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RASSEGNA STAMPA UNISIN 14 MAGGIO 2014
A cura di Manlio Lo Presti
RAS Banca Monte dei Paschi di Siena
Esergo
L'eternità è semplicemente uno stato
in cui si è liberi dal tempo,
in un certo senso al di fuori e al di sopra di esso.
Non c'è passato presente o futuro,
c'è solo il puro essere ontologico.
Ph.K. DICK, Se questo mondo vi sembra spietato, dovreste vedere
cosa sono gli altri, EDIZIONI E/O, 1996, pag. 21
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Geithner: "Chiesero
ad Obama di far
cadere Berlusconi"
Nell'autunno 2011, racconta l'ex ministro del Tesoro Usa nel suo libro,
alcuni funzionari Ue avrebbero chiesto a Washington di fare pressione
per la caduta del governo italiano.
di WSI
Pubblicato il 13 maggio 2014| Ora 07:33
WASHINGTON (WSI) - Nell'autunno 2011 quando lo spread era alle stelle e l'economia italiana ad
un passo dal baratro alcuni funzionari europei avrebbero fatto pressione sull'amministrazione
Obama proponendo un piano per far cadere Berlusconi. L'america si sottrasse al complotto: "Non
possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani". Parole dell'ex ministro del Tesoro Timothy
Geithner, pubblicate in un libro di memorie uscito lunedì "Stress Test" e anticipate da La Stampa
(vedi sotto), che riaprono il dibattito su passaggio delicatissimo della storia italiana recente.
"Ad un certo punto in quell'autunno, alcuni funzionari europei ci contattarono con
una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il
potere; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i prestiti dell'Fmi all'Italia, fino
a quando non se ne fosse andato" scrive Geithener ripercorrendo i mesi frenetici in
cui l'euro rischiò di saltare. A settembre 2011 il ministro del Tesoro Usa fu invitato
in Polonia all'Ecofin dove ricevette richieste per "fare pressioni sulla Merkel
affinchè fosse meno tirchia, o sugli italiani e gli spagnoli affinchè fossero più
responsabili". E allora arrivò anche la proposta del piano per far cadere
Berlusconi.
Ma per quanto sarebbe stato utile avere una leadership migliore, precisa Geithner, l'America preferì
evitare un complotto di tale portata.
L’ex ministro Usa: funzionari europei ci
proposero di far cadere Silvio Geithner:
ovviamente dissi a Obama che non
potevamo starci.
di PAOLO MASTROLILLI INVIATO A NEW YORK
Nell’autunno del 2011, quando la drammatica crisi economica aveva portato l’euro ad un passo dal
baratro, alcuni funzionari europei avvicinarono il ministro del Tesoro americano Geithner,
proponendo un piano per far cadere il premier italiano Berlusconi. Lui lo rifiutò, come scrive nel
suo libro di memorie appena pubblicato, e puntò invece sull’asse col presidente della Bce Draghi
per salvare l’Unione e l’economia globale. «Ad un certo punto, in quell’autunno, alcuni funzionari
europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a
cedere il potere; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i presti dell’Fmi all’Italia, fino a quando
non se ne fosse andato».
Geithner, allora segretario al Tesoro Usa, rivela il complotto nel suo saggio «Stress
Test», uscito ieri.
Una testimonianza diretta dei mesi in cui l’euro rischiò di saltare, ma fu salvato dall’impegno del
presidente della Bce Mario Draghi a fare «tutto il necessario», dopo diverse conversazioni riservate
con lo stesso Geithner. I ricordi più drammatici cominciano con l’estate del 2010, quando «i mercati
stavano scappando dall’Italia e la Spagna, settima e nona economia più grande al mondo». L’ex
segretario scrive che aveva consigliato ai colleghi europei di essere prudenti: «Se volevano tenere
gli stivali sul collo della Grecia, dovevano anche assicurare i mercati che non avrebbero permesso il
default dei paesi e dell’intero sistema bancario». Ma all’epoca Germania e Francia «rimproveravano
ancora al nostro West selvaggio la crisi del 2008», e non accettavano i consigli americani di
mobilitare più risorse per prevenire il crollo europeo. Nell’estate del 2011 la situazione era
peggiorata, però «la cancelliera Merkel insisteva sul fatto che il libretto degli assegni della
Germania era chiuso», anche perché «non le piaceva come i ricettori dell’assistenza europea Spagna, Italia e Grecia - stavano facendo marcia indietro sulle riforme promesse». A settembre
Geithner fu invitato all’Ecofin in Polonia, e suggerì l’adozione di un piano come il Talf americano,
cioè un muro di protezione finanziato dal governo e soprattutto dalla banca centrale, per impedire
insieme il default dei paesi e delle banche. Fu quasi insultato. Gli americani, però, ricevevano
spesso richieste per «fare pressioni sulla Merkel affinché fosse meno tirchia, o sugli italiani e
spagnoli affinché fossero più responsabili». Così arrivò anche la proposta del piano per far cadere
Berlusconi: «Parlammo al presidente Obama di questo invito sorprendente, ma per quanto sarebbe
stato utile avere una leadership migliore in Europa, non potevamo coinvolgerci in un complotto
come quello. "Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani", io dissi». A novembre si tenne
il G20 a Cannes, dove secondo il Financial Times l’Fmi aveva proposto all’Italia un piano di
salvataggio da 80 miliardi, che però fu rifiutato. «Non facemmo progressi sul firewall europeo o le
riforme della periferia, ma ebbi colloqui promettenti con Draghi sull’uso di una forza schiacciante».
Poco dopo cadde il premier greco Papandreu, Berlusconi fu sostituito da Monti, «un economista che
proiettava competenza tecnocratica», e la Spagna elesse Rajoy. A dicembre Draghi annunciò un
massiccio programma di finanziamento per le banche, e gli europei iniziarono a dichiarare che la
crisi era finita: «Io non la pensavo così». Infatti nel giugno del 2012 il continente era di nuovo in
fiamme, perché i suoi leader non erano riusciti a convincere i mercati. «Io avevo una lunga storia di
un buon rapporto con Draghi, e continuavo ad incoraggiarlo ad usare il potere della Bce per
alleggerire i rischi. "Temo che l’Europa e il mondo guarderanno ancora a te per un’altra dose di
forza bancaria intelligente e creativa", gli scrissi a giugno. Draghi sapeva che doveva fare di più, ma
aveva bisogno del supporto dei tedeschi, e i rappresentanti della Bundesbank lo combattevano. Quel
luglio, io e lui avemmo molte conversazioni. Gli dissi che non esisteva un piano capace di
funzionare, che potesse ricevere il supporto della Bundesbank. Doveva decidere se era disponbile a
consentire il collasso del’Europa. "Li devi mollare", gli dissi». Così, il 26 luglio, arrivò l’impegno
di Draghi a fare «whatever it takes» per salvare l’euro. «Lui non aveva pianificato di dirlo», non
aveva un piano pronto e non aveva consultato la Merkel. A settembre, però, Angela appoggiò il
«Draghi Put», cioè il programma per sostenere i bond europei, che evitò il collasso.
Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa - che ringraziamo - esprime il pensiero dell'
autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane
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Roubini avverte:
"Siamo agli inizi di
una nuova bolla del
credito"
Con exit strategy Fed troppo veloce, "crash bond ed economia". Ma se
troppo lenta...
di WSI
Pubblicato il 09 maggio 2014| Ora 14:45
Commentato: 8 volte
NEW YORK (WSI) - "Siamo all'inizio di una nuova bolla sul credito, ma appena all'inizio. Tutti gli
accadimenti sui mercati finanziari ad alto rischio che si sono manifestati nel 2006 e nel 2007 (e poi
sono terminati nella grande crisi dell'autunno 2008) si stanno manifestando allo stesso livello di
rischiosita', se non peggiore". Questa l'interpretazione dello stato attuale dei mercati e dell'economia
globale offerta da Nouriel Roubini, professore alla New York University e presidente di Roubini
Global Economics, che ne ha parlato nel corso di un'intervista rilasciata a Maria Bartiromo al canale
Fox Business Network. "Forse oggi non c'è una bolla sul mercato azionario americano", ma la
strategia di uscita dalle maxi iniezioni di liquidità da parte della Federal Reserve sarà così lenta che
non mancheranno i presupposti di una nuova bolla, ha detto Roubini. "Abbiamo creato una bolla
subprime, una bolla immobiliare, una bolla sul credito, una bolla azionaria, una bolla finanziaria. E
dopo, tutte le bolle sono scoppiate e c'è stato un crash. Questa volta, dopo cinque anni di politica a
tassi zero, il QE1, il QE2, l'Operation Twist, il QE3, la Fed iniziera' ad alzare i tassi solo a metà
dell'anno prossimo". Il processo di normalizzazione dei tassi, a suo avviso, sarà molto lento.
"Dunque, quali sono i rischi legati a questo processo molto lento? Creeremo di nuovo grandi bolle e
queste grandi bolle porteranno a grandi crash", e' la risposta. Roubini sottolinea che "bisognerà
raggiungere la stabilità economica e la ripresa. E sopratutto bisognerà evitare squilibri sui mercati
finanziari. Ma oggi le banche centrali hanno un altro obiettivo: la stabilità finanziaria". Il punto è
che se la Federal Reserve uscirà (dalla politica monetaria ultra accomodante) troppo presto, "ci sarà
un crash del mercato dei bond, e si ucciderà l'economia". Se d'altro canto "la Fed uscirà troppo
lentamente o troppo tardi, si creerà una bolla finanziaria, ed è questa la sfida più grande che la Fed
dovrà affrontare nei prossimi tre, quattro anni". Il professore precisa che "siamo all'inizio anche di
una grande bolla sul credito, appena al suo inizio, è un fenomeno non ancora sviluppato, ma tra un
anno e due, quando i tassi saranno ancora poco al di sopra dello zero, il rischio sarà totalmente
dispiegato".
Mps, il buco di bilancio si
allarga. Paga costi legati ad
aiuti di Stato
Ottava perdita consecutiva di bilancio su base trimestrale.
Perdita netta aumentata a 174 milioni di euro.
di WSI
Pubblicato il 13 maggio 2014| Ora 08:56
SIENA (WSI) - Banca Monte dei Paschi di Siena ha sofferto la sua ottava perdita di bilancio
consecutiva, su base trimestrale, complici i costi legati agli aiuti di stato che ha ricevuto. Nel primo
trimestre, stando a quanto riporta un articolo di Bloomberg, la perdita netta è aumentata a 174
milioni di euro, rispetto al rosso di 101 milioni di euro dello stesso periodo dell'anno precedente. I
risultati hanno scontato il pagamento di interessi e di oneri aggiuntivi per 143 milioni di euro versati
al Tesoro e legati agli aiuti che Mps ha ricevuto dallo stato. Prosegue la strategia
dell'amministratore delegato Fabrizio Viola che, nel tentativo di sollevare la terza banca italiana, sta
tagliando posti di lavoro e vendendo asset, al fine di far tornare l'istituto in attivo nel 2015. La
banca è vicina a vendere bad loans per ridurre i rischi. "Stiamo finalizzando la vendita di prestiti
non performanti per 500 milioni di euro - ha detto Viola, nel corso di una conferenza stampa - La
transazione dovrebbe essere completata nel primo semestre dell'anno". I risultati di bilancio sono
stati resi noti dopo la chiusura delle contrattazioni dei mercati della vigilia, con il titolo che ha
chiuso con +5,2% a 24,13 euro. Le quotazioni sono balzate +38% quest'anno. Monte dei Paschi è
alla ricerca di nuovi fondi, dopo aver in parte ripagato i 4,1 miliardi di euro di aiuti statali, nel corso
di quest'anno. Gli interessi sui bond che ha venduto allo stato con l'operazione di bailout sono saliti
su base annua al 9,5% nel 2014, contro il 9% del 2013. L'istituto ha rimborsato in totale 5 miliardi
di euro dei 29 miliardi di aiuti che ha ricevuto dalla Bce attraverso l'operazione LTRO.
Renzi: "Europa salva
banche e lascia morire
i bambini
"
Commento sull'ultima strage dei migranti. Alfano: "Italia non può
diventare la prigione dei rifugiati politici".
di WSI
Pubblicato il 13 maggio 2014| Ora 07:58
ROMA (WSI) - Ha ragione Alfano, l’Europa ci lascia soli", ma "non può salvare gli stati, le banche
e poi lasciare morire le madri con i bambini". Queste le parole del premier Matteo Renzi nella
trasmissione "Quinta Colonna" di Retequattro. Gli interventi Mare nostrum "li devono fare anche
gli altri paesi europei", ha continuato, lanciando un appello a "tutte le istituzioni europee" ad agire:
"non devono girarsi dall’altra parte". Intanto è salito a 17 il numero dei corpi recuperati dopo la
strage di migranti avvenuta ieri a 40 miglia dalle coste della Libia. Le salme, insieme ai 206
sopravvissuti, sono su nave Grecale che si sta dirigendo verso Catania, dove il suo arrivo è previsto
per le 13. "L’Italia non può diventare la prigione dei rifugiati politici", ha detto il ministro
dell’Interno, Angelino Alfano. "Quelli che hanno diritto d’asilo a cui l’Italia riconoscerà il diritto
d’asilo andranno in Europa se ci vorranno andare". E ancora: "O l’Europa ci aiuta a presidiare la
frontiera o faremo valere il principio che il diritto d’asilo riconosciuto dall’Italia si possa esercitare
in tutta Europa». Parlando nel corso di un comizio elettorale a Bologna, il ministro Alfano ha
precisato che "il Mediterraneo non è una frontiera Italiana ma una frontiera europea, oggi una sede
di Frontex deve essere in Italia perché la frontiera è il Mediterraneo".
Scopri dove la vita è la meno cara (nel
pianeta)
Deutsche Bank ha analizzato i costi nelle principali metropoli mondiali. Usa a
buon prezzo, Brasile caro per gli standard degli 'emergenti'. È in India che
conviene vivere.
di WSI
Pubblicato il 13 maggio 2014
NEW YORK (WSI) - In India il costo della vita è tra i più bassi al mondo. Anche in Usa la vita non
è così cara se si confronta con altri stati industrializzati. In Brasile, invece, i prezzi sono più alti
della media dei paesi emergenti. Tra le città più care al mondo compaiono ancora Zurigo, Parigi e
Londra. La Deutsche Bank, come riporta il The Wall Street Journal, ha messo a confronto i prezzi
e le spese di tutti i beni possibili e messi in ordine. Quello che ne é venuto fuori é che Parigi,
Zurigo e Londra sono risultate le città più care, mentre per quanto riguarda i Paesi, al primo posto
si è piazzata l'Australia. La cosa interessante è che se si capovolge la classifica, al primo posto, per
quanto riguarda i Paesi, troviamo l'India. Una rupia debole ha infatti contribuito a mantenere i
prezzi bassi, nonostante l'elevata inflazione. La classifica generale nasconde alcune forti differenze
per i singoli prodotti. Ad esempio il noleggio di un auto per un solo giorno in Cina costa
mediamente 31,90 dollari, ovvero il 26% del prezzo negli Stati Uniti. Invece un paio di jeans o un
iPhone 5 sono tutti molto più economici se acquistati negli Stati Uniti. Le assicurazioni meno care
si trovano in India, Indonesia e Filippine. Il sondaggio ha anche svelato come Tokyo, che risultava
essere la città più cara nel 2001, è ora meno costosa di città come Melbourne, Ginevra, Oslo e
Caracas. Val la pena soffermarsi poi su Zurigo. La città svizzera risulta essere la città più cara per
quanto riguarda i parrucchieri. Un taglio di capelli infatti può arrivare a costare fino a 15 volte il
prezzo che si pagherebbe a Mumbai.
Krugman, sferzata contro
Europa: "ora vuole la
deflazione?"
Riferimento al discorso di Jaime Caruana, responsabile BRI, che ha
aspramente criticato il QE e le politiche monetarie espansive.
di WSI
Pubblicato il 13 maggio 2014| Ora 11:12
Commentato: 1 volta
NEW YORK (WSI) - Europa come al solito confusa e piena di contraddizioni. In un editoriale
scritto sul New York Times, il Premio Nobel per l'economia Paul Krugman mette in evidenza la
profonda differenza in termini di politica monetaria tra Stati Uniti da un lato ed Eurozona, dall'altro.
E non manca di criticare il recente discorso proferito da Jaime Caruana, general manager della
Banca dei Regolamenti Internazionali. Un "discorso notevole, e intendo dire nel peggiore dei
modi", dal momento che illustra perfettamente come i falchi (europei) continuino a trovare nuove
argomentazioni per la loro pretesa immutabile che noi (Fed) alziamo i tassi di interesse ora, ora e
ora". Critiche al discorso di Caruana arrivano anche da Ambrose Evans-Pritchard, editorialista del
Telegraph. Anzi, è proprio a tali critiche che Krugman si riferisce. Il titolo dell'articolo firmato dalla
penna di Ambrose Evans-Pritchard dice tutto: "ECB is delighted by the splendid prospect of
deflation", ovvero "alla Bce fa piacere la prospettiva splendida della deflazione". Viene ripresa la
frase di Caruana, secondo cui "la storia indica che periodi di deflazione sono stati spesso associati a
una crescita sostenuta della produzione. La Grande Depressione è stata più l'eccezione che la
regola". "Innanzitutto - si chiede Krugman - non è piuttosto significativo il fatto che la Banca dei
Regolamenti europei sia scivolata dagli avvertimenti contro l'inflazione - minimizzando le
preoccupazioni sulla deflazione - al dire che la deflazione vada bene"? Di fatto, Caruana ha fatto
riferimento al 19esimo secolo, definendolo un'era di "buona deflazione", di un contesto
caratterizzato dal calo dei prezzi, ma anche dai guadagni della produttività e dal fiorente commercio
globale. Allo stesso tempo, il responsabile della BRI ha attaccato il QE della Fed, parlando di
abitudini cattive delle banche centrali. "Le autorità di politica monetaria rispondono in modo
asimmetrico ai cicli successivi finanziari e di business, raramente alzando i tassi o anzi, addirittura
ricorrendo a politiche monetarie espansive in modo aggressivo e persistente durante le fasi di boom
e di esplosione di bolle, restando in questo modo a corto di munizioni e consolidando l'instabilità",
ha detto Caruana. Il funzionario si scaglia contro la politica di tassi di interesse a zero affermando
che essi rappresentano una soluzione veloce che presenta però il rischio di generare "maggiori danni
in seguito". E Krugman si chiede: "Ma (il 19esimo secolo) è davvero un buon modello?" "Giusto
per citare il punto più ovvio: la fine del 19esimo secolo fu caratterizzata da una crescita rapida della
popolazione nelle cosiddette 'aree di recenti insediamenti' (praticamente luoghi in cui gli europei si
stavano trasferendo, mandando via i locali). Negli Stati Uniti, la popolazione crebbe del 2% l'anno,
tra il 1880 e il 1910, sostenendo una elevata domanda per gli investimenti. E le zone dei recenti
insediamenti offrivano anche uno sbocco per le grandi quantità di flussi di capitali in arrivo
dall'Europa. In altre parole, la situazione era tale da aver creato un contesto di tassi di interesse reali
che erano naturalmente alti; di conseguenza, la deflazione era moderata e molto più sostenibile
rispetto alle condizioni di oggi". Sulle parole di Caruana secondo cui l'eccesso di debito implica che
una politica monetaria espansiva sia controproducente e non di aiuto, Krugman scrive: "Ma di cosa
sta parlando?", sottolineando che le analisi suggeriscono piuttosto che le politiche di bassi tassi o in
generale espansive sono invece di aiuto, in quanto "i redditi e i prezzi elevati riducono il peso del
debito". Inoltre, "la deflazione è ben peggiore in un mondo gravato da debiti (...) e non dovete
fidarvi della mia parola...basta che leggiate Irving Fisher!"
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Addio obbligo di assunzione dei
precari. Una multa e via
L'azienda che supererà il limite di contratti a termine
non dovrà più assumere il lavoratore ma sarà punita
con una sanzione monetaria. In Commissione
approvato
lunedì 5 maggio 2014 17:33
La commissione Lavoro del Senato ha dato il via libera all'emendamento del
governo al decreto sul mercato del lavoro che tramuta in una sanzione
monetaria il precedente obbligo di assunzione per le aziende che sforano il
tetto dei contratti a termine consentiti.
L'emendamento all'articolo 1 è passato con il voto dei partiti di maggioranza Pd, Ncd e Scelta Civica - dopo la mediazione di venerdì scorso con la quale
l'esecutivo ha assecondato le istanze degli alleati di centrodestra.
Nel corso della serata la commissione voterà tutti gli emendamenti presentati
dall'esecutivo, che sono otto e modificano anche alcuni punti che attengono
all'apprendistato. In particolare, sale a 50 da 30 il numero di dipendenti che
l'azienda deve avere affinché scatti l'obbligo di stabilizzare il 20% degli
apprendisti; la formazione sarà mista, pubblica e privata.
La versione del decreto approvata dalla Camera in prima lettura due settimane
fa era stata modificata per volontà della sinistra Pd introducendo l'obbligo di
assunzione a tempo indeterminato per le imprese che avessero sforato il 20%
di precari. Ncd aveva votato il testo poiché il governo aveva chiesto in aula la
fiducia, annunciando però battaglia contro una norma che secondo il partito di
Angelino Alfano ledeva la libertà d'impresa irrigidendo il mercato. Poi la
mediazione sulla multa che ha consentito oggi il voto favorevole in
commissione. La sanzione amministrativa sarà più lieve per il primo
sforamento e più pesante per i successivi.
Domani testo in Senato - Il decreto passa da domani all'esame dell'aula del
Senato, dove dovrebbe essere votato in seconda lettura entro la settimana. Poi
la terza, e salvo sorprese, ultima lettura alla Camera affinché il testo sia
convertito in legge entro il 19 maggio, pena la decadenza.
Sono circa 700 le proposte di modifica, di cui 600 del M5s ma oltre alle
modifiche frutto dell'intesa di maggioranza non sono attese ulteriori novità:
"L'accordo - sottolinea la capogruppo Pd in commissione Anna Maria Parente è chiuso". Il dl è atteso già domani mattina in Aula a Palazzo Madama. Dalla
commissione è arrivato il via libera anche all'emendamento del governo che
riscrive il preambolo al decreto, stabilendo un raccordo con il disegno di legge
delega che completa il Jobs act. Nella proposta dell'Esecutivo si evidenzia come
le norme del dl siano approvate "nelle more" del ddl delega che contiene la
"previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a
protezione crescente".
Le modifiche non piacciono a Forza Italia, secondo cui si peggiora la riforma
Fornero aumentando la disoccupazione: nel mirino in particolare proprio il
limite del 20% di lavoratori precari, con la relativa imposizione di sanzioni per
chi lo oltrepassa.
La vera sfida sul mercato del lavoro sarà la legge delega, seconda gamba del
Jobs act, che ha l'ambizione di introdurre il contratto a tutele crescenti e
riformare gli ammortizzatori sociali sostituendo la cassa integrazione in deroga
con un sussidio universale.
Brasile, la Coppa del Mondo
uccide i diritti
Tendopoli dei Sem Terra in un terreno occupato a
San Paolo per gli sfollati delle favelas. Almeno 9
morti nei cantieri e moltissimi i feriti [Marina
Zenobio]
mercoledì 7 maggio 2014 09:21
di Marina Zenobio
Inaugurata sabato scorso, alla periferia di San Paolo, la "Coppa del Popolo" con
l'occupazione di un'area di 150 mila metri quadrati di terra abbandonata da 28
anni e sulla quale, in meno di due giorni, sono state montate più di 2500 tende
che ospitano, almeno per ora perché si aspettano nuovi arrivi, oltre mille
persone.
L'occupazione, nata da una iniziativa del "Movimento dos Trabalhadores Rurais
Sem Terra" MST (Movimento dei lavoratori rurali senza terra), è situata a circa
quattro chilometri dal grandioso stadio Arena Corinthians-Itaquerão di San
Paolo che, il 12 giugno prossimo, ospiterà la prima partita dei mondiali di
calcio. Solo per la sua ristrutturazione lo stato brasiliano ha speso oltre un
milione di euro ma, complessivamente, per tutte le infrastrutture ritenute
necessarie ad ospitare i mondiali di calcio anche su richiesta della Fifa, il
governo guidato dalla presidente Dilma Rousseff ha investito circa 9 miliardi di
fondi pubblici, sottraendoli a molte emergenze del paese tra cui quelle abitative
e sociali.
E non è solo questo. Gli abitanti di molte favelas vicine agli stadi interessati dai
mondiali, sono state cacciate con la forza dalle loro case poi demolite. Ci sono
stati anche morti e molti feriti durante le operazione di "pulizia" e alle famiglie
rimaste senza casa non è stata offerta alcuna alternativa. L'unica alternativa è
stata l'occupazione che è in corso e che non sarà l'unica. Il Movimento ha già
anticipato che ne prossimi giorni ci saranno altre tre grandi occupazioni su
tutto il territorio brasiliano.
Intanto, per le massacranti condizioni di lavoro, continuano a morire gli operai
impegnati nella costruzione/ristrutturazione degli stadi-palcoscenico del grande
evento. Man mano che si avvicina il 12 giugno, la pressione sui lavoratori per
completare in tempo le infrastrutture è alle stelle, arrivando anche l'obbligo di
18 ore di lavoro senza pause. Il risultato è che finora, dall'inizio dei lavori, sono
morti ufficialmente 9 operai e decine sono i feriti.
L'ultimo incidente fatale è avvenuto il 1 aprile proprio nell'Arena Corinthians di
San Paolo, dove il 23enne Fabio Hamilton da Cruz è morto cadendo da 8 metri
menta lavorava al montaggio di una gradinata. Un giudice aveva
immediatamente imposto la chiusura parziale dell'opera ma, pochi giorni dopo,
il ministero del lavoro ha autorizzato senza se e senza ma la ripresa dei lavori
perché lo stadio deve essere pronto per la grande kermesse.
A febbraio era morto Antonio José Pita Martins di 55 anni. Un pezzo di
smontaggio si è staccato dalla gru, e ha colpito in pieno l'operaio uccidendolo.
Questo avveniva nello stadio Arena da Amazonia, a Manaus, lo stesso dove
aveva perso la vita alle quattro del mattino del 14 dicembre 2013, Marcleudo
de Melo Ferreira, 22 anni, precipitando da una impalcatura di 35 metri. Lo
stesso giorno, sempre a Manaus, mentre lavorava alla costruzione di uno dei
Centri accoglienza che integrano il complesso delle strutture per il campionato
di calcio, moriva per infarto, a 49 anni, Josè Antonio da Silva Nacimento.
E ancora il 28 marzo del 2013, sempre nello stadio di Manaus, moriva per
trauma cranico dopo una caduta da 5 metri, il 49enne Raimundo Nonato Lima
da Costa. Il 27 novembre, di nuovo nello stadio del club Corinthians, meglio
conosciuto come "Itaquerão", la caduta di una gru provocava la morte degli
operai Fabio Luiz Pereira di 42 anni e Ronaldo Oliveira dos Santos di 44. Per
blocco cardio-respiratorio moriva, il 19 luglio 2012 mentre lavorava alla
costruzione della Minas Arena di Belo Horizonte, Abel de Olivera di 55 anni.
Il primo operaio ad aprire questa tragica lista l'11 giugno del 2012, è il
giovanissimo José Alfonso de Oliveira Rodriguez, 21 anni, caduto mentre
lavorava a 30 metri di altezza nella struttura dello Stadio Nazionale di Brasilia
dedicato al grande Mané Garrincha.
Il Sindacato dei lavoratori delle costruzioni civile di San Paolo (Sintracon-SP)
ha più volte denunciato che la Fifa sta facendo pressione sul governo brasiliano
affinché tutto sia pronto per l'inaugurazione della World Cup 2014,il governo fa
quindi a sua volta pressione sulle imprese edili che, a loro volta, scaricano
queste pressioni sugli operai sottoponendoli a condizioni e ritmi di lavoro
massacranti, fino alla morte.
Non può quindi sorprendersi Dilma Rousseff - e il suo Partito dei Lavoratori che
il 3 maggio l'ha ri-candidata alle prossime elezioni presidenziali -, se la sua
popolarità è in calo e la conferma del suo incarico molto a rischio.
Uno su 4 non paga le rate:
in aumento i condomini
morosi
Nel 2009 i condomini inadempienti erano in Italia il
20%, oggi tale percentuale sale al 25%. Roma,
Milano, Napoli, Torino e Genova le città più
inadempienti.
sabato 3 maggio 2014 11:49
È in deciso aumento la quota di condomini morosi: uno su 4 non paga le rate
del condominio. Nel 2009, evidenzia un monitoraggio dell'Anammi, i condòmini
inadempienti erano in Italia il 20%, oggi tale percentuale sale al 25%. Un
fenomeno presente soprattutto nelle grandi città.
In particolare, dice l'associazione degli amministratori condominiali, sono
Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Genova le città più "morose". E non
solo nei quartieri popolari, ma ormai anche in quelli 'vip'.
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CARLYLE, BLACKROCK E ALTRE
METEORE
Made in Italy/Dieci anni fa dominava il «Triangolo di ferro»
tra il governo Bush, i militari e la finanza. Poi è arrivata
l'era Lehmann. Oggi il nuovo che avanza sono i mega Fondi
d'investimento
Ogni tre anni si presenta nel nostro quadro economico un pericolo formidabile... Sarà
sufficiente farne i nomi per ridurne la forza terrificante come si faceva nei mondi antichi
per rabbonire divinità implacabili? Par di scherzare, ma qualcuno pensa – soprattutto tra le
persone che comandano – che evocarne i nomi serva per farseli amici, per esorcizzarne le
conseguenze malefiche. Di fatto, in uno stesso momento, con un solo articolo di giornale,
un'unica intervista, tutti noi, angustiati, spaventati, veniamo a conoscenza di un nuovo
idolo da onorare, di un altro essere diabolico, di solito made in Usa, che prima non
conoscevamo ancora.
Dieci anni fa il pericolo si chiamava Carlyle. Chi si ricorda ancora di quell'idolo «falso e
menzognero»? Dominava allora il Triangolo di ferro, un'alleanza stretta tra potere militareindustriale, governo americano dei Bush e dei Dick Cheney, finanza sfrenata. In Italia
aveva alleati di tutto rispetto, signori e figli di signori che spiegavano essere quella la
religione da seguire per non essere condannati alla perdita dell'interesse, alla speculazione
negativa.
Qualche anno dopo, nel 2008, al vero scatenarsi della finanza ultra terrena capace di
prendersi tutto e il contrario di tutto, basta Carlyle; il genio del tempo prese il nome
di Goldman Sachs: era il male assoluto, capace di fare un solo boccone dei giganteschi
fratelli Lehman, banchieri assai temuti ma con i piedi d'argilla. Ecco Goldman, fabbrica e
crogiolo di tutti i mali e di tutte le paure; dal canto suo aveva contaminato le buone
istituzioni italiane e i personaggi più raccomandabili dell'epoca: Ministri, Governatori,
Padridella-patria gli avevano svenduto l'anima; e non solo in Italia.
Ai giorni nostri, finita anche la fase Goldman, dopo soli pochi anni, la nuova entità da
adorare è un'altra: BlackRock. Il titolo di spauracchio dell'anno, o del decennio, è vinto in
modo strepitoso da questo Fondo fondante , forte al punto di affondare chi non si adegua.
BlackRock, il primo azionista o meglio lo zar dell'intera borsa italiana. Torniamo
brevemente sul caso di Carlyle; l'appoggio italiano, il consenso ammirato, le firme
importanti di giovani figli di magnanimi lombi. Il potere immobiliare, rarefatto e nobile, per
Carlyle, poi offuscato dagli epigoni, i furbetti del quartierino. In ogni caso la bolla
immobiliare diventa, nei primi anni del nuovo millennio la via maestra per far soldi facili e
tanti alle spese di qualcun altro: del bene pubblico soprattutto. Si tratta di valorizzare la
ricchezza immobiliare i tutte le sue forme: immobili usati e nuovi per abitazione, servizi,
attività industriali; sfruttamento per posizione, paesaggio, pregi artistici e storici;
investimenti pubblici nei trasporti e nei servizi di rete. «Datevi da fare, arricchitevi» è il
motto del governo che con una serie di disposizioni consente a tutti di costruire, di
allargare, di salire, di sfondare. Il quartierino dei furbetti ha ormai raggiunto i confini
nazionali, ma nel frattempo raddoppia gli spazi e i volumi d'Italia. L'Italia finalmente si è
allargata; e guai a chi nega le coste sarde alla speculazione.
Goldman Sachs è il distillato del potere bancario, con tutti i suoi riti misteriosi e i suoi
affascinanti derivati. Le banche imparano da Goldman e dai suoi simili a disfarsi di crediti
difficili. Non solo, ma si apprende come dividerli, poi li si incarta abilmente e li si rivende,
molte volte, sempre gli stessi pacchettini di crediti ritenuti pericolosi, a gruppi e comunità,
a persone singole e famiglie, tutti avidi e scriteriati, tutti ignoranti e boriosi, tutti convinti
di avere raggiunto la conoscenza alchemica, la pietra filosofale che insegna a moltiplicare il
denaro servendosi della credulità dei gonzi, siano essi banchieri o industriali o pubblici
amministratori. L'idea base è che ciascuno si sente di far parte della religione degli
Illuminati e quindi in pieno diritto di agire e di truffare. Come si è visto, anche truffare è
un'arte da imparare, con dedizione e impegno. Non sempre è facile vendere la Fontana di
Trevi al primo che passa.
BlackRock (BR) è il nuovo che avanza. Si tratta di un importante Fondo d'investimento
che ha puntato molto denaro sul mercato borsistico italiano. I titoli di società in portafoglio
di BR valgono secondo i conti di maggio almeno 125 miliardi di euro, mentre l'intero listino
vale dieci volte tanto o giù di lì. Le azioni di BR sono di quelle che non si contano ma si
pesano. Gran parte degli investitori s'ispirano alle scelte di BR, considerato un socio,
esistente o potenziale, di straordinario rilievo, capace di valorizzare o al contrario far
precipitare il titolo, semplicemente lasciando trapelare quello che potrebbe fare in un
prossimo futuro. Anche gli altri titoli sono coinvolti. BR guida la borsa intera, le prospettive
degli investimenti; quelli che ha fatto e anche gli altri costretti a chiedersi: «perché no?»
La sua intelligenza delle cose è studiata e copiata; si determinano nuove mode, tendenze,
esclusioni; tutto questo significa successo o insuccesso, prospettive di crescita, infine
centinaia di assunzioni o di licenziamenti. Il governo si appassiona ai casi della Borsa e
dice la sua, adeguandosi: le scelte di BR fanno testo. Come è ovvio, neppure BR è il
Vangelo. Tra mesi o anni si scoprirà come non averne paura e poco dopo crescerà un'altra
moda, un nuovo genio del male o della fortuna, da temere o da venerare. Anche BR sarà
dimenticato, pur continuando a prosperare, alle nostre spese, accanto ai fratelli maggiori,
prosperosi, Carlyle e Goldman Sachs.
L'IRI DEL DUCE E DI BENEDUCE
di Valentino Parlato
9.05.2014
Made in Italy/Una ripetizione dell'Iri sarebbe oggi difficile e
forse inutile ma qualche altra forma di iniziativa di politica
economica è necessaria
«Nell'esercizio dei compiti gravosi che lo Stato ha affidato all'Iri questo deve avere la
possibilità di scegliere gli uomini da mettere al comando delle aziende nelle serie
organizzazioni industriali del paese (...) Se l'Iri non potesse fare ciò esso fallirebbe
certamente gli scopi che lo Stato gli ha imposto di conseguire». Così scriveva Alberto
Beneduce ad Achille Starace, un importante gerarca fascista (da "Beneduce il finanziere di
Mussolini" di Mimmo Franzinelli e Marco Magnani pagina 242 Mondadori 2009).
L'economia italiana, dopo una fase di crescita subito dopo la fine della prima guerra
mondiale, entrò in una seria crisi sia produttiva che finanziaria. L'inizio degli anni '30
(pesava la crisi del '29) fu molto grave e coinvolse anche le banche: si arrivò al rischio di
fallimento della Banca d'Italia e così maturò la creazione dell'Iri, sigla che significa,
appunto, Istituto di Ricostruzione Industriale. L'Iri nacque, per decreto, il 23 gennaio
1933, e durò fino al 1992. Ebbe subito successo anche grazie all'intesa tra Mussolini e
Beneduce, nittiano, antifascista, massone. I due si intesero cosi bene che molti parlano
dell'Iri del Duce e Beneduce. L'Iri negli anni '30 salvò l'industria italiana nella quale le
imprese – allora, come anche oggi – non erano animate da un forte spirito imprenditoriale
e forte era la tendenza ad accomodamenti parassitari e prefallimentari. Ma non dobbiamo
neppure dimenticare il ruolo straordinario che l'Iri ha avuto nel secondo dopoguerra e
nella produzione del cosiddetto "miracolo italiano".
Ma oggi? Forte è l'impressione di essere tornati agli anni '30. La produttività è ferma da
almeno una ventina di anni, la produzione stagna o cala, la disoccupazione raggiunge
livelli straordinariamente elevati e i giovani – viene da dire – sono senza avvenire. C'è la
globalizzazione e siamo coinvolti nella crisi globale, che è anche epocale perchè agisce sul
peso e sul ruolo del lavoro vivo: Marx ci raccomandava di stare attenti alla caduta
tendenziale del saggio di profitto. Situazione nuova e piuttosto difficile, anzi molto difficile
e pericolosa per la contemporanea crisi della politica e della cultura. Stare fermi ed
aspettare una assai improbabile ripresa, a mio parere può portare solo al peggio. In
questo difficile e pericoloso contesto viene da pensare a una resurrezione dell'Iri. Certo,
nel secondo dopoguerra e senza il Duce e Beneduce è stato assai utile. Ma oggi la
situazione internazionale e nazionale è molto cambiata. Una ripetizione dell'Iri sarebbe
difficile e forse inutile ma qualche altra forma di iniziativa di politica economica è
necessaria e con l'attuale Unione Europea non può essere solo nazionale. Ci sono le
elezioni europee, sperare che qualche novità emerga è piuttosto difficile. Ma la crisi
impone la ricerca di vie d'uscita. Viviamo tempi difficili. Aprire una discussione, a mio
parere, sarebbe utile e, forse, necessario.
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Quanto prendono i dirigenti delle autorità di
garanzia italiane. E i loro curriculum
di Maghdi Abo Abia - 09/05/2014 - Politici di vecchio corso e persone legate al
potere, che riescono ad assicurarsi lauti compensi che superano il limite previsto da
Matteo Renzi di 239.000 euro l'anno lordi. Ecco i casi che fanno discutere
Quanto prendono in Italia all’anno i dirigenti, i consulenti ed i collaboratori delle diverse
autorità italiane? Su questa domanda negli ultimi mesi la propaganda politica ha combattuto a
più riprese spiegando come uno dei problemi del nostro Paese sia rappresentato dai compensi
troppo generosi rifilati dallo Stato ai membri della “casta”.
AGCM - Quella dell’Ivass è una situazione lineare. Qualcosa di diverso appare invece nello studio
dei compensi garantiti dall’Autorità per la Concorrenza nel Mercato, l’Agcm. Il Presidente,
Giovanni Pitruzzella, riceve annualmente 311.658,53 euro mentre il componente Salvatore
Rebecchini ne guadagna 280.492,68. Il primo è stato nominato nel 2011 ed il suo incarico durerà
sette anni mentre il secondo, entrato nel 2009, dovrebbe lasciare nel 2015. Il segretario generale,
Roberto Chieppa, guadagna 274.011,38 euro mentre il capo di gabinetto, Filippo Arena, è pagato
223.754,40 euro. Per questi ultimi due viene specificato che non conservano il trattamento
economico dell’amministrazione di provenienza.
I DATI DELL’AEEG - Giovanni Pitruzzella è un avvocato cassazionista che ha iniziato il suo
rapporto con la politica come consulente giuridico alla Presidenza del consiglio negli esecutivi
Ciampi e Dini, già Presidente della Commissione di Garanzia dell’Attuazione della Legge sullo
Sciopero nei Servizi Pubblici Essenziali, venne nominato nel 2013 dal Presidente della
Repubblica membro della commissione per le riforme economiche. Roberto Chieppa è stato
Presidente dell’associazione consiglieri di Stato. Parlando dell’Aeeg, autorità energia elettrica e gas,
il presidente, ingegner Guido Pier Paolo Bortoni, riceve 293.658,95 euro l’anno lordi. I quattro
componenti, invece, Alberto Biancardi, Luigi Carbone, Rocco Colicchio e Valeria Termini
ricevono 264.293,05 euro.
QUATTRO ANNI D’INCOMPATIBILITÀ - Tuttavia in questo caso è interessante notare una
postilla che modifica la percezione della loro attività:
I Componenti restano in carica 7 anni; nel corso del mandato, si applica un regime di
incompatibilità con altre attività lavorative esteso anche ai 4 anni successivi la fine dell’incarico.
Al termine dell’incarico risultano incompatibili con altre attività lavorative per i successivi quattro
anni. Certo, nei sette anni che restano in carica guadagnano 1.850.051 euro. Ma resta comunque un
dato da non sottovalutare così come il fatto che venga sottolineato il valore bipartisan delle nomine.
I COMPENSI DEL CNEL - Per ultimo chiudiamo con quello che è ormai diventato il «mitico»
Cnel, ormai additato come lo specchio degli sprechi del nostro Paese. Eppure, tolto il compenso del
presidente, il compenso lordo dei consiglieri non sembra poi così elevato, visto che parliamo
di 25.633,44 euro lorde annue. Certo, stupisce sapere che i consiglieri che ricevono tale cifra sono
61. E le cose assumono un contorno sicuramente diverso, specie se consideriamo che ogni anno la
collettività si trova a sborsare 1.563.639,84 euro.
IL COMPENSO DEI DIRIGENTI E DEL PRESIDENTE - Poi ci sono i dirigenti. Michele
Dau guadagna 143.146,03 euro lordi annui. Angela Belli, dirigente di seconda fascia responsabile
delle risorse umane, 112.528 euro. Elisabetta Bettini, primo ufficio di supporto agli organi
collegiali, 110.293 euro. Larissa Venturi, secondo ufficio di supporto agli organi collegiali, 105.685
euro l’anno. E per finire c’è Antonio Marzano, il Presidente, già parlamentare di Forza Italia
per 21 anni, dal 2005 Presidente del Cnel, forte di un compenso annuo lordo di 213.244,56
euro. Cifre e curriculum da far girare la testa, indubbiamente.
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13 mag 2014 19:47
GOMBLOTTO! (E IL BANANA GODE)
- SILVIO CONFERMA: “SAPEVO CHE
C’ERA UN PIANO PER
SOSTITUIRMI CON UN GOVERNO
TECNICO. OBAMA FU CORRETTO,
MENTRE SARKOZY E MERKEL
VOLEVANO IMPORMI LA TROIKA
CON L’IMBROGLIO DELLO SPREAD”
Berlusconi a Friedman: “Già nel giugno 2011, quando ancora
non era scoppiato l’imbroglio degli spread, Napolitano
riceveva Monti e Passera, per scegliere i tecnici di un nuovo
governo. Al G-20 di Cannes, amici e colleghi di altri paesi mi
dissero: "Ma hai deciso di dare le dimissioni? Perché
sappiamo che tra una settimana ci sarà Monti…"
Alan Friedman per "Corriere.it"
Seduto nel giardino di Villa San Martino a Arcore, Silvio Berlusconi è più che
soddisfatto. Le anticipazioni del libro di memorie di Timothy Geithner (Stress
Test) confermano quello che il Cavaliere dice di sapere da tempo, e cioè, che la
Casa Bianca bocciò una richiesta da parte di alcuni europei di far cadere il suo
governo nell'autunno del 2011. «Non sono sorpreso. Ho sempre dichiarato che
nel 2011 nei confronti del mio governo, ma anche nei confronti del mio Paese,
c'è stato tutto un movimento che era partito dal nostro interno ma poi si è
esteso anche all'esterno per tentare di sostituire il mio governo, eletto dai
cittadini, con un altro governo», dice Berlusconi.
«L'IMBROGLIO DELLO SPREAD»
«Già nel giugno del 2011, quando ancora non era scoppiato l'imbroglio degli
spread, il Presidente della Repubblica Napolitano riceveva Monti e Passera,
come è stato scritto, per scegliere i tecnici di un nuovo governo tecnico e
addirittura per stilare il documento programmatico. E poi abbiamo saputo
anche che ci sono state quattro successive tappe di scrittura, con l'ultima
addirittura di 196 pagine».
Berlusconi è in grande forma e viene fuori un ricordo preciso. «Io avevo la
contezza che stesse accadendo qualcosa e avevo anche ad un certo punto
ritenuto che ci fosse una precisa regia. Al G-20 di Cannes, addirittura, amici e
colleghi di altri paesi mi dissero: "Ma hai deciso di dare le dimissioni? Perché
sappiamo che tra una settimana ci sarà il governo Monti...". E l'ha rivelato per
esempio Zapatero in un suo libro che riguardava quel periodo»
«DISSI NO ALLA TROIKA»
Non è sorpreso che queste nuove rivelazioni vengano da un uomo di Obama.
«Io devo dire che Obama si comportò bene durante tutto il G20. Noi fummo
chiamati dalla Merkel e Sarkozy a due riunioni in due giorni consecutivi e in
queste riunioni si tentò di farmi accettare un intervento dal Fondo Monetario
Internazionale. Io garantii che i nostri conti erano in ordine e non avevamo
nessun bisogno di aiuti dall'esterno e rifiutai di accedere a questa offerta, che
avrebbe significato colonizzare l'Italia come è stata colonizzata la Grecia, con la
Troika».
13 mag 2014 18:32
ARCHEO – L’INTERVISTA DI ENZO
BIAGI A UN NAZISTA SULLE
ULTIME ORE DI HITLER – “MI
DISSE: “I MIEI GENERALI E I MIEI
UFFICIALI MI HANNO TRADITO E
VENDUTO, I MIEI SOLDATI NON MI
VOGLIONO PIÙ E IO STESSO NON
ME LA SENTO DI CONTINUARE”.
DURANTE LA NOTTE SI SPARÒ UN
COLPO DI PISTOLA’’
Cosa è successo dopo la sua fuga dal bunker? ‘’Ero ferito
gravemente, i russi mi hanno tenuto per sei giorni insieme
agli altri generali, senza farmi cure particolari. Ogni mattina
si presentava un commissario che mi chiedeva dove avevo
portato Hitler con il mio aereo. I russi sapevano che volava
solo con me e pensavano che l’avessi aiutato a fuggire…
Intervista di Enzo Biagi pubblicata dal "Fatto quotidiano"
Hans Baur NAZISTA
Generale Hans Baur, quando ha incontrato per la prima volta Adolf Hitler?
Negli anni Venti sono andato a una sua riunione e mi ha colpito. Gli ho parlato
per la prima volta nel 1932. Allora prestavo servizio sulla linea aerea per
Roma. Durante un rientro sono atterrato a Monaco e mi è stato detto: "Signor
Baur, il signor Hitler vorrebbe noleggiare un aereo". È stato un incontro molto
cordiale.
"Tra poco avremo le elezioni. La propaganda elettorale ha senso unicamente se
è immediata", mi ha detto. Il Reich tedesco era molto esteso e percorrendolo
in automobile o in ferrovia, nel caso migliore, Hitler avrebbe potuto partecipare
solo a poche riunioni. Noleggiando un aereo era possibile presenziare a quattro
o cinque comizi in ventiquattro ore. Siamo riusciti a essere presenti su
centottantatre piazze. "Se andrò al potere, costituirò un corpo di aviatori
governativi e lei sarà il capo", mi disse alla fine del grande tour. Così è stato.
Quali altre personalità politiche ha trasportato durante la sua carriera?
Durante la guerra dovevo prelevare i fedmarescialli dal fronte per portarli dal
Führer e poi tutti i capi di Stato, alcuni esempi: il vice primo ministro rumeno
Antonescu; re Boris, lo zar bulgaro; Horty il reggente del Regno d'Ungheria, il
finlandese Mannerheim; il Nunzio apostolico Pacelli, che poi è diventato Papa
Pio XII.
Lei ha avuto a bordo Benito Mussolini?
Sì, e non soltanto una volta, molte. Mussolini era lui stesso pilota, ma gli aerei
Condor che avevamo in dotazione erano troppo per lui. Il Condor gli piaceva
molto, e Hitler mi ha detto: "Vorrei regalarne uno al Duce", e io gli ho risposto:
"Non lo faccia perché poi qualunque cosa accada lei ne sarà responsabile. Per
portare un aereo di questo tipo uno deve essere veramente un buon pilota. Il
Führer aveva una grande stima di Mussolini".
HANS BAUR INSIEME AD HITLER
Generale Baur, com'era il suo rapporto con Hitler?
Hitler era il miglior capo che uno potesse desiderare. Dopo le elezioni del '33
che lo hanno nominato Cancelliere, mi ha detto: "Lei ha svolto il suo compito in
modo eccellente, e la mia casa sarà aperta per lei giorno e notte, può andare e
venire quando vuole. È stato così. A Berlino ero solo perché la mia famiglia
viveva nel Sud, e tutte le volte che mi trovavo in città pranzavo e cenavo con
Hitler.
Come era la vita nella Cancelleria del Reich durante la guerra?
La vita di Hitler, durante la guerra, era molto dura, e c'è da stupirsi che l'abbia
sopportata per sei anni. Due riunioni al giorno: la prima a mezzogiorno dove si
discuteva della situazione militare, l'altra era a mezzanotte e non finiva mai
prima delle tre o delle quattro del mattino. Dormivo due o tre ore a notte: non
era un problema.
Lei ricorda del Führer i momenti in cui è apparso particolarmente provato o
quelli in cui era contento?
Le sconfitte erano i momenti peggiori, la vittoria, invece, lo eccitava. Quando si
trovava in una cerchia ristretta di persone, era un buon compagno, parlava
liberamente e si curava molto di coloro che gli stavano attorno. Ricordo che
allora mi ero appena sposato, e se una sera non mi presentavo a cena mi
chiedeva dove ero stato e mi diceva che le berlinesi erano belle ragazze, e non
voleva che tradissi mia moglie.
HANS BAUR NAZISTA
Cosa accadeva nel bunker durante le ultime settimane?
Si trattava di un rifugio relativamente molto piccolo, la camera del Führer
misurava due metri per tre, un piccolo divano per due persone. Davanti alla
sua stanza c'era un locale che fungeva da sala da pranzo dove prendevamo i
pasti.
BUNKER HITLER
Come ha vissuto la morte della famiglia Goebbels?
È stata una vera e propria tragedia. Ricordo che il 15 aprile 1945 passeggiavo
nel giardino della Cancelleria, guardavo gli allestimenti per la difesa: cannoni e
mortai, ero con il Führer, improvvisamente è arrivata frau Magda, la moglie di
Goebbels. Hitler le si è avvicinato: "Cara signora, mio Dio, lei è ancora a
Berlino? Le metto subito a disposizione la mia casa di Berghof in Baviera, sulle
Alpi, là non può accadere nulla a lei e ai suoi bambini. Andatevene, questa è
ormai solo una trappola per topi".
La signora Goebbels supplicante: "Mein Führer, devo rivolgerle una richiesta,
per favore, mio marito è il sindaco della capitale, se davvero i russi dovessero
entrare lui cadrà assieme alla città. La vita non ha scopo alcuno per me senza
di lui. Non ho messo al mondo i miei sei bambini perché vengano portati in giro
per Unione Sovietica come attrazione da baraccone, come i figli del
propagandista Goebbels. Vorrei pregarla di lasciarmi stare accanto al mio
sposo".
EVA BRAUN SPOSO' HITLER IL GIORNO
PRIMA DEL SUICIDIO
Da quel momento in poi anche la signora Goebbels ha alloggiato nel bunker
con i bambini. Negli ultimi giorni piangeva spesso, diceva: "Questa vita è molto
difficile per una mamma". Quello che è accaduto l'ho saputo da Voss.
L'ammiraglio era solo e stava mangiando. Improvvisamente è entrata frau
Magda che gli ha chiesto: "Ha visto un medico entrare nella camera dei
bambini?". Voss ha risposto: "Sì, è appena passato qualcuno con un camice
bianco".
La signora è andata anche lei nella camera, dopo mezzora è tornata
dall'ammiraglio e ha detto: "Per noi sarà più facile morire, abbiamo superato il
peggio". In quel momento i bambini erano stati uccisi. Goebbels è rimasto fino
alla fine, fino alla morte del Führer si è occupato di tutto. Posso dire
semplicemente che non era soltanto un grande propagandista, era anche un
uomo d'animo forte, degno di tutto il rispetto.
Hitler a tavola con Eva Braun
È vero che negli ultimi giorni lei ha fatto partire un aereo con il materiale
d'archivio o con i diari di Hitler?
Andò così: verso il 20 aprile tutti i miei aerei, una dozzina, sono stati fatti
partire, questo avveniva di notte. Il Führer aveva dato ordine di portare al Sud,
a Salisburgo e a Monaco, tutto il materiale che a Berlino avrebbe potuto essere
distrutto. Il 25 aprile un aereo pilotato dal mio attendente Arnd è partito con i
documenti militari di Hitler, insieme a quelli personali delle sue azioni, ma
l'aereo non è mai arrivato a Monaco e di Arnd non ho mai più saputo niente.
Quando l'ho detto al Führer è impallidito ed è diventato furente. Se i documenti
non fossero stati importanti non avrebbe avuto quella reazione.
Nella Cancelleria del Reich si è parlato qualche volta delle persecuzioni contro
gli ebrei?
Questa è stata una sorpresa anche per me: quando ero in prigione i russi mi
hanno detto: "Avete ucciso milioni di israeliti". Per me era come una fiaba, noi
non sapevamo niente di queste storie. Se davvero è successo qualcosa, sono
certo che il Führer non ne era al corrente. Probabilmente il responsabile è
Himmler, che ha fatto tutto di sua iniziativa. Di tutto viene accusato Hitler, ma
non è assolutamente vero.
EVA BRAUN
Ricorda della reazione di Hitler ai tentativi di Goring e di Himmler di avviare
delle trattative separate con gli Alleati?
Sì, è stato il 25 aprile. È giunto un telegramma di Goring al Führer che diceva:
"In base alla seduta del Reichstag in data tal dei tali, io sono stato nominato
suo naturale successore. Attualmente lei si trova accerchiato a Berlino e
dispone di un potere di comando limitato, la prego di passarmi i poteri".
Noi eravamo completamente tagliati fuori dal mondo esterno, le notizie le
apprendevamo via radio trasmesse dagli americani. Una fra le tante diceva che
Go-ring aveva iniziato delle trattative con gli Usa. Il Führer si è molto
arrabbiato. Io dormivo in camera con Bormann e ricordo che a mezzanotte è
venuto da me e mi ha detto: "Signor Baur, legga questo dispaccio, devo
cercare di farlo avere in qualche modo a Goring".
Il testo era pressappoco il seguente: "L'azione da lei compiuta è alto
tradimento e secondo la legge tedesca viene punita con la morte. Tenendo in
considerazione il servizio da lei prestato alla Germania mi astengo da tale
punizione, ma esigo che lei mi presenti immediatamente le sue dimissioni". Da
quel giorno in poi Go-ring è stato escluso dalle file nazionalsocialiste.
Signor Baur, quando ha lasciato Berlino?
Proprio alla fine. Il 30 aprile tutto era concluso e il primo maggio ce ne siamo
andati. La sera prima mi ero congedato da Hitler, mi ha fatto chiamare e mi ha
detto: "Vorrei accomiatarmi da lei". "Mio Dio, mein Führer, non vorrà farla
finita?", gli ho risposto . "Sì, purtroppo è giunto il momento. I miei generali e i
miei ufficiali mi hanno tradito e venduto, i miei soldati non mi vogliono più e io
stesso non me la sento di continuare".
BUNKER NEI SOTTERRANEI DI
BERLINO CENTRO
"Abbiamo degli aerei che possono volare per diecimila chilometri, la posso
portare dove desidera". Mi ha risposto: "No, per me è assolutamente fuori
questione lasciare la Germania. Potremmo resistere ancora qualche giorno, ma
ho paura che poi cadrei nelle mani dei russi, mi rinchiuderebbero in una gabbia
di ferro e mi porterebbero in giro per il mondo, quindi la faccio finita". Durante
la notte si sparò un colpo di pistola. Come sono uscito dal bunker sono rimasto
gravemente ferito, colpito alle gambe, al petto e a un braccio, mi sono rifugiato
in una casa in fiamme, il quadro è andato bruciato con tutto il resto che avevo
in uno zaino.
Cosa è successo dopo la sua fuga dal bunker?
Ero ferito gravemente, i russi mi hanno tenuto per sei giorni insieme agli altri
generali, senza farmi cure particolari. Ogni mattina si presentava un
commissario che mi chiedeva dove avevo portato Hitler con il mio aereo. I
russi sapevano che volava solo con me e pensavano che l'avessi aiutato a
fuggire.
BUNKER HITLER
Poi, finalmente, hanno cominciato a curarmi: mi è stata amputata una gamba
perché, nel frattempo, era subentrata la setticemia. Dopo sei mesi di sanatorio
sono finito in un campo di concentramento. Ero il prigioniero più felice: mentre
i miei camerati si lamentavano di tutto, io ero contento perché potevo
finalmente vedere degli alberi e non soltanto un filo di cielo.
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Gli insuccessi nella
liberalizzazione del
lavoro a termine
Riccardo Realfonzo e Guido Tortorella Esposito
13 Maggio 2014 -
L’effetto sociale più grave della crisi economica scoppiata alla fine del
2007 è l’impennata della disoccupazione. In Italia i senza lavoro sono
più che raddoppiati rispetto al 2007 e oggi superano i 3,2 milioni. Anche
nel 2014 la disoccupazione continuerà ad aumentare: secondo le
previsioni del governo il tasso di disoccupazione a fine anno giungerà al
12,8%, contro il 6,1% del 2007.
Non si tratta di uno scenario solo italiano, dal momento che nell’Eurozona si muovono oggi 19
milioni di disoccupati, ben 7 milioni in più rispetto al 2007, e alcuni paesi - come la Grecia e la
Spagna - hanno visto addirittura triplicare la disoccupazione.
In questo contesto, gli interventi espansivi di politica fiscale vengono ostacolati dai vincoli sul
deficit e sul debito pubblico previsti nei trattati europei. Insomma, in Europa continua a prevalere
l’austerità, benché il suo insuccesso sia ormai sempre più spesso riconosciuto anche dai principali
istituti di ricerca internazionali (ad esempio il FMI). L’attenzione si sposta allora sulle politiche del
lavoro e in particolare sulla possibilità, sostenuta dalla letteratura economica più conservatrice, la
stessa che difende l’austerity, che una sempre maggiore flessibilità del mercato del lavoro possa
favorire la crescita occupazionale. In Italia, dopo la riforma Fornero, si prova con il decreto Poletti
ad agire ancora sui contratti a termine, nella convinzione che una ulteriore liberalizzazione di questo
tipo contrattuale possa fornire un contributo alla riduzione della disoccupazione. Per questa ragione,
si interviene prevedendo, tra l’altro, l’eliminazione dell’obbligo di indicazione della causale
economico-organizzativa, l’aumento del numero delle proroghe possibili, la trasformazione di
obblighi ad assumere in sanzioni amministrative.
Si intende dunque procedere in continuità con il recente passato, inserendo dosi di maggiore
flessibilità del mercato del lavoro italiano. Ma occorre chiedersi: le politiche di deregolamentazione
e di riduzione delle protezione del lavoro che risultati hanno conseguito in questi anni in Europa e
in Italia? E in particolare, la liberalizzazione dei rapporti di lavoro a termine ha avuto successo nel
favorire la crescita occupazionale? Ebbene, l’esperienza storica a nostra disposizione, così come
registrata dai dati ufficiali, ci permette oggi di affermare che queste politiche non hanno avuto alcun
successo in Europa negli ultimi 25 anni. Pertanto, non vi sono ragioni per ritenere che l’inserimento
di ulteriori dosi di flessibilità possa in qualche modo contribuire alla ripresa dell’occupazione in
Italia e in Europa.
Per dimostrare quanto appena affermato, facciamo ricorso al database sulla flessibilità del mercato
del lavoro messo a disposizione dall’OCSE. Il riferimento è all’Employment Protection Legislation
Index (EPL), l’indice che misura il grado di protezione dell’occupazione previsto dalla legislazione
di un Paese. L’EPL, utilizzato in tutta la letteratura scientifica su questi temi, è oggi il migliore
indicatore esistente sul grado di rigidità del mercato del lavoro. Dopo una serie continua di
affinamenti e aggiornamenti, oggi l’EPL viene elaborato dall’OCSE sulla base di 21 indici sintetici
che, con una serie di pesi, consentono di stimare i due sottoindicatori che contribuiscono a
comporre l’EPL: l’indicatore di protezione per i contratti a tempo indeterminato (EPRC) e
l’indicatore di protezione per i contratti a tempo determinato (EPT)[1]. Complessivamente, tanto
più la legislazione accentua la flessibilità del mercato del lavoro – eliminando protezioni, vincoli e
costi per le imprese, intervenendo sulla disciplina dei contratti a tempo indeterminato e su quella dei
contratti a tempo determinato – tanto minore è l’indicatore EPL. Dunque: più flessibilità significa
meno EPL.
Ecco di seguito l’andamento dell’EPL nell’Eurozona[2], come stimato dall’OCSE, dal 1990 al
2013:
Come si osserva, con eccezione di Francia, Austria e Irlanda, tutti i paesi dell’Eurozona hanno
ridotto in questi anni la protezione del lavoro, rendendo complessivamente più flessibili i loro
mercati. L’Italia è tra i paesi che si è maggiormente impegnata in tal senso, portando l’indicatore di
protezione del lavoro dal valore 3,82 del 1990 al 2,26 del 2013 (riducendolo quindi di oltre il 40%).
Si tratta di un dato appena superiore a quelli registrati da Olanda, Finlandia, Germania, Belgio e
Grecia (per non parlare di Irlanda e Austria, che hanno mercati fortemente deregolamentati), ma
inferiore a quelli di Spagna, Portogallo e Francia.
Per valutare se politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro e incremento della
flessibilità adottate dall’Eurozona abbiano avuto un qualche successo nel favore la crescita
occupazionale, occorre porre la variazione dell’EPL in correlazione con i tassi di disoccupazione
ufficiali. Per ciò che concerne la disoccupazione utilizziamo i dati ufficiali Eurostat riportati nella
Tabella 1.
In particolare, per valutare se esista un qualche nesso di causalità tra le politiche di riduzione della
protezione dell’occupazione e la disoccupazione si procede con alcune elaborazioni seguendo una
consolidata metodologia. In sostanza, si calcola la variazione assoluta dell’EPL riscontrata tra il
2013 e il 1990 ponendola in correlazione con la media delle variazioni, anno dopo anno, del tasso di
disoccupazione, registrate nei singoli paesi (tecnicamente si opera una regressione semplice
bivariata).
Procedendo in questo modo e considerando tutti i paesi dell’Eurozona si ottiene il seguente
risultato:
Come si osserva, la retta di regressione appare inclinata negativamente. Il che significa che al
ridursi dell’EPL, e quindi all’aumentare della flessibilità, la disoccupazione nell’Eurozona tende
generalmente ad aumentare.
Si tratta di un risultato che evidentemente nega la tesi tradizionale secondo cui la flessibilità
determina più occupazione. Certo, la correlazione non è particolarmente marcata (con R-quadro pari
a 0,35) ma la sua dimensione e il segno negativo della correlazione quanto meno smentiscono l’idea
che le politiche di flessibilità abbiano avuto successo nel ridurre la disoccupazione all’interno
dell’eurozona. D’altronde, come si osserva, tutti i paesi mostrano incrementi del tasso di
disoccupazione (UNMP), ma essi tendono ad essere più spiccati proprio in quelle realtà nelle quali
più forti sono state le deregolamentazioni, come in Grecia, Portogallo e Spagna (ma anche la stessa
Italia). L’esatto contrario di quanto ci si aspetterebbe alla luce della teoria economica standard. Si
può notare ancora che i tre paesi che hanno aumentato la protezione del lavoro – Francia, Irlanda e
Austria – hanno registrato aumenti del tasso medio di disoccupazione particolarmente bassi, quando
non addirittura una diminuzione della disoccupazione (nel caso dell’Irlanda).
Per approfondire la riflessione con specifico riferimento alla liberalizzazione dei rapporti di lavoro a
termine, abbiamo replicato l’analisi considerando il sottoindicatore EPT, che misura la protezione
dell’occupazione relativamente al lavoro a termine.
Il sottoindicatore EPT (che pesa ½ nel calcolo complessivo dell’EPL) viene stimato come segue
dall’OCSE:
Come si osserva, risulta confermato che la maggioranza dei paesi dell’Eurozona hanno condotto dal
1990 ad oggi politiche di liberalizzazione del lavoro a termine. Le eccezioni sono Francia, Austria,
Finlandia e Irlanda. È anche evidente il particolare impegno con il quale l’Italia ha proceduto dal
1990 ad oggi a liberalizzare il lavoro a termine: l’indicatore EPT si riduce infatti da 4,88 a 2.
Procedendo con la metodologia precedentemente indicata, abbiamo allora provato a verificare se
queste specifiche politiche di flessibilità abbiano avuto un qualche impatto positivo in termini di
riduzione della disoccupazione. Il risultato ottenuto è sintetizzato dalla Figura 3:
Anche in questo caso, la retta di regressione è inclinata negativamente, e ciò significa che in
generale nei paesi dell’Eurozona, dal 1990 ad oggi, la liberalizzazione dei rapporti di lavoro a
termine si è accompagnata con l’aumento della disoccupazione. Si noti che in questo caso il valore
della correlazione è ancora meno significativo (R-quadro qui è 0,15). Occorre quindi prudentemente
escludere di essere di fronte a una prova che la flessibilità aumenti la disoccupazione. Ma
certamente si può concludere che le politiche di liberalizzazione del lavoro a termine non hanno
determinato alcuna crescita occupazionale.
Si noti che l’Italia è il Paese che, dal 1990 ad oggi, ha fatto i maggiori sforzi nella liberalizzazione
del lavoro a termine. È infatti il Paese collocato nella Figura 3 più vicino all’asse delle ordinate, e
nonostante ciò registra una sensibile crescita della disoccupazione.
L’analisi sin qui condotta riguardavano il periodo 1990-2013, e dunque anche il periodo della crisi
scoppiata a fine 2007. E ciò potrebbe indurre a pensare che in qualche modo l’analisi possa essere
viziata da eventuali “distorsioni” provocate dalla crisi stessa nella “normale” connessione tra le
variabili economiche. Abbiamo allora ritenuto opportuno testare la presenza di una correlazione tra
liberalizzazione del lavoro a termine e occupazione anche limitatamente al periodo pre-crisi (19902007).
L’analisi dell’esperienza storica del periodo pre-crisi, condotta sempre con la medesima
metodologia, porta al seguente risultato:
Qui l’analisi perde sostanzialmente ogni significatività statistica, dal momento che la retta di
regressione appare piatta (solo lievemente inclinata come nei casi precedenti, con R-quadro pari
appena a 0,001). Ciò significa che tra il 1990 e il 2007 le politiche di deregolamentazione sono del
tutto incorrelate con le variazioni dell’indice protezione dell’occupazione a termine. Va da sé che
l’assenza di una qualunque correlazione conferma che anche limitatamente al periodo pre-crisi le
politiche di liberalizzazione non hanno avuto alcun successo nel ridurre la disoccupazione sulla
scena europea.
D’altra parte, anche un esame specifico delle principali riforme del lavoro a termine conferma le
conclusioni sopra osservate. L’unico caso di un possibile successo di queste politiche potrebbe
essere quello del Belgio, dove nel 1997 si intervenne massicciamente riducendo i vincoli alle
agenzie interinali e permettendo una più ampia reiterazione dei contratti a termine. In quel caso, il
tasso di disoccupazione si portò stabilmente al di sotto del livello del ’97 (il 9,2% e oggi oscilla
intorno all’8,5%). Ma gli altri esempi sono tutti in controtendenza. Si pensi al caso esattamente
opposto della Finlandia dove un piccolo aumento delle protezioni sul lavoro ha coinciso con il calo
stabile del tasso di disoccupazione registrato prima di questa riforma. Si consideri anche il caso del
Portogallo, dove si è intervenuto ripetutamente aumentando la flessibilità del ricorso ai contratti a
tempo determinato senza alcun risultato occupazionale. O si pensi al più noto caso della Grecia,
dove si è intervenuti sui contratti a termine nel 2003 e nel 2011, senza che ciò abbia in alcun modo
arginato la crescita della disoccupazione. Infine, c’è il caso italiano, dove – a seguito di un percorso
passato principalmente per il Pacchetto Treu, il decreto legislativo 368 del 2001, la legge 30 del
2003 (riforma Biagi) e la legge Fornero – la liberalizzazione dei rapporti di lavoro a termine ha
comportato il più che dimezzamento dell’indicatore rispetto al valore del 1990, e nonostante ciò
oggi il tasso di disoccupazione è di quattro punti percentuali più elevato di allora.
D’altra parte, le conclusioni di questo studio non possono stupire chi segue la letteratura
internazionale. La stessa OCSE ha a più riprese negato l’esistenza di una correlazione tra flessibilità
e occupazione[3]. Per di più l’attuale capo economista del FMI, in uno studio del 2006, sostenne
che “le differenze nei regimi di protezione dell’impiego appaiono largamente incorrelate alle
differenze tra i tassi di disoccupazione dei vari Paesi”[4]. Questi risultati sono stati recentemente
ribaditi anche dalla letteratura italiana[5].
In conclusione, lo studio della relazione tra normative sul lavoro e occupazione mostra che
l’aumento della flessibilità del mercato del lavoro non favorisce la riduzione della disoccupazione.
E altrettanto dicasi per gli interventi normativi specifici che riguardano i contratti a tempo
determinato. Insomma, vi è evidenza empirica a sufficienza per chiarire che le riforme del mercato
del lavoro nel senso della flessibilità abbiano fallito nel perseguire la crescita occupazionale. Non si
comprende, quindi perché l’Italia e l’Europa dovrebbero continuare lungo una strada che ha ampi
costi sociali.
[1] In questo lavoro abbiamo utilizzato la prima versione dell’indice EPL esaminata dall’OCSE, per la quale si dispone dei dati dal 1985 al 2013. L’ultima versione – la 3 – non consente ancora una analisi
soddisfacente perché i dati disponibili si limitano al periodo 2008-2013. Desta molta curiosità la circostanza che l’OCSE abbia improvvisamente deciso di non rendere più pubblico l’indice EPL, ma solo le
sue componenti principali, mettendo comunque a disposizione i dati per effettuare il calcolo. Le ragioni di questa decisione
non sono del tutto chiare.
[2] L’intera analisi qui condotta considera tutti i paesi dell’Unione Monetaria, con esclusione di quelli per i quali l’OCSE offre solo dati parziali. I Paesi esclusi dall’analisi sono pertanto: Lussemburgo,
Cipro, Estonia, Lettonia, Slovacchia e Slovenia. In Appendice pubblichiamo i valori dell’EPL che, come specificato in nota 1, non vengono più direttamente resi noti dall’OCSE.
[3]
Si
rinvia
a
riguardo
ai
diversi Employment
Outlook pubblicati
dall’OCSE,
ad
esempio
quello
del
2004.
[4]
O.
Blanchard,
“European
Unemployment:
the
Evolution
of
Facts
and
Ideas”, Economic
Policy,
2006.
[5] Si rinvia ad esempio a E. Brancaccio, Anti-Blanchard. Un approccio comparato allo studio della macroeconomia (Franco Angeli, Milano, 2012) e A. Stirati, “La flessibilità del mercato del lavoro e il mito
conflitto tra generazioni” (in P. Leon e R. Realfonzo, L’economia della precarietà, 2008). P iù recentemente si veda R. Realfonzo,
“Deregolamentare per crescere? EPL, quota salari e occupazione”, Rivista giuridica del lavoro, 2013, n.
3, pp. 487-502. Per una riflessione sul dibattito italiano si rinvia ad A.Pacella, R. Realfonzo e G.
Tortorella Esposito, “La flessibilità del lavoro come fattore di competitività. Una analisi critica delle
politiche di riforma in Italia” in corso di pubblicazione in Diritti, Lavori, Mercati.
del
Appendice
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Blackrock mette nel carrello della spesa
anche Bpm
di Francesca Gerosa
Spunta Blackrock tra i principali azionisti della Banca Popolare di Milano. Il fondo
americano, secondo quanto ha riportato oggi la Consob tra gli aggiornamenti sulle
partecipazioni rilevanti, ha in portafoglio il 5,149% del capitale della popolare milanese.
Tale posizione è spalmata tra 13 distinte società di gestione controllate dal gigante
statunitense del risparmio gestito.
La salita è datata 6 maggio, secondo giorno di contrattazione dell'aumento di capitale da
500 milioni di euro che si chiuderà il prossimo 23 maggio (i diritti sono negoziabili fino al
16). Blackrock, che già detiene quote sopra il 5% in Intesa Sanpaolo, in Unicredit e nel
Banco Popolare, diventa così il secondo azionista di Bpm, dietro al fondo Athena di
Raffaele Mincione, che ha il 7,019%; sopra il 2% risultano, secondo le tabelle della
Consob, anche Ubs (3,623%) e Grantham Mayo van Otterloo (2,108%).
In un'intervista l'ad di Bpm, Giuseppe Castagna, ha affermato che, dopo l'aumento di
capitale, la banca avrà "con ogni probabilità una platea più vasta e frazionata di investitori
istituzionali" perché dai road show delle ultime settimane all'estero è emerso che
"l'interesse c'è". Dopo la notizia del nuovo shopping di Blackrock, il titolo Bpm avanza a
Piazza Affari dello 0,73% a quota 0,624 euro.
Oggi Banca Imi ha alzato il target price sull'azione da 0,69 a 0,73 euro, confermando la
raccomandazione add, visto che l'utile netto del primo trimestre pari a 64 milioni di euro è
stato superiore alle loro attese e a quelle del consenso grazie a un trading income più alto
del previsto che ha beneficiato di un capital gain di 61 milioni di euro derivante dalla
cessione di bond governativi italiani, mentre il net interest income e le commissioni sono
risultate marginalmente superiori alle previsioni.
Gli analisti di Banca Imi hanno giudicato anche "piuttosto positivo" l'outlook indicato dal
management: sebbene i crediti verso la clientela siano risultati ancora in calo, Bpm si è
impegnata ad aumentare il portafoglio di prestiti approfittando dei primi segni di ripresa
economica. Mentre il processo di revisione degli add-ons, i requisiti prudenziali aggiuntivi
sul capitale imposti da Banca d'Italia, avrà inizio una volta terminato l'aumento di capitale.
A detta degli esperti della banca d'affari, se gli add ons fossero rimossi, un dividendo
potrebbe essere possibile per Bpm il cui titolo è scambiato a 0,62 volte il book value
tangibile, un livello che non incorpora un possibile miglioramento della redditività della
banca dopo la ripresa economica. L'ultimo dividendo staccato da Bpm risale al 23 maggio
2011: 0,10 euro per azione.
Mps, il mercato apprezza i ricavi core e il
taglio dei costi
di Francesca Gerosa
I risultati del primo trimestre di Monte dei Paschi sono stati inferiori alle attese per un costo extra
legato al rimborso dei Monti Bond (143 milioni di euro pre tasse) e per i più alti accantonamenti per
perdite su crediti che hanno portato a una perdita netta di -174 milioni di euro (-20 milioni circa
l'attesa del consenso). Un dato però controbilanciato dai più alti ricavi, soprattutto quelli core, e dei
più bassi costi, tanto che per alcuni analisti la qualità dei dati è buona.
"Il costo una tantum per il rimborso dei Monti Bond è legato al fatto che la Fondazione Mps ha
venduto azioni a un prezzo superiore a quello implicito negli aiuti di Stato", hanno spiegato stamani
gli analisti di Equita (buy e target price a 0,31 euro confermati sul titolo). Al netto di questa
componente, "il margine di interesse è risultato decisamente superiore alle attese grazie al calo del
costo della raccolta".
Insomma, i risultati sono buoni al netto delle componenti straordinarie anche perché la crescita dei
crediti dubbi è in rallentamento. "Nel complesso, la redditività core di Mps si sta riprendendo, in
particolare grazie a un net interest income più forte, che beneficia dei più bassi costi del funding, e
di una ripresa delle commissioni", hanno notato gli analisti di Deutsche Bank (target price alzato da
23,90 a 25,30 euro, rating hold), convinti che questo sarà ancora più visibile dopo il completamento
dell'aumento di capitale da 5 miliardi di euro.
Così in borsa il titolo Mps regge alle vendite (+0,29% a 24,21 euro), anche perché, come hanno
sottolineato gli analisti di Kepler Cheuvreux (reduce e target price a 14 euro), il dato sui ricavi core
adjusted è stato incoraggiante: +0,4% su base annua, con un margine di interesse in calo dell'1,6%
su base annua ma in aumento del 4,3% su base trimestrale, e con commissioni in crescita del 3,2%
su base annua (+10% su base trimestrale), un segnale di una progressiva normalizzazione del core
business in un mercato ancora difficile.
Al contempo, secondo Kepler Cheuvreux, gli accantonamenti sono stati ancora alti, ma inferiori al
picco: 510 milioni di euro, -1,1% su base annua, un dato solo leggermente superiore alla stima di
Kepler Cheuvreux a 498 milioni. Mentre gli accantonamenti per perdite su crediti a 447 milioni
hanno implicato un costo del rischio annualizzato ancora alto a 144bps ma sotto i 148bps attesi
perché i crediti sono risultati del 2% sopra le stime del broker.
Tuttavia non manca chi come Banca Akros (rating reduce) ha criticato, oltre alla perdita superiore
alle attese, i ricavi totali scesi del 18% anno su anno a 957 milioni, un dato dell'11,5% più basso del
previsto, apprezzando solo i costi operativi, scesi più delle attese del 9% anno su anno e del 3,6%
trimestre su trimestre a 660 milioni di euro, anche se, come avvertono gli analisti di Banca Imi
(hold e target price a 22 euro), non possono essere considerati ricorrenti nei prossimi trimestri.
In conclusione, "mentre l'utile di Mps è stato ancora penalizzato da una voce una tantum, i trend
operativi sono positivi e più forti del previsto, grazie alle azioni messe in atto dal management per
migliorare i ricavi e ridurre i costi operativi. Consideriamo anche positivamente l'inizio del
miglioramento della qualità del funding. Invece la qualità del credito, che espone la banca a un
rischio correlato a un potenziale esito negativo dell'asset quality review, rimane un problema, a
nostro avviso", hanno concluso gli analisti di Banca Imi.
La prossima settimana l'assemblea degli azionisti di Mps voterà per l'aumento di capitale da 5
miliardi di euro, che il management intende eseguire nel mese di giugno, al fine di rimborsare 3
miliardi di euro di aiuti pubblici ai primi di luglio, mentre aspetterà l'esito dell'asset quality review
della Bce per decidere quando rimborsare i restanti 1,07 miliardi di euro.
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E ora 1.000
miliardi
Un’operazione finanziaria straordinaria da 1.000 miliardi di euro per fare uscire l’Italia dalla
palude. Come? Attraverso il lancio di una sorta di offerta pubblica di scambio (ops) da
parte del governo, per ristrutturare il debito pubblico in essere, ormai detenuto per il 60%
da cittadini, banche, assicurazioni, fondi di investimento italiani o da istituzioni finanziarie
estere riconducibili a investitori italiani.
Questa la proposta di programma shock che MF-Milano Finanza e l’Italia c’è propongono
al presidente del consiglio in pectore, Matteo Renzi, perché dimostri di essere un vero
rottamatore, un demolition man per dirla con il Financial Times. Un manifesto per l’Italia
elaborato e condiviso con economisti e professionisti del calibro di Paolo Savona e Andrea
Monorchio.
Lo scambio serve a sostituire 1.000 miliardi di titoli del debito pubblico italiano sul mercato
con l’attribuzione pro-quota di 650 miliardi di nuovi titoli a lungo termine, indicizzati
all’inflazione e al 20% della crescita del pil reale (proposta Savona-Rinaldi), e di 350
miliardi di titoli di partecipazione nel fondo patrimoniale degli Italiani (proposta MonorchioSalerno). Contestualmente, vengono emessi nuovi titoli di debito infruttiferi per 150
miliardi, a dotazione di tre fondi per lo sviluppo.
L’operazione, che verrebbe avviata solo al raggiungimento della soglia di disponibilità di
1.000 miliardi da parte del mercato, consentirebbe di:
A) abbattere immediatamente il debito pubblico di 200 miliardi (circa il 13% del pil),
riportandolo ai 1.800 miliardi del 2009;
B) ridurre stabilmente l’onere per gli interessi di almeno 35 miliardi annui (oltre il 2% del
pil) con una pari riduzione della pressione fiscale;
C) far partecipare paritariamente i privati alla gestione del Fondo patrimoniale degli italiani,
cui lo Stato e le amministrazioni locali conferiscono asset mobiliari e immobiliari, ivi
compresi i cespiti delle concessioni, per complessivi 700 miliardi. Ai diritti di partecipazione
per 350 miliardi attribuiti ai privati corrisponde un ritorno minimo garantito pari a quello dei
titoli di Stato attribuiti con lo scambio e l’esonero da tassazione delle plusvalenze per 25
anni;
D) creare tre fondi, con la dotazione di 50 miliardi di euro ciascuno, per complessivi 150
miliardi (circa il 10% del pil) volti a:
1) finanziare la ripresa del mercato immobiliare garantendo i nuovi mutui e accollando
cinque anni di preammortamento della quota di pagamento degli interessi;
2) coprire le perdite bancarie derivanti dalle sofferenze in essere per i crediti erogati alle
imprese (rimanendo in ogni caso esclusa la possibilità di recuparare minusvalenze su
operazioni di trading, proprietario o meno, e su partecipazioni azionarie);
3) creare un credito di imposta pari al 100% della ricapitalizzazione effettuata dalle piccole
e medie imprese mediante l’apporto diretto dei soci, il conferimento degli utili (che
vengono comunque detassati), ovvero il finanziamento di start-up.
Questo è lo scambio politico che va proposto: meno rendite sul debito in cambio della
partecipazione alla gestione del patrimonio pubblico e di un forte incentivo alla ripresa
economica. Questa è la grande riforma strutturale che occorre avviare in Italia, per
cambiare il rapporto tra Stato e mercato, per modificare un modello di crescita fondato sul
debito e sulla sottocapitalizzazione delle imprese.
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ITALY’S REVOLVING DOORS
Scritto il 13 maggio 2014
Mentre secondo un’intervista di Padoan alla Repubblica il Tesoro è in campo
per cedere il 10% di Eni e Enel
… Al sesto anno di crisi, con il debito avviato verso il 135% del Pil, per il Tesoro
è il momento di rompere un nuovo tabù. Vanno ceduti altri pezzi importanti del
capitale di Eni e di Enel. Lo Stato non ha più assoluto bisogno di mantenersi
sopra il 30%, la quota di controllo, nelle sue più grandi società quotate. Può
anche scendere di un altro 10% senza dover temere per questo scalate ostili di
investitori esteri. La speranza è che anche il premier Matteo Renzi se ne
convinca. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e la sua squadra ci
stanno riflettendo seriamente, perché conoscono alla perfezione i vincoli entro i
quali il Paese si muove. Il debito pubblico era intorno al 120% del prodotto
lordo nel 2011 e, secondo le stime del Documento di economia e finanza (Def),
salirà al 134,9% quest’anno.
…noi andiamo a dare un’occhiata alla porte girevoli nostrane e mondiali, giusto
per rinfrescare la memoria di tutti coloro che andranno a votare, per sostenere
questa Europa, si l’Europa che ho descritto nel mio editoriale sul Giornale
l’Adige di cui ben pochi parlano, anzi…
In questi giorni è uscito un rapporto pubblicato da Corporate Europe
Observatory, un gruppo di ricerca indipendente che vuole far conoscere e
sfidare l’accesso privilegiato e l’influenza che godono i gruppi di pressione nel
processo decisionale europeo, un esercito di 1.700 lobbisti con a disposizione
un fatturato annuo di oltre 120 milioni di euro, forniti da banche e altre
imprese del settore per sostenerne le attività. Non solo, nei primi mesi del
2013 un quotidiano inglese ha reso noti documenti secondo i quali, a Bruxelles,
hanno stanziato milioni di euro per intervenire sui social network nei dibattiti
sulla moneta unica, cercando di influenzare l’opinione degli utenti, in direzione
unica.
Ma prima solo una precisazione, con l’augurio che questo post possa girare il
più rapidamente possibile per far comprendere a tutti come la democrazia è
stata ormai definitivamente sequestrata dalla plutocrazia finanziaria mondiale!
Ma non aveva forse detto Matteo Renzi recentemente … “L’Eni è oggi un pezzo
fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della
nostra politica di intelligence. Cosa vuol dire intelligence? I servizi, i servizi
segreti“….?
E ancora a proposito di un suo recente incontro alla City… Poi ha raccontato,
con riferimento al suo incontro con gli investitori della City: «Ieri a Londra mi
hanno detto che potrei vendere Eni. Ma noi non vendiamo i nostri
gioiellini».(IlSole24Ore)
Giusto per mettere le cose in prospettiva e rinfrescare la memoria degli italiani
ma non solo il suo amico Davide Serra, il finanziere che fa la morale in Italia e
paga le tasse nei paradisi fiscali …
Serra: «la City colpita positivamente» da Renzi Un faccia a faccia con
imprenditori e alta finanza della City, quello andato in scena questa mattina
all’ambasciata italiana a Londra. Renzi, si è intrattenuto per oltre un’ora e
mezza ascoltando e prendendo la parola quasi esclusivamente per porre
domande ai propri ospiti. A riferirlo è stato uno strenuo sostenitore di Renzi, il
patron del fondo Algebris, Davide Serra: «La sala è rimasta positivamente
colpita: per la prima volta è arrivata una persona che ascolta», ha raccontato
Serra.( Il Sole 24 Ore )
Giusto per mettere i puntini sulle i queste sono le spettacolari performance dei
fondi dell’amico di Renzi…
Un po’ ci si è messa anche la sfortuna, ma per Davide Serra il mese di aprile
non deve essere stato troppo entusiasmante. Intanto le performance dei suoi
fondi: -6.9% per l’Algebris Global Financials Fund (-6% da inizio anno); 4,28% per l’Ms Algebris Global Financials Ucits Fund, -2,97% per il Long Only
Global Financials Fund, poco sotto lo zero il Financial Income Ucits Fund. In
positivo solo il Financial Credit Ucits (1,46%) e il Financial CoCo Fund (2,16%).
Si tratta delle stime inviate a un panel di interlocutori di Algebris, la società che
Serra guida. ai lavori. Tutti i dolori del giovane Davide Serra – Formiche
Ma proseguiamo!
Quindi se Renzi giustamente dopo quello che ha pubblicamente dichiarato è
molto perplesso allora è un’ideuccia di Padoan quella di vendersi un 10 % di
ENI e ENEL, non è che qualcuno ha promesso qualcosa in giro?
No sai perchè ho appena saputo che … Grilli assunto in Jp Morgan L’ex ministro
del Tesoro diventa presidente per l’area Europa, Medio Oriente e Africa per la
banca d’affari Usa. Si occuperà di corporate e investment bank. Stava per
passare a Jp Morgan già tre anni fa, prima della chiamata di Monti
MILANO - Le aveva definite “voci infondate e dannose”, quando il giorno
prima del varo del governo Monti, il 14 novembre del 2011, era stato ipotizzato
un suo passaggio a Jp Morgan. Allora Vittorio Grilli era direttore generale del
Tesoro e a luglio si era parlato di lui come di un possibile successore di Mario
Draghi alla guida di Banca d’Italia. Il suo sponsor era Giulio Tremonti, un astro
in discesa che non riuscì a piazzare il suo protetto al vertice di Via Nazionale.
Grilli aveva chiesto l’appoggio per salire sul trono dei banchieri italiani anche a
Massimo Ponzellini, il discusso presidente della Banca Popolare di Milano, finito
al centro di un’inchiesta per finanziamenti facili a un giro di “amici”. Ma non gli
valse a nulla, la spuntò Ignazio Visco.
A proposito di ENI ed ENEL il popolo di Icebergfinanza sa cosa sia un ”
DIVIDEND YIELD” vero. Beh se non lo sapete faciamo un pò di financial literacy
aiutandoci con Wikipedia…
In finanza ed economia finanziaria, il dividend yield o rapporto dividendoprezzo corrisponde al rapporto tra l’ultimo dividendo annuo per azione
corrisposto agli azionisti o annunciato e il prezzo in chiusura dell’anno di
un’azione ordinaria. Esso è utilizzato come indicatore del rendimento
immediato indipendentemente dal corso del titolo azionario.
Quindi come potete vedere qui sopra il rendimento medio lordo di un’azione
eni dal 2006 in poi è stato del 6 % minimo e noi che paghiamo oggi il 3 % a
dieci anni sul nostro debito pubblico e in media il 4 % arrotondando per difetto,
ripeto noi andiamo a vendere il 10 % di una gallina dalle uova d’oro che rende
il 6 % per ripagare un debito che ci costa il 4 %!
Favoloso, voglio anch’io dei consulenti finanziari meravigliosi come questi o
magari come qualche professorino italiano che insegna in America, che ogni
tanto fa campagna elettorale in Italia per lo zero virgola.
Ma prima di tornare a Grilli facciamo un piccolo elenco delle REVOLVING
DOORS mondiali, ovvero le porte girevoli dalle quali entrano ed escono a
piacimento banchieri che diventano ministri e viceversa.
Il caso più ecclatante è quello americano, una nazione amministrata da
banchieri…
Poi c’è quella europea dove ex uomini di Goldman Sachs hanno amministrato il
fallimento dell’Europa e tuttora lo stanno amministrando …
Per carità di patria è meglio non dire nulla del recente governo Monti intriso di
banchieri o amministratori di banche da Passera alla Fornero, ma passiamo
direttamente a quella che è la squadra di Goldman Sachs italiana, ma non solo
anche Deutsche Bank e via dicendo…
Ve lo ricordate Romano Prodi PRODI CON GOLDMAN SACHS FARA’ ANCHE
IL CONSULENTE …
MILANO L’ ex presidente dell’ Iri Romano Prodi è in avanzate trattative con la
merchant-bank americana Goldman Sachs che gli ha chiesto di diventare suo
consulente strategico per il mercato italiano. La notizia, confermata da fonti
vicine allo stesso Prodi, soddisfa finalmente le curiosità da tempo concentrate
sulle occupazioni del professore di Bologna dopo la sua uscita dalle
Partecipazioni Statali.
Ve lo ricordate Giuliano Amato… ***Deutsche Bank: Giuliano Amato
senior advisor in Italia …
Giuliano Amato e’ stato nominato senior advisor di Deutsche Bank in Italia. In
questo ruolo, secondo quanto apprende Radiocor. Amato supportera’ Deutsche
Bank in Europa e soprattutto in Italia dando un contributo all’interpretazione
degli scenari politici e macroeconomici e nella valutazione degli interventi e
delle normative del Governo, fornendo la propria consulenza ai principali clienti
attuali e potenziali della banca.
Qualcuno dirà ma sai ci ha rinunciato qualche anno dopo e
mancherebbe…Amato spiazza Deutsche Bank proprio ora che si fanno affari
ci
Ve lo ricordate Gianni Letta, si l’ombra di Silvio Berlusconi altro nome da
brivido che circola come possibile presidente della Repubblica come Prodi…
Gianni Letta nominato advisor di Goldman Sachs – Il Sole 24 ORE
Anche se sembra che Oggi Goldman Sachs non ha più bisogno dei Prodi,
Monti, Letta
Ve lo ricordate Blair si quello che dovrebbe essere un modello per Renzi?
Ebbene anche quello…La seconda vita di Blair, consulente superpagato per la
JPMorgan… LONDRA - Fare il primo ministro non è un lavoro semplice.
Polemiche, tensioni, stress. E in più le soddisfazioni per aver lavorato bene
possono arrivare solo dopo, all’indomani dell’addio al governo. Però a volte si
tratta di soddisfazioni di tutto rispetto. Tony Blair, per esempio, ha appena
firmato un contratto da superconsulente per la banca d’affari americana Jp
Morgan che gli frutterà un milione di dollari all’anno.MUTUO DA 5 MILIONI –
In questo modo Blair non avrà il minimo problema a estinguere il pesante
mutuo (24.000 euro al mese) della casa da 5 milioni di euro comprata a
Londra nel quartiere di Bayswater.
Devo andare avanti magari elencando qualche altro psicopatico che si crede
essere la mano di Dio o predicatore di un nuovo vangelo come ho scritto nel
mio libro?
Di cosa volete parlare di bello oggi di democrazia o di più Europa mentre
qualcuno si sciroppa qualche telenovelas o la solita partita di calcio?
Siete immersi nella più colossale truffa della storia della finanza mondiale, frodi
, manipolazioni, indici, valute, commodity, tassi manipolati, e soprattutto udite
udite…
…questa è una crisi di debito PUBBLICO, mica di debito PRIVATO!
Aveva ragione Prezzolini… la parabola dei fessi e dei furbi …italiani popolo di
fessi!
Mi dispiace ma questa è la pura e semplice realtà, bisogna prenderne atto,
come noi facciamo da anni, mentre altri vi illudono inutilmente, in direzione
sempre e solo ostinata e contraria!
UNA BOCCONI…DI
PIZZA!
Scritto il 12 maggio 2014
Mentre mezzo mondo vi sussurra che questa è una crisi economica e
finanziaria e che le radici sono soprattutto tecniche e scientifiche, si continua
naturalmente a rubare, manipolare, corrompere, frodare, l’economia e la
finanza sono dominio di un manipolo di psicopatici politici e finanzieri, imbottiti
di cocaina e testosterone, che stanno abbandonando il Titanic sulle uniche
scialuppe rimaste.
Quando apri il giornale e la televisione, non solo in Italia sia ben chiaro e vedi
che qualche ministro a sua insaputa finisce in galera o che dietro l’Expo di
Milano vi è nascosta l’ennesima immensa italica tangentopoli è solo un
problema tecnico o scientifico, siete poco flessibili, poco produttivi dovete
lavorare di più.
Ovviamente il livello di corruzione è uno dei motivi del degrado antropologico
del Paese, Icebergfinanza lo scrive da anni, ma come sempre abbiamo bisogno
del capo dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone che segua
direttamente i lavori dell’Expo di Milano travolta dallo scandalo delle tangenti
non prima ma dopo, quando ormai la figura mondiale è fatta.
Ma torniamo a noi e andiamo alla Bocconi, dove sembra che vi siano state
scene da panico e resse disumane per procurarsi un posticino alla lezione di
Briatore che dopo aver definito le start-up fuffa ha lasciato ai posteri il
seguente messaggio biblico…
“Non voglio portare sfiga, ma per voi non ci sono opportunità. Fate un lavoro
normale, magari apritevi una pizzeria. Così se fallisce almeno vi mangiate una
pizza. Se fallisce la start up non vi rimane neppure quello” Briatore: ”Le start
up? Fuffa. Aprite una pizzeria”
Nei miei locali i camerieri riescono a guadagnare 5mila euro esentasse al mese
solo di mance. Perchè lavorare per 1400 euro è inutile”. Briatore in Bocconi:
“Giovani, niente start up. Aprite pizzerie ..
Ho letto in giro questa sintesi … Gli va dato atto di non aver voluto infierire
sugli studenti con una retorica buonista: non è mai stato suo costume. Flavio
Briatore, forte di un successo costruito da zero e con qualche piccolo intoppo di
percorso, ha elargito agli studenti della Bocconi una vera e propria lezione di
vita su cosa significhi capire la propria strada nella vita.
Qualche piccolo intoppo di percorso riconducibile secondo le cronache ad un
processo per gioco d’azzardo condannato a tre anni e ad un processo per reati
fiscali, questi sono i modelli proposti dalla prestigiosa Bocconi o Bocciofila come
dice Crozza a seconda dei punti di vista.
Ma lasciamo la giusta dose di gossip e occupiamoci seriamente del messaggio
principale che desidero condividere in mezzo al deserto, che sintetizzo in
queste poche frasi …
” (…) Ci siamo iscritti sperando di ottenere un’ampia e preliminare introduzione
alle nozioni fondamentali della teoria economica che ci sia da supporto nelle
varie ricerche e nelle differenti discipline che affronteremo. (…) Invece
abbiamo trovato un corso che espone una specifica – e limitata – visione
dell’economia, che a nostro parere perpetua nella società odierna sistemi di
disuguaglianza problematici e inefficienti (…) Un valido studio accademico
dell’economia deve includere una discussione critica dei benefici e dei difetti di
più modelli economici. (…) Abbiamo uno scarso accesso ad approcci alternativi
all’economia. “
La maggior parte di noi ha scelto di studiare economia per acquisire una
conoscenza approfondita dei fenomeni economici (…) Ma l’insegnamento
offerto, soprattutto teorie neoclassiche e metodi da esse derivati,
generalmente non soddisfa queste aspettative(…) Il lato empirico – fatti storici,
funzionamento delle istituzioni, studio dei comportamenti e delle strategie degli
agenti – è quasi del tutto inesistente. (…) Questa lacuna nell’insegnamento,
questa indifferenza verso la realtà concreta, provoca un problema enorme a
coloro che vorrebbero rendersi utili agli attori economici e sociali.
E’ chiaro o no che l’economia e la finanza, il loro insegnamento non possono
più essere lasciate in mano ad un casta autoreverenziale di presunti stregoni
che hanno fatto già abbastanza danni negli ultimi decenni? E finitela di dire che
è una materia troppo complessa e complicata per Voi, riprendete in mano la
Vostra vita e quella dei Vostri figli.
I baroni regnano sull’università Raccomandazioni, scambi di favori, meriti
negati, titoli ignorati. Il concorsone per scegliere i professori è sommerso di
ricorsi. Il consiglio di stato ha accolto le proteste di un bocciato e potrebbe
annullare l’intera tornata di nomine. Ecco come naufragano gli atenei italiani
Ah porci!”, esclamò Perpetua. “Ah baroni!”, esclamò don Abbondio». I
lanzichenecchi che distrussero la Lombardia nel 1630 Alessandro Manzoni li
chiama proprio così, «baroni». Dal latino “baro – baronis”, termine che, dice la
Treccani, indicava “il briccone, il farabutto, il furfante”. I mammasantissima
delle nostre facoltà non hanno portato la peste come i soldati tedeschi che
assediarono Mantova, ma di certo il loro dominio incontrastato ha contribuito a
devastare l’università italiana. Dove, al netto delle eccellenze e dei tanti onesti,
è sempre più diffuso il morbo del familismo, della raccomandazione e del
corporativismo, a scapito del merito, delle capacità dei più bravi, della fatica
dei volenterosi.
So che tanti ragazzi anche alla Bocconi leggono il nostro blog e il messaggio è
riassunto tutto qui in questo post, una sintesi che vi prego di leggere o di
rileggere, perchè ci vorranno anni per sradicare una concezione che passa
essenzialmente dalla competizione piuttosto che dalla cooperazione… UNA
RIVOLUZIONE ALTERNATIVA NELLE UNIVERSITA …
Ho scritto anche nel mio libro…
” Non solo è importante istruire uomini e donne del futuro che siano in grado di
difendersi dalla complessità del sistema finanziario, consentendo loro di
migliorare la propria conoscenza e consapevolezza dei rischi e delle opportunità
che il sistema offre, ma anche educare persone in grado di comprendere il
significato delle cose, che siano in grado di riflettere sulle conseguenze e sulle
cause di una determinata azione economica e sociale, che sappiano guardare
anche a un sistema alternativo a quello che permea la loro quotidianità.
La ricostruzione della scienza economica e della cultura finanziaria deve
necessariamente passare da una riscoperta complementarietà tra la cultura
umanistica e quella scientifica, attraverso la filosofia morale e la sociologia,
l’economia cognitiva, la storia economica e politica, limitando il peso della
componente matematica pura.”
I nostri ragazzi sono circondati e assediati talvolta da una teoria economica che
ha smesso di occuparsi dei problemi reali, una teoria economica che ha
sostanzialmente fallito!
Mi dispiace ma questa è la pura e semplice realtà, bisogna prenderne atto,
come noi facciamo da anni, mentre altri vi illudono inutilmente, in direzione
sempre e solo ostinata e contraria!
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14mag2014 - Altervista