Anno 35 n. 405 - Maggio 2000 - Lire 2000
Maggio 2000 - pag. 1
C’è una sola Versilia: quella bagnata dallo stesso ed unico Fiume
Direzione: Casella Postale 94 - 55046 Querceta (Lucca) - Sped. in a. p. - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Lucca - Abb. annuo lire 20.000 - Estero il doppio.
UN GRANDE ARTISTA
EVENTI CULTURALI
CIAO
CÁTA!
LA STATUA AL SOLDATO ALLEATO
Tobino,
Cancogni
e…Zeman
Via Coppino è parallela alla
Burlamacca e va a finire in
mare, come la fossa, dove si
aprono i cantieri navali e dove
si cullano pigre le barche. Dal
1907 – al numero civico 245 –
c’è la sede della “Lega di Mutuo Soccorso fra Maestri
d’Ascia e Calafati”. Dal balconcino si vede il cuore di Viareggio.
In questa prestigiosa sede,
prosegue l’attenzione del pubblico e della critica all’opera di
Alfredo Catarsini nel centenario della nascita, che si è conclusa in aprile al Sant’Agostino di Pietrasanta.
Dopo Viani, quattro artisti
costituiscono il nucleo centrale
della pittura viareggina: Alfredo Catarsini, Mario Marcucci,
Eugenio Pardini e Renato Santini.
I tesori di Santini sono le lasciate del libeccio, gli straccali, le avventure paurose e bellissime dei marosi, i travagli di
chi sul mare vive e muore. Pardini canta, nei suoi affreschi
leggeri ed eleganti, le storie dei
viareggini di terra e di mare, le
vendemmie, le mietiture, le musiche del palude e del lago, i mestieri, i vari nei cantieri navali,
le magie del Carnevale. Marcucci scova la poesia scabra e
solenne delle minime cose, il
muro screziato dal tempo, il
tronco nodoso del platano, i
gusci neri dei mitili, la scodella
delle patate, una darsena appena azzurrata dalle luci del primo mattino, un angolo della
Viareggio più ricca di colore e
più chiassosa dov’era nato, la
lunga processione dei piccoli
segni del tempo, come rosario
di preghiere civili. Per Catarsini, invece, Viareggio è la vita
stessa. Dipinge sempre Viareggio, anche quando il soggetto
immediato non è Viareggio. E
comincia dalla darsena. E’ la
sua scuola di vita, di suoni, di
colori, di forme, di luci, di umanità vera. La darsena è un mondo: è un pianeta in continua rivoluzione astrale, con tanti piccoli e prodigiosi satelliti.
Viareggio non è nata come
spiaggia di élite, come “Perla
del Tirreno”, centro balneare e
turistico d’eccellenza. E’ sorta
lungo la fossa, con la gente di
mare, pescatori e marinai, calafati e maestri d’ascia. Vocazione marinara e cantieristica
hanno fatto Viareggio. Il turismo è venuto dopo.
Anche le sue caratteristiche
più vive e più vere – Carnevale
e Liberty – gli vengono dagli
uomini di mare. E’ la fantasia
di chi è stato e sta “agli sbruffi
del mare” e ha visto mille cose
in mille parti del mondo che dà
l’estro del Carnevale e del par-
Raffaello Bertoli
(Continua alle pagg. 7-8)
Abbiamo assistito a due
grandi eventi culturali: il primo, la proiezione del film “Sulla spiaggia e di là dal molo”
tratto dal libro dell’indimenticabile Mario Tobino. Il regista
Giovanni Fago e tutto l’ambiente viareggino di cui si è circondato hanno creato un vero
capolavoro d’arte e di poesia.
Al termine siamo passati dalla mitica farmacia, dal dott.
Candido Tobino, nipote del
grande scrittore, per esprimergli la nostra viva commozione.
L’altro evento è il nuovo libro di Manlio Cancogni “Il
Mister”, editrice Fazzi di
Roma. Ci siamo recati nella
capitale dove, al teatro Flaiano, in pieno centro, c’è stata la
presentazione dell’opera. Ne
hanno parlato tutti i principali giornali nazionali. Riportiamo quanto è stato scritto dalla
“Gazzetta dello Sport”:
È stato amore a prima vista.
E non poteva essere altrimenti,
perché Manlio Cancogni, scrittore e giornalista dalla spiccata
verve polemica, non poteva non
scegliere come eroe del suo ultimo romanzo l’allenatore-contro del calcio italiano, Zdenek
Zeman il Mister, appunto.
«Mi colpì a Foggia, rimasi
affascinato dallo spirito carismatico di Zeman, dalla sua capacità di comunicare oltre lo
sport e di trasformare un città
difficile e senza storia», racconta Cancogni, 84 anni portati a
meraviglia, rintracciato in Versilia dove vive quando non è a
New York: «Sono sempre stato
Tiziana Bottazzo
(Continua a pag. 2)
Caro Giorgio,
tanto tuonò che piovve! Da
vari articoli pubblicati nelle cronache locali riscontro nuove critiche e proteste sulle imposizioni contributive applicate dal nostro “benemerito” Consorzio di
bonifica Versilia-Massaciuccoli.
Proteste contestuali con l’arrivo
delle cartelle di iscrizione a ruolo (eravamo stati facili profeti),
tanto da indurre l’assessore provinciale alle bonifiche Emiliano Favilla a proporre uno slittamento della tassazione anche nel
timore che l’opera del consorzio
sia avvertita “dalla gente come
una scelta vessatoria” e a cercare conforto nella consulta dei
comuni del comprensorio che, al
contrario, dovrebbero essere più
vicini ai vessati.
Uno slittamento non è ovviamente un’abrogazione ma solo
un tentativo di far ingollare il
rospo delicatamente, a piccole
dosi. I signori dei Palazzi, più o
meno grandi, sembrano ignorare che la miriade di leggi in
materia di bonifica, tutela delle
OPERA DI MARCELLO TOMMASI COLLOCATA SUL VIALE APUA
aprile che aveva
come primo obiettivo l’espugnazione del Castellaccio
(Georgia secondo
il codice militare)
la cui vetta fu liberata alle 5,30.
Le postazioni tedesche furono messe in allerta dall’esplosione di
mine che uccisero
alcuni soldati americani e immediatamente incominciarono a sparare
raffiche di mitragliatrici e a lanciare bombe a mano.
Uno dei due testimoni oculari che
furono salvati dall’azione di Sadao
Munemori, il soldato scelto Akira
Shishido (morto
undici anni fa) riMarcello Tommasi. Sadao Munemori (particolare ferì i fatti che si
della statua collocata sul viale Apua a Pietrasanta). susseguirono in
Il soldato scelto Sadao S. Mu- quel giorno fatale. “Mentre noi
nemori, vice caposquadra della avanzavamo verso l’obiettivo,
Compagnia A del 100º Battaglio- un’altra mitragliatrice aprì il
ne del 442º Reggimento di Fan- fuoco proprio lì dove eravamo
teria dell’Esercito Americano, il arrivati. Il soldato Oda (Jimi,
5 aprile 1945, da solo, con bom- l’altro dei due) ed io ci tuffambe a mano, distrusse due mitra- mo a capofitto nel cratere creagliatrici tedesche, uccise tre mi- to dallo scoppio di un proiettile
traglieri e ne ferì due, poi sacri- e il soldato scelto Munemori,
ficò la propria vita per salvare strisciando, ritornò indietro
due dei suoi compagni.
dopo di noi. I tedeschi incominAlle ore 21,00 del 4 aprile ciarono di nuovo a lanciare
1945 il 100º Battaglione, con le bombe a mano. Dieci o dodici
Compagnie A e C in testa, sotto caddero vicino al nostro cratela protezione dell’oscurità, si re, ma non fummo feriti dalle
spostò dal punto d’assemblea loro esplosioni”.
nelle vicinanze di Pietrasanta e
Mentre Munemori strisciava
s’incamminò verso il Monte di carponi verso il cratere, furono
Ripa (in codice rinominato Flo- lanciate altre bombe a mano.
rida), per dare inizio, di sorpre- Una di queste rimbalzò sul suo
sa, all’offensiva contro le forti- elmetto e rotolò nel buco già
ficazioni tedesche, con un attac- occupato da Shishido e da Oda.
co frontale alle ore 5,02 del 5 Munemori, senza esitare, balzo
TRIBUNALE DI LUCCA IL 12 MAGGIO PROSSIMO
Consorzio: scade la partita
acque e risorse idriche, con le
loro sovrapposizioni e interferenze, mettono dei paletti, oltre
che ai vessati, anche alle loro
libere interpretazioni delle norme: ma fanno finta di non capire o non vogliono capire.
Nel ricordare anzitutto che i
consorzi di bonifica, come confermato nel Piano di classifica
recentemente proposto dal Versilia-Massaciuccoli con validità dal 2000, fondano la loro pretesa capacità impositiva esclusivamente sulla legge della bonifica integrale delle zone agricole (R.D. 215/1933) e, a livello locale, sulla legge regionale
Toscana n° 34/1994 che, nei termini del R.D. del 1933, limitano l’imposizione contributiva
“in proporzione ai benefici derivanti a ciascun immobile” dalle opere di bonifica, viene da
chiedersi se gli eventuali interventi su fiumi e torrenti rientrino strettamente nella bonifica.
La Corte costituzionale, con
sentenza n° 326/1998, fra l’altro
ha riconosciuto l’inesistenza di
esclusività di funzioni pubbliche
a favore dei consorzi di bonifica
e, di converso, l’esistenza del
potere in capo alle Regioni di
attribuire le funzioni già esercitate dai detti consorzi ad altri Enti
territoriali (Province e Comuni)
in applicazione della Legge 142/
1990. Le leggi e le sentenze sono
tante, anzi sicuramente troppe,
ma regolarmente ignorate dagli
amministratori pubblici.
Nonostante leggi e sentenze i
consorzi di bonifica, nati all’origine come autentiche associazioni di agricoltori, si sono trasformati da anni, con la connivenza
di regioni, province e comuni, in
carrozzoni da balzello, vere e
proprie strutture corporative:
pubbliche appunto perché ce
l’hanno con il pubblico.
Non so quindi come definire,
se non vessatoria, la regola di
sulla bomba e coprendola con
la parte superiore del suo corpo
arcuò le spalle e piegò giù la
testa in modo che le schegge
prodotte dallo scoppio della granata non recassero danno ai suoi
commilitoni.
Così Sadao Munemori salvò
la vita dei suoi compagni d’armi e contribuì, sacrificando la
propria vita, alla liberazione
della Versilia. La serrata battaglia permise ai soldati americani di usare la loro artiglieria solamente in modo limitato e per
continuare ad avanzare fu necessario distruggere le postazioni
tedesche una ad una adoperando bazookas e bombe a mano. Il
combattimento durò tutto il giorno, ma all’imbrunire i tedeschi
che erano rimasti vivi fuggirono
in ritirata dal resto del Castellaccio. Alle 23,45 i nemici intentarono un contrattacco ma furono
fermati dal fuoco preciso dell’artiglieria e dei mortai americani.
Il 7 marzo 1946 il soldato
scelto Sadao S. Munemori venne insignito alla memoria dal
Presidente Harry S. Truman con
la Medaglia d’Onore del Congresso degli Stati Uniti d’America, la più alta decorazione
americana al valor militare. Il 13
marzo di quell’anno la medaglia
fu consegnata alla madre di Sadao Munemori, durante una cerimonia speciale a Fort MacArthur, California, dove l’eroe
aveva incominciato il suo servizio militare. Oggi, la sua Medaglia d’Onore è esposta nel
Museo dell’Esercito Americano
di Honolulu (Hawaii, U.S.A.).
Amèrico Bugliani
Le gesta di Sadao Munemori, raccolte per la prima volta
da Fabrizio Federigi su “La
Nazione” e in “Versilia Linea
Gotica” sono narrate nel libro
“S. Anna l’infamia continua” di
Giorgio Giannelli.
attribuire la messa in sicurezza
di fiumi, canali e torrenti, un tempo di competenza dello Stato
(tramite gli uffici dei fiumi del
Genio Civile e Provveditorato
reg/le OO.PP) senza alcun onere per i cittadini già assoggettati
a imposte di varia natura, ai consorzi di bonifica con imposizioni contributive a carico dei soli
proprietari di immobili: come se
anche i non possidenti (che non
è scontato siano in miseria) non
potessero fruire di questa presunta sicurezza configurata come
beneficio generale.
Mentre nessuna norma di legge ha ampliato la capacità impositiva dei consorzi, basata sempre sui benefici diretti e specifici derivati a ciascun immobile,
permangono quindi fondati dubbi sulle competenze istituzionali dei consorzi stessi in materia
di sicurezza ambientale.
A sfrucugliare nella miriade
delle norme sulla materia si scoprono poi delle situazioni quan-
Luigi Pellizzari
(Continua a pag. 2)
Maggio 2000 - pag. 2
IL MISTER
un grande appassionato di calcio, anche un buon giocatore di
“campetti”. Ho tifato per il grande Bologna, poi non ho più avuto una squadra del cuore. Considero il calcio un’espressione
artistica, come la danza, fatto di
bei gesti, invenzione, fantasia.
È il grande spettacolo dei giorni nostri. E Zeman crede nel bel
gioco con il quale sa comunicare oltre lo sport».
Una dichiarazione struggente. Cancogni e Zeman non si
erano mai incontrati, non si conoscevano, non si erano mai
parlati. Ma Zeman, nel suo buen
retiro di Roma, è ormai abituato a ricevere dediche di prestigio: Antonello Venditti gli ha
intitolato un brano del suo nuovo cd «Good bye Novecento»,
Antonio Albanese ne ha fatto un
personaggio del suo spettacolo
«Giù al Nord». Ora ne «Il Mister» sarà Ivo Zoran, l’allenatore-giocatore del Malafronte,
squadra del quartiere Savoia
della Roma fascista, avversaria
dell’Aquila romana, allenata da
un gerarca. Zoran, allenatore
idealista, verrà misteriosamente ucciso, anzi, immolato.
«Avevo incominciato a scrivere questo romanzo nel ’93, era
intitolato “Zona Cesarini”, tre
anni fa l’ho ripreso in mano pensando sempre allo Zeman di
Foggia, perché è in provincia che
uno come lui può operare e farsi
ascoltare. Quando è arrivato a
Roma già sapevo che non avrebbe avuto lo stesso successo, perché è difficile comunicare in una
grande città». A Cancogni di
Zeman piace tutto: «Il suo fisico
legnoso, la sua magrezza, il naso
appuntito e indicatore, che lui
usa come la bacchetta di un direttore d’orchestra. È una specie
di grande Pinocchio». Ma soprattutto piace «il suo verbo che
traspare dai silenzi, dalle risposte sibilline, dalla sua ironia.
Zeman è un grande predicatore
perché crede nel calcio come
spettacolo. È un profeta, che non
viene ascoltato, come tutti i profeti. Il valore delle loro parole
viene apprezzato soltanto nell’avvenire».
Nel romanzo «Il Mister» il
personaggio sparisce, ma secondo Manlio Cancogni «Zeman
non ha finito la carriera di allenatore. Non vorrei però rivederlo in A, lui è nato per far risorgere una squadra minore o per aiutarne una in difficoltà a non retrocedere. Se proprio vuole rimanere in A, lo vedrei bene alla
guida del Venezia o del Perugia».
Uno sguardo diverso sul calcio, distaccato e profondo, per-
ché Cancogni si sente un po’
Zeman: «Condivido il suo
modo d’essere al di fuori delle
regole. Quando per dieci anni,
dal ’55 al ’65, ho tenuto una
rubrica sportiva sull’Espresso
con lo pseudonimo di Emilio
Speroni, mi consideravano uno
“diverso”, preferivano non
prendermi sul serio. Ma era soltanto perché usavo un linguaggio inconsueto per il calcio».
CONSORZIO
to meno strane: ad esempio, l’art.
1 della legge (statale, prevalente
su quelle regionali) n° 36/1994
recita che “Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché
non estratte dal sottosuolo, sono
pubbliche e costituiscono una
risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà”. Viene spontaneo di chiedersi, in tale stato di fatto e di
diritto, a quale titolo un proprietario di immobile, specie nei centri abitati e urbanizzati, debba
essere torchiato per lo scolo e canalizzazione di acque non “sue”
ma pubbliche e in molti casi utilizzate per le risorse idriche (irrigue, potabili, ecc.) generalizzando l’imposizione all’intero
comprensorio di bonifica, comprese le zone esenti da qualsiasi
rischio idrogeologico e ami colpite, a memoria d’uomo, da alluvioni.
Evidentemente nello stesso
ambito nazionale le leggi vengono interpretate ed applicate in
maniera difforme perché, ad
esempio, mentre la Regione Lazio ha disposto l’abolizione dei
contributi di bonifica a carico
degli immobili nei centri urbani
serviti da fognatura, recentemente il Comune di Piacenza con
l’Amministrazione provinciale
ha citato in giudizio il locale consorzio di bonifica Valtidone-Valtrebbia per la restituzione dei
contributi finora versati con diffida allo stesso consorzio di iscrivere a ruolo contributivo fabbricati ricadenti nel capoluogo.
I nostri sindaci del comprensorio cosa fanno? Sono pronti
ad allinearsi e cantare nel coro
invocato dall’assessore Favilla?
Abbiamo fede!: prima o poi
in Toscana ci troveremo tra i
piedi i contributi per i vigili urbani (sicurezza sociale), per i
vigili del fuoco (sicurezza antincendi), per le guardie forestali (sicurezza ecologica) e così
via menando perché sono servizi… pubblici, da non confondere con le vessazioni.
Luigi Pellizzari
P.S.
A integrazione di quanto
sopra devo segnalare che,
come risulta dal “Sole-24
Quando il lavoro crea amicizia
In questo mondo dove il rapporto d’amicizia fra le persone,
anziché essere una cosa naturale è diventato una rarità, ci
sono ancora degli uomini che
sentono il desiderio, dopo tanti
anni, di ritrovarsi.
Così è stato per i dipendenti in
pensione della “Freda”. L’idea
di questa rimpatriata è venuta a
Romano Verona e Sandro Tonacci. Dal momento della pensata a
metterla in atto è stato un lampo.
Con qualche telefonata il “tamtam” ha cominciato a funzionare e quasi tutti hanno risposto all’invito. Fondata nel 1963 da
Baldo Frediani e da Vando D’Angiolo, acquisendo il vecchio laboratorio della ditta Bertelli, esi-
stente in località “Barchetta” al
completo di tutta la forza lavoro
con a capo il mitico Renato Capovani già capolaboratorio all’Henraux dei tempi migliori.
In 37 anni di storia dei fatti
ne sono avvenuti, tante cose
sono cambiate, ma nella Freda
il motto “le cose impossibili le
facciamo subito, per i miracoli
un paio di giorni” ha avuto dei
riscontri positivi.
È vero: la guida dei fondatori,
il loro acume negli affari ed avere buon senso nel rapporto con i
dipendenti, è stato fondamentale, ma tanto ha giovato l’affiatamento e l’attaccamento dei lavoratori. Dicendo lavoratori dipendenti sarebbe riduttivo, meglio
CAVARE IL MARMO RISPETTANDO LA MONTAGNA È POSSIBILE
ACaroLevigliani
c’è
l’alternativa turismo
di tonnellate di marmo pregiato, chioni anche voi di Levigliani.
direttore,
alimentando così tutto l’indotto
e dando negli anni lavoro a migliaia di persone. Queste sono le
cose importanti, e mi associo alla
preoccupazione di Roni, ma mi
tolga una curiosità: quando dal
mare ha visto il monte Corchia,
a suo parere così “massacrato”,
non ha visto le cime delle Cervaiole di proprietà della ditta
Henraux? O forse ha scambiato
quella cava di marmo per una
delle nostre! I cavatori nell’estrarre il loro marmo, sia pure
nel rispetto delle norme vigenti,
vanno inevitabilmente a modificare quella che è la naturale morfologia della montagna e nel giudicare il loro operato sia in positivo che in negativo, non vanno
usati due pesi e due misure.
Lei inoltre palesa il pentimento per aver aiutato i terrinchesi
nella realizzazione della strada
Versiliana-Carducci, rammaricandosi perché negli anni è servita soprattutto per l’estrazione
del marmo. Ebbene, a cosa si
augurava potesse servire quella
strada, forse pensava servisse ai
turisti del litorale, che dopo aver
tenuto tutto il giorno i piedi a
“bagno-maria” potessero visitare i nostri alpeggi dove magari
trovarci con in dosso abiti folkloristici, zoccoli ai piedi, a pascolar greggi e a citar proverbi dialettali. Sono spiacente ma non
è andata così, grazie anche a
quella strada e all’intraprendenza dei leviglianesi, si è venuta a
creare un’attività economica
locale importantissima che,
mediante l’istituto del cooperativismo, ha saputo negli anni
amministrarsi creando ricchezza equamente distribuita sul territorio a tal punto da essere citata più volte ad esempio da
persone illustri, a differenza invece di altri casi dove unico
beneficiario degli utili è il proprietario dell’agro marmifero.
Nel porle i miei saluti la invito a rendersi conto personalmente di quanto da me sopra riportato, offrendole la mia disponibilità ad accompagnarla, qualora raccogliesse il mio invito.
Distinti saluti.
chi le scrive è un leviglianese,
e come suo abituale lettore non
posso rimanere indifferente davanti alla affermazione dove si
accusa i leviglianesi non solo di
aver “massacrato” il monte Corchia, ma, testuali parole, “per
vendere”, il marmo, “magari a
blocchi e senza farlo neppure lavorare nei laboratori Versiliesi”.
Non voglio in queste righe riportarle discorsi apparentemente retorici sulla nascita delle cave
e di quanto i nostri padri abbiano sofferto negli anni passati prima di poter avere un riscontro
economicamente valido da questa attività, pagando non solo con
fatiche e stenti ma a volte con la
vita stessa. Desidero semplicemente farle presente che le nostre attività estrattive si svolgono in piena regola, debitamente
autorizzate dagli enti preposti tra
cui il Parco delle Alpi Apuane, il
quale rilascia l’importante autorizzazione al vincolo sia idrogeologico che paesaggistico.
È in atto, di apri passo all’estrazione, che proprio per il
suo regolare e moderno svolgimento è fra l’altro oggetto di
studio e finanziamento da parte
della Comunità Economica Europea, un progetto di ripristino
ambientale mediante la graduale asportazione del ravaneto sottostante.
Inoltre è ben che sappia, che
il marmo da noi estratto ha da
sempre creato indotto sul territorio versiliese, a partire dalle
ditte di trasporto fino a quelle di
completa trasformazione come
la vecchia “Marmifera La Versilia”, la Pellerano Marmi, la Savema S.p.A., per non parlare di
tante altre piccole imprese di cui
non sto a elencare i nomi, come
l’impresa di mio padre a conduzione familiare che esattamente
da quaranta anni lavora e trasforma l’Arabescato del Corchia.
In prima pagina del suo mensile, sempre del mese di aprile,
compare l’articolo di Roberto
Roni, dove lo stesso si presenta
preoccupato sulle sorti della ditta Henraux e nell’esporre tutti i
fatti, ci ricorda l’estrema importanza che ha avuto e ha tutt’ora
quest’impresa per l’economia
apuo-versiliese. Le sue cave poste soprattutto nel territorio seravezzino, hanno, da oltre 150
anni estratto migliaia e migliaia
Caro Vannucci, il fatto è che
credevo fossero furbacchioni
solo i terrinchesi (mio nonno
era di Terrinca), ma adesso mi
rendo conto che siete furbac-
Già l’amico Romano Babboni (presente alla famosa cena del
1967) aveva trovato modo di
polemizzare con lo scrittore e
giornalista Manlio Cancogni,
reo di aver fatto conoscere a
papa Giovanni Paolo II l’esistenza dell’Antro del Corchia.
Adesso ci si mette anche lei, approfittando di un inciso di sei righe nel contesto di un articolo
che aveva ben altri scopi: quello di mettere in evidenza l’innata ingratitudine dei versiliesi. E
dei terrinchesi in particolare.
Bene. Pubblico molto volentieri la sua lettera, così come feci con
Babboni perché siano ancora una
volta messe in chiaro le buone intenzioni di voi che scavate il marmo. Ha fatto bene a mettere in risalto l’articolo di Roni che, non a
caso, ho pubblicato in prima pagina: vuol dire che la linea del
giornale è quella lì.
La sua maliziosa battuta sull’Altissimo non mi tocca. Il disastro delle Cervaiole non l’ho
provocato io. Quello del Corchia
si. E me ne pento. Quindi non
parli di due pesi e due misure;
non è il mio caso. Mi domanda
infine cosa mi auguravo quando feci costruire quella strada
nel 1967. Semplicissimo: che
aiutasse la gente di Levigliani a
cavare il marmo, ma in ben altro modo. Visto dalla pianura il
Corchia sembra abbia la pancreatite. Lei conosce questa malattia? Io sì perché mancò poco che
ci lasciassi le penne.
Insiste poi disprezzando coloro che “dopo aver tenuto tutto il giorno i piedi a bagno maria” possano visitare i nostri alpeggi. E perché no? Al Forte
dei Marmi hanno smesso di dedicarsi al marmo e si sono
dati al turismo. Ed hanno fatto
quattrini a palate, senza rovinare il paese come hanno fatto
a Viareggio od a Marina di
Massa. L’Antro del Corchia del
resto è il primo segnale che
molto in questo settore si potrà
fare anche a Levigliani. Perché
dunque disprezzare quelli che
tengono i piedi a bagno maria?
Mi vuole invitare? A Levigliani ci vengo spesso e ci ho passato anche dei felici capodanni. Ma se mi vuole accompagnare anche sui luoghi del delitto,
ci verrò di nuovo molto volentieri. Mi telefoni.
Ore” del 25 marzo, anche la
Regione Marche nell’art. 13
della sua “Finanziaria 2000”
ha inserito una norma che
esenta dal contributo di bonifica “i proprietari degli immo-
bili ricadenti in zone urbane”
che già pagano la tariffa per
il servizio di pubblica fognatura: ma in Toscana si continua a pensare che la doppia
contribuzione per le zone ur-
bane non sia vessatoria! Una
notizia: il 12 maggio ci sarà la
prima udienza presso il Tribunale di Lucca della causa Versilia Oggi-Consorzio di Bonifica.
dire collaboratori, responsabili e
consapevoli che il benessere loro
e il buon andamento dell’azienda dipendeva in buona parte proprio da loro. Ci poteva essere
ogni tanto qualche mugugno,
qualche scozzata, ma poi tutto è
sempre rientrato nel giusto sentiero. È stato come una “cordata
in montagna”: quando il capo
cordata chiama, difficilmente c’è
qualche defezione. Il bello era che
quando si usciva dal cancello non
si diventava degli anonimi, ma il
rapporto continuava anche al di
fuori del lavoro.
Ecco perché siamo stati felici
di ritrovarci unitamente alle nostre mogli le quali tante volte hanno dovuto sopportare le levatacce e i ritardati rientri dei mariti
partecipando così anch’esse al-
l’impegno e alle responsabilità
che il lavoro comportava.
Abbiamo voluto festeggiare
dalla “Silvietta” di Roberto e
Corradino perché anche loro
sono stati testimoni della nostra
bella avventura. Ha partecipato ha questo convivio anche
Vando D’Angiolo, il nostro eterno capocordata.
La festa si è conclusa felicemente, ma non era completa se
non ci fossimo ricordati di quelli che non ci sono più, pertanto
otto giorni dopo abbiamo fatto
celebrare una Messa in loro memoria. Auguriamo a chi ora è
nella Freda al posto dei vecchi
di provare un giorno la medesima soddisfazione che abbiamo
avuto noi.
Roberto Vannucci
Pier Luigi Marrai
Direttore
GIORGIO GIANNELLI
periodico mensile
abbonamenti
c/c postale 10818557 intestato a
«Versilia Oggi» Casella Postale 94
55046 Querceta (LU) - Ordinario L.
20.000 - Estero L. 40.000 - Sostenitore L. 50.000. Reg. Trib. di Roma
n. 11298 del 26 novembre 1966 e
Trib. di Lucca n. 300 del 2 maggio
1978 - Partita IVA 01517670467
In caso di mancato recapito, si
restituisca al mittente che si
impegna a pagare la relativa tassa
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Ripa di Seravezza-tf. 0584-756631
La collaborazione a “Versilia Oggi” è
gratuita, spontanea e aperta a tutti.
Numero chiuso in tipografia
il 20 aprile 2000
Maggio 2000 - pag. 3
Nel Duomo di Seravezza, sul
pavimento dinanzi alla cappella dedicata a Maria S.S. del Soccorso, un’antica lapide ci ricorda un singolare personaggio.
“Carolo Davit Fitszav polono
viro nobili / civili ac militari
prudentia instructissimo / qui /
post universum pene orbe peragratum / dum a vicina peste hoc
secessu se tutavit / in fatum incurrit MDCXXXI / Nicolaus
Budziboc eius haeres posuit / M.
H. N. S. / suis sumptibus renidet lacunar /. Una sommaria
effigie rappresenta lo stemma
gentilizio: uno scudo sormontato da cimo e cimiero contiene
una figura di gamba piegata al
ginocchio, in armatura. Traduzione: Carlo Davit Fitszav nobile uomo polacco, espertissimo
della scienza civile e militare,
dopo aver percorso quasi il
mondo intero, mentre dalla vicina peste in questo luogo solitario si pose al sicuro, andò incontro al suo destino 1631 Nicolaus Budziboc suo erede
pose. Per sue elargizioni risplende il soffitto.
E sui registri parrocchiali,
nell’elenco dei decessi, corrisponde la notizia: “Anno Domini 1631 die 28 Maji, Ill.(ustr)is
D(omi)n(u)s Carolus David Fiszer de Prusia Status Brandeburg…”, che, passando immediatamente alla traduzione italiana, suona così: “Nell’anno
del Signore 1631 il giorno 28
di Maggio, l’illustre Signore
Carolus David Fiszer di Prussia dello Stato di Brandeburgo
rese l’anima a Dio, d’età di anni
circa 61, avendo fatto confessione dinanzi al Reverendo Preposto Maestro Gherardo Baldi
Priore della Chiesa di S. Maria
di Gerusalemme di Corvaia, e a
ministero del Cappellano Vincenzo Marchi confortato con i
sacramenti, e dallo stesso inoltre fortificato con l’unzione di
olio sacro, il cui corpo fu sepolto nel sepolcro della Confraternita del Corpus Domini nel trentesimo giorno del mese suddetto”.
Malgrado la differenza del
LA SUA TOMBA NEL DUOMO DI S. LORENZO
Cavaliere polacco sepolto a Seravezza nel 1631
zone costiere, il dominio sul
Mar Baltico.
Tutto fa pensare che Carolus
appartenesse a una delle molte
famiglie di origine germanica
che, nel corso dei decenni, si
erano integrate con i polacchi,
assorbendone cultura ed usi.
Cresciuto durante il glorioso
regno del grande Stefan Batory
(1574-1586), che vide un periodo di grande espansione per la
Polonia, può esser stato avviato alla vita militare sotto il monarca successivo, Sigismondo
III Vasa (1587-1632). Questi,
avendo pretese anche al trono
di Svezia, guerreggiò contro
danesi e svedesi, con alterne
vicende; sostenne la candidatura al trono di Russia, prima, del
falso-Demetrio, poi, di Michele Romanov, che l’ottenne nel
1613; fece spedizioni contro i
Turchi e vide buona parte della
Guerra dei Trent’Anni.
La partecipazione a queste
imprese belliche può aver dato
al nostro Cavaliere quella esperienza militare, di cui si fanno
le lodi sul suo sepolcro; ma possono non essergli mancate neppure occasioni per affinare le
sue capacità nella scienza civile, durante ambascerie, organizzazione e sfruttamento di risorse e territori conquistati, con la
possibilità di percorrere gran
parte dei territori conosciuti.
Nel 1618, in esito a precedenti accordi dinastici, la nativa
Prussia Orientale era passata
nelle mani degli Hohenzollern,
divenendo parte dello Stato di
Brandeburgo. Il Fitszav non
cessò tuttavia di sentirsi “Polonus” e di professare la fede cattolica, mantenendo la grafia
polacca del suo cognome.
La levatura del personaggio
ci fa pensare che egli viaggiasse, con una rilevante scorta, in
esecuzione di qualche preciso
incarico, attinente alla sua professione; forse di capitano di
ventura, o di esperto nelle attività estrattive o nella fabbrica-
zione e vendita di armi. Non
sembra probabile che egli fosse
in origine diretto in Versilia, anche se non manca un esempio,
riferito dal Barbacciani-Fedeli
(Saggio Storico dell’antica e
moderna Versilia, Firenze, 1845,
ora in copia anastatica per Ed.
Monte Altissimo, pag. 241) di incarico conferito da Ferdinando I
de’ Medici a “un maestro e perito alchimico…di Lamagna che
nel 28 gennaio 1589 si vide giungere” per valutare la possibilità
di riapertura dei forni per lo sfruttamento del piombo argentifero
presso Ruosina di Seravezza.
No, il nostro Fiszer sembra aver
raggiunto la Versilia solo per trovar rifugio dalla peste, che nel
1629 già imperversava nella pianura padana, come ben ci rappresentiamo dalla lettura dei
“Promessi Sposi” di Manzoni.
E non aveva scelto male. Sarà
stato per l’aria, per l’ottima acqua dei monti, per il vigore dei
torrenti che trascinavano a valle le impurità, ma pare che effettivamente Seravezza non fu
tormentata da quella epidemia.
Fu certamente salva Camaiore,
dove l’immunità dal contagio
era legata dalla fede popolare
alla devozione al S.S. Nome di
Gesù, introdotta durante la predicazione di S. Bernardino nel
1410, coltivata con rinnovato
ardore alle prime avvisaglie della nuova pestilenza.
Risulta pure che la devozione fosse, diciamo così, esportata, sia proprio a Seravezza, dove
si hanno esempi di dediche marmoree, sia a Lucca. Ma qui la
fede non bastò a salvare la città
dagli esiti devastanti del morbo,
(v. P. Dinelli, Storia di Camaiore, pag. 462 e segg.), tanto che
si contarono oltre novemila
morti dentro le mura e un numero ancor maggiore nelle campagne vicine.
Non sappiamo se il Cavaliere Fiszer o Fitszav sfuggì veramente alla peste, anche se la
scritta della lapide pare farci
“LA MASCHERA” DI AZZANO ADESSO VOLA ALTO
scenze come Enrico Baldi in
una doppia parte e la Marisa
Cecchi nei panni del Sergente
O’Hara.
E nel finale… a gustarsi un
ottimo bicchiere di vino al sambuco, offerto con tanto amore,
si fa per dire, delle care vecchiette, il bravissimo Fabrizio
Federigi.
Ottimi i costumi e le scene,
curati nei minimi particolari, da
cognome, tutto fa pensare che
si tratti della stessa persona. La
versione del documento parrocchiale ha a suo favore la probabilità di essere notizia diretta fra
il preposto e l’ignoto cavaliere
o un suo addetto. “Fiszer” è grafia di fonetica polacca che equivale al tedesco “Fis(c)her”, cognome assai diffuso a tutt’oggi.
Ma può essere stato anche un
nome “di battaglia”, che il cavaliere usava in terre straniere.
La scritta “Fitszav” sulla pietra
del nuovo definitivo sepolcro
giunto fino a noi (che è pensabile sostituisca quello prestato
nell’immediatezza della morte,
dalla Confraternita del Corpus
domini), deriva invece da istruzioni dell’erede, nell’intento di
onorare il defunto e far risaltare
il lustro della famiglia.
Sembra quindi più attendibile, anche se un errore dell’incisore non può essere del tutto
escluso. Ma la scritta “Fitszav”
ci porta ad altre interessanti deduzioni. Si tratta, al solito, della translitterazione dalla lingua
tedesca alla polacca delle voci
“Fit” (da Futtern = nutrire, allevare, o da Fit = adatto, forte,
ferrato) e Schaf (= pecora) o
Schaft (= gambale, con caduta
della “t” finale).
La prima combinazione di
ipotesi ci riconduce all’allevamento del bestiame, cosa non
infrequente nelle etimologie dei
cognomi, ma la seconda, FitSchaft, ci riporta alla figura dello stemma, proprio la “gamba
in armatura”, che sintetizza
qualche antico gesto di valore
guerriero, da cui può esser derivato il beneficio nobiliare.
Le scarne, lapidarie notizie ci
permettono di formulare ancora qualche ipotesi sulla vita dell’ignoto cavaliere. Egli era nato,
dunque, nel 1570, in una località non nota della Prussia Orientale. In questa regione, le popolazioni di origine slava da tempo si contendevano con i cavalieri teutonici, insediati lungo le
Da sinistra: Giovanna Moretti, Stefano Evangelisti, Elena Carducci e
Fabrizio Federigi.
La compagnia Teatrale “La
Maschera” di Azzano, diretta
dalla giovane regista Renza
Neri, è riuscita finalmente a portare in scena l’esilarante commedia di Joseph Kesserling,
“Arsenico e vecchi merletti”.
Impresa non facile, date le
precedenti rappresentazioni:
quella cinematografica del 1944
con l’indimenticabile Cary
Grant, e quella teatrale nella
versione italiana di Vinicio
Marinucci, con la compagnia
Morelli-Stoppa e la partecipazione di Dina Galli.
“La Maschera” ha riproposto infatti questa versione ita-
liana, fra le varie esaminate,
perché più rispondente all’originale americana. Le prove
sono iniziate fin dal 1998, sospese per varie vicissitudini, e
poi riprese finalmente a pieno
ritmo a fine estate 1999. Il 27
novembre il debutto è avvenuto nel teatrino della Pubblica
Assistenza di Azzano, registrando il tutto esaurito, ed è
stata replicata sempre ad Azzano il 18 dicembre, con vivissimo successo. La terza rappresentazione, definita dagli stessi interpreti la meglio riuscita,
è stata data nel Teatro della Parrocchia di Sant’Antonio a Ton-
fano, il 22 gennaio 2000.
La vicenda si svolge negli
anni 30 a Brooklyn, le protagoniste sono due simpatiche, ospitali e… caritatevoli vecchiette,
con uno strano nipote “presidente” ed altri personaggi che
gravitano intorno ad un misterioso baule.
Gli attori della Compagnia,
abituati a recitare in dialetto,
non si sono trovati in difficoltà
a cimentarsi nella lingua italiana, e la bravura indiscutibile
della Elena Carducci nella parte di Marta Brewster, ha dovuto misurarsi con una sorprendente Giovanna Moretti, ossia
l’altra vecchietta, la sorella
Abby.
Nella parte di Mortimer, Stefano Evangelisti ha esilarato il
pubblico riscuotendo numerosi applausi, con la sua prontezza, simpatia ed innata comicità.
Se pure non molto breve, la
commedia è stata seguita con
vivo interesse, anche da chi già
ne conosceva la trama, perché
scorrevole, mai noiosa e soprattutto per la bravura di tutti
gli interpreti, a cominciare da
Giuseppe Tricoli, Renzo Giorgi, Giulio Del Fiandra, Italiano Rossi, Mirko Maggi, Emanuela Bonini e vecchie cono-
intendere di si. Non sfuggì tuttavia al suo destino, cui “andò
incontro” il 28 Maggio 1631,
assistito da ben due sacerdoti,
con tutti i sacri riti di cui la religione cattolica poteva confortarlo. Fu sepolto, col riguardo
dovuto al suo grado e al suo censo, come si è visto, in un “sepolcro della Compagnia del
Corpus Domini” il 30 maggio.
Dopo un certo tempo un erede del Fiszer, Nicolaus Budziboc (variante di Dadziborg, antico cognome nobilitare documentato in Polonia e in Lituania) scese in Versilia e commissionò la lapide che ancora oggi
possiamo leggere. Senza dubbio
accompagnò l’ordine con una
cospicua donazione, di cui è testimonianza nella frase che
chiude la scritta: “suis sumptibus renider lacunar”.
Purtroppo degli splendori di
quel soffitto non è rimasto nulla, anche per i danneggiamenti
subiti nella guerra 1940-45. Ma
nella frase riecheggia, certo volutamente, un’altra voce: quella
di Orazio, poeta latino, che amava la vita semplice e cantava:
“non ebur neque aureum mea
redinet in domo lacunar” (non
d’ebano e d’oro risplende a casa
mia il soffitto). Non sappiamo se
la frase fu suggerita dal munifico donatore, o dal parroco dell’epoca; ma il riferimento poetico è stato più duraturo degli ornamenti di bronzo: “aere perennius”, come aveva già detto altrove lo stesso Orazio.
Ma che cosa avvenne della
scorta del Cavaliere? In quei
tempi non ci si preoccupava
delle “vili genti meccaniche”
che componevano il folto drappello al seguito dei potenti. Eppure non è escluso che qualche
biondo scudiero sia rimasto in
queste terre di Versilia a perpetuare la sua stirpe….
Ringrazio Don Janni Sabucco per il prezioso aiuto nella lettura dei documenti ecclesiastici, e il parroco di Seravezza per
aver messo a disposizione l’archivio.
Alessandra Czeczott Vettori
Ida Folini, Fabrizia Tarabella e
Fabio Iacopi. Le luci e gli effetti sono stati affidati a Luca Avenante.
La Compagnia “La Maschera” andrà di nuovo in scena in
primavera-estate in luoghi e
date da stabilire con questa commedia degna di altri palcoscenici. Si consiglia di non perderla,
il divertimento è assicurato.
Sandra Burroni
Tassa sui rifiuti: controllate le bollette
Il rapporto tra la tassa sui rifiuti pagata e servizio reso è inversamente proporzionale. Il
contribuente è impotente di
fronte all’assalto dell’ufficiale
esattoriale, come lo è di fronte
all’assalto dei tarponi. A prescindere dalla situazione contingente, è opportuno che chi
rientra in particolari categorie,
controlli bene la cartella esattoriale.
Questa riflessione scaturisce
dal principio affermato dal Tar
della Lombardia, con la sentenza n. 282/93 dell’aprile 1999.
In buona sostanza, i giudici milanesi hanno rilevato che l’articolo 8 del Dl 66 dell’89, convertito nella legge 144/89, ha
modificato la disciplina della
tassa di smaltimento rifiuti, tenendo conto che nella base di
calcolo della tassa devono essere comprese anche le spese
per la pulizia delle strade, ma
non ha modificato i criteri di
calcolo, né il campo di applicazione. Conseguentemente resta tuttora in vigore l’esclusione della tassabilità delle superfici, che pur trovandosi dentro
l’area di raccolta, su cui si formano rifiuti speciali, al cui
smaltimento provvedono a proprie spese i produttori dei rifiuti stessi.
Questa norma riguarda in
particolare laboratori e industrie, sulle quali, come detto, incombe l’onere di provvedere a
proprie cure e spese allo smaltimento dei rifiuti cosiddetti speciali. Visto che in Versilia le
parole le porta via il vento, le
biciclette i ladri, e il pattume
nessuno, a chi è interessato, un
controllo della cartella esattoriale non costa nulla.
Mario Coppola
Maggio 2000 - pag. 4
102 ANNI
Fu Garelli a scoprire Maurizio Costanzo AVEVA
no, la tua buona cucina, le se- nostri entusiasmi. Cara Olga, LA CARA MAESTRA LUIGIA
Cara Olga,
rate d’estate al bar Rosati di via
Veneto a contatto di gomito con
i tavoli di Saragat e di Eugenio
Scalfari, pronti a cogliere le cattiverie che il giovane rampante
dell’Espresso gettava là contro
il nostro leader che avevamo
seguito per tenere vivo il nostro
spirito libertario.
Poi l’Agenzia Italia, le sue fotografie quando nacque Angelica, fotografie che gli ho simbolicamente restituito quando vi
accompagnai tra le capre dell’Altissimo il giorno che si andò
ad immortalare quel giovane cavallo matto che era (ed è, anche
se è scomparso dalla mia circolazione) lo scultore americano
Davide Campbell. Quella foto
che Cesare scattò all’allora minuscola mia primogenita, lo sai,
è attaccata alla parete di camera mia, qui alla Colombaia.
E l’avventura della morte di
Pio XII data con un’ora di anticipo? Ed il clamoroso “buco”
sulla tragedia del Vaiont? E le
cene a Trastevere tra piatti di
carbonara e di pajata? Immagini, croste che ti rimangono
addosso, impressioni, solchi
profondi. Poi il suo “via da
Roma!” e, qualche anno dopo,
il mio.
Avevamo capito che non era
il successo quello che cercavamo, ma la ricerca di un mondo
pulito, di una società più giusta, di una vita a misura di
uomo. Eravamo scappati dagli
incubi di una dittatura e di una
guerra e non avevamo trovato
il mondo nuovo nel quale avevamo sperato nei giorni più bui
della nostra vita. E allora, via
tutti e due da Roma, alla ricerca delle radici che avevamo così
troppo presto abbandonato.
Per fortuna ci siamo ricercati. Molto è stato merito tuo che
hai saputo sorriderci sempre,
attenta a quello che avevamo
nella testa, pronta a seguirci nei
cara Uolga-Uolga tanto per
pronunciare il tuo nome alla ligure, tutto questo è passato, doveva passare, non poteva non
passare. Era scritto. È scritto
che accadrà anche a noi. Valeva la pena credere, sperare, toccare con mano che tutto era
scritto? Penso di si, finché vivremo. Poi ci sarà il buio, anche se quasi tutti credono che
ci sarà la luce.
Vi ricorderò. Lo ricorderò. E
sarà facile ogni volta che il canale 5 mi metterà davanti a quel
personaggio ingombrante di
Maurizio Costanzo. L’ha tenuto per mano Cesare. Maurizio,
quando aveva i calzoni corti,
veniva in punta di piedi a La
Giustizia con il suo compitino
da pubblicare in terza pagina.
E Cesare lo riceveva con dolcezza, con la più visibile gentilezza, per incoraggiarlo, così
come incoraggiava i giovani di
talento.
Maurizio s’inchinava, ringraziava, sperava che il compitino
trovasse spazio e non è mai rimasto deluso: Cesare gli ha sempre dato la precedenza assoluta
e la sua carriera giornalistica è
cominciata così. Chissà se adesso si ricorderà ancora di un certo Garelli. Ho i miei dubbi.
Cara Olga. Passati i settantanni ci rendiamo conto di essere fragili, anche se non lo facciamo intendere, se ci diamo
arie di intramontabili e di candidati all’eternità. Cenere eravamo e cenere torneremo ad
essere, forse anche prima di
quanto crediamo. Sono frasi che
denotano la tristezza di questo
momento. Dai un bacio sulla
bara di Cesare anche per me.
Gli volevo bene, gli telefonavo,
gli sono stato e gli sarò sempre
riconoscente. Adesso continuerò a cercare te.
Con tanto affetto.
MIA SORELLA GABRIELLA
con le mamme da sostenere e
tirare avanti. Voglio ricordarla serena e felice come quando, di ritorno da Vienna nella
ormai lontana fine d’anno ’86,
mi disse con la sua abituale
ironia: “O Tì, io le vacanze
d’ora in poi le farò sempre al
sole!”. Anche lei non aveva
gradito il freddo austriaco. Ora
la penso circondata di luce e
di sole!”.
Non potendolo fare singolarmente il nostro direttore ringrazia Vittorio Cardini, Marcello Tommasi, Manlio Cancogni, Paola Fontana, Carla
Coppedé, la famiglia TealdiSarti, le amiche Alda, Anna
Maria e Isabella, Elena Pardi
Mencaraglia, Franca Fusco
Ciampolini, Kiki Schouten
Pietrabissa, Clara e Maria Vittoria Guglielmi, Alberto Aliboni, Andrea e Renata Gasperetti, Giulia Tarabella, Renato
Maggi, Rita Romiti, Giuliana
Paiotti, Monica Taddei, la famiglia Bacci-Drimonas, Matilde Merigo, Italia Tognetti, Luca
Garfagnini.
Poco prima di andarsene
per l’ultima volta all’ospedale, la Gabriella ha lasciato
questo suo pensierino: “Nell’universo vivo anch’io perché penso, tra impalpabili
boccioli e atrocissimi sterpi,
che siamo tutti una fiumana
di persone. Dove si va, non si
sa. Su queste galassie non
chiediamocelo”.
due minuti prima che tu mi
telefonassi stavo ripensando a
Cesare. Guardando la televisione, seguivo la trasmissione Gustibus sul terzo canale ed il presentatore si era portato a Bra
ed illustrava i prodotti della località. Ed allora il pensiero
riandò al nostro viaggio, agli
altopiani delle Langhe, ai tartufi di Alba, a quei giorni trascorsi insieme.
La notizia che premurosamente mi hai dato, mi fa riflettere
ancor più sugli affetti più cari
della vita. Ti siamo vicini con
affetto, solidarietà e rimpianto.
È vero che alla nostra età tutto
quanto avviene è già scritto, ma
non tutto è dato per scontato. E
quando ci muore un amico accanto, un amico che è un pezzo
della nostra vita, se ne va inesorabilmente una parte di noi.
A parte il viaggio nostro a
Millesimo, a parte il vostro in
Versilia, il mio pensiero corre a
quell’autunno del 1954 quando
Parini entrò infuriato nella
stanza di via della Cordonata
(anzi, non era una via, ma una
piazzetta) e cominciò a gridare
che non ero io quello che aspettava, bensì un altro, un tale che
si chiamava Gianfranco Gavioli
di Modena.
E quando Cesare si accorse
che stavo subendo una vera e
propria aggressione fu lui a fare
muro, ad insegnarmi cos’erano
gli occhielli, i titoli ed i sommari
ed a scendere in campo denunciando al direttore, il buon napoletano Antonio Borgoni, che
quello che accadeva nella nostra stanza non faceva parte dei
buoni sistemi che avrebbero
dovuto accogliere un giovanotto al suo primo vero lavoro, tra
l’altro mal retribuito.
Da allora la nostra amicizia
si è approfondita e le nostre vite
sono diventate parallele. Le camere d’affitto in via del Babbui-
È deceduta, dopo almeno
un anno di atroci sofferenze,
la sorella del nostro direttore, l’insegnante elementare in
pensione, Gabriella Giannelli. Aveva 69 anni. Pochi giorni prima di morire aveva ricevuto una lettera del presidente della Società Dante Alighieri di Viña del Mare, comitato di Valparaiso (Cile)
che diceva tra l’altro: “Abbiamo saputo la cattiva notizia
della tua salute cagionevole e
siamo così a conoscenza della invidiabile serenità di chi
accetta senza un lamento il
proprio destino… Sono passati ormai molti anni da quando hai lasciato il Cile, ma il
ricordo del tuo passo tra noi
è ancora presente. Credo di
sapere il perché: perché i veri
maestri –quelli che secondo
l’etimologia della parola, si
distinguono tra tutti gli altri–
sono come luci che appaiono
Lutto
Partecipiamo al lutto di Luigi e Lucia Santini per la morte
della mamma professoressa
Daria Pennacchi. Di lei parlammo in una intervista di Marco
Balderi, il grande musicista seravezzino, che volle ricordare la
sua prima insegnante di pianoforte. Vivissime sincere condoglianze da parte di Versilia
Oggi.
all’orizzonte solo di quando
in quando. Per questo potresti ben dire, come Orazio,
senza il pericolo di cadere
nella retorica, che una buona
parte di te riuscirà ad evitare
l’oblio…”. Gabriella aveva
insegnato anche in Svizzera,
oltre che in varie scuole in
Versilia ed in Garfagnana.
Tra le numerose testimonianze ricevute, quella della
signora Tina Galli: “La rivedo giovanissima nelle serate
estive davanti al mio negozio
sempre con la sua mamma
complimentarsi per le mie vetrine. Voglio ricordarla così, in
attesa di ritrovarsi su quella
collina dove ci incontreremo
tutti”. Maria Vittoria Giannotti
ci ha scritto: “Ci conoscevamo dagli anni della scuola e
ogni tanto, quando c’incontravamo era sempre piacevole
fare una conversazione”. Alessia Barberi ha lasciato un bigliettino al suo capezzale: “Ti
ho guardato dormire a lungo
prima di andare via: sembravi
un angioletto. Ti ho lasciato
una cassetta di musica classica che ho preparato per te, mi
auguro che ti piaccia”. Un altro messaggio: “Sarai sempre
nei miei pensieri. Margherita”.
Tina Ricci: “Anche se ci si
vedeva di rado, avevamo vite
parallele, ambedue colleghe,
poi maestre pensionate, sole,
Giorgio
Vorrei ricordare la mia cara
maestra Luigia Galanti Orietti
morta recentemente a 102 anni.
Era una donna severa, ma felice ed entusiasta di fare l’insegnante al Marzocchino per tanti anni. Avevo deciso di fare una
bella festa quando compiva i
102 anni come avevamo fatto
con la sua famiglia per i 100
anni e poi per i 101, ma proprio
pochi giorni prima è stata un pò
male, tanto che pochi giorni
dopo è deceduta in via Cafaggio dove abitava.
Andavo spesso a trovarla e
quando tornavo a casa con la bicicletta mi sembrava di volare
tanto era la gioia che mi dava. Mi
ricordava tanti degli alunni che
erano in classe con me in terza
quarta e quinta elementare.
Prima ricordavamo insieme
coloro che sono scomparsi: la
cara Elena Silvestri, Rossana
Quadrelli, Loretta Repetti,
Giancarlo Cinelli tanto caro. Poi
parlavamo di Licia Paladini,
Giuliana Beggi, Lia De Carlo
figlia del grande Ezio. E poi
Nada, Anna, Maria, Mila, Orosella, Livia, Giuseppina, di queste non ricordo il cognome, in
quarta e quinta. E tra i maschi,
fra questi, quello che oggi da
quasi 46 anni è il mio caro sposo Santi Tarabella. E poi Giuseppe Neri figlio della signora
Delia dell’appalto, Atos Bacci
e tanti altri. Le classi erano molto numerose. La mia cara maestra la porterò sempre nel mio
cuore.
Maria Giovanna Aliboni
Disagio a Vittoria Apuana
Caro Direttore,
Sono abbonata a “Versilia
Oggi” dal 1975, quando ho
comprato una casetta in zona
Vittoria Apuana, via Padre Ignazio 8, nel tratto fra la piazzetta
ed il lungomare. Ho molto apprezzato vari suoi articoli e anche quello del febbraio 2000
“Bertola, una ricetta già scaduta”.
Nella via si stanno facendo
lavori di costo certamente molto elevato: fondo stradale, marciapiedi, pista ciclabile. Questa
passa quasi rasente ai cancelli
lato Viareggio, vi sarà fra la pista ed i nostri muretti un marciapiede di un metro (un sentiero!), in nessun modo diviso
dalla pista, che avrà la larghezza di solo un metro e mezzo.
Per quanto mi risulta da informazioni precise una pista ciclabile non può avere misure inferiori a due metri e mezzo. Si
tenga conto che sul marciapiede devono transitare senza pericolo le carrozzine degli invalidi.
Vorrei sapere perché la pista
non è stata impostata sul lato
Massa, ove l’edificio della
Banca è ben arretrato e vi sono
solo due o forse tre cancelli, anch’essi arretrati, mentre nel
nostro lato ci sono almeno otto
o nove “passi carrai”. In tal
caso la pista sarebbe finita proprio nel cortile della scuola, sita
più a monte (così invece gli studenti dovranno attraversare la
strada).
Il progetto lascia perplessi.
L’opera finita costerà una notevole somma: si è usato marmo per il marciapiede già pronto, non so quale materiale sia
stato scelto per l’altro e per la
pista.
Abbiamo chiesto di stabilire
almeno il “senso unico”, per
diminuire un po’ l’inquinamento dei gas auto e quello acustico ed inoltre proponiamo che i
camion ed i bus vengano dirottati verso altre direzioni. La via
nel tratto piazzetta lungomare
è larga solo sei metri e mezzo:
mi sembra sia doveroso tutelare la salute dei cittadini, ma
sono state prospettate delle difficoltà per la soluzione “senso
unico”.
Faccio presente che la situazione è molto peggiorata da
quando è stata aperta la via di
scorrimento dall’uscita “Versilia” dell’autostrada fino a via
Padre Ignazio. Non dovrebbe
tale via di scorrimento essere
prolungata fino alla periferia di
Forte, oltre via Canova? Insistiamo per ottenere almeno il
“senso unico”, per diminuire i
danni, i disagi ed i pericoli derivanti da un traffico troppo intenso; come me, pensano tutti i
residenti in loco.
90 primavere!
Carlo, Carlo Carducci ed
Abramo Milea), nostro assiduo lettore, Mario ha festeggiato, immerso da parenti ed
amici, il suo grande giorno.
Sono venuti persino dall’America!
La notizia ce la trasmette la
sempre in gambissima Liduina Babboni Coppedé, anch’essa dell’allegra brigata. Ci rivedremo –caro Mario– al tuo
prossimo centenario. Intanto
eccoti gli auguri più affettuosi di Versilia Oggi.
Il Magnifico di Versilia
Oggi Mario Mencaraglia, via
Rosmini 16 Pietrasanta, ha
raggiunto le 90 primavere! Titolare della più antica tipografia versiliese, grande appassionato della montagna (di lui si
parla anche in “Uomini sulle
Apuane” in occasione delle
gare sciistiche a Fociomboli
nel 1937 con i mitici Elio
Mancini, Renato Feliciani,
Aldo Viti, Guido ed Ezio de
Cristina Lusardi
Maggio 2000 - pag. 5
ta. Finalmente – pensò il Maligno – avrebbe smesso di piantar
croci e biascicare orazioni. Pellegrino si alzò dopo un po’ con
fatica e, benché minuto e inerme, ricambiò subito il ceffone
con tutta la forza che aveva in
animo e in corpo. Fu tanta la
potenza impressa che il Diavolo
volò sopra la Valle nel Serchio e
sbatté la testa contro le Panie.
Neppure le montagne ce la fecero a trattenerlo. L’orribile essere
finì la corsa in mare. Nel punto
esatto attraversato dal Diavolo,
c’è una montagna delle Apuane
che porta una grande apertura
alla sua sommità. Lo schiaffo di
San Pellegrino ha dato origine al
Monte Forato, (testo ripreso
da“Leggende delle Alpi Apuane”, a cura di Raffaello Puccini
per le illustrazioni, Emanuele
Guazzi e Antonio Bartelletti. Le
leggende sono lette sul CD
“Siam venuti a canta’ storie”, in
coedizione tra Parco Apuane e
Mauro Baroni editore).
La Marì brontolona
ULTIME COPIE DI “UOMINI SULLE APUANE”
Ricominciare
Poesia classificata seconda
al Premio dialettale Silvano
Alessandrini:
La Marì brontolava sempre
‘l su Rubè / per via, è ‘nutile
negallo, / che tutte le sere lù
facea la sosta / a Malbacco a
l’osteria di quel Vincè / che de
‘bocconcini ne preparava apposta / perché i ‘cavatori si fermassino per bé.
Ma ‘na sera che la Marì gli
facea i soliti rimbrotti, / urlò:
“Se mi fermo a bé du o tre bicchierotti / è per scordà i pericoli che provo,” / e più ‘mbestialito ancor continuò:
“ma ‘no sai che vol dì lavorà
‘n cava…? / ma un no sai, che
‘n lavoro più duro di così / un
n’hano ‘invento mai…/ lassù ‘l
sudore si mescola col sangue!
“Uomini sulle Apuane”.
Con questo titolo, e al modico
prezzo di 20 mila lire, Giorgio Giannelli ci ha consegnato un libro pregevole in via di
esaurimento in tutte le librerie. Se ne trovano ormai poche copie. Di primo acchito, il
titolo farebbe pensare a quei
Cacciatori sulle Apuane che,
iniziando fin dall’autunno del
1943 la guerriglia contro il tedesco occupatore sotto la guida di Gino Lombardi, furono
argomento di altri libri dello
stesso autore. Si aprono invece fantastiche visioni di ascensioni alpinistiche pacifiche e
della loro plurisecolare storia,
con citazioni di nomi che vanno da Tito Livio, Dante, Ariosto, Carducci, Pascoli fino ad
Antonio Stoppani de “Il bel
Paese”.
Il libro rileva l’intento delle
ascensioni: oltre che sportivo,
naturalistico, botanico, speleologico e, per dir così, idrologico: bere acque purissime
sgorganti dalle nevi. Un lavoro fatto da ricerche impegnative e meticolose, compiute da
un lavoratore indefesso che sta
al pezzo 25 ore al giorno (veramente la giornata è fatta di
24 ore, ma si dice che Giannelli si alza un’ora prima).
È alto il prezzo pagato sulle
Apuane in sangue giovane o
giovanile; molte le vite umane salvate all’ultimo istante da
guide espertissime come Angiolo Bartolucci (affettuosamente chiamato “il Nonno”)
che a 74 anni nell’aprile 1945
venne falciato da una raffica
sparata dagli alpini repubblichini.
Per concludere. 1) l’alpinismo acrobatico costituirà sempre la più bella e necessaria
palestra per uomini che vogliono crescere sani e forti; 2)
la natura dei luoghi è d’una
tale beltà che se la zona si fosse trovata in altri paesi, come
la Svizzera, oggi sarebbe piena di alberghi che invece da
noi relativamente scarseggiano anche se, sulle orme del
grande Ermete Milani, vi è stata aperta qualche trattoria in
aggiunta ai rifugi alpini dove
è possibile rifocillarsi e pernottare.
Fino ad oggi non si è trovato un giusto equilibrio tra le
esigenze dell’escavazione del
marmo e quelle dello sviluppo turistico. Anche il ventennio littorio lasciò in sostanza
le cose come le aveva trovate;
anche se il Dopolavoro e la Gil
fecero qualche cosa con i campi estivi. Il fascismo nel 1921
aveva cominciato con una solenne bastonatura data da una
squadraccia ad un gruppo di
escursionisti di ritorno che si
scioglieva al grido di “Urrà!”
Forse pretendevano che il grido fosse “Eja Eja, alalà”.
Queste sono, e tantissime altre, le notizie e le curiosità che
si trovano in questa ennesima
fatica di Giorgio Giannelli. Il
quale continua.
Caro Giannelli,
qualche tempo fa ho mandato a personaggi politici e a giornali una lettera messa giù con
l’intenzione, di analizzarmi e
rimettermi in discussione assieme ad alcune idee, sentimenti e
passioni, che hanno caratterizzato questi ultimi trenta anni di
politica.
La lettera non sembra avere
toccato i destinatari. Ha toccato, invece, gruppi di giovani che
l’hanno letta occasionalmente,
generandomi una positiva sorpresa.
Per quest’ultima ragione ora
penso valga comunque la pena
mandarla anche a te, se non altro per uno scambio di idee tra
di noi o per suggerire un dibattito si Versilia Oggi. Persuaso
anche del fatto che ogni politica locale, se intende essere di
un certo spessore, richiede comunque uno scenario di idealità storiche, sociali e culturali di
natura generale cui fare riferimento.
La lettera può definirsi la storia di un ex comunista, con alcune rinnovate passioni e idealità.
SAN PELLEGRINO, IL
DIAVOLO E IL MONTE FORATO: San Pellegrino viveva
sull’Appennino, di fronte alle
Apuane. Non aveva casa, perché dormiva nel tronco cavo di
un albero. Non lavorava, perché aveva bisogno soltanto
d’acqua e si nutriva di poche
erbe e qualche radice. Tutto il
giorno pregava e faceva penitenza. Il Diavolo, infastidito
dalla sua presenza, s’inferociva ogni volta che cantava lau-
di, oppure snocciolava il rosario
e soprattutto quando costruiva
delle enormi croci di faggio che
poi andava ad innalzare qua e là
per la montagna. Il Diavolo voleva scacciare Pellegrino da
quelle terre. Dapprima cercò
d’impaurirlo mutandosi in un
drago spaventoso, con viscide
squame e narici infuocate. Il
Santo neppure si mosse alla vista di quell’orribile creatura. Poi
cercò di tentarlo trasformandosi
in un’affascinante fanciulla, dai
Anco stamane, stiacciato da du
blocchi, poveraccio, / è morto
Angiò… si quel de la Dorina / e
gli ha lascio tre figlioli, poverina, / tutti cicchi da dové allevà.
E te che c’è da scriviti tutto
sopre an ciaccio, / un hai gnanco visto come d’ero concio; / dal
dispiacé ero stravolto e stranulato, / e te dicei che m’ero rimbriacato.
Ora vedi, me lo scecco proprio
‘n bel fiasco di vino, / ma te lo
dico, un è per vizio, sta sigura, /
è per levammi da la mente quelo strazio / c’ho provo nel vedé,
tanta sciagura!”
Le’ ch’era ‘ntenta a rattoppà
un paio di calzoni, / a quela nova
sbiancò / e sul su viso scesero
giù du lagrimoni.
Renato Carli
NONOSTANTE
I RITARDATARI
Anche se ci sono ritardatari, prof. Roberto, Massimo Palla, Faprosegue la campagna abbonamenti per l’anno 2000. Preghiamo gli amici che non hanno ancora provveduto al rinnovo, di
utilizzare il modulo inserito nello scorso numero di Aprile.
Questo mese abbiamo l’onore di ringraziare i sostenitoriraddoppiatori Antonino Arrigo,
Romano Redini, Vittorio Polacci, Giuliana Beggi Bianco, Vanda Vanni Paltrinieri, Aldo Mugnaini, Paolo Astorino, Giosi
Polacci, monsignor Silvano Burgalassi, don Michele Casarosa,
Laura Sigali, Simone Tonlorenzi
in memoria dei genitori Bruno e
Marta, Teresa Pierini, Gloria
Pardini in memoria del marito
biano Favret, Roberto Tesconi in
memoria di Lino Lazzerini, Vando D’Angiolo, Laris Lari, Carlo
Barberi, Gianfranco Santini, Albizi Berti, Angelo Pardini, Giulia
Beggi, Carlo Stellati, Adriana
Prosperi, Cesarina Trielli, Suniva Sant’Albano.
Eccovi Federico!
È nato Federico, figlio di Elena Mazzucchi e di Filiberto
Nerone. Il Bagno Montecristo
ha alzato il gran pavese sul pennone. Auguri affettuosi ai genitori, agli zii Gabriele e Stefania,
ma soprattutto al piccolo Federico cui diamo il benvenuto nella comunità versiliese.
biondi capelli e dal seno procace. Il Santo neppure si mosse
alla vista di quella meravigliosa creatura. Il Diavolo perse allora la pazienza e decise di presentarsi di persona con tutto il
suo terribile aspetto. Appena di
fronte a Pellegrino gli rifilò un
gran ceffone che lo fece rigirare per tre volte, prima di tramortirlo a terra. Il Signore degli Inferi rise tracotante dalla soddisfazione di aver impartito una
sonora lezione al povero eremi-
Mauro Barghetti
Giorgio Salvatori
Confermo che Versilia Oggi
si occupa specificatamente di
cose locali. Perché di questioni pesanti e di problemi non
ne mancano –eccome!– anche
nei nostri quattro comuni. Ed
in 35 anni di vita ne abbiamo
sempre parlato. Forse qualcuno non se n’è accorto. Colpa
sua.
Maggio 2000 - pag. 6
Nella Toscana sono identificabili due aree principali, con interessi economici e territoriali
relativamente omogenei: l’area
intorno a Firenze e la lunga area
tirrenica, centrata su Pisa, Livorno, Viareggio e la Versilia. Le
due aree sono di paragonabile
importanza, ma la seconda è stata di solito trascurata nella politica regionale.
Sul piano ambientale soffriamo tra l’altro per un inadeguato
utilizzo delle acque e delle falde
freatiche. Basti un esempio: la
trasformazione, dovuta a negligenza, di corsi d’acqua come il
Versilia in pericolosi killer. Mentre soffriamo di una cronica mancanza d’acqua, paradossalmente, sulle vicine Alpi Apuane piovono 4000 millimetri d’acqua
all’anno. Basterebbero piccoli
invasi a risolvere il problema.
Ancora più grave è la situazione dei trasporti. La linea
principale (tirrenica) mantiene
in sostanza la velocità di esercizio del primo dopoguerra; sulla tratta Pisa-Roma i rapidi impiegavano tre ore e qualche minuto negli anni ’50, gli Eurostar
impiegano oggi due ore e cinquanta minuti. Tra le linee trasversali la Firenze-Pisa, è stata
migliorata ma solo in misura ridotta (ed anche in prospettiva si
parla di quadruplicazione solo
da Firenze ad Empoli). La Pontremolese, che permette tra l’altro un collegamento diretto alternativo da Milano a Roma, e
che quindi dovrebbe avere, se
non altro per questo, un’alta
priorità nei programmi di ammodernamento, è rimasta in
LA VERSILIA INDIFESA IN REGIONE
Firenze
ora esagera!
buona parte quella di un tempo, e le aziende locali, aggravate nei
quando si dovevano raddoppiare i locomotori per affrontare il
tunnel di valico.
La limitata efficienza della
Pontremolese costituisce forse il
principale problema del sistema
portuale toscano, e certamente
limita seriamente anche le potenzialità turistiche ed economiche
della regione costiera. Altre linee
importanti (Viareggio-Lucca-Pistoia-Prato, Pisa-Lucca-Garfagnana) sono ancora meno efficienti. Lo sviluppo di questa rete
secondaria avrebbe conseguenze straordinarie sulle potenzialità dell’area, e potrebbe far da
volano per la crescita di un turismo di qualità e di durata.
Per quanto riguarda la viabilità stradale, dopo le autostrade
degli anni ’70, sono state aperte negli ultimi anni solo la Firenze-Pisa-Livorno, arteria importantissima ma realizzata
male (stretta, pericolosa, con
raccordi insufficienti) e la superstrada costiera da sotto Livorno a Grosseto. I collegamenti con Roma sono invece affidati oltre Grosseto alla vecchia
e insufficiente variante Aurelia.
Arriva ora, ad aggravare la
situazione, il progetto di rendere le due superstrade a pedaggio, con la speranza di ottenere
un percorso migliorato, ma con
la certezza di aumentare il traffico di passaggio sulla restante
viabilità, per ovvie considerazioni. Inoltre il progetto è ovviamente dannoso per i residenti
costi. Se questo progetto andrà
avanti, si adotti almeno un sistema di pedaggio di tipo svizzero, consistente in un abbonamento annuale per tutta la rete
regionale. Esso comporta un risparmio per i residenti e per chi,
transitando spesso sulle strade
toscane, va incentivato a non
ingolfare la viabilità ordinaria.
Si è lasciato inoltre crescere
l’aeroporto di Peretola oltre misura, ai danni dello scalo pisano
e di ogni ragionevole programmazione e valutazione ambientale, ed ora si vuole magari unire le gestioni o gli azionariati,
congelando la situazione.
Va sottolineato la presenza
nell’area del sistema universitario pisano (tra i più avanzati in
Italia specialmente nei settori
scientifici). Seguendo e adattando l’esempio delle migliori università americane dovrebbe essere possibile trasformarlo in un
motore attivo di sviluppo. Possono nascere progetti d’impresa
(specialmente nei settori nuovi
e avanzati), tecnologie nuove
possono essere applicate a problemi antichi (per fare un esempio, il taglio e la lavorazione del
marmo). Perché questo avvenga
però, oltre a migliorare le infrastrutture, occorre anche una lungimirante politica del credito,
che non finanzi solo l’esistente.
La promozione del turismo è
indispensabile, se non si vogliono rendere permanenti i segnali
di diminuzione delle presenze,
“SALVIAMO IL SANTUARIO DEL PIASTRAIO”
UN APPELLO FINORA RIMASTO liaINASCOLTATO
sede centrale di Pietrasanta,
Con l’apertura del grande
giubileo dell’anno 2000, Stazzema sperava di vedere realizzato un grande sogno, il restauro dell’unico Santuario Mariano della Versilia e diocesi di
Pisa.
Purtroppo così non è stato,
nonostante si sia formato un
comitato dal nome “Salviamo il
santuario del Piastraio”, dopo
oltre un anno dalla formazione,
del Comitato Versiliese, non è
stato ottenuto molto, nonostante diverse persone, membri dello stesso, e non, si siano adoperati per cercare di riuscire ad
ottenere i migliori risultati.
Il Santuario Mariano, unitamente al Convento adiacente,
Casa del Pellegrino, si trovano
in uno stato di profondo degrado, occorrono molte centinaia di
milioni per poter almeno intervenire sulla copertura che fa
acqua da tutte le parti, rovinando tutti gli affreschi all’interno
del luogo sacro.
Se non si farà presto, si rischia
di perdere questo luogo Mariano unico nella nostra Versilia.
Non avendo potuto, almeno
per ora, avere la soddisfazione
di intervenire sulla struttura per
mancanza di fondi, abbiamo
deciso come consiglio parrocchiale di intervenire sul restauro del quadro in occasione dell’ormai imminente Giubileo.
Nel mese di ottobre, abbiamo
prelevato l’Immagine di Maria
S.S. del Bell’Amore, protettrice della Versilia, e l’abbiamo
portata nello studio di restauro
delle signore Frati e Balderi, a
Pietrasanta dove dopo circa un
mese, verso i primi giorni del
mese di dicembre, aveva riacquistato il suo splendore.
Dopo aver preso contatto con
la direzione della Biblioteca di
Pietrasanta, abbiamo deciso
l’esposizione della tela di Maria S.S. del Bell’Amore, nella
splendida Chiesa di S. Agostino dal 4 al 12 dicembre proprio
a cavallo del periodo dell’Immacolata. La preparazione ha
richiesto il lavoro di diverse
persone, abbiamo montato il
Trono del Cipriani, di proprietà
della parrocchia di Stazzema,
risalente al 1700 ripulendolo e
collocandolo al centro della
chiesa, sopra una pedana che lo
sollevava da terra, dandogli
quello slancio necessario perché
l’immagine risaltasse alla vista
dei visitatori; una volta finito di
montare il tutto, è stata collocata l’Immagine Miracolosa di
Maria S.S. del Bell’Amore, fissandola sul Maestoso Trono
dorato.
Venne aperta la chiesa di S.
Agostino per consentire ai visitatori di poter ammirare l’Immagine di Maria. Sono stati
momenti di vera commozione.
Dopo il ringraziamento della
comunità parrocchiale di Stazzema da parte di Maurizio Bertellotti, ha preso la parola Alba
Tiberto Beluffi come membro
del comitato del Santuario ringraziando tutti i presenti. La
Corale diretta dalla Maestra
Goti Stefania ha poi eseguito
canti Mariani.
Trascorsi i giorni di esposizione in S. Agostino, la Banca
di Credito Cooperativo che ha
sponsorizzato tutta l’iniziativa
della esposizione della Madonna in S. Agostino, nella persona del presidente avv. Paolo
Tommasi, e del direttore Giovanni Tosi, membri del Comitato per il restauro del Santuario, hanno espresso il proprio
desiderio, di poter esporre nel
salone della Banca della Versi-
l’Immagine restaurata di Maria
S.S. del Bell’Amore protettrice
della Versilia nel periodo delle
feste di Natale.
Il Consiglio parrocchiale di
Stazzema ha espresso parere
favorevole a questa importante
iniziativa e qualche giorno prima di Natale, la tela del pittore
Guglielmo Tommasi, è stata
esposta su un Cavalletto nella
sede della Banca. Anche questa
iniziativa ha avuto un enorme
successo, tanta gente si soffermava ad ammirare il volto dolce di Maria quasi ad invitare la
gente, una volta riportata nel suo
Santuario, di non abbandonarla
più.
L’immagine della Madonna
del Piastraio dopo le feste di
Natale, ha fatto ritorno a Stazzema e prossimamente con un
grande festa verrà riportata nel
Santuario del Piastraio.
Marco Bertellotti
Lieta sorpresa
ad Oxford
Durante un giro in Inghilterra ho visitato l’University British Museum di Oxford, famoso per collezioni di animali preistorici, minerali ecc.
Girando tra gli scheletri di dinosauri e tirannosauri mi sono imbattuto in una teca dove vi erano
campioni di marmo. Ovviamente
di fronte al materiale a me familiare mi sono fermato ad osservare e a passare in rassegna le varie
piastrelle. Così ho riconosciuto il
Cipollino con le sue venature verdastre, e la Breccia Medicea. Sul
cartellino sottostante c’era scritto:
“Breccia di Seravezza” - (Lucca)
- Italy. Una lieta sorpresa inaspettata, devo ammettere.
Massimo Tarabella
connessi con un evidente calo
della qualità dell’offerta. Oltre
a soluzioni tecniche (maggiore
dinamismo sul mercato dei tour
operators, collegamenti fra le
Aziende turistiche provinciali
per permettere scambi di informazioni e cooperazione, messa
in rete Internet delle informazioni viarie, turistiche, logistiche,
creazione di sistemi integrati di
informazione ed aiuto al turista)
occorre anche favorire lo sviluppo di un turismo evoluto, con
tempo a disposizione, che possa usufruire simultaneamente
dell’offerta di stazioni balneari, straordinari centri d’arte, piccoli gioielli artistici sparsi nel
territorio, bellezze naturali delle Alpi Apuane, centri agrituristici. È essenziale per questo
migliorare i trasporti ferroviari
e la viabilità locale, per esempio facilitando i collegamenti
stradali tra Versilia e Garfagnana, consigliati anche per motivi
di protezione civile.
A parte il mancato interesse
a livello regionale per lo sviluppo della Toscana costiera, si è
vista in questi anni anche scarsa progettualità politica a livello locale. Tra eletti ed elettori
dovrebbe essere stipulato un
patto chiaro ed esplicito, comprensivo di tempi e di priorità e
di criteri di verifica. Tutto questo ciò anche nella convinzione
che il futuro della politica sta
nella capacità di affrontare e risolvere problemi concreti (su
grande o piccola scala) e non
nella elaborazione di astratte e
fumose strategie.
Paolo Paolicchi
Giorgio e Robert
La famiglia Donati ha subito
due gravi lutti nell’arco di pochi mesi, prima la perdita di
Robert Kahl, marito di Mirella,
poi quella di Giorgio.
Settantenne, Giorgio Donati
lascia i figli Andrea, Ornella,
Alberto e Betty, con Loretta
Maggi fondatori della Beaubourg Viaggi di Pietrasanta. I
Donati erano venuti al Forte,
parliamo di Agostino e della
Isma, da Capezzano Pianore,
negli anni venti e dopo avere
aperto un garage in via dei Mille, gestirono la prima pompa di
benzina in paese in via Mazzini.
Robert arrivò nel 1944 con i
carri armati della 5a. armata
L’ORO NOSTRO
Un obiettivo ambizioso: produrre olio di qualità superiore
extra-vergine anche in Versilia.
Gli incontri versiliesi si sono
tenuti presso il frantoio Maggi
di Querceta. Coordinato dalla
dottoressa Veronica Giusti della “Olivocoltori toscani associati”, il gruppo d’una trentina di
persone è stato messo al corrente sulle moderne tecniche di
produzione e sulle scrupolose
metodologie di identificazione
d’un olio di qualità veramente
superiore.
Una volta aggiornato, il gruppo è stato messo in condizione
di esprimere un giudizio finale
da “assaggiatore”, previo esame
visivo, olfattivo e degustativo
d’una serie di campioni d’olio
provenienti da varie zone della
Toscana per determinarne sia la
qualità che l’eventuale riconoscimento della denominazione
“Olio extra-vergine d’oliva”.
Certo non è cosa facile raggiungere l’obiettivo; e gli esperti ce
la mettono tutta perché è necessario salvaguardare questo bene
prezioso dagli attacchi della chimica e della grande distribuzione. Nel proseguo del dibattito è
stata messa in rilievo la necessità dell’osservanza di una pratica che tenga conto di tre momenti essenziali: raccolta-frangitura-conservazione in fantoio.
Al consumatore farà piacere
sapere che, mentre si sta sempre più andando verso la produzione di alimenti e cibi transgenici, con mucche pazze, pecore
clonate e verdure ai fito-farmaci, c’è ancora qualcuno così
cocciuto che persegue e diffonde il cibo genuino della cosiddetta “dieta mediterranea” di cui
l’olio d’oliva è parte integrante
e determinante, per il suo indiscusso apporto di sapore insieme alle finora misconosciute
qualità terapeutiche.
Romano Vitè
americana. Era l’indimenticabile 19 settembre. Conobbe in
quei giorni la Mirella proprietaria con i familiari della pensione America. Si sposarono
subito e nel 1947 si stabilirono
negli Stati Uniti dove vive il figlio Harry.
Alla famiglia così duramente
colpita le condoglianze del nostro giornale.
Banca locale
partner globale.
Ciò che contraddistingue il nostro modo di essere
banca è proprio la capacità di essere tante banche
insieme in una volta sola.
Per questo oggi siamo la banca più vicina ai
commercianti e agli operatori economici, la banca
di casa in oltre 100.000 famiglie, la banca amica dei
pensionati, la banca aperta ai progetti dei giovani,
la banca partner delle imprese su tutti i mercati.
Una banca aperta alle esigenze di ciascuna
persona, ogni giorno, con la stessa cura e attenzione.
Continuiamo a crescere insieme.
CASSA
DI RISPARMIO
DI LUCCA
Più vicini al vostro mondo.
Maggio 2000 - pag. 7
Com’assomiglio a mì pà!
– Che mangiata!
– Vieni si va di là a scaldassi
al camino; tanto si prende ‘l caffè.
– Lo sai Anto’, hai dele mosse, mi par di rivede’ tu’ pa’.
– Ei, sai che gli risposi a mì
pa’ quando mi disse: te Anto’ somigli a me? Gli risposi: ‘un ti
somiglio e un ti vo’ somiglia’.
Ci rimase male.
– Eccicredo, ma sarai sodo:
ha ragione la tu moglie. Te pe’ i
complimenti sei l’asso.
– Ora che sono passati quasi
du’ lustri dala su scomparsa, ciò
da dagli ragione, mi son reso
conto che gli somiglio. Come ho
fatto ad accorgermene, ora te la
conto. Giorni fa, tornato che
sono dala cava, piglio i cenci
puliti e vado in bagno pe’ fammi la doccia. La mi moglie mi
fa:
– Anto’? Un c’è più sciampo, i capelli se l’è lavi la Antonietta e l’ha finito.
– È nova, come si lava i capelli le’, lo finisce anco fusse un
flacone da un fiasco, lo deve
anco be’, vorrà di’ che mi lavo
col sapone di Marsiglia, così mi
fa bene anco ala cotenna.
– Va bene, mi risponde: poi
aggiunge: io intanto vado a coglie du’ rape ala piana per falle
con le salciccie.
Apro il rubinetto e tanto che
scorre l’acqua, finché arriva
quela calda, controllo il flacone se, per caso, ne fusse rimasto ‘n zicchino. ’Un si sa mai!
Toh, ha ditto c’un ce n’è più e
invece questo col dosatore è
belo pieno, mah si sarà sbagliata. E così più tardi a tavola:
– Oh Gabriè un’avei ditto
che lo sciampo dera finito, ma
nel bagno c’è un flacone pieno.
– Ma che dici, se la bottiglietta vota lo tira via ‘n del bricco.
M’arizzo dal tavolino, vado
in bagno e toh ecchilo qui, belo
pieno, che m’ha preso pe’ citrullo?
Ha fatto una risata che le son
cascate anco le lagrime.
– E bravo il mi’ Anto’, un lo
vedi che è pe’ l’igiene intima per
donne!
– E potta Catè, sotto la doccia ‘n ci vado mia co’ gli occhiali, scrivessero le istruzioni più
grosse; e po’, di stiuma ne ha
fatta anco troppa, senti come mi
odora la testa.
– Si di… E un mi fa parla’
male Anto’.
– Ma la somiglianza con tu
pa’ duv’è?
– Anni fa quando abitavo a
Pozzi e ‘un ero anco sposato,
mi’ pa’ avea circa gli anni che
ho ora io. Una domenica mattina, ero sempre mezzo addor-
mentato, lo sentivo brontolare in
bagno, moccoli e altro, parea un
laveggio che bolle. Esco di camera in mutande pe’ anda’ a
vede’ quelo che era successo e
lu’ dai a brontolare, e quando mi
vide:
– È tu’ ma’ è tu’ ma’!
– Mi’ ma’? gli dico. E che ti
ha fatto s’un c’è gnanco.
– È le che compra le cose
moderne, guarda qua: tutti tubetti da strizzà.
Mi ma’ gli avea compro il
sapone da barba in tubetto . Lui,
prima, aveva avuto sempre il
vasetto come dal barbiere. E
così riprese:
–Toh! prima mi son fatto la
barba e il sapone un facea gnanco la stiuma, guarda come mi
son concio il muso con la lametta. Era anni c’un mi ritagliavo,
guarda, qui questo dentifricio,
fa schifo anco se sa di menta! A
tu ma’, quelo che le rifilino, lé
lo compra, specie le rope c’un
enno bone.
Io a quel tempo le scritte le
vedeo molto bene e gli feci:
– O ba’, ti sei fatto la barba
col dentifricio e ti sei lavo i denti
con la crema da barba, e così i
denti l’hai beli bianchi.
– E ora mettitici anco te a da’
ragione a tu ma’, io nel bagno
un ci vado mia co’ gli occhiali
veh! È da li che mi son accorto
di riandanne da mi’ pa’!
Antonio Bandelloni
UN
VERO E PROPRIO
ESAME DI COSCIENZA
Nella attesa ammiro coloro che lombani” hanno risposto pubCaro Giannelli,
ho letto completamente il
supplemento omaggio di Versilia Oggi che gentilmente mi hai
inviato, e ti ringrazio perché ne
sentivo proprio la mancanza.
Questa carenza, unita a problemi familiari, è stata la causa che
mi ha spinto a disfarmi, alcuni
anni or sono, di tutta la raccolta
ed ora me ne rammarico.
Che cercavi, mi chiederai, in
un freddo elenco di titoli di articoli giornalistici? Non so rispondere, ma ho trovato che fin dal
1967 si scriveva delle strade
Stazzema-Gallicano, CardosoMosceta, Versiliana-Carducci,
Retro-Corchia, funivia di Mosceta, e qualcuno, come Silvio
Belli, vedeva sulle Alpi Apuane
un cavallo che si chiamava turismo, concetto che approfondiva
in articoli successivi: “Il marmo
non basta all’economia versiliese – Retroterra svegliati!”
Il tuo articolo del marzo del
1970 titolato: “Terrinchesi furbacchioni” stimola la mia curiosità e mi piacerebbe rileggerlo.
proclamavano: “Difenderemo
palmo a palmo la montagna –
Rivincita della montagna”, mentre il sindaco Conti auspicava di
frenare l’esodo dai monti. Frattanto, tra le righe, fa capolino un
Consorzio mare-monti, sempre
per lo sviluppo della montagna,
ovviamente, che si esaurisce in
un: “Girotondo a Puntato” o in
articoli emblematici: “Se i monti venissero al mare”, mentre
qualcuno si interrogava seriamente: “Perché la gente fugge
dai monti?” ed altri sconsolati
constatavano. “Continua l’esodo
dalla nostra montagna”. Ci si
domandava: “Come è fallita
l’idea della funivia CardosoMosceta” e nessuno si è occupato di illustrarci perché i progetti di tutte le altre strade sono
rimasti incompiuti. Intanto qualcuno si chiedeva: “Di chi è il
merito del Retro-Corchia?”
Ringrazio Giorgio Ubaldi,
che nell’ottobre 1978, lanciava
un grido: “Salviamo le marginette”, al quale soltanto “I Co-
Riecco “Studi Versiliesi”
Finalmente. Dopo cinque anni
di sospensione, è rinato “Studi
Versiliesi” con l’uscita del numero XI della serie. Esprimemmo
a suo tempo il nostro disappunto per avere, enti, banche, istituzioni, biblioteche comunali e
scolastiche, fatto di tutto per
ignorare questa benemerita testata. La Versilia che ci proviene dai
Medici e dai Lorena, questo territorio dei quattro comuni del
Fiume, meriterebbero una maggiore attenzione da parte delle
generazioni contemporanee.
Finalmente qualcuno (il dottor Luigi Santini) ha dato lo
scossone ed ha chiamato a raccolta il solito gruppetto. Ci sono
tutti i “vecchi” da Fabrizio Federigi ad Antonio Bartelletti e
Leopoldo Belli, compresi i “più
giovani” Andrea Tenerini e Lorenzo Marcuccetti. Forza e coraggio, siamo certi che, dipen-
desse da costoro, il cammino di
“Studi Versiliesi” non si interromperebbe mai più.
Il numero appena uscito (speriamo che Santini si decida a
metterlo in vendita almeno nelle librerie perché l’idea di distribuirlo gratis è una idea perdente in partenza) contiene un sommario importante. Si parte dalla rievocazione dell’affondamento del cacciatorpediniere
Nembo durante la prima guerra
mondiale e dell’atto eroico
compiuto dal marinaio fortemarmino Luigi Ricci, padre del
nostro collaboratore ed amico
Carlo da Venezia. Una rievocazione che l’associazione ex
combattenti e la fondazione Vittorio Veneto dovrebbero prendere a cuore e distribuire nelle
scuole dei quattro comuni. Ma
ci credete voi alle qualità intellettuali e culturali degli attuali
blicando nel 1989 il catalogo
delle marginette di Terrinca. Va
sottolineato che l’8 Gennaio
2000 nel Palazzo Mediceo di
Seravezza, durante la conferenza: “Le marginette in Versilia:
un percorso nell’arte e nella religiosità popolare” è stato sostenuto da un interlocutore che ci
sono monumenti più importanti da restaurare e che quindi…
Grazie, Giorgio, per avermi
dato l’occasione di un serio esame di coscienza. Mentre attendo che tu mi invii la parte successiva dell’indice, rispondo a
Luca Martinelli, che nel Novembre 1978 titolava un articolo:
“Terrinchesi svegliatevi!” Noi ci
stiamo svegliando, e voi?
Con stima.
Marino Bazzichi
Lo sapevo che a Terrinca siete ben svegli, anzi –e lo confermo– dei veri furbacchioni. Ma
perché non rispondi, almeno
adesso 2000, alla domanda: di
chi è il merito del Retro-Corchia?
dirigenti degli organismi citati?
Andiamo avanti col sommario. Enrico Baldini si dedica all’olivicoltura seravezzina, Sara
Sportelli all’evoluzione del paesaggio versiliese, Lorenzo
Marcuccetti alle sopravvivenze
preromane nel territorio della
nostra montagna. Fabrizio Federigi e Luigi Santini curano poi
le recensioni e le schede bibliografiche (Bernieri-Walton,
Pelù-Economia, storia e cultura in Garfagnana, Bottazzi-Archeologia territoriale tra l’Emilia e la Versilia, Magenta-L’industria dei marmi, Pierotti-La
strada di Michelangelo, Toccafondi-La ferriera del Granduca,
Macchia-La Versilia storica,
Federigi-Diligenze e servizi
postali nel periodo lorenese).
Attendiamo con impazienza
il prossimo numero. Buon lavoro, amici! L’indirizzo di “Studi
Versiliesi” è: Fermo posta Ufficio postale - 55040 Ruosina.
CIAO CATARSINI
ticolarissimo Liberty (meglio
dire arte eclettica o composita).
Saranno Belluomini e Chini
a realizzare il sogno dei marinai viareggini: vedere la loro
città splendente e fastosa come
l’Oriente. Sarà Tobino a scrivere ne L’Asso di Picche: “O
Viareggio più bella dell’Oriente / che nell’immacolato celeste delle tue sere / esali l’acuto
profumo dell’oleandro…”;
La darsena è il motore di Viareggio, il cuore pulsante, la forza e la poesia di questa città di
vàgeri, come Lorenzo Viani
chiamava gli uomini di mare e
di avventura, i naviganti col
solo ausilio delle stelle, i suoi
eroi senza medaglie. La darsena era ed è crogiolo di solidarietà, di dignità, di libertà.
Chiunque abbia inteso imporre
eresie ha dovuto fare i conti coi
darsenotti.
Nelle sue vie – dalla stazione
vecchia al porto – si respira
l’odore del mare, del salmastro
e del catrame.
Quando l’attraversava Catarsini, i suoni erano i martelli
dei calafati, dei carpentieri, dei
ferraioli che battevano sulle lamiere dei bastimenti, sui legni
duri degli scafi; erano i gridi dei
gabbiani, che fra le barche avevano casa e riposo; erano i gridi dei bimbi che giocavano a
campana sui marciapiedi squadrati dai gessetti.
La darsena era allora (ed è
anche adesso) una realtà viva
– fatta d’intelligenza, di sacrificio e di lavoro –, ma aveva (e
ha) una sorta d’incantesimo,
che la rende favolosa.
Perfino le sue baldracche
(rammentiamo la dolce canzone di Egisto Malfatti), che si
appostavano all’inizio del Viale dei tigli, erano buone donne
alla buona, con le pantofole ai
piedi, lo scialle sulle spalle e la
malinconia negli occhi. E il piacere (se così si poteva chiamare) lo davano anche a credito.
Come le botteghe davano a credito pane, salacchini e baccalà, segnando sul libretto.
Ero ancora al Liceo, quando conobbi Catarsini. Capitò,
nella redazione de “Il Tirreno”, per portare un suo articolo.
Il vecchio Pezzini, decano dei
giornalisti versiliesi, non sapeva scrivere a macchina. Vergava fogli e fogli di carta scura
da bozze, con la sua grafia all’inglese. Incominciai a collaborare con lui, trascrivendo le
notizie a macchina, preparando e portando alla stazione il
“fuori sacco”. Di quando in
quando scrivevo un “pezzullo”.
Credo fosse il 1949.
La nostra amicizia iniziò un
paio d’anni più tardi. Catarsini
era un uomo severo e scontroso. Era la scorza. Sotto scorrevano linfe gentili. Aveva le sue
idee, spesso a rovescio degli altri. Se le teneva. All’occorrenza, le difendeva, ma non voleva
assolutamente imporle.
Un giorno m’invitò al suo studio ed io capii di avere superato il primo… esame. Si era parlato di tante cose: della pittura
viareggina e labronica, della
pittura toscana del Novecento,
delle avanguardie milanesi; e si
facevano divagazioni dal Quattrocento all’Ottocento.
“Subii” parecchi esami, prima che fossimo amici con la
“A” maiuscola. Poi, però, si navigò sempre “apparanzellati”.
Non avemmo mai un bisticcio.
Discussioni sì, lunghe e accalorate.
Lo incontravo spesso a Pietrasanta. Insegnava nel glorioso Istituto d’Arte “Stagio Stagi”. Lo incontravo a Viareggio,
in darsena o sul molo. Insieme,
si andava a trovare Krimer, a
“Bottega dei Vàgeri”. I primi
anni era a Marco Polo, quasi
sulla Fossa dell’Abate, poi si
trasferì in via Ugo Foscolo.
Il “Centro Versiliese delle
Arti” ha avuto una certa importanza nella vita culturale di
Viareggio e della Versilia. Vi
capitavano un po’ tutti. Da
Fortunato Bellonzi, segretario
della Quadriennale romana, a
Riccardo Marchi, scrittore livornese; da Renato Santini a
Giovanni March; e i giovanissimi Luporini, Martinelli, Passaglia. Da Forte dei Marmi
venivano, per le inaugurazioni
importanti e per le giurie dei
premi, Carrà, Dazzi, Maccari.
Da Siena arrivava Giulio Cogni; da Pisa Vittorio Vettori, il
marchese Piero Bargagli, in
arte John Rame, e Ugo Pierotti. Da Querceta veniva Garibaldo Alessandrini, che, con
Capasso, Jenco, Allori e Carla Polleschi, fondò il Realismo
Lirico. I primi tempi c’era Rosso di San Secondo. Spessissimo veniva Franca Taylor, Fausto Maria Liberatore, Serafino
Beconi, col basco calato sugli
occhi, Fulco Sculco, poeta
“maledetto”, e i naif Aldo Ordavo ed Eugenio Pieraccini. Si
cenava al “Buonamico”, in
omaggio a Viani, alla “Costa
dei barbari”, da “Bombetta”
o a “La Fiamma” di Stefania
Sandrelli.
A noi si univano Andrea Forzano, Bruno Benedetti dell’”Assassino”, Alfeo e Walter
Bertin (aveva tradotto magistralmente Evtusenko), Alfredo e Norge Simonetti; qualche
volta Nanda Mattias Morescalchi, col suo Diavolo alle calcagna, e la pittrice Evelina
Gaddi.
Alfredo Catarsini nacque a
Viareggio il 17 gennaio 1899,
vicino alla Torre Matilde. Di là
della Burlamacca era nato Viani. E fu proprio Viani che lo
“istigò” alla pittura.
Fu un “ragazzo del 99”, radiotelegrafista di Marina, ma
ancor prima, giovanissimo, era
stato a Parigi e aveva conosciuto Modigliani.
Fu poi fra gli artisti del secondo Futurismo, come Ruggero Micaelles e il grande Thayaht, che operavano in Versilia.
Il Futurismo gli servì per scoprire l’invenzione. “Non ci si
può limitare a copiare le cose,
l’uomo, la natura…”: mi diceva, “…perfino i ritratti devono
avere, sul fondo, un guizzo di
fantasia”.
Negli anni Trenta, prende
parte alle mostre organizzate da
Marinetti, con Balla, Boccioni,
Depero, Dottori, Fillìa; eppoi
con Carrà, Rosai, Sironi, Soffici.
Aveva talento e mestiere.
Gran parte dell’arte contemporanea ha rifiutato il mestiere. Il
mestiere però è rimasto il fondamento di ogni attività. E, senza mestiere, si spreca il talento.
Il riesame dell’arte di Catarsini –che si è fatto e si fa in questa occasione – dovrebbe servire a sconfiggere le perplessità
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e la superficialità di certi giudizi critici e le numerose “omertà”.
Nel 1942 è invitato, per la
prima volta, alla Biennale di
Venezia; nel ’43, alla Quadriennale di Roma. “Catarsini è nato
pittore nell’aria, nella luce, nel
paesaggio di Viareggio”, scrive Mario De Micheli nel 1983,
“e a questa sua origine è rimasto fedele, ma con quale incessante capacità di emozione… E’
veramente un pittore toscano
della più schietta e ruvida tradizione toscana, quella, voglio
dire, che va da Fattori a Viani,
da Rosai a Maccari, dove il paese, il popolo e la fatica scontrosa del vivere sono protagonisti…”.
“Alfredo Catarsini è soggetto invernale”, scrive Leonida
Rèpaci, “non lega con l’immagine di una Viareggio estiva,
mondana, urlatrice… Dipinge
da anni in solitudine, da stilita,
ha esposto con successo a Biennali e Quadriennali, ha vinto il
“Cremona” nel ’39Ö ma il meglio di Catarsini è inedito, sconosciuto…”.
“Predilige cose silenziose
(poiché non ama il chiasso),
pervase da una comunicabilità
di forme e di contenuti, che secondo la logica dell’arte dovrebbero resistere all’indagine
critica del tempo”, dice Elpidio
Jenco.
“E’ un modo di ribadire la
solitudine dell’uomo”, aggiunge Pier Carlo Santini, riferendosi al simbolismo meccanico,
“soverchiato da quell’ingranaggio che ha creato con le sue
stesse mani e di cui finisce prima o poi per essere vittima…”.
Catarsini è attento a tutti gli
ismi, in cui si frantuma l’arte
del Novecento. Li studia, li capisce, li sperimenta.
Poi, però, riprende la sua
strada, la sua pittura a cuore
aperto, ricca di suggestioni e di
poesia.
Poesia malinconica, la sua:
malinconica, ma serena, dolce
e incantata. Le angosce ancestrali dei lupi di mare, la vita
dura e geniale dei maestri
d’ascia, la nostalgia dei vecchi
marinai, il languore dei tramonti sull’acqua grigia (“spesso il
colore è livido, grigio, olivastro,
striato di neri improvvisi”, dice
ancora De Micheli) della darsena e del porto, fra gli alberi
delle barche, le antenne dei pescherecci, la sonnolenza dei
gabbiani.
Poesia amorosa, nei dipinti
delle sue donne vere, della gente di Viareggio di cuore anarchico e misterioso. Poesia elegiaca, negli “interni” delle
case, atmosfere che raccontano
storie di dolori e di amori, di
miserie e di speranza, di umiltà
e di dignità; “nature morte”,
così lontane dalla morte, pronte anch’esse a raccontare atti di
vita, le mirabili cose d’ogni
giorno.
Ha attraversato il secolo. E’
morto, infatti, il 28 marzo 1993.
Ha visto le meteore affascinanti dei movimenti, delle ricerche,
le rivoluzioni e le involuzioni.
Ha avuto lui stesso i suoi momenti vulcanici, il riflessismo,
il simbolismo meccanico, i suoi
coinvolgimenti sperimentali.
Ma è rimasto fedele alla grande tradizione toscana.
Ha anche scritto molto.
“Troppo…”, mi diceva, sorridendo nervosamente, “ma sento di doverlo fare… Spesso mi
sembra di dover rendere testimonianza”.
Nel marzo del ’68 – quando
un fremito rivoluzionario percorre il mondo occidentale –
inizia una lunga collaborazione con “Versilia Oggi”. Giorgio Giannelli, nello studio di
casa, alla Colombaia di Querceta, ha così quadri e disegni
di Catarsini.
Più il mondo si allarga, più
incalza la globalizzazione, più
si tende a sentirsi (propriamente
e impropriamente) cittadini del
mondo, più lui affonda le radici nel ricordo, nella sua terra,
nella sua Viareggio vera. E l’essere schietto e contro corrente
da noi non è mai stato vantaggioso. Meno ancora negli ultimi cinquant’anni.
Sapeva disegnare. Sapeva
imprimere al segno comunicativa immediata. I suoi appunti
a matita avevano velocità, disinvoltura, eleganza, incisività.
Cercava un gesto, una pìega
segreta, il punto di fusione con
le cose, il movimento, il ritmo.
Andava e tornava col segno, inseguiva un’idea. Disegnava
continuamente. A volte ripeteva lo stesso disegno, accelerando il percorso della matita, cercando di cogliere ciò che in un
attimo appare e scompare.
Le due mostre dell’estate
1999 – al Palazzo delle Muse e
al Villino Boilleau – le tre attuali (le “darsene”, le “donne”,
l’antologica del Sant’Agostino),
gli interventi critici di Dino
Carlesi e di Tommaso Paloscia,
la testimonianza di Carlo Alberto Di Grazia si propongono di
rendere giustizia a un artista solitario e caparbio, che, però,
nella sua lunga esperienza, ha
saputo realizzare un grande affresco della vita di Viareggio.
Alfredo Catarsini ha amato
incredibilmente Viareggio. Non
so quanto da Viareggio sia stato riamato. Dalla città sicuramente. Ma la storia di questo
amore è nelle sue pagine colorate. E resta.
Raffaello Bertoli
Il Senato
ente inutile
Caro Giannelli,
sono un abbonato al suo giornale e sono anche uno di quelli
che hanno provato l’incomparabile piacere di sorseggiare in
cima al Procinto l’acqua che
sgorga ivi in una grotta (vedi
pag. 36 del suo “Uomini sulle
Apuane”).
Da tempo provo pure il piacere di leggere i suoi interventi
rivolti a porre in evidenza –senza spirito di parte– il malessere
che da tempo ha colpito così
duramente il nostro Paese.
Mi ha colpito in particolare il
suo articolo intitolato “La prima riforma: abolire il Senato”.
Penso anch’io, infatti e da molto tempo, che in un paese in cui
la classe politica è così litigiosa
come il nostro, il bicameralismo
costituisca un grave ostacolo all’efficienza, indispensabile in
ogni azienda e soprattutto nell’Azienda Stato.
Direi che un altro ostacolo
all’efficienza sia rappresentato
dall’elevato numero di ministri:
un numero talmente elevato che
viene a mancare la possibilità di
assicurare fra di essi il necessario coordinamento. Il numero
dei ministri dovrebbe essere
sempre di sei o sette e non di
più.
Mi auguro che il nuovo millennio (alludo naturalmente a
quello in… corso!) possa essere testimone dell’introduzione
nella pubblica amministrazione
di una adeguata ed indispensabile attenzione anche ai problemi propriamente organizzativi.
Con viva cordialità.
B.C.C. VERSILIA INFORMA
Nell’intervento apparso sullo scorso numero abbiamo menzionato questo prodotto unitamente agli altri strumenti finanziari offerti dalla nostra BCC e
qualche cliente-lettore, che ringraziamo vivamente per l’attenzione prestataci, ci ha chiesto
ulteriori chiarimenti. Cogliamo
volentieri l’occasione per essere più esaurienti.
Oggi si fa un gran parlare del
cd. Risparmio Gestito. Ma cosa
significa? in poche parole affidarsi al risparmio gestito significa avvalersi del lavoro di persone con alte competenze in
campo finanziario che non hanno altro scopo se non quello di
far accrescere nel tempo i nostri risparmi. I mercati sempre
più sofisticati e globalizzati,
dove il controllo delle informazioni è divenuto di vitale importanza, è facilmente dimostrabile come il “fai da te” alla lunga
sia penalizzante in termini di
rendimento. È oggi di fondamentale importanza affidarsi a
persone competenti il cui compito è quello di sostituirsi al risparmiatore nella scelta e nella
gestione del risparmio al fine di
minimizzare il più possibile i
rischi massimizzando nel contempo i rendimenti.
Ciò premesso, dallo scorso
ottobre la BCC della Versilia si
avvale della collaborazione di
una Sim (Save Sim), specializzata nel brokeraggio finanziario, per l’offerta del cd. GPF
(gestioni patrimoniali in fondi).
Si tratta di una gestione patrimoniale in quote di fondi comu-
ni o in altri termini un portafoglio di fondi. Il brokeraggio finanziario consente di mettere in
competizione diversi partners al
fine di garantire la miglior performance in termini di rischio/
rendimento.
L’attività di selezione dei fondi finalizzata alla composizione del portafoglio beneficia di
un sistema metodologico (ideato nel 1990 dal premio nobel
W. Sharpe) che rileva scientificamente il modo in cui il gestore del fondo investe nel tempo.
I vantaggi di tali prodotti sono
essenzialmente tre:
– l’ampia possibilità di scelta tra circa 300 Fondi delle migliori società prodotto nazionali ed estere;
– l’indipendenza professionale del gestore in quanto i fondi
vengono scelti solo sulla base
dei rendimenti e di valutazioni
statistiche a prescindere dall’appartenenza a questa o a quella
scuderia;
– infine la possibilità di replicare con efficienza ogni mercato ed ogni area geografica/valutaria scegliendo con tempestività gli investimenti più remunerativi e meno rischiosi.
A tutto quanto sopra si aggiunga che prima di effettuare
l’investimento vengono valutati attentamente alcuni parametri quale l’orizzonte temporale,
gli obiettivi dell’investimento,
la propensione al rischio e la
situazione finanziaria del cliente, al fine di ricercare per lo stesso le soluzioni finanziarie su
misura.
IL GRANDE RIFORMATORE
rare terreni a favore di una più
equa distribuzione della ricchezza tra chi effettivamente la lavorava (contadini, coloni).
Ma il più grande vanto resta
l’aver capito che la Toscana doveva privilegiare l’industria
piuttosto dell’agricoltura, infatti
stimolò tutte quante le attività
industriali, comprese quelle legate al marmo e miniere che in
quel tempo avevano avuto fortune alterne anche con capitali
stranieri (Mill, Socoes, P. Paci,
Rediquet ecc.).
In proposito volle fermamente che la statuaria fosse attivata
nel Capitanato, e non solo
estrattiva, gettando le basi alla
scultura di bottega versiliese di
cui la Versilia oggi è famosa.
Il suo nome resta legato all’Ospedale Pio Campana che fu
da lui fondato per volontà testamentaria. Morì il 4 aprile 1802 ed
è sepolto nel Duomo dei S.S. Lorenzo e Barbara in Seravezza.
Ermanno Eydoux
Illustre discendente di una
storica famiglia seravezzese di
antica famiglia lorenese (i Daudenet) che vi si stabilì nel 1517
e ne prese la cittadinanza l’anno successivo, il conte Francesco Campana ebbe l’onorato incarico di scrivere un rapporto
sulla storia della Versilia nel
1767, incarico che gli fu dato
dall’Arcivescovo lucchese G.
Domenico Mansi.
Ma il suo grande merito rimane quello di essere tra i propugnatori delle Riforme Leopoldine del 1776, che cambiarono
l’aspetto politico ed economico
della Versilia Storica (abolizione dei medioevali comunelli
dell’Alta Versilia accorpati in 3
corpi politici: Comunità di Seravezza, di Pietrasanta, e Vicaria di Stazzema; creazione dei
Consorzi agrari, soppressione
degli Ordini religiosi troppo
onerosi, obbligo scolastico e
formazione di Scuole professionali, Ospedali ecc.)
Nonostante fosse Nobile titolato, era un “Enciclopedista”,
convinto dell’assoluta necessità
del sapere non solo per i letterati, ma per tutti, anticipò nel suo
pensiero ed opere, le grandi riforme che la Rivoluzione francese svilupperà ben 19 anni dopo
soprattutto con la grande intuizione che il ristagno economico
della Toscana era dovuto all’arretratezza dell’agricoltura ancora legata a tecniche arcaiche e
ormai superate, proponendo
quindi un ammodernamento generale delle tecniche nelle varie
attività. Altra intuizione l’aver
compreso che il ristagno economico del Granducato era dovuto
anche alle proprietà terriere in
mano agli ecclesiastici e quindi
per questo motivo incolte ed abbandonate. Cercò quindi di limitarne le donazioni e di incame-
Giulio Galleni
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DELLA VERSILIA
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n° 405 Maggio 2000