UNITÀ SINDACALE Falcri Silcea Viale Liegi 48/B 00198 – ROMA Tel. 068416336 - Fax 068416343 www.unisin.it RASSEGNA STAMPA UNISIN 14 MAGGIO 2014 A cura di Manlio Lo Presti RAS Banca Monte dei Paschi di Siena Esergo L'eternità è semplicemente uno stato in cui si è liberi dal tempo, in un certo senso al di fuori e al di sopra di esso. Non c'è passato presente o futuro, c'è solo il puro essere ontologico. Ph.K. DICK, Se questo mondo vi sembra spietato, dovreste vedere cosa sono gli altri, EDIZIONI E/O, 1996, pag. 21 www.itsokaytobesmart.com ***************************************** ******** http://www.wallstreetitalia.com/ Geithner: "Chiesero ad Obama di far cadere Berlusconi" Nell'autunno 2011, racconta l'ex ministro del Tesoro Usa nel suo libro, alcuni funzionari Ue avrebbero chiesto a Washington di fare pressione per la caduta del governo italiano. di WSI Pubblicato il 13 maggio 2014| Ora 07:33 WASHINGTON (WSI) - Nell'autunno 2011 quando lo spread era alle stelle e l'economia italiana ad un passo dal baratro alcuni funzionari europei avrebbero fatto pressione sull'amministrazione Obama proponendo un piano per far cadere Berlusconi. L'america si sottrasse al complotto: "Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani". Parole dell'ex ministro del Tesoro Timothy Geithner, pubblicate in un libro di memorie uscito lunedì "Stress Test" e anticipate da La Stampa (vedi sotto), che riaprono il dibattito su passaggio delicatissimo della storia italiana recente. "Ad un certo punto in quell'autunno, alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i prestiti dell'Fmi all'Italia, fino a quando non se ne fosse andato" scrive Geithener ripercorrendo i mesi frenetici in cui l'euro rischiò di saltare. A settembre 2011 il ministro del Tesoro Usa fu invitato in Polonia all'Ecofin dove ricevette richieste per "fare pressioni sulla Merkel affinchè fosse meno tirchia, o sugli italiani e gli spagnoli affinchè fossero più responsabili". E allora arrivò anche la proposta del piano per far cadere Berlusconi. Ma per quanto sarebbe stato utile avere una leadership migliore, precisa Geithner, l'America preferì evitare un complotto di tale portata. L’ex ministro Usa: funzionari europei ci proposero di far cadere Silvio Geithner: ovviamente dissi a Obama che non potevamo starci. di PAOLO MASTROLILLI INVIATO A NEW YORK Nell’autunno del 2011, quando la drammatica crisi economica aveva portato l’euro ad un passo dal baratro, alcuni funzionari europei avvicinarono il ministro del Tesoro americano Geithner, proponendo un piano per far cadere il premier italiano Berlusconi. Lui lo rifiutò, come scrive nel suo libro di memorie appena pubblicato, e puntò invece sull’asse col presidente della Bce Draghi per salvare l’Unione e l’economia globale. «Ad un certo punto, in quell’autunno, alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i presti dell’Fmi all’Italia, fino a quando non se ne fosse andato». Geithner, allora segretario al Tesoro Usa, rivela il complotto nel suo saggio «Stress Test», uscito ieri. Una testimonianza diretta dei mesi in cui l’euro rischiò di saltare, ma fu salvato dall’impegno del presidente della Bce Mario Draghi a fare «tutto il necessario», dopo diverse conversazioni riservate con lo stesso Geithner. I ricordi più drammatici cominciano con l’estate del 2010, quando «i mercati stavano scappando dall’Italia e la Spagna, settima e nona economia più grande al mondo». L’ex segretario scrive che aveva consigliato ai colleghi europei di essere prudenti: «Se volevano tenere gli stivali sul collo della Grecia, dovevano anche assicurare i mercati che non avrebbero permesso il default dei paesi e dell’intero sistema bancario». Ma all’epoca Germania e Francia «rimproveravano ancora al nostro West selvaggio la crisi del 2008», e non accettavano i consigli americani di mobilitare più risorse per prevenire il crollo europeo. Nell’estate del 2011 la situazione era peggiorata, però «la cancelliera Merkel insisteva sul fatto che il libretto degli assegni della Germania era chiuso», anche perché «non le piaceva come i ricettori dell’assistenza europea Spagna, Italia e Grecia - stavano facendo marcia indietro sulle riforme promesse». A settembre Geithner fu invitato all’Ecofin in Polonia, e suggerì l’adozione di un piano come il Talf americano, cioè un muro di protezione finanziato dal governo e soprattutto dalla banca centrale, per impedire insieme il default dei paesi e delle banche. Fu quasi insultato. Gli americani, però, ricevevano spesso richieste per «fare pressioni sulla Merkel affinché fosse meno tirchia, o sugli italiani e spagnoli affinché fossero più responsabili». Così arrivò anche la proposta del piano per far cadere Berlusconi: «Parlammo al presidente Obama di questo invito sorprendente, ma per quanto sarebbe stato utile avere una leadership migliore in Europa, non potevamo coinvolgerci in un complotto come quello. "Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani", io dissi». A novembre si tenne il G20 a Cannes, dove secondo il Financial Times l’Fmi aveva proposto all’Italia un piano di salvataggio da 80 miliardi, che però fu rifiutato. «Non facemmo progressi sul firewall europeo o le riforme della periferia, ma ebbi colloqui promettenti con Draghi sull’uso di una forza schiacciante». Poco dopo cadde il premier greco Papandreu, Berlusconi fu sostituito da Monti, «un economista che proiettava competenza tecnocratica», e la Spagna elesse Rajoy. A dicembre Draghi annunciò un massiccio programma di finanziamento per le banche, e gli europei iniziarono a dichiarare che la crisi era finita: «Io non la pensavo così». Infatti nel giugno del 2012 il continente era di nuovo in fiamme, perché i suoi leader non erano riusciti a convincere i mercati. «Io avevo una lunga storia di un buon rapporto con Draghi, e continuavo ad incoraggiarlo ad usare il potere della Bce per alleggerire i rischi. "Temo che l’Europa e il mondo guarderanno ancora a te per un’altra dose di forza bancaria intelligente e creativa", gli scrissi a giugno. Draghi sapeva che doveva fare di più, ma aveva bisogno del supporto dei tedeschi, e i rappresentanti della Bundesbank lo combattevano. Quel luglio, io e lui avemmo molte conversazioni. Gli dissi che non esisteva un piano capace di funzionare, che potesse ricevere il supporto della Bundesbank. Doveva decidere se era disponbile a consentire il collasso del’Europa. "Li devi mollare", gli dissi». Così, il 26 luglio, arrivò l’impegno di Draghi a fare «whatever it takes» per salvare l’euro. «Lui non aveva pianificato di dirlo», non aveva un piano pronto e non aveva consultato la Merkel. A settembre, però, Angela appoggiò il «Draghi Put», cioè il programma per sostenere i bond europei, che evitò il collasso. Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. Copyright © La Stampa. All rights reserved Roubini avverte: "Siamo agli inizi di una nuova bolla del credito" Con exit strategy Fed troppo veloce, "crash bond ed economia". Ma se troppo lenta... di WSI Pubblicato il 09 maggio 2014| Ora 14:45 Commentato: 8 volte NEW YORK (WSI) - "Siamo all'inizio di una nuova bolla sul credito, ma appena all'inizio. Tutti gli accadimenti sui mercati finanziari ad alto rischio che si sono manifestati nel 2006 e nel 2007 (e poi sono terminati nella grande crisi dell'autunno 2008) si stanno manifestando allo stesso livello di rischiosita', se non peggiore". Questa l'interpretazione dello stato attuale dei mercati e dell'economia globale offerta da Nouriel Roubini, professore alla New York University e presidente di Roubini Global Economics, che ne ha parlato nel corso di un'intervista rilasciata a Maria Bartiromo al canale Fox Business Network. "Forse oggi non c'è una bolla sul mercato azionario americano", ma la strategia di uscita dalle maxi iniezioni di liquidità da parte della Federal Reserve sarà così lenta che non mancheranno i presupposti di una nuova bolla, ha detto Roubini. "Abbiamo creato una bolla subprime, una bolla immobiliare, una bolla sul credito, una bolla azionaria, una bolla finanziaria. E dopo, tutte le bolle sono scoppiate e c'è stato un crash. Questa volta, dopo cinque anni di politica a tassi zero, il QE1, il QE2, l'Operation Twist, il QE3, la Fed iniziera' ad alzare i tassi solo a metà dell'anno prossimo". Il processo di normalizzazione dei tassi, a suo avviso, sarà molto lento. "Dunque, quali sono i rischi legati a questo processo molto lento? Creeremo di nuovo grandi bolle e queste grandi bolle porteranno a grandi crash", e' la risposta. Roubini sottolinea che "bisognerà raggiungere la stabilità economica e la ripresa. E sopratutto bisognerà evitare squilibri sui mercati finanziari. Ma oggi le banche centrali hanno un altro obiettivo: la stabilità finanziaria". Il punto è che se la Federal Reserve uscirà (dalla politica monetaria ultra accomodante) troppo presto, "ci sarà un crash del mercato dei bond, e si ucciderà l'economia". Se d'altro canto "la Fed uscirà troppo lentamente o troppo tardi, si creerà una bolla finanziaria, ed è questa la sfida più grande che la Fed dovrà affrontare nei prossimi tre, quattro anni". Il professore precisa che "siamo all'inizio anche di una grande bolla sul credito, appena al suo inizio, è un fenomeno non ancora sviluppato, ma tra un anno e due, quando i tassi saranno ancora poco al di sopra dello zero, il rischio sarà totalmente dispiegato". Mps, il buco di bilancio si allarga. Paga costi legati ad aiuti di Stato Ottava perdita consecutiva di bilancio su base trimestrale. Perdita netta aumentata a 174 milioni di euro. di WSI Pubblicato il 13 maggio 2014| Ora 08:56 SIENA (WSI) - Banca Monte dei Paschi di Siena ha sofferto la sua ottava perdita di bilancio consecutiva, su base trimestrale, complici i costi legati agli aiuti di stato che ha ricevuto. Nel primo trimestre, stando a quanto riporta un articolo di Bloomberg, la perdita netta è aumentata a 174 milioni di euro, rispetto al rosso di 101 milioni di euro dello stesso periodo dell'anno precedente. I risultati hanno scontato il pagamento di interessi e di oneri aggiuntivi per 143 milioni di euro versati al Tesoro e legati agli aiuti che Mps ha ricevuto dallo stato. Prosegue la strategia dell'amministratore delegato Fabrizio Viola che, nel tentativo di sollevare la terza banca italiana, sta tagliando posti di lavoro e vendendo asset, al fine di far tornare l'istituto in attivo nel 2015. La banca è vicina a vendere bad loans per ridurre i rischi. "Stiamo finalizzando la vendita di prestiti non performanti per 500 milioni di euro - ha detto Viola, nel corso di una conferenza stampa - La transazione dovrebbe essere completata nel primo semestre dell'anno". I risultati di bilancio sono stati resi noti dopo la chiusura delle contrattazioni dei mercati della vigilia, con il titolo che ha chiuso con +5,2% a 24,13 euro. Le quotazioni sono balzate +38% quest'anno. Monte dei Paschi è alla ricerca di nuovi fondi, dopo aver in parte ripagato i 4,1 miliardi di euro di aiuti statali, nel corso di quest'anno. Gli interessi sui bond che ha venduto allo stato con l'operazione di bailout sono saliti su base annua al 9,5% nel 2014, contro il 9% del 2013. L'istituto ha rimborsato in totale 5 miliardi di euro dei 29 miliardi di aiuti che ha ricevuto dalla Bce attraverso l'operazione LTRO. Renzi: "Europa salva banche e lascia morire i bambini " Commento sull'ultima strage dei migranti. Alfano: "Italia non può diventare la prigione dei rifugiati politici". di WSI Pubblicato il 13 maggio 2014| Ora 07:58 ROMA (WSI) - Ha ragione Alfano, l’Europa ci lascia soli", ma "non può salvare gli stati, le banche e poi lasciare morire le madri con i bambini". Queste le parole del premier Matteo Renzi nella trasmissione "Quinta Colonna" di Retequattro. Gli interventi Mare nostrum "li devono fare anche gli altri paesi europei", ha continuato, lanciando un appello a "tutte le istituzioni europee" ad agire: "non devono girarsi dall’altra parte". Intanto è salito a 17 il numero dei corpi recuperati dopo la strage di migranti avvenuta ieri a 40 miglia dalle coste della Libia. Le salme, insieme ai 206 sopravvissuti, sono su nave Grecale che si sta dirigendo verso Catania, dove il suo arrivo è previsto per le 13. "L’Italia non può diventare la prigione dei rifugiati politici", ha detto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. "Quelli che hanno diritto d’asilo a cui l’Italia riconoscerà il diritto d’asilo andranno in Europa se ci vorranno andare". E ancora: "O l’Europa ci aiuta a presidiare la frontiera o faremo valere il principio che il diritto d’asilo riconosciuto dall’Italia si possa esercitare in tutta Europa». Parlando nel corso di un comizio elettorale a Bologna, il ministro Alfano ha precisato che "il Mediterraneo non è una frontiera Italiana ma una frontiera europea, oggi una sede di Frontex deve essere in Italia perché la frontiera è il Mediterraneo". Scopri dove la vita è la meno cara (nel pianeta) Deutsche Bank ha analizzato i costi nelle principali metropoli mondiali. Usa a buon prezzo, Brasile caro per gli standard degli 'emergenti'. È in India che conviene vivere. di WSI Pubblicato il 13 maggio 2014 NEW YORK (WSI) - In India il costo della vita è tra i più bassi al mondo. Anche in Usa la vita non è così cara se si confronta con altri stati industrializzati. In Brasile, invece, i prezzi sono più alti della media dei paesi emergenti. Tra le città più care al mondo compaiono ancora Zurigo, Parigi e Londra. La Deutsche Bank, come riporta il The Wall Street Journal, ha messo a confronto i prezzi e le spese di tutti i beni possibili e messi in ordine. Quello che ne é venuto fuori é che Parigi, Zurigo e Londra sono risultate le città più care, mentre per quanto riguarda i Paesi, al primo posto si è piazzata l'Australia. La cosa interessante è che se si capovolge la classifica, al primo posto, per quanto riguarda i Paesi, troviamo l'India. Una rupia debole ha infatti contribuito a mantenere i prezzi bassi, nonostante l'elevata inflazione. La classifica generale nasconde alcune forti differenze per i singoli prodotti. Ad esempio il noleggio di un auto per un solo giorno in Cina costa mediamente 31,90 dollari, ovvero il 26% del prezzo negli Stati Uniti. Invece un paio di jeans o un iPhone 5 sono tutti molto più economici se acquistati negli Stati Uniti. Le assicurazioni meno care si trovano in India, Indonesia e Filippine. Il sondaggio ha anche svelato come Tokyo, che risultava essere la città più cara nel 2001, è ora meno costosa di città come Melbourne, Ginevra, Oslo e Caracas. Val la pena soffermarsi poi su Zurigo. La città svizzera risulta essere la città più cara per quanto riguarda i parrucchieri. Un taglio di capelli infatti può arrivare a costare fino a 15 volte il prezzo che si pagherebbe a Mumbai. Krugman, sferzata contro Europa: "ora vuole la deflazione?" Riferimento al discorso di Jaime Caruana, responsabile BRI, che ha aspramente criticato il QE e le politiche monetarie espansive. di WSI Pubblicato il 13 maggio 2014| Ora 11:12 Commentato: 1 volta NEW YORK (WSI) - Europa come al solito confusa e piena di contraddizioni. In un editoriale scritto sul New York Times, il Premio Nobel per l'economia Paul Krugman mette in evidenza la profonda differenza in termini di politica monetaria tra Stati Uniti da un lato ed Eurozona, dall'altro. E non manca di criticare il recente discorso proferito da Jaime Caruana, general manager della Banca dei Regolamenti Internazionali. Un "discorso notevole, e intendo dire nel peggiore dei modi", dal momento che illustra perfettamente come i falchi (europei) continuino a trovare nuove argomentazioni per la loro pretesa immutabile che noi (Fed) alziamo i tassi di interesse ora, ora e ora". Critiche al discorso di Caruana arrivano anche da Ambrose Evans-Pritchard, editorialista del Telegraph. Anzi, è proprio a tali critiche che Krugman si riferisce. Il titolo dell'articolo firmato dalla penna di Ambrose Evans-Pritchard dice tutto: "ECB is delighted by the splendid prospect of deflation", ovvero "alla Bce fa piacere la prospettiva splendida della deflazione". Viene ripresa la frase di Caruana, secondo cui "la storia indica che periodi di deflazione sono stati spesso associati a una crescita sostenuta della produzione. La Grande Depressione è stata più l'eccezione che la regola". "Innanzitutto - si chiede Krugman - non è piuttosto significativo il fatto che la Banca dei Regolamenti europei sia scivolata dagli avvertimenti contro l'inflazione - minimizzando le preoccupazioni sulla deflazione - al dire che la deflazione vada bene"? Di fatto, Caruana ha fatto riferimento al 19esimo secolo, definendolo un'era di "buona deflazione", di un contesto caratterizzato dal calo dei prezzi, ma anche dai guadagni della produttività e dal fiorente commercio globale. Allo stesso tempo, il responsabile della BRI ha attaccato il QE della Fed, parlando di abitudini cattive delle banche centrali. "Le autorità di politica monetaria rispondono in modo asimmetrico ai cicli successivi finanziari e di business, raramente alzando i tassi o anzi, addirittura ricorrendo a politiche monetarie espansive in modo aggressivo e persistente durante le fasi di boom e di esplosione di bolle, restando in questo modo a corto di munizioni e consolidando l'instabilità", ha detto Caruana. Il funzionario si scaglia contro la politica di tassi di interesse a zero affermando che essi rappresentano una soluzione veloce che presenta però il rischio di generare "maggiori danni in seguito". E Krugman si chiede: "Ma (il 19esimo secolo) è davvero un buon modello?" "Giusto per citare il punto più ovvio: la fine del 19esimo secolo fu caratterizzata da una crescita rapida della popolazione nelle cosiddette 'aree di recenti insediamenti' (praticamente luoghi in cui gli europei si stavano trasferendo, mandando via i locali). Negli Stati Uniti, la popolazione crebbe del 2% l'anno, tra il 1880 e il 1910, sostenendo una elevata domanda per gli investimenti. E le zone dei recenti insediamenti offrivano anche uno sbocco per le grandi quantità di flussi di capitali in arrivo dall'Europa. In altre parole, la situazione era tale da aver creato un contesto di tassi di interesse reali che erano naturalmente alti; di conseguenza, la deflazione era moderata e molto più sostenibile rispetto alle condizioni di oggi". Sulle parole di Caruana secondo cui l'eccesso di debito implica che una politica monetaria espansiva sia controproducente e non di aiuto, Krugman scrive: "Ma di cosa sta parlando?", sottolineando che le analisi suggeriscono piuttosto che le politiche di bassi tassi o in generale espansive sono invece di aiuto, in quanto "i redditi e i prezzi elevati riducono il peso del debito". Inoltre, "la deflazione è ben peggiore in un mondo gravato da debiti (...) e non dovete fidarvi della mia parola...basta che leggiate Irving Fisher!" °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°° http://www.globalist.it Addio obbligo di assunzione dei precari. Una multa e via L'azienda che supererà il limite di contratti a termine non dovrà più assumere il lavoratore ma sarà punita con una sanzione monetaria. In Commissione approvato lunedì 5 maggio 2014 17:33 La commissione Lavoro del Senato ha dato il via libera all'emendamento del governo al decreto sul mercato del lavoro che tramuta in una sanzione monetaria il precedente obbligo di assunzione per le aziende che sforano il tetto dei contratti a termine consentiti. L'emendamento all'articolo 1 è passato con il voto dei partiti di maggioranza Pd, Ncd e Scelta Civica - dopo la mediazione di venerdì scorso con la quale l'esecutivo ha assecondato le istanze degli alleati di centrodestra. Nel corso della serata la commissione voterà tutti gli emendamenti presentati dall'esecutivo, che sono otto e modificano anche alcuni punti che attengono all'apprendistato. In particolare, sale a 50 da 30 il numero di dipendenti che l'azienda deve avere affinché scatti l'obbligo di stabilizzare il 20% degli apprendisti; la formazione sarà mista, pubblica e privata. La versione del decreto approvata dalla Camera in prima lettura due settimane fa era stata modificata per volontà della sinistra Pd introducendo l'obbligo di assunzione a tempo indeterminato per le imprese che avessero sforato il 20% di precari. Ncd aveva votato il testo poiché il governo aveva chiesto in aula la fiducia, annunciando però battaglia contro una norma che secondo il partito di Angelino Alfano ledeva la libertà d'impresa irrigidendo il mercato. Poi la mediazione sulla multa che ha consentito oggi il voto favorevole in commissione. La sanzione amministrativa sarà più lieve per il primo sforamento e più pesante per i successivi. Domani testo in Senato - Il decreto passa da domani all'esame dell'aula del Senato, dove dovrebbe essere votato in seconda lettura entro la settimana. Poi la terza, e salvo sorprese, ultima lettura alla Camera affinché il testo sia convertito in legge entro il 19 maggio, pena la decadenza. Sono circa 700 le proposte di modifica, di cui 600 del M5s ma oltre alle modifiche frutto dell'intesa di maggioranza non sono attese ulteriori novità: "L'accordo - sottolinea la capogruppo Pd in commissione Anna Maria Parente è chiuso". Il dl è atteso già domani mattina in Aula a Palazzo Madama. Dalla commissione è arrivato il via libera anche all'emendamento del governo che riscrive il preambolo al decreto, stabilendo un raccordo con il disegno di legge delega che completa il Jobs act. Nella proposta dell'Esecutivo si evidenzia come le norme del dl siano approvate "nelle more" del ddl delega che contiene la "previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente". Le modifiche non piacciono a Forza Italia, secondo cui si peggiora la riforma Fornero aumentando la disoccupazione: nel mirino in particolare proprio il limite del 20% di lavoratori precari, con la relativa imposizione di sanzioni per chi lo oltrepassa. La vera sfida sul mercato del lavoro sarà la legge delega, seconda gamba del Jobs act, che ha l'ambizione di introdurre il contratto a tutele crescenti e riformare gli ammortizzatori sociali sostituendo la cassa integrazione in deroga con un sussidio universale. Brasile, la Coppa del Mondo uccide i diritti Tendopoli dei Sem Terra in un terreno occupato a San Paolo per gli sfollati delle favelas. Almeno 9 morti nei cantieri e moltissimi i feriti [Marina Zenobio] mercoledì 7 maggio 2014 09:21 di Marina Zenobio Inaugurata sabato scorso, alla periferia di San Paolo, la "Coppa del Popolo" con l'occupazione di un'area di 150 mila metri quadrati di terra abbandonata da 28 anni e sulla quale, in meno di due giorni, sono state montate più di 2500 tende che ospitano, almeno per ora perché si aspettano nuovi arrivi, oltre mille persone. L'occupazione, nata da una iniziativa del "Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra" MST (Movimento dei lavoratori rurali senza terra), è situata a circa quattro chilometri dal grandioso stadio Arena Corinthians-Itaquerão di San Paolo che, il 12 giugno prossimo, ospiterà la prima partita dei mondiali di calcio. Solo per la sua ristrutturazione lo stato brasiliano ha speso oltre un milione di euro ma, complessivamente, per tutte le infrastrutture ritenute necessarie ad ospitare i mondiali di calcio anche su richiesta della Fifa, il governo guidato dalla presidente Dilma Rousseff ha investito circa 9 miliardi di fondi pubblici, sottraendoli a molte emergenze del paese tra cui quelle abitative e sociali. E non è solo questo. Gli abitanti di molte favelas vicine agli stadi interessati dai mondiali, sono state cacciate con la forza dalle loro case poi demolite. Ci sono stati anche morti e molti feriti durante le operazione di "pulizia" e alle famiglie rimaste senza casa non è stata offerta alcuna alternativa. L'unica alternativa è stata l'occupazione che è in corso e che non sarà l'unica. Il Movimento ha già anticipato che ne prossimi giorni ci saranno altre tre grandi occupazioni su tutto il territorio brasiliano. Intanto, per le massacranti condizioni di lavoro, continuano a morire gli operai impegnati nella costruzione/ristrutturazione degli stadi-palcoscenico del grande evento. Man mano che si avvicina il 12 giugno, la pressione sui lavoratori per completare in tempo le infrastrutture è alle stelle, arrivando anche l'obbligo di 18 ore di lavoro senza pause. Il risultato è che finora, dall'inizio dei lavori, sono morti ufficialmente 9 operai e decine sono i feriti. L'ultimo incidente fatale è avvenuto il 1 aprile proprio nell'Arena Corinthians di San Paolo, dove il 23enne Fabio Hamilton da Cruz è morto cadendo da 8 metri menta lavorava al montaggio di una gradinata. Un giudice aveva immediatamente imposto la chiusura parziale dell'opera ma, pochi giorni dopo, il ministero del lavoro ha autorizzato senza se e senza ma la ripresa dei lavori perché lo stadio deve essere pronto per la grande kermesse. A febbraio era morto Antonio José Pita Martins di 55 anni. Un pezzo di smontaggio si è staccato dalla gru, e ha colpito in pieno l'operaio uccidendolo. Questo avveniva nello stadio Arena da Amazonia, a Manaus, lo stesso dove aveva perso la vita alle quattro del mattino del 14 dicembre 2013, Marcleudo de Melo Ferreira, 22 anni, precipitando da una impalcatura di 35 metri. Lo stesso giorno, sempre a Manaus, mentre lavorava alla costruzione di uno dei Centri accoglienza che integrano il complesso delle strutture per il campionato di calcio, moriva per infarto, a 49 anni, Josè Antonio da Silva Nacimento. E ancora il 28 marzo del 2013, sempre nello stadio di Manaus, moriva per trauma cranico dopo una caduta da 5 metri, il 49enne Raimundo Nonato Lima da Costa. Il 27 novembre, di nuovo nello stadio del club Corinthians, meglio conosciuto come "Itaquerão", la caduta di una gru provocava la morte degli operai Fabio Luiz Pereira di 42 anni e Ronaldo Oliveira dos Santos di 44. Per blocco cardio-respiratorio moriva, il 19 luglio 2012 mentre lavorava alla costruzione della Minas Arena di Belo Horizonte, Abel de Olivera di 55 anni. Il primo operaio ad aprire questa tragica lista l'11 giugno del 2012, è il giovanissimo José Alfonso de Oliveira Rodriguez, 21 anni, caduto mentre lavorava a 30 metri di altezza nella struttura dello Stadio Nazionale di Brasilia dedicato al grande Mané Garrincha. Il Sindacato dei lavoratori delle costruzioni civile di San Paolo (Sintracon-SP) ha più volte denunciato che la Fifa sta facendo pressione sul governo brasiliano affinché tutto sia pronto per l'inaugurazione della World Cup 2014,il governo fa quindi a sua volta pressione sulle imprese edili che, a loro volta, scaricano queste pressioni sugli operai sottoponendoli a condizioni e ritmi di lavoro massacranti, fino alla morte. Non può quindi sorprendersi Dilma Rousseff - e il suo Partito dei Lavoratori che il 3 maggio l'ha ri-candidata alle prossime elezioni presidenziali -, se la sua popolarità è in calo e la conferma del suo incarico molto a rischio. Uno su 4 non paga le rate: in aumento i condomini morosi Nel 2009 i condomini inadempienti erano in Italia il 20%, oggi tale percentuale sale al 25%. Roma, Milano, Napoli, Torino e Genova le città più inadempienti. sabato 3 maggio 2014 11:49 È in deciso aumento la quota di condomini morosi: uno su 4 non paga le rate del condominio. Nel 2009, evidenzia un monitoraggio dell'Anammi, i condòmini inadempienti erano in Italia il 20%, oggi tale percentuale sale al 25%. Un fenomeno presente soprattutto nelle grandi città. In particolare, dice l'associazione degli amministratori condominiali, sono Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Genova le città più "morose". E non solo nei quartieri popolari, ma ormai anche in quelli 'vip'. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°° http://www.sbilanciamoci.info/ CARLYLE, BLACKROCK E ALTRE METEORE Made in Italy/Dieci anni fa dominava il «Triangolo di ferro» tra il governo Bush, i militari e la finanza. Poi è arrivata l'era Lehmann. Oggi il nuovo che avanza sono i mega Fondi d'investimento Ogni tre anni si presenta nel nostro quadro economico un pericolo formidabile... Sarà sufficiente farne i nomi per ridurne la forza terrificante come si faceva nei mondi antichi per rabbonire divinità implacabili? Par di scherzare, ma qualcuno pensa – soprattutto tra le persone che comandano – che evocarne i nomi serva per farseli amici, per esorcizzarne le conseguenze malefiche. Di fatto, in uno stesso momento, con un solo articolo di giornale, un'unica intervista, tutti noi, angustiati, spaventati, veniamo a conoscenza di un nuovo idolo da onorare, di un altro essere diabolico, di solito made in Usa, che prima non conoscevamo ancora. Dieci anni fa il pericolo si chiamava Carlyle. Chi si ricorda ancora di quell'idolo «falso e menzognero»? Dominava allora il Triangolo di ferro, un'alleanza stretta tra potere militareindustriale, governo americano dei Bush e dei Dick Cheney, finanza sfrenata. In Italia aveva alleati di tutto rispetto, signori e figli di signori che spiegavano essere quella la religione da seguire per non essere condannati alla perdita dell'interesse, alla speculazione negativa. Qualche anno dopo, nel 2008, al vero scatenarsi della finanza ultra terrena capace di prendersi tutto e il contrario di tutto, basta Carlyle; il genio del tempo prese il nome di Goldman Sachs: era il male assoluto, capace di fare un solo boccone dei giganteschi fratelli Lehman, banchieri assai temuti ma con i piedi d'argilla. Ecco Goldman, fabbrica e crogiolo di tutti i mali e di tutte le paure; dal canto suo aveva contaminato le buone istituzioni italiane e i personaggi più raccomandabili dell'epoca: Ministri, Governatori, Padridella-patria gli avevano svenduto l'anima; e non solo in Italia. Ai giorni nostri, finita anche la fase Goldman, dopo soli pochi anni, la nuova entità da adorare è un'altra: BlackRock. Il titolo di spauracchio dell'anno, o del decennio, è vinto in modo strepitoso da questo Fondo fondante , forte al punto di affondare chi non si adegua. BlackRock, il primo azionista o meglio lo zar dell'intera borsa italiana. Torniamo brevemente sul caso di Carlyle; l'appoggio italiano, il consenso ammirato, le firme importanti di giovani figli di magnanimi lombi. Il potere immobiliare, rarefatto e nobile, per Carlyle, poi offuscato dagli epigoni, i furbetti del quartierino. In ogni caso la bolla immobiliare diventa, nei primi anni del nuovo millennio la via maestra per far soldi facili e tanti alle spese di qualcun altro: del bene pubblico soprattutto. Si tratta di valorizzare la ricchezza immobiliare i tutte le sue forme: immobili usati e nuovi per abitazione, servizi, attività industriali; sfruttamento per posizione, paesaggio, pregi artistici e storici; investimenti pubblici nei trasporti e nei servizi di rete. «Datevi da fare, arricchitevi» è il motto del governo che con una serie di disposizioni consente a tutti di costruire, di allargare, di salire, di sfondare. Il quartierino dei furbetti ha ormai raggiunto i confini nazionali, ma nel frattempo raddoppia gli spazi e i volumi d'Italia. L'Italia finalmente si è allargata; e guai a chi nega le coste sarde alla speculazione. Goldman Sachs è il distillato del potere bancario, con tutti i suoi riti misteriosi e i suoi affascinanti derivati. Le banche imparano da Goldman e dai suoi simili a disfarsi di crediti difficili. Non solo, ma si apprende come dividerli, poi li si incarta abilmente e li si rivende, molte volte, sempre gli stessi pacchettini di crediti ritenuti pericolosi, a gruppi e comunità, a persone singole e famiglie, tutti avidi e scriteriati, tutti ignoranti e boriosi, tutti convinti di avere raggiunto la conoscenza alchemica, la pietra filosofale che insegna a moltiplicare il denaro servendosi della credulità dei gonzi, siano essi banchieri o industriali o pubblici amministratori. L'idea base è che ciascuno si sente di far parte della religione degli Illuminati e quindi in pieno diritto di agire e di truffare. Come si è visto, anche truffare è un'arte da imparare, con dedizione e impegno. Non sempre è facile vendere la Fontana di Trevi al primo che passa. BlackRock (BR) è il nuovo che avanza. Si tratta di un importante Fondo d'investimento che ha puntato molto denaro sul mercato borsistico italiano. I titoli di società in portafoglio di BR valgono secondo i conti di maggio almeno 125 miliardi di euro, mentre l'intero listino vale dieci volte tanto o giù di lì. Le azioni di BR sono di quelle che non si contano ma si pesano. Gran parte degli investitori s'ispirano alle scelte di BR, considerato un socio, esistente o potenziale, di straordinario rilievo, capace di valorizzare o al contrario far precipitare il titolo, semplicemente lasciando trapelare quello che potrebbe fare in un prossimo futuro. Anche gli altri titoli sono coinvolti. BR guida la borsa intera, le prospettive degli investimenti; quelli che ha fatto e anche gli altri costretti a chiedersi: «perché no?» La sua intelligenza delle cose è studiata e copiata; si determinano nuove mode, tendenze, esclusioni; tutto questo significa successo o insuccesso, prospettive di crescita, infine centinaia di assunzioni o di licenziamenti. Il governo si appassiona ai casi della Borsa e dice la sua, adeguandosi: le scelte di BR fanno testo. Come è ovvio, neppure BR è il Vangelo. Tra mesi o anni si scoprirà come non averne paura e poco dopo crescerà un'altra moda, un nuovo genio del male o della fortuna, da temere o da venerare. Anche BR sarà dimenticato, pur continuando a prosperare, alle nostre spese, accanto ai fratelli maggiori, prosperosi, Carlyle e Goldman Sachs. L'IRI DEL DUCE E DI BENEDUCE di Valentino Parlato 9.05.2014 Made in Italy/Una ripetizione dell'Iri sarebbe oggi difficile e forse inutile ma qualche altra forma di iniziativa di politica economica è necessaria «Nell'esercizio dei compiti gravosi che lo Stato ha affidato all'Iri questo deve avere la possibilità di scegliere gli uomini da mettere al comando delle aziende nelle serie organizzazioni industriali del paese (...) Se l'Iri non potesse fare ciò esso fallirebbe certamente gli scopi che lo Stato gli ha imposto di conseguire». Così scriveva Alberto Beneduce ad Achille Starace, un importante gerarca fascista (da "Beneduce il finanziere di Mussolini" di Mimmo Franzinelli e Marco Magnani pagina 242 Mondadori 2009). L'economia italiana, dopo una fase di crescita subito dopo la fine della prima guerra mondiale, entrò in una seria crisi sia produttiva che finanziaria. L'inizio degli anni '30 (pesava la crisi del '29) fu molto grave e coinvolse anche le banche: si arrivò al rischio di fallimento della Banca d'Italia e così maturò la creazione dell'Iri, sigla che significa, appunto, Istituto di Ricostruzione Industriale. L'Iri nacque, per decreto, il 23 gennaio 1933, e durò fino al 1992. Ebbe subito successo anche grazie all'intesa tra Mussolini e Beneduce, nittiano, antifascista, massone. I due si intesero cosi bene che molti parlano dell'Iri del Duce e Beneduce. L'Iri negli anni '30 salvò l'industria italiana nella quale le imprese – allora, come anche oggi – non erano animate da un forte spirito imprenditoriale e forte era la tendenza ad accomodamenti parassitari e prefallimentari. Ma non dobbiamo neppure dimenticare il ruolo straordinario che l'Iri ha avuto nel secondo dopoguerra e nella produzione del cosiddetto "miracolo italiano". Ma oggi? Forte è l'impressione di essere tornati agli anni '30. La produttività è ferma da almeno una ventina di anni, la produzione stagna o cala, la disoccupazione raggiunge livelli straordinariamente elevati e i giovani – viene da dire – sono senza avvenire. C'è la globalizzazione e siamo coinvolti nella crisi globale, che è anche epocale perchè agisce sul peso e sul ruolo del lavoro vivo: Marx ci raccomandava di stare attenti alla caduta tendenziale del saggio di profitto. Situazione nuova e piuttosto difficile, anzi molto difficile e pericolosa per la contemporanea crisi della politica e della cultura. Stare fermi ed aspettare una assai improbabile ripresa, a mio parere può portare solo al peggio. In questo difficile e pericoloso contesto viene da pensare a una resurrezione dell'Iri. Certo, nel secondo dopoguerra e senza il Duce e Beneduce è stato assai utile. Ma oggi la situazione internazionale e nazionale è molto cambiata. Una ripetizione dell'Iri sarebbe difficile e forse inutile ma qualche altra forma di iniziativa di politica economica è necessaria e con l'attuale Unione Europea non può essere solo nazionale. Ci sono le elezioni europee, sperare che qualche novità emerga è piuttosto difficile. Ma la crisi impone la ricerca di vie d'uscita. Viviamo tempi difficili. Aprire una discussione, a mio parere, sarebbe utile e, forse, necessario. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°° http://www.giornalettismo.com/ Quanto prendono i dirigenti delle autorità di garanzia italiane. E i loro curriculum di Maghdi Abo Abia - 09/05/2014 - Politici di vecchio corso e persone legate al potere, che riescono ad assicurarsi lauti compensi che superano il limite previsto da Matteo Renzi di 239.000 euro l'anno lordi. Ecco i casi che fanno discutere Quanto prendono in Italia all’anno i dirigenti, i consulenti ed i collaboratori delle diverse autorità italiane? Su questa domanda negli ultimi mesi la propaganda politica ha combattuto a più riprese spiegando come uno dei problemi del nostro Paese sia rappresentato dai compensi troppo generosi rifilati dallo Stato ai membri della “casta”. AGCM - Quella dell’Ivass è una situazione lineare. Qualcosa di diverso appare invece nello studio dei compensi garantiti dall’Autorità per la Concorrenza nel Mercato, l’Agcm. Il Presidente, Giovanni Pitruzzella, riceve annualmente 311.658,53 euro mentre il componente Salvatore Rebecchini ne guadagna 280.492,68. Il primo è stato nominato nel 2011 ed il suo incarico durerà sette anni mentre il secondo, entrato nel 2009, dovrebbe lasciare nel 2015. Il segretario generale, Roberto Chieppa, guadagna 274.011,38 euro mentre il capo di gabinetto, Filippo Arena, è pagato 223.754,40 euro. Per questi ultimi due viene specificato che non conservano il trattamento economico dell’amministrazione di provenienza. I DATI DELL’AEEG - Giovanni Pitruzzella è un avvocato cassazionista che ha iniziato il suo rapporto con la politica come consulente giuridico alla Presidenza del consiglio negli esecutivi Ciampi e Dini, già Presidente della Commissione di Garanzia dell’Attuazione della Legge sullo Sciopero nei Servizi Pubblici Essenziali, venne nominato nel 2013 dal Presidente della Repubblica membro della commissione per le riforme economiche. Roberto Chieppa è stato Presidente dell’associazione consiglieri di Stato. Parlando dell’Aeeg, autorità energia elettrica e gas, il presidente, ingegner Guido Pier Paolo Bortoni, riceve 293.658,95 euro l’anno lordi. I quattro componenti, invece, Alberto Biancardi, Luigi Carbone, Rocco Colicchio e Valeria Termini ricevono 264.293,05 euro. QUATTRO ANNI D’INCOMPATIBILITÀ - Tuttavia in questo caso è interessante notare una postilla che modifica la percezione della loro attività: I Componenti restano in carica 7 anni; nel corso del mandato, si applica un regime di incompatibilità con altre attività lavorative esteso anche ai 4 anni successivi la fine dell’incarico. Al termine dell’incarico risultano incompatibili con altre attività lavorative per i successivi quattro anni. Certo, nei sette anni che restano in carica guadagnano 1.850.051 euro. Ma resta comunque un dato da non sottovalutare così come il fatto che venga sottolineato il valore bipartisan delle nomine. I COMPENSI DEL CNEL - Per ultimo chiudiamo con quello che è ormai diventato il «mitico» Cnel, ormai additato come lo specchio degli sprechi del nostro Paese. Eppure, tolto il compenso del presidente, il compenso lordo dei consiglieri non sembra poi così elevato, visto che parliamo di 25.633,44 euro lorde annue. Certo, stupisce sapere che i consiglieri che ricevono tale cifra sono 61. E le cose assumono un contorno sicuramente diverso, specie se consideriamo che ogni anno la collettività si trova a sborsare 1.563.639,84 euro. IL COMPENSO DEI DIRIGENTI E DEL PRESIDENTE - Poi ci sono i dirigenti. Michele Dau guadagna 143.146,03 euro lordi annui. Angela Belli, dirigente di seconda fascia responsabile delle risorse umane, 112.528 euro. Elisabetta Bettini, primo ufficio di supporto agli organi collegiali, 110.293 euro. Larissa Venturi, secondo ufficio di supporto agli organi collegiali, 105.685 euro l’anno. E per finire c’è Antonio Marzano, il Presidente, già parlamentare di Forza Italia per 21 anni, dal 2005 Presidente del Cnel, forte di un compenso annuo lordo di 213.244,56 euro. Cifre e curriculum da far girare la testa, indubbiamente. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°° http://www.dagospia.com/ 13 mag 2014 19:47 GOMBLOTTO! (E IL BANANA GODE) - SILVIO CONFERMA: “SAPEVO CHE C’ERA UN PIANO PER SOSTITUIRMI CON UN GOVERNO TECNICO. OBAMA FU CORRETTO, MENTRE SARKOZY E MERKEL VOLEVANO IMPORMI LA TROIKA CON L’IMBROGLIO DELLO SPREAD” Berlusconi a Friedman: “Già nel giugno 2011, quando ancora non era scoppiato l’imbroglio degli spread, Napolitano riceveva Monti e Passera, per scegliere i tecnici di un nuovo governo. Al G-20 di Cannes, amici e colleghi di altri paesi mi dissero: "Ma hai deciso di dare le dimissioni? Perché sappiamo che tra una settimana ci sarà Monti…" Alan Friedman per "Corriere.it" Seduto nel giardino di Villa San Martino a Arcore, Silvio Berlusconi è più che soddisfatto. Le anticipazioni del libro di memorie di Timothy Geithner (Stress Test) confermano quello che il Cavaliere dice di sapere da tempo, e cioè, che la Casa Bianca bocciò una richiesta da parte di alcuni europei di far cadere il suo governo nell'autunno del 2011. «Non sono sorpreso. Ho sempre dichiarato che nel 2011 nei confronti del mio governo, ma anche nei confronti del mio Paese, c'è stato tutto un movimento che era partito dal nostro interno ma poi si è esteso anche all'esterno per tentare di sostituire il mio governo, eletto dai cittadini, con un altro governo», dice Berlusconi. «L'IMBROGLIO DELLO SPREAD» «Già nel giugno del 2011, quando ancora non era scoppiato l'imbroglio degli spread, il Presidente della Repubblica Napolitano riceveva Monti e Passera, come è stato scritto, per scegliere i tecnici di un nuovo governo tecnico e addirittura per stilare il documento programmatico. E poi abbiamo saputo anche che ci sono state quattro successive tappe di scrittura, con l'ultima addirittura di 196 pagine». Berlusconi è in grande forma e viene fuori un ricordo preciso. «Io avevo la contezza che stesse accadendo qualcosa e avevo anche ad un certo punto ritenuto che ci fosse una precisa regia. Al G-20 di Cannes, addirittura, amici e colleghi di altri paesi mi dissero: "Ma hai deciso di dare le dimissioni? Perché sappiamo che tra una settimana ci sarà il governo Monti...". E l'ha rivelato per esempio Zapatero in un suo libro che riguardava quel periodo» «DISSI NO ALLA TROIKA» Non è sorpreso che queste nuove rivelazioni vengano da un uomo di Obama. «Io devo dire che Obama si comportò bene durante tutto il G20. Noi fummo chiamati dalla Merkel e Sarkozy a due riunioni in due giorni consecutivi e in queste riunioni si tentò di farmi accettare un intervento dal Fondo Monetario Internazionale. Io garantii che i nostri conti erano in ordine e non avevamo nessun bisogno di aiuti dall'esterno e rifiutai di accedere a questa offerta, che avrebbe significato colonizzare l'Italia come è stata colonizzata la Grecia, con la Troika». 13 mag 2014 18:32 ARCHEO – L’INTERVISTA DI ENZO BIAGI A UN NAZISTA SULLE ULTIME ORE DI HITLER – “MI DISSE: “I MIEI GENERALI E I MIEI UFFICIALI MI HANNO TRADITO E VENDUTO, I MIEI SOLDATI NON MI VOGLIONO PIÙ E IO STESSO NON ME LA SENTO DI CONTINUARE”. DURANTE LA NOTTE SI SPARÒ UN COLPO DI PISTOLA’’ Cosa è successo dopo la sua fuga dal bunker? ‘’Ero ferito gravemente, i russi mi hanno tenuto per sei giorni insieme agli altri generali, senza farmi cure particolari. Ogni mattina si presentava un commissario che mi chiedeva dove avevo portato Hitler con il mio aereo. I russi sapevano che volava solo con me e pensavano che l’avessi aiutato a fuggire… Intervista di Enzo Biagi pubblicata dal "Fatto quotidiano" Hans Baur NAZISTA Generale Hans Baur, quando ha incontrato per la prima volta Adolf Hitler? Negli anni Venti sono andato a una sua riunione e mi ha colpito. Gli ho parlato per la prima volta nel 1932. Allora prestavo servizio sulla linea aerea per Roma. Durante un rientro sono atterrato a Monaco e mi è stato detto: "Signor Baur, il signor Hitler vorrebbe noleggiare un aereo". È stato un incontro molto cordiale. "Tra poco avremo le elezioni. La propaganda elettorale ha senso unicamente se è immediata", mi ha detto. Il Reich tedesco era molto esteso e percorrendolo in automobile o in ferrovia, nel caso migliore, Hitler avrebbe potuto partecipare solo a poche riunioni. Noleggiando un aereo era possibile presenziare a quattro o cinque comizi in ventiquattro ore. Siamo riusciti a essere presenti su centottantatre piazze. "Se andrò al potere, costituirò un corpo di aviatori governativi e lei sarà il capo", mi disse alla fine del grande tour. Così è stato. Quali altre personalità politiche ha trasportato durante la sua carriera? Durante la guerra dovevo prelevare i fedmarescialli dal fronte per portarli dal Führer e poi tutti i capi di Stato, alcuni esempi: il vice primo ministro rumeno Antonescu; re Boris, lo zar bulgaro; Horty il reggente del Regno d'Ungheria, il finlandese Mannerheim; il Nunzio apostolico Pacelli, che poi è diventato Papa Pio XII. Lei ha avuto a bordo Benito Mussolini? Sì, e non soltanto una volta, molte. Mussolini era lui stesso pilota, ma gli aerei Condor che avevamo in dotazione erano troppo per lui. Il Condor gli piaceva molto, e Hitler mi ha detto: "Vorrei regalarne uno al Duce", e io gli ho risposto: "Non lo faccia perché poi qualunque cosa accada lei ne sarà responsabile. Per portare un aereo di questo tipo uno deve essere veramente un buon pilota. Il Führer aveva una grande stima di Mussolini". HANS BAUR INSIEME AD HITLER Generale Baur, com'era il suo rapporto con Hitler? Hitler era il miglior capo che uno potesse desiderare. Dopo le elezioni del '33 che lo hanno nominato Cancelliere, mi ha detto: "Lei ha svolto il suo compito in modo eccellente, e la mia casa sarà aperta per lei giorno e notte, può andare e venire quando vuole. È stato così. A Berlino ero solo perché la mia famiglia viveva nel Sud, e tutte le volte che mi trovavo in città pranzavo e cenavo con Hitler. Come era la vita nella Cancelleria del Reich durante la guerra? La vita di Hitler, durante la guerra, era molto dura, e c'è da stupirsi che l'abbia sopportata per sei anni. Due riunioni al giorno: la prima a mezzogiorno dove si discuteva della situazione militare, l'altra era a mezzanotte e non finiva mai prima delle tre o delle quattro del mattino. Dormivo due o tre ore a notte: non era un problema. Lei ricorda del Führer i momenti in cui è apparso particolarmente provato o quelli in cui era contento? Le sconfitte erano i momenti peggiori, la vittoria, invece, lo eccitava. Quando si trovava in una cerchia ristretta di persone, era un buon compagno, parlava liberamente e si curava molto di coloro che gli stavano attorno. Ricordo che allora mi ero appena sposato, e se una sera non mi presentavo a cena mi chiedeva dove ero stato e mi diceva che le berlinesi erano belle ragazze, e non voleva che tradissi mia moglie. HANS BAUR NAZISTA Cosa accadeva nel bunker durante le ultime settimane? Si trattava di un rifugio relativamente molto piccolo, la camera del Führer misurava due metri per tre, un piccolo divano per due persone. Davanti alla sua stanza c'era un locale che fungeva da sala da pranzo dove prendevamo i pasti. BUNKER HITLER Come ha vissuto la morte della famiglia Goebbels? È stata una vera e propria tragedia. Ricordo che il 15 aprile 1945 passeggiavo nel giardino della Cancelleria, guardavo gli allestimenti per la difesa: cannoni e mortai, ero con il Führer, improvvisamente è arrivata frau Magda, la moglie di Goebbels. Hitler le si è avvicinato: "Cara signora, mio Dio, lei è ancora a Berlino? Le metto subito a disposizione la mia casa di Berghof in Baviera, sulle Alpi, là non può accadere nulla a lei e ai suoi bambini. Andatevene, questa è ormai solo una trappola per topi". La signora Goebbels supplicante: "Mein Führer, devo rivolgerle una richiesta, per favore, mio marito è il sindaco della capitale, se davvero i russi dovessero entrare lui cadrà assieme alla città. La vita non ha scopo alcuno per me senza di lui. Non ho messo al mondo i miei sei bambini perché vengano portati in giro per Unione Sovietica come attrazione da baraccone, come i figli del propagandista Goebbels. Vorrei pregarla di lasciarmi stare accanto al mio sposo". EVA BRAUN SPOSO' HITLER IL GIORNO PRIMA DEL SUICIDIO Da quel momento in poi anche la signora Goebbels ha alloggiato nel bunker con i bambini. Negli ultimi giorni piangeva spesso, diceva: "Questa vita è molto difficile per una mamma". Quello che è accaduto l'ho saputo da Voss. L'ammiraglio era solo e stava mangiando. Improvvisamente è entrata frau Magda che gli ha chiesto: "Ha visto un medico entrare nella camera dei bambini?". Voss ha risposto: "Sì, è appena passato qualcuno con un camice bianco". La signora è andata anche lei nella camera, dopo mezzora è tornata dall'ammiraglio e ha detto: "Per noi sarà più facile morire, abbiamo superato il peggio". In quel momento i bambini erano stati uccisi. Goebbels è rimasto fino alla fine, fino alla morte del Führer si è occupato di tutto. Posso dire semplicemente che non era soltanto un grande propagandista, era anche un uomo d'animo forte, degno di tutto il rispetto. Hitler a tavola con Eva Braun È vero che negli ultimi giorni lei ha fatto partire un aereo con il materiale d'archivio o con i diari di Hitler? Andò così: verso il 20 aprile tutti i miei aerei, una dozzina, sono stati fatti partire, questo avveniva di notte. Il Führer aveva dato ordine di portare al Sud, a Salisburgo e a Monaco, tutto il materiale che a Berlino avrebbe potuto essere distrutto. Il 25 aprile un aereo pilotato dal mio attendente Arnd è partito con i documenti militari di Hitler, insieme a quelli personali delle sue azioni, ma l'aereo non è mai arrivato a Monaco e di Arnd non ho mai più saputo niente. Quando l'ho detto al Führer è impallidito ed è diventato furente. Se i documenti non fossero stati importanti non avrebbe avuto quella reazione. Nella Cancelleria del Reich si è parlato qualche volta delle persecuzioni contro gli ebrei? Questa è stata una sorpresa anche per me: quando ero in prigione i russi mi hanno detto: "Avete ucciso milioni di israeliti". Per me era come una fiaba, noi non sapevamo niente di queste storie. Se davvero è successo qualcosa, sono certo che il Führer non ne era al corrente. Probabilmente il responsabile è Himmler, che ha fatto tutto di sua iniziativa. Di tutto viene accusato Hitler, ma non è assolutamente vero. EVA BRAUN Ricorda della reazione di Hitler ai tentativi di Goring e di Himmler di avviare delle trattative separate con gli Alleati? Sì, è stato il 25 aprile. È giunto un telegramma di Goring al Führer che diceva: "In base alla seduta del Reichstag in data tal dei tali, io sono stato nominato suo naturale successore. Attualmente lei si trova accerchiato a Berlino e dispone di un potere di comando limitato, la prego di passarmi i poteri". Noi eravamo completamente tagliati fuori dal mondo esterno, le notizie le apprendevamo via radio trasmesse dagli americani. Una fra le tante diceva che Go-ring aveva iniziato delle trattative con gli Usa. Il Führer si è molto arrabbiato. Io dormivo in camera con Bormann e ricordo che a mezzanotte è venuto da me e mi ha detto: "Signor Baur, legga questo dispaccio, devo cercare di farlo avere in qualche modo a Goring". Il testo era pressappoco il seguente: "L'azione da lei compiuta è alto tradimento e secondo la legge tedesca viene punita con la morte. Tenendo in considerazione il servizio da lei prestato alla Germania mi astengo da tale punizione, ma esigo che lei mi presenti immediatamente le sue dimissioni". Da quel giorno in poi Go-ring è stato escluso dalle file nazionalsocialiste. Signor Baur, quando ha lasciato Berlino? Proprio alla fine. Il 30 aprile tutto era concluso e il primo maggio ce ne siamo andati. La sera prima mi ero congedato da Hitler, mi ha fatto chiamare e mi ha detto: "Vorrei accomiatarmi da lei". "Mio Dio, mein Führer, non vorrà farla finita?", gli ho risposto . "Sì, purtroppo è giunto il momento. I miei generali e i miei ufficiali mi hanno tradito e venduto, i miei soldati non mi vogliono più e io stesso non me la sento di continuare". BUNKER NEI SOTTERRANEI DI BERLINO CENTRO "Abbiamo degli aerei che possono volare per diecimila chilometri, la posso portare dove desidera". Mi ha risposto: "No, per me è assolutamente fuori questione lasciare la Germania. Potremmo resistere ancora qualche giorno, ma ho paura che poi cadrei nelle mani dei russi, mi rinchiuderebbero in una gabbia di ferro e mi porterebbero in giro per il mondo, quindi la faccio finita". Durante la notte si sparò un colpo di pistola. Come sono uscito dal bunker sono rimasto gravemente ferito, colpito alle gambe, al petto e a un braccio, mi sono rifugiato in una casa in fiamme, il quadro è andato bruciato con tutto il resto che avevo in uno zaino. Cosa è successo dopo la sua fuga dal bunker? Ero ferito gravemente, i russi mi hanno tenuto per sei giorni insieme agli altri generali, senza farmi cure particolari. Ogni mattina si presentava un commissario che mi chiedeva dove avevo portato Hitler con il mio aereo. I russi sapevano che volava solo con me e pensavano che l'avessi aiutato a fuggire. BUNKER HITLER Poi, finalmente, hanno cominciato a curarmi: mi è stata amputata una gamba perché, nel frattempo, era subentrata la setticemia. Dopo sei mesi di sanatorio sono finito in un campo di concentramento. Ero il prigioniero più felice: mentre i miei camerati si lamentavano di tutto, io ero contento perché potevo finalmente vedere degli alberi e non soltanto un filo di cielo. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°° http://www.economiaepolitica.it/ Gli insuccessi nella liberalizzazione del lavoro a termine Riccardo Realfonzo e Guido Tortorella Esposito 13 Maggio 2014 - L’effetto sociale più grave della crisi economica scoppiata alla fine del 2007 è l’impennata della disoccupazione. In Italia i senza lavoro sono più che raddoppiati rispetto al 2007 e oggi superano i 3,2 milioni. Anche nel 2014 la disoccupazione continuerà ad aumentare: secondo le previsioni del governo il tasso di disoccupazione a fine anno giungerà al 12,8%, contro il 6,1% del 2007. Non si tratta di uno scenario solo italiano, dal momento che nell’Eurozona si muovono oggi 19 milioni di disoccupati, ben 7 milioni in più rispetto al 2007, e alcuni paesi - come la Grecia e la Spagna - hanno visto addirittura triplicare la disoccupazione. In questo contesto, gli interventi espansivi di politica fiscale vengono ostacolati dai vincoli sul deficit e sul debito pubblico previsti nei trattati europei. Insomma, in Europa continua a prevalere l’austerità, benché il suo insuccesso sia ormai sempre più spesso riconosciuto anche dai principali istituti di ricerca internazionali (ad esempio il FMI). L’attenzione si sposta allora sulle politiche del lavoro e in particolare sulla possibilità, sostenuta dalla letteratura economica più conservatrice, la stessa che difende l’austerity, che una sempre maggiore flessibilità del mercato del lavoro possa favorire la crescita occupazionale. In Italia, dopo la riforma Fornero, si prova con il decreto Poletti ad agire ancora sui contratti a termine, nella convinzione che una ulteriore liberalizzazione di questo tipo contrattuale possa fornire un contributo alla riduzione della disoccupazione. Per questa ragione, si interviene prevedendo, tra l’altro, l’eliminazione dell’obbligo di indicazione della causale economico-organizzativa, l’aumento del numero delle proroghe possibili, la trasformazione di obblighi ad assumere in sanzioni amministrative. Si intende dunque procedere in continuità con il recente passato, inserendo dosi di maggiore flessibilità del mercato del lavoro italiano. Ma occorre chiedersi: le politiche di deregolamentazione e di riduzione delle protezione del lavoro che risultati hanno conseguito in questi anni in Europa e in Italia? E in particolare, la liberalizzazione dei rapporti di lavoro a termine ha avuto successo nel favorire la crescita occupazionale? Ebbene, l’esperienza storica a nostra disposizione, così come registrata dai dati ufficiali, ci permette oggi di affermare che queste politiche non hanno avuto alcun successo in Europa negli ultimi 25 anni. Pertanto, non vi sono ragioni per ritenere che l’inserimento di ulteriori dosi di flessibilità possa in qualche modo contribuire alla ripresa dell’occupazione in Italia e in Europa. Per dimostrare quanto appena affermato, facciamo ricorso al database sulla flessibilità del mercato del lavoro messo a disposizione dall’OCSE. Il riferimento è all’Employment Protection Legislation Index (EPL), l’indice che misura il grado di protezione dell’occupazione previsto dalla legislazione di un Paese. L’EPL, utilizzato in tutta la letteratura scientifica su questi temi, è oggi il migliore indicatore esistente sul grado di rigidità del mercato del lavoro. Dopo una serie continua di affinamenti e aggiornamenti, oggi l’EPL viene elaborato dall’OCSE sulla base di 21 indici sintetici che, con una serie di pesi, consentono di stimare i due sottoindicatori che contribuiscono a comporre l’EPL: l’indicatore di protezione per i contratti a tempo indeterminato (EPRC) e l’indicatore di protezione per i contratti a tempo determinato (EPT)[1]. Complessivamente, tanto più la legislazione accentua la flessibilità del mercato del lavoro – eliminando protezioni, vincoli e costi per le imprese, intervenendo sulla disciplina dei contratti a tempo indeterminato e su quella dei contratti a tempo determinato – tanto minore è l’indicatore EPL. Dunque: più flessibilità significa meno EPL. Ecco di seguito l’andamento dell’EPL nell’Eurozona[2], come stimato dall’OCSE, dal 1990 al 2013: Come si osserva, con eccezione di Francia, Austria e Irlanda, tutti i paesi dell’Eurozona hanno ridotto in questi anni la protezione del lavoro, rendendo complessivamente più flessibili i loro mercati. L’Italia è tra i paesi che si è maggiormente impegnata in tal senso, portando l’indicatore di protezione del lavoro dal valore 3,82 del 1990 al 2,26 del 2013 (riducendolo quindi di oltre il 40%). Si tratta di un dato appena superiore a quelli registrati da Olanda, Finlandia, Germania, Belgio e Grecia (per non parlare di Irlanda e Austria, che hanno mercati fortemente deregolamentati), ma inferiore a quelli di Spagna, Portogallo e Francia. Per valutare se politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro e incremento della flessibilità adottate dall’Eurozona abbiano avuto un qualche successo nel favore la crescita occupazionale, occorre porre la variazione dell’EPL in correlazione con i tassi di disoccupazione ufficiali. Per ciò che concerne la disoccupazione utilizziamo i dati ufficiali Eurostat riportati nella Tabella 1. In particolare, per valutare se esista un qualche nesso di causalità tra le politiche di riduzione della protezione dell’occupazione e la disoccupazione si procede con alcune elaborazioni seguendo una consolidata metodologia. In sostanza, si calcola la variazione assoluta dell’EPL riscontrata tra il 2013 e il 1990 ponendola in correlazione con la media delle variazioni, anno dopo anno, del tasso di disoccupazione, registrate nei singoli paesi (tecnicamente si opera una regressione semplice bivariata). Procedendo in questo modo e considerando tutti i paesi dell’Eurozona si ottiene il seguente risultato: Come si osserva, la retta di regressione appare inclinata negativamente. Il che significa che al ridursi dell’EPL, e quindi all’aumentare della flessibilità, la disoccupazione nell’Eurozona tende generalmente ad aumentare. Si tratta di un risultato che evidentemente nega la tesi tradizionale secondo cui la flessibilità determina più occupazione. Certo, la correlazione non è particolarmente marcata (con R-quadro pari a 0,35) ma la sua dimensione e il segno negativo della correlazione quanto meno smentiscono l’idea che le politiche di flessibilità abbiano avuto successo nel ridurre la disoccupazione all’interno dell’eurozona. D’altronde, come si osserva, tutti i paesi mostrano incrementi del tasso di disoccupazione (UNMP), ma essi tendono ad essere più spiccati proprio in quelle realtà nelle quali più forti sono state le deregolamentazioni, come in Grecia, Portogallo e Spagna (ma anche la stessa Italia). L’esatto contrario di quanto ci si aspetterebbe alla luce della teoria economica standard. Si può notare ancora che i tre paesi che hanno aumentato la protezione del lavoro – Francia, Irlanda e Austria – hanno registrato aumenti del tasso medio di disoccupazione particolarmente bassi, quando non addirittura una diminuzione della disoccupazione (nel caso dell’Irlanda). Per approfondire la riflessione con specifico riferimento alla liberalizzazione dei rapporti di lavoro a termine, abbiamo replicato l’analisi considerando il sottoindicatore EPT, che misura la protezione dell’occupazione relativamente al lavoro a termine. Il sottoindicatore EPT (che pesa ½ nel calcolo complessivo dell’EPL) viene stimato come segue dall’OCSE: Come si osserva, risulta confermato che la maggioranza dei paesi dell’Eurozona hanno condotto dal 1990 ad oggi politiche di liberalizzazione del lavoro a termine. Le eccezioni sono Francia, Austria, Finlandia e Irlanda. È anche evidente il particolare impegno con il quale l’Italia ha proceduto dal 1990 ad oggi a liberalizzare il lavoro a termine: l’indicatore EPT si riduce infatti da 4,88 a 2. Procedendo con la metodologia precedentemente indicata, abbiamo allora provato a verificare se queste specifiche politiche di flessibilità abbiano avuto un qualche impatto positivo in termini di riduzione della disoccupazione. Il risultato ottenuto è sintetizzato dalla Figura 3: Anche in questo caso, la retta di regressione è inclinata negativamente, e ciò significa che in generale nei paesi dell’Eurozona, dal 1990 ad oggi, la liberalizzazione dei rapporti di lavoro a termine si è accompagnata con l’aumento della disoccupazione. Si noti che in questo caso il valore della correlazione è ancora meno significativo (R-quadro qui è 0,15). Occorre quindi prudentemente escludere di essere di fronte a una prova che la flessibilità aumenti la disoccupazione. Ma certamente si può concludere che le politiche di liberalizzazione del lavoro a termine non hanno determinato alcuna crescita occupazionale. Si noti che l’Italia è il Paese che, dal 1990 ad oggi, ha fatto i maggiori sforzi nella liberalizzazione del lavoro a termine. È infatti il Paese collocato nella Figura 3 più vicino all’asse delle ordinate, e nonostante ciò registra una sensibile crescita della disoccupazione. L’analisi sin qui condotta riguardavano il periodo 1990-2013, e dunque anche il periodo della crisi scoppiata a fine 2007. E ciò potrebbe indurre a pensare che in qualche modo l’analisi possa essere viziata da eventuali “distorsioni” provocate dalla crisi stessa nella “normale” connessione tra le variabili economiche. Abbiamo allora ritenuto opportuno testare la presenza di una correlazione tra liberalizzazione del lavoro a termine e occupazione anche limitatamente al periodo pre-crisi (19902007). L’analisi dell’esperienza storica del periodo pre-crisi, condotta sempre con la medesima metodologia, porta al seguente risultato: Qui l’analisi perde sostanzialmente ogni significatività statistica, dal momento che la retta di regressione appare piatta (solo lievemente inclinata come nei casi precedenti, con R-quadro pari appena a 0,001). Ciò significa che tra il 1990 e il 2007 le politiche di deregolamentazione sono del tutto incorrelate con le variazioni dell’indice protezione dell’occupazione a termine. Va da sé che l’assenza di una qualunque correlazione conferma che anche limitatamente al periodo pre-crisi le politiche di liberalizzazione non hanno avuto alcun successo nel ridurre la disoccupazione sulla scena europea. D’altra parte, anche un esame specifico delle principali riforme del lavoro a termine conferma le conclusioni sopra osservate. L’unico caso di un possibile successo di queste politiche potrebbe essere quello del Belgio, dove nel 1997 si intervenne massicciamente riducendo i vincoli alle agenzie interinali e permettendo una più ampia reiterazione dei contratti a termine. In quel caso, il tasso di disoccupazione si portò stabilmente al di sotto del livello del ’97 (il 9,2% e oggi oscilla intorno all’8,5%). Ma gli altri esempi sono tutti in controtendenza. Si pensi al caso esattamente opposto della Finlandia dove un piccolo aumento delle protezioni sul lavoro ha coinciso con il calo stabile del tasso di disoccupazione registrato prima di questa riforma. Si consideri anche il caso del Portogallo, dove si è intervenuto ripetutamente aumentando la flessibilità del ricorso ai contratti a tempo determinato senza alcun risultato occupazionale. O si pensi al più noto caso della Grecia, dove si è intervenuti sui contratti a termine nel 2003 e nel 2011, senza che ciò abbia in alcun modo arginato la crescita della disoccupazione. Infine, c’è il caso italiano, dove – a seguito di un percorso passato principalmente per il Pacchetto Treu, il decreto legislativo 368 del 2001, la legge 30 del 2003 (riforma Biagi) e la legge Fornero – la liberalizzazione dei rapporti di lavoro a termine ha comportato il più che dimezzamento dell’indicatore rispetto al valore del 1990, e nonostante ciò oggi il tasso di disoccupazione è di quattro punti percentuali più elevato di allora. D’altra parte, le conclusioni di questo studio non possono stupire chi segue la letteratura internazionale. La stessa OCSE ha a più riprese negato l’esistenza di una correlazione tra flessibilità e occupazione[3]. Per di più l’attuale capo economista del FMI, in uno studio del 2006, sostenne che “le differenze nei regimi di protezione dell’impiego appaiono largamente incorrelate alle differenze tra i tassi di disoccupazione dei vari Paesi”[4]. Questi risultati sono stati recentemente ribaditi anche dalla letteratura italiana[5]. In conclusione, lo studio della relazione tra normative sul lavoro e occupazione mostra che l’aumento della flessibilità del mercato del lavoro non favorisce la riduzione della disoccupazione. E altrettanto dicasi per gli interventi normativi specifici che riguardano i contratti a tempo determinato. Insomma, vi è evidenza empirica a sufficienza per chiarire che le riforme del mercato del lavoro nel senso della flessibilità abbiano fallito nel perseguire la crescita occupazionale. Non si comprende, quindi perché l’Italia e l’Europa dovrebbero continuare lungo una strada che ha ampi costi sociali. [1] In questo lavoro abbiamo utilizzato la prima versione dell’indice EPL esaminata dall’OCSE, per la quale si dispone dei dati dal 1985 al 2013. L’ultima versione – la 3 – non consente ancora una analisi soddisfacente perché i dati disponibili si limitano al periodo 2008-2013. Desta molta curiosità la circostanza che l’OCSE abbia improvvisamente deciso di non rendere più pubblico l’indice EPL, ma solo le sue componenti principali, mettendo comunque a disposizione i dati per effettuare il calcolo. Le ragioni di questa decisione non sono del tutto chiare. [2] L’intera analisi qui condotta considera tutti i paesi dell’Unione Monetaria, con esclusione di quelli per i quali l’OCSE offre solo dati parziali. I Paesi esclusi dall’analisi sono pertanto: Lussemburgo, Cipro, Estonia, Lettonia, Slovacchia e Slovenia. In Appendice pubblichiamo i valori dell’EPL che, come specificato in nota 1, non vengono più direttamente resi noti dall’OCSE. [3] Si rinvia a riguardo ai diversi Employment Outlook pubblicati dall’OCSE, ad esempio quello del 2004. [4] O. Blanchard, “European Unemployment: the Evolution of Facts and Ideas”, Economic Policy, 2006. [5] Si rinvia ad esempio a E. Brancaccio, Anti-Blanchard. Un approccio comparato allo studio della macroeconomia (Franco Angeli, Milano, 2012) e A. Stirati, “La flessibilità del mercato del lavoro e il mito conflitto tra generazioni” (in P. Leon e R. Realfonzo, L’economia della precarietà, 2008). P iù recentemente si veda R. Realfonzo, “Deregolamentare per crescere? EPL, quota salari e occupazione”, Rivista giuridica del lavoro, 2013, n. 3, pp. 487-502. Per una riflessione sul dibattito italiano si rinvia ad A.Pacella, R. Realfonzo e G. Tortorella Esposito, “La flessibilità del lavoro come fattore di competitività. Una analisi critica delle politiche di riforma in Italia” in corso di pubblicazione in Diritti, Lavori, Mercati. del Appendice °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°° http://www.milanofinanza.it/ Blackrock mette nel carrello della spesa anche Bpm di Francesca Gerosa Spunta Blackrock tra i principali azionisti della Banca Popolare di Milano. Il fondo americano, secondo quanto ha riportato oggi la Consob tra gli aggiornamenti sulle partecipazioni rilevanti, ha in portafoglio il 5,149% del capitale della popolare milanese. Tale posizione è spalmata tra 13 distinte società di gestione controllate dal gigante statunitense del risparmio gestito. La salita è datata 6 maggio, secondo giorno di contrattazione dell'aumento di capitale da 500 milioni di euro che si chiuderà il prossimo 23 maggio (i diritti sono negoziabili fino al 16). Blackrock, che già detiene quote sopra il 5% in Intesa Sanpaolo, in Unicredit e nel Banco Popolare, diventa così il secondo azionista di Bpm, dietro al fondo Athena di Raffaele Mincione, che ha il 7,019%; sopra il 2% risultano, secondo le tabelle della Consob, anche Ubs (3,623%) e Grantham Mayo van Otterloo (2,108%). In un'intervista l'ad di Bpm, Giuseppe Castagna, ha affermato che, dopo l'aumento di capitale, la banca avrà "con ogni probabilità una platea più vasta e frazionata di investitori istituzionali" perché dai road show delle ultime settimane all'estero è emerso che "l'interesse c'è". Dopo la notizia del nuovo shopping di Blackrock, il titolo Bpm avanza a Piazza Affari dello 0,73% a quota 0,624 euro. Oggi Banca Imi ha alzato il target price sull'azione da 0,69 a 0,73 euro, confermando la raccomandazione add, visto che l'utile netto del primo trimestre pari a 64 milioni di euro è stato superiore alle loro attese e a quelle del consenso grazie a un trading income più alto del previsto che ha beneficiato di un capital gain di 61 milioni di euro derivante dalla cessione di bond governativi italiani, mentre il net interest income e le commissioni sono risultate marginalmente superiori alle previsioni. Gli analisti di Banca Imi hanno giudicato anche "piuttosto positivo" l'outlook indicato dal management: sebbene i crediti verso la clientela siano risultati ancora in calo, Bpm si è impegnata ad aumentare il portafoglio di prestiti approfittando dei primi segni di ripresa economica. Mentre il processo di revisione degli add-ons, i requisiti prudenziali aggiuntivi sul capitale imposti da Banca d'Italia, avrà inizio una volta terminato l'aumento di capitale. A detta degli esperti della banca d'affari, se gli add ons fossero rimossi, un dividendo potrebbe essere possibile per Bpm il cui titolo è scambiato a 0,62 volte il book value tangibile, un livello che non incorpora un possibile miglioramento della redditività della banca dopo la ripresa economica. L'ultimo dividendo staccato da Bpm risale al 23 maggio 2011: 0,10 euro per azione. Mps, il mercato apprezza i ricavi core e il taglio dei costi di Francesca Gerosa I risultati del primo trimestre di Monte dei Paschi sono stati inferiori alle attese per un costo extra legato al rimborso dei Monti Bond (143 milioni di euro pre tasse) e per i più alti accantonamenti per perdite su crediti che hanno portato a una perdita netta di -174 milioni di euro (-20 milioni circa l'attesa del consenso). Un dato però controbilanciato dai più alti ricavi, soprattutto quelli core, e dei più bassi costi, tanto che per alcuni analisti la qualità dei dati è buona. "Il costo una tantum per il rimborso dei Monti Bond è legato al fatto che la Fondazione Mps ha venduto azioni a un prezzo superiore a quello implicito negli aiuti di Stato", hanno spiegato stamani gli analisti di Equita (buy e target price a 0,31 euro confermati sul titolo). Al netto di questa componente, "il margine di interesse è risultato decisamente superiore alle attese grazie al calo del costo della raccolta". Insomma, i risultati sono buoni al netto delle componenti straordinarie anche perché la crescita dei crediti dubbi è in rallentamento. "Nel complesso, la redditività core di Mps si sta riprendendo, in particolare grazie a un net interest income più forte, che beneficia dei più bassi costi del funding, e di una ripresa delle commissioni", hanno notato gli analisti di Deutsche Bank (target price alzato da 23,90 a 25,30 euro, rating hold), convinti che questo sarà ancora più visibile dopo il completamento dell'aumento di capitale da 5 miliardi di euro. Così in borsa il titolo Mps regge alle vendite (+0,29% a 24,21 euro), anche perché, come hanno sottolineato gli analisti di Kepler Cheuvreux (reduce e target price a 14 euro), il dato sui ricavi core adjusted è stato incoraggiante: +0,4% su base annua, con un margine di interesse in calo dell'1,6% su base annua ma in aumento del 4,3% su base trimestrale, e con commissioni in crescita del 3,2% su base annua (+10% su base trimestrale), un segnale di una progressiva normalizzazione del core business in un mercato ancora difficile. Al contempo, secondo Kepler Cheuvreux, gli accantonamenti sono stati ancora alti, ma inferiori al picco: 510 milioni di euro, -1,1% su base annua, un dato solo leggermente superiore alla stima di Kepler Cheuvreux a 498 milioni. Mentre gli accantonamenti per perdite su crediti a 447 milioni hanno implicato un costo del rischio annualizzato ancora alto a 144bps ma sotto i 148bps attesi perché i crediti sono risultati del 2% sopra le stime del broker. Tuttavia non manca chi come Banca Akros (rating reduce) ha criticato, oltre alla perdita superiore alle attese, i ricavi totali scesi del 18% anno su anno a 957 milioni, un dato dell'11,5% più basso del previsto, apprezzando solo i costi operativi, scesi più delle attese del 9% anno su anno e del 3,6% trimestre su trimestre a 660 milioni di euro, anche se, come avvertono gli analisti di Banca Imi (hold e target price a 22 euro), non possono essere considerati ricorrenti nei prossimi trimestri. In conclusione, "mentre l'utile di Mps è stato ancora penalizzato da una voce una tantum, i trend operativi sono positivi e più forti del previsto, grazie alle azioni messe in atto dal management per migliorare i ricavi e ridurre i costi operativi. Consideriamo anche positivamente l'inizio del miglioramento della qualità del funding. Invece la qualità del credito, che espone la banca a un rischio correlato a un potenziale esito negativo dell'asset quality review, rimane un problema, a nostro avviso", hanno concluso gli analisti di Banca Imi. La prossima settimana l'assemblea degli azionisti di Mps voterà per l'aumento di capitale da 5 miliardi di euro, che il management intende eseguire nel mese di giugno, al fine di rimborsare 3 miliardi di euro di aiuti pubblici ai primi di luglio, mentre aspetterà l'esito dell'asset quality review della Bce per decidere quando rimborsare i restanti 1,07 miliardi di euro. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°° http://www.milanofinanza.it/ E ora 1.000 miliardi Un’operazione finanziaria straordinaria da 1.000 miliardi di euro per fare uscire l’Italia dalla palude. Come? Attraverso il lancio di una sorta di offerta pubblica di scambio (ops) da parte del governo, per ristrutturare il debito pubblico in essere, ormai detenuto per il 60% da cittadini, banche, assicurazioni, fondi di investimento italiani o da istituzioni finanziarie estere riconducibili a investitori italiani. Questa la proposta di programma shock che MF-Milano Finanza e l’Italia c’è propongono al presidente del consiglio in pectore, Matteo Renzi, perché dimostri di essere un vero rottamatore, un demolition man per dirla con il Financial Times. Un manifesto per l’Italia elaborato e condiviso con economisti e professionisti del calibro di Paolo Savona e Andrea Monorchio. Lo scambio serve a sostituire 1.000 miliardi di titoli del debito pubblico italiano sul mercato con l’attribuzione pro-quota di 650 miliardi di nuovi titoli a lungo termine, indicizzati all’inflazione e al 20% della crescita del pil reale (proposta Savona-Rinaldi), e di 350 miliardi di titoli di partecipazione nel fondo patrimoniale degli Italiani (proposta MonorchioSalerno). Contestualmente, vengono emessi nuovi titoli di debito infruttiferi per 150 miliardi, a dotazione di tre fondi per lo sviluppo. L’operazione, che verrebbe avviata solo al raggiungimento della soglia di disponibilità di 1.000 miliardi da parte del mercato, consentirebbe di: A) abbattere immediatamente il debito pubblico di 200 miliardi (circa il 13% del pil), riportandolo ai 1.800 miliardi del 2009; B) ridurre stabilmente l’onere per gli interessi di almeno 35 miliardi annui (oltre il 2% del pil) con una pari riduzione della pressione fiscale; C) far partecipare paritariamente i privati alla gestione del Fondo patrimoniale degli italiani, cui lo Stato e le amministrazioni locali conferiscono asset mobiliari e immobiliari, ivi compresi i cespiti delle concessioni, per complessivi 700 miliardi. Ai diritti di partecipazione per 350 miliardi attribuiti ai privati corrisponde un ritorno minimo garantito pari a quello dei titoli di Stato attribuiti con lo scambio e l’esonero da tassazione delle plusvalenze per 25 anni; D) creare tre fondi, con la dotazione di 50 miliardi di euro ciascuno, per complessivi 150 miliardi (circa il 10% del pil) volti a: 1) finanziare la ripresa del mercato immobiliare garantendo i nuovi mutui e accollando cinque anni di preammortamento della quota di pagamento degli interessi; 2) coprire le perdite bancarie derivanti dalle sofferenze in essere per i crediti erogati alle imprese (rimanendo in ogni caso esclusa la possibilità di recuparare minusvalenze su operazioni di trading, proprietario o meno, e su partecipazioni azionarie); 3) creare un credito di imposta pari al 100% della ricapitalizzazione effettuata dalle piccole e medie imprese mediante l’apporto diretto dei soci, il conferimento degli utili (che vengono comunque detassati), ovvero il finanziamento di start-up. Questo è lo scambio politico che va proposto: meno rendite sul debito in cambio della partecipazione alla gestione del patrimonio pubblico e di un forte incentivo alla ripresa economica. Questa è la grande riforma strutturale che occorre avviare in Italia, per cambiare il rapporto tra Stato e mercato, per modificare un modello di crescita fondato sul debito e sulla sottocapitalizzazione delle imprese. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°° http://icebergfinanza.finanza.com/ ITALY’S REVOLVING DOORS Scritto il 13 maggio 2014 Mentre secondo un’intervista di Padoan alla Repubblica il Tesoro è in campo per cedere il 10% di Eni e Enel … Al sesto anno di crisi, con il debito avviato verso il 135% del Pil, per il Tesoro è il momento di rompere un nuovo tabù. Vanno ceduti altri pezzi importanti del capitale di Eni e di Enel. Lo Stato non ha più assoluto bisogno di mantenersi sopra il 30%, la quota di controllo, nelle sue più grandi società quotate. Può anche scendere di un altro 10% senza dover temere per questo scalate ostili di investitori esteri. La speranza è che anche il premier Matteo Renzi se ne convinca. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e la sua squadra ci stanno riflettendo seriamente, perché conoscono alla perfezione i vincoli entro i quali il Paese si muove. Il debito pubblico era intorno al 120% del prodotto lordo nel 2011 e, secondo le stime del Documento di economia e finanza (Def), salirà al 134,9% quest’anno. …noi andiamo a dare un’occhiata alla porte girevoli nostrane e mondiali, giusto per rinfrescare la memoria di tutti coloro che andranno a votare, per sostenere questa Europa, si l’Europa che ho descritto nel mio editoriale sul Giornale l’Adige di cui ben pochi parlano, anzi… In questi giorni è uscito un rapporto pubblicato da Corporate Europe Observatory, un gruppo di ricerca indipendente che vuole far conoscere e sfidare l’accesso privilegiato e l’influenza che godono i gruppi di pressione nel processo decisionale europeo, un esercito di 1.700 lobbisti con a disposizione un fatturato annuo di oltre 120 milioni di euro, forniti da banche e altre imprese del settore per sostenerne le attività. Non solo, nei primi mesi del 2013 un quotidiano inglese ha reso noti documenti secondo i quali, a Bruxelles, hanno stanziato milioni di euro per intervenire sui social network nei dibattiti sulla moneta unica, cercando di influenzare l’opinione degli utenti, in direzione unica. Ma prima solo una precisazione, con l’augurio che questo post possa girare il più rapidamente possibile per far comprendere a tutti come la democrazia è stata ormai definitivamente sequestrata dalla plutocrazia finanziaria mondiale! Ma non aveva forse detto Matteo Renzi recentemente … “L’Eni è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence. Cosa vuol dire intelligence? I servizi, i servizi segreti“….? E ancora a proposito di un suo recente incontro alla City… Poi ha raccontato, con riferimento al suo incontro con gli investitori della City: «Ieri a Londra mi hanno detto che potrei vendere Eni. Ma noi non vendiamo i nostri gioiellini».(IlSole24Ore) Giusto per mettere le cose in prospettiva e rinfrescare la memoria degli italiani ma non solo il suo amico Davide Serra, il finanziere che fa la morale in Italia e paga le tasse nei paradisi fiscali … Serra: «la City colpita positivamente» da Renzi Un faccia a faccia con imprenditori e alta finanza della City, quello andato in scena questa mattina all’ambasciata italiana a Londra. Renzi, si è intrattenuto per oltre un’ora e mezza ascoltando e prendendo la parola quasi esclusivamente per porre domande ai propri ospiti. A riferirlo è stato uno strenuo sostenitore di Renzi, il patron del fondo Algebris, Davide Serra: «La sala è rimasta positivamente colpita: per la prima volta è arrivata una persona che ascolta», ha raccontato Serra.( Il Sole 24 Ore ) Giusto per mettere i puntini sulle i queste sono le spettacolari performance dei fondi dell’amico di Renzi… Un po’ ci si è messa anche la sfortuna, ma per Davide Serra il mese di aprile non deve essere stato troppo entusiasmante. Intanto le performance dei suoi fondi: -6.9% per l’Algebris Global Financials Fund (-6% da inizio anno); 4,28% per l’Ms Algebris Global Financials Ucits Fund, -2,97% per il Long Only Global Financials Fund, poco sotto lo zero il Financial Income Ucits Fund. In positivo solo il Financial Credit Ucits (1,46%) e il Financial CoCo Fund (2,16%). Si tratta delle stime inviate a un panel di interlocutori di Algebris, la società che Serra guida. ai lavori. Tutti i dolori del giovane Davide Serra – Formiche Ma proseguiamo! Quindi se Renzi giustamente dopo quello che ha pubblicamente dichiarato è molto perplesso allora è un’ideuccia di Padoan quella di vendersi un 10 % di ENI e ENEL, non è che qualcuno ha promesso qualcosa in giro? No sai perchè ho appena saputo che … Grilli assunto in Jp Morgan L’ex ministro del Tesoro diventa presidente per l’area Europa, Medio Oriente e Africa per la banca d’affari Usa. Si occuperà di corporate e investment bank. Stava per passare a Jp Morgan già tre anni fa, prima della chiamata di Monti MILANO - Le aveva definite “voci infondate e dannose”, quando il giorno prima del varo del governo Monti, il 14 novembre del 2011, era stato ipotizzato un suo passaggio a Jp Morgan. Allora Vittorio Grilli era direttore generale del Tesoro e a luglio si era parlato di lui come di un possibile successore di Mario Draghi alla guida di Banca d’Italia. Il suo sponsor era Giulio Tremonti, un astro in discesa che non riuscì a piazzare il suo protetto al vertice di Via Nazionale. Grilli aveva chiesto l’appoggio per salire sul trono dei banchieri italiani anche a Massimo Ponzellini, il discusso presidente della Banca Popolare di Milano, finito al centro di un’inchiesta per finanziamenti facili a un giro di “amici”. Ma non gli valse a nulla, la spuntò Ignazio Visco. A proposito di ENI ed ENEL il popolo di Icebergfinanza sa cosa sia un ” DIVIDEND YIELD” vero. Beh se non lo sapete faciamo un pò di financial literacy aiutandoci con Wikipedia… In finanza ed economia finanziaria, il dividend yield o rapporto dividendoprezzo corrisponde al rapporto tra l’ultimo dividendo annuo per azione corrisposto agli azionisti o annunciato e il prezzo in chiusura dell’anno di un’azione ordinaria. Esso è utilizzato come indicatore del rendimento immediato indipendentemente dal corso del titolo azionario. Quindi come potete vedere qui sopra il rendimento medio lordo di un’azione eni dal 2006 in poi è stato del 6 % minimo e noi che paghiamo oggi il 3 % a dieci anni sul nostro debito pubblico e in media il 4 % arrotondando per difetto, ripeto noi andiamo a vendere il 10 % di una gallina dalle uova d’oro che rende il 6 % per ripagare un debito che ci costa il 4 %! Favoloso, voglio anch’io dei consulenti finanziari meravigliosi come questi o magari come qualche professorino italiano che insegna in America, che ogni tanto fa campagna elettorale in Italia per lo zero virgola. Ma prima di tornare a Grilli facciamo un piccolo elenco delle REVOLVING DOORS mondiali, ovvero le porte girevoli dalle quali entrano ed escono a piacimento banchieri che diventano ministri e viceversa. Il caso più ecclatante è quello americano, una nazione amministrata da banchieri… Poi c’è quella europea dove ex uomini di Goldman Sachs hanno amministrato il fallimento dell’Europa e tuttora lo stanno amministrando … Per carità di patria è meglio non dire nulla del recente governo Monti intriso di banchieri o amministratori di banche da Passera alla Fornero, ma passiamo direttamente a quella che è la squadra di Goldman Sachs italiana, ma non solo anche Deutsche Bank e via dicendo… Ve lo ricordate Romano Prodi PRODI CON GOLDMAN SACHS FARA’ ANCHE IL CONSULENTE … MILANO L’ ex presidente dell’ Iri Romano Prodi è in avanzate trattative con la merchant-bank americana Goldman Sachs che gli ha chiesto di diventare suo consulente strategico per il mercato italiano. La notizia, confermata da fonti vicine allo stesso Prodi, soddisfa finalmente le curiosità da tempo concentrate sulle occupazioni del professore di Bologna dopo la sua uscita dalle Partecipazioni Statali. Ve lo ricordate Giuliano Amato… ***Deutsche Bank: Giuliano Amato senior advisor in Italia … Giuliano Amato e’ stato nominato senior advisor di Deutsche Bank in Italia. In questo ruolo, secondo quanto apprende Radiocor. Amato supportera’ Deutsche Bank in Europa e soprattutto in Italia dando un contributo all’interpretazione degli scenari politici e macroeconomici e nella valutazione degli interventi e delle normative del Governo, fornendo la propria consulenza ai principali clienti attuali e potenziali della banca. Qualcuno dirà ma sai ci ha rinunciato qualche anno dopo e mancherebbe…Amato spiazza Deutsche Bank proprio ora che si fanno affari ci Ve lo ricordate Gianni Letta, si l’ombra di Silvio Berlusconi altro nome da brivido che circola come possibile presidente della Repubblica come Prodi… Gianni Letta nominato advisor di Goldman Sachs – Il Sole 24 ORE Anche se sembra che Oggi Goldman Sachs non ha più bisogno dei Prodi, Monti, Letta Ve lo ricordate Blair si quello che dovrebbe essere un modello per Renzi? Ebbene anche quello…La seconda vita di Blair, consulente superpagato per la JPMorgan… LONDRA - Fare il primo ministro non è un lavoro semplice. Polemiche, tensioni, stress. E in più le soddisfazioni per aver lavorato bene possono arrivare solo dopo, all’indomani dell’addio al governo. Però a volte si tratta di soddisfazioni di tutto rispetto. Tony Blair, per esempio, ha appena firmato un contratto da superconsulente per la banca d’affari americana Jp Morgan che gli frutterà un milione di dollari all’anno.MUTUO DA 5 MILIONI – In questo modo Blair non avrà il minimo problema a estinguere il pesante mutuo (24.000 euro al mese) della casa da 5 milioni di euro comprata a Londra nel quartiere di Bayswater. Devo andare avanti magari elencando qualche altro psicopatico che si crede essere la mano di Dio o predicatore di un nuovo vangelo come ho scritto nel mio libro? Di cosa volete parlare di bello oggi di democrazia o di più Europa mentre qualcuno si sciroppa qualche telenovelas o la solita partita di calcio? Siete immersi nella più colossale truffa della storia della finanza mondiale, frodi , manipolazioni, indici, valute, commodity, tassi manipolati, e soprattutto udite udite… …questa è una crisi di debito PUBBLICO, mica di debito PRIVATO! Aveva ragione Prezzolini… la parabola dei fessi e dei furbi …italiani popolo di fessi! Mi dispiace ma questa è la pura e semplice realtà, bisogna prenderne atto, come noi facciamo da anni, mentre altri vi illudono inutilmente, in direzione sempre e solo ostinata e contraria! UNA BOCCONI…DI PIZZA! Scritto il 12 maggio 2014 Mentre mezzo mondo vi sussurra che questa è una crisi economica e finanziaria e che le radici sono soprattutto tecniche e scientifiche, si continua naturalmente a rubare, manipolare, corrompere, frodare, l’economia e la finanza sono dominio di un manipolo di psicopatici politici e finanzieri, imbottiti di cocaina e testosterone, che stanno abbandonando il Titanic sulle uniche scialuppe rimaste. Quando apri il giornale e la televisione, non solo in Italia sia ben chiaro e vedi che qualche ministro a sua insaputa finisce in galera o che dietro l’Expo di Milano vi è nascosta l’ennesima immensa italica tangentopoli è solo un problema tecnico o scientifico, siete poco flessibili, poco produttivi dovete lavorare di più. Ovviamente il livello di corruzione è uno dei motivi del degrado antropologico del Paese, Icebergfinanza lo scrive da anni, ma come sempre abbiamo bisogno del capo dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone che segua direttamente i lavori dell’Expo di Milano travolta dallo scandalo delle tangenti non prima ma dopo, quando ormai la figura mondiale è fatta. Ma torniamo a noi e andiamo alla Bocconi, dove sembra che vi siano state scene da panico e resse disumane per procurarsi un posticino alla lezione di Briatore che dopo aver definito le start-up fuffa ha lasciato ai posteri il seguente messaggio biblico… “Non voglio portare sfiga, ma per voi non ci sono opportunità. Fate un lavoro normale, magari apritevi una pizzeria. Così se fallisce almeno vi mangiate una pizza. Se fallisce la start up non vi rimane neppure quello” Briatore: ”Le start up? Fuffa. Aprite una pizzeria” Nei miei locali i camerieri riescono a guadagnare 5mila euro esentasse al mese solo di mance. Perchè lavorare per 1400 euro è inutile”. Briatore in Bocconi: “Giovani, niente start up. Aprite pizzerie .. Ho letto in giro questa sintesi … Gli va dato atto di non aver voluto infierire sugli studenti con una retorica buonista: non è mai stato suo costume. Flavio Briatore, forte di un successo costruito da zero e con qualche piccolo intoppo di percorso, ha elargito agli studenti della Bocconi una vera e propria lezione di vita su cosa significhi capire la propria strada nella vita. Qualche piccolo intoppo di percorso riconducibile secondo le cronache ad un processo per gioco d’azzardo condannato a tre anni e ad un processo per reati fiscali, questi sono i modelli proposti dalla prestigiosa Bocconi o Bocciofila come dice Crozza a seconda dei punti di vista. Ma lasciamo la giusta dose di gossip e occupiamoci seriamente del messaggio principale che desidero condividere in mezzo al deserto, che sintetizzo in queste poche frasi … ” (…) Ci siamo iscritti sperando di ottenere un’ampia e preliminare introduzione alle nozioni fondamentali della teoria economica che ci sia da supporto nelle varie ricerche e nelle differenti discipline che affronteremo. (…) Invece abbiamo trovato un corso che espone una specifica – e limitata – visione dell’economia, che a nostro parere perpetua nella società odierna sistemi di disuguaglianza problematici e inefficienti (…) Un valido studio accademico dell’economia deve includere una discussione critica dei benefici e dei difetti di più modelli economici. (…) Abbiamo uno scarso accesso ad approcci alternativi all’economia. “ La maggior parte di noi ha scelto di studiare economia per acquisire una conoscenza approfondita dei fenomeni economici (…) Ma l’insegnamento offerto, soprattutto teorie neoclassiche e metodi da esse derivati, generalmente non soddisfa queste aspettative(…) Il lato empirico – fatti storici, funzionamento delle istituzioni, studio dei comportamenti e delle strategie degli agenti – è quasi del tutto inesistente. (…) Questa lacuna nell’insegnamento, questa indifferenza verso la realtà concreta, provoca un problema enorme a coloro che vorrebbero rendersi utili agli attori economici e sociali. E’ chiaro o no che l’economia e la finanza, il loro insegnamento non possono più essere lasciate in mano ad un casta autoreverenziale di presunti stregoni che hanno fatto già abbastanza danni negli ultimi decenni? E finitela di dire che è una materia troppo complessa e complicata per Voi, riprendete in mano la Vostra vita e quella dei Vostri figli. I baroni regnano sull’università Raccomandazioni, scambi di favori, meriti negati, titoli ignorati. Il concorsone per scegliere i professori è sommerso di ricorsi. Il consiglio di stato ha accolto le proteste di un bocciato e potrebbe annullare l’intera tornata di nomine. Ecco come naufragano gli atenei italiani Ah porci!”, esclamò Perpetua. “Ah baroni!”, esclamò don Abbondio». I lanzichenecchi che distrussero la Lombardia nel 1630 Alessandro Manzoni li chiama proprio così, «baroni». Dal latino “baro – baronis”, termine che, dice la Treccani, indicava “il briccone, il farabutto, il furfante”. I mammasantissima delle nostre facoltà non hanno portato la peste come i soldati tedeschi che assediarono Mantova, ma di certo il loro dominio incontrastato ha contribuito a devastare l’università italiana. Dove, al netto delle eccellenze e dei tanti onesti, è sempre più diffuso il morbo del familismo, della raccomandazione e del corporativismo, a scapito del merito, delle capacità dei più bravi, della fatica dei volenterosi. So che tanti ragazzi anche alla Bocconi leggono il nostro blog e il messaggio è riassunto tutto qui in questo post, una sintesi che vi prego di leggere o di rileggere, perchè ci vorranno anni per sradicare una concezione che passa essenzialmente dalla competizione piuttosto che dalla cooperazione… UNA RIVOLUZIONE ALTERNATIVA NELLE UNIVERSITA … Ho scritto anche nel mio libro… ” Non solo è importante istruire uomini e donne del futuro che siano in grado di difendersi dalla complessità del sistema finanziario, consentendo loro di migliorare la propria conoscenza e consapevolezza dei rischi e delle opportunità che il sistema offre, ma anche educare persone in grado di comprendere il significato delle cose, che siano in grado di riflettere sulle conseguenze e sulle cause di una determinata azione economica e sociale, che sappiano guardare anche a un sistema alternativo a quello che permea la loro quotidianità. La ricostruzione della scienza economica e della cultura finanziaria deve necessariamente passare da una riscoperta complementarietà tra la cultura umanistica e quella scientifica, attraverso la filosofia morale e la sociologia, l’economia cognitiva, la storia economica e politica, limitando il peso della componente matematica pura.” I nostri ragazzi sono circondati e assediati talvolta da una teoria economica che ha smesso di occuparsi dei problemi reali, una teoria economica che ha sostanzialmente fallito! Mi dispiace ma questa è la pura e semplice realtà, bisogna prenderne atto, come noi facciamo da anni, mentre altri vi illudono inutilmente, in direzione sempre e solo ostinata e contraria! ***************************************** ***************************************** ************************