da una dichiarazione di “volontà
chiaramente ed espressamente manifestata”
(Cass., sent. n. 23, 7 gennaio 2004 e sent. n.
10523, 3 luglio 2003); secondo una giurisprudenza più datata, e meno restrittiva, i limiti
devono essere espressi in modo non equivoco (Cass., sent. n. 1560, 13 febbraio 1995). Per
tagliare la testa al toro, sarebbe opportuno
che il regolamento condominiale contenga
un’elencazione precisa delle attività vietate
(per esempio: è vietato apporre i condizionatori sulla facciata principale del corpo
di fabbrica) ovvero indichi espressamente
qual è l’interesse che si vuole preservare (per
esempio: è vietato intervenire sulla facciata
allo scopo di preservare l’euritmia del fabbricato) (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 3002, 10
febbraio 2010; Cass., sent. n. 1560, 13 febbraio 1995).
La stessa disciplina varrà per le eventuali
modifiche apportate al regolamento condominiale, modifiche che potranno essere
valide ed efficaci solo se intervenute con le
specifiche procedure previste dal codice civile. Occorre tenere ben presente che le Sezioni Unite della Cassazione, risolvendo un
conflitto giurisprudenziale in atto, hanno
stabilito come la modifica al regolamento
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contrattuale debba essere necessariamente
effettuata per iscritto specie nel caso in cui
tale modifica riguardi un limite al diritto immobiliare del singolo condomino (Cass. civ.,
Sez. unite, sent. n. 943, 30 dicembre 1999).
Tra l’altro, trattandosi di un limite alla proprietà, sarebbe necessaria la trascrizione del
regolamento condominiale (e/o della relativa modifica).
Il regolamento condominiale, potrebbe contenere norme dirette a disciplinare l’uso del
bene di proprietà esclusiva. Secondo la giurisprudenza, in mancanza di norme limitative
della destinazione e dell’uso delle porzioni
immobiliari di proprietà esclusiva, il cambio
di destinazione (ex art. 1122 cod. civ.) diventa
del tutto legittimo a condizione che non siano compiute opere che possano danneggiare
le parti comuni dell’edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune.
La Cassazione, peraltro, ha vietato il mutamento di destinazione di una autorimessa a
piano terra in abitazione, ritenendo che tale
modifica costituisca un peggioramento dell’estetica della facciata risolventesi in un pregiudizio anche economico per il decoro generale
dell’edificio, posto in zona residenziale (Cass.
civ., Sez. II, sent. n. 5612, 17 aprile 2001).
Volendo fare il punto della situazione, quindi, potremmo affermare che il regolamento
di condominio potrebbe contenere dei limiti
al diritto di godere e di disporre liberamente
spettante al proprietario-condomino. Tali limiti potrebbero essere contenuti nel regolamento condominiale di origine contrattuale
(parliamo del regolamento predisposto unilateralmente del costruttore e poi accettato dai singoli acquirenti-condomini ovvero
del regolamento approvato dall’assemblea
condominiale con le procedure e le maggioranze previste dal codice civile) ma tali
limiti dovranno essere contenuti in specifici
articoli del regolamento. Tali clausole, per
essere valide, dovranno essere formulate in
maniera tale da non lasciare dubbi sulla portata dei divieti imposti al diritto di proprietà
dei singoli condomini.
Limiti imposti
dalle norme condominiali
L’installazione di un condizionatore su parti comuni del fabbricato viene disciplinata
dall’art. 1122 cod. civ.
Art. 1122 – Opere su parti di proprietà
o uso individuale
Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero
nelle parti comuni di cui si sia riservata la proprietà o l’uso individuale, ciascun condomino
non può eseguire opere o modifiche ovvero
variare la destinazione d’uso indicata dal titolo, pur nel rispetto delle norme di edilizia, se
ne derivi danno alle parti comuni o individuali
o notevole diminuzione di godimento o valore
di esse, ovvero pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea.
Tale articolo è stato recentemente modificato dall’art. 6 della legge 220/2012 di riforma
del condominio e ora viene intitolato “Opere
su parti di proprietà o uso individuale”. La riforma non incide sostanzialmente sulla normativa ma chiarisce alcuni concetti, ponendo dei limiti alla realizzazione delle opere. In
poche parole la norma vieta in maniera assoluta la realizzazione di lavori se, dalla loro
realizzazione, «ne derivi danno alle parti comuni o individuali o notevole diminuzione
di godimento o valore di esse, ovvero pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro
architettonico dell’edificio».
Occorre tener ben presente che il divieto scatta anche nell’ipotesi in cui il proprietario sia
dotato di un titolo abilitativo dei lavori. La
norma, infatti, stabilisce espressamente che il
divieto si applica anche nel caso in cui le opere
vengano eseguire “nel rispetto delle norme di
edilizia”. Ciò lascia intendere che il Legislatore
abbia voluto garantire al massimo il bene giuridico protetto ovvero abbia voluto evitare, in
ogni caso, la realizzazione di opere potenzialmente dannose per il condominio.
Volendo schematizzare, possiamo affermare che i limiti alla realizzazione delle opere e,
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quindi, nel nostro caso, all’installazione del
condizionatore, sono di tre tipi per cui sono
vietate le opere da cui derivi:
1. un danno alle parti comuni ovvero a quelle individuali;
2. una notevole diminuzione di godimento o
valore per parti comuni o individuali;
3. un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza
o al decoro architettonico dell’edificio.
Tali preclusioni hanno un valore assoluto,
a prescindere dalla circostanza che i lavori
riguardino la proprietà individuale, le parti
comuni utilizzate in via esclusiva, ovvero le
parti destinate all’uso individuale.
Ulteriori limiti derivanti
dalle norme sulla comunione
La legge 220/2012 ha modificato pesantemente la disciplina in materia di condominio
lasciando comunque inalterate alcune norme
previgenti. Rientra in questo contesto l’art.
1139 cod. civ. La norma stabilisce, testualmente, che «per quanto non è espressamente
previsto da questo capo [ovvero dalle norme
in materia di condominio] si osservano le norme sulla comunione in generale». Il Legislatore della riforma, quindi, ha voluto conservare
un riferimento alle norme sulla comunione.
Esaminiamo, a questo punto, l’art. 1102 cod.
civ. che, proprio in tema di comunione, riconosce a ciascun partecipante di servirsi della
cosa comune e di apportarvi – ovviamente a
proprie spese – le modifiche necessarie per il
migliore godimento dei beni.
Art. 1102 – Uso della cosa comune
Ciascun partecipante può servirsi della cosa
comune, purché non ne alteri la destinazione
e non impedisca agli altri partecipanti di farne
parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine
può apportare a proprie spese le modificazioni
necessarie per il miglior godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare
il titolo del suo possesso.
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Tale diritto potrà essere esercitato non solo
dal proprietario dell’immobile ma da chiunque eserciti un legittimo possesso sul bene
e, quindi, per esempio, anche dal conduttore
dell’immobile (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 3874,
3 maggio 1997).
L’art. 1102 cod. civ., in definitiva, impone il
rispetto di tre principi-cardine:
1. riconosce, a ciascun partecipante alla
comunione, il diritto di servirsi della cosa
comune nel rispetto dell’eguale diritto di godimento spettante agli altri comproprietari;
2. riconosce, a ciascun partecipante alla comunione, il diritto di modificare, a proprie
spese, il bene comune, allo scopo di trarne
un maggior godimento della cosa;
3. disciplina il compossesso, per cui ciascuno non può ledere l’eguale diritto degli altri
compossessori.
Così facendo, la norma, da un lato chiarisce
quali sono i limiti al diritto del partecipante
alla comunione e dall’altro, parallelamente,
impone dei limiti per cui è vietato:
– cambiare la destinazione del ben comune;
– impedire agli altri compossessori il pari
uso dei beni comuni;
– modificare le cose comuni a danno degli
altri compartecipanti;
– estendere il proprio possesso sulla cosa
fino a escludere totalmente il compossesso da parte degli altri condomini.
Occorre tener presente che l’art. 1102 cod.
civ. è una norma derogabile per cui norme
pattizie (si pensi, per esempio, al regolamento di condominio) potrebbero imporre ulteriori limiti alla realizzazione di opere sul bene
comune e persino alla proprietà privata.
Divieto di modificare
la destinazione dei beni comuni
L’art. 1102, comma 1, cod. civ. recita, testualmente «ciascun partecipante può servirsi
della cosa comune, purché non ne alteri la
destinazione...» così facendo la norma impone il primo limite al diritto del partecipante
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alla comunione e, quindi, al condomino. Il
tenore letterale della norma è chiaro: è vietato il cambio di destinazione dei beni comuni!
Il problema di fondo è di ordine interpretativo: in cosa consiste il cambio di destinazione? Quali sono le operazioni lecite e quelle
vietate? E, rimanendo nel nostro tema, l’installazione del condizionatore può comportare un cambio di destinazione?
Un ausilio, in questo contesto, è dato da una
copiosa giurisprudenza venutasi a creare nel
corso dei decenni il che costituisce una prova inconfutabile del volume del contenzioso
creato in materia condominiale.
Volendo rimanere in tema e restringere la
ricerca alla realizzazione di impianti di condizionamento, riesce difficile pensare che il
posizionamento del motore sulla facciata
condominiale possa influire sulla destinazione del bene (ovvero della facciata) per cui
questo aspetto appare del tutto trascurabile.
La Corte di Cassazione, in un caso analogo,
ha ritenuto illegittima l’installazione della
caldaia nel vano scale del condominio perché ciò avrebbe comportato, in via di fatto,
un cambio di destinazione del vano scala
impedendo “il pari uso” agli altri condomini.
Il vano scala, nel caso sottoposto all’attenzione degli Ermellini (Cass. civ., Sez. II, sent.
n. 19205, 21 settembre 2011) non era in grado di contenere le caldaie di tutte le unità
immobiliari.
Per l’installazione del condizionatore potremmo trovarci in una posizione analoga.
Nell’installare il motore a confine con la proprietà del vicino sarebbe buona norma lasciare al confinante lo spazio necessario per
realizzare interventi simili e, ovviamente, per
garantire lo svolgimento delle operazioni di
manutenzione mantenendo un sufficiente
margine di sicurezza per tutti.
In realtà non è del tutto agevole stabilire a
priori quando sia configurabile un illegittimo cambio di destinazione del bene comune. Secondo la Cassazione, per stabilire la
destinazione d’uso del bene comune, occorre fare riferimento a un insieme di elementi
di diversa natura: giuridici, economici, l’interesse collettivo appagabile mediante l’utilizzo della cosa, la situazione di fatto preesistente (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 4397, 22
novembre 1976).
In sostanza, per stabilire la destinazione d’uso di una cosa occorre far riferimento alla
funzione che il bene ha avuto fin dall’inizio
o che è stata impressa in passato dai singoli
condomini. Partendo da questi presupposti,
possiamo stabilire che la destinazione d’uso
del bene viene a essere mutata quando le modifiche apportate da un condomino rendono
impossibile la funzione originaria del bene
comune (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 6192, 28 novembre 1984 e sent. n. 5132, 26 luglio 1983).
Vietato impedire il “pari uso”
agli altri condomini
Come abbiamo visto in precedenza, uno dei
limiti all’applicazione dell’art. 1102 cod. civ.
è costituito dalla necessità di non impedire
il “pari uso” del bene comune agli altri condomini. Ancora una volta sarà la giurisprudenza a stabilire, caso per caso, entro quali
limiti un’opera o un comportamento sia lecito e quando, viceversa, leda l’eguale diritto
del vicino.
La Cassazione ha ritenuto che la nozione di
“uso paritetico” non deve essere interpretata
come assoluta identità di utilizzo della res,
diversamente, ne deriverebbe un sostanziale
divieto, per ciascun condomino, di utilizzare
il bene comune a proprio vantaggio (Cass.
civ., Sez. II, sent. n. 12344, 5 dicembre 1997 e
sent. n. 7652, 5 settembre 1994).
Sarebbe comunque legittimo un uso più
intenso della cosa comune mentre si sfocia
nell’illegittimità quando il condomino voglia
riservare a sé l’uso esclusivo del bene comune escludendo tutti gli altri condomini dal
godimento della res (Cass. civ., Sez. II, sent.
n. 972, 1° gennaio 2006).
L’uso paritetico della cosa comune, tutelato
dalla norma, deve essere compatibile con la
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ragionevole previsione della concreta utilizzazione da parte degli altri condomini della
stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che ipoteticamente e astrattamente essi ne potrebbero fare
(Cass. civ., Sez. II, sent. n. 4617, 27 febbraio
2007; sent. n. 12344, 5 dicembre 1997; sent.
n. 3368, 23 marzo 1995 e sent. n. 13107, 11
dicembre 1992).
Un uso più intenso della cosa comune a opera di un condomino non costituisce violazione dell’art. 1102 cod. civ., purché non venga
alterata la destinazione e non venga limitato il pari diritto di godimento da parte degli
altri condomini. La Cassazione, chiamata a
esprimersi sulla realizzazione di un parcheggio nel cortile condominiale, ha stabilito che
esso può essere adibito al parcamento delle
vetture dei condomini solo a condizione che
non vi siano titoli contrari (Cass. civ., Sez. II,
sent. n. 9875, 15 giungo 2012). Parafrasando,
in assenza di titoli contrari che ne impediscano l’utilizzo (si pensi, per esempio, a specifiche clausole contenute nel regolamento
di condominio), è possibile usare la facciata
per installare il condizionatore.
Vietato compromettere
la statica dell’edificio
Il Legislatore, in occasione della riforma del
condominio, ha vietato a chiare lettere ai
condomini di effettuare operazioni capaci
di compromettere la statica dell’edificio. In
verità si tratta di norme di comportamento
basilari che non richiederebbero alcun richiamo da parte della legge; in questo caso, a
entrare in gioco, sono soprattutto norme di
comune buon senso.
In primo luogo occorre pensare che, per
essere configurabile un pregiudizio per la
stabilità del fabbricato, è necessario che le
nuove opere comportino un indebolimento
delle strutture portanti del fabbricato. In tale
contesto non viene in luce solo l’interesse
personale e patrimoniale dei condomini ma,
anche e soprattutto, l’interesse pubblico a
che non venga compromessa la statica degli
immobili e, con essa, la sicurezza pubblica e
privata.
Rimane comunque un problema: fino a che
punto si può spingere il condomino prima
che si possa pensare a una compromissione
della statica dell’edificio?
In verità il tema non è nuovo. In passato la
Cassazione, affrontando questa problematica, aveva ritenuto che fosse vietato al condomino porre in essere quelle opere capaci di
utilizzare totalmente il margine di sicurezza
statica del fabbricato. In effetti, non si tratta
di creare una certa “zona di sicurezza” quanto di permettere agli altri condomini di poter
effettuare dei lavori simili senza che sia compromessa la sicurezza di tutti (Cass., sent. n.
2673, 23 aprile 1980).
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Le innovazioni
L’installazione di un condizionatore
potrebbe essere considerata
come una innovazione. La materia
è disciplinata dagli artt. 1120-1136
cod. civ.
Anche queste disposizioni sono state oggetto di una completa opera di rivisitazione in
occasione della riforma del condominio. In
questo caso la riforma ha avuto, come obiettivo, quello di abbassare i quorum necessari
per bypassare l’assemblea.
Ma il problema maggiore rimane lo stesso.
Quando si tratta di esaminare i lavori, ci si
pone sempre la stessa domanda: si tratta di
un intervento di manutenzione, di una modifica o di un’innovazione?
Rispondere a questo quesito permette di
affrontare una questione parallela, relativa
alle procedure da utilizzare per ottenere
l’autorizzazione necessaria per eseguire i
lavori e, soprattutto, i quorum necessari per
ottenere il placet da parte dell’assemblea di
condominio.
Il problema di fondo risiede nelle maggioranze necessarie ad approvare i lavori. Se
si tratta di modifiche, i quorum richiesti saranno più elevati (e, quindi, sarà più difficile
ottenere l’approvazione dall’assemblea) se si
tratta di innovazioni, i quorum saranno più
bassi e, conseguentemente, sarà più semplice passare le forche caudine dell’autorizzazione assembleare.
Anche tracciare la linea di demarcazione tra
innovazioni e opere di manutenzione non è
agevole ma, in questo caso, si ricorre al classico esempio relativo ai lavori sul cancello
d’ingresso ai box. Saremo di fronte a un intervento di manutenzione quando ci si avvarrà dell’intervento di un pittore per ripristinare funzionalità e aspetto del cancello.
Se, viceversa, con l’occasione, i condomini
decidono di provvedere anche all’automazione del cancello montando un motore,
magari con radiocomando, allora saremo di
fronte a un’innovazione, poiché l’intervento
modifica il bene comune rendendo più comodo e agevole il godimento della res.
Innovazioni o modifiche?
La differenza tra innovazioni e modifiche
non è certamente uno dei quesiti più semplici a cui rispondere. Un aiuto ci viene dato
dalla Cassazione che ha tracciato la linea di
confine tra le due figure.
Le innovazioni, di cui all’art. 1120 cod. civ.,
sono opere di trasformazione che incidono
sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione. Per
questo motivo è necessario che l’esecuzione
dei lavori sia preventivamente autorizzata
dall’assemblea.
Le modifiche, ex art. 1102 cod. civ., viceversa, consistono in opere dirette ad assicurare la migliore, più comoda e razionale
utilizzazione della cosa (Cass. civ., Sez. II,
sent. n. 18052, 19 ottobre 2012), rendendo
più comodo il godimento del bene comune
e lasciandone immutata la consistenza e la
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destinazione; le relative opere non richiedono la preventiva autorizzazione dell’organo
assembleare. La linea di confine tra innovazione e modifica, quindi, è determinata
dall’entità della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune e
produce come prima conseguenza pratica la
necessità o meno di interpellare l’organo assembleare (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 21256, 5
ottobre 2009; sent. n. 11936, 23 ottobre 1999
e sent. n. 1389, 29 ottobre 1998).
Quando si tratta di installare un condizionatore, la linea di demarcazione tra innovazione e modifica potrebbe essere costituita
dalla voluminosità del motore. Quando la
grandezza del motore rientra nella norma,
si parla di semplice innovazione ai sensi
dell’art. 1120 cod. civ.; viceversa, nell’ipotesi
in cui il motore dovesse risultare di dimensioni maggiori, la sua installazione potrebbe essere considerata come una modifica
dell’uso della parte comune e, in questa prospettiva, è necessario non impedire agli altri
condomini di farne parimenti uso del bene
comune su sui è installato (Cass., sent. n.
12343, 22 agosto 2003; Trib. Milano, Sez. VIII,
sent. n. 179, 9 gennaio 2004).
Quanto alle innovazioni, occorre tener presente che l’art. 1120 cod. civ. è stato recentemente modificato dalla riforma del condominio. Il Legislatore riformista ha voluto
facilitare il raggiungimento delle maggioranze necessarie per le delibere assembleari e,
in tale prospettiva, ha abbassato i quorum
deliberativi necessari per l’approvazione dei
lavori. Di conseguenza attualmente l’assemblea può deliberare con la maggioranza degli
intervenuti e la metà dei millesimi mentre
in passato era richiesta la maggioranza dei
condomini e i due terzi dei millesimi.
In realtà tra le “innovazioni facilitate” non
sono comprese espressamente quelle dirette all’installazione dei condizionatori però
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sarebbe possibile trovare la classica “scappatoia”.
In primo luogo, occorre tener presente che le
norme possono essere interpretate in maniera estensiva. Un vero e proprio “grimaldello”
utilizzato per scardinare i vincoli normativi
potrebbe essere trovato nella stesso art. 1120
cod. civ. che parla di «opere e interventi per
migliorare la sicurezza e la salubrità degli
edifici e degli impianti, per il contenimento
del consumo energetico...».
Gli impianti di condizionamento potrebbero
entrare a buon diritto in queste tipologie di
opere nella misura in cui si dimostri che l’impianto mira a contenere il consumo energetico e la salubrità dell’aria respirata. Sotto il
primo profilo, occorrerebbe una relazione
tecnica in grado di dimostrare che l’impianto di condizionamento (non necessariamente quello di raffrescamento) sia in grado di
produrre un contenimento nel consumo
energetico dell’unità immobiliare.
Per quanto riguarda la “salubrità degli edifici”, la stessa relazione tecnica potrebbe
sottolineare come la presenza dei filtri contenuti nell’impianto di condizionamento
siano in grado di purificare l’aria eliminando, per esempio, spiacevoli inconvenienti
legati alla presenza di polveri sottili o di
pollini a cui un numero sempre maggiore
di individui è ormai allergico.
Non tutte le innovazioni sono lecite e possibili. Il Legislatore, infatti, ha previsto una
sorta di “sbarramento”. È preclusa, infatti,
la realizzazione di opere capaci di incidere
negativamente sulla statica del corpo di fabbrica. Vietate anche le opere che incidano
negativamente sul decoro architettonico o
che incidano negativamente sull’uso e il godimento dei beni comuni da parte degli altri
condomini. Di questi argomenti parleremo
tra poco.
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articolo
La tutela
del decoro architettonico
Quando si parla di decoro architettonico di un edificio, occorre in primo
luogo fare riferimento ai principi in materia di qualità edilizia e architettonica,
tenendo bene a mente che il Legislatore europeo (prima) e quello nazionale
(poi), sembrano particolarmente interessati a porre l’accento sull’ambiente
urbano inteso come contenitore per lo sviluppo del benessere sociale. Che
ci sia un progressivo interesse verso questi temi, è provato dai sempre più
numerosi regolamenti comunali che disciplinano la materia.
L’alterazione del decoro architettonico del
fabbricato è uno dei classici spauracchi del
condominio; basta installare una canna fumaria, delle inferriate, un’antenna parabolica
o un condizionatore, perché il classico Pierino
della situazione sbandieri ai quattro venti il timore delle lesione del decoro architettonico.
Qualunque modifica che non abbia una valenza ripristinatoria potrebbe essere considerata come lesiva del decoro architettonico
dell’edificio in quanto è assolutamente irrilevante l’accertamento, del tutto opinabile,
del risultato estetico dei lavori. Qualche condomino potrebbe contestare i lavori ritenendo leso il proprio diritto anche nell’ipotesi
in cui, per altri, le opere, viste nel loro complesso, potrebbero apparire gradevoli (Cass.
civ., Sez. II, sent. n. 17398, 30 agosto 2004). Il
problema di fondo è che non abbiamo una
definizione univoca, oggettiva e assoluta ma
ognuno potrebbe interpretare a proprio uso
e consumo questo concetto.
Sta di fatto che, con l’avvento della riforma
del condominio, diventa più difficile, secondo certi aspetti, procedere all’arbitraria modifica delle parti comuni in ambito condominiale. La riforma, infatti, introduce una serie
di obblighi a carico dei soggetti partecipanti
al condominio per cui i proprietari dovranno
comunicare all’amministratore l’esecuzione
di opere relative all’unità immobiliare di uso
esclusivo, gli amministratori dovranno effettuare le dovute verifiche, l’assemblea dovrà
quantomeno prendere atto dei lavori da eseguire. Insomma, in parole povere, il Legislatore ha voluto predisporre un complesso iter
procedurale in virtù del quale si prevede un
controllo vicendevole tra i diversi soggetti
coinvolti.
In questa sede non viene approfondito l’esame dei singoli articoli della riforma del condominio; ci limitiamo a chiarire che non tutte le modifiche sono possibili. In particolare,
l’ultimo capoverso dell’art. 1117-bis cod. civ.
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vieta «le modificazioni ... che ... alterano il decoro architettonico». La nuova formulazione
dell’art. 1122 cod. civ. (Opere su parti di proprietà o uso individuale), dal suo canto, appare certamente più incisiva e severa rispetto
al passato contenendo non solo il divieto di
eseguire opere «che rechino danno alle parti
comuni ovvero determinino pregiudizio …
al decoro architettonico dell’edificio» ma,
anche e soprattutto, ponendo a carico del
condominio l’obbligo «in ogni caso di dare
preventiva notizia all’amministratore che ne
riferisce all’assemblea».
Mancanza di una nozione precisa
Nel nostro ordinamento troviamo varie disposizioni normative che contengono un
esplicito riferimento al “decoro architettonico” ma non troviamo alcuna disposizione,
all’interno del codice civile, che fornisca una
nozione precisa di questo concetto. Il bene
tutelato, in definitiva, è un’elaborazione
della giurisprudenza che parla di “estetica
data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato fornendogli
una determinata fisionomia”. La violazione
del decoro architettonico, quindi, sarebbe
riconducibile all’ipotesi in cui un’opera violi
l’euritmia del fabbricato mutando l’aspetto
originario del bene. Occorre peraltro considerare che, secondo la giurisprudenza prevalente, la violazione ricorrerebbe qualora
siano modificati anche singoli elementi architettonici o punti del fabbricato.
Il decoro architettonico prescinde dalla raffinatezza del fabbricato e sussiste per tutti gli
immobili, anche per quelli popolari e rustici,
essendo il risultato dell’insieme delle linee
e dei motivi architettonici e ornamentali
che conferiscono all’edificio un determinato aspetto che va valutato con riferimento
alla linea estetica del palazzo, indipendentemente dal suo pregio artistico (Cass., sent. n.
8731/1998; sent. n. 2313/1988; sent. n. 2189,
13 aprile 1981).
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La giurisprudenza, di norma, fa riferimento
al concetto di “aspetto architettonico dell’edificio” con ciò intendendo la caratteristica
principale insita nello stile architettonico
dell’edificio, per cui il mancato rispetto dello
“stile” comporterebbe un mutamento peggiorativo dell’aspetto architettonico complessivo, percepibile da qualunque osservatore (Cass., sent. n. 2189, 13 aprile 1981).
Non mancano pronunce, peraltro, che collegano la violazione del decoro architettonico
con la realizzazione di opere che alterino «in
modo visibile e significativo, la particolare
struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica
identità» per cui «adeguamenti e aggiunte funzionali ... non rilevano sulla estetica
del fabbricato, data dall’insieme delle linee
e delle strutture che connotano lo stabile
stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia e una specifica identità»
(Cass. civ., Sez. VI, sent. n. 1326, 30 gennaio
2012). La violazione del decoro architettonico verrebbe a essere esclusa in presenza di
«un intervento sobrio e rispettoso delle linee
architettoniche dell’intero edificio, il quale,
in ogni caso, non ne modifica la sagoma»
(Cass. civ., Sez. VI, ord. n. 24645, 22 novembre 2011).
Se manca una nozione precisa di “decoro
architettonico” e se tutti gli edifici, anche
quelli più semplici, possono essere oggetto
di tutela, quale sarà, in linea di principio, il
criterio seguito dai giudici per valutare la
potenziale liceità dell’interesse protetto?
In passato si partiva dal presupposto che
i criteri di valutazione dovessero essere
meno rigorosi per gli edifici di architettura moderna rispetto a quelli applicati per
un edificio storico (Trib. Milano, 8 maggio
1989). Più recentemente, è stato sostenuto che il giudice deve adottare maggiore o
minore rigore in funzione delle caratteristiche del fabbricato inquadrato nel contesto cittadino in cui si trova. In sostanza, un
ambiente più degradato riceverà una tutela inferiore rispetto al centro storico cit-
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tadino. Una vera e propria svolta viene segnata dal Giudice di Pace di Grosseto con
la sent. 16 agosto 2011, n. 1038 che ha sentenziato come «le nuove invenzioni, quali
la televisione e il telefono, ormai di uso comune, hanno modificato il comune senso
dell’estetica e del decoro: le antenne televisive installate sui tetti, le parabole satellitari, sporgenti dal muri, gli stessi impianti
di climatizzazione, sempre più numerosi,
non vengono più percepiti come causa di
deturpazione dell’estetica delle abitazioni
e, più in generale, dell’ambiente».
Il Giudice di Pace paragona il motore del
condizionatore sulla facciata del fabbricato
ai panni stesi sulle finestre dei balconi; in
entrambi i casi non c’è alcuna violazione del
decoro dell’immobile.
Decoro architettonico
e innovazioni
In vigenza del “vecchio” codice, la giurisprudenza, interpretando l’art. 1120 cod. civ.1
in materia di innovazioni, riteneva che il
divieto di alterare il decoro architettonico
del fabbricato fosse incondizionato per cui
l’assemblea non poteva “sanare” la violazione; anche il parere contrario di un solo condomino doveva essere interpretato come
mancata autorizzazione all’effettuazione
dell’opera, con la conseguenza che lo stato
dei luoghi doveva essere ripristinato (Cass.,
Sez. II, sent. n. 851, 16 gennaio 2007).
La tutela del decoro architettonico, infatti, è
prestata in favore del singolo condomino e
non del condominio nella sua interezza con
la conseguenza che le decisioni dell’assemblea – favorevoli o contrarie che siano – non
possano essere considerate definitive. In
caso di decisione favorevole dell’assemblea
all’installazione del condizionatore da parte
del condomino, eventuali dissenzienti non
solo possono impugnare il deliberato assembleare con i normali mezzi di tutela ma,
ciò che più conta, possono comunque rivolgersi all’autorità giudiziaria per chiedere il
ripristino e l’eliminazione del corpo esterno
ritenuto antiestetico. Sotto questo profilo,
non bisogna sottovalutare un elemento essenziale: l’azione del condomino a tutela del
decoro architettonico è imprescrittibile!
In maniera ancor più restrittiva, la Cassazione ha affermato che, una volta che sia stata
accertata la violazione del decoro architettonico del fabbricato a seguito di un’innovazione ex art. 1120 cod. civ., diventa del tutto
irrilevante che tale modifica possa essere di
modeste dimensioni o, addirittura, che sia
visibile solo in una determinata angolazione (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 851, 16 gennaio
2007). Questo principio, se portato all’esasperazione, renderebbe illegittima qualunque opera capace di portare una qualsiasi
modifica nel prospetto, a prescindere dalla
circostanza che essa sia più o meno visibile.
Una prima ciambella di salvataggio viene
lanciata con la sent. n. 3549/1989. In questo
caso la Cassazione ha ritenuto che la tutela potesse essere prestata solo in relazione
a fabbricati “integri”. La modifica sarebbe,
quindi, legittima quando preceduta da una
serie di modifiche succedutesi nel corso degli anni. Dello stesso avviso è stato il Tribunale di Napoli (sent. 12 giugno 2004) secondo il quale «non viola il divieto di alterare il
decoro architettonico dell’immobile condominiale il condomino che installa sul balcone dell’appartamento di sua proprietà l’unità estera di un impianto di raffreddamento,
ancorché l’installazione costituisca una
modifica dell’originario profilo dello stabile,
se le linee estetiche del fabbricato risultano
Art. 1120 - Innovazioni (vecchio codice) - I condomini, con la maggioranza indicata dal comma 5 dell’art. 1136,
possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento
delle cose comuni. Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del
fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili
all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
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già alterate da pregresse e consentite superfetazioni di vario genere, realizzate da altri
condomini nel corso del tempo».
Considerando che, in media, il patrimonio
edilizio italiano è alquanto datato riesce difficile pensare che ci siano fabbricati che non
abbiano subito, nel corso degli anni (se non
dei secoli) qualche modifica (Cass., sent. n.
3549, 29 luglio 1989). Nello stesso senso si
è espressa anche la prima sezione del Tribunale di Monza (sent. 15 dicembre 2008)
che ha ritenuto insussistente la violazione
del decoro architettonico nell’ipotesi in cui
la facciata del fabbricato sia stata già modificata da precedenti interventi (Cass. civ.,
Sez. II, sent. n. 14992, 7 settembre 2012; sent.
n. 16128, 21 settembre 2012; sent. n. 3123,
29 febbraio 2012 e sent. n. 16098, 27 ottobre
2003).
Più recentemente la Cassazione ha stabilito
che il decoro architettonico deve essere valutato, ai sensi dell’art. 1120, comma 2, cod.
civ. con riferimento al fabbricato condominiale nella sua totalità e non con riferimento
a singoli punti. Spetta al giudice di merito
accertare se una data innovazione costituisca o meno alterazione del decoro architettonico (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 1286,
25 gennaio 2011 e sent. n. 1286, 25 gennaio
2010).
In altre circostanze la Cassazione, affrontando il tema delle innovazioni pregiudizievoli alle parti comuni del fabbricato (ex art.
1122 cod. civ.), è stata chiamata a sindacare
la conformità al decoro architettonico del
fabbricato da parte di opere eseguite all’interno del vano scala e, quindi, non percepibili dall’esterno del fabbricato.
Art. 1122 – Opere sulle parti dell’edificio di proprietà comune (vecchio
codice)
Ciascun condomino, nel piano o porzione
di piano di sua proprietà, non può eseguire
opere che rechino danno alle parti comuni
dell’edificio.
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Art. 1122 – Opere su parti di proprietà o uso individuale (riformato)
Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti comuni di cui si sia riservata la
proprietà o l’uso individuale, ciascun condomino non può eseguire opere o modifiche
ovvero variare la destinazione d’uso indicata dal titolo, pur nel rispetto delle norme di
edilizia, se ne derivi danno alle parti comuni
o individuali o notevole diminuzione di godimento o valore di esse, ovvero pregiudizio
alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea.
Nel caso in esame, infatti, a finire sotto la
lente dei Giudici è la realizzazione di una
controporta in vetro anodizzato collocata
a filo del muro di separazione tra l’appartamento e il pianerottolo delle scale, accusata,
per l’appunto, di modificare l’aspetto estetico dell’edificio. La Cassazione, ha sottolineato che «il concetto di danno, ... non va
limitato esclusivamente al danno materiale,
inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno
conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili della
cosa comune, anche se di ordine edonistico
o estetico..., per cui ricadono nel divieto tutte
quelle modifiche che costituiscono un peggioramento del decoro architettonico del
fabbricato. Decoro da correlarsi non soltanto all’estetica data dall’insieme delle linee e
delle strutture che connotano il fabbricato
stesso e gli imprimono una determinata armonia, ma anche all’aspetto di singoli elementi o di singole parti dell’edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia
o siano comunque suscettibili per sé di considerazione autonoma».
Gli Ermellini, peraltro, hanno ritenuto che
l’opera contestata non fosse lesiva del decoro architettonico del fabbricato in quanto non avesse una «incidenza apprezzabile
sull’armonia complessiva del pianerottolo,
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cioè sul complesso delle sue linee e delle sue
forme, onde non può ritenersi contraria al
decoro architettonico nell’accezione legale
del termine» (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 1076,
19 gennaio 2005).
Ritenute illegittime, invece, le tettoie realizzate nella proprietà esclusiva del condomino che comportavano un danno estetico alla
facciata dell’edificio condominiale (Cass.,
sent. n. 2743, 11 febbraio 2005).
Irrilevante che il motore sia stato installato
su una facciata che non prospetta sulla strada pubblica in quanto si tratta comunque di
una parete condominiale e, come tale, oggetto di tutela.
Occorre sottolineare, sotto questo profilo,
che oggetto di tutela non è la “visuale” che i
terzi possono avere della facciata condominiale ma l’interesse dei singoli proprietari a
non vedere deturpata la facciata del proprio
immobile. In questa prospettiva, quindi, è
del tutto irrilevante che il condizionatore
venga apposto su una facciata che prospetta
sulla pubblica via o all’interno del cortile privo di accesso con l’esterno e a cui possono
accedere solo i condomini. Il giudizio sull’eventuale lesione del decoro architettonico
dipende essenzialmente dalle caratteristiche specifiche dell’impianto e dalle modalità con cui esso viene posizionato sulle parti
condominiali.
Il Tribunale di Milano, con una decisione
ormai storica (Sez. VIII, sent. n. 179, 9 gennaio 2004), ha deciso il caso di un condomino chiamato in giudizio per aver installato
il compressore di un condizionatore d’aria
«sulla facciata condominiale, in posizione
sporgente e perpendicolare sopra uno degli ingressi condominiali», e «senza alcun
consenso» dell’assemblea. Il Tribunale ha
dato ragione ai condomini, e imposto la rimozione del condizionatore perché «risulta
evidente che la collocazione sulla facciata
condominiale di un voluminoso corpo sporgente (quale quello in discussione) alteri
la destinazione della facciata stessa (che è
quella di fornire un aspetto architettonico
regolare e gradevole dell’edificio e non quello di contenere corpi estranei, che turbano
l’equilibrio estetico complessivo dell’edificio
medesimo) e inoltre, nel citato contesto, risulta del tutto irrilevante che la facciata in
questione non sia esposta al pubblico, ma
solo ai condomini, in quanto la legge tutela proprio il diritto degli stessi a non dover
subire (e quindi, essere soggetti a vedere)
alterazioni antiestetiche del proprio bene
comune».
In realtà, come al solito, la giurisprudenza è
altalenante e, nella realtà, è difficile stabilire
a priori, cosa è lecito e cosa non lo è. Alla resa
dei conti, bisognerà affidarsi alla Giustizia e,
cosa che più conta, a un buon consulente
tecnico che sappia evidenziare le criticità
trovando le soluzioni più adeguate.
Abbiamo visto che il decoro architettonico
del fabbricato può essere tutelato anche dal
singolo condomino.
Ma, ci si chiede, per quale motivo il singolo
condomino dovrebbe agire? Solo per una
questione di principio? O forse per togliersi
il classico sassolino dalla scarpa e vendicarsi
di un torto subito dal vicino?
In realtà si tratta di una questione economica. Attraverso la tutela del decoro architettonico, l’ordinamento mira a tutelare l’interesse economico del singolo proprietario a
non vedere alterazioni peggiorative del bene
con conseguente deprezzamento della proprietà privata. In tale prospettiva è irrilevante che sia lesa la facciata principale o quella
secondaria ma è essenziale, invece, verificare se, e in quale misura, l’opera comporta un
potenziale depauperamento del patrimonio
dei singoli condomini.
Violazione del decoro
architettonico e valore
economico del fabbricato
Secondo la giurisprudenza prevalente, esiste
un inscindibile punto di collegamento tra
violazione del decoro architettonico e valore
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economico del fabbricato. Tale collegamento spinge a ritenere che la tutela del decoro
architettonico sia possibile solo in presenza
di una precisa diminuzione del valore economico del bene immobile (Cass. civ., sent. n.
12343, 22 agosto 2003; Sez. II, sent. n. 1947, 27
aprile 1989 e sent. n. 4474, 15 maggio 1987).
In parole povere, chi vuole agire per la tutela del diritto, ha l’onere di dimostrare che le
opere hanno comportato una diminuzione
del valore economico dell’intero edificio e,
quindi, per questa via, delle singole unità immobiliari che lo compongono.
La Cassazione, peraltro, ritiene che, nell’ipotesi di modifiche obiettivamente rilevanti, il pregiudizio economico deve ritenersi
insito in quello estetico, con la conseguente insussistenza dell’obbligo del giudice di
una espressa motivazione sotto tale profilo
(Cass., sent. n. 1918, 4 aprile 1981).
Ma, in pratica, cosa bisogna fare? Ovviamente occorrerà rivolgersi alle aule di giustizia
ben armati e con una solida consulenza tecnica! Il giudice, in questo caso, dovrà essere
chiamato ad accertare non tanto l’avvenuta
lesione del decoro architettonico ma, anche
e soprattutto, che questa presunta lesione
abbia determinato un deprezzamento del
valore dell’intero fabbricato e, quindi, in via
mediata, delle singole unità immobiliari che
lo compongono. Inutile sottolineare che, in
realtà, è ben difficile dimostrare che il prezzo di vendita di un immobile abbia subito un
decremento a causa delle modifiche (rectius,
delle innovazioni) apportate al fabbricato.
Anzi, a ben vedere, l’installazione di un condizionatore (ovvero la possibilità di poterlo
installare) non può che accrescere il valore
economico del bene rendendo più “vivibile” l’ambiente abitato. Da un punto di vista
commerciale, infatti, la presenza dell’impianto di aria condizionata viene considerata come un ulteriore “servizio” di cui l’immobile viene dotato ed è sempre apprezzato dal
potenziale acquirente.
Ovviamente, quando parliamo di decoro architettonico, stiamo parlando di un concet-
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to del tutto diverso dal mutamento estetico
del fabbricato che è del tutto lecito nei limiti
in cui non cagioni un pregiudizio economico. Occorre anche valutare se l’eventuale
pregiudizio sia in qualche modo compensato dalla maggiore utilità e valore economico
del bene derivante dalla realizzazione degli
impianti. In questo caso l’alterazione architettonica verrebbe compensata dall’intervenuto incremento economico del bene. In genere il pregiudizio al decoro architettonico
di un impianto di condizionamento dell’aria
è ritenuto del tutto irrilevante (Cass. civ.,
Sez. II, sent. n. 18334, 25 ottobre 2012).
Decoro architettonico
e regolamento di condominio
Il regolamento di condominio, nel disciplinare i rapporti interni in ambito condominiale,
può contenere alcune disposizioni atte a tutelare il decoro architettonico del fabbricato.
Appare del tutto legittima, infatti, la norma
regolamentare che vieti o imponga dei limiti
alla realizzazione di opere che, pur non arrecando alcun danno alle strutture condominiali, modifichi il decoro architettonico del
fabbricato (Cass., sent. n. 1918, 4 aprile 1981).
Sarebbe anche del tutto legittima la clausola
contenuta nel regolamento di condominio
che vieti in modo tassativo la realizzazione di varianti di qualsiasi genere alle pareti
esterne del fabbricato ma... cosa deve intendersi per “variante”?
Il termine “variante” secondo la Cassazione,
deve essere inteso in senso tecnico per cui
occorre fare riferimento al T.U. edilizia (ovvero al D.P.R. 380/2001). In tale contesto la
“variante” viene considerata come una modifica a una concessione precedentemente
rilasciata ovvero a un progetto o un piano
regolatore già approvato. Di conseguenza,
potrebbero diventare legittime le opere che
non richiedono il rilascio di “varianti edilizie” per cui sarebbe possibile installare il
condizionatore sulla facciata del fabbricato.
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CONDOMINIO
articolo
Nel caso in esame, a finire sotto la lente era
stata la realizzazione di due nicchie sulla
facciata dell’edificio destinate a ospitale la
caldaia dell’impianto autonomo di riscaldamento (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 12291, 7
giugno 2011).
Il regolamento di condominio è, per forza di
cose, espressione della volontà dei condomini che, evidentemente, hanno ritenuto necessario tutelare la proprietà inserendo nel
regolamento interno delle apposite clausole
dirette a salvaguardare il decoro dell’edificio.
Se tali clausole sono legittime, lo saranno altrettanto le delibere assembleari con le quali
i condomini, autolimitando i propri poteri,
abbiano deliberato di tutelare l’estetica del
fabbricato vietando la realizzazione di alcune tipologie di opere (Cass., sent. n. 3927, 9
giugno 1988).
Il condominio che, in violazione degli obblighi contenuti nel regolamento di condomino o portati da specifiche delibere assembleari, abbia realizzato delle opere capaci
di determinare una violazione del decoro
architettonico del fabbricato, può essere
condannato alla demolizione e al ripristino
dello status quo ante. E non finisce qui! Sarebbe configurabile, infatti, anche un’azione di risarcimento del danno cagionato al
condominio. In questo caso, si ritiene che le
eventuali somme percepite a titolo risarcitorio, debbano essere devolute a favore delle
casse condominiali.
• La diffida dell’amministratore
Prima di mettere mano alla carta bollata,
l’amministratore coscienzioso dovrebbe
cercare di “chiamare all’ordine” il condomino che abbia violato il regolamento di condominio o che, comunque, abbia arrecato
un danno ai beni condominiali. Oltre alla
classica telefonata, è buona norma inviare
quantomeno un richiamo scritto intimando al condomino di rimuovere il motore del
condizionatore dalla facciata del fabbricato
(riquadro 1).
L’optimum sarebbe anche quello di proporre
delle soluzioni alternative.
RIQUADRO 1 Modello 2 – Diffida alla rimozione del condizionatore.
(Luogo e data)
Raccomandata a.r.
Egr. Sig.
..........................................
Via .......................... n. ....
..........................................
Oggetto: Condominio via............................ – necessità di rimuovere il condizionatore
dalla facciata condominiale
Egr. sig..........................., faccio seguito al colloquio telefonico per rinnovarLe l’invito a voler rimuovere il motore del condizionatore installato sulla facciata condominiale, in prossimità della Sua finestra.
L’immobile, come del resto a tutti ben noto, non è sottoposto a particolari vincoli di tutela ma è pur
sempre un fabbricato di un certo pregio e sarebbe davvero un peccato comprometterne il decoro
con l’installazione di impianti sulla facciata principale.
L’articolo............... del regolamento condominiale, d’altra parte, vieta ai condomini di compromettere l’euritmia della facciata mentre l’articolo............... impone di sottoporre alla preventiva autorizzazione dell’assemblea la realizzazione di innovazioni relative ai beni comuni.
Mi vedo quindi costretto, mio malgrado, a invitarLa formalmente alla rimozione dell’apparecchio e
al ripristino dei luoghi.
Se lo ritiene opportuno, potrà sottoporre all’attenzione dell’assemblea le Sue necessità.
Sono comunque a Sua disposizione per valutare ogni possibile alternativa.
Cordiali saluti.
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• La tutela giudiziaria
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la
sent. n. 4806, 7 marzo 2005, hanno sostanzialmente eliminato ogni differenza tra delibere nulle e annullabili per cui è opportuno
che il condomino che sia in disaccordo con
il condominio in ordine alla delibera assembleare assunta in tema di disciplina del
decoro architettonico, impugni con i mezzi
ordinari (ovvero nei 30 giorni) il relativo deliberato, diversamente non potrà far valere in
altro modo le proprie eventuali ragioni.
Non bisogna trascurare un ulteriore elemento. Il decoro architettonico sembrerebbe
essere considerato dal nostro ordinamento
come un mezzo di tutela di un diritto personale per cui l’assemblea non può decidere,
autonomamente, se una certa opera è idonea o meno a ledere il decoro del fabbricato.
In altre parole, è sufficiente che un solo condominio sia in disaccordo con l’assemblea,
affinché le opere diventino illegittime. Sotto
questo profilo, una via di fuga sarebbe ipotizzabile solo nel caso in cui l’assemblea si sia
espressa con il voto favorevole di tutti i partecipanti al condominio (caso questo, più
unico che raro, visto che i rapporti in ambito
condominiale non sono mai del tutto agevoli). Per altro verso, il condomino che ritenga
leso il decoro architettonico, può superare
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l’eventuale autorizzazione concessa dall’assemblea rivolgendosi alle aule di giustizia
chiedendo che venga accertata l’intervenuta
violazione e ordinato il ripristino dei luoghi
(TAR Liguria, Genova, Sez. I, sent. n. 192, 25
gennaio 2010).
Sotto un diverso profilo, occorre tener presente che il giudice potrebbe sindacare solo
la legittimità delle clausole regolamentari o
delle delibere assembleari che tutelano il decoro architettonico, senza poter entrare nel
merito. Di conseguenza, il condomino che
ritiene che l’opera sia in contrasto con il decoro architettonico del fabbricato e che non
sia riuscito a far valere le proprie ragioni in
assemblea, può certamente ricorrere al Giudice per far accertare la lesione e ottenere
una tutela sia ripristinatoria che risarcitoria
(Cass. civ., Sez. II, sent. n. 1386, 31 gennaio
2012).
In tema di tutela del decoro architettonico
del fabbricato occorre non sottovalutare un
ulteriore elemento: l’assoluta irrilevanza delle eventuali autorizzazioni e nulla osta ottenuti dalla Pubblica amministrazione. Questi
provvedimenti, infatti, sono sempre rilasciati con la clausola “fatti salvi i diritti dei terzi”
e il loro rilascio non preclude la strada a possibili azioni di tutela da parte dei condomini
(Cass. civ., Sez. II, sent. n. 3123, 29 febbraio
2012 e sent. n. 1936/1977).
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Le autorizzazioni
per la realizzazione dei lavori
In linea di massima l’esecuzione di opere edili richiede il preventivo rilascio
di un valido titolo abilitativo dei lavori. Negli ultimi anni abbiamo assistito
a un progressivo alleggerimento degli adempimenti burocratici, specie in
ambito edilizio e, con sempre maggior frequenza, si parla di “liberalizzazione”
e “semplificazione” delle procedure edilizie. In virtù di questi principi, alcuni
interventi edilizi minori possono essere eseguiti non solo in assenza del
titolo edilizio ma anche senza una preventiva comunicazione alla Pubblica
amministrazione.
In tema di titoli abilitativi, dobbiamo, in
primo luogo, sgombrare il campo da alcuni equivoci. Le opere edili, in genere, sono
abbastanza complesse e, in tema di autorizzazioni, non bisogna aver riguardo al
singolo lavoro ma al complesso delle opere
poste in essere. Cerco di chiarire il concetto. Un conto è procedere alla totale ristrutturazione di un edificio e, con l’occasione,
provvedere alla realizzazione dell’impianto
di condizionamento, altra cosa è procedere solo ed esclusivamente alla realizzazione delle opere necessarie alla realizzazione
dell’impianto. In questo caso, il più delle
volte, sarà solo necessario procedere al
montaggio delle staffe esterne su cui posizionare il motore, e montare “a spalla” lo
split all’interno dell’unità immobiliare. È
evidente che le opere di ristrutturazione
totale dell’edificio seguiranno una disciplina (certamente più severa) rispetto al sem-
plice montaggio del singolo impianto.
In questa sede, per semplicità espositiva, ci
limitiamo a prendere in esame l’ipotesi in
cui debbano essere realizzate opere semplici, di poco conto, senza impatto edilizio
e/o urbanistico. In tale ipotesi, l’installazione di un condizionatore dovrebbe rientrare nella cosiddetta “attività edilizia libera”, disciplinata, a livello nazionale, dall’art.
6 del D.P.R. 380 del 6 giugno 2001.
Nel caso in cui si abbia la necessità di installare un impianto di grandi dimensioni, si potrebbe fare riferimento all’art. 6,
comma 2, del T.U. edilizia per cui dovrebbe
essere sufficiente una comunicazione di
inizio dei lavori. Se, invece, dovesse essere necessario operare su parti strutturali
dell’edificio, sarebbe necessaria una DIA
ovvero una SCIA.
Non bisogna dimenticare che, quando si
parla di edilizia, l’attenzione al rispetto delConsulente immobiliare 2014
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le procedure non è mai sufficiente per cui
sarebbe sempre opportuno un chiarimento con l’Ufficio Tecnico Comunale anche
perché la realizzazione di questa tipologia
di opera potrebbe trovare una specifica
disciplina nel regolamento edilizio comunale. Alcuni regolamenti, infatti, vietano in
modo tassativo che i motori dei condizionatori possano essere montati, in modo da
essere visibili dalla strada principale (divieto vigente in alcuni centri storici).
Ma, in definitiva, volendo tirare le somme,
l’installazione di un condizionatore è sottoposta al preventivo rilascio di un titolo
abilitativo dei lavori?
Il problema è semplice: il posizionamento
del motore del condizionatore all’esterno
dell’edificio, potrebbe essere interpretato
come un intervento edilizio con conseguente alterazione della sagoma e dell’aspetto esteriore (art 10, comma 1, lett. c),
D.P.R. 380/2001 e art. 146, D.Lgs. 42/2004).
Il problema è stato recentemente affrontato dal TAR Puglia che ha fornito una risposta negativamente: si tratterebbe di attività
edilizia che non comporta alcuna modifica
apprezzabile della sagoma degli edifici e,
come tale, rientrerebbe nella cosiddetta “attività libera” non idonea a ledere in
modo apprezzabile né l’interesse paesaggistico né tanto meno quello urbanistico
(Sez. III, sent. n. 347, 3 febbraio 2012).
Il posizionamento del motore all’esterno
della facciata, quindi, non comporta alcuna violazione delle norme edilizie e non
dovrebbe essere necessaria alcuna comunicazione alla Pubblica amministrazione. In
ogni caso, per precauzione, è sempre consigliabile effettuare una verifica presso l’ufficio tecnico del comune per informarsi sulle
prassi seguite dal locale ufficio tecnico.
Gli interventi
sui fabbricati vincolati
I centri storici costituiscono il fiore all’oc-
30 |
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chiello della nostra bella Italia ma, allo
stesso tempo, sono una croce per i fortunati proprietari di appartamenti posti nelle
più belle piazze italiane, almeno quando si
tratta di effettuare dei lavori. Potrebbe accadere, infatti, che il corpo di fabbrica sia
sottoposto a vincolo da parte della Soprintendenza. In questo contesto entra in gioco il D.Lgs. 42 del 22 gennaio 2004, ovvero
il cosiddetto Codice dei beni culturali e del
paesaggio. Proprietari, possessori o semplici detentori di immobili sottoposti a vincolo o siti in aree vincolate, prima di eseguire
dei lavori, anche se si tratta di interventi
edilizi minori o di interventi di ristrutturazione, devono richiedere la prescritta
autorizzazione all’Ente a cui è devoluta la
tutela.
Da tener presente che la legge protegge anche i beni di proprietà privata per i quali sia
stato emesso un provvedimento contenente una dichiarazione di interesse culturale;
gli immobili con più di settanta anni sono
sottoposti a una presunzione di interesse culturale finché non sia intervenuta la
preventiva verifica di interesse che dovrà
essere richiesta dall’interessato. Nell’ipotesi in cui l’apposita procedura di verifica di
interesse si concluda con esito negativo, i
beni vengono esclusi da tutela e verranno
considerati “liberi”.
La Soprintendenza, a cui è istituzionalmente affidata la tutela del nostro patrimonio,
esplica la propria attività attraverso tre vie
parallele: conservazione, mantenimento
e recupero. In questo contesto l’attività
edilizia potrebbe rientrare in due diverse
categorie: opere vietate in termini assoluti
(distruzione, danneggiamento, uso incompatibile con il carattere storico-artistico
del manufatto) o in termini relativi (per
cui la realizzazione dell’opera è sottoposta
alla preventiva autorizzazione). In questo
contesto l’art. 21, comma 4, prescrive che
«l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata
all’autorizzazione del soprintendente».
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Il successivo comma 5 chiarisce che: «L’autorizzazione è resa su progetto o, qualora
sufficiente, su descrizione tecnica dell’intervento, presentati dal richiedente, e può
contenere prescrizioni».
In buona sostanza è necessario che l’interessato presenti una istanza, correlata da
una relazione, per chiedere l’autorizzazione all’esecuzione delle opere.
A questo punto, ci si chiede, queste prescrizioni valgono anche nel caso in cui si voglia
montare un semplice condizionatore?
La risposta non può che essere affermativa,
a meno che non ci sia la disponibilità a correre il rischio di illeciti (anche involontari)
con conseguente applicazioni di sanzioni
amministrative e penali.
Ovviamente la Soprintendenza baserà la
propria decisione sulla nostra istanza per
cui è opportuno essere chiari, allegare una
documentazione fotografica sullo stato dei
luoghi, essere disponibili a seguire le eventuali prescrizioni dettate dall’Ente.
Nel proporre l’istanza, sarebbe buona
norma tener presente che la Soprintendenza dovrebbe basare il proprio giudizio
sull’impatto visivo, vigila per garantire il
mantenimento delle originarie linee architettoniche e predilige (almeno di norma)
interventi sobri.
La relazione tecnica, quindi, dovrebbe
mettere in luce la non invasività dell’intervento e la sua conformità all’ambiente
circostante.
Sarebbe opportuno fornire anche un file
che dia sufficiente contezza dello stato dei
luoghi prima e dopo l’intervento in maniera da rendere apprezzabile, dal punto di
vista visivo, lo scarso impatto delle opere
sull’ambiente circostante.
Ai sensi dell’art. 28, il Soprintendente può
ordinare la sospensione dei lavori in corso di esecuzione su beni culturali eseguiti
senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa.
Lo stesso potere inibitorio può essere esercitato su immobili che, anche se non sottoposti a tutela, potrebbero avere, a giudizio
dell’Ente, gli elementi per essere sottoposti
a vincolo (art. 28, comma 2).
In relazione agli interventi in area vincolata occorre tener presente che la Corte
di Giustizia UE (Sez. X, sent. 6 marzo 2014
resa nella causa C-206/13) ha chiarito che
la Corte Europea non può interferire sulle
norme nazionali in materia di tutela del
paesaggio per cui la competenza a verificare l’abuso edilizio in zona vincolata sotto
l’aspetto paesaggistico resta radicata presso il giudice nazionale.
È sintomatico considerare che l’intervento
dell’Unione Europea è stato chiesto da un
cittadino italiano che si era visto notificare una ordinanza di rimessione in pristino
per opere di modesta entità effettuate in
zona sottoposta a vincolo paesaggistico
ex art. 167 del cosiddetto “Codice Urbani”
42/2004.
Nel caso in esame era stata respinta anche
l’istanza di concessione edilizia in sanatoria da concedersi previo nulla osta della
competente Soprintendenza dei beni culturali e ambientali.
Proprio la Soprintendenza aveva adottato
un’ordinanza-ingiunzione imponendo la
rimessione in pristino dello stato dei luoghi mediante demolizione di tutte le opere
abusivamente eseguite, nel termine di 120
giorni dal ricevimento della stessa.
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MODELLO 1 Autorizzazione paesaggistica semplificata – Domanda (D.P.R. 139, 9 luglio 2010).
Oggetto: Richiesta autorizzazione paesaggistica;
esecuzione di .........., in zona .........., sottoposta a vincolo paesaggistico.
Al Sig. SINDACO del comune di .........................
[La domanda deve essere presentata al comune in cui insiste il bene tutelato nell’ipotesi in cui le regioni abbiano demandato
all’Ente Locale la tutela del paesaggio, diversamente la domanda andrà presentato al competente settore della regione.]
Il/La sottoscritto/a ............................, nato/a a ............................, prov. ............, il ...../...../..........., residente
in .........................., prov. .........................., CAP ............., via .........................., n. ..........., tel. ........................,
fax ..............................., cell. ..............................., e-mail .......................................................................,
C.F. |__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|, P. IVA |__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|,
in qualità di:
proprietario
legale rappresentante della:
società
persona giuridica
condominio
........................................................................................................................................................................
con sede a ............................................................., via ..............................................................., n. ..........
CF |__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|, P. IVA |__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|
tel. ................, fax ................, cell. ................, e-mail ................................, PEC ...................................
dell’unità immobiliare posta in .........................., via .........................................................., n. ..........,
consapevole del fatto che, in caso di dichiarazione mendace o di falsità della sottoscrizione, verranno applicate, ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. 445/2000, le sanzioni previste dal Codice Penale (art.
483) in materia di falsità negli atti, oltre alle conseguenze amministrative legate all’istanza e che il
sottoscritto decadrà dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base
della dichiarazione non veritiera ai sensi di quanto disposto dall’art. 75 del D.P.R. 445/2000; ai sensi
e per gli effetti dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000 allega copia del documento d’identità, in quanto
Proprietario unico
Comproprietario insieme ai soggetti firmatari della presente, i cui dati anagrafici sono riportati
nella tabella A;
Titolare di altro diritto reale sull’immobile, consistente in:
usufrutto
uso
abitazione
Titolare di Contratto preliminare di compravendita, registrato con immissione nel possesso;
Procuratore legale designato con procura notarile che si allega in copia;
Tutore come da provvedimento del giudice tutelare che si allega in copia;
Condomino-proprietario per opere strettamente pertinenti alla sua unità immobiliare che incidono su parti comuni;
Responsabile dell’abuso;
in forza del seguente titolo (indicare gli estremi completi del titolo):
........................................................................................................................................................................
sul seguente immobile sito in:
comune di .............................................................., via............................................................., n. ..........
censito in catasto
terreni
fabbricati al foglio ............. mapp. ............. sub ..............
(segue)
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DICHIARA
– che, alla data odierna, lo stato di fatto dei luoghi e degli immobili come rappresentati negli allegati elaborati grafici è conforme alla realtà esistente;
– che il progettato intervento edilizio non viola diritti di terzi o condominiali;
– che qualora l’edificio fosse vincolato ai sensi della parte II del D.Lgs. 42/04 (ex legge 1089,
1.6.1939), occorre allegare l’autorizzazione della competente Soprintendenza ai Beni Ambientali
e Architettonici;
– che l’intervento rientra nelle competenza di codesta Amministrazione ai sensi della L.R. ..............
– che l’intervento non è soggetto al regime ordinario, di cui all’art. 146 del D.Lgs. 42/2004, in quanto ricompreso nell’elenco delle opere di “lieve entità” di cui all’allegato 1, punto .................. del
D.P.R. 139/2010
– che l’immobile:
– ricade in zona assoggettata a vincolo idrogeologico
sì
no
– è interno/è esterno al perimetro di aree regionali protette
sì
no
(se sì, specificare)..................................................................................................................................
– è sottoposto a tutela ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.Lgs. 42/2004 (beni di interesse storico,
artistico, archeologico, etnografico)
sì
no
(se sì, specificare)..................................................................................................................................
– è stato oggetto di precedenti autorizzazioni paesaggistiche
sì
no
(se sì, specificare .............................................................................................. di cui si allega copia.
CHIEDE
l’autorizzazione paesaggistica SEMPLIFICATA ai sensi dell’art. 146, comma 9, del D.Lgs. 42/2004 e
del Regolamento sul procedimento semplificato di cui al D.P.R. 139, 9.7.2010 per interventi di lieve
entità; precisando che l’intervento rientra nei casi previsti nell’elenco di cui all’Allegato I del Regolamento e riguarda, in particolare, le opere indicate nell’elenco allegato; per realizzare le opere così
come descritte in seguito e indicate negli elaborati allegati redatti da:
Progettista (nome e cognome) ................................................, residente/con studio in ......................,
via ............., n. ......., CAP .........., tel. .........., fax .........., cell. .........., e-mail .........................................,
PEC .......................iscritto al n. ........... dell’Albo ................................ prov. di ......................................
consistenti, sinteticamente, in:
........................................................................................................................................................................
L’esecuzione delle opere è affidata a:
...................................., con sede a ........................., via ................................., CF/P.IVA ...........................,
tel. ......................, fax ......................, cell. ......................, e-mail ..........................................................,
PEC ................................... iscritta alla CCIAA di ......................................, REA n. ....................................
Allega:
a) Marca da bollo;
b) n. 4 copie della Relazione paesaggistica redatta secondo il modello di “Scheda per la presentazione della richiesta di autorizzazione paesaggistica per le opere il cui impatto paesaggistico è
valutato mediante una documentazione semplificata”;
c) estratti cartografici: CTR/IGM/Ortofoto, PRG/PGT, PPR/PTCP;
d) documentazione fotografica;
e) documentazione progettuale);
(segue)
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f) attestazione, rilasciata dal Comune territorialmente competente, circa la conformità del progetto alla
disciplina urbanistica ed edilizia, in caso di opere assoggettate a permesso di costruire, ovvero, in caso
di opere assoggettate a DIA, asseverazioni di cui all’art. 23 del D.P.R. 380/2001 redatte dal progettista;
g) fotocopia del documento d’identità del richiedente.
...................., lì ................
IL RICHIEDENTE ........................................
INFORMATIVA CODICE IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
(D.Lgs. 196/03 e successive modificazioni)
– I dati personali e anche sensibili verranno trattati per le finalità istituzionali volte allo svolgimento
e conclusione del procedimento la cui domanda è presentata nel rispetto di leggi e regolamenti;
Il trattamento dei dati avverrà presso il Comune di ............, con l’utilizzo di procedure anche informatizzate, nei modi e nei limiti necessari per perseguire le predette finalità, nonché per l’eventuale
pubblicazione in Internet per i servizi offerti on-line; titolare del trattamento è il Comune di ............;
Responsabile del trattamento è il Dirigente del Coordinamento Edilizia Privata e del SUAP;
– il conferimento dei dati è obbligatorio, in caso di mancato conferimento la domanda di cui sopra
diverrà improcedibile e conseguentemente non sarà possibile ottenere l’autorizzazione paesaggistica, la compatibilità ambientale o validazione dell’intervento;
– i dati potranno essere comunicati ad altri enti pubblici o a soggetti privati o diffusi esclusivamente
nei limiti previsti da norme di legge o regolamento;
– in ogni momento e rivolgendosi al responsabile indicato, sarà possibile esercitare i diritti di cui
all’art. 7 del Codice nei confronti del titolare del trattamento e in particolare il diritto di conoscere
i propri dati personali, di chiedere la rettifica, l’aggiornamento.
...................., lì ................
IL RICHIEDENTE ........................................
ALLEGATO – ELENCO COMPROPRIETARI
Il/La sottoscritto/a ..........................., nato/a a .........................., prov. ............., il ..../..../........., residente
in .................................., prov. ................................., CAP .............., via ...................................., n. .............,
tel. ......................, fax ......................., cell. .........................., e-mail ..........................................................,
CF |__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|,
ai sensi e per gli effetti dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000 allega copia del proprio documento d’identità
e dichiara di essere comproprietario dell’immobile oggetto dell’intervento edilizio della presente
domanda.
...................., lì ................
IL RICHIEDENTE ........................................
_______________
Il/La sottoscritto/a ..........................., nato/a a .........................., prov. ............., il ..../..../........., residente
in .................................., prov. ................................., CAP .............., via ...................................., n. .............,
tel. ......................, fax ......................., cell. .........................., e-mail ..........................................................,
CF |__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|__|,
ai sensi e per gli effetti dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000 allega copia del proprio documento d’identità
e dichiara di essere comproprietario dell’immobile oggetto dell’intervento edilizio della presente
domanda.
...................., lì ................
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IL RICHIEDENTE ........................................
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ALLEGATO – ELENCO DETTAGLIATO DELLE OPERE OGGETTO DI INTERVENTO
Incremento di volume non superiore al 10% della volumetria della costruzione originaria e comunque non superiore a 100 m3 (la presente voce non si applica nelle zone territoriali omogenee
“A” di cui all’art. 2 del D.M. 1444/1968, e a esse assimilabili e agli immobili soggetti a tutela ai
sensi dell’art. 136, comma 1, lett. a), b) e c), del Codice). Ogni successivo incremento sullo stesso
immobile è sottoposto a procedura autorizzatoria ordinaria;
interventi di demolizione e ricostruzione con il rispetto di volumetria e sagoma preesistenti.
(questa voce non si applica agli immobili soggetti a tutela ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett.
a), b) e c), del Codice);
interventi di demolizione senza ricostruzione o demolizione di superfetazioni (questa voce non si
applica agli immobili soggetti a tutela ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. a), b) e c), del Codice);
interventi sui prospetti degli edifici esistenti, quali:
aperture di porte e finestre o modifica delle aperture esistenti per dimensione e posizione;
interventi sulle finiture esterne, con rifacimento di intonaci, tinteggiature o rivestimenti esterni, modificativi di quelli preesistenti;
realizzazione o modifica di balconi o terrazze;
inserimento o modifica di cornicioni, ringhiere, parapetti; chiusura di terrazze o di balconi già
chiusi su tre lati mediante installazione di infissi;
realizzazione, modifica o sostituzione di scale esterne (questa voce non si applica agli immobili soggetti a tutela ex art. 136, comma 1, lett. a), b) e c) del Codice);
interventi sulle coperture degli edifici esistenti, quali:
rifacimento del manto del tetto e delle lattonerie con materiale diverso;
modifiche indispensabili per l’installazione di impianti tecnologici;
modifiche alla inclinazione o alla configurazione delle falde;
realizzazione di lastrici solari o terrazze a tasca di piccole dimensioni;
inserimento di canne fumarie o comignoli;
realizzazione o modifica di finestre a tetto e lucernari;
realizzazione di abbaini o elementi consimili (questa voce non si applica agli immobili soggetti a tutela ex art. 136, comma 1, lett. a), b) e c), del Codice);
modifiche che si rendono necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica ovvero per il
contenimento dei consumi energetici degli edifici;
realizzazione o modifica di autorimesse pertinenziali, collocate fuori terra ovvero parzialmente o
totalmente interrate, con volume non superiore a 50 m3, compresi percorsi di accesso ed eventuali rampe. Ogni successivo intervento di realizzazione o modifica di autorimesse pertinenziale
allo stesso immobile è sottoposto a procedura autorizzatoria ordinaria;
realizzazione di tettoie, porticati, chioschi da giardino e manufatti consimili aperti su più lati,
aventi una superficie non superiore a 30 m2;
realizzazione di manufatti accessori o volumi tecnici di piccole dimensioni (volume non superiore
a 10 m3);
interventi necessari al superamento delle barriere architettoniche, anche comportanti modifica
dei prospetti o delle pertinenze esterne degli edifici, ovvero realizzazione o modifica di volumi
tecnici. Sono fatte salve le procedure semplificate ai sensi delle leggi speciali di settore (la presente voce non si applica agli immobili soggetti a tutela ex art. 136, comma 1, lett. a), b) e c),
del Codice);
realizzazione o modifica di cancelli, recinzioni, o muri di contenimento del terreno (la presente
voce non si applica agli immobili soggetti a tutela ai sensi ex art. 136, comma 1, lett. a), b) e c),
del Codice);
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interventi di modifica di muri di cinta esistenti senza incrementi di altezza;
interventi sistematici nelle aree di pertinenza di edifici esistenti, quali: pavimentazioni, accessi
pedonali e carrabili di larghezza non superiore a 4 m, modellazioni del suolo, rampe o arredi fissi
(la presente voce non si applica agli immobili soggetti a tutela ex art. 136, comma 1, lett. a), b)
e c), del Codice);
realizzazione di monumenti ed edicole funerarie all’interno delle zone cimiteriali;
posa in opera di cartelli e altri mezzi pubblicitari non temporanei ex art. 153 del Codice, di dimensioni inferiori a 18 m2, ivi comprese le insegne per le attività commerciali o pubblici esercizi
(la presente voce non si applica agli immobili soggetti a tutela ex art. 136, comma 1, lett. a), b)
e c), del Codice);
collocazione di tende da sole sulle facciate degli edifici per locali destinati ad attività commerciali e pubblici esercizi;
interventi puntuali di adeguamento della viabilità esistente, quali: adeguamento di rotatorie,
riconfigurazione di incroci stradali, realizzazione di banchine e marciapiedi, manufatti necessari
per la sicurezza della circolazione, nonché quelli relativi alla realizzazione di parcheggi a raso a
condizione che assicurino la permeabilità del suolo, sistemazione e arredo di aree verdi;
interventi di allaccio alle infrastrutture a rete, ove comportanti la realizzazione di opere in soprasuolo;
linee elettriche e telefoniche su palo a servizio di singole utenze di altezza non superiore, rispettivamente, a metri 10 e a metri 6,30;
adeguamento di cabine elettriche o del gas, ovvero sostituzione delle medesime con altre di
tipologia e dimensioni analoghe;
interventi sistematici di arredo urbano comportanti l’installazione di manufatti e componenti,
compresi gli impianti di pubblica illuminazione;
installazione di impianti tecnologici esterni per uso domestico autonomo, quali condizionatori e
impianti di climatizzazione dotati di unità esterna, caldaie, parabole, antenne (questa voce non
si applica agli immobili soggetti a tutela ex art. 136, comma 1, lett. a), b) e c), del Codice);
parabole satellitari condominiali e impianti di condizionamento esterni centralizzati, nonché
impianti per l’accesso alle reti di comunicazione elettronica di piccole dimensioni con superficie
non superiore a 1 m2 o volume non superiore a 1 m3 (la presente voce non si applica agli immobili
soggetti a tutela ex art. 136, comma 1, lett. a), b) e c), del Codice);
installazione di impianti di radiocomunicazioni elettroniche mobili, ex art. 87 del D.Lgs. 259/2003,
che comportino la realizzazione di supporti di antenne non superiori a 6 metri se collocati su
edifici esistenti, e/o la realizzazione di sopralzi di infrastrutture esistenti come pali o tralicci, non
superiori a 6 metri, e/o la realizzazione di apparati di telecomunicazioni a servizio delle antenne,
costituenti volumi tecnici, tali comunque da non superare l’altezza di metri 3 se collocati su edifici esistenti e di metri 4 se posati direttamente a terra;
installazione in soprasuolo di serbatoi di GPL di dimensione non superiore a 13 m3, e opere di
recinzione e sistemazione correlate;
impianti tecnici esterni al servizio di edifici esistenti a destinazione produttiva, quali sistemi per la
canalizzazione dei fluidi mediante tubazioni esterne, lo stoccaggio dei prodotti e canne fumarie;
posa in opera di manufatti completamente interrati (serbatoi, cisterne ecc.), che comportino la
modifica della morfologia del terreno, comprese opere di recinzione o sistemazione correlate;
pannelli solari, termici e fotovoltaici fino a una superficie di 25 m2 (la presente voce non si applica
nelle zone territoriali omogenee “A” ex DM n. 1444/1968 e a esse assimilabili, e nelle aree vincolate ex art. 136, comma 1, lett. a), b) e c), del Codice), ferme restando le diverse e più favorevoli
previsioni del D.Lgs. 115/2008, recante “Attuazione della dir. n. 2006/32/CE relativa all’efficienza
degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della dir. n. 93/76/CEE”, e dell’art.
1, comma 289, legge 244/2007 (legge finanziaria 2008)”;
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nuovi pozzi, opere di presa e prelievo da falda per uso domestico, preventivamente assentiti
dalle Amministrazioni competenti, comportanti la realizzazione di manufatti in soprasuolo;
tombinamento parziale di corsi d’acqua per tratti fino a 4 metri ed esclusivamente per dare accesso ad abitazioni esistenti e/o a fondi agricoli interclusi, nonché la riapertura di tratti tombinati
di corsi d’acqua;
interventi di ripascimento localizzato di tratti di arenile in erosione, manutenzione di dune artificiali in funzione antierosiva, ripristino di opere di difesa esistenti sulla costa;
ripristino e adeguamento funzionale di manufatti di difesa dalle acque delle sponde dei corsi
d’acqua e dei laghi;
taglio selettivo di vegetazione ripariale presente sulle sponde o sulle isole fluviali;
riduzione di superfici boscate in aree di pertinenza di immobili esistenti, per superfici non superiori a 100 m2, preventivamente assentita dalle amministrazioni competenti;
ripristino di prati stabili, prati pascolo, coltivazioni agrarie tipiche, mediante riduzione di aree
boscate di recente formazione per superfici non superiori a 5.000 m2, preventivamente assentiti
dalle amministrazioni competenti;
taglio di alberi isolati o in gruppi, ove ricompresi nelle aree ex art. 136, comma 1, lett. c) e d), del
Codice, preventivamente assentito dalle amministrazioni competenti;
manufatti realizzati in legno per ricovero attrezzi agricoli, con superficie non superiore a 10 m2;
occupazione temporanea di suolo privato, pubblico, o di uso pubblico, con strutture mobili,
chioschi e simili, per un periodo superiore a 120 giorni;
strutture stagionali non permanenti collegate ad attività turistiche, sportive o del tempo libero,
da considerare come attrezzature amovibili.
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articolo
Le immissioni rumorose
Anche gli ambienti domestici non sono esenti da fonti rumorose, in genere
provenienti da elettrodomestici di uso comune: un frullatore, il frigo,
l’autoclave, le tapparelle, la lavatrice, l’aspirapolvere, l’impianto di allarme
generano comunque dei “rumori di fondo” a cui, forse, non facciamo più caso
perché siamo ormai assuefatti. Il concetto di immissione viene generalmente
collegato a quello di “rumore” ma, a ben guardare, potrebbero essere
problemi diversi si pensi, per esempio, alle immissioni di calore che, se
particolarmente intenso, potrebbero essere oltremodo fastidiose. In proposito
dobbiamo ricordare che il motore del condizionatore genera calore che viene
dissipato nell’ambiente esterno tramite le ventole dell’apparecchio. Sarà
quindi buona norma fare in modo che il calore generato dal nostro impianto
non infastidisca i vicini.
Chi installa un impianto di condizionamento, quindi, deve fare i conti anche con
una serie di immissioni di varia natura
anche se quelle più frequenti e fastidiose
potrebbero essere quelle sonore, provocate
da vibrazioni più che dalla “meccanica” del
motore.
Alcuni condizionatori, in genere quelli più
datati o di marche scadenti, spesso diventano particolarmente rumorosi e possono infastidire i vicini, specie se hanno il
sonno leggero e dormono con le finestre
aperte.
Nel caso in cui «il rumore sia stato avvertito fastidiosamente da un numero imprecisato di vicini di casa» potrebbe essere configurabile anche il reato di disturbo delle
occupazioni e del riposo delle persone ex
art. 659 cod. pen.
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Art. 659 cod. pen. – Disturbo delle
occupazioni o del riposo delle persone
Chiunque, mediante schiamazzi o rumori,
ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non
impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli
spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è
punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a € 309. Si applica l’ammenda da
€ 103 a € 516 a chi esercita una professione
o un mestiere rumoroso contro le disposizioni
della legge o le prescrizioni dell’Autorità.
Sotto questo profilo occorre tenere sempre
a mente che il concetto di “disturbo” è relativo; il reato non sussiste nell’ipotesi in cui
i rumori siano avvertiti dagli occupanti di
un solo appartamento e non (anche) da altri
soggetti abitanti nel vicinato.
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articolo
Il reato, in parole povere, “scatta” solo nell’ipotesi in cui il disturbo venga avvertito da
un numero indeterminato di soggetti in
quanto è necessario che i rumori prodotti,
oltre a essere superiori alla normale tollerabilità, abbiano l’attitudine a propagarsi,
a diffondersi, in modo da essere idonei a
disturbare una pluralità indeterminata di
persone (Cass. pen., Sez. I, sent. n. 28874, 8
luglio 2013; Cass., sent. n. 6546, 11 febbraio
2013; Cass. pen., Sez. I, sent. n. 270, 11 gennaio 2012; sent. n. 47298, 29 novembre 2011;
sent. n. 1406, 21 dicembre 1996; sent. n.
5578, 6 novembre 1995; sent. n. 3348, 16 gennaio 1995 e sent. n. 7753, 20 maggio 1994).
Peraltro, in altre circostanze, il Palazzaccio
ha ritenuto che il reato si consuma quando
ci sia la lamentela (attuale) anche da parte
di un solo vicino mentre le immissioni siano
potenzialmente capaci di disturbare un numero illimitato di persone (Cass. pen., Sez.
I, sent. n. 47298, 29 novembre 2011 e sent.
n. 23130, 5 luglio 2006). In altra situazione
la Cassazione ha ritenuto che il condomino
dovesse necessariamente rimuovere l’impianto di condizionamento rumoroso se le
immissioni sonore siano talmente gravi da
arrecare disturbo al riposo o alle occupazioni delle persone e ciò anche nel caso in cui
non sia stata fornita la prova che i rumori
siano molesti anche per altri condomini
(Cass. pen., Sez. I, sent. n. 34240, 23 settembre 2005). E ancora, intervenendo in materia di immissioni sonore, il Palazzaccio con
la dec. n. 18517 del 17 marzo 2010, ha configurato la contravvenzione ex art. 645 cod.
pen. nelle immissioni capaci di travalicare la
normale tollerabilità.
Insomma, per farla breve, la giurisprudenza
sembra oscillare ma abbiamo pur sempre un
dato certo: è quantomeno opportuno non
disturbare i vicini, diversamente c’è il fondato pericolo che questi ultimi, prima o poi,
perdano la pazienza e facciano valere le loro
ragioni prima in assemblea, rinfocolando
vecchi rancori, e poi nelle aule di giustizia.
La materia è disciplinata dall’art. 844 cod.
civ. che impone il divieto di immissioni che
superino la soglia della normale tollerabilità.
Art. 844 cod. civ. – Immissioni
Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se
non superano la normale tollerabilità, avuto
anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della
produzione con le ragioni della proprietà.
Può tener conto della priorità di un determinato uso.
La norma, creata per disciplinare il rapporto
tra fondi vicini, anche se non confinanti tra
loro, trova applicazione anche all’interno dei
rapporti condominiali. La giurisprudenza,
infatti, ritiene applicabili i principi in materia di immissioni (che possono essere di
fumo, calore, odore e rumori) anche negli
edifici in condominio.
Le immissioni consistono in intrusioni di
fumo, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e consimili che derivano, direttamente e/o
indirettamente, dall’attività di un condomino e che, in qualche maniera, invadono la sfera della proprietà del vicino limitandone e/o
impedendo il legittimo e pieno godimento
della proprietà. Ma non tutte le immissioni
sono vietate. Anzi, a ben vedere, il Legislatore
parte proprio dal presupposto che esiste una
certa “immissione di fondo” naturalmente
legata allo svolgimento delle attività umane.
A essere vietate sono solo le immissioni che
superano la normale tollerabilità.
Non sfugge che determinare il concetto
di normale tollerabilità non è del tutto
agevole perché naturalmente legato a valutazioni di tipo soggettivo e personale. Ciò
che può essere normale e tollerabile per un
soggetto, potrebbe diventare assolutamente
insopportabile per altri e certamente non finisce qui, in quanto occorre avere riguardo
allo stato dei luoghi. Chi vive in prossimità
delle torri campanarie non avverte neanche
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il suono delle campane perché ormai rientra
nelle abitudini ed è ormai talmente assuefatto da non avvertire alcun disturbo. Il suono
della medesima campana potrebbe essere
assolutamente insopportabile per altri, ma
questo non vuol dire che si possa imbavagliare le campane e impedire al Parroco di
chiamare i fedeli a raccolta. Ovvio che chi
sceglie di vivere in prossimità della torre
campanaria dovrà, obtorto collo, “assuefarsi”
all’ambiente circostante o..... rassegnarsi a
fare le valigie.
A questo punto, ovviamente, occorre fissare
un criterio generale. In linea di massima si
parte dal presupposto che ciascun proprietario è costretto a subire un certo numero
di immissioni provenienti dal fondo del vicino. Solo ciò che supera un certo limite viene a essere individuato come intollerabile e,
come tale, può essere ordinata l’inibitoria.
Le immissioni sonore
L’inquinamento acustico è un problema
molto complesso che richiede uno specifico
approfondimento. In questa sede ci limitiamo ad accennare ad alcuni concetti senza
entrare nel dettaglio delle problematiche
progettuali nell’ambito dell’acustica ambientale (valutazione di impatto acustico,
valutazione previsionale del clima acustico)
e limitandoci a fornire solo alcuni cenni sui
limiti acustici riportati dalla normativa vigente e su alcune prassi giurisprudenziali
introdotte dalla Corte di Cassazione.
Il primo esempio di normativa in materia
di inquinamento acustico è rappresentato
dal D.P.C.M. 1° marzo 1991 “Limiti massimi
di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno” parzialmente
modificato dalla Corte Costituzionale che,
con la sent. n. 517 del 30 dicembre 1991, ha
dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, comma 1,
seconda e terza proposizione, nonché degli
artt. 4 e 5. La materia è stata successivamente ridisegnata dalla legge 447 del 26 ottobre
1995 “Legge quadro sull’inquinamento acustico” e da una serie di successivi decreti portanti una disciplina di dettaglio. A questo
punto giova introdurre una parentesi precisando che la Legge Quadro detta solo dei
principi di massima delegando il Governo
all’emanazione di una serie di regolamenti e
provvedimenti attuativi. Come spesso accade (purtroppo) nel nostro ordinamento, tali
deleghe sono state solo in parte eseguite e,
con tempestività tutta italiana, sono state
portate a termine fuori tempo massimo.
Quali le conseguenze? È presto detto! A rigore tutti i decreti attuativi della legge 447/1995
dovrebbero essere considerati illegittimi per
eccesso di delega.
Il D.P.C.M. 14 novembre 1997 “Determinazione
dei valori limite delle sorgenti sonore” determina i valori limite di emissione, i valori limite di
immissione, i valori di attenzione e i valori di
qualità riferiti alle specifiche classi di destinazione d’uso del territorio. Il decreto riprende
il concetto di criterio differenziale, introdotto
dal D.P.C.M. 1° marzo 1991, specificando (art.
4) i valori limite e i criteri di applicabilità.
L’art. 2, comma 1, lett. e) della legge 447/1995
definisce come valore limite d’emissione «il
valore massimo di rumore che può essere
emesso da una sorgente sonora misurato in
prossimità della sorgente stessa». La tabella
A del D.P.C.M. del 1997 fissa le classi di destinazione d’uso del territorio che dovrebbero
essere adottate dai comuni:1 a ciascuna classe dovrebbe corrispondere un diverso livello
sonoro. La tabella B, allegata al D.P.C.M. 14
novembre 1997 (riquadro 1) fissa i valori limite riferiti alle sorgenti fisse e mobili (art.
2, comma 1). Tali valori variano in funzione
di due elementi: del periodo di riferimento
(diurno/notturno) e alle classi di destinazione d’uso del territorio.
Non tutti i comuni si sono dotati dei necessari piani di classificazione acustica per cui non sempre è possibile
fare riferimento alla strumentazione comunale o chiedere ausilio ai tecnici comunali.
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RIQUADRO 1 Tabella B allegata al D.P.C.M.
14.11.1997 – Valori limite.
Classe
d’appartenenza
Periodo
diurno
(6:0022:00)
Periodo
notturno
(22:006:00)
I (aree
particolarmente
protette)
45 dB(A)
35 dB(A)
II (aree
prevalentemente
residenziali)
50 dB(A)
40 dB(A)
III (aree di tipo misto)
55 dB(A)
45 dB(A)
IV (aree di intensa
attività umana)
60 dB(A)
50 dB(A)
V (aree
prevalentemente
industriali)
65 dB(A)
55 dB(A)
VI (aree
esclusivamente
industriali)
65 dB(A)
65 dB(A)
L’art. 2, comma 1, lett. f) della Legge Quadro,
definisce come valore limite d’immissione,
«il rumore indotto che può essere immesso
da una o più sorgenti sonore nell’ambiente
abitativo e nell’ambiente esterno, misurato
in prossimità dei ricettori» e, nel successivo
comma 3, punto a) specifica che i «valori limite assoluti, determinati con riferimento al
livello equivalente di rumore ambientale».
In parole povere, il “rumore di fondo” oscilla in funzione di una serie di parametri che
dovrebbero essere fissati in funzione della
“zonizzazione” prevista a livello di piano
dal comune. Se una abitazione si trova in
prossimità di una zona industriale, ci sarà
un rumore di fondo più alto rispetto a una
abitazione in zona residenziale e, all’interno
delle zone residenziali, le unità immobiliari
che, per ipotesi, dovessero trovarsi vicine a
un asse ferroviario o in prossimità del capolinea del bus urbano avranno un rumore di
fondo più intenso rispetto al centro storico.
Di conseguenza, le immissioni sonore provenienti da un impianto di condizionamento
non dovrebbero superare il “tasso soglia”
fissato in relazione all’area territoriale in cui
esso è installato. Per avere dei parametri precisi sarebbe opportuno fare riferimento alle
strutture del proprio comune che dovrebbero essere in grado di fornire i dati necessari.
Gli uffici di riferimento potrebbero essere
presso lo sportello unico dell’edilizia (SUE)
ovvero presso la locale ASL. Sotto questo
profilo occorre tener presente che non tutti
i comuni hanno provveduto alla zonizzazione acustica del territorio né hanno adottato
i provvedimenti necessari a fissare i criteri
limite per le varie aree territoriali.
VALORI LIMITE D’IMMISSIONE IN FUNZIONE
DELLA CLASSE DI DESTINAZIONE D’USO
DEL TERRITORIO
Classe
d’appartenenza
Periodo
diurno
(6:0022:00)
Periodo
notturno
(22:006:00)
I (aree
particolarmente
protette)
50 dB(A)
40 B(A)
II (aree
prevalentemente
residenziali)
55 dB(A)
45 dB(A)
III (aree di tipo misto)
60 dB(A)
50 dB(A)
IV (aree di intensa
attività umana )
65 dB(A)
55 dB(A)
V (aree
prevalentemente
industriali)
70 dB(A)
60 dB(A)
VI (aree
esclusivamente
industriali)
70 dB(A)
70 dB(A)
Per comprendere quanto possa essere arduo
fissare dei criteri oggettivi, bisogna considerare che non sembra esistere neanche certezza sulle modalità con cui dovrebbero essere
effettuati i campionamenti relativi al valore
delle emissioni sonore. Secondo l’art. 2, comma 1, lett. e) della Legge Quadro, la misurazione dovrebbe essere effettuata «in prossimità
della sorgente» rumorosa. In questo caso
troverebbe applicazione il D.M. 16 marzo
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1998 “Tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico” che, peraltro,
non contiene alcuna indicazione circa le modalità di espletamento della misura (manca,
in definitiva, ogni indicazione su altezza dal
suolo, distanza dalla sorgente, angolazione
rispetto alla direzione di massima emissione
ecc.). Secondo il D.P.C.M. 14 novembre 1997,
art. 2, comma 3, «i rilevamenti e le verifiche
sono effettuati in corrispondenza degli spazi
utilizzati da persone e comunità». È evidente
che, in mancanza di certezze, tutto diventa
opinabile e discutibile con buona pace di
progettisti, consulenti tecnici e avvocati.
I criteri di valutazione
– La “normale tollerabilità” deve essere riferita al contesto circostante.
– A zone territoriali diverse corrisponde l’applicazione di differenti criteri di valutazione.
– In caso di conflitto, bisogna procedere alla
comparazione degli opposti interessi comparando le esigenze della produzione con
quelle della tutela della proprietà.
La normale tollerabilità
Secondo una giurisprudenza ormai ampiamente consolidata, il limite della “normale
tollerabilità” può dirsi superato nell’ipotesi
in cui la differenza tra il rumore di fondo e
quello generato dalla sorgente sonora sottoposta a esame sia superiore ai 3 dB (Trib. Genova 23 aprile 2011; App. Milano 28 febbraio
1995; App. Milano 29 novembre 1992; App.
Milano 17 luglio 1992; Trib. Savona, 31 gennaio 1990; App. Milano 17 giugno 1988; App.
Milano, 9 maggio 1986; Trib. Lecco, 26 giugno
1984; Cass., sent. n. 5157, 27 luglio 1983; Trib.
Monza, 26 gennaio 1982; Cass., sent. n. 5695,
4 dicembre 1978 e sent. n. 38, 6 gennaio 1978).
Viene applicato il cosiddetto criterio comparativo che parte dal presupposto che un
“uomo medio” non riesca a sopportare un
aumento di 3 decibel del rumore di fondo.
Ma perché si parla di un differenziale di 3
decibel?
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Questa misura viene fissata in base a nozioni
di comune esperienza. Si ritiene che un uomo-medio possa percepire variazioni sonore
nell’ordine di un solo decibel; si ritiene, altresì, che un aumento di 3 decibel corrisponda
a un raddoppio dell’intensità sonora e che,
oltre questa soglia, il rumore diventi insopportabile. Il nostro codice civile, come abbiamo visto, contiene un generico riferimento
al concetto di normale tollerabilità ma non
specifica quando il livello sonoro possa diventare intollerabile. Abbiamo visto che la
giurisprudenza si è attestata sulla soglia dei
tre decibel.
A questo punto possiamo aggiungere un ulteriore tassello: la raccomandazione ISO n.
1996/1971 “Valutazione del rumore in rapporto alle reazioni delle collettività” prescrive che:
– si deve considerare come livello rumore di
fondo il più basso livello di rumore riscontrato e che si ripete più volte durante il periodo di misura in assenza della sorgente
disturbante;
– in alternativa può essere impiegato il livello statistico cumulativo L95. Tale livello
viene definito come il livello di pressione
sonora che viene superato durante il 95%
del tempo di osservazione.
Occorre tenere presente, peraltro, che l’art.
844 cod. civ., pur riconoscendo il diritto del
proprietario di non subire delle immissioni
superiori alla normale tollerabilità, introduce, con il secondo comma, un limite rappresentato dall’esigenza di tutelare la produzione. In realtà si tratta di una disposizione sorta
nel regime fascista per tutelare quello che,
all’epoca, veniva considerato come “il preminente interesse della Nazione”, ovvero salvaguardare la produzione industriale. Ai nostri
giorni, vista la perdurante crisi economica e
i correlati problemi occupazionali, la stessa
disposizione dovrebbe assumere ancor più
valore, ma per garantire l’occupazione.
La Cassazione ha preso in considerazione
anche l’ipotesi, in pratica assai frequente,
che il fabbricato sia “misto” ovvero costituito sia da unità abitative che commerciali. In
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questo caso ci si chiede se debbano prevalere le ragioni della produzione o quelle delle
abitazioni. In tale ipotesi «il criterio dell’utilità sociale, cui è informato l’art. 844 cod. civ.
impone di graduare le esigenze in rapporto
alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando alla luce
dei disposti costituzionali le esigenze di vita
connesse all’abitazione rispetto alle utilità
meramente economiche inerenti all’esercizio di attività commerciali» (Cass., sent. n.
3090, 15 marzo 2003).
In alcune circostanze la Cassazione, chiamata a decidere in tema di immissioni sonore
prodotte da un condizionatore, ha precisato
che non conta soltanto il limite di legge ai fini
della tollerabilità dell’immissione sonora essendo invece necessario considerare anche lo
stato dei luoghi in cui il rumore viene prodotto. L’art. 844 cod. civ., infatti, impone di contemperare l’esercizio delle attività produttive
con la tutela del diritto di proprietà. Nel caso
in esame un professionista ha ottenuto l’inibitoria nonostante fosse stato accertato il
mancato superamento della soglia rumorosa
prevista dalla legge. Per quale motivo? I rumori dell’impianto di climatizzazione del vicino nuocevano alle attività professionali del
professionista che svolgeva una attività intellettuale e di studio che imponeva particolare
tranquillità (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 939, 18
gennaio 2011). Ciò vuol dire che il concetto di
“normale tollerabilità” non può essere determinato in maniera assoluta e oggettiva ma
si riferisce a una configurazione ambientale
specifica circoscritta nello spazio, che va valutata in relazione al rapporto che si insatura
fra singolo individuo (anzi, a questo punto,
tra l’attività professionale esercitata dal singolo individuo) e la sorgente sonora.
Le caratteristiche
dell’azione giudiziaria
Abbiamo visto, seppur a grandi linee, che le
immissioni diventano illegittime quando su-
perano una certa soglia di tolleranza fissata
dalla legge nei 3 decibel superiori al rumore
di fondo. A questo punto dobbiamo porci
altri quesiti: chi può agire e nei confronti di
chi?
La legittimazione (ovvero il potere di proporre l’azione) spetta al proprietario dell’immobile e/o al soggetto che ha il diritto di godere e di disporne (familiari del proprietario,
inquilini).
La legittimazione passiva (ovvero il soggetto
nei cui confronti deve essere proposta l’azione) compete al proprietario dell’immobile
dal quale si propagano le immissioni ovvero nei confronti dell’inquilino, considerato
come artefice materiale delle immissioni
(Cass. civ., Sez. III, sent. n. 8999, 29 aprile
2005). E del resto appare logico ritenere che
l’azione possa essere proposta nei confronti
dell’inquilino, quando miri a far sospendere le immissioni e, quindi, della turbativa
(Cass., sent. n. 15392, 1° dicembre 2000; sent.
n. 4086, 9 maggio 1997; sent. n. 2598, 23 marzo 1996 e sent. n. 1086, 15 ottobre 1998), ovvero nei confronti del proprietario, quando
miri al risarcimento del danno. In tale ultima
ipotesi avremmo un’azione risarcitoria riconducibile al criterio generale del neminem
laedere ex art. 2043 cod. civ. (Cass., sent. n.
11915, 7 agosto 2002 e sent. n. 15509, 6 dicembre 2000).
Secondo una giurisprudenza più remota,
l’azione dovrebbe essere proposta nei confronti del proprietario nell’ipotesi in cui si
chieda di procedere all’esecuzione di lavori
di straordinaria manutenzione necessari
per l’abbattimento delle immissioni allo scopo di riportarle all’interno della “soglia”. In
questo caso, infatti, trattandosi di opere di
straordinaria manutenzione, i relativi costi
rimarrebbero a carico del proprietario e non
dell’inquilino (Cass., sent. n. 2598, 23 marzo
1996 e sent. n. 13069, 22 dicembre 1995). Una
forma di responsabilità aggravata del locatore potrebbe essere configurata nel caso in
cui esso avesse coscientemente concesso in
locazione l’immobile ben sapendo che l’atConsulente immobiliare 2014
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tività espletata avrebbe comportato delle
immissioni eccedenti la normale tollerabilità (Cass., sent. n. 1833, 31 maggio 1976). La
Cassazione ha ritenuto che, una volta che
sia stata accertato che le immissioni sonore
prodotte da macchine di condizionamento (nel caso in esame si parlava di “torri di
raffreddamento”) abbiano superato la soglia
della normale tollerabilità, al danneggiato
spetterebbe comunque il risarcimento, ma
limitatamente al periodo temporale in cui
abbia subito il danno (fermo restando che
occorre farsi carico di provare l’entità del
danno subito a causa delle immissioni illegittime).
L’azione mira a far accertare l’esistenza delle
immissioni e a ottenerne l’inibitoria; in parole povere si chiede al Giudice di accertare
l’esistenza del fenomeno molesto, individuarne le causa e ordinare al responsabile
di cessare la turbativa ovvero ordinare al
responsabile della turbativa di adottare tutte le cautele atte a riportare le immissioni
nei limiti della normale tollerabilità avuto
riguardo alla condizione dei luoghi. Parallelamente il danneggiato potrebbe chiedere
anche il risarcimento del danno subito; in
tale contesto potrebbe essere chiesto il risarcimento del danno alla salute. Secondo la
Corte d’Appello di Milano, il danneggiato ha
l’onere di fornire la prova che la lesione della
propria integrità psicofisica sia derivata da
stress indotto dal rumore illecitamente provocato da un impianto di condizionamento,
diversamente il danno biologico non è risarcibile (App. Milano, sent. n. 688, 4 marzo
2003).
Abbiamo visto, in precedenza, che la tutela
del decoro architettonico può essere azionata solo da un condomino essendo improponibile, per esempio, l’azione proposta dal
dirimpettaio ovvero dal proprietario di un
appartamento posto nel fabbricato di fronte. In tema di immissioni la situazione cambia radicalmente. L’azione, infatti, non deve
necessariamente essere proposta da un condominio ma potrebbe essere portata avanti
da chiunque ne abbia interesse. È ovvio che
se il rumore del condizionatore disturba il
vicinato anche se non rientra nello stesso
condominio, certamente ci sarà l’interesse
ad agire per far cessare la turbativa.
Per finire, ricordiamo che, secondo il Tribunale di Udine, rientra nelle competenze del
Giudice di Pace la controversia relativa alle
modalità di utilizzo del muro perimetrale
dell’edificio condominiale, relativamente
all’installazione del condizionatore secondo le modalità più conveniente dal punto di
vista estetico e dell’eventuale inquinamento
acustico e ambientale (Trib. Udine, 16 luglio
2001).
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Le agevolazioni fiscali
L’installazione del condizionatore
gode le agevolazioni fiscali.
Ma vediamo qual è l’IVA
applicabile.
L’art. 1 della legge 449 del 27 dicembre
1997 “Misure per la stabilizzazione della
finanza pubblica” è una delle norme più
amate dagli italiani avendo introdotto una
raffica di benefici fiscali per le ristrutturazioni edilizie.
La norma, dettata da un lato per superare la crisi del settore edile e dall’altro per
combattere l’evasione fiscale, ha introdotto una serie di agevolazioni fiscali che, in
origine, dovevano avere carattere eccezionale ma che, con il tempo, sono state “stabilizzate” dai governi succedutisi nel corso
degli ultimi anni.
Tra gli interventi agevolati abbiamo anche
«le opere finalizzate al risparmio energetico di cui alla legge 10 del 9 gennaio 1991
e al D.P.R. 412 del 26 agosto 1993». In tale
contesto sono agevolabili anche gli interventi diretti all’installazione degli impianti
di condizionamento.
Tale interpretazione appare suffragata
dalla circolare dell’Agenzia delle entrate n.
557/E del 28 febbraio 1998 “Artt. 1 (commi
1, 2, 3, 6 e 7) e 13 (comma 3) della legge 449
del 27 dicembre 1997. Interventi di recupero
del patrimonio edilizio e di ripristino delle
unità immobiliari dichiarate o considerate
inagibili in seguito agli eventi sismici verifi-
catisi nelle regioni Emilia-Romagna e Calabria”.
L’Erario, precisando che sono agevolabili
anche i costi finalizzati al risparmio energetico realizzati in assenza di opere edilizie, sembra aver ufficialmente aperto le
porte alla installazione dei condizionatori
che, come sappiamo, non richiedono in genere opere edili complesse.
Ulteriore conferma a tale interpretazione
viene fornita dalla stessa Agenzia delle entrate attraverso i famosi e utili “opuscoletti” a cui siamo ormai abituati.
Ci si riferisce, in particolare, alla Guida alle
agevolazioni IRPEF per le ristrutturazioni
edilizie (pubblicata sul sito www.agenziaentrate.gov.it) che, per l’appunto, include
tra gli interventi agevolati anche quelli diretti alla realizzazione di caloriferi e condizionatori.
Non sempre l’impianto
è agevolabile
Affinché il condizionatore sia agevolabile,
peraltro, è necessario che esso assolva a
una duplice funzione: raffrescamento estivo e riscaldamento invernale. Se l’impianto, poi, viene realizzato in sostituzione di
un preesistente impianto di riscaldamento
autonomo o centralizzato, magari più datato e meno “risparmioso” non c’è motivo
di ritenere che le spese sostenute non possano essere recuperate, almeno in parte, in
sede di dichiarazione dei redditi.
Per assicurarsi lo sconto, il contribuente
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dovrà seguire la procedura prevista per le
ristrutturazioni edilizie ovvero effettuare
i pagamenti mediante bonifico parlante e
conservare tutte le fatture comprovanti le
spese sostenute. Ma non è tutto.
Oltre a effettuare i pagamenti attraverso il cosiddetto “bonifico parlante” normalmente richiesto per avvalersi delle
detrazioni fiscali, occorre farsi rilasciare dall’installatore una dichiarazione di
conformità dell’impianto ai fini del conseguimento del risparmio energetico (da
conservare per eventuali richieste di chiarimenti del fisco). Si tratta della semplice
dichiarazione di conformità dell’impianto
a norma di legge che in genere viene sempre rilasciata dall’installatore a integrazione della certificazione del produttore
sulle caratteristiche dell’impianto. Anzi,
per essere prudenti, occorre in ogni caso
tener presente che le spese sostenute
sono detraibili solo ed esclusivamente
a condizione che le opere eseguite siano
finalizzate al risparmio energetico. Sotto
questo profilo, per evitare inutili problemi legati a possibili accertamenti, sarebbe
auspicabile fornirsi di una relazione rilasciata da un tecnico abilitato da cui risulti
inequivocabilmente il risparmio energetico conseguito dall’immobile a seguito
dell’installazione dell’impianto di condizionamento.
Qual è l’IVA applicabile?
Quando si è alle prese con il Fisco, le norme, il più delle volte, sono nebulose e di
difficile interpretazione anche per gli addetti ai lavori. Il problema, nel nostro caso,
si complica non poco in quanto il condizionatore, dal punto di vista fiscale, rientra
tra i cosiddetti “beni significativi” con ciò
intendendo qui beni il cui valore ha una
certa rilevanza rispetto alla manodopera
necessaria per la loro installazione. Ma... di
cosa si tratta?
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In parole povere l’Erario, forse per complicarci la vita, ha pensato bene di sottoporre
la realizzazione di alcune opere tassativamente indicate nel D.M. finanze 29 dicembre 1999 “Individuazione dei beni costituenti
parte significativa del valore delle forniture
effettuate nel quadro degli interventi di recupero del patrimonio edilizio realizzati su
fabbricati a prevalente destinazione abitativa, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. b),
della legge 488/1999” a un “doppio binario”.
In primo luogo è opportuno sottolineare
che tale normativa si applica (fortunatamente) solo ad alcuni beni e precisamente
ad ascensori e montacarichi, infissi esterni e interni, caldaie, videocitofoni, apparecchiature di condizionamento e riciclo
dell’aria, sanitari e rubinetterie da bagno,
impianti di sicurezza.
Come dicevamo, il regime IVA non è certamente dei più semplici e richiede un calcolo particolarmente complesso, vediamo di
chiarire la situazione.
In linea di principio, potremmo affermare
che l’aliquota IVA del 10% si applica per i
beni significativi che hanno un valore inferiore al 50% del corrispettivo riferito all’intero intervento.
Sul punto il Ministero delle finanze, con
una propria circ. n. 71/E del 7 aprile 2000,
ha chiarito (par. 4) che «ai beni elencati nel
D.M. finanze 29 dicembre 1999 l’aliquota
ridotta si applica solo fino a concorrenza
del valore della prestazione, considerato
al netto del valore dei predetti beni». Ma
questa è solo una regola a carattere generale, nella realtà tutto si complica.
Nel caso in cui il valore dei beni significativi sia superiore al 50% del costo dell’intero intervento, sarà necessario ricorrere
all’ausilio di un commercialista in quanto
occorrerà:
a. scorporare il costo della manodopera
dal corrispettivo complessivo dell’intervento;
b. evidenziare il valore dei beni significativi;
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c. applicare l’aliquota del 10% al compenso
relativo alla manodopera, aumentato della
differenza tra il valore complessivo dell’in-
tervento e il valore dei beni significativi;
d. applicare l’aliquota del 20% sull’ecce-
denza di valore dei beni significativi.
Esempio
Poniamo che l’intero impianto costi € 5.000 di cui € 3.000 per il solo condizionatore ed € 2.000
per la manodopera.
Avremo un’aliquota IVA al 10% sull’importo della manodopera trattandosi di prestazioni di servizi
relative agli interventi di recupero edilizio, di manutenzione ordinaria e straordinaria, realizzati
sugli immobili a prevalente destinazione abitativa privata nonché su € 2.000 di beni significativi
(cioè sulla differenza tra l’importo complessivo dell’intervento e quello degli stessi beni significativi (5.000 – 3.000 = 2.000).
Sul valore residuo del bene significativo (€ 1.000) l’IVA si applica nella misura ordinaria del 22%.
Esempio di fattura
FATTURA n. ….. del …....................
Egr. Sig.
Mario Rossi
c.so di Porta Romana, 15
20122 – Milano
Fornitura in opera di un impianto di condizionamento presso il Suo appartamento
in c.so di Porta Romana, 15 – Milano.
Prestazioni per la posa in opera
€
2.000,00
Condizionatore marca ….................... mod. …....................
(bene significativo, ex D.M. 29.12.1999)
€
3.000,00
€
5.000,00
IVA al 10% su manodopera1
€
200,00
IVA al 10% su bene significativo 5.000 – 3.000 = 2.000
€
200,00
IVA al 22% sulla differenza € 1.000
€
220,00
€
5.620,00
Totale imponibile
Totale fattura
Aliquota IVA agevolata per prestazioni di servizi relative agli interventi di recupero edilizio, di manutenzione ordinaria e
straordinaria, realizzati su immobili a prevalente destinazione abitativa privata.
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