CONSIGLIO PROVINCIALE DI MILANO Processo verbale dell'adunanza del 30 giugno 2005 Addì, trenta giugno duemilacinque, in Milano, nell'Aula consiliare di via Vivaio n. 1, si è riunito il Consiglio provinciale per la trattazione degli argomenti iscritti agli ordini del giorno ordinario e supplementari dall’uno al ventisei, diramati in data 13, 20 gennaio, 10, 17, 22 febbraio, 1, 10, 17 marzo, 7, 28 aprile, 5, 12, 19, 31 maggio, 14, 16, 23, 28, 30 giugno 2005 con atti provinciali n. 1637/2005/4662/2004. A norma dell'art. 34 dello Statuto, la Presidenza dell'adunanza viene assunta dal Presidente del Consiglio provinciale, Vincenzo Ortolina. Partecipa alla seduta il Direttore generale della Provincia, dr.Giancarlo Saporito. Alle ore 15.25 il Presidente del Consiglio invita il Direttore generale a procedere all'appello nominale dei presenti. Rispondono all'appello i seguenti trentuno Consiglieri: Ortolina Vincenzo Albetti Roberto Angiuoni Pierluigi Ariazzi Costanzo Arrigoni Vittorio Bruschi Marco detto Max Caputo Roberto Casati Ezio Primo Cavicchioli Arianna Clerici Michele Dapei Bruno Giorgio De Gaspari Mario A.F. Elli Enrico Esposito Francesco Foglia Giuseppe Maria Fortunati Ombretta Maria Frassinetti Paola Gaiardelli Andrea Gatti Massimo Roberto Gavazzi Attilio Greco Luigi Grimoldi Paolo Guerra Luca Lombardi Ruggiero Maestri Pietro Maria Meroni Fabio Modugno Roberto Patta Antonello Pezzoni Alessandro Pioli Pier Mauro Scarano Giuseppe Sono altresì presenti gli Assessori provinciali: Barzaghi, Ponti e Rotondi. Assenti giustificati i Consiglieri: Barbaro, Censi, Malinverno, Musciacchio e Nobili. Constatato che l’adunanza è valida per legalmente deliberare, il Presidente del Consiglio, dichiarata aperta la seduta, così si esprime: “Iniziamo la seduta come di consueto, e mi scuso in proposito con il pubblico esterno che probabilmente non conosce la nostra prassi, con gli interventi dei Consiglieri come da art. 83 di regolamento, che consente loro di esprimere in cinque minuti valutazioni su fatti significativi intervenuti negli ultimi giorni. In questo senso, e in ragione di ciò, do la parola al Consigliere Roberto Caputo, prego.” 1 Nel frattempo è entrato in aula il Consigliere Tranquillino. (Presenti 32) Consigliere Caputo: “La ringrazio Presidente. Ho letto questa mattina, con grande interesse, un’intervista del Presidente della Provincia Penati, per quanto riguarda la questione sicurezza a Milano. Lo ritengo un tema fondamentale questo, vi è una situazione molto difficile nelle periferie milanesi, quelle più colpite da una situazione di degrado e di grande difficoltà che vivono soprattutto alcuni quartieri e alcuni condomini di case popolari, ma non solo, alcune zone limitrofe poi alla cintura periferica milanese. Devo dire che ho apprezzato molto la sua chiarezza su questo versante, il fatto di non usare ipocrisia rispetto a questo tema, che è un tema fondamentale, che va ripreso e va trattato. Inviterei anche questo Consiglio a porlo all’ordine del giorno in futuro, sicuramente dopo il periodo estivo, perché è un tema centrale che non può essere sottaciuto e deve essere trattato con grande attenzione, con grande acume politico, senza steccati e senza ideologie. Un tema che interessa tutti e che va assolutamente valutato con grande attenzione. Quindi ho apprezzato le parole del Presidente Penati in questo senso e spero che questo Consiglio possa essere artefice di un dibattito attento, accurato, senza barriere ideologiche. Proprio su questo tema però mi riallaccio alle cose che dicevo la volta scorsa, le riprendo e le riprenderò ancora se succederanno altri fatti di questo genere, è sempre più insostenibile la situazione dell’AEM a Milano. Altri black-out ci sono stati nei giorni scorsi, ieri ancora a Milano sono state bloccate alcune zone, la scusa è quella di cavi vecchi. E’ una scusa banale, grottesca, ridicola, un’azienda efficiente come l’AEM che ha acquistato addirittura altre aziende non può assolutamente nascondersi dietro un dito, dietro un ditino devo dire. Siamo ormai in una condizione di emergenza, per due notti in via Val di Sole, la zona dove sono avvenuti due stupri recentemente, dove sono avvenuti furti negli appartamenti e furti anche in negozi, la luce è mancata per due notti di seguito, non c’era neanche un lampione acceso, la gente è terrorizzata, non esce di casa. Questo è un fatto gravissimo, nessuno risponde, i centralini dell’AEM chiamati non rispondono, non replicano alle richieste dei cittadini, nessuno interviene. Io credo che in una città come Milano questo non dovrebbe accadere, non dovrebbe avvenire, fa parte sempre della sicurezza, anche questo è un tema fondamentale, l’illuminazione della città fa parte della sicurezza della città, l’AEM deve essere responsabile anch’essa della sicurezza di questa città. Pongo quindi, per l’ennesima volta, questo tema, lo ripeterò senza stancarmi, prenderò le difese di questi cittadini che non hanno nessuno che li difende, tranne qualche associazione di consumatori, quindi mi farò paladino, forse una battaglia contro i mulini a vento, però queste battaglie mi piacciono perché questi cittadini possano avere finalmente delle risposte. Solo delle risposte, ma almeno queste devono essere date. Questa è una vergogna di questa città che io denuncio e continuerò a denunciare.” Nel frattempo è entrato in aula il Consigliere Re. (Presenti 33) Consigliere Bruschi: “Mi tocca ancora una volta, seppure questa volta da banchi opposti, ringraziare il Presidente emerito Caputo per avere posto all’attenzione del Consiglio un tema che merita indubbiamente la nostra riflessione. Devo dire che stamattina leggendo l’intervista del Presidente Penati al Corriere della Sera io non ho potuto fare altro che ritrovarmi, perché nel momento in cui si prende atto di una situazione di forte degrado delle periferie e si prende atto che questa situazione è dovuta a motivi serissimi di ordine pubblico, questo è un patrimonio che non penso debba essere di sinistra o di destra, ma che debba essere un patrimonio condiviso da parte di qualunque amministratore pubblico. La certezza delle leggi, la certezza del diritto e dunque anche la certezza della sicurezza deve essere alla base di ogni atto amministrativo. 2 Peccato che oggi pomeriggio mi sia arrivata una telefonata dall’assessorato alla sicurezza e periferia del Comune di Milano, che mi illustrava un’iniziativa del Presidente Penati e della protezione civile che va in senso diametralmente opposto. Nel senso che su spinta del Presidente Penati e - ma qui potrei errare perché relata refero - con la presenza del Presidente Penati, alcuni mezzi della protezione civile milanese si sarebbero recati a Molino Dorino, zona di Milano che ricordo a tutti i Consiglieri ha già avuto una specie di sollevazione popolare per motivi di sicurezza, ricordiamoci che lì c’è una situazione assolutamente anomala e di difficile controllo, di un mercato abusivo di immigrati dai Paesi dell’Est, in parte risolta, in parte ancora no. Questo intervento, condotto impippandosene del Comune di Milano, senza avvertire nessuno, ha prodotto il seguente risultato: circa settanta famiglie si sono immediatamente insediate in un nuovo campo abusivo nel Comune di Milano, a Molino Dorino. Campo abusivo fatto con i mezzi dati dalla protezione civile di questa Provincia. Ripeto, io non discuto le iniziative, ognuno può prendere le iniziative che vuole, ma non si può dichiarare ai giornali un tipo di azione politico amministrativa ed effettuarne sul territorio una opposta, perché questa è ipocrisia politica, reato di fronte ai cittadini e di fronte alla moralità della politica. Leggi e istituzioni vogliono che si sia conseguenti tra le parole che si dicono e le azioni che si fanno. Possono immaginarsi i colleghi Consiglieri naturalmente la contentezza dei residenti di Molino Dorino. Mi auguro che il Presidente venga in qualche maniera investito di questa cosa, io stenderò, assieme ad alcuni colleghi dell’opposizione, un’interrogazione in merito, per capire come sia potuto accadere un fatto del genere, non togliendo nulla a un’esigenza di solidarietà, ma togliendo molto rispetto a un’azione compiuta in totale dispregio delle leggi e soprattutto di quel coordinamento tra Provincia e Comune che in altre sedi si invoca.” Consigliere Scarano: “Come Gruppo vogliamo esprimere tutta la nostra solidarietà al nostro Presidente nazionale, Alfonso Pecoraro Scanio, mio amico personale e conterraneo, per l’esposizione dello striscione all’ingresso della festa della Lega, avvenuta in Provincia di Mantova, precisamente a Ponte sul Mincio. Per noi è un episodio incivile, squalificante e inqualificabile, che avviene in un momento particolare di episodi di violenza sessuale, che si stanno verificando nelle nostre città. Prendiamo atto della presa di posizione del Ministro Calderoli, purtroppo lui ha aggiunto che si è trattato di un volgare imbecille della zona. Noi però aggiungiamo che di volgari imbecilli ce n’erano molti altri, perché lo striscione è rimasto lì per ore e ore, non è stato mai ritirato, come ci ha confermato la nostra Senatrice locale di Mantova, Anna Donati. Non ci si può indignare in quest’aula, due Consigli fa, o uno non ricordo bene, nei confronti di queste azioni violente, poi la base leghista si appella agli stupratori. Ci auguriamo che i Consiglieri della Lega prendano le dovute distanze da questo episodio, offensivo e pericoloso. Per noi, dal punto di vista politico e civile, ognuno deve essere garantito nella sua libertà e nei suoi diritti. Concludo con le parole del nostro Presidente nazionale di abbassare i toni, perché chi invita alla violenza, prima o poi genera violenza.” Nel frattempo è entrato in aula il Consigliere Del Nero. (Presenti 34) Consigliere Gavazzi: “Entro in merito proprio alle dichiarazioni rilasciate dal Presidente Penati: più sicurezza, la sinistra si batte per la legalità. Finalmente anche il Presidente Penati si è accorto che sgomberare un campo abusivo non è un atto di violenza, ma è un ripristino della legalità. La cosa che mi lascia più sconcertato però è la soluzione che lui propone per far sì che questi campi non vengano più insediati. Mi dà l’impressione che agisca, non proprio lui o qualcuno che l’ha indirizzato, a 3 nascondere il pattume sotto il tappeto, che tanto non si vede. Il problema è che il tappeto sotto cui lui vuole nascondere il pattume è la Provincia di Milano, intesa come territorio della Provincia di Milano. Allora io dico al Presidente Penati che per quanto mi riguarda, come Vice Sindaco del mio paese, se lo può sognare di mettere un campo nomadi a Seregno, perché questo se lo può sognare, se deve risolvere i suoi problemi. Poi volevo parlare anche come coordinatore della Brianza, se riesco a tenerli fuori anche dalla Brianza, li manderemo verso la Bassa milanese dove sono ben accolti. In Brianza non vogliamo queste situazioni. Noi abbiamo già creato, alcuni paesi hanno già creato dei piccoli non campi nomadi, posti di permanenza temporanea, ma permanenza mi sembra troppo esagerato, tre giorni e poi via, transito è meglio. Altrimenti non si riesce a capire perché uno si definisce nomade e poi si ferma, delinque, sta fermo anni, ti fa un sacco di problemi. Adesso che Penati dice e non fa le barricate quando tirano giù un campo del genere, pieno di persone, io apprendo la notizia dai giornali e dalla televisione, in cui si dice che oltre il 70% erano clandestini, quindi di fronte ad una situazione del genere si è ritrovato costretto a dire: questo è un modo di instaurare la legalità. Però il Presidente Penati dovrebbe sapere che per instaurare la legalità bisogna incominciare con il rispetto delle persone e dei territori. Allora sia ben chiaro, questo suo bel progetto se lo tenga, come diceva, nell’area metropolitana, quindi la Brianza si sente completamente fuori dall’area metropolitana.” Nel frattempo sono entrati in aula l’Assessore Dioli ed il Consigliere De Nicola. (Presenti 35) Consigliere Tranquillino: “Signor Presidente, colleghi, io direi che il denominatore comune di questi interventi si potrebbe definire anche il maltempo. Maltempo che nel Nord Europa ha causato inondazioni, disastri. A me fa un po’ sensazione, ma non perché abbia delle aspettative, chissà quali, però fa sensazione il tono di certi interventi in quest’aula. Perché? Io che non sono avvezzo a frequentare la Casa della Carità, che conosco…” Presidente del Consiglio: “Neanche quella della Libertà, mi pare.” Consigliere Tranquillino: “Signor Presidente, la ringrazio, onore al merito, mi perdoni ma mi ha toccato nel profondo. Il problema è il tono degli interventi. Pur non essendo avvezzo al pietismo, devo dire che c’è un elemento di civiltà che è in via di dissolvenza, ahimè anche in quest’aula, perché al di là delle battute polemiche, se guardiamo cosa è successo in questa città, io potrei dire dei prodromi di ciò che si andava preparando anche in via Capo Rizzuto. Nella nostra zona, essendo io un Consigliere circoscrizionale, mi sono visto come dal di fuori combattere una battaglia affinché non venisse tolto il pane e il latte che costituiva, secondo il dirigente del plesso, sto parlando della scuola di via Russo, costituiva un momento di aggregazione, di socializzazione, un momento di accoglienza importante per dei bimbi che provenivano da un campo di via Idro, situato in quel di via Padova, in fondo a via Padova. Uno dei campi di Milano, Signor Presidente, che ha creato meno problemi, piccolo, ci saranno ottanta o novanta persone, quei campi insomma dove è più difficile che ci siano scontri, che ci sia ingestibilità, che ci sia poca controllabilità, e via via. Quello era un segnale per me che annunciava qualcosa. E’ come se il Comune di Milano, e qui lo dico perché viene registrato e non c’è nessun problema a dirlo, io ho visto questo Comune, questa Giunta, il Sindaco Albertini, lasciare che le cose corressero perché, come diceva Epicuro, quando non ci sarà più il rispetto sopravverrà l’anarchia. Ebbene, non hanno controllato nella maniera più assoluta, hanno lasciato che le cose si degradassero, hanno lasciato che le cose arrivassero a un punto da limite di guardia, oltrepassato il quale poi ci sono le cose eclatanti, si rincorre la sicurezza. 4 Guardate, autorevolissimi sociologi hanno affermato che la nostra civiltà spesso e volentieri, specialmente quella che viene considerata la Patria della democrazia, crea il problema della sicurezza, crea le condizioni per poi poter vendere la sicurezza, perché poi diventa anche un business. Ricordiamoci, un caso per tutti, la lobby nelle armi che magistralmente Michael Moore in “Bowling for Columbine” riesce ad esemplificare nei suoi effetti nefasti con quell’attacco alla scuola, ecc. Qui si è lasciato che un problema scoppiasse di fronte all’attenzione dell’opinione pubblica milanese, si è lasciato che dei campi assumessero delle proporzioni, signor Presidente, da frazioni di Comune, centinaia e centinaia di persone, poi ci si straccia le vesti quando la Provincia, con un intento umanitario, e mi fa piacere che certi colleghi adesso leggano, perché se leggessero di più probabilmente incorrerebbero meno in certi svarioni. Però io continuo a sostenere, lo dissi già questo autunno, Signor Presidente, quando eravamo da poco in quest’aula, noi novelli, qualcun altro con più esperienza, dissi… Signor Presidente siamo in chiusura. Occorre studiare! Perché non vedere che il corso degli avvenimenti ha preso una certa piega e che c’è stato un certo itinerario che ha portato a quello che abbiamo dovuto vedere, dove la Provincia, e qui posso dire non di esserne fiero, Signor Presidente, semplicemente io faccio parte di una Provincia che si è presa cura di donne e bimbi che di fronte al maltempo di ieri, qualche disabile anche, sono stati accompagnati, si è cercato di prestare loro soccorso e io devo venire qui in quest’aula, signor Presidente, paradossalmente a vedermi fustigare. No, io alla fustigazione non ci sto e invece secondo me qualcun altro, al quale qualcuno in quest’aula crede, per chi ha fede, qualcun altro forse sarebbe venuto in un tempio e a coloro che avessero fatto certe affermazioni io non escludo che avrebbe riservato lo stesso trattamento che riservò in quel tempo ai mercanti.” Nel frattempo è entrato in aula il Consigliere Accame. (Presenti 36) Consigliere De Nicola: “Veramente ho appreso molte cose stasera, giuro che farò di tutto per stare nei cinque minuti, ma all’intervento dell’autorevole collega Tranquillino, secondo me sarebbe bello se aprissimo un Consiglio sulle perle del collega Tranquillino, perché sono dei consigli interessanti. Non so in tutto questo se il concetto è che i ladri vanno a rubare nelle case perché c’è la casa, sicuramente se non facessimo le case non avremmo nessuno di noi visite inopportune. Ma studieremo, Tranquillino, giuro che d’ora in avanti ci impegneremo di più, perché credo che facciamo fatica a capire. Per prima cosa anch’io voglio esprimere tutta la solidarietà per il grave attentato alla verginità del deputato Pecoraro Scanio…” Presidente del Consiglio: “La frase non mi piace molto, perdoni. No, no, mi scusi De Nicola, mancanza di stile.” Consigliere De Nicola: “Ritiro il termine. Esprimo tutta la solidarietà per questa cattivissima esibizione di un cartello provocatorio, per di più cartello stigmatizzato pesantemente dagli stessi amici della Lega Nord. Invece volevo parlare di due argomenti molto importanti. Presidente la invito a farsene carico se può, io presenterò il prossimo Consiglio una mozione in tal senso, mi auguro che i colleghi la vogliano firmare, ed è un impegno suo e di tutto il Consiglio per ripristinare rispetto dei lavoratori. Mi spiego meglio, lei sa che le aziende, tutte le aziende pubbliche e private, distribuiscono ai propri dipendenti i ticket per il pranzo, i buoni pasto. Questi ticket vengono esitati e distribuiti ai singoli lavoratori con un valore facciale, facciamo € 5, ma la società, l’ente, presso il quale il lavoratore presta lavoro, li vende ad uno dei tanti gestori ad un prezzo con un’asta normalmente al ribasso, per cui il ticket vale € 5, ma viene acquisito da uno dei tanti 5 gestori ad un prezzo inferiore al prezzo facciale. Allorché il lavoratore va a spenderlo in un punto di ristoro della città, lo spende per il valore facciale. Naturalmente, poiché nessuno fa beneficenza, allorché la società che gestisce lo acquista con uno sconto del 19%, naturalmente il 19% lo incamererà dall’ultimo destinatario di questo buono. Naturalmente, come certamente lei e i colleghi avranno letto sui giornali, questo ha provocato una “rivoluzione” da parte dei vari ristoratori della nostra città, di tante città d’Italia ma della nostra in particolare, perché il lavoratore spende un buono con un valore facciale € 5, e il ristoratore non incasserà mai quei € 5. Ho tentato di essere veloce, non so se sono stato chiaro ma lo sarò di più nella prossima circostanza. Il secondo punto invece è una domanda. Corre voce che la Provincia, il Presidente, abbia voluto dare una grande significazione di solidarietà e di partecipazione, distribuendo dei beni ai nomadi, ai diseredati, agli abitanti della favelas di Molino Dorino. Sarei curioso di sapere…” Presidente del Consiglio: “Scusi, distribuendo dei…?” Consigliere De Nicola: “Dei viveri, dei beni, coperte, non so, in questo periodo coperte mi pare strano, fa troppo caldo, sicuramente avrà distribuito forse un altro bene. Sarebbe interessante sapere se risponde al vero che il Presidente è così di cuore da dare aiuto a questi poveracci che vivono nelle favelas, gli stessi che però poi dovremmo spalmare perché, caro Tranquillino, vedi, perché poi si creano i grandi agglomerati? Perché c’è qualcuno che porta negli accampamenti dei diseredati viveri. La domanda è: è vero Presidente? Risponde al vero questo? Se risponde al vero, questi viveri dove sono stati presi? Tra quelli detenuti, custoditi nel campo di Agrate? Sono coperte della protezione civile? Sono certamente diversi da quelli che abbiamo raccolto per lo tsunami perché quelli sono già partiti. Ma la domanda è: è vero, li abbiamo dati? E come conciliamo questo bisogno di legalità con l’altro bisogno impellente, Tranquillino, di dare anche a questa gente? Ecco perché poi abbiamo 80.000 clandestini a Milano.” Consigliere Meroni: “Il gruppo della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania in Provincia di Milano non penso che debba tutte le volte giustificare conseguentemente atti che non sono addebitabili al gruppo della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania della Provincia di Milano, sia che si parli di frange estremiste di destra…, o sia che si parli di striscioni esposti su un cavalcavia nei pressi di una festa della Lega Nord, nella zona più rossa della nostra Lombardia. Potremmo anche pensare che magari non è propria tutta farina del nostro sacco. …” Presidente del Consiglio: “Per cortesia, non stiamo aprendo un dibattito.” Consigliere Meroni: “Gazzetta di Mantova, io purtroppo compro La Padania. C’è un piccolo problema, se fosse stato all’interno della Lega saremmo qui ad esprimere tutti solidarietà al vostro Presidente onorario Pecoraro, però il vero problema è un altro. Quante volte qualcuno di questa maggioranza, dove ci sono anche esponenti della sinistra o dell’estrema sinistra, è venuto a rendere atto magari a tutti quegli slogan che in quei cortei, vari cortei che si sono svolti quest’anno, magari inneggiando anche a dieci, cento, mille Nassiriya, quante persone sono venute qui a dire: hanno sbagliato. Nessuno! Noi però siamo qui tutte le volte a giustificare uno striscione. Va bene, è uno striscione di cattivo gusto, ma non è senz’altro addebitabile a questo gruppo consiliare. Quindi noi prendiamo atto, non dobbiamo chiedere scusa a nessuno, se qualche imbecille l’ha fatto, perché di imbecilli sono pieni tutti i movimenti politici, chi più e chi meno, noi abbiamo anche il coraggio di prendere le distanze, abbiamo il coraggio con il nostro esponente oggi, Ministro delle Riforme, di prendere le distanze, però non mi sembra che siano bene accette. 6 Però questa è una conseguenza logica anche di quel clima che si sente ogni volta che parla un esponente della Lega Nord. Quando si propone la castrazione chimica si grida allo scandalo e nello stesso tempo o il giorno dopo, tanti gridano allo scandalo perché qualcuno è stato condannato solamente a quattro anni dopo aver fatto quello che ha fatto. Se anche il Presidente della Provincia Penati si mette a dire che la legge Bossi non funziona, la legge Bossi Fini. Perché non funziona? Tutti stanno cercando di attivarla correttamente o qualcuno, come si dice da noi in Brianza, ciurla nel manico? O come qualcun altro sta proponendo, che gli immigrati clandestini, irregolari, che però hanno un lavoro e non hanno commesso nessun reato, tranne quello di essere clandestini, immigrati irregolarmente, ma non hanno la fedina penale sporca, possono essere regolarizzati. Beh, fintanto che ci sono esponenti di questo Parlamento che propongono queste cose, è logico che poi la tolleranza dei cittadini sarà sempre meno. Non mi sembra che questo sia uno della maggioranza, mi sembra, lo dico molto chiaramente, è uno che arriva forse dai socialisti, che non mi sembra molto affine alla Lega. Il tuo amico Viscardini, caro Caputo. Comunque, il concetto è un altro. I campi nomadi… Sono a quattro minuti e nove secondi, se vuole posso rimanere nel limite. Dei campi nomadi il Presidente Penati deve venire a discuterne con i Sindaci anche in Brianza. Che venga, venerdì c’è l’assemblea dei Sindaci, venga a dire qual è l’intenzione della Provincia di Milano, poi venga in Consiglio provinciale a dire qual è l’intenzione ai suoi Consiglieri provinciali. Noi lo vediamo sempre attivo sui giornali ma passivo all’interno di questo Consiglio provinciale. Quindi venga di più a discutere con noi, e noi cercheremo di dare anche il nostro contributo su eventuali scelte, ma noi gli daremo anche delle indicazioni in merito. Se non si confronta però non possiamo fare niente.” Nel frattempo è entrato in aula l’Assessore Mezzi. Presidente del Consiglio: “Ringraziando il Consigliere Ariazzi per la cortesia, nel senso che ha chiesto di non intervenire, do la parola per l’ultimo intervento ex art. 83 al Consigliere Casati Ezio. Prego, ha la parola.” Consigliere Casati: “Argomento trattato un po’ da tutti quelli che mi hanno preceduto, sul quale anch’io volevo porre la riflessione, è lo sgombero di ieri mattina del campo di via Capo Rizzuto. Concordo pienamente con quanto affermato e riportato dagli organi di stampa dal Presidente della Provincia, sul fatto che la sicurezza va assolutamente garantita, va garantita a tutti, in primo luogo va garantita ai cittadini di Milano, va garantita ai residenti, ma va garantita insieme a quel binomio che tutti gli organismi, anche quelli che governano gli organi di polizia in questa città, sia legato certo alla prevenzione, alla repressione del crimine ma anche alla prevenzione sociale. Il Prefetto Scarpis in primo luogo ha detto che l’intervento della polizia non può certo risolvere il problema. Ed è un conto che risulta facile perché, per i dati che abbiamo, sono gli unici che riusciamo a commentare, il campo di via Capo Rizzuto, ospitava trecento rom. Di questi, circa una novantina sono stati portati ai comandi di polizia e di questi, circa cinquanta, sessanta, sono stati trovati nelle condizioni di essere espulsi. Ieri sera i camper della Casa della Carità e della Caritas sono andati a verificare se c’erano delle necessità, soprattutto legate ai bisogni dei bambini e hanno trovato circa una trentina, quarantina di persone. Facendo rapidamente queste somme, risulta che tra quelli soggetti all’espulsione e tra quelli che erano rimasti nell’area, sono circa 120. Bisognerebbe conoscere gli altri 180 che fine hanno fatto, probabilmente sono in giro in qualche altro pezzo della città. Quando uno dice che pensa di avere risolto tutto il problema con l’intervento delle ruspe e della polizia, probabilmente non ha capito nulla, come non ha capito che in Italia non serve, o quantomeno non sono necessari il proliferare delle decisioni legislative, perché la Bossi Fini è un fallimento, raddoppia i tempi, quindi se prima ci volevano trenta giorni per eseguire le giuste espulsioni per chi delinque, ora 7 ce ne vogliono sessanta, quindi si raddoppia il numero dei presenti in termini di illegalità sul nostro territorio. L’altra questione, l’avevo già detto l’altra volta, lo ribadisco perché qui tutti sono pronti a additare ma tra Italia e Romania esiste un patto siglato dai due Governi di libero scambio. L’ha firmato tre anni fa il Presidente Berlusconi e io sono convinto che i patti di libero scambio tra le nazioni siano corretti, però bisogna capire se da un lato c’è la certezza dello Stato e dall’altra parte c’è un Governo che non rappresenta e non riesce a governare le vicende, come probabilmente è in questo momento quello rumeno. Vale la pena di comprendere se a quel provvedimento non sia opportuno porre dei sistemi di garanzia, soprattutto per garantire quelli che magari sono incentivati a lasciare il proprio Paese, proprio perché non rappresentano quello che c’è di meglio. Chiudo il mio intervento soltanto con una proposta che ho intenzione di promuovere, se riesco, prima dell’estate. L’integrazione comunque sarà un problema che dovremo affrontare, non possiamo pensare, perché non è così, non è così da decenni, quindi quando l’Assessore alla sicurezza di Milano esulta dicendo che ha risolto un problema, ci dice l’ennesima balla, perché queste realtà esistono da anni, non sono state risolte e vedrete che Capo Rizzuto risorgerà fra poco, nelle stesse condizioni, magari peggio per chi ci vive, da qualche altra parte, creando gli stessi problemi ai cittadini di Milano e ai rom che vivono lì. Quindi il problema è l’integrazione. Io dico che noi dobbiamo partire dai bambini, dobbiamo partire dall’integrazione di queste categorie, con la loro scolarizzazione, con l’integrazione. Poi occorre la sicurezza, i campi devono essere piccoli, campi controllati e chi sbaglia a casa. …. Ho finito Presidente, perché rispetto alla poca sensibilità e alla poca intelligenza delle persone è meglio non commentare, perché si rischia di essere offensivi, e non voglio esserlo.” Presidente del Consiglio: “Sono contento perché abbiamo contenuto gli interventi liberi, ex art. 83, nei tempi prestabiliti. Passiamo adesso al punto significativo del Consiglio di oggi che, come detto, andrà a discutere della riforma scolastica, cosiddetta riforma Moratti, con annessi e connessi.” Il Presidente del Consiglio pone quindi in trattazione lo: ARGOMENTO N. 43 DELL’ORDINE DEL GIORNO – Dibattito sul tema della riforma scolastica. Presidente del Consiglio: “Faccio una brevissima presentazione. Cari colleghi e gentili ospiti, non è usuale che, in un momento istituzionale come quello del Consiglio provinciale, si invitino e si facciano partecipare degli ospiti esterni. Questa è un’eccezione, che peraltro ripetiamo di volta in volta su temi significativi. Gentili ospiti, il tema che affrontiamo oggi pomeriggio (mi scuso tra l’altro per essere vestito in modo molto informale. Considerando il caldo, mi perdonerete il fatto che mi sia tolta la giacca) ha evidenti attinenze con l’attività della Provincia, giacché, sia nel campo della pubblica istruzione, che in quello della formazione professionale, il nostro ente si è visto riconoscere, nel corso degli anni, precise funzioni. La nuova riforma dell’ordinamento scolastico, che prende il nome dal Ministro Letizia Moratti, ha creato, come ovvio, una forte eco all’interno della pubblica opinione, giacché essa tocca un tema che sta a cuore a tutti i nostri concittadini. Siamo quasi tutti genitori, o nonni, o zii, e quindi abbiamo figli o nipoti all’interno del sistema formativo nazionale. Diversi, fra noi, sono anche operatori della pubblica istruzione e, in questo senso, doppiamente motivati. Più in generale, ogni cittadino responsabile sa che la scuola, e la formazione professionale come parte di essa, è il luogo in cui si formano le generazioni che dovranno poi diventare l’ossatura della società, del sistema economico e di quello politico, e per questo essa è problema di tutti 8 e da tutti questo tema deve essere liberamente dibattuto, dico liberamente dibattuto, a partire dalle istituzioni democratiche. Ovviamente, una riforma di ampia portata come quella del Ministro Moratti crea un ampio ed anche acceso dibattito. Per fortuna, siamo in democrazia e quindi ci confrontiamo e ci scontriamo anche, politicamente. Il senso del nostro convenire oggi è quello di darne conto, rispettando le diverse scelte in materia politica e formativa, e sperando, questa è la funzione di questo Consiglio, di dare un contributo per la chiarezza delle idee e la crescita di una cultura generale della pubblica istruzione, della formazione professionale, come condizione di crescita del paese. Ai gentili ospiti vorrei semplicemente dire che noi siamo in presenza di una convocazione di Consiglio provinciale. Il Consiglio provinciale e il modo di determinarsi dello stesso ha le sue regole, lo dico francamente ed apertamente, non è, chiaramente, un’assemblea pubblica, è un Consiglio provinciale. Ovviamente non siamo in una situazione di confronto/scontro, come potrebbe essere quello possibile in un’assemblea; è un Consiglio provinciale che deve rispettare le sue regole. Il pubblico assiste, assiste possibilmente in silenzio. Ci sono tra l’altro modi corretti di esprimere assenso e dissenso. Di norma io chiedo in ogni caso al pubblico, perché mi è chiesto dal mio ruolo, di assistere in silenzio. D’altra parte abbiamo anche previsto una serie di interventi “esterni” che esprimeranno le diverse posizioni. Ho detto che siamo qui a sentire e a capire, ma è una seduta di Consiglio provinciale, e quindi, alla fine, il ruolo principale resta quello dei Consiglieri. Dunque, dobbiamo lasciare lo spazio necessario al Consiglio e ai Consiglieri di esprimersi, perché – lo ripeto per l’ennesima volta – questa è una seduta consiliare e non un’assemblea. Dopodiché, comunico all’aula che abbiamo previsto un calendario in qualche misura concordato (dico in qualche misura, perché qualche incomprensione c’è probabilmente stata) con i capi Gruppo, che prevede questa scaletta di interventi: introduzione di alcuni “relatori” e, in quanto relatori necessitanti di un tempo di intervento adeguato e un po’ più ampio rispetto a quello di altri, tempo che io, come ho già peraltro riferito agli interessati, chiedo di contenere nel limite massimo di quindici minuti. Prevediamo dunque l’intervento introduttivo dell’Assessore all’istruzione Barzaghi, poi gli interventi di Francesco Dell’Oro, esperto in processi formativi; di Giorgio Franchi, Direttore del Dipartimento Enti locali istruzione e formazione; di Mario Dutto, che credo non abbia bisogno di presentazioni, perlomeno fra di noi. Ringrazio, comunque, tutte le persone sopra citate. Poi continuiamo con gli interventi di rappresentanti di gruppi, associazioni, operatori. La lista è lunga e, insito, poiché questa è una seduta di Consiglio provinciale, non possiamo esaurire questo Consiglio dando spazio soltanto ai rappresentanti di gruppi e associazioni, ma dobbiamo dare spazio, in particolare, ai Consiglieri. La lista è lunga, e quindi io sono costretto a chiedere ai soggetti che adesso elencherò, e che interverranno per esprimere le proprie opinioni quali rappresentanti di diverse sensibilità, di contenere il proprio intervento nell’ordine di sette, otto minuti. Non saremo cerberi, ma al settimo minuto io manderò il messaggio che il tempo sta per finire. La scaletta di questi interventi è la seguente: - Stefano Piccinini, Coordinamento genitori e insegnanti; - Patrizia Quartieri, Rete scuola; - Roberto Pasolini, Dirigente scolastico Istituto Leopardi; - Roberto Rivolta, Insegnante Istituto professionale Marie Curie; - Marco Coloretti, Assessore pubblica istruzione Comune di Paderno Dugnano; - Gregoria Cannarozzo, Università di Bergamo; - Antonio Bernasconi, Presidente Associazione Enti Formazione; - Alfia Nicotra, Segretaria generale CGIL scuola Milano; - Giuliano Tessera, Presidente Consorzio di formazione professionale di San Donato. 9 Si apre poi il confronto fra i Consiglieri, nel quale inevitabilmente darò spazio all’altro Assessore “alla partita”, che è l’Assessore alla formazione professionale Rosaria Rotondi, quindi a tutti i Consiglieri che chiederanno di intervenire. A questo punto credo di aver fatto tutte le necessarie presentazioni. Per quanto riguarda gli “esterni”, chiedo loro, col permesso del Consiglio, la cortesia di venire al tavolo e di utilizzare questo microfono alla mia destra, e poi di ritornare al proprio posto. Apriamo questo dibattito dando la parola all’Assessore Gian Sandro Barzaghi. …. Prego, ha la parola il Consigliere Dapei.” Nel frattempo sono usciti dall’aula gli Assessori Mezzi e Ponti. Consigliere Dapei: “Chiedo scusa all’Assessore. Noi abbiamo preparato per settimane questo importante Consiglio, abbiamo tra l’altro autorevoli ospiti che ringraziamo, non vediamo né il Presidente Penati né il Vice Presidente, oltre a 12/15 della Giunta. Quindi ringraziamo particolarmente i tre esponenti sempre presenti. Volevamo capire se c’è un ritardo, Penati arriverà, oppure qualche altro impegno, qualche tema più importante del tema della scuola richiede la sua presenza altrove e il motivo per cui non è presente.” Assessore Barzaghi: “Vorrei ringraziare prima di tutti il Presidente del Consiglio, tutti i capi Gruppo di maggioranza e di opposizione, che hanno colto la necessità e l’urgenza di questo Consiglio straordinario sulla scuola e sulla riforma Moratti. In secondo luogo vorrei rivolgere il particolare ringraziamento alla Direzione scolastica regionale, che nella persona del Dottor Dutto consente una collaborazione istituzionale ed un confronto costruttivo con l’avvio, come già stiamo realizzando, di una serie di tavoli molto importanti sui singoli problemi. Infine vorrei esprimere, a nome di tutta la Giunta, un forte apprezzamento a quei genitori, docenti, studenti o rappresentanti sindacali qui presenti, oppure a quei Consiglieri comunali, Sindaci o Assessori, che nei pronunciamenti, negli ordini del giorno, nelle mozioni votate, hanno dimostrato una passione civile, una sensibilità istituzionale, una volontà non solo positiva ma progettuale, che avrebbe meritato ben altra considerazione da parte di chi ha il compito di governare un’istituzione così delicata come la scuola. Il Consiglio provinciale aperto intende perciò offrire un contributo qualificato alla discussione e alla partecipazione democratica, alla luce delle prese di posizione di molti Consigli comunali, comitati di cittadini, reti di scuole, iniziative di singoli istituti che hanno fortemente richiesto un pronunciamento istituzionale da parte della Provincia di Milano. La legge di riforma, per questioni di metodo e di merito, ha determinato nella società civile una diffusa preoccupazione, un dissenso e, in molti casi, una vera e propria opposizione. L’Amministrazione provinciale a questo proposito è fermamente convinta che occorra favorire e incentivare la cultura del confronto e della partecipazione come metodo ineludibile di governo ogni volta che si definiscono leggi di riforma, tanto più su un tema così strategico e così importante come quello del sistema formativo. I segnali che da tempo raccogliamo dagli amministratori locali, dai docenti, dagli studenti, dai genitori, delineano come la riforma Moratti non sia condivisa nei contenuti e nelle modalità di attuazione, fino al punto da far loro affermare che si è di fronte ad un attacco senza precedenti alla scuola pubblica nel nostro Paese. In questa delicata fase, assume particolare importanza il pronunciamento delle Amministrazioni locali, che si vedono scaricare i costi sociali ed economici di una riforma, che determinando una forte riduzione delle risorse, economiche e umane, penalizza l’offerta formativa. 10 L’investimento nel sistema formativo pubblico invece dovrebbe risultare di primaria importanza per l’evoluzione di una società civile, democratica e solidale. Il rapporto OCSE 2004 Education documenta con chiarezza che i successi educativi e l’innalzamento dell’educazione e della formazione contribuiscono alla prosperità generale di un Paese e favoriscono non solo la crescita economica ma anche la ricerca. Un anno di educazione in più determinerebbe una crescita economica dal 3 al 6%. Risorse inadeguate infatti pregiudicano non solo la qualità della scuola, ma i rapporti sociali e, di conseguenza, il futuro di una nazione e delle sue relazioni a livello europeo e internazionale. Con l’attuale riforma, l’obiettivo di Lisbona di portare, entro il 2010, l’85% dei giovani italiani al diploma, rimane una pura dichiarazione di principio. E’ un problema dunque di scelte generali e non solo di politica scolastica che un Paese come il nostro può e deve assumere. C’è poi un problema che riguarda la correttezza delle procedure istituzionali. Su questo punto noi condividiamo perfettamente quanto è stato espresso, con estrema chiarezza, dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, che nell’adunanza del 22 giugno 2005 manifesta - cito testualmente perplessità circa la legittimità formale degli atti e prevede non solo un lungo e problematico contenzioso ma addirittura l’inapplicabilità del dettato di legge. Si apre in questi giorni una fase molto delicata, il Governo dovrà tener conto del parere della Conferenza unificata Stato Regioni, cosa che finora non ha fatto, ignorando le forti critiche che venivano dalle Regioni, dall’Anci e dall’UPI. Vasco Errani, presidente della Conferenza, infatti chiede al Governo di riaprire un confronto vero, il che significa anche, dice, riprendere in mano nel merito questo decreto legislativo. In caso contrario si aprirebbe davvero un vero e proprio contenzioso istituzionale. Pertanto, il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, ritiene che sarebbe stato opportuno procedere all’attività regolamentare di concerto con quella legislativa. Ma così non è stato. Sicché sembra quantomeno aleatoria, sempre parla il Consiglio Nazionale, se non addirittura velleitaria, la previsione di avviare la riforma del secondo ciclo del sistema educativo, a cominciare dall’anno scolastico prossimo, 2006/2007. Per venire al merito della riforma, un’istituzione come la Provincia non può non tenere conto se la propria impostazione è fondata sull’ascolto e sulla partecipazione degli elementi di forte criticità che sono stati evidenziati da un grande movimento in difesa della scuola pubblica che si è manifestato negli ultimi anni, soprattutto in questa area metropolitana. Essi mettono in discussione l’impianto generale della riforma, l’abolizione del tempo pieno, l’introduzione della figura del tutor, il piano programmatico delle risorse, gli organici, lo schema duale, la precocità della scelta scolastica, la soppressione dell’area tecnica e professionale, e la conseguente liceizzazione, l’inadeguatezza di un sistema di indicazione e criteri generali per la formazione professionale, il sistema di valutazione, l’assenza di regole e di norme nel rapporto istituzionale fra Stato e Regione. Qui voglio citare, come ho già fatto al convegno del CIDI, il commento particolarmente efficace di un acuto osservatore come il Professor Lucisano, della Sapienza di Roma, che afferma: non possiamo definire la legge 53 come riforma, per i valori positivi che la parola evoca, ma nemmeno controriforma, perché anche questa implica serietà e sistematicità. Il termine più appropriato, dice Lucisano, sarebbe “deforma”, che in latino vuole dire anche devastazione, perché il dato dominante è il disordine, la sconnessione, l’asimmetria. La deforma, non solo toglie forma ma toglie sostanza, personale e risorse alla scuola, cioè la impoverisce. Il primo punto, allora, la devastazione, lo stravolgimento complessivo dell’attuale sistema formativo, ma per andare dove? Ecco, la legge 53 non considera infatti una fase importante di questi ultimi decenni, caratterizzati da significative sperimentazioni e innovazioni che richiederebbero di essere analizzate, per verificare gli obiettivi raggiunti, o i problemi tuttora aperti. Non intendo certamente qui io assumere il ruolo di difensore acritico di questo sistema formativo, che richiede anche secondo molti operatori della scuola una riforma efficace. Allora non è conservando l’attuale sistema formativo che si 11 possono contrastare i livelli gravi di dispersione e di abbandono scolastico, ne siamo molto convinti. Abbiamo bisogno, cioè, di una vera riforma, di una vera legge di riforma, se ne discute, ricordo, fin dagli anni ‘70, ma con la legge Moratti siamo di fronte ad una proposta di riforma che fa a pezzi questo sistema formativo, per farci ripiombare esattamente nell’impostazione tipica degli anni ‘50, preriforma media unica, prescuola di Don Milani, con il doppio canale di allora. Ricordo che appunto c’era la media e l’avviamento professionale. Altro che lotta alla dispersione! Qui siamo di fronte ad una divisione netta tra due sistemi: i licei affidati allo Stato e l’istruzione e formazione professionale affidata alle Regioni. Il risultato è una scuola superiore caratterizzata da una tale lacerazione sul piano istituzionale dei processi formativi, da annullare di fatto qualunque affermazione sulla pari dignità dei due canali. E’ paradossalmente lo stesso Ministro, con un documento di lavoro allegato allo schema di decreto legislativo, a sancire definitivamente tali differenze. Cito testualmente: il sistema dei licei si connota per il suo carattere propedeutico all’università e il sistema dell’istruzione e formazione professionale si connota per il carattere terminale al lavoro. Ecco, la pari dignità dei due sistemi è quindi soltanto dichiarata ma, di fatto, non garantita dalle differenze esistenti, durata dei corsi, ordinamenti didattici, certificazioni, opportunità professionali e formative, riferimenti istituzionali. La possibilità inoltre di passare da un sistema all’altro, le cosiddette passerelle, sono subordinate al superamento di esami o prove proprio nelle materie che lo studente non ha affrontato nel piano di studi. Insistere allora così tanto, da parte del Ministero, sulla necessità e sulla possibilità dei passaggi, dimostra in realtà una forte preoccupazione su un nodo decisivo, che appare a me come uno dei punti più deboli e più contestati. Non possiamo allora che condividere le preoccupazioni e le forti prese di posizione di molti collegi delle scuole superiori, rispetto alla possibilità di attivare nello stesso istituto percorsi quinquennali e percorsi triennali di istruzione e formazione professionale. Siamo al cosiddetto “campus”, un centro polivalente, che dovrebbe essere in grado di offrire diverse opportunità formative, anche se i percorsi collocati all’interno del campus, hanno ciascuno una propria e diversa identità ordinamentale e curricolare, e dove non sono state fissate le regole in base alle quali dovrebbero convivere, anche giuridicamente, le scuole dello Stato e le scuole delle Regioni. In particolare, i corsi di istruzione e formazione professionale rischiano di diventare così una sorta di corsia preferenziale, in cui collocare i ragazzi in difficoltà nei percorsi liceali, senza esperire fino in fondo tutte le possibilità di recupero. In altre parole, con l’ipotesi campus, sei già destinato al tuo girone fin dall’inizio. In questo modo viene meno la funzione dell’orientamento. A cosa serve lavorare mesi durante la scuola media, sulla propria scelta scolastica, se poi alle prime difficoltà uno studente viene già incanalato in un altro percorso formativo, senza potersi essere sperimentato a sufficienza e senza avere avuto la possibilità di superare le eventuali difficoltà. E poi, dopo uno o due mesi di permanenza in una scuola, si può parlare di riorientamento, oppure si tratta di una sorta di smistamento precoce? Ecco, la funzione delle scuole non dovrebbe essere anche quella di intervenire sulle situazioni più complesse, di maggiore difficoltà, favorendo i processi di autostima e la rimotivazione dello studente, del docente, dell’insegnante, della famiglia? Poi c’è il grande tema della soppressione dell’area tecnica e professionale, a favore di una liceizzazione degli istituti tecnici, liceo economico e liceo tecnologico, e di un secondo canale dell’istruzione e formazione professionale. Gli effetti negativi di questa impostazione sono già verificabili confrontando i dati delle iscrizioni 2002/2003 con quelli attuali, 2004/2005. L’incremento delle iscrizioni nella Provincia di Milano ai licei, infatti, si è particolarmente accentuato, determinando un forte calo soprattutto degli istituti tecnici e professionali, istituti che, voglio ricordarlo, hanno avuto un ruolo molto importante nel processo di scolarizzazione e che rappresentano una garanzia per lo sviluppo strategico tecnico e professionale del nostro Paese. 12 A questo proposito Confindustria, nel suo documento Education 2004, conferma – cito anche qui testualmente – “il rischio di una dualità negativa, prevedendo uno squilibrio del sistema, con gravi effetti negativi sia per le imprese, sia per i percorsi di studio superiori post secondaria, a contenuto più scientifico professionalizzante”. Segnala inoltre “il rischio di avere una filiera professionalizzante depotenziata rispetto ad oggi e dei licei tecnologici che possono perdere quel carattere professionalizzante che era alla base della loro invenzione”. Licei tecnologici che, lo voglio ricordare, come afferma il decreto, devono ispirarsi a quella cultura liceale e che possono perdere dunque, esattamente, quel carattere professionalizzante. Problema talmente vero, che il decreto cerca di correre ai ripari, introducendo qualche ora di laboratorio in più rispetto a questi licei. Ma il problema resta in tutta la sua gravità ed è sintetizzabile nella soppressione dell’area tecnica e professionale. Se da una parte c’è la liceizzazione degli istituti tecnici, dall’altra si pone il problema, anch’esso di grande rilevanza, della maggiore complessità e difficoltà dell’istruzione e formazione professionale. Insomma, un grande guazzabuglio, dove c’è tutto e il contrario di tutto, dove nelle varie bozze, l’undicesima, la dodicesima, la tredicesima, si continuava a correggere, a modificare, in quanto ad ogni bozza si manifestavano le reazioni di questa o quell’altra parte, anche all’interno della stessa maggioranza di Governo. Intendo chiudere la parte riguardante il merito con un’osservazione relativa al comma 3 dell’art. 1, laddove si recita: “nel secondo ciclo del sistema educativo sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione”. Ecco, in quell’ “anche ispirata ai principi della Costituzione”, dove la Costituzione viene presa in considerazione soltanto dopo la formazione spirituale e morale, si evidenzia a mio parere un’ispirazione di fondo, una filosofia che non ha al centro la formazione del cittadino, responsabilmente formato sui valori laici e repubblicani fondanti la nostra Carta costituzionale. E’ opportuno allora riaffrontare nel dibattito delle forze sociali e politiche il grande tema del sistema educativo nella sua complessità. Un progetto non solo per l’oggi ma per il futuro! Un’idea dell’educazione del sistema dell’istruzione, del sapere e della ricerca, che rimetta al centro la scuola repubblicana e i suoi valori forti: laicità, pluralismo, eguaglianza, pari opportunità, senso critico. Occorre aprire consapevolmente nel Paese un grande dibattito, che vede impegnati in primo luogo le diverse componenti scolastiche, quelle che la scuola la fanno, la costruiscono tutti i giorni, quelle che la scuola la conoscono, proprio perché la vivono ogni giorno. Una grande partecipazione per costruire con il necessario consenso quella vera proposta di riforma di cui parlavamo prima. Apprendiamo in questi giorni che il movimento in difesa della scuola pubblica ha avanzato una proposta di legge di iniziativa popolare, che si aggiunge ad altri disegni di legge e che, se ho bene inteso, si pone nell’ottica non solo di contrastare la legge 53 ma di costruire in positivo un nuovo progetto di riforma maggiormente rispondente alle esigenze di una scuola pubblica di qualità. Le istituzioni tutte allora dovrebbero essere interessate all’apertura di questo dibattito, anche perché se da più parti si vuole cambiare, modificare o abrogare questa legge di riforma Moratti, per non trovarsi davvero di fronte ad un vuoto legislativo, occorrerebbe davvero avviare in tempo e per tempo un confronto e una riflessione sulle linee guida di un progetto alternativo, a partire dal ritiro di tutti i decreti legislativi finora approvati. Non ho il tempo di elencare i punti su cui potrebbero impostarsi queste linee guida e voglio concludere con due osservazioni. E’ legittimo dunque auspicare un indirizzo nelle scelte generali diverso, che il nostro Paese può e deve assumere. Questo ci viene richiesto dalle diverse espressioni della scuola e della società civile. Noi come istituzione intendiamo rimanere fedeli ed essere fedeli interpreti di questa volontà di cambiamento. Tutto ciò acquista ancora maggiore rilievo, anche alla luce di questi dati estremamente significativi, in base ad un autorevole osservatorio quale Educazione Scuola, un sito molto tecnico che si occupa di 13 problemi scolastici, ha effettuato un sondaggio sulla riforma delle superiori. In questo sondaggio osservazione rileva che su un totale di 122.875 votanti, al 28.6, due giorni fa, prevalentemente operatori del mondo della scuola e della formazione, il 79,9% giudica complessivamente pessima la riforma, mentre soltanto il 9,5% la giudica ottima, il 9,5% la giudica buona, lo 0,5% sufficiente e lo 0,6% mediocre. Dati inconfutabili, che meriterebbero perlomeno una riflessione adeguata da parte del Ministro Moratti. Invece, proprio in queste ore apprendiamo con grande preoccupazione della volontà del Ministro di avviare già dal prossimo settembre alcune sperimentazioni del liceo tecnologico e del liceo musicalecoreutico, come grave tentativo di anticipare la stessa riforma del secondo ciclo. Se queste anticipazioni dovessero corrispondere al vero, ci troveremmo di fronte ad un eventuale decreto, di cui si parla, che apparirebbe ai più come un vero e proprio colpo di mano, senza avere rispettato, tra l’altro nei mesi di luglio e agosto, le necessarie procedure, i tempi e i quadri di riferimento. Se così fosse, sarebbe un vero e proprio blitz, che non rispetterebbe i principi della deontologia istituzionale, che dovrebbero ispirare tutte le istituzioni, in particolare l’azione di un Governo e di un Ministero. Se così fosse, il nostro profondo rispetto per le istituzioni non potrebbe che portarci ad intraprendere un’azione istituzionale tesa a contrastare eventuali forzature. Anche per questi motivi, ci appelliamo alla Conferenza Stato-Regioni perché fermi l’iter attuativo del decreto relativo al secondo ciclo, rispetto al quale lo stesso Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione manifesta quelle preoccupazioni che dicevo all’inizio, circa la legittimità formale degli atti coessenziali alla sua approvazione. Vi ringrazio.” Nel frattempo sono entrati in aula gli Assessori Benelli e Mezzi. Presidente del Consiglio: “Io ringrazio l’Assessore... Capisco, prendo atto, invito ancora possibilmente ad un atteggiamento…, però è chiaro che non posso fare di più. Ringrazio in ogni caso l’Assessore, credo che i quattro minuti di tolleranza siano assolutamente comprensibili, considerato che era la relazione introduttiva. Inviterei al tavolo Francesco Dell’Oro. Prego accomodarsi al tavolo della Presidenza. Sono costretto a ribadire che a disposizione sono non più di otto minuti complessivi, anche se non fucileremo se si scantona di qualche secondo. Prego.” Francesco Dell’Oro (Esperto in processi formativi): “Il mio compito è molto semplice, intendo visualizzare alcuni passaggi significativi della relazione dell’Assessore. Dovrò andare velocissimo, perché ho una serie di slide che non ho il tempo tecnico per presentare. Il significato è un po’ questo, è quello di collegarmi ai punti centrali della relazione dell’Assessore e di mettere sul tavolo alcune tematiche. Inizierei da questo schema, che rappresenta un sistema formativo che è rimasto in vigore fino al 2 aprile 2003, giorno in cui venne presentata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 28 marzo, n. 53, la legge Moratti. In particolare, caratterizzava questo sistema formativo, l’obbligo scolastico a quindici anni e l’obbligo formativo a diciotto anni, quindi rispettivamente la legge n. 9 e la legge 144, che richiamavano una stagione importante, perché nel cantiere della scuola vennero avviate norme, garanzie giuridiche importanti, che potevano rappresentare la piattaforma per un disegno organico di riforma. Richiamo la legge 59 sull’autonomia scolastica, la legge Treu 196 apprendistato, il riordino della formazione professionale, i tirocini formativi, il decreto 469 sui centri per l’impiego, e così via. Bene, questa animazione che vedete alle mie spalle, rappresenta semplicemente un modo per ricordare cosa è avvenuto, lo richiamava prima l’Assessore, negli anni ‘70, ossia un periodo che gli esperti chiamano la politica dei ritocchi, periodo nel quale vennero avviate una serie di sperimentazioni: gli istituti tecnici statali a ordinamento speciale; 14 i progetti assistiti, e la parola progetti assistiti forse ai non addetti ai lavori dice poco ma pensate al progetto Igea per il corso di ragionieri, il progetto Leonardo per il liceo artistico, ecc.; il progetto 92 presentato alla Fiera di Milano nel 1988 e passato a ordinamento nel 1995/96; il progetto Brocca, non era una sperimentazione, doveva essere una legge di riforma, non venne approvata dal Parlamento ma quei corsi vennero distribuiti qua e là in tutta la scuola; i corsi dell’autonomia del 1997. Tutta questa stagione, e questo era un punto a mio modo di vedere qualificante della relazione, ha avviato una serie di sperimentazioni, ma in particolare si è sperimentato il biennio formativo, soprattutto con l’esperienza degli Itsos, la riduzione degli indirizzi formativi, cito solo gli istituti professionali da 110 indirizzi a 20. Poi, ecco gli obiettivi qualificanti per la scuola, una cultura professionale e la formazione di base. Noi riteniamo che su questa stagione è mancata un’analisi seria e approfondita, sia sui risultati che ha prodotto che sui problemi aperti. In particolare, vorrei segnalare anche alcuni dati che l’Istat cita, proprio con riferimento a quella fase, ai primi anni del 2000. Vedete questo dato, fa riferimento al rapporto formazione lavoro che ci diceva che a tre anni dal lavoro, dei diplomati degli istituti professionali il 75,7% aveva un’occupazione, siamo nel 2001, istituti tecnici il 67,3% dei diplomati ha un’occupazione, e così pure per i licei, ma dove l’Istat aggrega classico e scientifico, il 28,6% aveva un lavoro.” Presidente del Consiglio: “Mi scusi, mi sono sbagliato, lei è uno dei relatori, i minuti non sono otto ma quindici.” Francesco Dell’Oro (Esperto in processi formativi): “Non avevo neanche sentito che erano otto minuti, però mi aveva condizionato, difatti parlavo velocissimamente, ma devo parlare comunque velocemente. Un altro dato che vi presento, ovviamente la mia sarà una relazione terribile perché devo dire in pochi minuti tantissime cose, però ci dimostra, guardate quei cerchiolini, il diploma e l’università, e il successo universitario. Bene, è uno schema che ci presenta, pure con valori diversi, ma il sistema offriva e offre pari opportunità. Su cento immatricolati con il diploma dell’istituto professionale si laureava il 28,3% nel 2002, con il diploma dell’istituto tecnico siamo quasi al 42%, per il classico e lo scientifico il 66,2%. Questa slide invece vi presenta, sulla memoria ho già detto, il sistema formativo attuale, quello che è valido oggi, quello che i ragazzi troveranno ancora a settembre, le quattro aree, quelle che abbiamo ereditato dal passato. I corsi di istruzione e formazione professionale sperimentali perché non è ancora approvato questo decreto legislativo, ci sarà uno stop quest’anno per i corsi biennali che non verranno più finanziati, quelli di antica memoria. Due cose sulla legge Moratti. E’ una legge delega, mi scuso per tutti quelli che magari…, ma serve per avere un punto di riferimento comune per tutti. E’ una legge delega, lo dice l’art. 1, comma 1 della legge, il Governo aveva 24 mesi di tempo per avviare dei decreti legislativi. Senza questi decreti legislativi la legge non può essere avviata. Bene, il primo decreto ormai approvato è il 59, poi abbiamo il 286. Cito solo che in particolare sul primo decreto c’è un contenzioso aperto, con riferimento all’art. 76 della Costituzione - io ovviamente sto sintetizzando al massimo - che sostanzialmente rappresenta una garanzia importante per il Parlamento. Perché? Questo decreto, lo dico in parole diverse, cosa dice? I decreti legislativi non possono contenere materie non presenti nella legge delega, pensate al portfolio, al tutor e quant’altro. I decreti comunque approvati, questi due sono quelli già approvati, insieme ad altri due, il diritto/dovere e quello sull’alternanza scuola lavoro, non c’è il tempo ovviamente, ne varrebbe la pena soprattutto sul diritto/dovere, ma ricordiamo perlomeno che l’Anci e l’UPI sul decreto alternanza lavoro hanno espresso parere contrario e ovviamente mancata intesa, sul decreto 15 diritto/dovere, mancata intesa e parere contrario sugli artt. 4, 5 e 6 comma 1, per quanto riguarda il controllo ad esempio dell’ente locale, il problema dell’insuccesso scolastico e quant’altro. Eccoli qua i decreti, a noi interessa in particolare il n. 5, il decreto legislativo sulla scuola del secondo ciclo. E’ un decreto che è stato approvato in via preliminare il 27 maggio, l’altro riguarda la formazione degli insegnanti. Ovviamente decreti non blindati, questo è importante chiarirlo, perché bisogna fare una discussione e questo aspetto è importante, proprio per le questioni di metodo che fra poco solleverò. Questo è lo schema che dovrebbe delineare la riforma Moratti: i licei, i cinque anni propedeutici all’Università ma anche corsi di FTS, i corsi di istruzione e formazione professionali, tre anni, attestato di qualifica professionale, quarto anno diploma di qualifica professionale. Questo benedetto anno integrativo, un giorno ne parleremo, qui bisogna avvisare il grafico del Ministero, quel quinto anno non c’è, sono due anni che glielo diciamo e continua a metterlo. No, il quinto anno non c’è, perché dal quarto anno si può passare o al quinto anno integrativo o al quinto anno dei corsi di istruzione e formazione tecnico superiore normati dall’art. 69 della legge 144. Vi presento ora questi due canali li trasformiamo in corsi. Chiedo scusa all’Assessore Barzaghi ma li devo presentare a colori, dato che sa che non mi piacciono, qualche volta li presenterò in bianco e nero. Questi sono gli otto licei: liceo artistico, liceo classico, liceo economico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, scienze umane, liceo tecnologico in tutti i suoi indirizzi. Non posso entrare nel merito perché ho poco tempo, ma questi corsi caratterizzano il canale che abbiamo visto prima, il primo canale. Ovviamente sono corsi che permettono di arrivare all’esame di Stato. Per quanto riguarda i corsi di istruzione e formazione professionale, io ne ho citati alcuni, sono quelli in particolare della Provincia di Milano: operatori per le cure estetiche, alimentare, dell’artigianato artistico, ecc. tre anni attestato di qualifica professionale, diploma di qualifica professionale, quel quinto anno integrativo che dovrebbe, qui bisogna usare il condizionale, ne parleremo in altre sedi probabilmente, poi i corsi di FTS. Un primo problema, le questioni di metodo. La prima bozza di decreto sulle superiori è stata presentata, in via ufficiosa e anonima, è stata messa in circolazione nel dicembre 2004. Il 17 gennaio viene presentato lo schema di decreto a livello ufficiale nel sito del MIUR. Dal 17 gennaio, in successione, sempre in via ufficiosa, vengono messe in circolazione tantissime bozze, fino ad un totale di tredici. Solo il 9 giugno viene presentato sul sito ufficiale del Ministero lo schema di decreto. Io mi permetto solo di segnalare il mancato confronto che è avvenuto soprattutto con i dirigenti scolastici, con i docenti, con gli operatori della scuola e così via. Altri, più con maggiore competenza, probabilmente richiameranno anche altri confronti, con le confederazioni, sindacali, le Regioni, prima dell’approvazione in prima lettura del Consiglio dei Ministri. Sulla pari dignità, questo è l’articolo del decreto legislativo, io l’ho evidenziato in grande, i percorsi liceali, i percorsi di istruzione e formazione professionale sono di pari dignità. Questo continuo richiamo alla pari dignità nasconde, come diceva l’Assessore Barzaghi prima, una grande preoccupazione e forse vale la pena vederlo un po’ più precisamente. Ecco allora l’affermazione che troviamo in quel documento del Ministro: il sistema dei licei si connota per il carattere propedeutico, il sistema dell’istruzione e formazione professionale si connota per il carattere terminale. Se è possibile fare anche qualche battuta, in modo che diventi una cosa più leggera e tranquilla, questa parola terminale è più di tipo sanitario che di tipo formativo, mi è venuto un po’ uno ‘sciopone’. Voglio dire che non è particolarmente elegante. Chiedo scusa, non è particolarmente elegante ma spiega ed è efficacissima, spiega la filosofia che sottende il sistema. Andiamo avanti, la legge Moratti ha queste caratteristiche, noi abbiamo detto che ha pari dignità, però attenzione: durata cinque anni i licei, certificazione, esami di Stato, percorso propedeutico all’università, competenza istituzionale allo Stato; dall’altra durata quattro anni, tre anni più uno, ovviamente c’è poi il famoso anno integrativo, la certificazione, l’attestato diploma professionale, 16 percorsi terminali – sono le parole del Ministro – la competenza istituzionale alla Regione. Bene, ovviamente il sistema non offre pari opportunità per tutte le ragioni dette prima sulla durata, sugli assetti orari e così via, ma quello che ci preoccupa di più è la separazione precoce dei percorsi. Questa è una cosa pedagogicamente terribile, perché obbliga i ragazzi tredicenni. Noi dobbiamo fare sempre uno sforzo, quando pensiamo agli studenti, immaginare anche solo per un attimo, con tutto il distacco professionale, che si tratta di figli nostri, quando cambia l’osservatorio cambiano le strategie e le analisi. Allora, questo percorso obbliga i ragazzi tredicenni ad effettuare una scelta prematura, accentua le condizioni socio culturali di partenza, penalizzando quelle più svantaggiate, ma in particolare lo schema duale determina un forte decremento delle iscrizioni ai corsi degli istituti tecnici e professionali. Guardate la situazione che si è determinata in questi due anni in Milano e Provincia. A sinistra, 30.252 gli iscritti al primo anno 2002/2003, nel 2004/2005 30.168, una sostanziale stabilità. Che flusso è avvenuto nelle iscrizioni, proprio dalla legge Moratti in avanti? Più 1.119 studenti, questo è l’effetto dello schema duale, più 1.119 studenti ai licei, meno 800 studenti negli istituti tecnici, meno 396 studenti negli istituti professionali. Dato che lavoro nella scuola da tanto tempo, devo dire che, ma lo sanno tutti, una sorta di licealizzazione era sempre presente in questi anni, ma mai a scapito degli istituti tecnici e degli istituti professionali. State tranquilli che poi ci sarà spazio anche per voi, vi presento in particolare… ... Chiedo scusa, non riesco a parlare. Se per neutrale intendete che mi piace la legge Moratti, avete capito che non mi piace, ci mancherebbe altro. Chiedo scusa, io rinuncio a darvi qualche altra slide. Non giriamo attorno, non pensiamo a degli esperti che non hanno un’anima e un pensiero critico. Chiedo scusa, abbiate pazienza! E’ la prima volta che vengo in Consiglio. Un attimo! Se mi interrompete non riesco a parlare. Volevo dire che un esperto, qualunque esperto, ha un proprio pensiero critico, il mio è evidente, trasparente, altri dopo di me presenteranno il loro. Il confronto democratico sta proprio in questo. Quel dato rappresenta gli iscritti nei tecnici industriali. Prima del 2001/2002, iscritti primo anno nelle scuole superiori di Milano e provincia, c’è un decremento degli studenti di meno 278. A conferma di quella preoccupazione sullo schema duale, troviamo dal 2003 in avanti ben 1.031 studenti in meno nei tecnici industriali; allo scientifico, come vedete, questa è la situazione. Per quanto riguarda il campus, questo è l’articolo che lo presenta, io non mi voglio dilungare su questo, dico solo qualche osservazione nel merito, a me sono rimasti due o tre minuti. Il decreto doveva rispondere a questa domanda: dove vengono collocati i tecnici e i professionali? A questa domanda non si risponde perché si dice che c’è il campus. Guardate che lo stesso Consiglio Nazionale della pubblica istruzione, nell’adunanza del 22, ha manifestato un certo interesse a questa idea, ma c’è una preoccupazione, che io manifesto magari in modo un po’ disordinato ma che è questa. Richiamo sempre la premessa, immaginiamo che gli studenti siano figli nostri. Ora, io pretendo che mio figlio, iscritto ad un corso quinquennale, quindi non è un discorso contro il campus, abbia la possibilità di esperire, nel caso andasse in difficoltà, tutte le possibilità di recupero, ripetenza compresa. Ci sarà questa possibilità, oppure c’è il rischio che davvero il secondo canale, lo dico non per annullarlo ma perché c’è il rischio che questo secondo canale diventi un po’ il percorso dello svantaggio culturale. Allora forse questo schema duale mantiene le sue criticità anche all’interno dei campus. Questo che vedete, io non ho il tempo di spiegarlo, ma vi posso assicurare, visto che l’ho studiato attentamente e non posso dare spiegazioni tecniche perché manca il tempo, è il liceo economico. La domanda banale, me la cavo con una battuta, è questa: siete proprio sicuri che studiando italiano, latino, sociologia, filosofia, ecc., al ragazzotto o alla ragazzotta che vuole diventare ragioniere presenteremo un corso più facile? Io temo che ci sia un’esasperazione dei licei. …. 17 Sulle passerelle vorrei che venisse data una corretta informazione. Mi pare che questa informazione corretta non viene data, e io sono preoccupato perché chi si occupa di orientamento scolastico sa che tipo di danni questo può fare. In un periodico della Regione Lombardia leggo la notizia che magari è stata data in buonafede, ma che mi preoccupa, si dice che un ragazzo che seguisse un corso professionale per artigiani, seguendo i… potrebbe entrare in qualsiasi liceo senza perdere anni e viceversa. Questo non è un esempio di corretta informazione, non mi preoccupa tanto il ragazzo che dal corso di artigiano va al classico, due o tre cose di greco gliele insegniamo, mi preoccupa quello del classico che viene ad aggiustarmi il calorifero o il frigorifero. Le dico per banalizzare queste cose. Termino dicendo che si sta discutendo molto se bisogna abrogare, cancellare o modificare questa legge. Guardate, non incastriamoci in questo dibattito, abbiamo davanti una bicicletta, la dobbiamo trasformare in una Ferrari. Facciamo questa operazione e poi chiamatela come volete.” Nel frattempo è entrato in aula il Vice Presidente Mattioli. Presidente del Consiglio: “Scusate, a chiarimento, io confermo che a livello di capi Gruppo abbiamo suggerito interventi di tecnici il più possibile neutrali. E’ chiaro però…… …. Per favore! Patta, torni al suo posto per favore. Patta, per cortesia, torni al suo posto. …. Scusatemi, è chiaro che il concetto di neutralità è soggettivo. Io sono convinto che chi interviene ritiene di essere soggettivamente neutrale. Poi è chiaro che le opinioni sono diverse, sentiremo anche le altre opinioni. Se vogliamo però continuare in un dibattito serio e davvero confrontato, proviamo a stare tutti calmi, c’è spazio per le diverse opinioni. Non chiuderemo qui i momenti di confronto e anche di scontro, però consentiteci di andare avanti. Do la parola a Giorgio Franchi, Direttore del Dipartimento Enti locali istruzione e formazione. Anche a lui ricordo che il tempo massimo è di quindici minuti.” Giorgio Franchi (Direttore Dipartimento Enti locali istruzione e formazione): “Ringrazio innanzitutto per essere stato chiamato qua, in questo importante Consiglio provinciale, tra l’altro a svolgere un ruolo un po’ particolare, che è parlare di un settore, la Cenerentola delle Cenerentole, di cui di solito non si parla, di cui in realtà si sa molto poco, di cui si parla in maniera spesso e volentieri impropria, ovvero della formazione professionale. Dico subito che parlerò della formazione professionale ovviamente all’interno del quadro complessivo dei problemi che sono già stati trattati. Non si può isolare questo tema. Partirei, sperando di stare non solo nei tempi ma di essere efficace nei tempi, con alcune informazioni sulla formazione professionale, proprio perché, come dicevo, mi risulta ben poco conosciuta. Questo lo dico per esperienza non solo locale. Innanzitutto la formazione professionale ha una caratteristica che la scuola non ha, ovvero si sviluppa su una serie di tipologie formative e su una serie di utenze profondamente diverse tra di loro. Ha quindi una specificità e una cultura che è diversa da quella della scuola. Se mi lasciate la battuta un attimo provocatoria, la formazione professionale non ha bisogno del discorso della pari dignità, perché ha la propria, così come la scuola ha la propria. Bisogna parlare di pari dignità quando ad ognuno viene chiesto di fare in realtà il mestiere dell’altro. Questo per chiarire. Vi do semplicemente alcuni dati. All’anno, gli allievi che vengono toccati dalla formazione professionale sono circa 550.000. Di questi, la metà è costituita da giovani, con interventi che riguardano la prima formazione, dopo l’obbligo scolastico, ma riguardano la formazione anche dopo il diploma, sia a livello di post diploma sia a livello di corsi FTS, ecc., e questa è la prima formazione, 250.000 allievi circa. Gli altri 230.000 sono lavoratori, quindi la formazione professionale interviene su funzioni di aggiornamento, riqualificazione, mobilità di lavoratori occupati, di reinserimento di disoccupati di breve o di lunga durata, di apprendistato, ecc. 18 Perché ho detto questo? Primo, perché secondo me questo scenario complessivo che riguarda la formazione professionale non viene quasi mai colto. Se volessi fare un discorso particolare, dico: attenzione che la formazione professionale ha una propria cultura, un’esperienza formativa, che in realtà è poco valorizzata. Ma faccio questo discorso per un altro motivo. Di norma, quando parliamo di formazione professionale, ci si limita a ragionare su quella parte di formazione professionale che riguarda i giovani dopo l’obbligo scolastico. Anche qui un dato, a livello nazionale quella che si chiama prima formazione ha settantamila studenti. Attenzione che nella formazione dei giovani negli ultimi anni, la formazione post diploma ne ha addirittura cinquantaquattromila, e in una serie di Regioni quella di secondo livello sta sopravanzando quella di primo livello. Parlare esclusivamente di quella formazione professionale rivolta ai ragazzini che ne hanno bisogno, ovviamente, dai quattordici anni in poi, vuole dire parlare di una parte piccola, con una logica che mortifica il ruolo della formazione professionale, che ne fa né più né meno che la Croce Rossa di una serie di problemi che nella scuola esistono. Allora, cosa serve la formazione professionale nei dibattiti normali? A recuperare le fasce a rischio. Benissimo, perfetto, come no, deve farlo. Ma è un pezzo, quello che volevo dire riportando questo insieme di dati è: attenzione che stiamo parlando di qualcos’altro, molto poco valorizzato, lasciatemelo dire, dalla stessa formazione professionale che spesso e volentieri si dimentica di essere tutte le cose che ho appena detto. Adesso metto in fila alcuni problemi, è stato chiesto un ruolo tecnico, è difficile essere solo tecnici. Vi ricordo che una volta, in una commissione del Senato, io ero chiamato a fare il tecnico, si parlava di autonomia scolastica. Sapete qual era il problema? Appena c’era qualcosa che poteva essere politico dovevo stare zitto, il che voleva dire star zitto sempre, perché era difficile fare qualunque tipo di osservazione. Detto questo, io però vorrei toccare i problemi e toccare anche le cose che sono state dette in precedenza, partendo da una serie di problemi, perché io voglio risolvere i problemi, sono fatto in questa maniera, voglio identificarli, voglio tentare di affrontarli. Primo tipo di problemi complessivi che noi abbiamo. Noi siamo in una situazione di piena scolarizzazione. Oltre il 90% dei giovani tra i quattordici e i diciotto anni sono all’interno della scuola secondaria superiore. Se la vogliamo mettere in numeri, due milioni e mezzo di allievi nella scuola secondaria superiore, settantamila in equivalente età nella formazione professionale. Pressoché tutti questi giovani sono all’interno dei primi due anni della scuola secondaria superiore. Leggiamola così: piena scolarizzazione significa ricchezza. Ce lo ricordava Barzaghi quando riportava i dati dell’Unesco. Qual è il nostro problema? Abbiamo una situazione di piena scolarizzazione che non funziona, che non è la ricchezza che dovrebbe essere. Perché non funziona? A livello di slogan, ovviamente, di titoli e niente di più, dato il tempo. Prima di tutto non funziona perché non sono chiari complessivamente gli obiettivi che progressivamente si devono raggiungere. Qui mi lasciate chiarire un aspetto. Nella precedente legislatura, ma anche in tutti gli anni precedenti, si era parlato di due cose diverse. Si diceva, noi dobbiamo ampliare la durata dell’obbligo scolastico perché questo corrisponde all’obiettivo di fare in modo di garantire a tutti un livello di cultura, di conoscenze culturali, di capacità di orientarsi, di capacità di conoscenza del mondo che ci sarebbe stato dopo, superiore a quello conseguibile con la terza media. Questo si chiama obbligo scolastico, in Italia come in Europa, per intenderci. C’era poi un secondo obiettivo. Questo secondo obiettivo è obbligo formativo a diciotto anni, che aveva un significato molto chiaro, a tutti entro i diciotto anni devo, quantomeno, garantire una solida qualificazione professionale. Io personalmente, da tecnico, se volete da tecnico politico, da politico tecnico, mettetela come volete voi, ritengo che aver parlato di diritto/dovere ad almeno dodici anni di istruzione significa non aver capito che si tratta di due cose diverse e che messe insieme non capiamo più dove stiamo andando a finire. Nel senso che ripigliamo il ragionamento del biennio, perché credo che questo sia determinante, facciamo in modo che fino in fondo funzioni l’obbligo formativo, che come dice il decreto che è stato prima ricordato, continua ad applicarsi. C’era già, è una legge del 1999. 19 Detto questo, vediamo quali sono i problemi della piena scolarizzazione complessivamente a cui dare risposta. Innanzitutto mi lasciate dire una cosa, il 90% dei giovani a scuola è diverso da quando ce n’erano soltanto il 50%, è diverso da quando ce n’erano soltanto il 30%. Perché dico questo? Perché siccome questa scuola è rimasta più o meno sempre uguale, quantomeno formalmente, tutti si sentono legittimati di parlare di scuola. Attenzione, che se ne parliamo quando ci sono tutti, abbiamo dei problemi di fronte che non si risolvono con le vecchie ricette, non si risolvono con i vecchi approcci, hanno bisogno di tutt’altro tipo di ragionamento. Cosa vuole dire piena scolarità, soprattutto nel primo biennio ma in generale. Vuole dire che nella piena scolarità ci sono tutti, ci sono tutte le differenze. Tutte le differenze, a partire da quella di genere, a partire dalle attese, dagli stili cognitivi, dalla provenienza sociale e così via. Ora, pensare di rispondere ad una situazione di questo genere, con una proposta sostanzialmente monocorde, sostanzialmente identica a quella di natura scolastica, secondo me è inane, non riesco ad usare un altro termine, cioè non ci risolve questo problema. Allora io credo che noi dobbiamo recuperare, dovevo parlare di formazione professionale, quello che era scritto nell’accordo sul lavoro del settembre del 1996, in cui si diceva che veniva richiesto alla formazione professionale di portare un apporto all’elevamento dell’obbligo scolastico, all’ampliamento della durata dell’obbligo scolastico, problema che abbiamo tutto di fronte, perché il decreto sul diritto/dovere che prima è stato citato, dice che in prima applicazione, settembre di quest’anno, esso riguarda i primi due anni della scuola secondaria superiore, così come sono. Quindi abbiamo di nuovo questo tema da dover affrontare. Cosa significa apporto della formazione professionale? Significa che l’obbligo si fa nella scuola, significa però che la formazione professionale può portare una serie di contributi fondamentali a livello di modulo di orientamento, rafforzamento di motivazione, portare la cultura del lavoro, ecc., il mix per sapere e saper fare. Non la posso fare troppo lunga, ma credo che possa essere sufficientemente chiaro il discorso. L’obbligo è una questione di scuola, c’è bisogno anche di un altro apporto di culture formative diverse, che possono aiutar ad affrontare i problemi che ho solo accennato, della piena scolarizzazione. Guardate che quello che sto dicendo non è inventato. In Emilia Romagna c’è il cosiddetto biennio integrato, scuole di formazione professionale, e siccome io ho fatto il monitoraggio degli anni di prima sperimentazione di questo, posso dire una cosa molto semplice: i promossi da questo biennio sono superiori a quelli dei bienni tradizionali. Quindi non stiamo parlando di ‘fufa’, non stiamo parlando di ideologia, non stiamo parlando di altre cose, ma di un’esperienza, certamente non l’unica, anche in Lombardia esistono una serie di esperienze di questo tipo, sulla quale ragionare. Vado avanti sulla formazione professionale, pregando sempre il Presidente di avvisarmi rispetto ai tempi. Dopo il biennio, la formazione professionale è giusto che intervenga. Giustamente nel biennio, con quel significato che dicevo, dopo il biennio con un proprio intervento. Ci sono giovani che non vogliono per forza proseguire in un percorso strettamente di natura scolastica. Ma attenzione, la legge dice anche altre cose, dice che l’obbligo formativo a diciotto anni, quello che prima ho citato e che è in vigore, si assolve anche attraverso percorsi integrati – cito a memoria – tra istruzione e formazione professionale, conseguendo il diploma o nella formazione professionale o attraverso l’apprendistato. E sono previsti, nello specifico, interventi curricolari ed extra-curricolari della formazione professionale dentro gli stessi percorsi di studio. Faccio semplicemente un saltino rapido. Abbiamo l’autonomia scolastica, abbiamo una serie di leggi che hanno, con grandissima forza, definito la centralità del territorio del rapporto istruzione, formazione, territorio, occupazione. Questo intreccio fra quella scuola autonoma, gli enti locali che possono intervenire, le parti sociali, l’istruzione e la formazione, e quello che possiamo lì fortemente raggiungere. Ultima cosa che dico, perché credo che dopo non ci sia molto spazio, però alcuni messaggi mi interessa darli. Abbiamo bisogno di post diploma. Abbiamo bisogno di un ragionamento di formazione professionale in un’area come quella della provincia di Milano, che non blocchi l’intervento nei 20 confronti dei ragazzini tra i quattordici e i sedici anni. Scusate, abbiamo bisogno d’altro. Attenzione, quando dico questo, non dico che non abbiamo bisogno anche di quello, le fasce a rischio esistono e se hanno bisogno di una risposta, hanno bisogno di una risposta. Ma se io qui ho bisogno di fare un ragionamento, è che ho bisogno di un intervento di formazione professionale verso l’alto, verso il livello medio, medio alto, ecc. Questa credo sia la prospettiva complessivamente nella quale buttarsi. Un’ultima osservazione ancora. C’è un disastro in questo Paese, ed è il deficit di cultura tecnico professionale che è stata esemplificata anche dai dati precedenti. Mi lasciate aggiungere una cosa. Questa crisi degli iscritti all’istruzione tecnica, degli iscritti all’istruzione professionale, non è di oggi. Sono quindici anni che questa cosa avviene, è uno dei problemi a cui bisognava dare risposta e ha ragione Dell’Oro quando, dimostrando quelle cose, dimostra che non solo non è stata data una risposta ma questa cosa è stata aggravata. Rispetto a questo, un intreccio, un incrocio tra l’istruzione, la formazione professionale, un grande ragionamento anche di concertazione con le parti sociali, i sindacati, credo che tutto questo sia qualcosa di straordinariamente importante da mettere insieme. Ultime due battute, veramente ultime due, anche perché se il mio ruolo è tecnico, è tecnico. La Regione Lombardia ha compiuto una scelta un attimo diversa, diciamolo. Siccome i dati è meglio conoscerli, quando è stata abrogata la legge 9/99, quella che ampliava l’obbligo scolastico, dopo pochi mesi che è stata abrogata e approvata la 53, il Governo si è visto necessitato convocare tutte le Regioni, perché avendo riportato l’obbligo scolastico indietro, succedeva che non in tutte le Regioni c’era un’offerta di formazione professionale per qualità e quantità adeguata. Quindi si è fatto un grande accordo nel giugno 2003, in cui si parla di messa in cantiere di percorsi integrati e di istruzione e formazione, volti a sperimentali, ecc. A livello delle singole Regioni, le scelte non sono state uguali. A livello dell’Emilia Romagna, Toscana o altre, si è parlato davvero di integrazione, ho fatto l’esempio del biennio integrato che diventerà triennio integrato. In Regione Lombardia la scelta è stata di dar vita a percorsi triennali di formazione professionale. Io mi limito a dire questo, all’esistenza di problemi io ritengo che vadano date risposte, se ci sono le fasce a rischio bisogna dare risposta alle fasce a rischio, però la verità complessivamente di questo è che se quello che ho cercato di dirvi prima, come scenario della formazione professionale è quello sul quale muoverci, è evidente che questa soluzione è quantomeno parziale. Alla diversità non si può dare risposta con un unico tipo di risposta. Io credo che se abbiamo un ma, non sono un politico, mi limito ad un suggerimento, se abbiamo un problema come Provincia di Milano, come Regione, ecc., è di ricontrattare con la Regione un intervento che non abbia come caratteristica di essere uno solo, quella soluzione lì, ma che ce ne siano tante altre, perché dobbiamo andare ad una pluralità d’offerte. Ultimissima battuta, perché vedo che ormai mi si sta richiamando all’ultimo tempo, sapete anche perché, che è la cosa che mi preoccupa di più perché sono pragmatico, non ideologico, con quei trienni la gran parte dei finanziamenti sono tutti lì. E se sono tutti lì, non ci sono più fondi per fare altre cose. Allora, delle due l’una, se le cose che ho detto sono sciocchezze, ci salutiamo, non è successo niente, se qualcuno pensa che alcune delle cose che ho detto hanno senso, io vorrei che ci fossero anche i finanziamenti per sviluppare tutte le altre attività di cui, a mio parere, abbiamo profondamente bisogno.” Nel frattempo è entrato in aula l’Assessore Ponti. Presidente del Consiglio: “Ringrazio Giorgio Franchi. Mentre invito al tavolo il Dott. Mario Dutto che, insisto, non credo abbia bisogno di presentazione, mi pareva che il Consigliere Meroni facesse una considerazione. Va bene, prego Dott. Dutto, si accomodi al tavolo, grazie.” Mario Dutto (Direttore Ufficio Scolastico regionale): “Gentile Presidente del Consiglio provinciale, autorevoli membri della Giunta provinciale, gentili Consiglieri, grazie per l’invito a fornire un quadro 21 informativo sullo stato della riforma delle scuole statali e paritarie in questa Provincia. Ho sempre ritenuto mio dovere, in questo caso è veramente un piacere, per un amministratore pubblico rispondere ad un invito così autorevole. Questa opportunità la voglio cogliere per fornire alcuni dati sul lavoro in atto nelle scuole di questa Provincia. Ed è proprio con questo spirito che ho preparato una relazione, il cui testo consegnerò poi alla Presidenza, anche perché quindici minuti sono tanti per un uomo di poche parole, ma pochi per una questione così importante come quella che stiamo trattando. Vorrei partire da alcune informazioni di carattere generale sulla scuola di questa Provincia, con riferimento ad alcuni aspetti critici, spesso oggetto di dibattito, per offrire un quadro di sintesi dei processi di riforma in atto, soffermandomi successivamente su alcuni caratteri della scuola di questa Provincia e in conclusione due riflessioni sulle strategie che noi seguiamo come ufficio scolastico regionale. Alcune informazioni sui dati di criticità, e vengo subito al dunque, non ho paura a mettere le carte sul tavolo, giocare anche a carte scoperte, come in altre occasioni. Organici della nostra scuola, sapete che un compito dell’Amministrazione è quello di mettere a disposizione gli organici per il funzionamento delle scuole. Bene, se noi facciamo un bilancio degli ultimi quattro anni, noi abbiamo una situazione di organici della scuola, numero di docenti sostanzialmente, stabile nel tempo, con un leggero aumento dello 0,7% dal 2001 al 2002, sia a livello regionale sia per la Provincia di Milano. In Provincia di Milano si è passati da 40.832 posti a 41.107 nel 2004/2005, questo è dovuto ad un aumento della popolazione scolastica. A livello regionale abbiamo avuto un aumento di 3.5%, in Provincia di Milano 1.9%, un aumento più contenuto e, come dirò successivamente, anche all’incremento degli insegnanti di sostegno che abbiamo avuto nel quadriennio. L’attenzione dedicata alla Provincia di Milano per le sue… ... Io ritengo che le cifre sono beni pubblici e debbano essere partecipate, poi si può discutere, d’altra parte sono dati che sono a disposizione di chiunque, non certo di produzione soltanto nostra. Dicevo, l’attenzione particolare riservata alla Provincia di Milano rispetto alle altre Province, proprio per le peculiarità della storia e della tradizione della scuola di Milano, si riflette in un dato molto significativo: la popolazione scolastica della Provincia di Milano copre il 38.7% della popolazione di tutta la Regione, però i posti sono 39.7%, esattamente un punto percentuale in più, il che vuol dire, su 103.000 insegnanti, 1.000 insegnanti in più, proprio per le peculiarità di questa Provincia. Detto questo, credo sia opportuno sempre più che noi prendiamo seriamente i confronti anche con altri Paesi e anche con altre Regioni europee. Sotto questo profilo, i valori fondamentali della dotazione di organico, intendo dire rapporto docenti studenti e la numerosità media delle classi, sono sicuramente interessanti per questa Provincia, per questa Regione, se prendiamo in considerazione gli altri Paesi dell’Unione o i Paesi dell’area OCSE. Noi abbiamo una numerosità media nella scuola primaria di 19 alunni, contro un valore medio di 22 alunni per classe nei Paesi dell’area OCSE. Abbiamo un rapporto 10 studenti per docente, rispetto a 17 studenti per docente rispetto ai Paesi dell’area OCSE. Non credo siano cose determinanti, però forse qualche volta è opportuno avere termini di riferimento per ragionare su questo. Nel quadriennio considerato, ci sono due fatti estremamente importanti che sono avvenuti, grazie alla piena collaborazione delle scuole e alla capacità delle scuole nella gestione degli organici. Noi abbiamo avuto un incremento senza precedenti, dei tempi lunghi nella scuola primaria. Nel 2001/2002 in Regione Lombardia avevamo un 37% di classi a tempo pieno, nel 2004/2005 queste classi sono passate al 41%. Se poi consideriamo la Provincia di Milano, il passaggio è stato decisamente maggiore, dal 78.5% al 86.6%. Se andassimo poi a vedere il Comune di Milano, l’aumento sarebbe superiore, ha raggiunto oltre il 90% delle classi. Questo è un fatto che ci deve far riflettere, sia sulle capacità del sistema di espandersi, sia sui costi e sulle conseguenze di questa espansione. Secondo fatto evidente in questi quattro anni, è il saldo positivo dell’aumento degli alunni della scuola dell’infanzia nella Regione Lombardia. Noi abbiamo avuto, negli ultimi quattro anni, quasi settemila bambini in più nelle sezioni statali delle scuole dell’infanzia. In un contesto di grande rigore nel 22 controllo delle risorse professionali a disposizione, c’è stato un aumento considerevole, pari al 6.9% dei bambini nelle sezioni statali di scuole dell’infanzia, e non abbiamo superato 24 alunni per sezione. Anche questo grazie alla grande cooperazione delle scuole, degli insegnanti e di chi ha gestito sul territorio la situazione. Un cambiamento registrato in questi quattro anni è l’avvio di una soluzione ad un problema storico della nostra scuola, la presenza cioè del precariato. In quattro anni, dal 2001 ad oggi, noi abbiamo immesso in ruolo, per usare una vecchia espressione, oltre 3.500 insegnanti nelle scuole statali, e speriamo di riuscire a fare altrettanto nei prossimi mesi di luglio ed agosto di quest’anno. Parliamo di dati riferiti alla Provincia di Milano. Certo, la gestione degli organici non è per noi soddisfacente, abbiamo una realtà con disomogeneità tra Provincia e Provincia, abbiamo problemi di gestione delle supplenze brevi ad esempio, per le quali abbiamo fatto una precisa proposta al Ministero, per alleggerire la situazione delle condizioni in cui spesso si trovano i Comuni e talvolta anche indirettamente le scuole e i Comuni, perché poi alcune spese di telegrammi o spese aggiuntive vengono caricate sui Comuni. Abbiamo problemi di come rendere più informati tutti gli interessi rispetto alla questione degli organici. Noi ci siamo impegnati, da settembre, a rendere pubblica la situazione delle singole scuole in termini di numero di alunni e numero di personale docente a disposizione di quelle scuole, proprio per rendere possibile ad ogni amministratore locale, ad ogni soggetto collettivo interessato a capire come vengono utilizzate le risorse pubbliche, quale sia la situazione. Seconda questione, talvolta critica, ho sentito anche i commenti alla relazioni precedenti, la questione degli alunni con disabilità. Noi abbiamo commissionato recentemente una ricerca al Dipartimento di Studi sociali e politici dell’Università Statale di Milano per avere un parere indipendente sulla situazione delle politiche di sostegno all’handicap. Sono stati identificati dei problemi nella gestione del sistema di erogazione di risorse professionali, ma la valutazione conclusiva è in questi termini, tutti gli operatori scolastici intervistati sono concordi nel riconoscere che la scuola lombarda ha raggiunto un elevato grado di sensibilità e di efficienza per ciò che concerne l’inserimento degli alunni in situazioni di disabilità. Il testo del rapporto sarà pubblicato da una casa editrice nazionale. Negli ultimi tre anni abbiamo avuto un aumento significativo di studenti diversamente abili in provincia di Milano, siamo arrivati a 9.206 e, parallelamente, abbiamo avuto un aumento del contingente provinciale di insegnanti di sostegno, da 3.767 a 4.006. L’insoddisfazione che talvolta si percepisce, i problemi che talvolta rimangono, io credo che dipendano fondamentalmente dal fatto che dobbiamo migliorare il sistema di allocazione di queste risorse. Noi abbiamo, per quanto riguarda l’handicap, una possibilità di rispondere a tutte le richiesta adeguatamente documentate, è quello che faremo anche quest’anno. Come tutti loro sanno, le procedure di allocazione di queste risorse non si risolvono in due giorni, ma cominciano a febbraio e terminano a luglio, ci sono diversi passaggi, e da sempre abbiamo garantito che, a fronte di un’esigenza documentata, noi interveniamo per dare una risposta adeguata. Lo confermano anche gli aumenti, e siamo rimasti complessivamente all’interno di un rapporto di 2.3 alunni per docente, rapporto che è più favorevole rispetto al valore nazionale, che è 2.0, e complessivamente per la provincia di Milano si tratta di un rapporto parallelo a quello regionale. Problemi per quanto riguarda gli alunni con disabilità si riferiscono alla qualità dei docenti, alla specializzazione dei docenti. Abbiamo oggi in fase di progettazione un corso da parte dell’Università Bicocca per ottocento insegnanti abilitati o con un certo numero di giorni di servizio, proprio in questo campo. Vado velocemente, sulla questione degli studenti di lingua nativa non italiana noi abbiamo avuto un aumento, tutti sanno, decisamente forte, siamo arrivati a 88.000 studenti di lingua nativa non italiana nelle scuole della Regione. La provincia di Milano non è la provincia con un maggiore incidenza di studenti stranieri, Mantova e Brescia hanno più studenti stranieri, nella provincia di Milano però c’è 23 una quantità in valore assoluto maggiore e i problemi sono decisamente più avvertiti in questa provincia che non in altre. Abbiamo fatto un piano specifico di intervento, per il prossimo anno scolastico disporremo di 280 figure professionali per l’insegnamento della lingua italiana come lingua seconda, fondamentalmente per il supporto alla riuscita didattica di tutti gli studenti che sono presenti nella nostra scuola che provengono da altri Paesi, così abbiamo altre misure in campo, per cui la costituzione di un fondo di un milione di euro a disposizione delle scuole per progetti di interventi di emergenza, dal momento che sappiamo che circa il 10% di questi studenti non italiani arrivano in corso d’anno e quindi si possono presentare problemi a gennaio o a febbraio. Sulla gestione delle risorse finanziarie una semplice battuta. Se noi consideriamo il complesso delle risorse gestite dal mio ufficio, noi abbiamo avuto un aumento del 5% negli ultimi quattro anni. Anche qui probabilmente dobbiamo migliorare il modo in cui gestiamo queste risorse. Abbiamo avuto aumenti in alcuni capitoli, sofferenze in altri, quindi si tratta di una migliore gestione. Dico questo perché il compito di un buon amministratore è anzitutto quello di poter garantire una risposta ai bisogni, alle esigenze, utilizzando al meglio le risorse disponibili. La riforma che cosa ci porta? Veramente vado per grandi sintesi. Generalizzazione della scuola dell’infanzia, abbiamo fatto dei passi in avanti ma ancora non riusciamo perché abbiamo un tremendo problema, cioè di non pieno accordo, nonostante il tavolo tecnico che abbiamo costituito con l’Anci tra ruolo dello Stato, ruolo dei Comuni, ruolo delle scuole paritarie. Dicevo prima, noi abbiamo aumentato di settemila unità i bambini nelle sezioni statali, la stessa cosa, per ragioni comprensibili, non è avvenuta nel settore delle scuole paritarie, nonostante i finanziamenti che esistono. Allora la pressione che noi abbiamo è di sostituzione rispetto ad altri gestori, che siano i Comuni o siano soggetti privati. Di questo passo, dal momento che le sezioni statali sono meno del 50%, sarà molto difficile raggiungere la generalizzazione a breve, anche se siamo oltre il 90%. Il problema è la mobilità delle famiglie e come dare il servizio là dove richiesto. Anche quest’anno abbiamo un tavolo aperto con l’Anci, stiamo proprio in questi giorni esaminando quali risposte ancora dobbiamo dare alle situazioni presenti. Anticipi per la scuola dell’infanzia, per la scuola elementare, in questa Regione abbiamo avuto una risposta cauta, ragionata, però continua e progressiva, siamo arrivati a 3.500 anticipi nella scuola dell’infanzia, decisi autonomamente dalle scuole, con il consenso dei Comuni e naturalmente con la decisione da parte dei genitori di richiedere l’anticipo. Così anche nella scuola elementare, dove abbiamo circa il 5% di alunni di classe prima che hanno fatto una scelta di anticipo. Quindi è un elemento di flessibilità che è stato adottato con molta cautela, con molta gradualità, con molta attenzione, senza rincorse come è avvenuto in altri contesti. Lingue straniere, in particolare lingua inglese, noi abbiamo generalizzato l’insegnamento della lingua inglese nella scuola primaria. Nel 2002/2003 eravamo fermi al 80% delle classi, oggi noi abbiamo attivato l’insegnamento della lingua inglese in tutte le classi, e se questo non avviene è compito nostro intervenire. Naturalmente il problema che si pone è il problema della qualità dell’insegnamento, dell’efficacia dell’insegnamento. Abbiamo esperienze estremamente significative per quanto riguarda prime iniziative di insegnamento di tematiche disciplinari in lingua inglese. Abbiamo oltre quattrocento esperienze in questa regione, la riforma prevede un intervento nell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, in cui un’intera disciplina dovrebbe essere insegnata in lingua inglese. Stiamo lavorando in quella direzione, anche se siamo ancora lontani. Abbiamo un numero decisamente elevato, comparativamente con le altre Regioni motore d’Europa, di studenti che raggiungono certificazione di competenze linguistiche. Facciamo più certificazioni di competenze linguistiche noi che non la Catalogna, per fare un esempio, siamo però ancora distanti, è un qualcosa che riguarda circa 20.000 studenti rispetto a 320.000 studenti delle scuole secondarie di secondo ciclo, però questa è la direzione in cui intendiamo lavorare. 24 Abbiamo raccolto anche alcune suggestioni che sono arrivate dalle scuole, sostenendo corsi di lingua cinese, giapponese ed arabo nelle scuole secondarie superiori, e questo ha avuto una risposta decisamente positiva e interessata da parte della maggior parte delle scuole. Siamo in questo anno oggetto di una… da parte di un team di esperti del Consiglio d’Europa che, dovendo scegliere una Regione in Europa, ha scelto la Lombardia per analizzare quale politiche di insegnamento delle lingue si vanno sviluppando. Credo forse qualcuno dei presenti è stato anche oggetto di una comunicazione, comunque di un incontro con questo team. Credo che potrei andare avanti con diversi altri aspetti, ma consentitemi di sintetizzare per quanto riguarda il secondo ciclo quello che sta avvenendo per quanto riguarda la nostra iniziativa, naturalmente nel quadro delle riforme, è sostanzialmente questo. Noi abbiamo un progetto sperimentale di alternanza scuola/lavoro, che tenta di far passare l’esperienza degli stage, sono 50.000 studenti lombardi che sono in stage, cerca di far passare questa esperienza ad un’esperienza di vera e propria alternanza scuola/lavoro. Si tratta però di piccoli numeri di scuola, abbiamo sette scuole della Provincia di Milano, istituti tecnici, licei scientifici, istituti professionali che lavorano in questo campo. Seconda linea di lavoro, è stato già accennato prima dal Professor Franchi, l’avvio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale. E’ un’esperienza che esiste solo in Lombardia e in Lombardia ha consentito di mettere in un percorso di formazione di questo tipo oltre settemila giovani. Faccio un’osservazione, e concordo con quanto è stato detto prima, cioè noi dobbiamo avere più soluzioni e dobbiamo capire queste soluzioni a che cosa portano. Noi in questi giorni stiamo facendo un monitoraggio, vi cito un semplice dato, facendo il confronto tra i risultati di studenti che sono nel percorso scolastico tradizionale e studenti che sono nel percorso triennale, noi abbiamo questi risultati dall’esperienza che abbiamo fatto: 20% di bocciati nel percorso triennale e il 39% nel percorso scolastico tradizionale, tenendo conto delle scuole al cui interno sono stati attivati questi percorsi di carattere specifico triennale. Dico questo perché credo che noi dobbiamo aumentare la consapevolezza della validità delle varie soluzioni. Probabilmente non c’è una soluzione unica, più noi siamo consapevoli di quello che possiamo ottenere, più è probabile che poi mettiamo in campo le misure adeguate. Poi certo, ci sono anche valutazioni di carattere generale, ma conoscendo il dato di singole esperienze, possiamo prendere decisioni, suggerire soluzioni più appropriate. Una parola per quanto riguarda il progetto che abbiamo in campo, che si chiama campus, ma in un senso diverso in cui è stato usato questo termine. Noi abbiamo due esperienze in provincia di Milano, a Monza e a Milano, di consolidamento degli FTS, cioè della Formazione Tecnica Superiore, nel campo dell’automazione industriale e nel campo della information, communication, technology. Il tentativo è quello di cominciare a dar vita a quella fascia elevata di formazione tecnica superiore che nel completamento del percorso di istruzione e formazione professionale, riguarda il punto di arrivo. Sotto questo profilo anche i percorsi triennali, con l’aggiunta di un anno, non hanno un carattere terminale perché poi dovranno avere una possibilità di formazione tecnica superiore. Ci sarebbero molte altre cose da dire, io lascio un documento che sicuramente è a disposizione, spero che sia utile. Vi ringrazio cordialmente della vostra attenzione.” Nel frattempo sono entrati in aula l’Assessore Corso e il Consigliere Pozzati. (Presenti 37) Presidente del Consiglio: “Ringrazio molto il Dott. Dutto. Confermo che distribuirò subito il documento a tutti i Consiglieri, lo ringrazio davvero della cortesia, mi pare sia stato un intervento che quantomeno ha fornito notizie e dati concreti e questo è molto utile anche per il proseguo della nostra discussione. Consigliere Meroni, prego. In relazione a quanto dicevo prima, ha la parola Meroni.” 25 Consigliere Meroni: “Dato che erano gli esperti istituzionali che dovevano intervenire, al di là poi di chi rappresenterà i vari gruppi e associazioni, volevo ricordare che anche nel primo intervento abbiamo sentito snocciolare diversi dati. Dato che il Consiglio provinciale aperto era sulla riforma della scuola, vorremmo che fossero forniti a tutti i Consiglieri tutte le notizie dette sia nel primo che nel secondo che nel terzo intervento, visto che sono esperti. Poi gli applausi o meno, valuteremo noi. Non avevamo bisogno di sapere chi era a favore o chi era contrario alla riforma Moratti, noi potremmo dirlo e senz’altro lo diremo dopo. L’unico inconveniente che si è verificato è perché noi siamo eletti dalla gente, o meglio, come diciamo noi, dal popolo, non ci vengano a dire: parleremo dopo. Noi parliamo quando vogliamo in quest’aula.” Nel frattempo è entrato in aula l’Assessore Grancini. Presidente del Consiglio: “D’accordo. Iniziamo la serie degli interventi che, ribadisco, devo assolutamente far contenere nel limite massimo di otto minuti, per le ragioni che ho già ampiamente spiegato. Iniziamo dando la parola a Roberto Pasolini, Dirigente Scolastico dell’Istituto Leopardi. Prego, si accomodi al tavolo della Presidenza.” Roberto Pasolini (Dirigente scolastico Istituto Leopardi): “Ringrazio il Presidente del Consiglio, la Giunta e il Consiglio di questo invito, perché parlare di scuola mi è sempre piacevole, soprattutto perché ritengo che dare oggi un possibile contributo ad un dibattito e ad un confronto su questo tema, che ha per oggetto un aspetto fondamentale del nostro Paese, che è l’educazione dei nostri giovani, sia una cosa che personalmente mi arricchisce, indipendentemente da tutto, anche perché ascoltare opinioni e confronti diversi ritengo sempre che siano arricchimenti personali. Premetto che il mio intervento, sapendo che doveva essere contenuto in poco tempo, non è una relazione ma è fatto a braccio e ritengo che soprattutto questo tema oggi, in un breve intervento deve essere fatto a braccio, con quella passione che anche l’Assessore Barzaghi ricordava, deve sempre portare agli operatori della scuola, perché è la passione che deve ogni operatore assicurare sapendo che ha una responsabilità, che è quella proprio della crescita dei giovani. Per la mia esperienza, devo dire che chi vi parla nel tempo ha avuto l’opportunità di collaborare con le istituzioni sia in relazione all’applicazione della legge Bassanini sull’autonomia, sia in relazione al lavoro sulla legge 30 di Berlinguer De Mauro, e oggi con la concretizzazione della legge Moratti. Perché dico questo? Dico questo perché io ho la convinzione, dalla mia esperienza personale, che questo tema si deve cercare di affrontarlo indipendentemente, anche se, come giustamente ha ricordato Giorgio Franchi prima, è difficile che uno riesca a togliersi le sue idee. Se è qui e parla, le sue idee le propone e le sue idee hanno comunque una radice e una connotazione eventualmente politica, ma cercare di lasciarle da parte, avendo come punto di riferimento fondamentale la costruzione di un modello educativo che sappia dare le giuste risposte alle attese educative e formative dei nostri giovani. Io penso che questo possa essere fatto solo se si avrà veramente il coraggio di non usare la scuola come uno strumento di battaglia politica, ma di avere il coraggio di costruire un modello e una scuola che sappia dare delle risposte adeguate. Penso che è in questo senso che debba essere affrontata la lettura, almeno quello che ho cercato di fare io, della legge 53. Come tutte le riforme, sicuramente è una riforma perfettibile, e mi chiedo quale riforma non sia perfettibile. Se andassimo di fronte ad un discorso di carattere politico dovremmo dire: torniamo indietro di quattro o cinque anni, affrontiamo la legge 30 e andiamo anche lì a trovare come era perfettibile. Ma non mi metto su questo piano, perché sarei in contraddizione con quanto ho affermato un attimo fa. Io penso che la ricerca debba essere fatta sul fatto di dire: ci sono in questa legge dei principi ispiratori che sono significativi? Ci sono delle scelte tecniche che sono orientate ad un ammodernamento per la 26 scuola e per una didattica che sappia dare più risposte ai nostri giovani? Io mi sono posto un piccolo elenco, non è esaustivo sicuramente, perché altrimenti dovremmo fare un’analisi tecnica, poi se il Consiglio lo riterrà opportuno sono anche disposto a predisporre una mia analisi tecnica più approfondita da lasciare agli atti. Quando mi pongo il problema di dire: inserire obiettivi come? Inserire, come è già stato ricordato, nel sistema a pieno titolo la scuola dell’infanzia, cosa che non era mai avvenuta, la crescita della persona, l’educazione, la continuità nella distinzione tra scuola elementare e scuola secondaria di primo grado, innalzamento dei livelli culturali, la modernizzazione della didattica, la riduzione della dispersione scolastica, la rivalutazione della cultura del lavoro, la pari dignità dei percorsi liceali con quelli di istruzione e formazione professionale, la professionalizzazione dei docenti, mi chiedo: questi sono obiettivi e principi che possono o non possono essere condivisi, indipendentemente dall’appartenenza politica? Io ritengo che su questi principi condivisi si possa mettere una piattaforma di confronto civile e serio, sfrondato da ideologie e da strumentalizzazioni. Se così si fa, si costruirà la scuola, se così non si fa e si continuerà ad utilizzare la scuola come strumento di battaglia politica, penso che si andrà soltanto in fronte a scontri e non ad incontri. Ritengo inoltre che un approccio corretto debba tenere conto di alcune distinzioni fondamentali. Io ne ho distinte tre, per semplificazione: merito, metodo e istituzionale. Parto dall’istituzionale, visto che il tempo corre. Chi governerà la scuola? Io penso che un elemento inquinante, in questo momento la costruzione del modello, è il fatto di chiedersi chi gestirà i diversi settori della scuola. Siccome abbiamo un Titolo V approvato nella precedente legislatura, approvato con un referendum che… essere portato a regime, sarà portare a regime quel Titolo V che determinerà le competenze e le funzioni delle Regioni, degli enti locali, dello Stato, in funzione della gestione della scuola. Io di questo sono convinto, perché se togliamo questo inquinamento di chi gestisce le cose, ma ci preoccupiamo della costruzione di un modello, io penso che forse qualche risultato lo si potrà ottenere. Il tempo vola, sono già sei minuti, io pongo allora tre o quattro questioni che dal mio punto di vista possono essere messe come aspetti rimarcanti. Ad esempio il portfolio, io vedo al di là delle questioni burocratiche, se il portfolio è fatto in maniera snella, ho visto personalmente nelle scuole che ho visitato e nella realtà in cui vivo un forte coinvolgimento delle famiglie nel loro apporto per la costruzione di modelli per la crescita dei propri figli. Questo io lo vedo un fatto estremamente positivo. Poi, se il portfolio diventa un pacco di carte così e viene visto soltanto da un punto di vista burocratico, negativo è e negativo rimarrà, ma è uno strumento che, se ben utilizzato, può dare veramente quel la di coinvolgimento delle famiglie che non è un obiettivo negativo. Secondo aspetto, autonomia. Io personalmente sono uno che ha lottato contro i curricoli da 36 ore, perché ho sempre considerato che i ragazzi fossero messi in condizioni di difficoltà ad affrontare una scuola di 36 ore, più i compiti, come si usa dire in termine tecnico, di lavoro domestico fatto a casa. Ma, se guardiamo da questo punto di vista anche l’ultima proposta della secondaria superiore, e se non dimentichiamo il fatto che il decreto ministeriale 275 e susseguente 234 non è stato abolito, il dire che io abbia delle materie opzionali obbligatorie, più un 15% da applicare, se voglio applicarlo correttamente nella creatività di un collegio docenti, mi permette, se voglio, di avere uno spazio di autonomia maggiore. Non dimentichiamo che nell’ultimo atto della precedente legislatura, il Governo aveva addirittura proposto fino al 40% di autonomia nei curricoli scolastici. Però bisogna avere il coraggio di applicarlo. Se anche qui i numeri forse danno fastidio, andata a vedere i dati ministeriali, i collegi docenti che hanno correttamente applicato il 15% dell’autonomia, modificando i curriculi, sono un numero esiguo, perché è chiaro che questo va ad intaccare alcune questioni di carattere burocratico sindacale, spostando eventualmente cattedre, di cui nessuno vuole prendersi la responsabilità. Forse occorrerà 27 trovare una soluzione a questo problema, perché se l’autonomia va applicata, va applicata fino in fondo, dando la possibilità di creatività ai docenti. E ritengo che questo spazio sia aumentato. Sistema della formazione e istruzione professionale. C’è una discussione su questo, è la grossa scommessa, io penso due cose. Uno, siamo partiti male, il decreto del 17 gennaio non è piaciuto a nessuno, questo lo dobbiamo dire per correttezza di informazione. E’ stato corretto, qui è stato riportato un dato della Confindustria del 2004, leggiamo quello di dieci giorni fa dove la Confindustria non ha fatto altro che dire che la strada intrapresa e percorsa è la soluzione finale, è comunque in ordine ad una maggiore professionalizzazione che era la richiesta che veniva fatta per non distruggere l’istruzione tecnica. Questo è un dato da tenere presente, quindi siamo orientati verso uno spostamento, di andare a considerare i licei tecnologici come una rivalutazione degli istituti tecnici e su questa strada, se lavoriamo bene, possiamo utilizzarla per far sì che l’istruzione tecnica nel nostro Paese non solo venga non annullata ma addirittura riqualificata. Ultimo intervento che faccio, attenzione, iscrizioni. Scusate, se vogliamo essere oggettivi, non possiamo dire che la riduzione, come ha ricordato Giorgio Franchi, delle iscrizioni ai tecnici sia un dato legato alla riforma, che non è nemmeno stata ancora applicata. Andrà in vigore dal 2006, come possiamo dire che oggi la riforma ha la colpa di una riduzione di una licealizzazione? E’ il dato attuale. Io sono convinto che è l’incertezza che crea questo problema, non tanto la soluzione. La famiglia ha bisogno di certezze per poter decidere, e oggi questa certezza non c’è. Tenete presente un fatto, che un funzionario di questa Amministrazione Provinciale ha detto, non più tardi di 10 giorni fa, in un convegno della Margherita fatto in Consiglio regionale, dove la forte richiesta di studenti che vogliono la sperimentazione triennale, che non riesce nemmeno ad esaurire le richieste, e il sondaggio fatto, dà una cosa di cui dobbiamo da operatori tenere conto. Gli studenti si iscrivono lì perché vogliono una scuola fatta in maniera diversa, non vogliono una scuola fatta in maniera uguale per tutti, e questo è un dato che dobbiamo tenere presente. Una soluzione che può dare il campus. Il campus è chiaro che andrà fatto, costruito, studiato, organizzato, amministrativamente messo a posto, ma l’idea è di dare uno strumento organizzativo scolastico che abbia una pluralità di offerte formative fino all’alta formazione professionale in senso continuativo. Questo è un dato positivo che ha anche esperienze in altre Paesi, che noi non dobbiamo perdere come occasione per dare una risposta reale e concreta ai nostri giovani.” Nel frattempo è entrato in aula il Consigliere Mauri. (Presenti 38) Presidente del Consiglio: “Ringrazio il Professor Pasolini, e capite che evidentemente io insisto sugli otto minuti, ma sarebbe assurdo se togliessi la parola all’ottavo minuto e un milionesimo di secondo, perché c’è un ragionamento da concludere. Do la parola a Stefano Piccinini, Coordinamento genitori e insegnanti. Lo invito al tavolo, si prepari Patrizia Quartieri della Rete Scuole.” Stefano Piccinini (Coordinamento genitori e insegnanti): “Mi autolimito a quattro minuti, perché so che c’è stato un leggero qui-pro-quo, non voglio togliere parola ad un amministratore locale, a un Assessore alla pubblica istruzione che non era iscritto nell’elenco. Quindi quattro minuti per me e quattro per l’Assessore Berardi.” Presidente del Consiglio: “Va bene, d’accordo, se sta nei 4 minuti possiamo recuperare anche la posizione dell’Assessore.” Stefano Piccinini (Coordinamento genitori e insegnanti): “Ringrazio non formalmente la Provincia perché oggi ci invita e ci ascolta, so, perché sono presidente di un consiglio di circolo, che a volte le 28 assemblee che organizziamo per un singolo plesso vedono più pubblico, più numero di quanto non ci sia oggi qui, nonostante credo che sia un numero notevole rispetto alla norma dei Consigli provinciali, a significare che la scuola è un tema che riguarda tutti, sempre, e che non credo possa essere letto dietro la logica dello schieramento politico. Il nostro coordinamento viene dalla marcia dei 40.000 che nel febbraio 2004… No, assolutamente, quelli di Piazza Duomo del febbraio 2004 che, di fronte alla pubblicazione della legge dissero: c’è qualcosa che non va. Vogliamo pensare che quei 40.000 fossero ideologicamente schierati? Possiamo tranquillamente farlo, è possibile, ma io da Presidente del Consiglio di circolo, di un piccolo Consiglio di circolo che governa mille studenti, vi dico: credetemi, non è così. Non ci sono etichette politiche dietro la preoccupazione di un genitore che vede una riforma che è un salto indietro. …. Faccio il mio intervento fino in fondo, nel senso che se la mette sul piano della storia di questo Paese, a me piace ricordare che un cattolico democratico nel 1961, si chiamava Amintore Fanfani, prese tutta la paccottiglia che era costituita dalle scuole di avviamento professionale e disse: da 11 a 14 anni tutti vanno a fare la scuola media inferiore. E’ storia di questo Paese che furono creati programmi obbligatori per tutti uguali in quella fascia di età, in cui per esempio si insegnava, pensate, a chi doveva aprire un’impresa edile, la fotosintesi clorofilliana. Nel 1961 forse questa cosa non fu capita, però in 45 anni ha dimostrato che per esempio in Provincia di Milano, con una buona scuola media inferiore si producono un terzo dei brevetti – è un dato pubblicato dalla Provincia – che si producono in questo Paese. Una buona scuola secondaria inferiore, una buona scuola tecnica. Io non credo che i brevetti vengano dai licei, da gente che ha studiato nei licei, io ho fatto il liceo ma so che chi studia all’Itis fa matematica molto meglio di chi lo fece a suo tempo nel liceo scientifico. Perché dobbiamo perdere questo tipo di tradizione e di risultato concreto, per fare un salto che, a legge letta da tutti, a dati concreti, è un salto indietro. Nelle scuole elementari si insegna, da quest’anno, un’ora in meno di inglese. I cinesi educano un milione di ingegneri all’anno ma insegnano l’inglese da quando hanno tre anni, perché hanno capito ovviamente che se tu introduci una lingua straniera molto presto risolvi i problemi di integrazione linguistica globalizzante. Al di là di questo, i miei quattro minuti sono già passati, io vi chiedo, come Consiglieri provinciali, di dare ascolto ad una preoccupazione forte, che non è, ripeto, una preoccupazione ideologica. La percezione che abbiamo noi come genitori è che in questa fase la scuola venga vuotata di risorse. I costi dell’ignoranza sociale sono tradizionalmente costi infinitamente superiori ai costi dell’istruzione. Noi abbiamo una grande tradizione di integrazione di bambini diversamente abili nelle scuole. La percezione nostra, sul territorio della vostra Provincia, della nostra Provincia, è che attualmente si stiano riducendo le qualità e soprattutto la quantità delle risorse all’aiuto. E’ solo un esempio, perché vi porto, e concludo veramente, una preoccupazione di una mamma che due mesi fa mi ha fermato al di fuori del Consiglio di circolo e mi ha detto: per mio figlio mi è stato consigliato di fermarlo alla scuola dell’infanzia un anno in più, perché mi è stato detto che se gli accostiamo un insegnante di sostegno per una ventina di ore alla settimana riusciamo ad ottenere risultati che non riusciremo ad ottenere se andasse con i propri coetanei. Il bambino è cosciente di questo, la famiglia è cosciente di questo, il risultato è che delle venti ore richieste dall’équipe socio pedagogico e psichiatrica, ne sono state erogate soltanto otto. Noi riteniamo, come Consiglieri eletti dalle persone, che possiamo continuare a non dare risposta a questi bisogni. Sono bisogni che davvero ci costano troppo? Chiediamocelo, perché io come cittadino, parlando di scuola e dimenticando ogni ideologia, credo che su questa mia domanda la risposta nel cuore di ognuno sia sempre la solita.” Presidente del Consiglio: “Do la parola a Patrizia Quartieri, della Rete Scuole, si prepari Alfia Nicotra della Segreteria generale CGIL scuola Milano.” 29 Patrizia Quartieri (Rete Scuole): “Intanto un grazie anche da parte mia all’istituzione che ascolta la scuola. Ci spiace che l’ascolti il 30 di giugno, quando le scuole in gran parte sono chiuse, tuttavia le persone che sono qui stanno a testimoniare quanto la scuola ci stia a cuore. Una domanda di fondo, prima di entrare nel merito, è quella di domandarci quando stia a cuore davvero la scuola all’Amministrazione, all’istituzione tutta, se è davvero ritenuto un tema fondamentale, strategico. Per noi di Rete Scuole lo è. Rete Scuole è un movimento trasversale di insegnanti e di genitori, non partitico, che da due anni si batte per la difesa della scuola pubblica e per la qualità della scuola pubblica. Con la riforma Moratti abbiamo assistito ad un arretramento dello Stato rispetto ai suoi compiti istituzionali, lasciando alla solitudine delle famiglie la scelta del percorso educativo dei propri figli, in una concezione che ci appare troppo liberista e che penalizza nei fatti gli strumenti di chi non ha la possibilità di scegliere. Assistiamo ad un impoverimento culturale, economico, che va nella direzione opposta ad una scuola di qualità per tutti, come invece ci chiede la costituzione. Certo, noi ci rendiamo conto che un’Amministrazione deve far fronte a tante altre tematiche, e raccordare tutto in un quadro complessivo, ma se pensiamo ad una politica che abbia il coraggio e la forza di guardare oltre l’oggi e senta la responsabilità del domani, allora la scuola assume un’importanza strategica, perché un Paese cresce e si sviluppa se cresce il livello culturale dei suoi cittadini. La conoscenza è una frontiera strategica per la democrazia. Ecco perché noi riteniamo che il tema della scuola debba essere considerato prioritario e affrontato con più forza proprio da chi ci rappresenta. Vogliamo una cittadinanza attiva, pensante, consapevole delle proprie scelte? Bene, in base a come rispondiamo decidiamo a quale posto mettere la scuola. Comunque, al di là della chiamata in causa direttamente, per responsabilità istituzionali che afferiscono alla scuola superiore, alla formazione professionale, noi ci aspettiamo dalla Provincia un pronunciamento politico e chiaro su questa legge. I nostri ragazzi, io sono anche un genitore oltre che un insegnante, hanno bisogno di andare a scuola e hanno il diritto di avere una scuola di qualità per imparare ad apprendere, in un mondo che muta rapidamente le richieste e in cui le competenze acquisite devono far parte di un bagaglio spendibile in contesti diversi e non puramente finalizzato ad un lavoro presto obsoleto. Il rischio, l’abbiamo davanti agli occhi, è la marginalizzazione, l’esclusione precoce, l’analfabetismo di ritorno, la devianza. Oggi con la legge 53, a nostro avviso, siamo in una logica di smantellamento della scuola, non solo in termini economici o di risorse ma anche in termini valoriali. Anziché colmare le differenze di partenza e investire perché i ragazzi restino a scuola, si va nella direzione opposta. E’ già stato detto e non mi soffermo, questa riforma è passata attraverso una legge delega, quindi senza nessuna discussione in Parlamento, non è stata terreno di confronto fra chi la scuola la vive tutti i giorni, non è stata terreno di confronto né tra insegnanti né tanto meno fra i genitori e società civile. Ha ricevuto pareri negativi dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, dall’Anci, da comitati scientifici. Non c’è consenso su questa legge nemmeno all’interno della stessa maggioranza, eppure è stata imposta. La scuola d’infanzia, qualcuno prima parlava di generalizzazione della scuola d’infanzia. Benissimo, però se andiamo a vedere, a leggere la legge, ci accorgiamo che i tempi ad esempio per la scuola d’infanzia, la fascia di frequenza per i bambini è talmente differenziata da farla tornare ad un nido, a fargli perdere dignità di scuola, perché una scuola si può fare se c’è comunque un progetto didattico educativo che prevede dei tempi scuola necessari perché questo avvenga. Invece sta tornando ad essere un parcheggio. La scuola d’infanzia è la scuola all’occhiello della scuola italiana, è stata invidiata a livello europeo, e invece è un passo indietro questo. Anziché rendere obbligatorio l’ultimo anno della scuola d’infanzia come veniva chiesto, perché è un anno propedeutico, è un anno integrativo, è un anno importante di raccordo con la scuola elementare, no, si è introdotto l’anticipo. Bambini che a cinque anni e mezzo possono andare alla scuola elementare, con bambini di sette anni, con un divario di età di ben venti 30 mesi, e chi ha figli piccoli sa benissimo in venti mesi a quell’età che differenze ci sono. Che bisogno c’era? Si è risposto davvero ai bisogni dei bambini? Perché un interrogativo di fondo è questo: questa riforma va incontro ai bisogni dei bambini? A quali bisogni va incontro? Chiediamocelo! Non va incontro ai bisogni dei bambini. I bambini hanno bisogno forse di più tempi, di tempi distesi, come per il tempo pieno. Noi chiediamo ad esempio alla Provincia che risponda sull’abrogazione del tempo pieno. E’ stato detto prima dal Dott. Dutto che Milano e Provincia ha una frequenza del 80% del tempo pieno. Vuole dire che questa richiesta di scuola è voluta dalla maggior parte delle famiglie, che non sono famiglie di destra o di sinistra, del centro o della periferia, è un’esigenza di questa realtà metropolitana, che non offre altre alternative ai bambini, ai ragazzi. E’ quindi più che mai indispensabile mantenerla, oltretutto il progetto di tempo pieno che è nato trent’anni fa come risposta ad un’esigenza della popolazione, si è qualificato nel tempo come un modello pedagogico alto. Certo, forse qualcuno potrà dirmi che è un modello costoso, se ragioniamo solo in termini di risparmio economico, ma se ragioniamo in termini di investimento non lo è affatto. La scelta di due insegnanti che accompagnano la crescita di un gruppo classe per cinque anni, mettendosi in discussione, organizzando, programmando, confrontando, verificando, lavorando in team, secondo me è stato quel valore aggiunto che ha reso il tempo pieno una scuola di qualità e una scuola richiesta. Questa abrogazione tout court ha proprio il sapore di un’ottica breve, di uno sguardo piccolo, oscurantista. Per non parlare della scuola superiore, di cui forse si è già accennato e parleranno ulteriormente. Solo per dire questo è l’unico Paese che abbassa l’obbligo scolastico, che obbliga un ragazzino a tredici anni a dover scegliere. Poi, all’uscita del primo decreto, prima qualcuno diceva si è scesi in piazza in 40.000, sì perché ci si è accorti che le famose tre “i” tanto propagandate non avevano nessuna sostanza dietro, perché l’inglese diminuisce, perché con la finanziaria del 2005 dal prossimo anno probabilmente non avremo neanche più gli specialisti di lingua inglese. Gli specialisti verranno inseriti nelle classi e la lingua inglese chi la insegnerà ai nostri bambini? Le insegnanti come me, che non hanno mai fatto inglese e che con magari cinquanta ore on-line impareranno l’inglese e impareranno pure a insegnarlo, ma così si risparmia. Così si qualifica la scuola pubblica, così si va in Europa secondo voi? Ancora una cosa, abbiamo detto che questa riforma non risponde ai bisogni, io lavoro nella scuola e mi confronto con altri colleghi. Il quadro che emerge dalle nostre scuole non è esattamente quello che ci raccontava il Dott. Dutto, che penso dia dati veritieri, perché chiaramente riportano una media, ma noi ci accorgiamo che abbiamo meno scuole, meno classi ma più numerose, meno insegnanti, meno tempo scuola, meno insegnanti di sostegno, meno risorse finanziarie, nessuno stanziamento in due anni per le nuove tecnologie, la famosa “i” di informatica. Manutenzione, chiedete ai Comuni, meno soldi, meno fondi per le supplenze, più precariato. Allora, che cos’è? Solo un risparmio economico questa riforma? No, quello di cui siamo preoccupati ancora di più è che questa va a toccare i valori della costituzione, perché non dà più garanzie a chi ha meno di avere le opportunità necessarie per avere una formazione e un diritto alla cittadinanza come tutti gli altri. Sono discorsi di fondo, non sono discorsi massimalisti, sono discorsi che qualificano uno Stato nelle scelte di fondo che fa. Noi vogliamo l’abrogazione di questa legge, noi vogliamo l’abrogazione di tutti i decreti che sono stati emanati, ma non per fermarci a questo. Noi crediamo che la scuola vada rinnovata, ma entro tre presupposti di fondo. La scuola italiana, per fare una vera riforma ha bisogno di risorse, non illudiamoci che si possano fare riforme senza risorse. La scuola italiana ha bisogno di un progetto culturale coerente con la funzione che la scuola deve svolgere nella realtà di oggi, per creare condizioni di uguaglianza e di giustizia sociale. E una riforma deve parlare a tutti i cittadini, perciò deve partire dal basso, deve essere condivisa dalla stragrande maggioranza dei suoi cittadini, non deve essere imposta. E’ vero, come qualcuno prima accennava, credo il Dottor Barzaghi, stiamo studiando per costruire una bozza di legge popolare, non perché vogliamo essere dei legislatori, noi non lo siamo, ma sentiamo la responsabilità di indicare una strada. A voi la scelta di farla insieme. 31 Fra pochi mesi inizierà una nuova campagna elettorale, verificheremo quanto ai politici sta a cuore davvero la scuola di tutti e per tutti, dallo spazio che daranno alla scuola nella loro campagna elettorale, dagli impegni che saranno disposti ad assumersi, sulla base di queste richieste. E’ in gioco il nostro futuro e soprattutto dei nostri figli. saremo vigili e non ci lasceremo incantare.” Nel frattempo è uscita dall’aula l’Assessore Benelli, mentre è entrato l’Assessore Matteucci. Presidente del Consiglio: “I Consiglieri capiranno che non posso fisicamente impedire gli applausi, mi spiace. Do la parola ad Alfia Nicotra, si prepari Roberto Rivolta e, successivamente, Gregoria Cannarozzo. Do la parola ad Alfia Nicotra, la raccomandazione è sempre possibilmente otto minuti, prego.” Alfia Nicotra (Segretaria generale CGIL scuola Milano): “Siccome rappresento circa settemila iscritti, più il 45% di risultato alle elezioni del RSU su 50.000 addetti della scuola, penso di avere anch’io diritto ad una rappresentanza. … Inizio ringraziando il Consiglio provinciale e soprattutto la Giunta per aver permesso questo incontro e questo confronto sulla scuola, perché segna quello che noi riteniamo debba essere un metodo diffuso, quando si parla di problemi sostanziali che fanno riferimento ai temi costituzionali e di tutela di tutti i cittadini di questo Paese, cioè quel metodo del confronto che fa sì che tutti possano partecipare all’elaborazione di una riforma o di un intervento che riguarda appunto tutti i cittadini di questo Paese e non una parte o l’altra parte di uno schieramento politico. Ora, credo che rappresentando non solo i lavoratori della scuola, ma facendo parte di un sindacato confederale, credo di rappresentare anche tutti i diritti di quei lavoratori che votano per tutti voi, e quindi i diritti dei loro figli ad avere una scuola di qualità, una scuola che sia il luogo della promozione sociale e che dia a tutti la speranza e l’opportunità per il futuro, ritengo di dover dire, dopo essere entrata nel merito della legge, averla studiata, approfondita, perché mi piacerebbe molto che tutti avessero fatto la stessa cosa e che sapessimo tutti parlare con cognizione di causa, di aver trovato in questa legge la negazione stessa del diritto alla promozione sociale per tutti i cittadini di questo Paese, a partire dal fatto che una legge che non dà sostegno economico a se stessa è una legge che è destinata a fallire in partenza. Due, una legge che non è condivisa da quelli che la devono applicare, perché attenzione, indipendentemente dai contenuti e dal valore di questa legge, quando una legge deve essere poi applicata dagli operatori, ci deve essere un alto livello di consapevolezza e condivisione, perché altrimenti è il fallimento stesso di quella legge. E’ stato reso noto da indagini dettagliate che questa condivisione non esiste, c’è una resistenza fortissima da parte degli operatori della scuola e da parte delle famiglie, nei confronti di questa legge, che rischia già in partenza il fallimento. Poi posso dire, sono anche contenta, ma mi dispiace perché è il fallimento della scuola pubblica, quella scuola che ha permesso a me e a tutti voi una promozione sociale che forse non era nelle cose nell’immediato dopoguerra. Seconda cosa, vorrei dirvi una sigla, tutti hanno fatto riferimento nei loro interventi al CNPI, tutti hanno fatto riferimenti, nessuno ve l’ha spiegato. Ve lo spiego io. Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione è un organismo elettivo, rappresenta tutte le anime politiche e sindacali presenti nella scuola, e quando il CNPI che rappresenta tutti, in tutte le sue delibere, quasi sempre all’unanimità, ha bocciato i contenuti di questa legge, non è una rappresentanza di parte ma è una rappresentanza generale e quindi ce la dice lunga su cosa ne pensano i tecnici di questa riforma. Ma andiamo ad alcuni dati, perché vede, Dott. Dutto, i dati dipende da come li diamo, possono essere dati in modo diverso, possono essere esposti in modo diverso. Andiamo a prendere la finanziaria di tre anni fa, che si intreccia fortemente con questa riforma, la quale finanziaria di tre anni fa, è scritto, potete verificarlo, ha tagliato 34.000 posti docenti. Bene quei 34.000 posti tagliati in questi tre anni, 32 hanno avuto come ricaduta diretta e immediata, per esempio in provincia di Milano, un taglio di ottocento progetti che servivano all’integrazione di tutti gli alunni, “tutti” gli alunni in grave difficoltà di apprendimento, cioè quei ragazzi e quei figli di quei lavoratori che tutte le mattine si alzano, vanno a lavorare, provvedono alla ricchezza di questo Paese ma che hanno forse bisogno più degli altri di essere sostenuti. Bene, progetti in meno, azzerati da questo Governo. Abbiamo avuto l’azzeramento di tutte le possibilità. Il Dott. Dutto dice: abbiamo un finanziamento per gli alunni stranieri. Traduciamolo, significa che la scuola può pagare qualcuno per. Ma voi ritenete davvero pensabile che un esterno che passa da lì provvisoriamente possa intervenire in un progetto di crescita della scuola, oppure si possa pagare un insegnante che dopo che ha fatto tutte le sue ore, decide di fare qualche ora per l’inserimento degli alunni stranieri o dei bambini in grave difficoltà di apprendimento. Quello che ci lascia molto esterrefatti è questa cosa, il tempo pieno è nato in questa Provincia, è nato a Milano e a Torino. Ora, molti di voi ritengono il federalismo, la cultura territoriale, un dato fondamentale. Bene, ma per quale motivo un fiore all’occhiello della Provincia di Milano, come è stato il tempo pieno, che è stato la soluzione di qualità al bisogno di istruzione, per quale motivo non viene difeso? E’ nato in Provincia di Milano, e se qualcuno ha bisogno che io gli racconti la storia, sono disponibile in qualsiasi momento. Non adesso, per carità! …. Non c’è problema. Il secondo punto, così come il tempo pieno, in questa città è nata l’istruzione tecnico professionale, altro fiore all’occhiello di questa città che viene cancellata banalmente dalla riforma. Terzo elemento, devo buttare lì delle cose che avrei voluto sviluppare, pazienza, viene introdotta la sperimentazione. Qualcuno mi deve spiegare per quale motivo l’introduzione della sperimentazione anziché valorizzare e favorire la formazione professionale, che avrebbe avuto da questa sperimentazione, ha finito con il portarla ad una tale crisi che tutti i centri di formazione professionale l’hanno dovuta dichiarare. Per la prima volta, signori, nella storia di questa Regione, i lavoratori della formazione professionale rischiamo il licenziamento, perché la formazione professionale non viene più finanziata dalla Regione Lombardia. Ultima cosa, e parliamo di numeri, generalizzazione della scuola dell’infanzia e introduzione dell’anticipo a due anni e mezzo. Le liste di attesa che molti Comuni hanno dei bambini di tre anni, ma è pensabile che si possa parlare di anticipo quando non viene data risposta a chi ha un diritto primario, avendo compiuto i tre anni? Lo sapete come è stata risolta in parte lo scorso anno l’apertura delle nuove classi di scuola dell’infanzia, delle pochissime che sono state concesse? Con questo piccolo ricatto, andatelo a chiedere agli Assessori e ai Sindaci dei Comuni che governa anche il centrodestra: io ti do un docente e tu ne metti un altro. Nell’anno in cui la finanziaria tagliava i fondi agli enti locali, questo è un dato oggettivo, verificate. L’ultima cosa riguarda il precariato. Bene, abbiamo risolto il problema del precariato. In Provincia di Milano, abbiamo fatto i conti oggi, abbiamo 4.500 posti vacanti del personale ATA. Lo sapete quanti ne sono stati dati in ruolo per tutta l’Italia per il prossimo anno? Cinquemila, cioè 4.500 posti vacanti li abbiamo solo a Milano, il prossimo anno verranno immessi in ruolo cinquemila per tutto il territorio nazionale. Noi il prossimo anno avremo più di duecentomila posti vacanti. Guardate, faccio il mestiere di chi deve tutelare i lavoratori, per carità, ma faccio il mestiere anche di chi vuole una scuola di qualità e un turnover spaventoso come negli ultimi anni di precari nella scuola non permetterà mai più di avere una scuola di qualità, perché 250.000 persone che girano, cos’è Consigliere, un modello post moderno di comunicazione questo? Grazie. Ringrazio ancora l’Assessore Barzaghi e la Giunta per averci dato questa possibilità.” Presidente del Consiglio: “... Scusate, vorrei ricordare che non siamo allo stadio. Per favore, non siamo allo stadio! Stiamo sentendo opinioni, insisto, i Consiglieri avranno tutto il tempo a disposizione per esprimere le proprie posizioni. Do la parola a Roberto Rivolta, si prepari Gregoria Cannarozzo. 33 Aiutatemi a gestire questo Consiglio con un certo ordine possibilmente. Roberto Rivolta, prego, otto minuti.” Roberto Rivolta (Insegnante istituto professionale Marie Curie): “Sono un insegnante del Curie, l’insegnante di un istituto tecnico di Milano.” …. Presidente del Consiglio: “Non facciamo commenti sulle persone, per favore. Prego Rivolta. …. Scusate, se continuiamo così… Scusate, prima cosa chiederei ai Vice Presidenti di darmi una mano, nel senso che non è facile reggere una situazione così. Pregherei i Vice Presidenti di accomodarsi e darmi una mano. Dopodiché, se continuiamo così, fra un po’ sarò costretto a dire che faccio sgombrare l’aula, perché non siamo allo stadio. Abbiamo detto che non doveva essere un’assemblea, io capisco poi che è quasi inevitabile che ci siano azioni di dissenso e di consenso. Stiamo calmi, così riusciamo a completare gli interventi ed aprire poi il dibattito. Prego Rivolta, stiamo in silenzio per favore.” Roberto Rivolta (Insegnante istituto professionale Marie Curie): “Dovrei comunque ringraziarvi per l’ascolto che ci date, sia Consiglieri di maggioranza che dell’opposizione, se ascolto c’è. Come dicevo, faccio parte di un gruppo di insegnanti che partecipa al movimento che si è opposto alla controriforma della Moratti. Questo movimento è anche quello che ha contribuito a modificare questa maggioranza provinciale. …. Io continuo a parlare, mi spiace che non ascoltiate. E’ ovvio che i componenti di questo movimento adesso chiedano anche a questo Consiglio provinciale di esprimersi in maniera coerente con quello che era il programma. Più di quaranta scuole superiori del milanese hanno espresso mozioni di netta contrarietà alla controriforma Moratti, chiedendone l’abrogazione. In alcune si è arrivati ad un’occupazione simbolica, al Curie partecipavano anche genitori e studenti, questo a dimostrare l’ampio fronte di contrarietà. Intanto sul metodo della riforma, una riforma che è stata definita come epocale, nasce come legge delega, nelle superiori addirittura si affida la sua stesura ad una commissione di esperti i cui componenti non sono neanche noti. Vengono proposte diverse bozze, prevale poi l’ultima, approvata il 27 maggio. Il testo dello schema è stato reso noto solo pochi giorni fa, il Ministro licenzia un testo mai confrontato con nessuno. Con la scuola non si è proceduto a nessun tipo di consultazione. Pochissimi e vacui gli incontri con i sindacati, misero anche il confronto con le Regioni, il cui coinvolgimento per quanto attiene al secondo ciclo è determinante, avendo competenze rilevanti. Non a caso, le Regioni hanno espresso una protesta formale. Entriamo nel merito delle scelte, tratterò solo di argomenti dei tanti che si dovrebbero trattare a riguardo della riforma, per quello che riguarda il secondo ciclo, tratto l’argomento della scelta precoce e il doppio canale. La scelta precoce. Con la riforma lo studente o la studentessa, e la famiglia che sta dietro, si trova a dover decidere il suo futuro scolastico e quindi come sarà la sua stessa vita, a dodici, tredici anni. Statisticamente i nuovi nati hanno un’aspettativa di vita di oltre cento anni, chi insegna nel biennio delle superiori, soprattutto, sa quanto la loro maturazione differisce nel tempo rispetto solo a ragazzi di pochi anni prima. Una delle ragioni della dispersione scolastica, dell’abbandono e dell’insuccesso, sta proprio nel fatto che gli studenti hanno necessità di tempi più distesi di apprendimento. Obbligarli a scegliere a dodici, tredici anni, decidere il loro futuro, equivale a legarli ancora di più a scelte determinate dallo stato sociale di provenienza. Invece che puntare, ad esempio, su un biennio unificato unitario, che permette tempi e modi per una scelta consapevole, li si costringe ad una scelta decisamente precoce, che ovviamente marcherà ancora di più le differenze per stato sociale o nazionalità, considerando i tanti stranieri che adesso frequentano le nostre scuole. La scelta precoce, data anche l’offerta del doppio canale, come vedremo, va insomma a distinguere e separare ancor più per classe sociale, invece che favorire l’integrazione. Va insomma contro quanto auspicato dalla nostra stessa Costituzione. 34 La scelta, il doppio canale. A tutt’oggi, o a tutto ieri, abbiamo la scuola fatta principalmente da licei, istituti tecnici, istituti professionali statali. La loro durata è di cinque anni, permette l’accesso all’università, in tutte le aree è previsto un corretto rapporto tra materie tecniche, professionalizzanti e formativo culturali. A parte poi c’è la formazione professionale regionale, in cui si impara il mestiere, curato da enti accreditati, aziende, ecc. E’ chiara la differenza. Con la riforma invece abbiamo la proposta dei due canali, quello dei licei e quello dell’istruzione e formazione professionale a carattere regionale. Gli istituti professionali statali e una buona parte dei tecnici verrà ricondotta al secondo canale, azzerando quel patrimonio storico di specializzazioni che specie in Lombardia ha regalato fior di tecnici. Pensiamo all’esempio del Feltrinelli che è stato uno dei primi istituti tecnici italiani e alle sue specializzazioni. La popolazione dei tecnici e dei professionali è di circa il 60%, il restante 40% si distribuisce nei licei. In questo 60% si ritrova una percentuale altissima di studenti provenienti da famiglie non agiate, per stato sociale e nazionalità. E’ a questo 60% quindi che si rivolge il sistema di istruzione e formazione. Di fatto a loro viene negata quella possibile emancipazione, crescita culturale e sociale che invece dovrebbe vederli come soggetti primari. Il loro ruolo è destinato ad essere di forza lavoro, futuri esecutori lontani dalla popolazione dei licei a cui si dà la prospettiva di proseguire effettivamente gli studi e divenire la futura classe dirigente. Questo noi riteniamo sia un progetto abietto che ci riporta indietro negli anni, all’avviamento professionale. Nello schema si parla di pari dignità tra i due sistemi, con fini comuni, tranne però affermare che sia l’alternanza scuola lavoro che l’apprendistato fanno parte a pieno titolo del percorso scolastico e assolvono il fantomatico diritto/dovere. In parole semplici, l’apprendistato e l’alternanza scuola lavoro diventano scuola a tutti gli effetti. Si parla di possibilità di passaggio dall’uno all’altro sistema, ben sapendo che il percorso, come già accade, può essere solo a caduta, cioè dal liceo alla formazione. Lascio perdere il discorso sui campus, in cui di fatto, si creano scuole o classi ghetto, differenziali, in cui riciclare i ragazzi che non riescono o non sono ritenuti adatti a frequentare i licei. Mancano indicazioni chiare sulle risorse e sulle modalità di realizzazione di questa riforma. Il problema ricade anche sulle Regioni e, conseguentemente, sulle Province, specie per quello che riguarda l’aspetto di edilizia scolastica. Si dice che tutto avrà inizio nell’anno scolastico 2006/2007, ma a dicembre 2005 gli alunni delle medie dovranno ricevere informazioni che le scuole non saranno in grado di dare. Si verificherà, probabilmente, un ulteriore fuga verso i licei, ma non per scelta consapevole ma solo per il timore, nella confusione, di fare scelte sbagliate o penalizzanti. In conclusione, occorre fermare il percorso di questo schema legislativo. Per questo chiediamo una vostra pronuncia in senso negativo, che chieda l’abrogazione della riforma. Da parte nostra presenteremo a giorni una nostra bozza di proposta di legge popolare per la riforma della scuola. Il futuro si costruisce a scuola, con i bambini e gli studenti di oggi. Ci vuole la stessa determinazione che nel lontano ‘62 portò all’istituzione della scuola media unica, il più grande processo di promozione sociale realizzato nel nostro Paese per cambiare in meglio. Agiamo oggi in modo da non doverci vergognare di fronte ai cittadini di domani.” Nel frattempo è entrato in aula l’Assessore Casati. Presidente del Consiglio: “Do la parola a Gregoria Cannarozzo, si prepari Antonio Bernasconi.” Gregoria Cannarozzo (Università di Bergamo): “Grazie per l’invito, grazie per la frequenza delle persone. Sono stata bene impressionata da come si è svolta la seduta finora, perché è stata piena di vita. Rispetto a quello che riguarda la riforma, io partirei da un concetto che da più persone è stato ripreso, il concetto di perfettibilità, anche perché è vero che siamo nella società della conoscenza, ma siamo, dopo… Popper, nella società dell’incertezza e della verificabilità della conoscenza. 35 La riforma. Leggere la riforma secondo uno schema lineare non ci aiuta a comprenderla. Io preciso che sono una tecnica, quindi non sforo in altri settori. Essa va collocata se vogliamo comprenderla, non dico amarla o condividerla, capirla e basta, visto che siamo nella società della conoscenza, e quindi poi discuterla, è ovvio. Essa comunque va collocata nell’orizzonte istituzionale e pedagogico che è stato disegnato dall’autonomia delle istituzioni scolastiche e dai docenti, tracciato fra la legge Bassanini n. 59 del 1997 e il D.P.R. 275 del 1999, dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. L’art. 21 della Bassanini, in particolare, ci colpisce perché esso ripropone due principi fondamentali: - la libertà di scelta educativa della famiglia, richiamandosi agli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione italiana; - l’autonomia delle istituzioni scolastiche, quella che è descritta, esaminata, in uno dei D.P.R. più disapplicati in assoluto, come è stato detto prima, il D.P.R. 275/99. Autonomia, ma quale autonomia? Basta leggere l’art. 1, è un’autonomia funzionale. Significa che le scuole e gli insegnanti non realizzano, ma lo sanno bene, la loro autonomia se non rispondono a quella che è la richiesta del destinatario dell’offerta formativa. E i destinatari dell’offerta formativa sono, come tutti sappiamo, i genitori, le famiglie. Cosa sto chiamando in campo? Il piano dell’offerta formativa, quello che è vero che lo deliberano i collegi dei docenti, ma dovrebbe prevedere una fase di negoziazione anche con le famiglie, anche perché con la riforma l’opzionale facoltativo e l’obbligatorio, che peraltro basta leggere gli artt. 4 e 8 sulla flessibilità del D.P.R. 275/99 erano già presenti, l’orario obbligatorio, le 27 ore per intenderci, e l’opzionale facoltativo, rispondono ad un criterio preciso. Intanto, già nel D.P.R. 275/99 l’orario era annuale. Annualmente, una volta che l’opzionale facoltativo è stato scelto, è anch’esso obbligatorio. Che cosa significa? Lo dico anche se penso che tutti lo sappiano. Obbligatorio garantisce l’equità, sono i livelli essenziali delle prestazioni del servizio professionale che le scuole sono tenute a dare in base al D.P.R. 275/99. L’opzionale facoltativo garantisce la libertà di scelta educativa dei genitori. E’ ovvio che i genitori devono avere voce in capitolo, ma se l’opzionale facoltativo diventa una cosa aggiuntiva, residuale, insignificante, altro rispetto a quello che è l’obbligatorio, per forza poi arriviamo alle riduzioni dell’orario, un’ora di inglese nell’obbligatorio, nei livelli essenziali delle prestazioni del servizio. Ma chi impedisce alle scuole autonome e ai docenti, se questa è l’esigenza, di orientare l’opzionale facoltativo, ampliando l’inglese? Dipende esclusivamente dall’analisi dei bisogni del territorio, delle famiglie e dalla realizzazione della offerta formativa. Questo però non è la riforma Moratti, chiedo scusa, questo è il D.P.R. 275/99, perché c’è un principio basilare nel D.P.R. 275/99, art. 4 e art. 8, che è il principio di flessibilità, quello che ci fa intendere che se l’orario non è presentato in monoblocco 40 ore, ma è presentato per rispettare il principio del ‘99, la libertà di scelta educativa dei genitori, in obbligatorio, quindi 27, fino a + 3, fino a + 6, e fino a + 10 o fino a + 7 per il tempo eventualmente dedicato alla mensa, poiché esso è così raffigurato, si pensa che non ci sia più il tempo pieno. E’ ovvio che è così…… …. Chiedo scusa, l’ho detto prima. E’ ovvio che è così raffigurato per dare l’idea della flessibilità. (Chi avesse voglia di conferire con me gli do la posta elettronica e ci scriviamo, perché sono molto interessata ad avere un confronto e soprattutto un dialogo, insegno pedagogia interculturale). L’altro punto è la questione che noi non dobbiamo dimenticare, la riforma del Titolo V della Costituzione, perché è giustappunto il Titolo V della Costituzione che attribuisce la legislazione esclusiva alle Regioni della istruzione e formazione professionale. E’ il Titolo V modificato della Costituzione, la legge 3/2001, art. 117: lo Stato detta solo le norme generali e definisce i livelli essenziali delle prestazioni. All’art. 188 abbiamo lo strumento per attuare quello che non ci piace, ed è il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale, Comuni, Regioni, Province, città metropolitane e Stato, è l’ente autonomo più vicino al cittadino a rispondere per primo ai suoi bisogni. Questo ci aiuta a non confondere la questione degli ordinamenti dello Stato con la questione della gestione dell’organizzazione che è invece di competenza delle Regioni. 36 Vado per punti perché il tempo è poco. Chi vede i bisogni dei bambini? Ho insegnato tantissimi anni anch’io, li vedono gli insegnanti, è ovvio che non dobbiamo avere questa preoccupazione, perché se gli insegnanti fanno bene, come fanno, il loro lavoro, i bisogni dei bambini li vedono gli insegnanti. I bambini sono troppi, ma c’è la possibilità, già dal D.P.R. 275/99, di scomporli in gruppi. La questione del tutor e del portfolio accenno soltanto perché non voglio aprire questa finestra, è stato detto che non sono nella legge. Sì che sono nella legge, perché sono nelle indicazioni nazionali e gli allegati al D.Lgs. 59 è vero che sono transitoriamente allegati al D.Lgs. 59 ma sono in atto, quindi è lì che lo troviamo. La questione del team che non c’è più, c’è l’équipe, cioè non è stato tolto nulla, è ovvio che è équipe, ma questa è una mia preparazione di studi, l’équipe ha bisogno di un coordinatore. Qualunque testo teorico sulle dinamiche di gruppo dice che un gruppo di più di tre persone non funziona se non è coordinato. Scelta precoce, 13 anni, ma se funzionano gli assunti precedenti del mettere al centro la persona, del personalizzare i percorsi, perché lo diceva don Milani che non è vero che si fa giustizia dando lo stesso a situazioni differenti. Quindi, se funziona la questione della personalizzazione dei percorsi, se si mette al centro la persona, se non si scambiano i fini con i mezzi, le persone con i contenuti, allora questo può avere un senso. Ho detto se, è ovvio che c’è da lavorarci sopra. La questione del secondo ciclo, tocco solo un punto, intanto la questione del secondo ciclo non ha due canali ma due sistemi di pari dignità. Ma la pari dignità non sta nel dividere in due canali, sta nell’innalzare, come è stato detto bene prima di me, il livello dell’istruzione e formazione professionale. Come si innalza? Non separando il lavoro dall’istruzione, perché è il lavoro per la persona e non la persona per il lavoro. Questo è un concetto fondamentale che è stato toccato anche prima di me. L’alternanza non è un lavoro precoce. Intanto poi non è l’apprendistato, perché quello è un contratto di lavoro a causa mista, l’alternanza scuola lavoro, nei due sistemi, permette anche agli studenti dei licei …… …. Non è pagata eh! Chiedo scusa, lo dico perché qualcuno l’ha detto, quindi lo preciso. Vuole dire che anche nel sistema dei licei gli studenti possono fare degli stage e fare dei tirocini osservativi, proprio per il discorso che lavoro e istruzione non sono separati e neanche separabili. L’ultima questione, dodici anni di diritto dovere d’istruzione e formazione, è un diritto sociale e civile, ed è di più dell’obbligo scolastico, perché è reciproco, basta leggere il concetto di diritto dovere che è nell’art. 14 della Costituzione europea. Grazie dell’attenzione.” Presidente del Consiglio: “Antonio Bernasconi, si prepari Marco Coloretti.” Antonio Bernasconi (Presidente Associazioni Enti Formazione): “Ringrazio il Presidente, grazie ai Consiglieri. Gli enti di formazione genericamente espressi in questo modo, altro non sono che gli enti storici del sistema delle imprese sociali, del sistema dell’associazionismo, del sistema delle rappresentanze sindacali, degli industriali e dei lavoratori che da trent’anni, da quarant’anni in questa Regione, soprattutto in questa Regione, stanno realizzando la parte di intervento che il Dott. Franchi, il primo relatore ha in qualche maniera illustrato. Noi siamo evidentemente una quota assolutamente marginale rispetto alle problematicità e soprattutto rispetto ai numeri che sono stati messi in gioco sulle persone che intervengono, sugli interventi che vengono fatti rispetto ai ragazzi in età di obbligo formativo. Ho sentito settantamila su due milioni e mezzo, e mi pare a questo punto di essere capitato all’interno di una bagarre che probabilmente è più grande dei numeri che possiamo permetterci di gestire. In Lombardia, peraltro, di questi settantamila, dodicimila sono i ragazzi in età dell’obbligo che frequentano, all’interno del sistema finanziato dalla Regione Lombardia, il canale formazione professionale che ha, negli ultimi anni, assunto la caratteristica di sperimentazione rispetto a quello che avrebbe potuto o dovuto essere un’ipotesi di riforma che si andava configurando secondo una serie di ipotesi che poi, con l’andare del tempo, attraverso le tredici bozze di decreti attuativi, per quanto 37 riguarda la riforma del sistema secondario, è andata poi connotandosi con attenzione ma anche con sfumature ed evidenze diverse da quello che sembrava essere espresso dalla 53. Volevo solo, da questo punto di vista, tentare rapidamente di motivare la ragione per cui la formazione professionale si trova…… Mi sono dato una ragione perché la formazione professionale si trova all’interno di questo processo. Storicamente, almeno per quanto riguarda l’esperienza che noi abbiamo gestito in Lombardia dagli anni ‘70 in poi, essendo il nostro sottosistema un sistema di piccoli numeri, e peraltro voglio dire di compattezze e peraltro voglio dire assolutamente gestibile attraverso processi facili, perché le persone impegnate all’interno di questi, i formatori, sono 2.000 all’interno del sistema del privato sociale, sono 1.500 all’interno del sistema pubblico, quindi quello gestito direttamente oggi dalle Amministrazioni provinciali, gestito fino a ieri direttamente dalle Regioni. Quindi stiamo parlando di un numero di formatori, comunque di operatori, che non supera in assoluto le 3.500 unità, e peraltro interviene, diceva prima Franchi, un processo che non riguarda esclusivamente l’intervento sul diritto dovere. Dodicimila dicevo, sono i giovani che dal 1° settembre frequenteranno, all’interno dei nostri centri, i corsi sperimentali. Su questa sperimentazione la Regione Lombardia ha scelto di investire, attraverso un processo, che poi è un processo di monitoraggio, di accompagnamento, per verificare quali sono i passaggi che consentano un’evoluzione anche del sistema della formazione professionale, in direzione di trovare, in accordo con delle sperimentazioni fatte gomito a gomito con dei colleghi degli istituti tecnici o degli istituti professionali, delle forme nuove che potessero trovare delle innovazioni che risolvessero o rispondessero a qualcuno, certamente non tutti, dei problemi che oggi comunque attanagliano il nostro sistema scolastico. Noi ci siamo prestati, ci siamo impegnati, non ci tiriamo evidentemente indietro adesso, esattamente come negli anni ‘70 avevamo in qualche modo dato la nostra disponibilità per sperimentare su piccola scala, con la possibilità evidentemente tutti quelli che sono poi risultati essere gli errori e gli eccessi di impostazione progettuale iniziale, quelli che poi sono diventati la partecipazione democratica delle famiglie, dei docenti, degli allievi, degli studenti, delle parti sociali, alla gestione della scuola negli organi collegiali. In Lombardia è nata questa esperienza, esattamente con l’inizio della formazione professionale che, delegata alle Regioni è stato uno dei primi atti che in Lombardia ha visto un impegno significativo. Negli anni successivi nella formazione professionale è stato sperimentato, io credo in maniera significativa, un rapporto altro e diverso con il sistema della produzione, con il sistema imprenditoriale. Tutti i nostri ragazzi, che in gran parte non erano ragazzi in obbligo formativo, sostanzialmente per semplificare la tipologia di intervento su cui intervenivamo, che era quella che ci portava ad essere, su un terzo per quanto riguardava giovani in età dell’obbligo, un terzo lavoratori che necessitavano di accompagnamenti rispetto ai processi di riconversione, di formazione continua, e un terzo riguardava giovani fuori dall’età dell’obbligo che, avendo concluso gli studi secondari, avendo concluso in qualche caso le università, necessitavano di forme di accompagnamento verso il lavoro. Non a caso la formazione professionale, da sempre, è stata governata dal Ministero del Lavoro e non dal Ministero dell’Istruzione. Non credo sia causale, perché era uno strumento che doveva favorire le politiche attive del lavoro e non doveva invece preoccuparsi principalmente di politica educativa. Un secondo esempio di disponibilità che abbiamo messo in gioco è stato quello di provare su una diffusione dell’utilizzo del tirocinio formativo, come strumento che complementarizzasse le conoscenze, le abilità acquisite all’interno della struttura scolastica, ma siamo andati avanti con questo tipo di approccio, perché proprio le caratteristiche si prestavano, io credo, per misurare con numeri in qualche maniera monitorabili, la fattibilità di un’ipotesi. L’abbiamo fatto sui primi processi di formazione continua, in Lombardia il capitolo 908 è un’esperienza che è nata all’interno del sistema di formazione professionale e si è trovata poi ad essere sviluppata attraverso processi che oggi vedono in gioco la bilateralità piuttosto che l’intervento diretto del sistema produttivo. 38 Rispetto alla sperimentazione che in qualche maniera fa riferimento alla legge Moratti e che è stata indotta dalla legge Moratti, è certo che la nostra Regione, la Regione dalla quale dipendiamo per quanto riguarda i finanziamenti, ma per quanto riguarda il riconoscimento dei progetti, ha deciso di essere uno strumento che, rispetto ad un modello, voleva dare una delle possibilità, delle alternative su cui misurare un modo diverso, un modo plurale, per dare offerte ai bisogni e alle esigenze delle persone. Io credo che l’esperienza che noi abbiamo fatto in questo campo sia un’esperienza ricca, in quanto una serie di peculiarità, nel senso che la formazione professionale non è scuola per quanto mi riguarda, ma ha delle peculiarità proprie che la caratterizza, e io credo la rendano, per certi aspetti, complementare e necessaria per poter offrire alle caratteristiche delle diversità, delle persone che non sono sempre uguali, dei canali che consentano comunque loro di arrivare a dei risultati comunque diversi da quelli del fermarsi dopo la bocciatura o dopo la prima ripetizione. Da questo punto di vista, è stata un’esperienza che io credo positiva, un’esperienza che peraltro, per le scelte fatte, ha esclusivizzato la tipologia degli interventi rispetto ai quali interveniamo. In Lombardia l’anno prossimo saranno 800 i corsi che fanno riferimento a questa sperimentazione. In questi 800 corsi saranno dodicimila i ragazzi che frequenteranno, e comunque sia, in Lombardia, dal 1 settembre, 400 ragazzi dopo la scuola media inizieranno un percorso che sarà quello dei quattro anni meno uno, e per loro, per la responsabilità che abbiamo, noi crediamo dobbiamo comunque trovare delle soluzioni che siano quelle di garantire il massimo dei risultati attraverso forme di confronto, attraverso forme, se è necessario, ma io credo sia necessario, di cooperazione sui territori, come abbiamo fatto fino a ieri e continueremo a fare da oggi, per poter garantire in qualche maniera un’evoluzione, non solo uno scontro. La pluralità di posizioni, per quanto ci riguarda, credo sia una ricchezza, dare delle possibilità differenti rispetto alle caratteristiche differenti, che non sono solo le diverse abilità ma sono le diverse caratteristiche delle persone che non possono utilizzare lo stesso strumento, lo stesso canale, per arrivare a dei risultati che in qualche maniera si assimilano. Vi ringrazio.” Assume la presidenza dell’adunanza il Vice Presidente del Consiglio Roberto Albetti. Vice Presidente del Consiglio: “Grazie. Si prepari Marco Coloretti.” Marco Coloretti (Assessore bilancio e personale Comune di Paderno Dugnano): “Volevo ringraziare l’intero Consiglio provinciale per l’opportunità data a tutti gli interventi e per aver aperto questa discussione su un tema così importante. Io mi chiamo Marco Coloretti, e sono attualmente Assessore al bilancio e al personale del Comune di Paderno Dugnano, non ho la delega alla pubblica istruzione ma ho partecipato, all’interno dei diversi step che sono stati condotti dal comitato che si è creato e che ha avuto come conduttore il Signor Piccinini, ho partecipato con altri amministratori a questa discussione in merito alla riforma Moratti e a quello che significava per l’ente locale la sua applicazione. Parlo al plurale, perché credo che questo non sia un problema solo del mio Comune, chiaro che porto un punto di vista che è parziale, che è legato ad una sensibilità politica, ma penso che per quanto riguarda l’impatto della riforma sugli enti locali credo che ci sia una convergenza che vada oltre l’appartenenza di forze politiche, ci sia una convergenza se la sleghiamo dall’ideologismo e guardiamo di più invece nel merito della questione. Io credo che nella Provincia di Milano, giustamente sia stato detto da più parti, si sia creata nel tempo una situazione di eccellenza per certi versi. Io credo che l’eccellenza, ad esempio, è una cosa che vada difesa, non vada smantellata. L’eccellenza se è possibile averla avuta, è anche data dal fatto che una grossa parte di interventi sono stati proprio condotti e sostenuti dalle politiche degli enti locali. Questo nella loro storia, non nella loro attualità, nella storia che ha voluto dire cercare di legare il bisogno 39 presente sul territorio, con politiche di intervento che ne sostenevano le giuste risposte. Ad esempio, in un Comune come il mio, di 45.000 abitanti, oggi possiamo dire abbiamo dato una risposta al 100% degli aventi diritto alla scuola materna. Questo perché è stato possibile? Non solo da un punto di vista nostro di essere capaci di costruire la scuola materna, e di offrire quindi questo servizio, ma anche di integrarlo con quello presente storicamente sul territorio e che è di natura diversa da quella pubblica, è la scuola parificata. Ma nel fare questo, abbiamo cercato di legare, attraverso convenzioni che ci siamo dati, standard di qualità e abbiamo cercato di legare proprio al tipo di risposta che c’era sul territorio, abbiamo cercato di tenere insieme una presenza che altrimenti sarebbe stata più difficile da sostenere con il solo intervento dell’ente locale. Io credo che quello che ci troviamo di fronte invece sia un problema che non so come risolvere, nel senso che noi abbiamo davanti dei costi sociali ed economici della riforma che ci impediscono di dare una risposta, stante oggi i costi che questo prevede e l’impedimento che gli enti locali hanno, dovuto sia al patto di stabilità sia al taglio dei trasferimenti che avviene in maniera continuata negli ultimi anni. Io credo, tanto per citare alcuni dati, che ad esempio su qualcosa come il sostegno all’handicap, si sia fatto molto da parte degli enti locali, anche qualcosa che di competenza loro non era. Ad esempio, il sostegno scolastico e il trasporto degli alunni disabili nelle scuole superiori non è una competenza dell’ente locale, sarebbe una competenza della Provincia. In questo, io chiedo a tutti di poter fare una verifica, non c’è il supporto di questo Consiglio provinciale, ma dirò di più, io non lo chiedo perché anche questo Consiglio provinciale ha una ragione di rifiuto di una sussidiarietà imposta, dovuta al fatto che anche qui sono stati mancati dei trasferimenti. Allora io mi chiedo se è giusto ribadire la necessità di dare una risposta al cittadino, è possibile continuare in una sterile polemica su riforma o non riforma, quando poi vediamo che nel pratico, quando cerchiamo cioè di attuarla, laddove il bisogno c’è e laddove è difficile anche spiegare al cittadino i vari livelli di competenza esistenti, è possibile continuare a supplire quando queste risorse che sono economiche ma non solo, sono anche di organizzazione, noi possiamo costruire ampliamenti di scuole materne, possiamo costruire anche una nuova scuola materna, ma non è assolutamente detto, anzi mi pare di aver capito da autorevoli interventi che ci sono stati precedentemente, che non avremo mai la copertura di posti data dal personale. E noi non possiamo continuamente rivolgere altrove la nostra attenzione, ricorrendo a sistemi di lavoro cooperativo piuttosto che di altro tipo, quando poi ci ritroviamo nella situazione veramente di supplire in toto quella che è una riforma che non si regge da un punto di vista, ancora prima di tutti gli argomenti portati dagli insegnanti, dai genitori, che non ripeto, anche da un punto di vista economico. Io credo che bisognerebbe avere, qualcuno l’ha detto, il coraggio non solamente di dire agli amministratori in carica che cosa devono fare quando si ritrovano davanti un problema che i propri cittadini vengono a porre a noi. Voi lo sapete benissimo, perché anche voi venite da Amministrazioni di tipo locale, comunale, territoriale. Il problema vero adesso è costruire una risposta che dica, ad esempio, a chi si troverà a fare il Sindaco della città di Milano, se sarà possibile scrivere nel programma che c’è una risposta ad una legge che praticamente non destina niente da un punto di vista del supporto per quanto riguarda questi tipi di interventi. Il mio tempo è scaduto. Io credo che da questo punto di vista noi dobbiamo ridare senso alle parole. Se diciamo sostegno, se diciamo diritti, se diciamo che vogliamo più istruzione, se diciamo che vogliamo più scuola, allora noi dobbiamo veramente riempire di contenuto queste parole, altrimenti rischiamo veramente di fare un grande dibattito sulle parole, ma che non è supportato da niente, quindi rischia di essere un dibattito vuoto. Grazie.” Nel frattempo è entrato in aula il Presidente della Provincia Penati. (Presenti 39) 40 Vice Presidente del Consiglio: “Grazie. Invitiamo Giuliano Tessera, Presidente del Consorzio di Formazione professionale di San Donato.” Giuliano Tessera (Presidente Consorzio di formazione professionale di San Donato): “Non spaventatevi per il malloppo che ho con me, io consegno alla Presidenza una relazione che è corposa, è la relazione semestrale che il nostro Consorzio fa, quindi ne facciamo due all’anno e soltanto visivamente vi renderete conto di quante attività produciamo all’interno del nostro Consorzio. Mi è stato richiesto di dare una rapida illustrazione di chi siamo e cosa facciamo, visto che poi anche noi ci occupiamo in parte, in minima parte, di problematiche che sono state ampiamente trattate questa sera. Io penso che voi sappiate, ma la realtà non è così poi nota, che esistono nella Provincia di Milano cinque Consorzi di enti locali che gestiscono la formazione professionale e l’educazione permanente. Erano sei, ma il sesto, il Consorzio del Lodigiano, è passato sotto la Provincia di Lodi. Sono cose interessanti, sono nati i Consorzi tra il 1979 e il 1981, l’Assessore che mi ha preceduto è di Paderno e Paderno è la sede di un Consorzio di enti locali, il cui capoluogo è Limbiate e, tanto per darvi due numeri, considerate che riversano tutto ciò che percepiscono dagli enti partner loro, Provincia e Regione, su una popolazione che passa il milione di abitanti. Sono solo una cinquantina di Comuni complessivamente quelli dei Consorzi di enti locali, però pensate l’ironia dei numeri, se si riversa formazione su una popolazione che supera il milione di abitanti, quanto si percepisce in termini di contributi non arriva al 2% del finanziamento complessivo regionale in materia di formazione professionale. Noi pensiamo di rappresentare la parte pubblica più vicina alle esigenze del territorio, anzi sono molto contento di vedere tra i Consiglieri presenti quello che fu un mio Presidente, visto che io sono il Presidente del Consiglio di amministrazione di questo ente, rendo conto all’assemblea dei miei Sindaci. Io ho quattordici Comuni che costituiscono il Consorzio del Sudest Milano, la cui sede centrale è San Donato Milanese, e riverso formazione su una popolazione di quasi 140.000 abitanti, unita al Sudovest si toccano i 130.000 abitanti. Io ritengo 140.000, 150.000 abitanti una porzione non amplissima ma significativa per poter fare anche un pochino di programmazione per alcune linee di intervento, comprese quelle della formazione. Quindi, per capire un po’ la nostra struttura, io ho un mandato che mi è stato affidato dai Sindaci, io rendo conto all’Assemblea dei Sindaci dell’attività che faccio, dai quali ricevo un controllo, che si aggiunge ai controlli istituzionali previsti dalla Regione e dalla Provincia stessa. Quindi è una scala di controlli sull’attività. Chiaramente, essendo un ente pubblico non ha fini di lucro, e tutto ciò che si percepisce viene riversato totalmente in formazione. Il nome del Consorzio è significativo, si chiama esattamente: Consorzio per la formazione professionale e l’educazione permanente del sudest Milano. Voi capite perfettamente che se su formazione professionale tanto si è discusso e si è detto, per il doppio canale, per la dignità che dovrebbe essere pari, ma io condividevo bene ciò che diceva Franchi in apertura, ognuno ha la propria dignità. Noi abbiamo cercato, in ventiquattro anni di esistenza, intanto di diffondere la cultura del lavoro, che ci sembra una cosa molto seria e significativa, di avere un rapporto costante e continuo con tutte le realtà scolastiche e con tutte le imprese del territorio. E l’abbiamo fatto prima della riforma Moratti, in tempi molto diversificati, con tutte le ipotesi varie di riforma che si sono ventilate, abbiamo cercato di essere presenti. Sulla scuola, visto che è l’oggetto di discussione di oggi, noi abbiamo cercato di rapportarci alla scuola in maniera corretta, intanto cercando sempre di non sovrapporci. Soprattutto non abbiamo mai voluto estenderci sul terreno della prima formazione, e lo avremmo potuto fare, proprio per cercare in tal modo di non impedire possibili riforme della scuola, soprattutto della scuola secondaria, che noi auspichiamo effettivamente. Ed ecco perché noi, fortunatamente per noi, ci troviamo, voi capite, sul terreno della prima formazione con alcune iniziative sì, anche sperimentali del triennio, ma estremamente limitate. Soprattutto, e qui mi possono seguire bene coloro che si occupano di enti e di 41 formazione, con un numero estremamente limitato di dipendenti che non creano al Consorzio quei problemi che hanno i grossi enti storici della formazione professionale regionale nella nostra Regione, perché sarebbe stato facile estendersi su quel terreno. Per scelta politica meditata, abbiamo scelto di contenere la prima formazione ma di qualificarla sempre di più. Ci siamo permessi invece di raccordarci con la scuola, in uscita dopo la secondaria, con i post diploma, con gli FTS oggi, ecc., ma trovare ogni forma di raccordo sull’orientamento, sull’alternanza studio lavoro e di fornire alla scuola una serie di elementi che ci erano propri, quelli derivanti dalla cultura del lavoro. Questo abbiamo cercato di fare, e qui senza vantarci abbiamo trovato un rapporto con la totalità delle scuole secondarie del territorio, con la quasi totalità delle scuole medie del territorio, e abbiamo offerto agli enti locali nostri servizi concreti che noi gestiamo, dalle colonie estive, long life learning per noi è un fatto concreto. Dalla culla, sino ai corsi che facciamo per animatori della terza età, proprio per Paderno Dugnano li abbiamo fatti questi corsi, toccando le fasce terminali di formazione professionale per persone che lavorano con persone anziane e cose di questo genere. Noi pensiamo di avere lavorato correttamente, con questa caratteristica pubblica, senza metterci in concorrenza con la scuola. Oggi è vero, siamo di fronte anche alla sperimentazione di 4 segmenti di corsi triennali, anche perché questo lo devo sottolineare, abbiamo avuto una richiesta. Tenete conto che abbiamo una mortalità scolastica, nelle nostre scuole secondarie, che sono l’onnicomprensivo di San Donato e le scuole secondarie di Melegnano, altissima a livello di primo biennio. Nell’istituto tecnico abbiamo il 35-40% di mortalità nel primo anno, e noi storicamente abbiamo raccolto coloro che erano stati espulsi in qualche modo precocemente dalla scuola secondaria, e lì si innestavano i nostri vecchi corsi biennali. Oggi siamo di fronte ad una richiesta che va attentamente meditata, e vi prego di meditarla, perché abbiamo maturato anche certe esperienze interessanti, non concorrenziali ma di reciproca collaborazione anche con la scuola pubblica, con la scuola secondaria, con la scuola di Stato, che non è per noi né concorrente né rivale. Abbiamo maturato esperienze che andrebbero, in un’altra sede, attentamente meditate. Facendoci visita l’Assessore alla formazione professionale alcuni giorni fa, ci è stato richiesto di produrre qualcosa di più significativo per far vedere bene la nostra esperienza e noi stiamo producendo qualcosa anche di visivo, che faccia ben vedere quello che abbiamo fatto. Ma la cosa dirompente per quanto ci riguarda, è stato l’assorbimento all’interno del Consorzio dell’ex centro lavoro della Provincia di Milano. Voi sapete che esistevano i centri lavoro, che erano una sperimentazione voluta dalla Giunta precedente, che poi è finita e si è imboccata un’altra strada sul versante del collocamento e del lavoro, noi il centro lavoro che avevamo sperimentato nel sudest Milano l’abbiamo inglobato nel Consorzio. Per cui ci ritroviamo nella nostra banca dati con 1.500 aziende, abbiamo prodotto protocolli d’intesa con Assolombarda, CNA, con le organizzazioni sindacali, con il sistema delle cooperative che ci permettono di avere a disposizione le aziende per realizzare concretamente gli stage, tutto ciò che volete da questo punto di vista, ma non soltanto quello, poi di pensare, visto che il nostro compito istituzionale è di dare il lavoro, o di ridare il lavoro, ci permette di intervenire con concretezza e pienezza di possibilità su tutte le situazioni di crisi che vive il nostro territorio dal punto di vista occupazionale. Noi siamo intervenuti sulla cassa integrazione della Postalmarket di Peschiera Borromeo, sui novanta lavoratori della Technicolor, facendo operazioni di formazione e riqualificazione, anche di riconversione produttiva. Questo è il contributo piccolo, modesto se volete, che ci permette di avere comunque un solido bilancio, una trasparenza assoluta di bilancio, di essere disponibili per la Provincia qualora partisse questa agenzia per lo sviluppo. Ci riteniamo, senza retorica, un terminale abbastanza intelligente sul territorio della Provincia stessa. Purtroppo ci è mancato il partner della Regione. Finisco con una battuta, noi abbiamo ottenuto nel 1998 la prima certificazione di qualità della Regione Lombardia, quell’anno avevamo avuto quattordici corsi del fondo sociale europeo. Voi sapete che cosa sono questi corsi. Noi ottenemmo la certificazione di qualità, un anno di lavoro per ottenerla, primi in 42 Lombardia, secondi in tutta Italia. L’Assessore regionale alla formazione professionale venne da noi invitato, assieme all’Assessore provinciale alla formazione professionale, due Giunte diverse, qui c’era un centrosinistra, là c’era Bombarda. Venne e disse: finalmente un ente che ha posto i paletti, i finanziamenti li daremo soltanto a coloro che metteranno questi paletti. Ebbene Signori, noi quell’anno ottenemmo solo quattro corsi del fondo sociale europeo, dai quattordici corsi che avevamo precedentemente. Noi stiamo battendo un record, stiamo battendo il record dei corsi, attenzione noi siamo abbastanza capaci sul versante della progettazione più che dell’attuazione, stiamo battendo il record e non riusciamo a dipanare questo groviglio, dei corsi approvati e non finanziati. L’avrete già sentita questa cosa, per noi è stratosfericamente incredibile, perché non riusciamo a capire come mai, arrivati a noi, al Consorzio del sudest Milano, mancano i finanziamenti, e non so perché chi prima di me li ha avuti. Io non sono ancora riuscito a saperlo. Grazie per l’attenzione.” Vice Presidente del Consiglio: “Grazie. Berardi, Assessore del Comune di Pioltello, 5 minuti di intervento, grazie.” Rosario Berardi (Assessore attività educative e sportive Comune di Pioltello): “Signor Presidente della Provincia, Signor Presidente del Consiglio, Signori Consiglieri, cittadini, grazie per questa opportunità. Grazie anche alla presenza del Direttore Generale Dutto, il cui ascolto penso possa rivelarsi utile per quanto verrà detto. Affrontare il tema della riforma, sia pure limitatamente al segmento che attiene alla scuola secondaria di primo grado, compito che mi è stato affidato, nell’arco dei pochi minuti concessimi, è sicuramente impresa veramente ardua, sia dal punto di vista di amministratore pubblico che come docente che sta vivendo sulle proprie spalle le contraddizioni di una riforma, frutto di ipotesi pensate a tavolino, e sicuramente pesantemente influenzate da motivi economici. Ci proverò, chiedendo preventivamente venia per quanto, pur importante, non sarà contemplato in questo mio intervento, che rappresenta una sintesi del dibattito che si è svolto nel territorio della Martesana fra i colleghi Assessori e Sindaci che in questo contesto mi pregio rappresentare. Rappresenterò altresì considerazioni che, come accennavo prima, sono il frutto di confronti, discussioni, sperimentazioni vissute direttamente quale lavoratore della scuola, che da bravo dipendente ha cercato di attuare nell’anno scolastico appena trascorso le disposizioni e i modelli organizzativi più o meno condivisi all’interno di un quadro normativo di dubbia chiarezza. La prima criticità rilevata si riferisce sicuramente al monte ore obbligatorio che da 990 ora scende a 891 ore, ovvero le famose 27 ore settimanali, contro le 30 del tempo normale e le 36 del tempo prolungato. A queste il decreto attuativo prevede un monte ore aggiuntivo di 198, sotto forma di attività facoltative e opzionali per le famiglie, ovvero istruzione a domanda, ma compatibilmente con le risorse esistenti nell’ambito delle istituzioni. Questo è un passaggio fondamentale. Come sempre però, il buonsenso ha giocato un ruolo efficace, quasi tutte le istituzioni, in modo particolare quelle dell’area che mi pregio rappresentare, rispetto ad ipotesi di offerta facoltativa, hanno invece optato per un’offerta formativa strutturata, evitando la messa in moto di ciò che poteva rappresentare veramente il mercato della cultura e dell’istruzione. Per offerta strutturata riferita al tempo normale, intendo un tempo scuola base di 30 ore e costituito dalle 26 previste dal decreto, più 3 ore di attività laboratoriale, anch’esse però rese obbligatorie per le famiglie. A questa, buona parte delle istituzioni hanno poi aggiunto altre 3 ore per le classi a tempo lungo, ex tempo prolungato, garantendo così una decorosa offerta formativa e attenuando nel contempo i disagi potenziali delle famiglie. Ciò è stato possibile quest’anno, e lo sarà probabilmente per i prossimi 2 anni, anche se in misura minore, in virtù del mantenimento degli organici nella stessa misura dell’anno precedente. Questo elemento si è rivelato sicuramente fondamentale, ed ha consentito alle scuole di dare attuazione 43 all’offerta strutturata come prima esposto, con limitati riflessi negativi. Riflessi che diventeranno sempre più significativi se non dovessero trovare accoglimento le richieste che da molteplici parti stanno arrivando sul tavolo del Ministro, e che di seguito tenterò di sintetizzare. Grazie quindi al buonsenso di coloro che la scuola la fanno, non abbiamo ancora assistito, se non per il tempo prolungato, alla riduzione generalizzata del tempo scuola che la riforma, che lo si voglia o meno riconoscere, contempla. Che permangano o meno alcune ore facoltative, non saranno certo queste a rendere qualificante questa nuova scuola, il ritorno alle materie facoltative, oltre a determinare confusione gestionale e organizzativa, è certamente destinata a peggiorare complessivamente l’efficacia del servizio scolastico. E’ quindi a tutti evidente che il quadro orario, così come delineato dal decreto, non corrisponde neanche alle finalità che hanno spinto l’attuale Governo a disegnare quella nuova scuola, quella famosa già citata delle 3 “i”. In questo contesto noi ne analizziamo solamente 2, che interessano la secondaria di primo grado: il programmato rafforzamento della lingua inglese e dell’informatica. Dei due possiamo per il momento registrare che l’orario da destinare alla lingua inglese non è assolutamente sufficiente perché gli allievi escano dal primo ciclo di studi con una preparazione adeguata. Tale preoccupazione ci viene dalle riflessioni sui risultati conseguiti attualmente, con l’apprendimento di una sola lingua comunitaria, per di più per 3 ore settimanali. Quanto poi all’informatica, mentre la parte del decreto legislativo che riporta i contenuti di ciascuna disciplina, tra le altre figura anche quest’ultima, nel quadro orario poi di tale disciplina non si trova più traccia, si ritrova invece come attività di laboratorio nella circolare applicativa dello stesso decreto, tanto è vero che tale attività per quest’anno, ove avviata, ha trovato posto tra le discipline facoltative e opzionali. Che dire poi della quasi totale cancellazione dell’insegnamento tecnologico, la cui sorte appare ancora più palese nella proposta di revisione delle classi di abilitazione, proposta fortunatamente sonoramente bocciata anche dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, che prende proprio in considerazione, quale esempio eclatante di incongruenza, la scelta di mettere insieme, in modo eterogeneo e senza giustificazioni culturali e professionali, alcune classi di concorso tra le quali quelle di scienze e di educazione tecnica. L’abbattimento poi di ben 50 ore dell’insegnamento del gruppo letterario storico geografico non può colmare le carenze dell’apprendimento di tali discipline, oltretutto segnalate anche da recenti rilevamenti sulle valutazioni degli alunni. Quali, allora, per farla breve, le modifiche inderogabili al decreto della secondaria di primo grado? Penso che all’attuale Governo, non potendo da questo pretendere molto, chiediamo da subito e prima del 5.9.2005, che è la data ultima per rivisitare il decreto, la necessità di riportare l’orario obbligatorio delle lezioni a un minimo di 30 ore settimanali, per assicurare un’offerta formativa articolata e contemporaneamente omogenea, che trovi il suo fondamento progettuale e organizzativo nell’istituto dell’autonomia. Mantenere l’insegnamento dell’educazione tecnica come materia autonoma rispetto alle scienze, e denominarla “tecnologia ed elementi di informatica”, riconoscendo nel contempo l’equipollenza per tale insegnamento con l’attuale classe di educazione tecnica, anche al fine di dare una concreta risposta alla necessità di consentire un proficuo orientamento degli allievi in funzione del secondo ciclo, che non può non passare anche attraverso le attività disciplinari. Portare da 33 ad almeno 66 le ore per l’insegnamento di tecnologia ed elementi di informatica, assegnare all’insegnamento della lingua inglese altre 33 ore annue, garantire per coloro che dovessero richiederlo un tempo scuola più lungo di almeno 3 ore settimanali, slegato però dalla clausola “compatibilmente con le risorse esistenti nell’ambito dell’istituzione”. Si tratta di modifiche accoglibilissime, tant’è che sono state in parte già recepite all’ultimo momento nella tredicesima bozza del decreto legislativo del secondo ciclo, con l’inserimento del capitolo 4 e degli artt. 23, 24, 25, 26, con il quale viene aumentato il numero delle ore di inglese e resa obbligatoria l’ora di insegnamento dello strumento musicale nelle scuole con tale indirizzo. Di conseguenza, quando 44 entrerà in vigore questo decreto, l’orario complessivo obbligatorio passerà dalle 27 alle 28 ore in tutte le scuole secondarie di primo grado, e 29 in quelle con indirizzo musicale. Al futuro Governo invece, speriamo di centrosinistra, chiediamo non la pura e semplice abrogazione della legge 53, ma un nuovo modo di cancellare la legge Moratti, attraverso la costruzione di una proposta alternativa che passi attraverso l’abrogazione sì di tutti i decreti attuativi e punti alla valorizzazione dei modelli didattici, del tempo prolungato e al pieno riconoscimento delle competenze delle istituzioni scolastiche autonome. L’autonomia, un termine troppo presto passato in secondo piano, ma che rappresenta l’unica modalità riformatrice innovativa di questi ultimi anni. E’ l’autonomia infatti la più importante conquista degli ultimi vent’anni, che ha animato di fatto tutta la sperimentazione, tuttora in atto nelle scuole, e che ha messo le stesse in rapporto diretto con le comunità locali ed i suoi diversi soggetti. Occorre ripartire da questa, perfezionando ciò che si era iniziato con il decreto 275/99. L’autonomia rappresenta il vero unico punto di non ritorno nel cammino riformatore, ma occorre una precisa volontà politica in tal senso, che sgombri il campo da tutti gli elementi di incertezza, legati alle varie competenze e garantisca alle scuole le risorse finanziarie occorrenti, al fine di non far ricadere solo sugli enti locali l’onere di provvedere ad un servizio che viene sempre più richiesto, di qualità crescente. Grazie.” Vice Presidente del Consiglio: “Sono terminati gli interventi delle persone invitate, che ringraziamo. Ha la parola il Consigliere Bruschi.” Riassume la presidenza dell’adunanza il Presidente del Consiglio Ortolina. Presidente del Consiglio: “Io tra l’altro segnalo che abbiamo, per ora, 6 iscritti a parlare, il tempo massimo a disposizione è di 15 minuti. 6 persone significa 1 ora e mezza, se tutti parlano per 15 minuti, poi abbiamo, come sanno i Consiglieri, due ordini del giorno, uno presentato martedì scorso, anche se per errore è stato consegnato solo stasera, come vedete è protocollato in data di martedì, poi decideremo come comportarci. Prego Bruschi.” Consigliere Bruschi: “Cercherò ovviamente di contenermi anch’io anche se, come molti di coloro che vivono quest’aula, soffro di mal di scuola. Ma il problema di questo mal di scuola, a dire la verità, il dibattito di questa sera o il dibattito che seguo ormai da alcuni anni sulla legge Moratti, non me lo risolve. Spiego subito perché. Qui si tende a trascurare un elemento, che è un forte elemento di continuità fra l’abrogata legge 30 e la nuova legge 53: le mani che hanno costruito questa legge. Le mani sono pressoché le stesse. Se noi andiamo a verificare le linee guida della legge 30, i ponderosi documenti che vengono scaricati dai siti internet, e i documenti ahimè scomparsi, ma qualcuno probabilmente in memoria il computer li ha ancora, della legge 30, noteremmo delle notevolissime somiglianze. Somiglianze che sono date dal fatto che molte di queste mani, prima di tutto la mano del Professor Bertagna, sono le stesse. Cosa è cambiato? Sono cambiate due cose. La prima cosa, un diverso orientamento politico, e questo mi sembra legittimo. Io vorrei ricordare che nel programma elettorale della Casa delle Libertà l’abrogazione della legge 30 era uno dei punti politici qualificanti. Il secondo aspetto che è cambiato è il quadro istituzionale di riferimento. Allora noi non possiamo trascurare il fatto che quando venne fatta la legge 30, non era ancora in vigore la legge di modifica del Titolo V della Costituzione. La legge di modifica del Titolo V della Costituzione sostanzialmente ha reso la legge 30 obsoleta e inattuabile, perché la modifica del Titolo V ha dato in capo alle Regioni parecchi poteri che prima non avevano. Il potere, ad esempio, esclusivo sull’istruzione e sulla formazione professionale. Io ricordo le prime riunioni, all’indomani dell’insediamento del nuovo Governo, tra i tecnici della Regione Lombardia, che si era posta subito il problema di essere comunque capofila di questo processo, i tecnici ministeriali, il Dottor Dutto se lo 45 ricorderà sicuramente perché fu coinvolto anche l’Ufficio Scolastico regionale, per capire come poteva essere separata questa torta, dal punto di vista strettamente istituzionale e come sarebbe stato giusto dal punto di vista politico separarla. Fu detto da tutti: occorre un sistema forte di istruzione e formazione professionale, che sia il più possibile ancorato al territorio. Chi meglio delle Regioni, chi meglio delle autonomie dei singoli istituti, può andare a garantire questa risposta, che è una risposta forte ad un’esigenza che noi abbiamo? Nel momento in cui si parla, ad esempio, della sperimentazione scolastica sul settore della formazione e fu detto: non parteciperà nessuno, pochissimi saranno gli studenti, e in poco più di un mese, perché il percorso tecnico della proposta di sperimentazione venne compiuto, se non sbaglio, a luglio o ad agosto, in poco più di un mese vennero completate le graduatorie. Completate da famiglie che trovavano in questa proposta di sperimentazione la risposta alle loro esigenze. La legge Moratti, la vituperata legge Moratti, si pone innanzitutto un problema di nuovo quadro istituzionale, e in qualche misura ha dovuto risolverlo. Poi singoli problemi, singole sbavature pure ci sono state, in un percorso estremamente complesso, perché è la prima legge scolastica che si è proposta di ristrutturare l’intero sistema scolastico, non si è limitata, come la legge Bottai del 1940, alla sola istruzione tecnica. Forse è dalla legge Gentile che non abbiamo più avuto un tentativo forte di questo genere, che ripeto, dal punto di vista tecnico non ha coinvolto tecnici del centrodestra o del centrosinistra, ha coinvolto il meglio della pedagogia di questo Paese, a partire dal Professor Bertagna che era magna pars della commissione Brocca. …Ne ho anche per lei, dopo. Il Professor Bertagna mi sembra persona stimatissima, penso che nessuno abbia qualcosa da dire, e lei scuote la testa dicendo che non ha nulla da dire sul Professor Bertagna, uno che ha fatto molto, perché dalla sua penna sono usciti quei documenti. Il problema che io mi pongo però è diverso, non mi affascina il dibattito che pure qua ho sentito forte, sul diverso sistema, sul problema dell’istruzione professionale, della formazione e quant’altro. Mi affascina un altro tipo di dibattito e di problema sulla scuola, che è il problema della qualità scolastica. Allora, sulla qualità scolastica, la legge 30, così come la legge Moratti, soprattutto la legge 30, non c’entra nulla. Sentire poi parlare un sindacalista di qualità scolastica è qualcosa che mi ha prodotto un certo ribollimento nello stomaco. Io mi ricordo, giovane Consigliere di istituto, avevamo un piccolo problemino, che portava un nome e cognome di una professoressa di francese che era arrivata in graduatoria, e cosa succede? Succede che lei faceva gli errori di ortografia in francese alla lavagna, le studentesse del quinto anno, che avevano la maturità, ovviamente erano in ribellione, e successe ovviamente... che questa professoressa non venne allontanata. Chi si schierò davanti a parare il petto di questa professoressa? Il comitato sindacale e il sindacato in pieno perché il diritto del lavoratore va tutelato sempre, mai però il diritto dello studente. Il problema che io mi pongo su qualunque legge di riforma della scuola, è il problema della qualità degli insegnanti. Non c’è legge Moratti, legge 30, norme attuative che possiamo inventarci, che sciolga questo nodo fondamentale. Finché noi non creeremo da un lato una concorrenza tra le varie scuole, come c’è in Inghilterra, come c’è in Francia, finché noi non creeremo un sistema di qualificazione del personale didattico della scuola, che non è il sistema di qualificazione un tanto al chilo, per cui se tu fai il corso di formazione professionale ti vengono aggiunti € 2, perché di € 2 si tratta, ma è il problema di liberalizzazione dei contratti dei docenti, è il problema di una trasparenza del sistema scolastico, dove io genitore so, perché qualcuno me l’ha qualificata, la scuola dove mando mio figlio. Allora il ruolo del pubblico deve essere quello di aiutare le scuole che sono rimaste indietro. Ma se noi non risolviamo questo problema, siamo punto e a capo. Punto e a capo dove? A un certo punto, in questo dibattito mi è sembrato che la scuola italiana fosse la cornucopia, la meraviglia delle meraviglie. Mi è sembrato che la riforma Moratti/Bertagna, perché io così mi sono abituato a chiamarla e continuo a chiamarla, fosse la riforma che smantellava una scuola pressoché perfetta, la scuola dei nostri nonni o dei nostri padri. Ora, io insegno all’università, se su nove studenti 46 che interrogo, otto non sanno dirmi quando è scoppiata la seconda guerra mondiale, evidentemente un problema c’è. Se quando facevo l’assistente di letteratura italiana, mi trovavo nei compiti di italiano gli errori di ortografia, evidentemente qualche problema c’è. Primo, è un problema che dipende sicuramente dalla fortissima concorrenza che uno studente oggi ha rispetto alla scuola. Lo studente oggi ha una pluralità di stimoli, io ho incontrato recentemente una mia vecchia professoressa delle medie che diceva: mi devo mettere una televisione davanti alla testa, forse mi ascoltano, perché non riesco a farmi ascoltare. Secondo, c’è un problema di corpo docente. Quando io mi trovo uno studente che ha fatto il liceo classico e che non sa dirmi quando è scoppiata la seconda guerra mondiale, evidentemente qualche problema in chi doveva non solo insegnargli, ma fargli imparare, l’abbiamo. Si ricordava prima Don Milani. Don Milani è una persona che spesso viene citato a sproposito, chi l’ha citato invece l’ha citato a proposito. Don Milani è stato il libretto rosso, o nero, o verde, o blu, o bianco, di una generazione di insegnanti che spesso e volentieri ha letto soltanto la quarta di copertina. Ed è stato responsabile di un abbassamento drammatico... Assessore Spranghetta mi consenta di continuare... di chi ha drammaticamente abbassato …, di chi ha drammaticamente abbassato… Spranghetta perché sta sempre dritto come una spranga. Lei Assessore, sta sempre dritto, impettito, e fa anche gemere le fotocopiatrici con i suoi scritti. Presidente, io non ho problemi sulle interruzioni dal pubblico, perché ritengo che il tema sia assolutamente caldo, ho qualche problema invece su altre interruzioni.” Presidente del Consiglio: “Si prega di non interloquire, e conteniamo anche i termini.” Consigliere Bruschi: “Il problema della qualità è il problema che Don Milani aveva bene individuato, e l’aveva bene individuato su due livelli. Primo, occorre dare risposta formativa a tutti. La legge Bertagna/Moratti cerca di dare una risposta formativa a tutti, a chi vuole fare il percorso dei licei e a chi vuole fare un percorso di educazione tecnica, garantendo delle passerelle. Secondo, il problema della qualità. Ci sono pagine, pagine e pagine di Don Milani, dove il problema della qualità del corpo insegnante era al centro. Questi due elementi noi dobbiamo recuperare. La legge Moratti ci aiuta? Non lo so, probabilmente è una legge neutra, probabilmente dobbiamo aiutare noi stessi o dobbiamo andare a sviluppare degli altri interventi che smantellino il castello sindacal burocratico che è stato costruito sulla scuola italiana, anzi sul cadavere della scuola italiana. E che sia un cadavere ce lo dicono tutte le classifiche mondiali che ci collocano agli ultimi posti nella preparazione dei nostri studenti. Questi sono i problemi seri, non il liceo tecnologico distinto dal liceo scientifico, distinto dall’istituto di…, ma il problema di come facciamo uscire i nostri studenti dalla nostra scuola.” Nel frattempo è uscito dall’aula il Presidente della Provincia Penati. (Presenti 38) Consigliere Frassinetti: “Io credo che il dibattito di stasera sia un po’ viziato anche dalla metodologia con la quale è stata organizzata questa sessione di Consiglio. Nella riunione dei capi Gruppo ci eravamo immaginati un po’ tutti un altro tipo di dibattito, ma credo che sicuramente da tutte le cose vadano presi gli aspetti positivi, quindi cerchiamo di capire insieme l’opportunità e anche di cercare di uscire di qua con qualcosa di costruttivo. So che è difficile, perché è evidente che ci sono delle posizioni contrapposte, e possiamo stare qua anche due giorni, ma io uscirò di qua pensando che questa è una buona riforma, e legittimamente i colleghi della maggioranza penseranno invece che questa riforma è il male assoluto delle disposizioni che questo Governo ha attuato. Ma credo che ci sia da fare una riflessione più generale, una riflessione che vede questa riforma nascere e impiantarsi in un quadro di sistema educativo che è stato per più anni modificato in maniera frammentaria, che ha visto una politica educativa in Italia contraddittoria e che ha sempre visto dei movimenti di piazza contestare, indipendentemente da chi in quel momento avesse le leve del Governo 47 nel Ministero all’istruzione, contestare qualsiasi tipo di riforma. Questo credo in parte sia dovuto a un aspetto demagogico, insito in chi vuole, in chi vede nella contestazione di una riforma scolastica, uno degli elementi più facili da smantellare. Ma credo che non sia facile, non vada semplificato così il discorso. Credo anche che ci sia una difficoltà nel mettere mano alla riforma del sistema educativo, proprio che viene da lontano, perché va ad innestarsi, come diceva il collega Bruschi prima, in un sistema di cambiamento istituzionale, quindi di decentramento, e in una scuola che deve essere un corpo vivo, perché tale è la scuola. Quindi credo che, mentre in altre materie abbiamo di fronte comunque un elemento oggettivo più freddo, qui esiste un mondo fatto di famiglie, di docenti, di studenti. Quindi sicuramente questa premessa è necessaria perché il dibattito sia ampio, perché non si possono risolvere i problemi della scuola in maniera faziosa, ma bisogna cercare, e così ho fatto anche durante la mia esperienza da Assessore all’istruzione in questa Provincia, un discorso di continuo confronto con le istituzioni. Io faccio un passo indietro, e devo dire che analizzando l’ordine del giorno della maggioranza, mi sono un po’ stupita che non si faccia riferimento alcuno a quelle che sono le competenze della Provincia, peraltro così importanti nel mondo dell’istruzione. E che invece qualche parola in più sul ruolo fondamentale che questo ente locale ha, ed ha sempre di più nel mondo della scuola, andasse speso. Ma qua tornerò alla fine del discorso. Brevemente, gli snodi di questa riforma nascono sicuramente da una modalità di approccio ad un sistema che vede la salvaguardia di una scuola elementare, sono due sistemi differenti, prima si voleva una scuola elementare con annullamento delle medie inferiori, era un’ipotesi, adesso a mio avviso giustamente ritorna un ciclo di scuola primaria che vede anche una scuola pedagogica che prevede che lo studente delle elementari si rapporti con il maestro che viene chiamato tutor, perché si sono dimenticati una “i”. Io ho sempre detto che ci sono tre “i”, ma la “i” più importante è l’italiano, è stata dimenticata, ormai si parla solo l’inglese. Questa è una mia puntata polemica che esula dal dibattito di stasera, comunque credo che sia importante, parlando di istruzione, anche un appello al recupero di quella che è la nostra lingua, perché usare un termine inglese quando si parla di una riforma scolastica italiana, quando noi abbiamo delle parole bellissime come maestro, che comunque hanno anche delle discendenze che vengono dalla nostra tradizione, mi sembra un po’ singolare. Comunque, parliamo di questo tutor, quindi di un rapporto, a mio avviso indispensabile in un’età delicata come quella di un bambino che frequenta la scuola primaria. E andando avanti in questo impianto, vediamo una scuola media inferiore che a mio avviso positivamente diventa una piattaforma delle superiori, mentre prima a mio avviso era uno smantellamento della scuola media che andava a completare un ciclo delle elementari. E’ stato invece importante salvaguardare la media inferiore, come piattaforma delle scuole superiori, e poi nelle scuole superiori la dignità del doppio canale. Qua ci sono tesi contrapposte, e nei dibattiti c’è sempre chi dice che la pari dignità non potrà mai esserci, io credo che sia importante comunque già avere concepito un sistema di formazione e un sistema di istruzione liceale in questi termini. Il fatto della scelta è soggettivo, la scelta a 14 anni, a 13 anni, è prematura. Io mi chiedo, in una suola superiore dove era previsto un biennio indistinto, dove l’orientamento avrebbe prevalso sulla preparazione, come si poteva riuscire a portare lo studente, alla fine del percorso della scuola superiore con una capacità e con una preparazione che lo potessero mettere in condizione di entrare nel mondo del lavoro. Io sono pienamente convinta che con un orientamento scolastico ben fondato, non sia assolutamente prematuro per le famiglie scegliere la scuola del proprio figlio a 13 anni. Questo lo dico con cognizione di causa, perché ritengo che anche l’ampliamento dei licei, come per esempio il liceo tecnologico. Qua si parla tanto di smantellamento dell’istruzione tecnica, ma io mi chiedo cosa ha fatto la riforma degli istituti professionali del ‘92, che ha dimezzato le ore di laboratorio, se era una riforma positiva, mi chiedo che fine facevano i periti che raggiungevano un 48 diploma allora. Questa riforma, da un lato fotografa una realtà esistente, dall’altro a mio avviso cerca di razionalizzarla, e lo fa promovendo gli odierni istituti tecnici industriali già licealizzati di fatto. Il liceo tecnologico dà l’opportunità di far sì che ci siano delle ore di laboratorio, quindi ci sia un contatto costante e anche giustamente un’attività di laboratorio intensificata, mantenendo una cultura generale che comunque è importante. E’ importante mantenere un contatto con la nostra cultura nazionale, con la nostra cultura generale. Noi non siamo per la cultura quiz di tipo anglosassone, perché non ci appartiene, non ci appartiene questo modo di pensare, noi ci dobbiamo rifare ad una paideia che inquieta, una paideia critica, naturalmente con gli strumenti e i docenti all’altezza dell’insegnamento in questo senso. Ecco perché a mio avviso questa disparità, questa contestazione per forza della struttura, dei due canali, non mi vede concorde. Non mi vede concorde perché credo anzi che in un mondo del lavoro così competitivo come quello attuale, bisogni comunque cercare di mettere in evidenza le qualità, tentando e difendendo comunque la scuola pubblica, perché credo che ridurre il dibattito a un antagonismo sterile tra scuola privata e scuola pubblica lasci il tempo che trova. E’ una logica fuorviante, l’obiettivo deve essere un altro, elevare la qualità del nostro modello educativo, a prescindere dal tipo di scuola. Parla una persona che ha lottato per stare in una scuola pubblica, nonostante in quegli anni, vi dico la verità, non fosse facile. Però, quando i miei genitori mi hanno detto: guarda è meglio che tu vada dalle Orsoline, ho iniziato una specie di sciopero della fame perché volevo rimanere al liceo Carducci, dove ho finito la mia maturità. Quindi, sicuramente è importante la valorizzazione della scuola pubblica, ma anche qui vedo soltanto in questo senso molta demagogia. Io credo quindi che gli aspetti fondanti di questa riforma vadano soprattutto nel senso di un insieme di inserimento in un quadro istituzionale che cambia, e soprattutto nel cercare di contemperare quelle che sono le nostre tradizioni di identità nazionale con la ricerca e la valorizzazione delle attività locali del nostro territorio, senza scadere in un decentramento eccessivo, che non appartiene alla nostra cultura di scuola. Termino con un riferimento a quello che è il ruolo della Provincia nell’ambito scolastico, Assessore Barzaghi. Io spesso e volentieri non sono d’accordo con lei su alcune iniziative di tipo politico, ma apprezzo comunque per l’edilizia scolastica, il lavoro che ha continuato, perché so le difficoltà che si trovano in questo campo. Credo però che sia importante potenziare, e nel nostro ordine del giorno che dopo spiegheremo abbiamo messo proprio l’accento sulla possibilità e l’opportunità dell’ente Provincia di programmare l’offerta formativa sul territorio. Cerchiamo di riportare questo dibattito, d’accordo sui temi generali della riforma Moratti, ma cerchiamo di capire che la Provincia ha veramente una grande opportunità, quella di disegnare la rete scolastica, quella in estrema sintesi di far trovare un’occupazione agli studenti del nostro territorio, e credo che questo, per dei Consiglieri provinciali, nonostante i dibattiti generali sui modelli educativi, sia il più grande obiettivo da raggiungere e sia anche uno dei motivi per cui siamo qui stasera.” Consigliere Elli: “Qualcuno nel dibattito precedente ha suggerito la partenza di questo mio intervento. Si è detto: non bisogna fare un dibattito solo sulle parole. Eppure qui ho sentito moltissime parole e pochissime cifre, eppure sono state citate le cifre, che io adesso voglio riprendere e non sono state contestate. Quindi io ritengo che tutti quelli che hanno chiacchierato, hanno chiacchierato sul vuoto perché o hanno dei preconcetti, oppure se sono coerenti e onesti devono contestare le cifre che sono state distribuite, e vado a citarle. La scuola da anni da noi è in crisi, che la scuola è in crisi da moltissimi anni non è una novità, credo che su questo siamo tutti d’accordo, non credo ci sia nessuno che non sia d’accordo su questo assunto iniziale, tanto è vero che hanno tentato tutti, con disorganici interventi, di fare riforme, l’ultima fallita per fortuna è stata quella Berlinguer, e purtroppo non si è riusciti a fermarla in università. L’università adesso ha avuto questo 3 + 2 che moltissimi professori universitari hanno contestato. C’è stata 49 un’esplosione di corsi, in Italia, ci sono seimila corsi specialistici circa, l’università oggi ha cinquemila, seimila corsi specialistici, in Germania sono seicento. Questo non è efficienza, questo è un disastro immediato e futuro, perché vuol dire che si fanno dei corsi finti, dei corsi specialistici finti, si sciupano i soldi e poi non ci sono gli investimenti per fare lezioni serie. La riforma Berlinguer è stata pesantemente contestata da tutti gli operatori scolastici, ed è stata fermata. Però, che la scuola vada riformata è ovvio, c’è un fortissimo abbandono scolastico, ci sono costi eccessivi, c’è una qualità bassa dei nostri studenti, non lo dico io, l’ha dimostrato una recentissima inchiesta fra studenti delle scuole europee e non, in cui l’Italia si è classificata tra le ultime. Però il risultato è stato estremamente differenziato, ci sono delle scuole che nelle materie scientifiche si sono qualificata tra le prime, forse prima e seconda in matematica e fisica, e altre scuole che si sono classificate in modo pessimo, ma complessivamente il sistema scolastico è risultato pessimo, negativo. Questo è un dato che deve far riflettere. Perché? Perché ci sono studenti demotivati, insegnanti demotivati, sottopagati, e poi forse anche abbiamo poche attrezzature. Però, da dove viene questa profonda demotivazione? Cito i dati che sono stati portati da chi mi ha preceduto, Dutto, che ringrazio per averli forniti. La numerosità media delle classi di scuola primaria è pari a 19 alunni per classe, contro un valore medio europeo di 22. Quindi noi abbiamo pochi alunni per classe. Ma quel che è peggio, allo stesso modo, il dato medio di alunni per ogni insegnante è 10 a fronte di 17, cioè da noi ci sono il 70% in più, si può leggere anche così, di professori o il 70% di troppo di struttura che costa e che quindi impedisce, tra l’altro, una rivalutazione ovvia dello stipendio che è penoso, di chi ha in mano la futura classe del Paese. Futura classe in senso lato, non sto dicendo futura classe dirigente, perché la cultura è fondamentale per lo sviluppo, ma per lo sviluppo del nostro Paese dovrebbe essere investita la risorsa migliore, sia in termini economici che in termini morali e intellettuali. Però così non è, questi due dati dimostrano il tragico gap che affligge l’Italia. Questo perché? Mia moglie non c’è più, ma ha insegnato per anni e io ricordo le infinite sanatorie che sono state fatte da tutti, per mettere in ruolo studenti, professori, dequalificati comunque, perché la classe politico aveva visto la scuola come sfogo alla disoccupazione. Questo ha demotivato tutti. Si è detto prima che occorre parlare inglese, occorre sapere parlare le lingue, ma bisogna anche insegnarle le lingue. Per anni, io ricordo benissimo, e voi tutti lo sapete meglio di me, visto che insegnate, sono stati immessi in ruolo per insegnamenti non consoni persone che non avevano nessuna educazione, non dico sull’inglese, ma anche sulle materie scientifiche. Poi magari vi dirò un pochino la mia storia, io ricordo benissimo insegnanti che venivano da sociologia che hanno insegnato scienze fisiche, oppure gente che ha insegnato inglese e veniva da culture umanistiche generiche. Questo è un disastro di cui i sindacati e la classe politica precedente, compresa la signora cui dicevo “ma cosa sta dicendo?” hanno una precisa responsabilità. Non è così che si forma la classe politica, non è così che si può formare il futuro di un Paese, così lo distrugge. Professori dequalificati, sottopagati, e quindi ovviamente demotivati. Questo produce un disastro e non è un caso che i nostri ragazzi sono così demotivati e incolti. C’è poi, e bisogna avere il coraggio di dirlo, un altro grave motivo: non è obbligatorio che tutti arrivino all’università. Bisogna decidersi, cari signori, fino a dove l’istruzione è obbligatoria e qual è il livello a cui devono arrivare i nostri ragazzi. Oggi, se si vuole bocciare, non dico nelle medie (e qui non sono d’accordo con Dutto che aveva citato, se ricordo bene, come un successo il fatto che molti, moltissimi sono promossi) noi abbiamo una promozione di circa il 95% alla fine del liceo. Ma questo può essere letto anche come un qualunquismo, per cui chiunque si iscrive arriva alla fine. Io ricordo il 26 politico all’università, e poi questo 26 politico dove andava a finire? A insegnare nella scuola. Tutte queste catene, queste male catene che hanno… Qualcuno si è stupito, il 26 politico era qui all’università a Milano, alla facoltà di architettura. 26 politico di gruppo, uno si presentava e sette o otto venivano promossi con il 26. Comunque, tiriamo avanti. 50 Io ritengo che la riforma Moratti, che non conosco perfettamente, perché non sono un operatore scolastico, ma certamente ha il valore di rivalutare per esempio l’insegnamento tecnico. Qualcuno ha citato prima gli istituti tecnici di un tempo, bene io a suo tempo ho fatto l’istituto tecnico a Monza, e tanto per dire com’era la preparazione allora, siamo partiti in centocinquanta, dopo il primo anno c’erano due classi e complessivamente eravamo in cinquanta. Cento erano già saltati, negli Istituti Tecnici “Hensemberger”. Bene, noi siamo arrivati con una professionalità estremamente elevata, cosa che non è più da almeno quindici anni. Chi è uscito dall’istituto tecnico, fino all’altro giorno, era semplicemente un operaio con una qualificazione migliore sicuramente, ma non aveva più niente dell’istituto tecnico precedente. Io ritengo che alcuni altri dati vanno dati, e che non sono stati smentiti. Negli ultimi anni scolastici il numero di studenti diversamente abili è aumentato nella Provincia di Milano da 8.000 a 9.000, gli insegnanti sono aumentati da 3.000 a 4.000, e così via. Quindi non è vero affatto che c’è stato un depotenziamento della scuola, ma c’è stato un potenziamento. E’ chiaro che se noi avessimo il rapporto che abbiamo e un’eccellenza fantastica, saremmo un esempio da portare. Ma noi abbiamo un pessimo rapporto, nel senso che costiamo moltissimo e produciamo una qualità scarsissima. Questo dimostra quanto è grave la nostra situazione e non credo che sia possibile, anche con la riforma Moratti, portarci fuori da questo stato di grave crisi. Questa è la mia convinzione, io non sono un esperto, ma secondo me la vera riforma sarebbe stata quella di abolire il titolo di studio, il valore legale del titolo di studio. Sì, era questa la riforma vera, perché immediatamente tutte le scuole di basso livello sarebbero spazzate via oppure sarebbero costrette a portare il loro insegnamento ad alto livello. Si cita spesso la ricerca negli USA, in America, in Russia, da tutte le parti del mondo salvo quella italiana, che si dice essere pessima. Beh, il valore legale del titolo non c’è negli USA, anzi nelle scuole, e non cito il Giappone perché è un caso estremo su cui io non concordo, non concordo neanche pienamente con il sistema americano, però tanto per poggiare il discorso, il sistema americano ha questo criterio: ci si iscrive alle scuole e si ha un punteggio. A certe università accedono solo quelli che arrivano ad un certo livello di punteggio, altrimenti no. Allora, quando io dico di togliere il valore legale al titolo, cari signori sindacati, vuole dire che chi partecipa ma non studia, ha un attestato di frequenza, chi invece partecipa e studia, ha un suo bel diplomino, dopo un esame serio, a seconda del punteggio non dell’ultimo esamino, ma dei punteggi che ha accumulato nel curriculum studio, accede a certe università e non ad altre, perché così diverrebbe competitivo e premiante il sistema. Non l’ha mica ordinato il dottore che tutti debbano andare all’università e devono essere “todos caballeros”. Volevo citare il mio esempio, scusate, io ho fatto l’istituto tecnico e più di dieci anni dopo ho fatto fisica e, proprio grazie all’istituto tecnico selettivo e duro di allora, studiando alla sera, lavoravo ed ero sposato, sono uscito con 108 su 110, ma non perché io sono un genio, perché la preparazione era fatta bene e perché il gruppo di studenti e di professori era molto motivato a portare avanti tutta la classe. …. Sì, certo, torno a dire altro è partecipare, attestato di frequenza, altro è studiare e avere il diploma o avere la laurea. Ricordate che dappertutto, e non voglio citare la Russia, la Polonia, i Paesi dell’Est, che hanno una preparazione buonissima, eccellente, perché gli studenti che sono pagati, giustamente sono pagati dallo Stato, ma se non rendono vanno a lavorare, perché devono produrre rispetto a quello che lo Stato paga, e non possono essere lì a scaldare i banchi pensando: “tanto ho il voto politico, esco comunque con il fogliettino di carta e poi ho diritto a insegnare, magari dequalificando tutta la catena produttiva”. Non è così che si fanno le riforme, e non è così che si può portare avanti il sistema Italia. Chiudo leggendo l’intervento che era stato preparato dal mio collega, che ha dovuto andare via, per cui chiedo qualche minuto in più. Ogni Governo, da decenni, ha affrontato il tema della riforma della scuola, spesso con scarsi risultati. Sono state presentate in Parlamento molte riforme, ma nessuna che vedeva la scuola riformata nel suo complesso e nessuna applicata integralmente. Sembra che la scuola 51 italiana abbia un gran bisogno di essere aggiornata ma la resistenza al cambiamento da parte della burocrazia ministeriale e non solo, hanno sempre avuto il sopravvento a discapito di chi dovrebbe essere protagonista della scuola, cioè la famiglia e gli studenti. Il rapporto Eurispes, l’ho citato prima, dà che due genitori su tre non sono contenti del livello di conoscenza attuale. Poi si cita l’OCSE, che ho già citato anche prima. Anche senza ulteriori approfondimenti si capisce che la cosa non va e quanto sia urgente intervenire. Va bene, taglio abbastanza dicendo che uno dei punti forti di questa scuola è l’autonomia, che la devoluzione che sta per essere, speriamo che andrà ad essere definitivamente approvata in Parlamento, porterà la riforma scolastica come centro di competenza sulle Regioni e quindi le Regioni potranno impegnarsi direttamente, saltando tutti quei problemi di tipo economico, perché devoluzione non vuole dire passare le competenze senza passare le risorse. La devoluzione vuole dire passare competenze e risorse e poi il migliore vincerà. I budget dovranno essere fatti obbligatoriamente e non ripianati a piè di lista come molte, troppe Regioni, sono abituate a fare oggi.” Consigliere Accame: “Nel mio intervento odierno, che faccio perché sollecitato da come si è sviluppato il dibattito in aula, do in un certo senso ragione al capo Gruppo di Rifondazione, l’amico Patta, che diceva, urlando dall’altra parte della sala, che ne capivo poco di questioni della scuola. In effetti, io lo ammetto, ne capisco poco perché non è il mio terreno di battaglia e di interesse. Però il dibattito di oggi mi ha sollecitato a fare alcune considerazioni, perché anch’io sono stato a scuola, anch’io sono figlio di insegnante, quindi un po’ i problemi della scuola li sentivo fin da piccolo. Poi c’è un’altra coincidenza che mi ha rievocato tante cose di tempi addietro. Io oggi ho 38 anni, ma circa 20-22 anni fa, ero stato una volta nella vita in quest’aula, a Palazzo Isimbardi, a un dibattito in cui si parlava di scuola, poi non sono mai più rientrato in quest’aula in tutta la mia vita fino a sei anni fa, quando mi hanno eletto Consigliere. Però questa mia prima apparizione a Palazzo Isimbardi me la ricordo, e trovai, da studente qual ero, da membro del consiglio d’istituto della mia scuola, una scuola di periferia, dove si faceva molta attività anche di carattere sociale, ecc., trovai quanto di meno interessante il dibattito dell’epoca sui problemi della riforma della scuola. Il problema della riforma scolastica è un problema quindi annoso, un problema che si dipana nel tempo e forse nel corso di tutta la prima e di tutta la seconda Repubblica, perché a parte i proclami, a parte le grandi dichiarazioni di intenti, a parte tutta una serie di passaggi di Ministri che cambiavano, a volte ogni dieci, a volte ogni dodici mesi, ecc., nessuno in Italia nel corso della Repubblica ha mai tentato di mettere mano ad una vera e profonda riforma del sistema. Forse il Ministro Moratti avrebbe goduto di ottima popolarità nell’ambiente scolastico se avesse fatto come tutti i suoi predecessori. Io, devo dire la verità, non ho ancora capito cosa i suoi predecessori avessero fatto, probabilmente non avevano fatto nulla. Ciononostante vi sono alcuni dati. La scuola italiana, purtroppo, io dico purtroppo perché sono un fervente e convinto assertore dell’italianità e della volontà del sistema e del Paese di progredire, non è un punto di eccellenza, così come tanti altri, a livello internazionale, a livello europeo o addirittura è un sistema da considerarsi quasi drammatico se si guardano le esperienze di istruzione anglosassone. Di istruzione e anche di ricerca. Questo è un dato di fatto che penso sia incontrovertibile, che né a destra né a sinistra, perché secondo me quando si toccano i grandi temi etici non bisogna fare politica di parte ma bisogna guardare a quelli che sono gli interessi nazionali, gli interessi concreti. Vi è da parte quindi di tutti quanti una generale sfiducia nel sistema istruttivo italiano. Perché vi è una generale sfiducia? Probabilmente perché il sistema della formazione, dell’istruzione in Italia non ha saputo evolversi così come si sono evolute, ad esempio, le tecnologie, così come si sono evoluti tanti campi della vita. Io in questo ente mi sono sempre occupato di ambiente, e devo dire che l’ambiente è un settore dove negli ultimi vent’anni si sono fatti dei passi da gigante, si sono sviluppate tante cose, si sono sviluppata tante conoscenze, tante tecnologie, ecc. Nella scuola no. Nella scuola ogni anno ci si lamenta che aumentano i precari, nella 52 scuola ogni anno ci si lamenta che non vi è certezza dell’insegnamento, che i percorsi scolastici per i nostri studenti sono più dequalificati, che un anno c’è il problema della riforma della maturità, per cui il sistema non va più bene, l’anno dopo la maturità è andata ancora peggio perché le domande e i quesiti erano su internet prima della loro lettura agli studenti. Insomma, tutto un sistema di polemiche strutturali che non aiutano e soprattutto non hanno aiutato in passato questo sistema a crescere così come sono cresciute tante altre branchie del nostro Paese. Io auspico che tutti quanti, al di là della volontà politica e delle diverse interpretazioni che abbiamo davanti ai nostri occhi, tutti si voglia lavorare per una evoluzione, ma una evoluzione questa volta concreta del sistema Paese in questa direzione. Non so se la riforma Moratti porterà degli effetti salvifici su questo sistema che definirei quasi agonizzante, ma certo è che vi è stato un sensibile e forte tentativo di apportare delle novità con la riforma dei cicli, con il diverso inquadramento del ruolo di pubblico e privato, che possono essere interpretati come dei segnali forti, dei segnali di volontà riformatrice di cui tanto questo settore ha bisogno. Si può dire, probabilmente, che questa volontà riformatrice non sia sfociata nelle decisioni più concrete, che non porterà a questi benefici che sono auspicati. Innanzitutto, come ogni tipo di proposta, come ogni tipo di riforma, bisognerà vederne gli effetti nel tempo, e gli effetti nel tempo, secondo me si possono giudicare nell’arco di cinque anni, soprattutto in un settore conservativo e conservatore, e probabilmente anche antiquato e inevoluto come quello della scuola. Io non vorrei soffermarmi su delle tematiche specifiche, però il ragionamento generale in questa direzione è che noto da parte di tutta la forza sindacale, la forza burocratica che lavora, che è molto presente nel mondo della scuola e dell’informazione, una poca volontà a ragionare a 360 gradi, ad aprirsi, ad aprire un ragionamento comune con le forze politiche di maggioranza e di opposizione, per far sì che si faccia veramente qualcosa di nuovo e di innovativo, che faccia crescere e riporti il sistema dell’istruzione italiana al pari almeno degli altri partner europei. Ricordo che quando hanno tentato i Governi di destra, i Governi di sinistra, in Francia, alcuni tipi di riforme, sia a livello scolastico medio, sia a livello universitario, tutte le parti politiche contrapposte si sono sempre mobilitate in maniera molto massiccia per dire: no, non passerà, non si farà nulla, non bisogna cambiare, si cerca di smobilitare, ecc. Io non penso che ci sia una voglia di smobilitazione, e ve lo dice uno che è un fermo assertore del ruolo pubblico della scuola pubblica. Io ho sempre creduto nell’istruzione pubblica, ho sempre frequentato delle scuole pubbliche, non mi sono mai potuto permettere di andare a quelle private, e credo che il settore pubblico in questo senso debba essere determinante. Però anche non deve essere miope e non deve essere incapace di riformare le cose dove, a giudizio di tutti, a giudizio di tutti quanti, le cose non funzionano. L’Italia perde ogni anno in competitività, in ricerca, perde i propri cervelli, perde in generale come sistema Paese. Una delle basi per riformare, per ritornare a far crescere il Paese penso che sia il mondo della scuola, cioè partire dalla base, riformare i giovani, riformare i programmi, adeguarli al corso del tempo. Io non penso che la scuola italiana sia mancata di investimenti, non penso che si sia voluto approntare un sistema di smobilitazione, ma penso che si sia voluto incidere in maniera forte sulla convinzione che questo sistema si deve e si può riformare. Il giudizio probabilmente, come ho già detto prima, bisognerà darlo fra qualche tempo, e sarà, ed è giusto, che invece di fare delle critiche si apportassero delle proposte che possano essere innovative e che possano andare in direzione di un miglioramento di questa legge. Io, come tutte le leggi che sono state fatte in Italia, penso che si possa sempre ragionare in termini di miglioramento e di partecipazione, perché dell’Italia si può dire tutto, Governi di destra, Governi di sinistra, è sempre stato un Paese partecipato, è sempre stato un Paese dove la partecipazione al dibattito è sempre stata ampia e democratica, e la serata di questa sera lo dimostra. 53 Io lascio una piccola riflessione agli amici del mondo della scuola che sono accorsi qua oggi. Il dibattito, così come è stato congegnato, è fine a se stesso e lo lascia intravedere quello che è stato l’interesse del massimo rappresentante in questa istituzione, il Presidente Penati, che è entrato in aula alle 18.52 e ne uscito poco dopo. Probabilmente Penati si può dire che stesse seguendo dal suo ufficio il dibattito, come tutti sicuramente era molto, molto interessato alla cosa. Però la verità di fondo è che se si vogliono portare, e io ritengo Penati una persona efficace nelle sue decisioni e nelle sue scelte, se si vogliono portare delle novità e dei valori aggiunti, bisogna essere sempre concreti, non pensare solo a fare una politica di protesta ma anche a fare un ragionamento di proposta.” Nel frattempo è uscito dall’aula il Consigliere Caputo. (Presenti 37) Presidente del Consiglio: “Devo fare questa considerazione, e questa comunicazione all’aula. Noi abbiamo programmato questa seduta soltanto come seduta pomeridiana, e non quindi doppia. Pertanto, diventa di fatto impossibile proseguire il dibattito e chiuderlo. La proposta, sentite anche le opinioni dei capi Gruppo, è che noi proseguiamo questa sera ancora per un attimo il dibattito, dando la parola a Gavazzi e poi ad Arrigoni, dopodiché chiudiamo, rinviamo a giovedì 7, essendo evidente che la seduta di giovedì 7 incomincia dalla prosecuzione del dibattito sulla riforma scolastica. Do la parola a Gavazzi, prego.” Nel frattempo è uscito dall’aula l’Assessore Barzaghi. Consigliere Gavazzi: “Cercherò di essere breve, perché so che l’amico Arrigoni non potrà essere presente il 7. Spiace onestamente che quando c’erano gli interventi dei nostri ospiti c’era animazione, interesse, e tutto, questa la dice lunga quando si invocava un confronto democratico, parliamo e vediamo quali sono le differenti posizioni. Allora io vi posso dire che le differenti posizioni rimangono tali come quando siamo entrati, indipendentemente da quello che andrò a dire io o quello che è stato detto precedentemente, perché quando presenteremo gli ordini del giorno, da quella parte voteranno in un modo, da questa in un altro modo. Vedete il grande interessamento, inutile dire, della Giunta, c’è sempre il compagno Casati che è bravissimo, ma c’è lui, c’è l’Assessore… …. Io amo il contraddittorio fra quelli che non erano qui, perché evidentemente forse lei non si è accorto che io non mi sono mai alzato dalla poltrona. Mi chiamano “culo di pietra”, sto qui. Allora forse si doveva rivolgere ad un altro. Io voglio entrare nel merito perché non voglio fare l’intervento da politico di parte, ma voglio fare l’intervento da nonno. Ho un nipotino, ho sentito tutte le problematiche della scuola della prima infanzia e devo dire che quello che io chiedo, come tutti i cittadini, è capire cosa non funziona, capire come dobbiamo orientarci, sia come genitori che come nonno. Ho sentito dire della difficoltà del tredicenne che deve sapere quale futuro intraprendere. Sono passati i tempi, insomma, io mi ricordo tredicenne, mi hanno detto: o vai di lì o vai di qui, o a lavorare o a studiare. Grande percorso! Quindi non creiamo i problemi dove non ci sono. Però volevo entrare nel merito, e ringrazio anch’io il Dott. Dutto, perché mi ha dato dei dati su cui riflettere, che sono e potranno essere motivo di discussione. Io faccio anche il Vice Sindaco in un paese, e di questi dati io ne farò tesoro, perché nel Comune dove faccio il Vice Sindaco evidentemente sono maggioranza. Lei vedrà che là succederà la stessa cosa che è successa qua, con questi dati potrò confutare certi modi di presentare una problematica in modo ideologico. Perché l’amico Barzaghi, Assessore Barzaghi che è uscito, ha fatto una relazione giudicando la legge Moratti: inaffidabilità del dettato di legge, non riforma ma deforma, la legge 53 è devastante. Come facciamo a partire in questo modo? Io voglio sapere il perché. Uno mi può dire: studiati la legge. Ma lo voglio sapere da chi opera nella scuola. 54 Però quando si parlava del 26 politico, io ricordo che si iniziava con il 18 politico, erano i miei tempi, il 1969/70, e quando è incominciato il discorso del 26 o del 18 politico erano gli anni dal 1970 al 1975. Vedo qualcuno con i capelli grigi, io non li ho però l’età è quasi uguale, mi ricordo che ogni sabato, ogni giorno c’era un corteo della scuola, problemi della suola, c’è sempre stato un problema. Io volevo aggiungere che un altro dato che ha dato l’Assessore Barzaghi, che diceva che da un’indagine fatta nel mondo della scuola, il 79% giudica la legge pessima, il 21% la considera buona, ma con varie sfaccettature. Noi, per tradizione, difendiamo le minoranze, quindi pensiamo che il 21% abbia ragione e il resto no. …. No, come elezioni di solito quando pigliamo il 51% vinciamo, a Seregno il 61% e vi siete dall’altra parte. Vi mancava il 61% di Seregno! Non le ho perse io le undici Regioni. L’altra cosa che mi premeva, era che ho apprezzato moltissimo l’intervento dell’Assessore al bilancio del Comune di Paderno Dugnano, perché nessuno ha parlato delle problematiche che avremo come amministratori. Giustamente, ognuno difende quello che può essere “il suo interesse”, il problema che non è venuto fuori e non è emerso dalla legge ciò che sono alcuni servizi e compiti che vengono dati ancora alle Amministrazioni Comunali e dall’altra parte ci si dice: devi rispettare il patto di stabilità. Io parlo per cognizione di causa, perché capisco le difficoltà di questa Provincia, essendo il Presidente della commissione bilancio. (Questa è sempre ironia). Però nei nostri Comuni, una cosa come la riforma Moratti, e qui bisognerà trovare forse una soluzione a questo problema, che non è indifferente, ci vengono trasferite competenze ma non ci vengono trasferite risorse. Parlo come amministratore comunale. Poi, entrando nel merito, è la cosa che mi premeva di più sul tempo pieno: non c’è più il tempo pieno. Dott. Dutto, pag. 2: Significativi risultati sono stati ottenuti ad esempio con il consistente aumento delle classi a tempo pieno, dal 37.1% del totale delle classi del 2001/2002, al 41.6% del 2004/2005. In Provincia di Milano, nello stesso periodo, si è passati dal 78.5% al 86.6%. Complessivamente, dal 2001 ad oggi sono stati immessi in ruolo, in Provincia di Milano, 3.500 unità di personale scolastico. Allora, chi mente? Aumento insegnanti di sostegno: negli ultimi anni scolastici il forte aumento di numero di studenti diversamente abili in Provincia di Milano, da 8.400 a 9.000 è stato accompagnato da un significativo rinforzo del contingente provinciale di insegnanti di sostegno, da 3.767 a 4.006. Aumento dei fondi per gli studenti immigrati: inoltre, accanto al fondo annuale disponibile per finanziare le scuole particolarmente interessate da processo immigratorio, € 4.243.497, di cui € 1.159.108 a Milano, è stato costituito un fondo specifico di € 1.000.000, disponibile alle scuole per azioni mirate. Questo è quello che mi fa ridere di più, non per quello che ha scritto ma per quello che ho sentito. Gestione delle risorse finanziarie: è utile intanto ricordare che nel corso degli ultimi 4 anni la spesa complessiva per l’istruzione in Lombardia, per la parte che fa riferimento all’Ufficio Scolastico regionale, è passata da € 4.899.786.473,54 nel 2002 a € 5.189.000.000. Allora? Non sono le risposte. Io quello che non riesco a capire è che quando si entra qua dentro, e voglio finire il mio discorso leggendo l’ultimo dato, dopo le rispondo. Decisamente in aumento le risorse per il miglioramento del fondo di istituto, ore eccedenti, prestazioni aggiuntive, che è passato a Milano da € 44.222.169,12 nel 2002, a € 52.999.849,61 nel 2004. Parimenti sono aumentate le risorse per le aree a rischio e a forte processo migratorio. Allora io dico, tutto quello che si è sentito qua dentro, è strumentalizzato o ha una fonte veritiera, o è un discorso, come dicevo prima, tanto finirà allo stesso modo, noi la pensiamo in un modo e sarà sempre così. Io qui usavo una frase che diceva mia nonna, dopo arrivavo con il nonno. L’altra cosa del discorso delle critiche per l’anticipo per la scuola dell’infanzia. Le domande di iscrizione dei bambini in anticipo sulla tradizionale età sono state 3.419 per l’anno scolastico 2004/2005 e sono a 4.317 per il prossimo anno, quindi significa che c’è un aumento, ma qua viene descritto come se fosse una negatività. Scusate, non è obbligatorio! Se io voglio mandare il mio nipotino prima, perché è intelligente come suo nonno, perché non lo devo poter fare? E’ diverso se mi obbligano, è anche diverso e più… è un’altra battuta dall’altra parte. 55 Quello che volevo dire era la battuta del nonno, poi finisco con una frase seria, mio nonno diceva che loro hanno provato a far bollire il sangue della suocera e il sangue della nuora per parecchie ore. Dopo tre giorni non sono riusciti a metterlo assieme. Quello che sta succedendo qui stasera per me è la stessa cosa. Tutti gli interenti, non tutti, chi si è soffermato esclusivamente sui dati, sono stati interventi fatti, anche se si proclamava “non voglio fare l’intervento politico”, era tutto un intervento fatto per un discorso di appartenenza politica, purtroppo. E ripeto, sangue suocera e nuora, non succederà mai. Io voglio finire però, per rendere serio anche per le persone che sono rimaste qui dentro ad aspettare di sentire anche quello che dicevamo noi, finire con l’ultima frase, sempre che ha messo il Dott. Dutto, che ha ricordato il Ministro Moratti che aveva citato una frase di Marco Biagi: ogni processo di modernizzazione avviene con travaglio e pagando anche prezzi alti alla conflittualità. Lui ci ha rimesso la pelle, per vedere di fare una riforma. Io chiedo, da semplice Consigliere provinciale, proviamo a parlare veramente sul problema, senza un discorso di demagogia. Non è possibile sentire un intervento che ti dice: speriamo che la prossima volta vinca il centrosinistra. Io dico: speriamo che la prossima volta si risolva il problema.” Nel frattempo sono usciti dall’aula l’Assessore Mezzi e il Consigliere Ariazzi. (Presenti 36) Presidente del Consiglio: “Grazie Gavazzi. Prima di dare la parola, per l’intervento di chiusura, ad Arrigoni, devo quasi chiedere scusa all’Assessore Rotondi, perché ovviamente anche per lei era stato previsto un intervento in relazione in particolare al suo ruolo di Assessore alla formazione professionale. Purtroppo le cose sono andate così, non abbiamo tempo stasera, ovviamente le daremo il debito spazio nella prosecuzione del dibattito di giovedì prossimo. Ha la parola Arrigoni.” Consigliere Arrigoni: “Cercherò di limitare il mio intervento ed evitare soprattutto le ripetizioni. Il mio intervento vuole esprimere le posizioni della Margherita, ma soprattutto vuole esprimere alcune considerazioni per valutare cosa possiamo fare, come ente locale, di fronte alla situazione del mondo scolastico italiano, con particolare riferimento alla proposta di riforma della legge Moratti. Direi che in questi ultimi anni, soprattutto negli anni ‘90, a livello governativo, a livello di Parlamento, si è riusciti a fare molte modifiche, a modificare in modo significativo l’ordinamento scolastico. Mi riferisco al decentramento dei poteri del Ministero sul territorio, sono scomparse le Sovrintendenze regionali e i Provveditorati agli Studi provinciali, è stata istituita l’istituzione scolastica riconoscendo autonomia e personalità giuridica, è stato riconosciuto il ruolo importante svolto dalle scuole paritarie. Soprattutto è stato delineato, anche con la modifica del Titolo V della Costituzione e con le leggi Bassanini, in particolare con il D.Lgs. 112/98, art. 139, sono state definite molte competenze che vedono gli enti locali assieme alle scuole, competenti per portare avanti e risolvere molti problemi scolastici di ordine comunale e sovracomunale. Quindi, noi come amministratori provinciali siamo tenuti a valutare queste problematiche non solo per passione politica ma perché abbiamo un dovere amministrativo specifico che ci viene dato dalla legge. Con il D.Lgs. 112, la Provincia e i Comuni non sono tenuti a fornire i classici servizi, gli edifici, gli impianti, i trasporti, le mense, ma possono partecipare a definire il piano dell’offerta formativa. Abbiamo non solo il dovere di lavorare in rete tra Comuni e istituzioni scolastiche che lavorano all’interno del territorio comunale, e tra Provincia e istituzioni scolastiche per quanto riguarda le scuole superiori. Quindi si è delineato un sistema scolastico che vede non il Ministero come punto di riferimento fondamentale per la scuola, ma che vede il territorio come punto fondamentale per le scuole. E per territorio intendiamo gli enti locali e tutte le agenzie formative, associazioni culturali, pubbliche e private che sono presenti sul territorio e che possono collaborare a migliorare l’offerta formativa delle 56 nostre scuole, delle cosiddette scuole dell’obbligo nei Comuni e delle scuole superiori per quanto riguarda gli aspetti della Provincia. Allo Stato sono rimaste solo le competenze per quanto riguarda le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni, alle Regioni la competenza per l’istruzione e la formazione professionale. Bene, in questo sistema generale, a me sembra importante sottolineare che il sistema educativo nazionale è fatto da scuola pubblica e scuole paritarie, quindi anche alle scuole paritarie il legislatore ha riconosciuto un ruolo decisivo. Questo è un aspetto da tenere presente, perché abbiamo il dovere di pensare alla difesa, al mantenimento degli alti livelli della scuola pubblica, ma dobbiamo anche tenere in giusto conto le collaborazioni che storicamente abbiamo avuto e possiamo avere sia sul piano educativo che sul piano sociale, che ci vengono dalle scuole paritarie. Un giudizio sulla riforma Moratti, e colgo l’occasione non solo per esprimere un giudizio ma per dare qualche chiarimento, approfittando del fatto della mia esperienza di Assessore alla pubblica istruzione nel Comune di Vimercate. Bene, la riforma Moratti ha avuto applicazione solo in questo anno scolastico 2004/2005, soprattutto a livello di scuola primaria, perché per quanto riguarda le scuole per l’infanzia il fatto più significativo, che era l’iscrizione anticipata, non ha trovato in generale applicazione perché, questa è una contraddizione di questa legge e delle politiche del Ministero, a fronte di una possibilità legislativa non c’era di fatto la disponibilità dei docenti e non c’era la disponibilità dei Comuni a mettere a disposizione spazi ed attrezzature per poter ospitare nelle scuole per l’infanzia alunni di 2,5 anni. Le norme che hanno riguardato quindi in particolare l’applicazione della legge Moratti nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, hanno determinato alcune modifiche didattiche di questo tipo: l’avvio dei tutor, il superamento delle compresenze, la riduzione degli organici - dopo dirò come -, riduzione del tempo scuola, determinando così preoccupazione nei genitori, nei docenti e tra gli amministratori comunali. Questi fatti hanno determinato dubbi sulla qualità della scuola che potrà scaturire dall’applicazione delle scelte pedagogiche e organizzative previste dai decreti applicativi della legge Moratti. E queste scelte, di fatto, hanno avviato il superamento del tempo pieno nelle scuole primarie. Perché il tempo pieno è caratterizzato da due aspetti fondamentali. Uno è la compresenza, la classe seguita da due insegnanti che fanno ciascuno 22 ore di scuola, 22 + 22 fa 44 ore, però siccome il bambino più di quaranta ore settimanali non fa, ci sono quattro ore di compresenza. I tagli, seppure limitati, che sono stati fatti, di personale docente nell’anno scolastico 2004/2005 hanno avviato la scomparsa, e se si continuerà a ridurre il personale diventerà la scomparsa della compresenza. L’altro elemento che caratterizza il tempo pieno è il fatto che le due insegnanti sono contitolari, sono entrambe responsabili sotto il profilo pedagogico organizzativo dell’educazione che viene rivolta alla classe. Quando si mette il tutor, si potrà condividere o non condividere, si rompe questa organizzazione, questa caratteristica del tempo pieno. Il venir meno di questi due aspetti fa venir meno progressivamente il tempo pieno, che almeno in Lombardia, e in particolare nella Provincia di Milano, ha dato risultati molto positivi. Anche per quanto riguarda alcuni dati illustrati da Elli, e forse male interpretati, io non le riconosco la malafede, è vero un insegnante ogni dieci alunni, ma questo è riferibile solo alla scuola primaria, dove c’è il tempo pieno, e la scuola a tempo pieno è una scuola ottima sotto il profilo pedagogico e organizzativo. Non si può fare l’equazione tra un insegnante ogni dieci alunni e la scuola va male. Quella scuola che sembra vada male è la scuola superiore, non è la scuola elementare. La scuola elementare e la scuola materna italiana, ci vengono invidiate da tutta Europa. Mi sembrava giusto fare queste precisazioni. Poi volevo fare alcune ultime considerazioni. Per quanto riguarda la scuola superiore, effettivamente la divisione dei due canali è una divisione troppo rigida, forse era meglio un sistema unico in cui potessero convivere licei, istituti tecnici e scuole professionali. Certo, mi spiace che il Ministero non sia riuscito, in questa bozza di decreto, a definire dove mettere gli IPIA. Gli IPIA in quale canale li 57 mettiamo? Spero non nel canale dei licei, perché si andrebbe a eccessivamente liceizzare la struttura scolastica del nostro mondo. Io vorrei chiudere, e sul piano della formazione professionale condivido tutto quello che è stato detto da Franchi e da Bernasconi, che hanno illustrato le caratteristiche di questo ramo della struttura scolastica nel nostro Paese. E’ per questo motivo che io credo che questa legge debba essere complessivamente ripensata. Complessivamente ripensata, nel senso che devono essere, a nostro avviso, rifatti, rinnovati i decreti applicativi. Quindi noi sosteniamo l’ordine del giorno proposto dalla maggioranza. Dico due concetti. Noi riteniamo che la scuola media superiore, la scuola secondaria di secondo grado, è stato il vero punto debole del nostro sistema scolastico e non siamo mai riusciti, in trent’anni di tentativi, a modificarla, per i veti incrociati di diversa natura. Io auspico che questo decreto non vada avanti e che si possa riformare in particolare la scuola secondaria, o comunque il sistema scolastico nel suo insieme superando corporativismi ed ideologismi, perché se queste due caratteristiche continueranno a permeare il nostro dibattito, noi faremo delle leggi che ogni cinque anni dovremo cambiare. E io ritengo, noi riteniamo come Margherita, che nel nostro Paese ci siano due grandi servizi, la sanità e l’istruzione, che meritano un accordo tra maggioranza e opposizione, tra tutto il mondo sindacale e il mondo scolastico, perché non possiamo permetterci ogni cinque anni di cambiare servizi così importanti.” Presidente del Consiglio: “Grazie. Scusatemi, volevo innanzitutto ringraziare in particolare i relatori, ringraziare quelli che sono rimasti della loro pazienza. Ricordo che il Consiglio si dà appuntamento a giovedì prossimo e ovviamente gli ospiti continuano ad essere assolutamente graditi, atteso che giovedì prossimo metteremo anche in votazione i documenti che impegneranno l’ente su questo argomento.” Dopodiché, alle ore 20.40 del 30 giugno 2005, il Presidente del Consiglio toglie la seduta e significa che il Consiglio è convocato per il giorno 7 luglio 2005. Del che si è redatto il presente verbale che viene come in appresso sottoscritto. IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO (Vincenzo Ortolina) IL DIRETTORE GENERALE (Giancarlo Saporito) 58