Miti Storia e Archeologia dei Campi Flegrei di Domenico Di Spigna Questa vaga striscia di terra che si estende dalla collina di Posillipo sino alla mitica Cuma, passando per Agnano, golfo di Pozzuoli, del cui promontorio Miseno ne chiude l’arco, dopo la voluttuosa Baia, luogo di delizie dell’antica Roma, viene così chiamata per i fenomeni di vulcanesimo che la interessano, facendone assumere la denominazione di “campi flegrei”, ossia ardenti. Detti luoghi arcaici possono considerarsi un composto tra miti, cultura e archelogia. Nel contesto generale sono comprese anche le dirimpettaie isole di Procida e Ischia. La prima, pur non presentando ai nostri giorni segni di attività vulcanica, evidenzia ragionevolmente con le insenature della Chialolella e della Corricella la sua remotissima origine di tale natura, mentre la seconda anch’essa senza vulcani attivi (ultima eruzione 1301-02) conserva tutta la sua fisionomia e moderata manifestazione attraveso le acque termali, esistenti anche presso i litorali, e le fumarole. Scelti per godersi le amenità della dorata natura e gli ozii, queste zone furono sempre amate ed ammirate da Virgilio, Orazio, Svetonio, Stazio, Tacito nell’età classica e nell’Umanesimo da Giovanni Boccaccio, che ne menziona le «dilettevoli baie sopra li marini liti, del sito delli quali né più bello né più piacevole ne cuopre alcuno il cielo» e di poi Gioviano Pontano e Jacopo Sannazaro. Partiamo dunque per questo interessante viaggio descrittivo d’una parte di terra della “Campania Felix” principiando dall’isolotto di Nisida. Nisida - Una piccola isola di materiale tufaceo, posta sotto il Capo di Posillipo, alta un centinaio di metri, appartenuta un tempo a Felice Pollione, nota sopratutto più di due millenni fa per essere stata sede del famoso incontro tra Cicerone, Bruto e Cassio, per eliminare Giulio Cesare. Si ricorda a proposito la presenza a Nisida (Nesis) l’8 luglio anno 44 a.C. del famoso avvocato da una sua lettera all’amico Attico. Menzionata da Plinio per la buona produzione di asparagi, oggi è legata alla terraferma da un ponte in muratura ed è sede di un carcere per minorenni. re rimedio alla salute e respirarne le arie perché ammalato di mal di petto (tubercolosi), vi trovò la morte; era il 10 luglio dell’anno 138. Essa ha conservato, nonostante i movimenti tellurici di tutta l’area flegrea, un discreto patrimonio storico di ciò che fu la magnificenza romana. Si notano i resti delle sue terme, allora rinomate ed affollate, tanto da oscurare quelle pur conosciute della vicina Aenaria, da breve tratto di mare separata, e del tempio di Venere e Diana. Avanzi di bellisssime ville con portici e colonnati, pavimenti in mosaico giacciono in fondo al mare, sempre a causa del bradisismo che interessa tutto il golfo di Pozzuoli. Le terme della leggiadra Baia, consacrate alla pagana dea Venere, furono luogo di cura del Governatore della Galilea Ponzio Pilato, che doveva essere poi giudice di condanna di Cristo. Questi, tornato a Roma dopo qualche anno, si allontanò dalle fatiche pubbliche, cominciando a scrivere le sue memorie nella propria casa all’Esquilino, ma per gli anni che avanzavano e tormentato dai reumatismi si recò ai bagni di Baia. Come si evince dal libretto di Anatole France (del 1902) assistiamo ad una bella descrizione del luogo, posto su di un «incantevole lido di mare blu, dove i delfini affioravano con il loro gioco e in lontananza la costa dorata campana col Vesuvio che rideva». In epoca più recente, nel ‘500 rinascimentale, Baia fu ci- Giacinto Gigante - Il tempio di Venere a Baia (1830 c.) Agnano - Là dove oggi sorge il noto ippodromo napoletano, eravi nei secoli trascorsi un lago, formatosi in una conca vulcanica, al pari del lago d’Ischia. Con la zona limitrofa costituiva l’Ananium, dal nome della famiglia Ania di Pozzuoli che ne era proprietaria. Man mano con diverse bonifiche, si è portato allo stato attuale. Leggenda vuole che nei tempi remoti la gente si teneva lontano dal luogo per l’aspetto inquietante dovuto alle sue acque oscure che emanavano fumi mortali. Baia - Ridente cittadina a nord-ovest del golfo di Pozzuoli, ancor prima di Capo Miseno, prende il nome da Baios compagno e nocchiero di Ulisse, di omerica memoria; fu luogo di delizie di noti personaggi, patrizi e imperatori romani (Nerone, Adriano). Quest’ultimo qui venuto per trova32 La Rassegna d’Ischia n. 6/2012 Le terme romane di Baia Luoghi celebrati in versi da Camillo Eucherio de Quintiis * (…) Ma della caducità delle cose prove avrai più chiare se la barchetta dai remi sospinta ti porterà di buon’ora nelle acque di Cuma, ove più mite è il mar che bagna le soffici arene con lenta onda. Questi siti non son privi di delizie, sebbene sconvolti da molte rovine; meco t’allegrerai di visitar le sedi dei Fereciadi e i porti vicini. E qui, dove le calcidiche genti in origine hanno mura innalzato grandiose con regal lusso, ancora oggi osservar si possono coi propri occhi, almeno in parte, luoghi disertati, ville del tutto in ruderi finite, che un tempo pei trofei degli antenati furono famosi; templi e sepolcri in rovina, insegne, fregi e vestigia di antichi popoli. Qui fatto scalo, il nocchiero in mezzo ai colli scoprire potrà quella rocca, dove l’augusto Apollo pose dimora, svelando gli oracoli suoi con gli arcani segni, passar cento aditi e per le cento porte, dove risuonavan le voci che l’aere intorno facevano vibrare; e ancor della fatidica Sibilla l’antro tuttora orrendo, e pure i tripodi tuoi, Timbreo, e gli inscritti monumenti della dedalea fuga, che son sparsi in giro ricoperti d’erbe, e sotto folte spinose macchie li nasconde l’ispido cardo o il paliuro tra i rovi. (…) Non ti spaventi poi il lago d’Averno, un tempo sinistro agli uccelli e causa di timor, al solo nome, pei popoli; cacciato via il contagio infatti, ora offre acque salubri e le sue rive allieta di mite clima. Così muta il fato le vicende: nuoceran quelle cose che prima giovaron, mentre saranno di aiuto quelle che nocquero. Siccome il mar che or, turbate l’onde, s’adira, or s’abbonisce, l’acque chete fattesi. (…) che s’eleva al presente con alta vetta. Ma quando tu volessi pur conoscere ciò che resta ancor del grande lusso e delle opere antiche, la mirabile Piscina2 ad un solo sguardo farà che tu resti a bocca aperta; famoso monumento del lavoro e dell’arte, tuttor dura e gli invidi fati supera del tempo; eterna fama ha e fu artefice Agrippa.... (…) Da un’altra parte potrai pur vedere quelle ville che in passato facevano la vera delizia di genti lazie, ma or tristi e squallide sono, coperte da cumuli di foglie, felci e salici; del tempo che scorre miseri avanzi. Non potrebbe sotto queste rovine riconoscere i suoi vivai Servilio3, fuggendo le ire di Tiberio: e, fatte nella roccia, le due spelonche, l’una delle quali sempre il sol riceveva e l’altra mai ‘l vedeva. Arator duro col vomere sprezza e frange, insolente, voi anche fabbriche che seguiste i fati e gli eventi del padrone, famose un tempo già, risonanti le guerre or d’Asia, or dei pirati, e i grandi trionfi di Pompeo, vincitor su Mitridate. (…) Volgi il tuo cammino verso il lido ispido della sterile alga e noia non ti prenda ad osservare i luoghi dagli studi di Minerva resi celebri: qui spesso ciò il luogo viene denominato Capo Miseno, promontorio del mar Tirreno, un tempo molto famoso per la clemenza del cielo, per la eleganza delle ville, per i famosi monumenti; fu abbellito dagli imperatori romani con palazzi e con un porto, che rappresentava un rifugio della flotta romana. 2 Di questa piscina, definita mirabile, così scrive Capaccio: “Opera regia con una vòlta sorretta da 48 colonne, lunga 250 passi, larga 160. Struttura a mattoni, pareti rivestite di intonaco resistente all’acqua. Ai due lati scale in pietra vi consentivano l’accesso. Attribuita da alcuni a Lucullo, io l’attribuisco ad Agrippa, che a Miseno costruì anche un celebre porto”. 3 Presso l’Acherusia c’era la Villa di P. Servilio, A seguir miei precetti ti richiama detto l’Isaurico dall’Isauro, regione il trombettier delle navi dardanie, dell’Asia Minore da lui conquistata, una volta vinti memorando per il lituo e per le armi, i pirati, il 677 dopo la fondazione di Roma; detto e che con valor, accanto ad Ettorre, anche il ricco per antonomasia. Consulta anche le pugne affrontava contro le argoliche Seneca (Ep. 55), che parla diffusamente di questa schiere e sul cui tumulo furon posti Villa. Perseguitato poi da Tiberio, per fuggirne la il remo e la tromba, e cioè Miseno1 crudeltà, in questa si ritirò e invecchiò. Parla di questo luogo Seneca: “Vi sono due grandi spelonche con un ampio atrio scavate a mano, delle quali una 1 Miseno, trombettiere di Enea, qui sepolto e per- non riceve mai il sole e l’altra lo tiene sino a sera”. ritornato dopo liti chiassose del foro e i graditi ossequi dei clienti, e le grida di “bravo!”, te richiama Tullio4, la Facòndia, per preparare l’imprese e discuter alte questioni; dove, sotto la tua guida, con sorte più felice, si fissò l’Accademia, lasciata ormai di Atene la cittade. Bada però di non scegliere i lidi Itachesi di Baia5, sebben la costa lunata sia invitante col tranquillo seno, un tempo salutar e placido porto, ma ora adatto solo alle barche. Infatti l’odor fetido che spira dal pestifero gorgo facilmente ridà vigore ai morbi e nuovi stimoli offre all’esitante fato. Il cammino perciò qui non fermino i templi a [Venere6 7 e a Diana sacri, né quel di Mercurio coi suoi ruderi qua e là giacenti. Il nocchier volga a sinistra ed il remo a te batta dalla sinistra parte. Mentre ritorni alle campagne apriche di Pozzuoli, la Solfatara e l’aura mite nel seren giorno ti sospingano in direzione dei sulfurei luoghi. Timor non dèstino le fumarole che vedi in questa zona ovvero i campi di nitro o di bitume sparsi e i colli ardenti di zolfo intorno diffuso. Buona è certo l’aria per chi vi giunge dall’isola d’Enaria, né v’è luogo più lieto e propizio per la salute. 4 Si indica qui la Villa di M. Tullio Cicerone presso il Lago Averno (ora Lago di Tripergola) verso Pozzuoli. Cicerone la chiamò Accademia, dalla celebre Accademia di Atene, dalla quale ebbero nome di accademici i discepoli di Platone. In questa Cicerone compose i libri detti Questioni accademiche. Dopo la morte di Cicerone, ne divenne possessore Antistio il Vecchio, e quivi si scoprirono caldi fonti, considerati salubri per gli occhi e celebrati dal canto di Laurea Tullio, un liberto di Cicerone. Vedasi Plinio. 5 Baia da Bajo, Baja (Strabone lib. 5), compagno di Ulisse ivi sepolto. Un tempo sede di piaceri: ora luogo di aria insalubre. 6 Di questo Tempio di Venere parla Marziale. 7 Tempio di Diana a Baia (v. Capaccio) - Il Tempio di Mercurio, di cui si vedono rovine. * C. E. de Quintiis, Inarime seu de balneis Pithecusarum, libri VI, 1726, di cui è stata fatta da R. Castagna la versione italiana, pubblicata nel 2003. I passi riportati sono tratti dal sesto libro Lago d’Averno La Rassegna d’Ischia n. 6/2012 33 tata in una sua ecloga, per la vita licenziosa che in essa si teneva al tempo dei Romani, dal poeta napoletano Jacopo Sannazaro, mentre qualche secolo appresso fu punto di riferimento di illustri viaggiatori e uomini di cultura. La sua memoria storica ci dice che anche Poppea, moglie di Nerone, la scelse per le sue ferie estive recando seco numerose asine, che dovevano procurarle il latte per i suoi bagni corporei. Disse di Baia il poeta Orazio: nullus in orbe sinus Baiis praelucet. Pozzuoli - La fondazione di questa industriosa e storicissima città, centro principale dell’intera area flegrea, che dà il nome all’intero golfo prospiciente, risale al VI sec. a.C. da parte dei Samii esuli dell’isola greca di Samo che le diedero il nome di Dicearchia, cioè governo giusto. Avendo poi i Romani, trecento anni avanti l’era cristiana, occupato la Campania, la chiamarono Puteoli, dai numerosi pozzi termali ivi esistenti, divenendone col tempo il loro porto principale, da cui partivano gli scambi commerciali con le nazioni mediterranee. Poco ci resta di questo grande emporio a causa del bradisismo discendente. Elevata a colonia da Nerone nel 63 d.C. che vi fece anche scavare grotte sudatorie, vide i suoi fastigi sotto l’imperatore Vespasiano, che ivi costruì l’anfiteatro (terzo in Italia per ordine di grandezza, delle dimensioni 149x116 m.) e l’attuale Serapeo, meglio chiamarlo “macellum” ovvero un ampio mercato (75x58 m.), del quale ci restano ancora resti delle sue strutture. Va pure ricordato che Puteoli, altro nome della città per le esalazioni putescenti della Solfatara, possedeva già un altro piccolo anfiteatro, su modello di quello pompeiano, senza cavea per le fiere, al tempo di Augusto. Altre vestigia della Pozzuoli imperiale sono il tempio di Augusto al Rione Terra, trasformato poi in duomo dedicato al martire puteolano San Procolo, patrono principale della città decapitato assieme a San Gennaro, dopo che questi era stato in principio condannato “ad bestiam” (sbranato dalle fiere). Altri santi martiri, della prima età cristiana, legano il loro nome alla città: San Patroba (paternale) vescovo e discepolo di San Paolo, decapitato con San Gennaro; San Paolo, pilastro del Cristianesimo, prima di recarsi a Roma proveniente dall’Oriente, soggiorna una settimana a Pozzuoli coi fratelli cristiani: ne fa testimonianza una lapide posta al porto, che recita così: «Paolo di Tarso apostolo delle genti, magnifico assertore della verità, ai lidi puteolani approda e ivi trascorre sette giorni coi fratelli nella fede. La città campana ne annovera l’evento tra i fasti della sua trimillenaria storia»: correva l’anno 61 d.C. Bacoli - Altro interessante luogo prossimo a Miseno, a circa tre Km. da Baia, presentava anch’essa belle ville, tra cui quella di Quinto Ortensio, oratore e amico di Cicerone, che poi, volgendo di mano in mano passò a Nerone e ai Flavii; sembra che in essa si sia rifugiata Agrippina, prima di essere uccisa per ordine del folle suo figlio. Ai nostri giorni a Bacoli è da conoscere la “piscina mirabilis”, grandioso serbatoio d’acqua per approviggionare la flotta romana. Venne scavata in blocco tufaceo nelle dimensioni di m. 70x25,5 e m. 15 di altezza, per una capacità di 12.600 mc d’acqua. L’antico suo 34 La Rassegna d’Ischia n. 6/2012 toponimo era Bauli, per la leggenda ricovero dei buoi. Miseno - A questo promontorio che prende il nome dal trombettiere di Enea, richiamando la classicità del mondo virgiliano, è legata la figura dell’imperatore Tiberio per il quale rimaneva l’unico filo di contatto con la terraferma, ossia Roma, dal suo splendido isolamento di Capri. Sappiamo infatti che Tiberius Claudius Nero, una volta fatta la consacrazione dei templi, disposto con un editto che nessuno turbasse la sua tranquillità, e tenuti lontani gli abitanti delle città che accorrevano a lui, si rifugiò nell’isola di Capri. Nell’anno 37 qui trovò la morte. Fu Miseno per la sua posizione strategica sede della flotta navale di Roma, annoverando tra i suoi prefetti comandanti Caio Plinio Secondo, il famoso scienziato che fu tragi- Archi della Piscina mirabile a Bacoli La Villa Jovis sulla sommità del promontorio di Capri co spettatore dell’eruzione del Vesuvio dell’era vespasiana (24 agosto 79 d.C.). Ne abbiamo notizia dalla celebre lettera di suo nipote Plinio il Giovane scritta allo storico Tacito che gli chiedeva di tramandare ai posteri la sua figura e gli avvenimenti da lui vissuti, in occasione del disastro provocato dall’esplosione del Vesuvio. Dice di essere stato invitato a salire su di una barca, per portarsi verso Pompei e studiare i fenomeni eruttivi, ma lui aveva preferito starsene dedito ai suoi lavori in compagnia della madre. Purtroppo suo zio morì per le esalazioni gassose. Il porto di Miseno, già base marittima di Cuma, che potè di lì estendere la sua egemonia sul Tirreno sconfiggendo gli Etruschi, fu di poi ancor più importante, quando da Augusto venne designato quale porto principale del Tirreno. Era posto in comunicazione, tramite canale con un altro specchio d’acqua interno (una darsena) corrispondente all’attuale Mare Morto che fungeva da ricovero e riparazione delle navi; entrambi i porti furono opera di Marco Vipsiano Agrippa. Oltre a Plinio il Vecchio, ebbe tra gli altri comandanti Tiberius Claudius Anicetus, attore e complice del complotto ordito da Nerone per l’uccisione di sua madre. Con l’unificazione della flotta romana nel II sec. d.C. Miseno si pregiò della “Praetoria classis misenensis”. Forniva tra l’altro un centinaio di ottimi marinai a Roma, per le manovre delle tende ombrifere (il velario) nelle giornate assolate, durante gli spettacoli al Colosseo. Antichissima fu la sua chiesa, dove già nel II e III secolo si diffondeva il Vangelo di Cristo, con Sossio diacono presso il quale si era recato S. Gennaro, il quale poi sarà condannato assieme a Desiderio, lettore di Benevento, Proculo diacono di Pozzuoli, nonchè Acuzio ed Eutichete nobili puteolani. Aveva Miseno una piscina di acqua per le navi, fungente da riserva idrica a quella di Bacoli. Cuma - Fondata dai Greci, che prima si erano posti a Pithecoussai (Ischia), ma qui giunti perché fuggiti dall’isola per loro divergenze ed eruzioni vulcaniche, prende il nome dalla eubea Kyme. Dall’VIII sec. a.C. rappresenta la civiltà greca in Italia. Ebbe un’interessante acropoli con tempio, trasformato dopo dai Romani, di cui abbiamo dei resti ed un anfiteatro del quale si sono trovate delle tracce. Ben conservato a tutto oggi rimane l’antro della Sibilla, luogo delle profezie della vecchia sacerdotessa che dalla stanza posta in fondo alla galleria di m. 131 vaticinava. Nel 334 prima dell’era cristiana, subì la devastazione da parte di Annibale, rimanendo fedele a Roma. Con Miseno e Puteoli fu una delle prime comunità cristiane Lago d’Averno - Come gli altri laghetti di questa parte nord-occidentale del territorio flegreo, si è formato nel cratere di un antico vulcano, con acque limacciose, oscure e putescenti con emanazioni di gas nocivi per i volatili per cui prende il nome di “senza uccelli” in greco. Per gli antichi rappresentava la porta degli inferi e per la mitologia sotto di esso viveva in grotte oscure il misterioso popolo dei Cimmeri. Ed è proprio qui che Enea, secondo quanto scrive Virgilio nella sua Eneide, chiedendo via libera alla Sibilla, scese nel regno dei morti per interrogare suo padre Anchise. Nel I sec. a.C. col vicino lago di Lucrino venne, tramite canale, messo in comunicazione col mare diventando così un sicuro porto; era il “Portus Julius” voluto da Augusto con l’opera di M.V.Agrippa, architetto ed ammiraglio, ma dopo alcuni decenni perse di importanza e la base navale a Miseno. Lucrino - Questo laghetto, anch’esso vulcanico, ma un tempo più ampio, prende il nome dal termine latino lucrum (guadagno) per i buoni affari che vi faceva C. Sergio Orata, imprenditore romano che ivi creò un allevamento di ostriche un secolo prima di Cristo. Eravi qui una bellissima villa di Cicerone. Procida - Il nome di questa piccola isola del golfo di Napoli, dal fascino particolare che colpisce al primo impatto, prende il nome dal greco ”prochyte”, ovvero versamento o effondersi dalla vicina e più vasta Ischia, verso il continente, mentre per la leggenda il nome appartenne alla nutrice di Enea, ivi sepolta con altri compagni dell’eroe troiano. Il suo peso schiaccia il titano Mimante, ribelle a Giove. Fu suo signore quel tale Giovanni da Procida autore dei famosi Vespri a Palermo al tempo degli Angioini; subì nei secoli scorsi diversi attacchi di pirateria. Grande è la sua tradizione marinara per aver fornito alla marina mercantile tanti uomini di mare; notevole fu il tonnellaggio dei suoi velieri nell’800, che venivano costruiti alla marina di San Cattolico (con varo di murata), un centinaio circa sui trecento complessivi del Regno delle Due Sicilie e alla nascita del Regno d’Italia costituiva con le sue 45.000 tonn. di stazza, un sedicesimo dell’intero tonnellaggio nazionale. In una colonna posta nella piazzetta di Terra Murata sono riposti i nomi dei martiri della Repubblica Napoletana del 1799 che ivi furono afforcati. Nel secolo XVIII Procida era il luogo di caccia venatoria cara a Carlo III di Borbone. Ischia - Come accennato, la vulcanica Ischia è parte integrante dell’area flegrea. Ai tempi di Omero era identificata col nome di Scheria e legata al mitico eroe greco Ulisse, che secondo alcune congetture di studiosi di cose antiche (Philipp Champault), vi sarebbe giunto per riposarsi dalle lunghe fatiche addormentandosi sotto uno strato di foglie, come si evince dall’episodio di Nausicaa. Pressato dal suo peso qui giace il gigante Tifeo che vi sbuffa vapori. Altra leggenda legata a questa grossa isola vuole che i primi abitatori fossero dei rapaci malviventi, capitanati da Candolo e Atlante, ma una volta allontanati dai nuovi coloni greci, furono dal padre degli Dei trasformati in cercopi o scimmie. La euboica Pithekoussai risulta essere la più antica colonia della Magna Grecia. In essa sono state rinvenute numerose vestigia archeologiche, che si possono ammirare nel Museo di Lacco Ameno e in quello sottostante la chiesa paleocristiana di Santa Restituta. Cicerone nell’area flegrea - Il noto avvocato e filosofo Marco Tullio Cicerone, nato ad Arpino, tra le sue numerose ville ne possedeva alcune anche in questa arcaica terra campana, che sicuramente amava in modo particolare per i suoi riposi e la contemplazione del vago paesaggio, tanto che a volte, forse per invidia, gli veniva rimproverato di starsene alle terme di Baia o nella bellissima villa di Lucrino. Nella lettera scritta a Pomponio Attico (14) il 25 gennaio del 61 a.C. gli comunica che arricchirà una sua orazione con la descrizione e lo sfondo paesistico di Miseno e Pozzuoli. Domenico Di Spigna La Rassegna d’Ischia n. 6/2012 35