PERIODICO DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DELLE TRE VENEZIE Anno XLII - N. 176 - MARZO / APRILE 2007 - Poste Italiane spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza di Luciano Berzè BRAVI! C on la fine del mese di aprile sono state depositate le liste necessarie per le elezioni che si terranno a fine maggio. Oggi -a metà maggio - possiamo intanto fare i conti su questo primo risultato. Ed è certo un risultato lusinghiero. La categoria si è svegliata. Non sempre, non dovunque, ma i sintomi di un risveglio ci sono anche in zone nelle quali alcuni mammasantissima, con metodi discutibili quando non al limite della tollerabilità democratica, hanno dovuto accettare -o meglio subire- un nuovo tipo di confronto democratico. Quindi il primo e forse più importante risultato è stato raggiunto. Un grazie a tutti voi. Bravi! In un contesto spesso paralizzato da una vacanza elettorale troppo lunga, il deposito delle liste elettorali in molti casi con inattesa pluralità significa, se ve ne fosse ancora dubbio, che il passaggio elettorale era oramai non più rinviabile. La partecipazione rilevante che alcuni colleghi hanno riservato al procedimento elettorale, che speriamo gli altri onorino, non può che significare la rilevanza che il governo della categoria ha, secondo loro, nell’organizzazione delle loro attuali attività e nella programmazione di quelle future. Non di rado, invece, questo rapporto è sottovalutato, se non ignorato, dai più. Ciò è sbagliato. Trascurare la propria capacità di essere rappresentato, ritenendo che le proprie rappresentanze siano indifferenti rispetto alle proprie scelte o alle proprie convenienze è un errore grave. Non lo è forse nel breve periodo, ma certamente lo è nel lungo periodo. In molti si lamentano dell’ormai scarsa remuneratività di molte attività professionali. E a ragione. In questo ultimo decennio la trasformazione dell’economia è stata impressionante, non altrettanto la nostra In questo numero 2 3 4 5/7 RELAZIONE PER L'UNIVERSITÀ CA' FOSCARI Annotando / VIVE LA FRANCE! GIOVANI COLLEGHI, STUDIATE IL CINESE ATTIVITÀ PROFESSIONALE IN COMUNE: RIFORMA BERSANI E ASSOCIAZIONI MULTIDISCIPLINARI 9 L'ESTINZIONE DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI ALLA LUCE DEL NUOVO ART. 2495 C.C. 10 VALORE VENALE E ACCERTAMENTO IMMOBILIARE 11/12 FUSIONE: IL BONUS AGGREGAZIONI DELLA FINANZIARIA 2007 ALLA LUCE DELL'OIC 4 13/14 CLAUSOLA DI SPECULAZIONE NEL PRIMO TRASFERIMENTO DI PROPRIETÀ DEI PRODOTTI AGRICOLI 15/16 IL COMMERCIALISTA VENETO SBARCA A WALL STREET 17 NUOVE PROFESSIONALITÀ E CRISI AZIENDALE 18 STUDI DI SETTORE, INE: IL FISCO ABBANDONA LA CONTABILITÀ? 19 L'ALBO UNICO? SULLA NEVE! L' INSERTO 1) IL MERCATO EUROPEO DELL'AUTO 2) RITRATTABILITA' DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI E DIRITTO AL RIMBORSO A PAGINA 8 IL BANDO DELLE BORSE DI STUDIO 2007 reattività. I guai di oggi, infatti, affondano le radici in un lontano passato. Un passato dominato da una classe dirigente della professione che ha sentito quel compito più un premio, un riconoscimento, piuttosto che un impegno per creare i presupposti per il futuro. Si sono curati i rapporti istituzionali con i consueti soggetti senza badare troppo a quelli nascenti o a far crescere il rapporto con le comunità locali. Questa quindi potrebbe essere un’occasione ghiotta per cambiare, per diventare una volta tanto se non trainanti almeno non trainati dalla crescita della nostra società. Vedremo. Per intanto osserviamo con curiosità la precisione con la quale alcuni presidenti interpretano le norme elettorali escludendo di volta in volta potenziali candidati interpretando o applicando a piacimento leggi e regolamenti. Cosiccome è certo degno di nota il secondo mercato delle liste, quelle civetta. Le liste dei ragionieri che scelgono, al momento con apparentamento sottotraccia, i dottori da supportare o quelli da evitare. Ma anche quelle di minoranza dei dottori la cui unica probabilità di contare qualcosa è di sommarsi ad un’altra minoranza per diventare maggioranza. La lista di minoranza e la immanente lista civetta sono regali –vi sono certo altre chicchedel padre del 139 come lo conosciamo. Un padre che riconosce il figlio e lo difende solo quando lo ritiene conveniente. Un signore che ha fatto scrivere un testo sartoriale pensato su di sé con la cieca presunzione di risolvere tutti i problemi ma con il risultato di far venir fuori con un testo miope quanto poco meditato - anche quelli ai quali nessuno avrebbe mai pensato. Intanto ce lo teniamo così. Speriamo tutti che il buon senso che al centro non sembrano avere risieda in provincia, motore del paese, e che ci consenta dal 2 giugno di poter guardare il futuro con minore pessimismo. 2 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 Cerimonia inaugurale dell'Anno Giudiziario Tributario Venezia Mestre, 24 marzo 2007 Relazione per l'Università Ca' Foscari di Venezia PROF. ANTONIO VIOTTO Associato di Diritto Tributario Università Ca' Foscari R itengo opportuno muovere, in questa mia relazione per l’Università di Venezia, da uno sguardo retrospettivo sulle principali recenti modifiche che hanno interessato il sistema tributario. Nell’anno appena trascorso abbiamo assistito ad un vero e proprio profluvio normativo che ha quasi assunto i tratti della legislazione d’emergenza, sia per la numerosità e la rilevanza degli interventi (come vedremo tra breve), sia per la tecnica normativa adottata (2 decreti legge nell’arco di appena 4 mesi, convertiti con modifiche profonde, una legge finanziaria da 1.500 commi, senza contare i provvedimenti di attuazione), sia per i toni quasi apocalittici che hanno accompagnato la diffusione di analisi, stime e previsioni, tra loro nemmeno concordanti e spesso smentite dai dati riscontrati a consuntivo. Ebbene, questi recenti sconvolgimenti non hanno intaccato la disciplina processuale: il che, se vogliamo, è un dato positivo perché contribuisce al sedimentarsi delle regole, alla loro assimilazione, allo sviluppo dell’interpretazione (anche giurisprudenziale) più ponderata, pur non potendosi non guardare con rammarico alla perdurante indifferenza dimostrata dal legislatore per alcune problematiche che attengono allo svolgimento del giudizio e che da tempo sono state sollevate dalla dottrina più attenta. Mi riferisco, ad esempio, al tema della prova orale, sul quale, peraltro, segnalo che indicazioni non eludibili sono pervenute dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sent. 23 novembre 2006, ric. n. 73053/01, caso Jussile). D’altro canto, analoghe esigenze di stabilità normativa – presupposto per una maggiore certezza del diritto – avrebbero consigliato di contenere gli interventi sul versante sostanziale e procedimentale dell’imposizione. Così non è stato, perché la materia è stata sottoposta a numerose e pesanti modifiche che muovono nella direzione di un generale inasprimento della tassazione, realizzato attraverso l’allargamento della base imponibile, giustificato nella prospettiva della lotta all’evasione fiscale, e che, nella legge finanziaria per il 2007, ha trovato parziale bilanciamento in una rimodulazione delle aliquote IRPEF e in alcune disposizioni di carattere lato sensu agevolativo (per lo più dirette a indirizzare le scelte dei contribuenti in vista di comportamenti virtuosi dal punto di vista ambientale). T ale inasprimento opera sia sul versante sostanziale dell’imposizione sia sul versante procedimentale. Sotto il primo profilo, penso, tra le altre disposizioni emanate che avranno una sensibile ricaduta in termini di contenzioso: * all’aggravamento dell’imposizione indiretta sugli immobili, che sul piano sistematico si impernia sulla rottura del principio di alternatività tra IVA e altre imposte indirette, e che oltretutto è stato attuato in modo alquanto “pasticciato”, attraverso un discutibile ricorso alla decretazione d’urgenza, poi completato con l’introduzione di rilevantissime modifiche in sede di conversione (rese necessarie per porre parziale rimedio agli effetti, molto pesanti e distorsivi, che si erano prodotti a causa delle disposizioni inizialmente emanate) ed infine oggetto di ulteriori aggiustamenti con la legge finanziaria per il 2007; * alle restrizioni apportate al regime di deducibilità dei costi per gli automezzi aziendali, restrizioni tutt’altro che condivisibili, anche in considerazione del fatto che sono state collegate – espressamente dallo stesso legislatore – all’avvenuta modifica, in senso favorevole al contribuente, del sistema di detraibilità dell’IVA sui medesimi beni, indotta dalla nota sentenza della Corte di Giustizia che ha condannato il nostro Paese a rimuovere il divieto «temporaneo» – che dopo oltre trent’anni dalla sua introduzione non poteva più essere considerato tale – di indetraibilità dell’imposta; * alla parziale indeducibilità degli ammortamenti dei costi degli immobili strumentali, disposizione che – senza tenere conto delle esigenze di certezza del diritto, di affidamento del contribuente e di irretroattività delle leggi tributarie sostanziali – incide in modo rilevante sul carico fiscale delle imprese e compromette la pianificazione economico-finanziaria fondata sulle scelte di investimento operate negli anni precedenti. A ciò si è accompagnata altresì una stretta sul versante delle disposizioni di natura procedimentale. Si pensi, a tal proposito, alle previsioni che, ai fini accertativi, danno rilevanza – nell’ambito sia delle imposte dirette sia dell’IVA – al valore normale, in luogo dei corrispettivi pattuiti, per le operazioni di compravendita immobiliare: previsioni che rischiano di incidere negativamente sulla certezza, sulla prevedibilità e sulla stabilità del carico fiscale (vd. l’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 54 del D.P.R. n. 633 del 1972, nel testo modificato dall’art. 35 del D.L. n. 223 del 2003) e che indubbiamente alimenteranno la litigiosità tra contribuenti e fisco. E lo stesso dicasi con riferimento all’inversione dell’onere della prova (codificato nell’art. 73, commi 5 bis e 5 ter, del TUIR) quanto alla residenza delle società holding estere dotate di determinate caratteristiche: disposizione che, oltre ad essere piuttosto discutibile sotto il profilo della ragionevolezza interna, rischia di creare frizioni nei rapporti con altri Paesi, soprattutto appartenenti all’Unione Europea. A ll’inasprimento delle norme tributarie è poi corrisposto un tendenziale irrigidimento delle indicazioni fornite dalla prassi amministrativa. Tre casi, a mio modo di vedere, sono emblematici. Il primo è quello che riguarda l’applicazione della disciplina di determinazione forfetaria del reddito previsto per le c.d. società di comodo. L’Agenzia delle Entrate, invero, pretenderebbe di incidere sul diritto di difesa dei contribuenti, obbligandoli – nel caso in cui questi non raggiungano i livelli minimi in termini di fatturato richiesti dall’art. 30 della L. n. 724 del 1994 affinché un soggetto sia considerato «operativo» – ad attivare in ogni caso la procedura di interpello ed arrivando addirittura ad ipotizzare – pur in assenza di un’espressa previsione di legge – l’inammissibilità del ricorso del contribuente alla Commissione Tributaria in difetto di previa presentazione della suddetta istanza di interpello (vd. Circolare 2 febbraio 2007, n. 5/E). Il secondo è legato all’applicazione del sistema forfetario di accertamento che va sotto il nome di “studi di settore”. L’Amministrazione finanziaria, a tal proposito, pare orientata a ritenere che la sussistenza di scostamenti – anche modesti – dei dati dichiarati rispetto a quelli di carattere medio-ordinario ritraibili dall’applicazione degli studi di settore rappresenti un elemento di per sé sufficiente a costituire una presunzione grave, precisa e concordante della falsità della dichiarazione (sul punto, vd. la Circolare 16 febbraio 2007, n. 11/E). Il che è particolarmente discutibile sia perché si tratta pur sempre di dati medi le cui modalità di quantificazione non sono nemmeno note; sia perché non è stato abrogato l’art. 62 sexies del D.L. n. 331 del 1993, in cui si continua a parlare di «gravi incongruenze»; sia perché l’attendibilità degli studi di settore è stata messa in dubbio dallo stesso legislatore con il nuovo comma 4 bis della L. n. 146 del 1998 (laddove si prevede che, a determinate condizioni, nella motivazione di determinati avvisi di accertamento in cui vengono accertati redditi superiori rispetto a quelli desumibili dagli studi di settore, devono essere evidenziate le ragioni che inducono l’ufficio a disattendere le risultanze degli studi stessi in quanto «inadeguate a stimare correttamente il volume di ricavi o compensi potenzialmente ascrivibili al contribuente»). Il terzo concerne le procedure di ottenimento di rimborsi da parte dei contribuenti in caso di versamenti in eccesso. A questo proposito, l’Agenzia delle Entrate, valorizzando un’interpretazione formalistica del dato normativo tutt’altro che condivisibile sotto il profilo sistematico (e che contrasta con lo spirito che ha informato un consolidato orientamento della Corte di Cassazione), nella risoluzione 14 febbraio 2007 n. 24, ha affermato che, una volta decorso il termine breve, previsto dall’art. 2, comma 8 bis, del D.P.R. n. 322 del 1998, per la presentazione della dichiarazione integrativa a proprio favore, il contribuente non avrebbe possibilità di formulare istanze di rimborso. Il che si traduce, in sostanza, nell’implicita (e inaccettabile) abrogazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973 il quale reca un termine più ampio per la presentazione delle istanze di rimborso e che – come riconosciuto dalle Sezioni Unite della Cassazione, anche alla luce dei principi costituzionali di capacità contributiva e di correttezza dell’azione amministrativa – ha un ambito di applicazione allargato a tutte le ipotesi di pagamento indebito di imposte. O rbene, in un siffatto panorama normativo e di prassi amministrativa, sarà fondamentale il ruolo dei Giudici tributari, che si trovano a dover contemperare le giuste esigenze di contrasto all’evasione con i diritti dei contribuenti. E nel fare ciò, sarà importante che essi si facciano guidare nell’applicazione rigorosa della legge dai principi costituzionali di legalità e di capacità contributiva, più che dalle suggestioni – più o meno strumentalmente amplificate dai media e più o meno fondate – legate all’andamento della finanza pubblica. Un ausilio a tal fine potrà essere rappresentato dalle norme recate dallo Statuto dei diritti del contribuente in relazione alle quali è da auspicare che le Commissioni Tributarie e la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione mantengano la direzione già presa in alcune occasioni, valorizzando le regole dell’affidamento, della buona fede, della irretroattività delle norme tributarie, della conoscibilità degli atti da parte del contribuente e del rispetto dei diritti dei soggetti sottoposti all’attività di verifica. IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 3 ANNOTANDO VIVE LA FRANCE! CLAUDIO SICILIOTTI Ordine di Udine D urante la fase finale delle elezioni presidenziali francesi mi trovavo in Francia. Ho avuto così modo di seguire in diretta il faccia a faccia tra i due candidati, i commenti dei giornali, le dichiarazioni di entrambi a commento del risultato del voto. Da italiano non ho potuto non notare la grande signorilità ed il profondo rispetto reciproco che hanno caratterizzato, in ogni circostanza, gli interventi dei due candidati ed anche purtroppo - l’assoluta distanza di tutto questo rispetto al nostro panorama nazionale. Madame Royal si è complimentata con l’avversario vincente ben prima del risultato ufficiale del voto e Monsieur Sarkozy ha dedicato alla contendente le seguenti parole nel discorso ufficiale d’insediamento:”Il mio pensiero va a Madame Royal: voglio che sappia che la rispetto e rispetto le sue idee nelle quali tanti francesi si sono identificati. Rispetto Madame Royal, rispetto i milioni di francesi che hanno votato per lei. Il presidente della Repubblica deve amare tutti i francesi. Il mio pensiero va a tutti i francesi che non hanno votato per me: voglio che sappiano che al di là della battaglia politica, delle divergenze d’opinione, per me esiste un’unica Francia. A loro voglio dire che sarò il presidente di tutti i francesi e che parlerò a nome di ciascuno di loro. Voglio che sappiano che questa sera non segna la vittoria di una Francia su un’altra. Per me questa sera esiste un’unica vittoria, quella della democrazia, dei valori che ci uniscono, dell’ideale che ci vede coesi. La mia priorità sarà quella di fare tutto il possibile affinché i francesi abbiano sempre voglia di parlarsi, di capirsi, di collaborare.” Parole importanti, che danno il giusto senso alla competizione politica: confronto di idee diverse in un contesto democratico condiviso; riconoscimento e rispetto sia dell’avversario che dell’esito del voto. Ho motivo di ritenere che se il voto avesse premiato Madame Royal, anziché Monsieur Sarkozy, i due avversari, a parti invertite, avrebbero comunque recitato il medesimo copione. Nessun tentativo di addomesticare le regole elettorali all’ultimo momento, nessun tentativo di invalidare le liste degli avversari, nessuna denuncia di brogli, nessun ricorso alla magistratura. Solo rispetto, grande rispetto per l’avversario sconfitto e per i suoi elettori, anche loro francesi così come i vincitori. Bella prova di democrazia! Chapeau! F ra pochi giorni anche la nostra categoria andrà alle urne e questo giornale uscirà soltanto dopo l’esito di quel voto. I have a dream disse qualcuno che pagò con la vita il suo impegno per la democrazia ed il rispetto tra tutti gli esseri umani. Mi permetto di usare la stessa espressione per sperare che noi tutti si sappia dare, in questa occasione tanto attesa, il nostro responsabile contributo affinché questo straordinario momento di democrazia che è l’espressione del voto individuale sia basato solo e soltanto sul libero e personale convincimento della maggiore affidabilità di un candidato e di una squadra rispetto ad altri; con identico rispetto e considerazione, tuttavia, per tutti coloro che ritengono di dedicare il loro tempo e le loro energie alla cosa più bella che ci sia: l’interesse collettivo. Senza esclusioni preventive, senza legali e magistrati, interpretando le regole nel senso di favorire il più possibile - anziché restringere - la partecipazione di tutti coloro che ritengono di proporsi al giudizio degli elettori. Solo il consenso negato da un voto ampio e democratico, infatti, può legittimamente precludere al candidato il diritto di rappresentare i suoi elettori. Ad elezioni concluse, rispetto e riconoscimento per gli avversari. Anche loro dottori commercialisti, uniti da uno stesso lavoro che soffre ben più significative insidie dall’esterno perché se ne possano aggiungere inutilmente delle altre, addirittura dall’interno. Se si interpreteranno le regole nel senso più ampio dando il potere di veto a soli elettori, non ci saranno neppure ricorsi. I vertici che si insedieranno saranno così autorevoli, indiscussi e rappresentativi. Davvero quello che ci vuole per rimetterci in marcia in questo delicato frangente della nostra professione. S iamo diventati campioni del mondo di calcio battendo proprio i francesi. Mi auguro ed auguro a tutti i dottori commercialisti italiani che si sia capaci, se non di batterli nuovamente, quantomeno eguagliarli in questa importante occasione. La legittimazione sociale della nostra categoria, la possibilità di poter emergere come motori di sviluppo e di incidere effettivamente sulle scelte del nostro paese passa anche attraverso la capacità di saper vincere questa grande sfida democratica. I have a dream. 4 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 Giovani colleghi, studiate il cinese GIORGIO MARIA CAMBIE' Ordine di Verona CARI ED EGREGI COLLEGHI GIOVANI, se queste mie quattro righe vedranno la luce a stampa quando (ed è molto probabile) la nostra economia sarà ancora retta dal buono (il più pericoloso, a meno che non siate immanicati in qualche coop rossa), dal brutto (conta come il due di fiori quando la briscola è di denari, ma il suo danno lo fa) e dal cattivo (un giornale per trovare una sua foto con un ghigno che sembrasse un sorriso ha dovuto mettere sotto tutte le agenzie fotografiche d’Italia), datemi retta, invece di perdere tempo a cercare di capire qualcosa nel dedalo delle nuove norme, che tanto sono sempre fregature, mettetevi a studiare il cinese. Sì, perché al contrario della patria di Luca Paciolo, dove i tre citati cercano di rendere impossibile se non la nostra vita, la nostra professione, nell’ex celeste impero ed ex impero di Mao hanno un bisogno disperato di esperti contabili per la tumultuosa crescita delle società e delle imprese di vario tipo e genere che si vanno insediando o sorgendo. La cosa non stupisce più di tanto: il regime negli anni 60 ha fatto piazza pulita di tutti i contabili, considerati avanguardie del capitalismo e li ha mandati nei campi di rieducazione, di dove molti non sono tornati, in modo che nei decenni successivi in Cina la professione contabile è del tutto sparita. Anche dopo la rivoluzione culturale le imprese dovevano fornire solo i dati che interessavano un’economia statale, come le quote di produzione. Le diavolerie borghesi: i costi, i debiti, gli ammortamenti e naturalmente gli utili non erano nemmeno considerati. (Mi sorge un dubbio: che i tre dell’ Ave Maria suddetti traggano ispirazione dal libretto di Mao?). Ma dagli anni 90 i cinesi hanno dovuto cominciare ad ammodernare il loro sistema contabile. All’ inizio di quest’anno poi c’è stato il grande balzo: il Ministero delle Finanze ha richiesto che le 1200 società elencate nelle borse valori di Shenzhen e di Shanghai adottino, con alcune eccezioni, gli International Financial Reporting Standards (IFRS). Come IPSOA i colleghi sanno, questi principi sono di complessa e non facile applicazione, una specie di tortura contabile, ma tutto il mondo li sta adottando. Il Ministero non si è limitato a questo, ma ha dato la possibilità alle altre imprese di applicare gli IFRS “ volontariamente”. Il balzo in avanti è molto ambizioso. La stessa America adotterà parzialmente gli standards forse verso la fine del 2008. La Tailandia e la Corea del Sud non hanno ancora deciso di far convergere i loro sistemi contabili con gli IFRS, nonostante abbiano un’esperienza contabile molto maggiore della Cina. Ma il governo cinese ha deciso di fare il salto dal libretto rosso di Mao al manuale di procedura dell’ IFRS, forse meno comprensibile ma in teoria più utile. In questa situazione emerge violentemente la necessità di avere degli esperti contabili per ordinare ed interpretare i dati aziendali. Forse in nessuna parte del mondo gli esperti contabili sono ricercati come oggi in Cina. Anche a voler essere ottimisti, la Cina conta oggi circa 70.000 esperti contabili che dovrebbero far fronte al lavoro richiesto da 300.000 ad un milione di imprese. Frequentare una buona scuola di ragioneria vuol dire avere un lavoro assicurato. Ma anche dopo diversi anni di educazione, i contabili abbisognano di apprendistato, specialmente se devono affrontare standards internazionali che richiedono principi complessi piuttosto che mere norme prescrittive. I colleghi inglesi, rendendosi conto delle difficoltà attuali, hanno predisposto possibilità di addestramento per le nuove leve cinesi. Anche Hong Kong e la Cina tengono seminari in cui i nuovi standards vengono presentati a folle di ansiosi contabili, ma le conferenze non forniscono nulla che sia una guida sufficiente per una persona che prepari o che riveda i conti di un’azienda. In questa situazione un nostro giovane collega che sia provvisto di discreto inglese e di discreto cinese potrebbe fare fortuna. Restiamo in attesa di conoscere i nomi di questi Marco Polo del 2007 e seguenti. IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 5 PROFESSIONE L'esercizio in comune dell'attività professionale: riforma Bersani e associazioni multidisciplinari I l decreto 223/06 ha rappresentato il primo atto significativo con cui il nuovo governo Prodi, allo scopo di rilanciare la competitività del paese, ha inciso in maniera più o meno rilevante su numerosi settori dell’economia nazionale1 . I professionisti non sono rimasti estranei alle novità introdotte dal decreto Bersani. Gli interventi hanno inciso radicalmente su numerosi pilastri del loro sistema normativo: si è assistito gradualmente (e si assiste tuttora) ad una convergenza delle regole di determinazione del reddito di lavoro autonomo verso quelle che disciplinano la determinazione del reddito d’impresa, sono state inasprite le regole contabili finalizzate al contrasto dell’evasione2 , sono state abrogate tutte le disposizioni di legge e regolamentari che fissavano tariffe obbligatorie minime e massime per i servizi professionali, analoga sorte hanno subito i divieti di pubblicità riferiti a titoli e specializzazioni professionali, sono stati, infine, abbattuti gli steccati che dividevano professionisti appartenenti a discipline diverse, nel senso di consentire la costituzione di società di persone e associazioni multiprofessionali. Gli unici limiti, in questo caso, sono rappresentati dal fatto che ciascun professionista può partecipare ad una sola aggregazione e che resta ferma la responsabilità individuale relativa alla singola prestazione3 . Il presente lavoro si prefigge di analizzare proprio quest’ultimo aspetto della riforma: la possibilità offerta oggi ai professionisti di dar vita ad associazioni interdisciplinari. L’argomento può e deve essere affrontato sotto molteplici punti di vista. Innanzitutto si osserva che, nonostante il forte dibattito che da anni investe il tema delle società professionali, non sempre risulta o ha senso promuovere aggregazioni professionali. Al contrario di ciò che accade in molte aziende, le aggregazioni tra professionisti non creano significative economie di scala. In altre parole, si è osservato, negli studi di maggiore dimensione tendenzialmente non si guadagna di più e non si lavora di meno, a meno di non sfruttare le economie di juniorizzazione, cioè far lavorare risorse a minore costo orario e utilizzare procedure e controlli per assicurare una buona qualità tecnica e relazionale del servizio. Questo tipo di economie obbliga però le strutture professionali a un continuo ricambio lasciando il titolare o i titolari sulla cresta dell’onda, obbliga, in altre parole, a un continuo turnover di collaboratori, ovvero ad una selezione severissima iniziale e ad una continua crescita come in una sorte di catena di Sant’Antonio. Negli studi di più grande dimensione si creano invece altri tipi di economie come quelle di apprendimento, di specializzazione ed, auspicabilmente, di contatto. Se si esclude la poco rilevante necessità di dividere le spese, o la finzione di un lungo elenco sulla carta intestata, motivi economici seri per costituire una società multiprofessionale sono soprattutto rappresentati dalla possibilità di vendita 1 NICOLA PALADINI Ordine di Udine ripetuta, per sfruttare le economie di apprendimento, e di vendita incrociata, per sfruttare quelle di contatto e di specializzazione4 . In relazione a quest’ultimo aspetto, lo sviluppo della scienza e delle sue applicazioni nei diversi settori (sanitario, giuridico, economico) non consentono più ad un solo professionista di avere la necessaria preparazione per ben operare a favore della clientela. Se un professionista non si specializza deve necessariamente fare ricorso a specialisti delle altre discipline. Se un professionista si specializza perde la visione d’insieme delle norme e dei principi che derivano dall’evoluzione scientifica ed il suo campo d’intervento si riduce notevolmente. Per il cliente, la partecipazione di una pluralità di professionisti all’attività di studio, può tradursi nei seguenti vantaggi: – è possibile ricevere una gamma più ampia di servizi anche in materie diverse da quelle della singola professione; – il legame che si instaura fra il cliente e i vari professionisti che operano collegialmente risulta più stabile di quello che si instaura fra il singolo professionista ed il suo cliente. In particolare la cessazione dell’attività da parte del singolo professionista, per qualsiasi causa, non comporta, automaticamente, la cessazione del contratto d’opera in corso; – la possibilità di avvalersi all’interno dello studio professionale di esperti in diversi settori fa diminuire il rischio dello studio e, potenzialmente, i costi per la clientela5 . Naturalmente da queste considerazioni nasce però il problema delle specializzazioni da associare. Uno studio può nascere tra persone che esercitano la stessa professione, tra persone che esercitano professioni sostanzialmente analoghe, disciplinate però da ordinamenti diversi, può nascere ancora tra persone che esercitano professioni diverse ma affini. Tutte queste ipotesi sono state da sempre considerate ammissibili. In passato si discuteva, invece, sulla legittimità di dar vita ad uno studio associato tra professionisti appartenenti a settori non affini6 . E’ il caso, ad esempio, di uno studio professionale costituito tra un ingegnere ed un medico dentista. Oggi, se questa possibilità viene considerata assolutamente legittima da parte del nostro sistema giuridico, resta comunque il dubbio di quali potrebbero essere le vere motivazioni di fondo che inducono due professioni, tanto lontane tra di loro, ad associarsi. Se non si tratta della mera ripartizione dei costi di struttura, sarebbe più facile supporre l’avvio di una nuova idea imprenditoriale. Un altro aspetto legato alle specializzazioni da associare riguarda il giusto grado di “mix” affinché una struttura si evolva in maniera equilibrata. Al di fuori dei grandi centri urbani, uno studio tipico di contabilità e paghe dovrà disporre di diversi commercialisti per poter adeguatamente sostenere l’attività di un consulente del lavoro. Considerazioni sostanzialmente simili per un avvocato specializzato in diritto tributario: affinché la sua attività non sia caratterizzata da tempi morti dovrà contare su un bacino di almeno una decina di professionisti nelle materie contabili7 . Esistono, inoltre, le profonde differenze culturali che caratterizzano le diverse figure professionali e che possono incidere in maniera più o meno rilevante, non solo sulla decisione di dar vita all’ente ma sulla sua stessa struttura organizzativa8 . Un altro aspetto da non sottovalutare è la possibilità che, all’interno dello studio, si assista ad una sovrapposizione di compiti o funzioni9 , questione che andrà preventivamente chiarita nei patti tra gli associati. Esistono, inoltre, differenti percentuali di redditività, diverso può essere il ritmo dei contatti con la propria clientela, diversi i picchi di lavoro nel corso dell’anno, tutti aspetti che possono creare conflittualità tra le aree dello studio professionale. Non meno importante risultano ancora le modalità attraverso le quali i professionisti si scelgono tra loro: una volta definito che mi serve un consulente del lavoro, dovrò trovarne uno compatibile a livello di pelle, di immagine, di valori, di impegno, di risultati, con una produttività sufficiente rispetto alle necessità della società multiprofessionale10 . Esiste poi il rischio che le aggregazioni anziché aumentare, tendano a far perdere clienti allo studio. Se, a torto o a ragione, ciascuno dei vostri clienti non ha stima dei nuovi compagni di viaggio che sceglierete, se, in altre parole, la fusione non genera valore aggiunto per il cliente, sia esso percepito o reale, questi la rifiuterà11 . Conclusa questa breve disamina sulle condizioni che SEGUE A PAGINA 6 Cfr. Claudio Siciliotti, Vere e false liberalizzazioni sotto il sole di luglio, in Il commercialista veneto n.172, luglio/agosto 2006, pag.3; Cfr. Gian Paolo Ranocchi, Monitorati gli onorari sopra i mille euro, in Guida al diritto n.34 del 02 settembre 2006, pag.119; Cfr. Marcello Clarich, Una discussione senza toni ideologici per un nuovo assetto della professione, in Guida al diritto n. 28 del 15 luglio 2006, pag.12; 4 Cfr. L. Fornero, M. Meoli, G. Valente, Professionisti individuali, associazioni e società, Ipsoa, 2006, pag.186; 5 Cfr. Imerio Facchinetti, Studi professionali associati e società professionali, Milano, Il Sole 24 Ore, 2005, pag. 23; 6 Cfr. Imerio Facchinetti, Studi, op.cit., pag.80; 7 Cfr. L. Fornero, M. Meoli, G. Valente, Professionisti, op.cit., pag.187; 8 Si pensi alla pignoleria del notaio, al caos creativo dell’avvocato o all’ansia da scadenza dei commercialisti. 9 A titolo esemplificativo, la predisposizione del modello 770 ma anche, e più semplicemente, la redazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa saranno di competenza del consulente del lavoro, dell’avvocato o del commercialista? 10 Cfr. L. Fornero, M. Meoli, G. Valente, Professionisti, op.cit., pag.188; 11 Cfr. L. Fornero, M. Meoli, G. Valente, Professionisti, op.cit., pag.189; 2 3 6 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 L'esercizio in comune dell'attività professionale SEGUE DA PAGINA 5 devono sussistere affinché abbia senso costituire uno studio professionale (sia esso o meno interdisciplinare), è ora possibile soffermare l’attenzione sugli aspetti prettamente giuridici che riguardano l’esercizio in comune delle attività professionali, anche alla luce delle novità introdotte dal decreto 223/06. La norma fondamentale in materia è costituita dalla Legge 23.11.1939 n.1815 la quale, fino al 1997, ha disciplinato l’esercizio in forma associata delle professioni intellettuali “protette”12 . Originariamente tale novella statuiva 2 regole fondamentali: – l’obbligo di ricorrere alla forma dello “studio associato”, l’obbligo di comunicazione agli ordini (art.1); – il divieto di adottare la forma societaria o altre forma diverse dallo studio associato (art. 2)13 . In vigenza di tali norme l’esercizio associato delle professioni era consentito nella sola forma dell’associazione professionale tra professionisti. Il divieto all’utilizzo della forma societaria per lo svolgimento delle professioni intellettuali protette cominciò ad entrare in crisi a seguito di interventi legislativi di portata settoriale, spazianti dal diritto civile a quello tributario, interventi che sembravano ammettere l’utilizzo della forma societaria per l’esercizio in comune delle attività professionali14 . Ne sono testimonianza l’articolo 5 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 nella parte dove afferma che “le associazioni senza personalità giuridica, costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni sono equiparate alle società semplici”. L’articolo 6 del D.P.R. 29 settembre 1973 n.600 il quale, nell’introdurre l’obbligo di dichiarazione ai fini ILOR, IRPEF, IRPEG (leggi “IRES”), estende tale adempimento anche alle società e alle associazioni già previste dall’art. 5 del D.P.R. 917/86. L’art. 5 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n.633, il quale ricomprende nell’esercizio di arti e professioni, l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata delle attività medesime. Da ultimo, l’art.11, comma 2, della legge n. 576 del 198015 che prevede per le associazioni o società tra professionisti l’applicazione delle maggiorazioni per la quota di competenza di ogni associato iscritto agli albi di avvocato e procuratore. Con il venir meno, nel 1997, del divieto posto dall’art.2 della L. 23.11.1939 n.181516 non si spense il dibattito sull’ammissibilità o meno di dar vita ad una società per l’esercizio in comune dell’attività professionale. Quanti sostenevano l’inammissibilità di utilizzare la forma societaria a tale scopo, sostenevano questa tesi 13 sul presupposto che una simile scelta avrebbe soprattutto violato il disposto dell’art. 2232 c.c., la professione sarebbe stata cioè esercitata, secondo lo schema della società, “in comune” fra più professionisti e, quindi, in ultima analisi, impersonalmente. Chi sosteneva invece l’ammissibilità di un tale strumento, ed in particolare della società semplice, fondava la propria opinione su diverse considerazioni17 : – lo scopo della legge 1815/1939 è quello di proibire l’esercizio in forma anonima della professione da parte di soggetti non iscritti negli appositi albi o elenchi; – tale legge non vieta, anzi ammette, l’esercizio associato della libera professione, a condizione che il rapporto venga esteriorizzato come tale, con l’indicazione delle generalità e dei titoli professionali dei soggetti che vi partecipano e con la sola precisazione di “Studio...”; – la legge 1815/1939 non vieta espressamente l’esercizio in forma sociale dell’attività libero professionale. Il divieto di svolgere tale attività nella forma di società commerciali, di persone o di capitali, viene trovata soprattutto in altre norme e disposizioni; – per il precedente codice l’esercizio associato della libera professione dava luogo ad una società, di tipo civile, non di tipo commerciale. Con l’attuazione del nuovo codice del 1942 le vecchie società civili sono state assoggettate alle norme sulla società semplice; – la società semplice non si pone in contrasto con i contenuti della legge 1815/193918 ; – va ancora rilevato che la società semplice non assume la qualifica di imprenditore commerciale e non crea quindi alcun contrasto con la qualificazione intellettuale dell’attività svolta dai soci. La società semplice è la sola forma sociale in grado di salvaguardare il principio di personalità delle prestazioni dei soci. Sulla base di argomentazioni analoghe, con decreto depositato in cancelleria il 5 giugno 1999, anche il giudice del Registro di Milano ha ordinato l’iscrizione di uno studio, costituito nella forma della società semplice, nella sezione speciale a queste società dedicato19 . L’ultimo intervento del legislatore in materia è costituito oggi dalla conversione in legge20 del decreto n. 223/2006 con il quale sono state apportate le numerose modificazioni alle norme che disciplinano le libere professioni. Sono state abolite le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano tariffe fisse o minime obbligatorie, sono stati rimossi i vincoli che gravavano in precedenza sulla pubblicità professionale, viene, infine, formalmente consentito fornire servizi o prestazioni di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti. Per alcuni autori, con riferimento alle associazioni professionali, la norma non costituirebbe una vera e propria novità, in quanto considerata da tempo lecita la creazione di studi tra professionisti appartenenti a diverse categorie professionali21 . In realtà, come si è già avuto modo di sottolineare, questa possibilità era limitata alle professioni caratterizzate da un certo grado di affinità22 . Esistevano, invece, seri dubbi circa la legittimità alla costituzione di studi associati, tra professionisti appartenenti a discipline marcatamente diverse23 . Lo stesso legislatore, in questo senso, ha ritenuto necessario prevedere espressamente l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni professionali. Attualmente, pertanto, l’esercizio in forma associata delle professioni protette, può essere ricondotto ad una delle seguenti fattispecie: – associazione professionale ai sensi della legge 1815/1939 (studi associati); – società semplici con il rispetto delle norme contenute nella legge 1815/1939. E’ escluso, salvo casi particolari che costituiscono comunque deroghe alle norme in vigore24 , l’esercizio impersonale nelle forme di società di capitali o di società cooperative, mentre merita ancora qualche annotazione l’esercizio dell’attività professionale nella forma della società di persone, eccezion fatta per la società semplice. E’ stato infatti osservato che le disposizioni introdotte dal recente decreto Bersani non permettono ancora di superare l’esigenza di un regolamento di attuazione che individui i requisiti ed i contenuti della disciplina delle società professionali multidisciplinari, posto che l’art. 24 comma 2 della legge 266/9725 risulta ancora in vigore. Anzi, la nuova normativa presenterebbe una portata apparentemente più restrittiva del divieto di esercizio di attività professionali in forma societaria, “in quanto ammetterebbe società professionali multidisciplinari costituite soltanto nella forma delle società di persone26 . A margine, è interessante poi notare come, attualmente, il dibattito si sia spostato sulla liceità o meno di ammettere, all’interno di una società di persone, oltre a soci professionisti anche soci di capitale, pertanto semplici finanziatori. Se il problema non si pone con riferimento agli studi professionali ex legge n.1815 del 1939 in quanto, in tali aggregazioni, non è possibile ammettere persone prive dei necessari titoli abilitativi ed il cui scopo non sia l’esercizio in comune dell’attività professionale, lo stesso non può dirsi, invece, con riguardo alle società di persone (si pensi, ad esempio, alla costituzione di una società in accomandita semplice). Secondo un certo orientamento dottrinale, ammettere la presenza all’interno della compagine sociale di soci finanziatori, in alcuni casi27 , potrebbe ledere in maniera rilevante l’indipendenza del professionista, il suo dovere al segreto professionale28 . Altri autori ritengono addirittura sempre esclusa questa posSEGUE A PAGINA 7 Le disposizioni enunciate traevano la loro giustificazione nell’intento del legislatore di impedire che, dietro allo schermo societario, operassero persone non abilitate all’esercizio dell’attività professionale le quali, per mancanza di titolo professionale, potevano o avrebbero potuto arrecare pregiudizio ai terzi. Come è noto, tuttavia, non mancavano motivazioni razziali: attraverso questa normativa il legislatore dell’epoca si prefiggeva, inoltre, di impedire agli ebrei di esercitare la libera professione “nascondendosi” dietro strutture societarie. Cfr. L. Fornero, M. Meoli, G. Valente, Professionisti, op.cit., pag.153; cfr. Angelo Busani, Porte aperte alle società multidisciplinari, in Il Sole 24 Ore del 11 luglio 2006, pag.51/52; 14 Cfr. Cinzia De Stefanis, Società e associazioni tra professionisti, Maggioli Editore, 2006,seconda edizione, pag.31; 15 Norme sulla previdenza degli avvocati, dottori commercialisti e ragionieri. 16 Tale intervento, ad opera dell’art. 24 della legge n. 266/1997, non risolse in maniera definitiva il problema in quanto il secondo comma dell’art. 24 delegava il Ministero di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dell’industria e, per quanto di sua competenza, con quello della sanità, a fissare, con decreto, i requisiti necessari per la costituzione di società aventi ad oggetto l’esercizio delle attività di assistenza e di consulenza. A tutt’oggi questo decreto non è stato ancora emanato e pertanto l’abolizione del divieto a esercitare le professioni protette in forma societaria è rimasto ancora sulla carta. 17 Cfr. Imerio Facchinetti, Studi , op.cit., pag.54; 18 Secondo il Galgano il problema dell’ammissibilità delle società fra professionisti si può superare alla luce dell’art.1 della Legge del 1939, non abrogato, il quale, indicando le modalità per l’esercizio in comune dell’attività professionale, deve essere preso a modello anche per indicare i requisiti che una società tra professionisti deve possedere per poter validamente esistere e operare sul mercato. Cfr. Francesco Galgano, Diritto commerciale – le società, Bologna, Zanichelli, quindicesima edizione, 2005, pag.10; 19 La società, che si era costituita nell’anno 1998 fra un ragioniere e sette dottori commercialisti, si era vista negare in prima battuta l’iscrizione da parte del Conservatore del Registro. Cfr. De Stefanis, Società, op.cit., pag.37-38; 20 Si veda in proposito la legge n. 248 del 04 agosto 2006; 21 Cfr. L. Fornero, M. Meoli, G. Valente, Professionisti, op.cit., pag.175; cfr. Remo Danovi, Le proposte per non cedere sui principi, in Guida al diritto n. 29 del 22 luglio 2006, pag.87. E ancora, Circolare del Consiglio Nazionale Forense del 04 settembre 2006 n. 22-C/2006 (§8); 22 Esempi, in questo senso, possono essere rappresentati da uno studio composto fra avvocati penalisti, civilisti, amministrativisti, ovvero da uno studio composto tra commercialisti e ragionieri liberi professionisti, ovvero da uno studio tra ingegneri, architetti e geometri e ancora da una associazione tra un notaio, un avvocato e un commercialista. Cfr. Imerio Facchinetti, Studi , op.cit., pag.80; 23 Vedi infra nota 6; 24 Un esempio può essere costituito dalle società di ingegneria. 25 Vedi infra nota 16. 26 Circolare del Consiglio Nazionale Forense del 04 settembre 2006 n. 22-C/2006 (§8); 27 Il riferimento è alle società in cui sia prevista la fornitura di servizi legali. 28 Cfr. Danovi, Le proposte, op.cit., pag.87; IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 7 L'esercizio in comune dell'attività professionale SEGUE DA PAGINA 6 sibilità29 . Anche chi scrive è di questo avviso, in quanto ritiene che, indipendentemente dalla forma giuridica assunta per l’esercizio in comune dell’attività professionale, dovranno comunque essere osservate, nella costituzione dell’ente, le disposizioni previste dall’art.1 della legge n.1815 del 1939. E’ però interessante notare come la figura del socio finanziatore (in particolare quella di un socio non professionista, meramente di capitale) sia pacificamente ammessa nell’ambito delle società di ingegneria, le quali, costituite nella forma delle società di capitali, hanno per oggetto la realizzazione di studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni lavori, valutazioni di congruità tecnico economica, studi di impatto ambientale, in ultima analisi, attività tipicamente libero-professionali30 . Per completezza si osserva, infine, come altri autori sollevino ancora il problema di introdurre adeguate norme affinché società multiprofessionali non finiscano con il “monopolizzare” i consigli degli ordini professionali di una certa area territoriale31 . Per quanto attiene ai requisiti che un’associazione deve possedere per poter fornire servizi interdisciplinari, alla luce delle recenti disposizioni legislative, si possono elencare le seguenti condizioni: – l’associazione deve essere composta esclusivamente da professionisti32 ; – l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo; – ciascun professionista non può partecipare a più di una società o associazione; – l’incarico professionale può essere assunto dall’associazione, ma la prestazione deve essere resa da uno o più professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità. Con riguardo all’oggetto sociale si è fatto notare che il limite posto dalla norma non deve essere inteso nel senso che l’associazione possa operare solo nell’ambito di un singolo settore professionale, ma piuttosto nel senso che l’associazione non possa esercitare un’attività diversa da quella, più generica, della prestazione di servizi professionali. L’attività, pertanto, ben potrà ricomprendere l’intero ambito delle diverse discipline di elezione dei professionisti che partecipano all’associazione medesima33 . Restano invece fermi e viene adesso precisato che il medesimo professionista non può partecipare a più di un’associazione e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più professionisti previamente indicati sotto la propria personale responsabilità34 . L’introduzione delle disposizioni contenute nel recente decreto Bersani non ha invece risolto il problema, tuttora dibattuto, riguardo alla natura giuridica delle associazioni professionali. Parte della dottrina ha tentato di fornire una qualificazione dell’associazione tra professionisti, riconducendola a diversi schemi, che vanno dall’associazione in partecipazione reciproca, alla comunione, alla società di mezzi, alla società interna35 . Secondo un’altra corrente dottrinale le associazioni tra professionisti costituirebbero, invece, un contrat- to associativo atipico senza rilievo reale36 , avente ad oggetto una pluralità di obbligazioni: innanzitutto quella di tutti i professionisti aderenti al contratto di cooperare all’attività degli altri associati in forma, o di collaborazione paritetica, o di prestazione della propria opera in veste di sostituto o ausiliario o di circolazione intersoggettiva di conoscenze professionali; quella di ripartire interamente, secondo quote prefissate i compensi percepiti; l’assunzione in solido delle obbligazioni strumentali all’esercizio dell’attività, da suddividersi nei rapporti interni secondo criteri predeterminati; l’acquisto in comunione dei beni necessari allo svolgimento della professione intellettuale. Le associazioni tra professionisti non sarebbero invece da inquadrare tra le associazioni non riconosciute in quanto lo scopo perseguito è di natura economica e non ideale ed inoltre perché si osserva che le associazioni non riconosciute sono soggetti di diritto distinti dalle persone degli associati (ancora una volta, altrimenti, si verificherebbe quel fenomeno di “spersonalizzazione” dell’attività che contrasta insanabilmente con il principio della personalità nell’assunzione del contratto d’opera)37. La stessa Corte di Cassazione ha definito il contratto che lega più professionisti un “contratto associativo atipico”38 . Tale tesi, in passato, era già stata sostenuta dalla Commissione tributaria centrale la quale, con una prima decisione, aveva avuto modo di sottolineare la specificità della associazione tra professionisti, evidenziando che “è la stessa legge n.1815 del 1939 a stabilire che la predetta forma associativa, come struttura professionale tipica, [...] è irriducibile alle figure societarie di persone o di capitali”. Indubbiamente - continua la Commissione centrale - “siffatta disciplina è anteriore all’entrata in vigore dell’attuale codice civile e alla regolamentazione in esso prevista delle società semplici. Non sembra, tuttavia, che possa attribuirsi al medesimo codice una portata abrogativa delle articolazioni plurisoggettive previste dalle disposizioni precedenti con un valore di specificità correlato alla stessa tipicità delle disposizioni anteriori, in quanto non si riscontra alcuna incompatibilità od inconciliabilità dei due diversi campi di assetto normativo e delle rispettive sfere di incidenza prescrittiva. Ciò comporta il permanere della legge suindicata, quale fonte idonea a regolare le predette associazioni professionali”39. Ancor più chiaramente, nella successiva decisione n. 5277 del 28 maggio 1985, la Sez. XVI della commissione tributaria centrale aveva escluso che nelle associazioni tra professionisti fosse ravvisabile la costituzione di una società semplice e quindi concluse per l’illegittimità, ai fini dell’imposta di registro, della tassazione ai sensi della lettera a) dell’art. 4 della tariffa. La riferita interpretazione giurisprudenziale è stata però successivamente smentita dall’orientamento (peraltro isolato in giurisprudenza) assunto dall’Autorità giudiziaria ordinaria40 secondo la quale l’assimilazione alla società semplice opererebbe di diritto a prescindere dall’eventuale volontà degli associati di fare o meno rinvio alle norme sulla società semplice. La questione naturalmente non è soltanto teorica se si pensa che, a differenza delle associazioni, una società sem- plice può essere intestataria di immobili, mobili registrati, può ammettere al suo interno soci di capitale41 , è tenuta ad iscriversi in una sezione speciale del registro delle imprese, è soggetta “potenzialmente” ad una diversa disciplina ai fini dell’imposta di registro. Chi sostiene si tratti comunque di un soggetto da equiparare alla società semplice muove le proprie conclusioni dalla considerazione che, ogni qualvolta si sia cercato di individuare delle regole applicabili a tale entità giuridica, si è andati a “pescarle” nell’alveo delle società semplici. Chi lo ritiene un soggetto distinto parte dall’assunto che le disposizioni del codice civile non abrogano ma si affiancano alle norme contenute nella legge 1815 n.1939. Attualmente, è interessante notare la prassi in uso presso le camere di commercio, le quali richiedono l’iscrizione nel registro delle imprese soltanto agli studi che, espressamente, si richiamano, per la loro costituzione, alla forma della società semplice. Più incerto appare invece, in sede di costituzione, l’inquadramento delle associazioni ai fini della corretta applicazione dell’imposta di registro. Se da una parte l’equiparazione alle società semplici appare come una forzatura sia della normativa civilistica che presiede al lavoro professionale, sia della legge n.1815 del 1939, che disciplina le c.d. professioni protette, dall’altra resta il problema di individuare il regime alternativo per queste forme associazionistiche. Sotto questo profilo si corre il rischio di aggravare il carico tributario, posto che, trattandosi comunque di atto avente contenuto patrimoniale potrebbe cadere nella sfera di applicazione dell’art.9 della tariffa, parte I, ed essere quindi assoggettato all’aliquota del 3 per cento, commisurata agli ammontari degli apporti di natura mobiliare. Qualora si optasse per la soluzione dell’assimilabilità alla società semplice (scelta obiettivamente più razionale e più coerente con le disposizioni tributarie in materia di IVA e di imposizione sul reddito) dovrà tenersi conto del disposto dell’art. 4 della tariffa per la tassazione degli apporti, i quali scontano oggi l’imposta fissa di euro 168,00, a meno che non abbiano ad oggetto beni immobili o diritti reali di godimento su beni immobili42 . Appare invece ovvio che, qualora la convenzione tra i professionisti che intendono associarsi non regoli aspetti di natura patrimoniale o ciò che è lo stesso, non preveda apporti di sorta (se non le rispettive capacità professionali) il relativo atto dovrà soggiacere alla sola imposta fissa, a norma del successivo art.11 della medesima tariffa. In tale ultimo caso, l’atto sarà da registrare in termine fisso, se formato per atto pubblico o scrittura privata autenticata (art.11 della tariffa – parte I) ed in caso d’uso, se redatto per scrittura privata non autenticata (art. 4 della tariffa – parte II). Una soluzione, pertanto, potrà consistere nel dar vita ad un’associazione prevedendo, nell’atto costitutivo, soltanto l’obbligo degli associati di conferire le rispettive capacità professionali. La mancanza di apporti e l’eventuale carenza assoluta di attrezzature, mobili, macchine, ecc. non impediranno allo studio di acquistare detti beni in epoca successiva alla sua costituzione43 . 29 Secondo Busani per poter costituire validamente una società professionale è necessario che la compagine sociale sia composta esclusivamente da professionisti, “resta quindi fermo il divieto di partecipazione di soci di “capitale” ”. Cfr. Busani, Porte aperte, op.cit., pag.51-52. In questo senso vedi anche Annalisa De Vivo, Ordini professionali: cadono i divieti su tariffe, pubblicità e interdisciplinarietà, in Guida normativa del 29/07/2006. Indirettamente le stesse conclusioni erano già state suggerite dal Galgano quando riconosce che il problema dell’ammissibilità delle società fra professionisti può essere superato alla luce dell’art.1 della Legge del 1939, non abrogato, il quale, indicando le modalità per l’esercizio in comune dell’attività professionale, deve essere preso a modello anche per indicare i requisiti che una società tra professionisti deve possedere per poter validamente esistere e operare sul mercato. Vedi infra nota 18. 30 Cfr. De Stefanis, Società, op.cit., pagg.96-97; 31 In particolare il D’Agnolo si domanda quale influenza sul territorio potrebbe avere una società multiprofessionale tale da rappresentare nel proprio seno il presidente dell’ordine dei commercialisti, quello degli avvocati, quello dei consulenti del lavoro. Cfr. L. Fornero, M. Meoli, G. Valente, Professionisti, op.cit., pag.185/186; 32 Tale requisito, si ribadisce , non si deduce espressamente dalle disposizioni contenute nell’art. 2, comma 1, lettera c, del Decreto 223/06 (cfr. Angelo Busani, Albi e concorrenza, La manovra bis rende possibile l’esercizio in forma collettiva dell’attività, in Il Sole 24 Ore del 15 agosto 2006, pag. 21) bensì dall’art. 1 della legge n.1815 del 1939, il quale dovrebbe trovare applicazione indifferentemente, sia nel caso delle associazioni sia nel caso di società di persone. 33 Circolare del Consiglio Nazionale Forense del 04 settembre 2006 n. 22-C/2006 (§8). 34 Cfr. Eugenio Sacchettini, Al commercialista compenso in base al risultato nel processo fiscale solo se il patto è scritto, in Guida normativa del 23 settembre 2006. Chi scrive ritiene sia sufficiente, oltre ad un richiamo di tale disposizione nell’atto costitutivo dell’associazione, l’indicazione nella lettera di incarico del professionista che, in prima persona, sarà chiamato a svolgere la prestazione. 35 Cfr. Imerio Facchinetti, Studi , op.cit., pag.58; 36 Si osserva, infatti, che gli studi associati, a differenza delle società semplici, non possono essere giuridicamente intestatari di beni immobili. Inoltre mancherebbe nel nostro ordinamento giuridico una norma analoga a quella contenuta nel comma 3 dell’art.65 del TUIR, che, per le società di fatto, considera relativi all’impresa anche i beni iscritti in pubblici registri a nome dei soci e utilizzati come esclusivamente strumentali per l’esercizio dell’attività. Cfr. Giovanni Valcarenghi, In bilico. Si applica il vecchio regime. Studi associati esclusi, in Il Sole 24 Ore del 12/02/2007, pag.28; cfr. Imerio Facchinetti, Studi , op.cit., pag.317; 37 Cfr. De Stefanis, Società, op.cit., pag.18; 38 Cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 2555/1987; 39 Cfr. Comm.trib.centr., Sez.XXIV, 15 novembre 1983, n.3632; 40 Cfr. Corte D’Appello di Milano, sentenza del 19 aprile 1996; 41 42 43 A prescindere, in questo momento, dalle considerazioni svolte in precedenza. Cfr. Arnao, Manuale, op.cit., pag.361; Cfr. Arnao, Manuale, op.cit., pag.362. 8 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DELLE TRE VENEZIE IL COMMERCIALISTA VENETO PERIODICO BIMESTRALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DELLE TRE VENEZIE BORSE DI STUDIO 2007 L’Associazione dei Dottori Commercialisti delle Tre Venezie, in collaborazione con Il Commercialista Veneto, periodico dalla stessa edito, al fine di individuare e valorizzare capacità professionali particolarmente qualificate nell’ambito dei giovani praticanti e tirocinanti che non abbiano ancora superato l’esame di Stato per l’ammissione alla professione di Dottore Commercialista, bandisce, anche per il 2007, un concorso per n. 3 borse di studio denominate IL COMMERCIALISTA VENETO 2007 1. Importo Le borse di studio prevedono l’elargizione a favore dei vincitori di un premio in denaro di Euro 800 ciascuno. 2. Destinatari Destinatari delle borse di studio sono i giovani nati dopo il 31/12/1975, iscritti al Registro praticanti di uno dei 14 Ordini dei Dottori Commercialisti delle Tre Venezie prima del 30/09/2006, ovvero i praticanti che abbiano concluso il periodo di praticantato obbligatorio e non abbiano ancora superato l’Esame di Stato per l’ammissione alla professione di Dottore Commercialista. 3. Oggetto I partecipanti dovranno presentare un elaborato inedito di approfondimento, di lunghezza compresa tra le 15.000 e le 20.000 battute (spazi inclusi), su un argomento specifico inerente l’attività professionale dei Dottori Commercialisti. Ogni lavoro dovrà essere accompagnato da una premessa introduttiva (abstract) di una cartella (distinta dalla relazione e non rilevante ai fini della dimensione massima dell’elaborato), in cui l’Autore dovrà illustrare sommariamente i contenuti, gli obiettivi e i risultati della ricerca. Costituirà particolare elemento di valutazione l'originalità e la novità nell'approccio al tema trattato. 4. Modalità Gli interessati dovranno inviare i loro elaborati esclusivamente a mezzo di posta elettronica, redatti in formato word, al Comitato di Redazione de IL COMMERCIALISTA VENETO, all’indirizzo [email protected], entro le ore 24.00 del 10 settembre 2007. Dovrà essere allegato modulo di iscrizione rilevabile dal sito web del giornale: www.commercialistaveneto.com e copia della documentazione, rilasciata dai rispettivi Ordini di appartenenza, attestante i requisiti di cui al punto 2). 5. Giuria La giuria è costituita dai componenti il Comitato di Redazione de IL COMMERCIALISTA VENETO , dal Direttore del periodico e dal Presidente dell’Associazione. Verificato il rispetto dei requisiti di cui ai punti 2, 3 e 4, la giuria deciderà a maggioranza, a suo insindacabile e inappellabile giudizio. 6. Premiazione La premiazione avverrà in occasione di una Giornata di Studio organizzata dall’Associazione dei Dottori Commercialisti delle Tre Venezie nella stagione formativa 2007/2008. I lavori premiati saranno integralmente pubblicati su “Il Commercialista Veneto”; potranno eventualmente essere pubblicati, pur non premiati, anche lavori ritenuti di particolare interesse. Dopo il 31 dicembre 2008 i lavori che hanno concorso all’assegnazione delle borse di studio potranno essere pubblicati anche altrove con l’espressa indicazione “elaborato redatto per la partecipazione alla borsa di studio denominata IL COMMERCIALISTA VENETO 2007 periodico bimestrale dell’Associazione dei Dottori Commercialisti delle Tre Venezie”. Venezia, Dicembre 2006 ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DELLE TRE VENEZIE IL COMMERCIALISTA VENETO Il Presidente Diego Xausa Il Direttore Responsabile Luciano Berzè IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 9 PROFESSIONE L'estinzione delle società di capitali alla luce del nuovo art. 2495 c.c. I l nuovo art. 2495 c.c.1 , in seguito alla modi fica introdotta dalla Riforma del 2003, stabilisce che “Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione [della società] i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci”. In seguito all’introduzione della nuova norma, ora appare certo che la società è da considerare estinta con l’approvazione del bilancio di liquidazione e la successiva iscrizione della cancellazione nel Registro delle Imprese (in questo senso la pressochè unanime dottrina: F. CORSI, F. DI SABATO e altri). Il dibattito tra dottrina e giurisprudenza nel periodo ante-Riforma Con la precedente formulazione, la giurisprudenza prevalente2 riteneva che la società continuasse ad esistere, anche dopo la sua cancellazione, finchè tutti i suoi rapporti attivi e passivi fossero stati definiti. Le pronunce erano orientate ad affermare che la cancellazione non aveva efficacia costitutiva3 . La cancellazione veniva interpretata solo come una “presunzione di diritto” della cessazione della società4 . L’indirizzo maggioritario in dottrina (ad es. F. FERRARA, G. FERRI, F. DI SABATO5 ) era invece dell’avviso che la società dovesse ritenersi senz’altro estinta già al momento dell’iscrizione della cancellazione. Prima della Riforma, si era insomma in presenza di un problema interpretativo, con dottrina e giurisprudenza su fronti contrapposti. Nel 2003, il legislatore ha risolto il dubbio inserendo l’espressione “ferma restando l’estinzione della società”, raccogliendo così l’indirizzo prevalente in dottrina. La (eventuale) applicazione analogica per le società di persone La norma è stata dettata per le sole società di capitali. Qualche voce della dottrina (M. SPERANZIN) apre però all’ipotesi che l’art. 2495 possa essere utilmente impiegato anche per le s.n.c. e le s.a.s. Questa micro-questione rientra in fondo nella più generale macro-questione, sempre discussa nella dottrina italiana, afferente alla possibilità che le norme relative alle società di capitali possano servire per interpretare ed integrare le norme relative alle società di persone, specialmente quando queste sono lacunose6 . 1 ANTONIO SACCARDO Ordine di Vicenza Alcuni autori7 ritengono invece che nelle società di persone la cancellazione abbia efficacia solamente dichiarativa. C’è infine da segnalare che la Corte Costituzionale, stabilendo che la cessazione dell’esercizio dell’impresa collettiva decorre dalla cancellazione della società nel registro delle imprese, non ha operato alcuna distinzione tra società di capitali e società di persone, parlando di “impresa collettiva” (e, quindi, di società in generale)8 . La situazione negli altri ordinamenti europei In Spagna l’estinzione avviene con l’iscrizione della cancellazione nel “Registro mercantil” e con la pubblicazione nel “Boletín Oficial del Registro Mercantil”9 . In Francia, la cancellazione dal Registro e la pubblicazione nel “Bulletin Officiel des annonces civiles et commerciales” la società si estingue10 . Ma la giurisprudenza francese chiede anche la liquidazione di tutti i rapporti. In Portogallo11 , la società si estingue con l’iscrizione nel “Registro comercial” della chiusura della liquidazione. In Germania prevale in giurisprudenza il principio della “Doppeltatbestand”, cioè della “doppia fattispecie”: occorre la cancellazione dal Registro delle imprese e la assenza di patrimonio. In Germania, parte della dottrina sostiene che l’iscrizione della cancellazione estingue in ogni caso la società di capitali. La tutela dei creditori Introdotta la nuova norma e risolto il problema interpretativo sul momento della estinzione, sorge la grave questione della tutela dei creditori. Prima della Riforma, la giurisprudenza sosteneva la sopravvivenza della società all’iscrizione della cancellazione con un motivo assai forte: evitare che i creditori sociali ritardatari (o sopravvenuti) si trovassero a dover agire con la società già estinta, e dovendosi così rivolgere agli (ex) soci, che potrebbero essere numerosi, e magari non facilmente reperibili. L’art. 2495 prevede due strumenti di tutela dei creditori: a) l’azione nei confronti dei soci; b) l’azione nei confronti dei liquidatori. Non ci si può nascondere che c’è il problema degli eventuali debiti pendenti al momento dell’iscrizione della cancellazione. Infatti, con la nuova formulazione, anche se esistono debiti non soddisfatti o controversie pendenti, la società si estingue ugualmente! Ebbene, scatta la responsabilità dei soci e la responsabilità eventuale dei liquidatori12 . I liquidatori potrebbero non essersi accorti dei debiti pendenti o, peggio, aver dato comunque corso (consapevolmente) al riparto dell’attivo senza prima aver soddisfatto completamente i creditori sociali. Orbene, se i liquidatori hanno ripartito il patrimonio senza soddisfare i creditori, e provvedono all’iscrizione della cancellazione, sono chiamati a rispondere di tali crediti, purchè il creditore provi la loro colpa. La responsabilità dei liquidatori Dopo lo scioglimento della società, viene a crearsi sul patrimonio sociale un “vincolo di destinazione” a garanzia dei creditori. I liquidatori sono tenuti a conservare l’integrità del patrimonio sociale, ed esiste una responsabilità dei liquidatori per l’eventuale violazione del vincolo di destinazione. Se i liquidatori lo violano, ne rispondono di fronte ai creditori sociali. Fra la dottrina, l’orientamento prevalente sembra essere quello di configurare questa responsabilità come “extra-contrattuale”, cioè “per danni” (M. Porzio, R. Alessi, G. Niccolini, F. Di Sabato). Viceversa, in giurisprudenza13 sembra prevalere la concezione della responsabilità dei liquidatori come “contrattuale”, cioè “per debiti”. Nel Codice ante-Riforma, era l’art. 2456. Tra le ultime sentenze in tal senso: Cass., 22 novembre 2002, n. 16486 e Cass. 24 settembre 2003, n. 14147. Si trattava di una “interpretazione correttiva” da parte della giurisprudenza (F. GALGANO, Diritto Commerciale, Zanichelli, Bologna, 2004, p. 415). Negli ultimi anni del periodo ante-Riforma, si segnalava anche qualche pronuncia in controtendenza. Ad es., App. Milano, 29 novembre 2002. 3 Trib. Roma, decr. 21 febbraio 1986. 4 Cass. 8 marzo 1972, n. 665, Cass. 13 novembre 1979, n. 5897. 5 F. FERRARA, F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Giuffrè, Milano, 1996, p. 359-361. 6 Ad esempio, in Germania le norme sulla liquidazione delle società di capitali sono applicabili anche alle altre società. 7 I. CEMERICH, P. DECAMINADA, La liquidazione di società, Esselibri, Napoli, 2005, p. 47. 8 Corte Cost., 21 luglio 2000, n. 319. 9 Ley de sociedades anónimas, art. 278., Ley de sociedades da responsabilidad limitada, art. 122, Texto Refundido de la Ley de Sociedades Anónimas art. 278., 10 Code comm.,art. 237-11. 11 Código das sociedades comerciais, art. 160. 12 Trib. Mantova 13 febbraio 2003 sostiene che la responsabilità dei liquidatori ha “natura sussidiaria”. 13 Cass., 9 agosto 1977, n. 3652; Cass., 17 dicembre 1982, n. 6154. Secondo Trib. Roma 20 marzo 2000, la responsabilità dei liquidatori avrebbe la sua “fonte nella legge”. 2 12 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 NORME E TRIBUTI Valore venale: base dell'accertamento immobiliare MARCO VINDUSKA Ordine di Trento I l D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (c.d. «manovra d’estate»), convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, nonché la L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria per il 2007), hanno modificato il quadro normativo relativo ai poteri di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria in materia di imposte di registro, ipotecarie e catastali. In particolare, gli Uffici finanziari hanno ora la possibilità di controllare la veridicità del corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita immobiliare avvalendosi dei poteri istruttori previsti in materia di imposte sui redditi dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. st’ultimo, con irrogazione di una sanzione amministrativa dal 50% al 100% della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata (registro, ipotecaria e catastale) in base al corrispettivo dichiarato, detratto l’importo della sanzione eventualmente irrogata ai sensi dell’art. 71, D.P.R . 131/ 1986. Oltre a questo, il D.L. 223/2006 ha previsto degli obblighi accessori; in particolare: - deve essere rilasciata dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da cui risultino analiticamente le modalità di pagamento del corrispettivo. La disposizione non riguarda solo il saldo, ma anche l’acconto e la caparra confirmatoria; Accertamento e valore catastale: limitazioni - sempre con dichiarazione sostitutiva di atto L’art. 35, co. 23 ter, D.L. 223/2006, inserendo di notorietà, ciascuna delle parti deve dichiarare nell’art. 52, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo se si è avvalsa di un mediatore; in tal caso, deve unico dell’imposta di registro) il comma 5 bis, ha essere indicato il corrispettivo pagato al mediaLa limitazione del ruolo del ridotto, in relazione agli atti traslativi perfezionatore, le relative modalità di pagamento, nonché il tisi dal 12 agosto 2006, l’ambito di applicazione numero di iscrizione al ruolo degli agenti di affari valore catastale alle sole della cd. «valutazione catastale» o «catastale», in mediazione, il numero di partita IVA o il codice in base alla quale non si può procedere ad accerfiscale dell’agente immobiliare. cessioni di abitazioni nei tamento di valore qualora il corrispettivo della La violazione degli obblighi accessori comporta confronti di persone fisiche compravendita immobiliare sia stato dichiarato in una sanzione amministrativa da Euro 500 a Euro misura non inferiore al valore catastale: ora per10.000 e l’assoggettamento dei beni trasferiti ad ha ampliato la quantità di atti tanto, salvo gli atti di cessione di immobili per i accertamento di valore ai fini dell’imposta di requali ricorrono i presupposti di cui all’art. 1, co. potenzialmente assoggettabili gistro. 497, L. 23 dicembre 2005, n. 266 (cessioni di fabGli obblighi visti riguardano tutte le cessioni imad accertamento ai fini bricati ad uso abitativo nei confronti di persone mobiliari a titolo oneroso, e dunque anche le venfisiche, previa espressa richiesta dell’acquirendite di immobili ad uso abitativo tra privati di cui dell’imposta di registro te al notaio rogante per l’applicazione dell’impoall’art. 1, co. 497, L. 266/2005; pertanto, secondo sta di registro sul valore catastale, indipendentequanto chiarito anche dalla C.M. n. 6/E/2007, mente dal corrispettivo indicato nel rogito), se anche in tali compravendite l’occultamento, anl’Ufficio ritiene che il valore venale in comune commercio dell’immobile che parziale, del corrispettivo fa sì che la base imponibile non sia più data oggetto di compravendita è superiore al valore dichiarato o al corrispettivo dal valore catastale, bensì dal valore effettivo dell’abitazione. pattuito, si procede alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta di registro, nonché dei relativi interessi e delle connesse sanzioni. Ampliamento dei controlli In virtù della modifica al citato art. 52, possono essere sottoposte ad accer- L’ampliamento dei numeri di atti di compravendita da sottoporre ad accertamento di valore le cessioni: tamento, dovuto alle citate norme del D.L. 223/2006, ha richiesto l’emanadi immobili qualora l’acquirente sia persona fisica che agisce nel- zione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di alcune linee guida a cui gli l’esercizio di impresa, arte o professione; Uffici periferici devono attenersi nell’attività di verifica. di immobili in cui l’acquirente non sia persona fisica; In particolare, in attesa dell’emanazione del provvedimento dell’Agenzia di immobili ad uso abitativo nel caso in cui l’acquirente non si sia delle Entrate previsto dall’art. 1, co. 307, L. 296/2006, la C.M. n. 6/E/2007 ha avvalso, pur ricorrendone i presupposti, della tassazione in base al valore individuato nella banca dati delle quotazioni immobiliari dell’Osservatocatastale di cui al citato co. 497 dell’art. 1, L. 266/2005; rio del mercato immobiliare dell’Agenzia del Territorio la fonte da cui attindi terreni; gere i valori maggiormente «probabili» nei trasferimenti di fabbricati. di fabbricati non abitativi; L’indicazione nell’atto di compravendita di un valore inferiore rispetto a di immobili inseriti in compendi aziendali (orientamento confermato quello «probabile» in base alle citate fonti, costituisce solo un campanello dalla C.M. 6 febbraio 2007, n. 6/E); d’allarme, utile per l’avvio di analisi più approfondite sulla vendita stessa di pertinenze di fabbricati ad uso diverso da quello abitativo. sulla base di altri elementi disponibili o acquisibili mediante l’utilizzo dei Sono altresì soggetti ad accertamento di valore i conferimenti di immobili poteri di controllo. in società, le divisioni con conguaglio, le rinunce a diritti reali immobiliari Tali poteri sono stato ampliati dall’art. 35, co. 24, D.L. 223/2006, che ha con efficacia traslativa, nonché l’assegnazione di immobili ai soci da parte introdotto l’art. 53 bis, D.P.R. 131/1986. Il nuovo articolo permette all’Amdi società non operative se la base imponibile non è determinabile in modo ministrazione Finanziaria di reperire atti, dati e notizie rilevanti ai fini delautomatico. l’accertamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, utilizzando i poteri istruttori previsti ai fini delle imposte dirette dall’art. 31 e segg., Rilevanza del corrispettivo D.P.R. 600/1973: tra questi spicca la possibilità di attivare indagini finanIl D.L. 223/2006, all’art. 35 , co. 21, ha previsto poi che, a partire dal 6 luglio ziarie ai sensi dell’art. 32, co. 1, n. 7), D.P.R. 600/1973, in modo da accertare 2006, nel rogito notarile deve essere indicato obbligatoriamente il l’eventuale occultamento parziale attraverso l’analisi delle movimentazioni corrispettivo della cessione. In caso di occultazione, anche parziale, del finanziarie dei soggetti coinvolti nella compravendita, anche indirettamente corrispettivo pattuito, le imposte sono dovute sull’intero importo di que- (ad esempio, il coniuge o i figli delle controparti). IL COMMERCIALISTA VENETO n. 176 - MARZO / APRILE 2007 ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DELLE TRE VENEZIE INSERTO IL MERCATO EUROPEO DELL'AUTO Andrea Spollero Collegio del Friuli RITRATTABILITÀ DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI E DIRITTO AL RIMBORSO Diana Pérez Corradini Ordine di Padova Il mercato europeo dell'auto tra politiche di concorrenza sui prezzi e strumenti repressivi anti frode ANDREA SPOLLERO Collegio del Friuli 1. PREMESSA Sin dagli inizi la Commissione UE ha sempre manifestato un particolare interesse nei confronti del mercato europeo dell’auto, esercitando nel corso degli anni un costante e puntuale monitoraggio sia sui prezzi praticati che sui soggetti abitualmente coinvolti. Il controllo sui prezzi aveva ed ha tutt’ora l’obbiettivo di informare gli operatori circa la segmentazione del mercato nei vari paesi e, attraverso l’evidenza degli scostamenti, stimolarne la concorrenza. La vigilanza sugli operatori assolve invece ad un compito di repressione che, soprattutto recentemente, punta a contrastare il dilagante fenomeno delle frodi in materia di IVA. Negli ultimi anni infatti, i volumi di evasione hanno raggiunto livelli tali da convincere sia la Commissione che ogni stato membro, ad introdurre una serie di strumenti sempre più incisivi, volti ad arginare il fenomeno. E’ corretto dunque ammettere che l’attuale politica comunitaria si gioca su due livelli, il primo rivolto a “stimolare” la convergenza dei prezzi attraverso politiche di sostegno alla libera concorrenza tra operatori1 , mentre l’altro indirizzato a un’attività di intelligence nei confronti degli operatori stessi finalizzata a prevenire le frodi. 2. I TRE REGIMI IVA APPLICABILI All’interno del mercato europeo dell’auto la componente fiscale gioca un ruolo importante tenuto conto della non perfetta omogeneizzazione delle aliquote IVA nell’ambito dei venticinque stati membri e di alcune peculiarità tipiche del mercato dell’usato. Al fine di evitare possibili distorsioni della concorrenza frutto delle diverse aliquote IVA all’interno dell’Unione Europea (vedi Tabella A), il legislatore comunitario ha riservato al commercio di auto nuove di fabbrica o con meno di 6.000 chilometri o sei mesi di vita, un particolare regime IVA caratterizzato dall’ applicazione, in ogni caso, della tassazione a destino2 . Tale vincolo ha la funzione di impedire al singolo consumatore di esercitare una sorta di arbitraggio fiscale, scegliendo di acquistare l’auto nel paese con un’incidenza fiscale più bassa rispetto al suo paese di residenza abituale. Accade, ad esem- pio, che l’aliquota ordinaria sia del 15% in Lussemburgo ma del 25% in Danimarca o Svezia, e che lo spread di risparmio, unitamente a condizioni di mercato favorevoli, possa risultare fortemente influenzato dalla componente fiscale. Altro regime speciale, introdotto per ragioni diverse rispetto a quelle appena citate, è il c.d. regime del margine, applicabile a talune cessioni (non residuali) di auto usate3 , uscite dal c.d. “circuito IVA”. Nella sostanza, al fine di rispettare il principio di neutralità, l’imposta viene calcolata solo sull’incremento di prezzo applicato dal rivenditore e non sull’intero valore imponibile, evitando così una duplicazione della stessa ed una connessa lievitazione (fittizia) dei prezzi. La casistica più ricorrente è il classico ritiro dell’auto usata da privato4 , successivamente reintrodotta nel “circuito IVA” attraverso la rivendita da parte del concessionario; in tal caso infatti essendo il prezzo di acquisto dell’auto da privato già comprensivo dell’imposta, l’applicazione dell’IVA in fase di successiva rivendita ne duplicherebbe gli effetti5 . E’ corretto evidenziare che tale regime ha carattere “universale”, applicandosi con le stesse modalità, sia in ambito “domestico” che transnazionale, con tassazione, in ogni caso, nel paese in cui è avvenuto l’acquisto (all’origine), al pari di un normale acquisto tra soggetti residenti ed a prescindere dalla qualifica IVA del cessionario. Analizzati i due regimi speciali e le casistiche ad essi connessi, tutte le altre ipotesi di acquisto mantengono le regole ordinarie6 , dunque con tassazione a destino attraverso il meccanismo dell’autofatturazione o nello stato di acquisto (all’origine) nelle ipotesi in cui il cessionario sia un soggetto privato e le auto non siano fiscalmente nuove (nel caso di cedente privato e auto usata non c’è alcuna tassazione). 3. LE CASISTICHE 3.1 L’acquisto diretto all’estero e la trattativa commerciale7 L’acquisto diretto all’estero dell’auto nuova da parte del privato cittadino comunitario, rappresenta il “caso di scuola” al quale il legislatore comunitario si è ispirato nell’elaborazione della norma speciale sopra analizzata. Il privato sarà esonerato dal pagamento dell’impo- 1 In un recente comunicato stampa (IP/05/1027), il commissario alla concorrenza Nellie Kroes ha commentato i dati sui prezzi delle autovetture in 25 stati, invitando i consumatori a non esitare a “far giocare la concorrenza, in modo da approfittare dei buoni affari ancora possibili acquistando all’estero”. Dai dati al 1° novembre 2006 risulta che in area euro la Finlandia sia il paese in cui si registrano generalmente i prezzi più bassi, imposte escluse, seguita dalla Grecia. I prezzi più elevati si registrano invece in Germania (ad esempio: la Fiat Punto costa il 30% in meno in Finlandia rispetto alla Germania, con un risparmio di circa 2.700 euro – Fonte 2004). Al di fuori dell’area euro lo stato membro più economico continua ad essere la Danimarca, seguito dall’ Ungheria, mentre quello meno economico è la Repubblica Ceca. 2 Direttiva 2006/112/CE del 28/11/2006, art. 138, c. 2, l. a); D.L. 331/93, art. 41, c. 2, l. b). 3 Direttiva 2006/112/CE del 28/11/2006, artt. da 311 a 325; D.L. 41/95 artt. da 36 a 40. 4 Oltre all’ipotesi classica di acquisto da privato, l’art. 314 della Direttiva 2006/112/CE prevede altre fattispecie ove si renda applicabile il particolare regime, quali: a) acquisto da soggetto passivo che non ha potuto detrarre l’imposta (ex art. 136), b) acquisto da soggetto in franchigia (ex artt. da 282 a 292), c) acquisto da soggetto passivo che ha applicato il regime del margine. 5 Con decorrenza 1/1/2004 il concessionario deve obbligatoriamente annotare sulla fattura che trattasi di “operazione soggetta al regime del margine” con l’indicazione della relativa norma interna di riferimento (Dir. 2001/115/CE). 6 Direttiva 2006/112/CE del 28/11/2006, artt. 40 e 41; D.L. 331/93 art. 40, c. 1 e 2. 7 La fattispecie fa riferimento all’ipotesi di acquisto da parte di privato, visto che l’acquisto diretto all’estero da parte di soggetto passivo non si discosta dal generalizzato trattamento riservato agli acquisti intracomunitari di beni (ex art. 2, par. 1, lett. b) p.to i) della Direttiva 2006/112/CE; art. 38, c. 1 e 2, del D.L. 331/93), tranne nell’ipotesi di applicazione del regime del margine ove il trattamento è identico a quello riservato al privato consumatore. 3 IL MERCATO EUROPEO DELL'AUTO sta nel paese di acquisto, ma la dovrà corrispondere in quello di sua residenza abituale ai fini dell’immatricolazione8 . Nell’ottica dell’ acquirente la trattativa con il fornitore estero (privato o soggetto passivo) non partirà dunque dalla quotazione comunemente riconosciuta (ad esempio: in Italia sarebbe il valore di “Quattroruote”), ma da tale quotazione depurata dell’IVA onde evitare una doppia tassazione, prima nel paese di acquisto e poi in quello di residenza abituale (o “consumo”). A tal fine è consentito al cedente privato di recuperare l’imposta non incassata attraverso specifica procedura di rimborso9 . Da un punto di vista formale è previsto che la fattura o l’eventuale atto di cessione (cedente privato), contengano tutta una serie di elementi quali: i dati identificativi del mezzo, la data della prima immatricolazione, il numero di chilometri percorsi, il prezzo di vendita pattuito, i dati anagrafici del soggetto acquirente, il numero identificativo attribuito dallo Stato di appartenenza (se l’acquisto avviene nell’esercizio d’impresa)10 . Diametralmente opposto sarà invece il ragionamento nel caso in cui l’autovettura non possa considerarsi “nuova” (esempio: settemila chilometri e sette mesi di vita – i due requisiti devono coesistere); in tale contesto infatti l’imposta verrà liquidata con le aliquote IVA del paese di acquisto, benché con differenti modalità. Gli scenari possibili sono due, a seconda che l’autovettura, pur usata, sia rimasta all’interno del “circuito IVA”, poiché precedentemente utilizzata nell’esercizio dell’attività tipica (taxista, autonoleggio, rivenditore, ecc.), o diversamente ne sia uscita, ad esempio, poiché precedentemente utilizzata da privato, da soggetto in franchigia, o soggetto passivo che non abbia potuto detrarre l’imposta11 . Nel primo caso il cedente estero emetterà una normale fattura con imponibile ed imposta con le aliquote del suo paese (senza ulteriori obblighi), mentre se l’auto acquistata era già uscita dal “circuito IVA”, sarà applicabile il regime del margine senza evidenza dell’imposta in fattura, che verrà invece separatamente liquidata con metodi analitici o forfetari. Commercialmente dunque le due forme di acquisto (nuovo/usato) andranno gestite con logiche diverse al fine di effettuare un’accorta valutazione di convenienza all’acquisto. Il sig. Rossi che intende avventurarsi in un acquisto di auto usata potrà limitarsi a mettere a confronto il prezzo spuntato sul mercato italiano con la quotazione all’estero12 , mentre in ipotesi di acquisto del “nuovo”, per poter confrontare i due valori, procederà prima allo scorporo dell’IVA estera compresa nella quotazione dell’auto, incrementando poi il risultato del 20% (aliquota IVA applicabile in Italia), solo tale valore potrà essere messo efficacemente a confronto con il prezzo spuntato sul mercato nazionale. Per completezza di ragionamento è corretto rilevare che l’applicazione del regime del margine non può modificare la logica di acquisto, visto che comunque il prezzo finale, pur non evidenziandola, sconta l’imposta come un normale acquisto di auto usata. In linea di principio dunque non è logico né ragionevole riscontrare sensibili divergenze di prezzo tra auto usate, a seconda che venga applicato o meno il regime del margine. 3.2 Le “importazioni” parallele e la responsabilità solidale dell’acquirente Molto più spesso l’acquirente nazionale utilizza rivenditori locali, al 8 fine di perfezionare l’acquisto dell’auto estera, precedentemente “importata” ma non ancora immatricolata in Italia13 . Ai due contraenti iniziali se ne aggiunge dunque un terzo, che si pone tra il cedente estero e l’acquirente finale, con l’effetto di “nazionalizzare” la transazione14 con evidenti vantaggi operativi e logistici. Purtroppo non sempre la presenza di un terzo soggetto nazionale ha effetti positivi sull’acquirente, visto che sempre più spesso apparenti occasioni d’acquisto nascondono a monte evasioni d’imposta attribuibili proprio a tali soggetti. Tale precisazione ci aiuta ad introdurre il tema delle c.d. “frodi carosello” tipiche del settore auto, nell’ambito delle quali i soggetti che si inseriscono tra fornitore estero e acquirente finale giocano un ruolo determinante ed ai quali vanno attribuite le esclusive responsabilità dell’intento fraudolento. Nello schema più semplice un intermediario nazionale effettua l’acquisto intracomunitario di un veicolo “nuovo”, assolve l’imposta con il reverse charge e rivende il veicolo con applicazione dell’IVA all’acquirente/utilizzatore finale. Il cedente non versa l’imposta mentre l’acquirente la porta legittimamente in detrazione. La forma più complessa della frode prevede che al primo soggetto interposto siano affiancate una o due società “filtro” che presentano generalmente una posizione fiscale formalmente corretta. Questi soggetti acquistano e rivendono le autovetture oggetto di frode (senza immatricolarle) a prezzi tali da generare redditi assai ridotti nonché un esiguo debito IVA, con l’obbiettivo di creare uno schermo “pulito” tra l’interposto e l’utilizzatore finale. Al fine di arginare il fenomeno, in ambito comunitario è stato emanato il Reg. (CE) n. 1925 del 29 ottobre 2004 con il quale si è istituito un sistema comune di scambio di informazioni tra paesi membri avente ad oggetto specifiche categorie di beni “sensibili”, tra le quali spiccano le transazioni di auto fiscalmente nuove. L’art. 4 del regolamento, impone lo scambio di dati ed informazioni relative alle vendite in regime di tassazione nel paese di destinazione, effettuate sia da soggetti passivi che da privati. Sul fronte nazionale si è previsto anche l’obbligo, a carico degli importatori paralleli di auto (“nuove”), di effettuare entro 15 giorni dall’acquisto e prima dell’immatricolazione (che peraltro è condizionata all’effettuazione dell’adempimento) specifica comunicazione al Dipartimento dei Trasporti terrestri15 , contenente il numero identificativo del fornitore UE ed il numero di telaio del mezzo acquistato16 . Parallelamente agli obblighi di comunicazione citati, con la Legge Finanziaria 200517 il legislatore ha introdotto a carico dell’acquirente /utilizzatore finale, la responsabilità solidale per l’imposta non versata dal suo cedente, nei casi in cui l’acquirente sia soggetto passivo d’imposta (esclude dunque i privati) e che il prezzo concordato per la cessione sia inferiore rispetto al valore della stessa auto in comune commercio (valore normale). La norma prevede comunque la dimostrazione della prova contraria attraverso elementi oggettivamente rilevabili o con il supporto di specifiche disposizioni di legge, che dimostrino l’estraneità all’intento. Si inverte dunque l’onere della prova, introducendo una figura di presunzione legale “juris tantum”, peraltro di ardua dimostrazione tenuto conto delle svariate situazioni sia di carattere personale che di mercato, incidenti nella trattativa e dunque sulla determinazione del prezzo. Sul punto è recentemente intervenuta la Corte di Giustizia18 , la quale, pur ammettendo la legittimità dello strumento, previsto dall’art. 205 Le modalità operative sono stabilite dal Decreto Ministeriale 19 gennaio 1993, supportato dalle Circolari Ministeriali n. 17/523110 del 10.02.1993, n. 18/ 523192 del 13.02.1993, n. 32/523277 del 04.03.1993 e della Risoluzioni n. 238/E/VII-15-757 del 24.08.1995 e n. 206/E/VII-15-849 del 08.10.1997. Inoltre C.M. dei Trasporti n. 028 del 02 febbraio 1993. Da notare che a carico del soggetto passivo cedente rimane l’obbligo di compilazione dei modelli INTRA-1 anche in presenza di cessionario privato (Nota 22/10/1996 n. 1798/V). 9 Le modalità di rimborso sono previste dall’art. 4 del D.M. 19.01.1993. 10 Art. 46, comma 4, D.L. 331/93 e con decorrenza 1.1.2004, dall’art. 21, comma 2, lettera g) del D.P.R. 633/72. 11 Vedi nota 4). 12 E’ realistico immaginare che la quotazione sia inferiore negli stati membri con aliquote IVA più basse, incorporando la stessa anche la componente fiscale. 13 Vedi Nota 8). 14 La cessione sconterà l’imposta con l’aliquota del 20%, come un normale acquisto interno. 15 Le linee guida sono indicate nel Decreto Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del 8 giugno 2005, che non riguarda solo gli acquisti intracomunitari ma anche le cessioni intracomunitarie e le esportazioni di auto fiscalmente nuove. 16 Con l’obbiettivo di individuare le società “filtro”, il Ministero precisa che nell’ipotesi in cui il mezzo acquistato in ambito UE, prima di essere immatricolato abbia subito un passaggio intermedio, non deve essere comunicato il codice identificativo del primo fornitore, ma il codice fiscale del fornitore nazionale che si è inserito nella triangolazione. 17 L’art. 1, comma 386, della L. 311/2004, ha introdotto l’art. 60 bis del D.P.R. 633/72, applicabile solo con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2005, del Decreto Ministeriale 22 dicembre 2005. 18 Sentenza Corte di Giustizia CEE del 11 maggio 2006, C-384/04. 4 IL MERCATO EUROPEO DELL'AUTO della Direttiva Consiglio 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE, ha precisato che la sua applicazione deve rispettare i principi di proporzionalità e di certezza del diritto e non deve rendere eccessivamente difficile per il contribuente superare le presunzioni su cui si fonda. Secondo la Corte, non è legittimo imporre al contribuente di fornire prove praticamente impossibili da documentare o di eccessiva difficoltà di reperimento, visto che così facendo si costruirebbe un sistema di responsabilità oggettiva, che andrebbe al di là di quanto necessario per garantire gli interessi erariali (principio di proporzionalità). Come detto, non sembra che la norma nazionale risponda a pieno alle prescrizioni comunitarie, visto che la presunzione di responsabilità è stata costruita in modo che, nella maggior parte dei casi, la prova contraria da fornire risulti eccessivamente difficile. Si pensi, ad esempio, alla determinazione del valore normale sul mercato europeo dell’auto (il valore normale non può essere riferito al mercato nazionale, altrimenti il soggetto non si sarebbe rivolto all’ importatore parallelo ma avrebbe acquistato l’auto in Italia presso un normale concessionario autorizzato), che in alcune ipotesi e per alcuni modelli può risultare difficilissimo, tenuto conto dell’estrema variabilità dei prezzi all’interno dei venticinque stati membri, con differenze anche del 30% su medesimi modelli19 . Sempre in tema di valore normale, un ulteriore aspetto critico riguarderebbe il rischio operativo di incorrere, in sede di applicazione, nella violazione di cui all’art. 73 della direttiva citata e quindi, dell’art. 13, comma 1, del D.P.R. 633/72, che, come noto, assumono come base imponibile solo il corrispettivo dell’operazione e non già, in presenza di corrispettivo dichiarato, il valore normale della stessa (tenuto conto dei tanti casi in cui la determinazione di un corrispettivo inferiore al valore normale è dovuta a situazioni di mercato, personali, ecc.)20 . La preoccupazione legata al dettato normativo, a dire il vero, viene in parte compensata da una recente nota dell’Amministrazione Finanziaria21 ove si raccomanda agli uffici periferici di valutare caso per caso l’applicazione della responsabilità solidale, analizzando l’effettivo ruolo svolto dai soggetti implicati nell’ipotesi di frode e verificando in modo puntuale la sussistenza delle condizioni richieste, evitando così un’ impropria o illogica applicazione della norma22 . A distanza di poco più di un anno dalla sua prima applicazione, la responsabilità solidale sembra oggi aver perso parte del suo “appeal”, bypassata da due nuovi strumenti più incisivi, messi a punto al fine di contrastare definitivamente il fenomeno. Stiamo parlando dell’obbligo di stipula di specifica polizza fideiussoria a carico dei soggetti che intendono svolgere l’attività di importazione parallela di veicoli (“nuovi” e usati) nei primi tre anni di attività, e il vincolo imposto ai fini dell’immatricolazione delle auto estere (“nuove” ed usate), di esibizione del modello F24 di versamento dell’IVA. L’obbligo di rilascio della polizza è operativo da gennaio23 e riguarda i soggetti con codice attività specifico (50.10.0 – ma non solo visto che la circolare n. 27/2007 prevede che anche l’acquisto intrac. occasionale ricade nell’obbligo di garanzia), che si trovino entro i primi tre anni dalla data di attribuzione della posizione IVA e che barrino la relativa casella (modello AA7/8 – AA9/8), per l’effettuazione di acquisti intracomunitari di autoveicoli. Dalla lettera della disposizione ne rimarrebbero dunque esclusi i soggetti che svolgono tale attività da più di tre anni. Diversamente dalla polizza, l’esibizione del modello F24 ai fini dell’im- matricolazione, non è ancora operativa visto che necessita di un ulteriore provvedimento finalizzato ad integrare il modello di versamento con i riferimenti al numero di telaio e all’ammontare dell’IVA assolta per ciascun veicolo24 . 3.3 Importazioni parallele in regime del margine e “l’obbligo” di vigilanza. Come già precedentemente argomentato, per poter comprendere se l’autoveicolo possa legittimamente scontare il particolare regime del margine, non basta verificarne le caratteristiche intrinseche (più di seimila chilometri e sei mesi di vita) ma è necessario ampliare l’analisi ad altri aspetti legati ai precedenti proprietari. Nell’ambito delle importazioni parallele, l’ipotesi più ricorrente vede il cedente nazionale applicare il regime del margine per il semplice fatto di averlo “subito” a monte all’atto dell’acquisto all’estero. Tale aspetto introduce il tema che più interessa e che riguarda la qualificazione del rapporto che lega l’intermediario nazionale con il fornitore estero, tenuto conto dell’estrema difficoltà da parte del primo di accertare se l’applicazione del regime sia legittima o nasconda, a monte, un’evasione d’imposta. Come vedremo infatti, diversamente da quanto avviene nelle importazioni parallele di auto “nuove”, la presenza di un terzo soggetto nazionale non risulta determinante nell’architettura della frode, ma anzi esso stesso ne è vittima. La questione non è di poco conto considerato che in caso di illegittima applicazione del regime del margine in acquisto (a monte), all’intermediario nazionale potrebbe essere richiesta la maggior imposta non applicata al cliente finale (a valle), con annesse sanzioni ed interessi. La problematica ha avuto ampio eco nei primi anni duemila, grazie ad una vasta operazione condotta dalla G.d.F. a fronte di una serie di frodi con base in alcuni stati comunitari (Spagna ed Inghilterra) ed architettate proprio sull’illegittima applicazione del regime del margine. Le frodi abitualmente si sviluppavano attraverso un triangolo ai cui estremi operavano soggetti estranei alla frode (spesso di paesi diversi), ed al centro invece vi era la mente, dislocata in un terzo paese comunitario. La società che “comandava” le triangolari, acquistava le auto dal primo rivenditore, in regime normale (assolvendo l’imposta con reverse-charge) e rivendendole al terzo operatore nazionale con l’illegittima applicazione del regime del margine. Al fine poi di impedire o rendere difficoltosi i controlli, la società emetteva due fatture, la prima, con l’ indicazione del regime del margine, inviata al destinatario delle auto e la seconda, con la corretta applicazione dell’esenzione IVA (cessione intracomunitaria), registrata in contabilità. In tale operazione furono coinvolti diversi intermediari nazionali ai quali fu contestata l’omessa verifica, in capo al loro fornitore comunitario, dei requisiti idonei all’applicazione del margine. Tale dovere di vigilanza fu esplicitato nella criticata (ma tutt’ora operativa) Circolare n. 40/E del 18 luglio 2003 con la quale l’Agenzia delle Entrate, di fatto, delegò l’operatore nazionale ad espletare tutta una serie di attività di intelligence nei confronti del fornitore estero (attività solitamente riservata all’Amministrazione Finanziaria, attraverso le procedure di “collaborazione amministrativa”, di cui al Reg. CE 218/ 92)25 , in quanto, “…. la specificazione in fattura che la transazione è stata effettuata con applicazione del regime del margine non 19 European Commission – Car Price Report at. 1.11.2006. Il riferimento sarebbe, ad esempio, ammissibile (ispirandoci alla legislazione inglese – C-384/04), se il termine di paragone non fosse il valore normale ma il valore minimo di mercato o il valore di una precedente transazione. 21 Direzione Centrale Normativa ed Accertamento – Comunicazione di Servizio n. 115/E del 2005. 22 La stessa Comunicazione chiude precisando che la responsabilità solidale si cumula con quella prevista a carico del presunto interponente, ai fini IVA, al quale si dovrà contestare anche l’indebita detrazione (qualora operata) dell’imposta indicata nelle fatture emesse nei suoi confronti. 23 Provvedimento del Direttore delle Agenzia delle Entrate del 21 dicembre 2006, in vigore dal 4 gennaio 2007. 24 In assenza del provvedimento del Direttore dell’ Agenzia delle Entrate, con Circolare Prot. Div6 33406 del 06 aprile 2007, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha ulteriormente prorogato l’applicabilità della procedura di controllo preventivo della documentazione relativa ai veicoli oggetto di acquisto intracomunitario, al 10 giugno 2007. 25 Secondo la suprema Corte di Cassazione, Sentenza n. 1841 del 18.02.200, tale atteggiamento <<…….trasformerebbe l’obbligato in rivalsa in un collaboratore con supplenza, in funzioni di esclusiva pertinenza dell’Ufficio Finanziario e, dunque, andrebbe oltre la ratio di assicurare all’Ufficio medesimo la conoscenza piena dei fatti rilevanti ai fini impositivi, introducendo una sorta di accertamento “privato” in rettifica della dichiarazione del debitore d’imposta. >> 20 5 IL REGIME EUROPEO DELL'AUTO esime l’acquirente da responsabilità qualora in base ad elementi oggettivi si possa desumere che il cedente comunitario non poteva utilizzare il regime speciale in argomento”. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, gli elementi oggettivi che potevano escludere l’applicazione del margine erano, ad esempio, l’utilizzo del veicolo come bene proprio dell’attività (autonoleggio), con annessa detrazione dell’IVA all’atto dell’acquisto. La circolare diventò lo strumento operativo utilizzato al fine di legittimare una campagna di controlli ed accertamenti a contrasto del fenomeno. L’aver introdotto degli obblighi di vigilanza estranei sia all’ordinamento nazionale che comunitario, ispirò le sentenze dei primi giudici di merito chiamati a decidere sulla legittimità degli atti di accertamento26 . I giudici conclusero escludendo che si potesse attribuire una responsabilità al cessionario nazionale per “omessa vigilanza”, nei casi in cui lo stesso avesse correttamente rispettato le verifiche di carattere formale previste dalla normativa comunitaria27 , ciò in quanto l’Amministrazione Finanziaria avrebbe dovuto dimostrare la complicità tra il venditore estero e l’acquirente italiano e non semplicemente indicare nell’atto di accertamento le presunte anomalie riscontrate, basando sulle stesse l’intero accertamento28 . 26 4. CONCLUSIONI E‘ indubbio che il mercato europeo dell’auto presenta una complessità tale da non poterlo qualificare sotto il semplice profilo economico legato alle opportunità che offre al consumatore o all’operatore accorto ed intraprendente (vedi comunicato stampa del Commissario alla concorrenza IP/05/1027). Capita infatti che apparenti occasioni d’acquisto si trasformino in trappole costruite ad hoc, nelle quali spesso gli operatori rimangono impigliati anche a causa di strumenti repressivi che non sempre rispettano pienamente i principi comunitari di proporzionalità, certezza del diritto e legittimo affidamento. Per il futuro sarà forse opportuno concentrare gli sforzi nazionali e comunitari sul potenziamento e sulla tempestività dei controlli incrociati all’interno del mercato unico, utilizzando le procedure di “collaborazione amministrativa” già operative dal 1992 e recentemente potenziate con il Reg. (CE) n. 1925 del 29 ottobre 2004. E’ del tutto evidente che soltanto una ritrovata certezza delle regole e dei comportamenti consentirà agli operatori di porre in essere quelle strategie commerciali transnazionali rivolte a cogliere le tanto evocate opportunità offerte dal mercato unico europeo. C.T.P. di Treviso, sez. VIII, Sent. 16 dicembre 2004, n. 51; C.T.P. di Udine, sez. I, Sent. 15 febbraio 2005, n. 246. La Direttiva n. 2001/115/CE impone ai rivenditori nazionali di: a) verificare l’esistenza del fornitore; b) accertarsi che i veicoli siano fiscalmente usati (più di 6.000 Km e sei mesi di vita), c) verificare che la fattura faccia riferimento alla normativa comunitaria sull’applicazione del margine; d) compilare i modelli Intrastat; e) applicare nella successiva fase di commercializzazione il regime del margine. 28 Non del tutto condivisibile invece, la Sentenza n. 13 del 09 marzo 2005, CTP di Udine, Sez. II, con la quale, pur ammettendo l’estraneità del cessionario alla vicenda, i giudici hanno ritenuto comunque legittimo l’addebito dell’imposta non addebitata al cliente finale, con eliminazione delle sole sanzioni. Recentemente la stessa CTP di Udine, sez. I, Sentenza n. 82, del 16 gennaio 2007, ha ampliato il principio comunitario del legittimo affidamento del contribuente, ritenendo che l’imposta addebitata dopo quattro/cinque anni dai fatti, si trasformi in una “sanzione impropria”, nella considerazione che “……si renderebbe di fatto impossibile la rivalsa nei confronti dei numerosi committente ed il ricorrente si troverebbe a sostenere un costo di un imposta che, invece, deve essere neutra per l’esercente la professione e gravare sul consumatore finale”. 27 6 IL REGIME EUROPEO DELL'AUTO Le aliquote IVA previste negli stati membri I. LIST OF VAT RATES APPLIED IN THE MEMBER STATES – 1.1.2007 Member States Code Super Reduced Rate Reduced Rate Standard Rate Parking Rate Belgium BE - 6 21 12 Bulgaria BG - 7 20 - Czech Republic CZ - 5 19 - Denmark DK - - 25 - Germany DE - 7 19 - Estonia EE - 5 18 - Greece EL 4.5 9 19 - Spain ES 4 7 16 - France FR 2.1 5.5 19.6 - Ireland IE 4.4 13.5 21 13.5 Italy IT 4 10 20 - Cyprus CY - 5/8 15 - Latvia LV - 5 18 - Lithuania LT - 5/9 18 - Luxembourg LU 3 6 15 12 Hungary HU - 5 20 - Malta MT - 5 18 - Netherlands NL - 6 19 - Austria AT - 10 20 12 Poland PL 3 7 22 - Portugal PT - 5 / 12 21 - Romania RO - 9 19 - Slovenia SI - 8.5 20 - Slovakia SK - 10 19 - Finland FI - 8 / 17 22 - Sweden SE - 6 / 12 25 - United Kingdom UK - 5 17.5 - 7 Ritrattabilità della dichiarazione dei redditi e diritto al rimborso Diana Pérez Corradini Ordine di Padova In una recente pronuncia l’Amministrazione Finanziaria preclude il diritto a presentare una dichiarazione integrativa a favore del contribuente decorso il termine di presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo e non riconosce la possibilità di emendare la dichiarazione tramite la presentazione di un’istanza di rimborso di cui all’art. 38 del D.P.R. 602/ 1973. Queste le conclusioni a cui giunge la Risoluzione n. 24/E del 14/02/2007, fornendo un’interpretazione ai commi 8 e 8 bis del D.P.R. 322/1998. C on la Risoluzione n. 24/E del 14/02/2007, l’Agenzia delle Entrate torna sulla questione della rettifica della dichiarazione, un argomento di grande interesse che, da sempre, ha suscitato un acceso dibattito sia in dottrina sia in giurisprudenza. Si presenta quindi l’opportunità di esaminare l’evoluzione del dibattito nel tempo e la portata della recente interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate. Il diritto al rimborso è invece disciplinato all’art. 38 del D.P.R. 602/1973, dove si prevede la possibilità per il soggetto che ha effettuato un versamento diretto di presentare un’istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento. La posizione della dottrina L’attuale quadro normativo di riferimento Allo stato attuale, la rettifica della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi è disciplinata dall’art. 2, commi 8 e 8 bis, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322. Il vigente art. 2, comma 81 stabilisce che le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti d’imposta possano essere integrate per correggere errori od omissioni tramite la predisposizione di una successiva dichiarazione da presentare non oltre i termini stabiliti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni. L’art. 2, comma 8 bis prevede che le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possano essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, tramite una dichiarazione da presentare, non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. Secondo la prevalente dottrina2 , il contribuente risulterebbe legittimato a presentare la dichiarazione integrativa in diminuzione anche oltre il termine previsto dall’art. 2, comma 8 bis del D.P.R. n. 322/1998 ed entro i più ampi termini previsti dal comma 8 del medesimo articolo, non potendo tuttavia beneficiare in tale caso della possibilità di evidenziare gli eventuali crediti emergenti in compensazione3 . Le motivazioni addotte a sostegno di tale tesi si basano sull’evidenza che, il comma 8 bis ha l’obiettivo di introdurre l’istituto della compensazione, permettendo un pronto recupero del credito, a condizione che il contribuente si “affretti” a correggere la dichiarazione precedente entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. Questo ragionamento comporta la possibilità per il contribuente di rettificare la dichiarazione a proprio favore attraverso il comma 8 dello stesso articolo, senza tuttavia potersi avvalere dell’istituto della compensazione, ma optando per il rimborso o per il riporto a nuovo dell’eventuale credito emergente dalla dichiarazione integrativa. Tale conclusione, troverebbe principio nella generica formulazione del citato comma 8, che non distingue 1 Si riporta il testo dell’articolo 2, comma 8 prima delle modifiche e integrazioni apportate dal D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435: “Salva l’applicazione delle sanzioni amministrative, la dichiarazione dei redditi, la dichiarazione dell’imposta regionale sulle attività produttive e la dichiarazione dei sostituti d’imposta possono essere integrate per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da redigere secondo le modalità stabilite per le medesime dichiarazioni e da presentare all’Amministrazione Finanziaria per il tramite di un ufficio delle Poste italiane S.p.A. convenzionate”. 2 Si segnalano senza alcuna pretesa di esaustività i seguenti contributi: A. Carotenuto, La dichiarazione correttiva: profili sanzionatori, in “Il Fisco” n. 10/ 2005, fascicolo 1, pag. 1487; E. Gazzella, Sulla ritrattabilità delle dichiarazioni fiscali, in “Il Fisco” n. 22/2004, fascicolo 1, pag. 3336; R. Dolce, Ritrattabilità della dichiarazione dei redditi: spunti di riflessione anche alla luce della sentenza n. 4238/2004 della Corte di Cassazione, in “Il Fisco” n. 41/2004, pag. 6982; Avorio Diego-Paroni Pini Giulia, Sull’emendabilità della dichiarazione dei redditi in favore del contribuente, in “Rivista di giurisprudenza tributaria” n. 12/ 2004, pag. 1145; Mastroberti Antonio, La rettifica della dichiarazione dei redditi, in “Pratica fiscale e professionale” n. 33/2004, pag. 30 e ss.; T. Sciarpa, La dialettica tra giurisprudenza e normativa in tema di rettificabilità della dichiarazione tributaria, in “Rassegna Tributaria” n. 1/2004, pag. 117; E. Grassi, Ancora un chiarimento – questa volta da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – sull’emendabilità e la ritrattabilità delle dichiarazioni dei redditi, in “Il Fisco” n. 7/2003, fascicolo 1, pag. 989; La Rocca, La ritrattabilità delle dichiarazioni fiscali alla luce delle novità rese dal D.P.R. n. 435/2001 e a seguito dell’attesa pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione depositata lo scorso 25 ottobre 2002, in “Il Fisco” n. 43/2002, fascicolo 1, pag. 6841; Deotto Dario, La rettifica della dichiarazione, in “Corriere Tributario” n. 32/2002, pag. 2861 e ss.; Ferranti Gianfranco, La correzione della dichiarazione “a favore” del contribuente attende la pronuncia delle SS.UU., in “Corriere Tributario” n. 30/2002, pag. 2677 e ss.; Fabrizio Tabanelli, La “ritrattazione” della dichiarazione dei redditi, in “Corriere Tributario” n . 41/2001, pag. 3072 e ss.. 3 Mastroberti Antonio, op.cit.. 9 RITRATTABILITÀ DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI tra rettifica a favore o sfavore del contribuente. Per contro, una posizione ben più restrittiva di quella appena esposta4 , riaffermata anche nella recente pronuncia dall’Agenzia delle Entrate, sostiene invece che le norme citate distinguano, sul piano degli effetti, le ipotesi di rettifica a favore del contribuente da quelle a sfavore, prevedendo due diversi termini per la presentazione della dichiarazione integrativa5 : un primo termine, per le dichiarazioni integrative in aumento, coincidente con i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 602/73, ovvero i termini di decadenza dell’azione di accertamento; un secondo termine, invece, per le dichiarazioni integrative in diminuzione, coincidente con la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. Di conseguenza, decorsi i termini temporali di cui al suddetto comma 8 bis dell’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998, il contribuente non potrebbe più presentare una dichiarazione correttiva a proprio favore. La posizione della giurisprudenza Seguendo l’evolversi della dottrina, anche la giurisprudenza si è pronunciata in argomento delle norme in commento. Dapprima, in merito all’emendabilità6 della dichiarazione dei redditi ed, in seguito, una volta riconosciuta legislativamente la possibilità di presentare dichiarazioni integrative, in merito ai termini di presentazione delle dichiarazioni integrative a favore del contribuente. Per quanto concerne l’emendabilità, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n.15063 del 2002, dando una svolta all’interpretazione proposta fino a quel momento in merito a tale argomento, ha ritenuto in linea di principio emendabile e ritrattabile ogni dichiarazione dei redditi frutto di un errore di redazione compiuto dal dichiarante, qualora l’errore potesse comportare l’assoggettamento del contribuente ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli di competenza in base alla legge. Per quanto concerne, invece, la possibilità di presentare istanza di rimborso oltre i termini di cui al comma 8 bis dell’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998, la Cassazione, tuttavia, al pari della maggiore dottrina, non sembra ritenere che la limitazione in materia di presentazione della dichiarazione integrativa di cui al comma 8 bis dell’articolo in commento, abbia conseguenze in tema di diritto al rimborso. Afferma, infatti, chiaramente che7 : “il rigoroso regime legale che regola il modo ed il tempo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi non costituisce argomento decisivo al fine di escludere la ripetibilità di imposte versate in base ad una dichiarazione errata ancorché l’errore non sia immediatamente desumibile dal testo della stessa, dovendosi riconoscere al contribuente - in un sistema improntato ormai, per effetto della entrata in vigore dello statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), ai principi della buona fede e della tutela dell’affidamento, ed avuto riguardo al concetto di capacità contributiva, che costituisce uno dei principi fondamentali della Costituzione in materia tributaria - la possibilità di far valere ogni tipo di errore commesso in buona fede al momento della dichiarazione, attraverso la procedura di rimborso, disciplinata dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973”. La posizione dell’Amministrazione Finanziaria L’Amministrazione Finanziaria si è più volte espressa sulla possibilità 4 di rettificare la dichiarazione dei redditi, manifestando interpretazioni diverse riguardo ai commi 8 e 8 bis dell’art. 2, del D.P.R. n. 322/1998. Se nelle interpretazioni proposte prima dell’introduzione del comma 8 bis, l’Agenzia delle Entrate aveva adottato una posizione a favore del contribuente8 , in seguito all’introduzione del comma 8 bis nella normativa in esame, il parere dell’Amministrazione Finanziaria è mutato. Con circolare 25 gennaio 2002, n. 6/E, l’Amministrazione Finanziaria ha sostenuto che le modalità ed i termini di rettifica della dichiarazione previsti dall’art. 2, comma 8, del D.P.R. 322/1998 riguardano esclusivamente le ipotesi di correzione di errori che conducano ad un maggior debito di imposta9 . Tale orientamento è stato mantenuto anche nella successiva circolare n. 50/E del 2002 par. 21, dove l’Amministrazione Finanziaria ha ribadito ancora una volta che scaduto il termine di cui all’art. 2 comma 8 bis del D.P.R. n. 322/1998, non può più essere presentata una dichiarazione integrativa per correggere un errore da cui consegue un maggior credito o un minor debito. Secondo l’Agenzia delle Entrate, dunque, le disposizioni in materia di rettifica della dichiarazione prevedono due termini ben distinti per l’integrazione. Nel caso in cui la dichiarazione sia a favore dell’Amministrazione Finanziaria, i termini sarebbero quelli di decadenza dell’azione di accertamento, mentre se la dichiarazione è favorevole al contribuente, il termine si ridurrebbe e coinciderebbe con il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. Considerazioni a margine della Risoluzione 24/E La Risoluzione 24/E del 14/02/2007 si inserisce nel quadro di pronunce riguardanti la ritrattabilità della dichiarazione dei redditi delineato fino a questo momento, seguendo la linea già in precedenza adottata dall’Amministrazione Finanziaria, ovvero dell’emendabilità della dichiarazione a favore del contribuente solo in base all’art. 2, comma 8 bis del D.P.R. n. 322/1998. In tale Risoluzione, tuttavia, l’Amministrazione Finanziaria si spinge oltre, sostenendo che il principio di emendabilità della dichiarazione a favore del contribuente, mediante presentazione di istanza di rimborso nei termini previsti dall’articolo 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, vada riferito alla disciplina vigente prima delle modifiche apportate dal comma 8 bis. Con tale interpretazione, l’Amministrazione Finanziaria preclude la strada ai contribuenti che, avendo commesso un errore od omissione a proprio sfavore nella dichiarazione dei redditi, siano venuti a conoscenza dello stesso oltre il termine di cui al comma 8-bis dell’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998. Gli stessi, quindi, non potranno né presentare una dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2, comma 8, né un’istanza di rimborso in base all’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, andando incontro ad una definitiva perdita del loro credito verso l’Erario. Viene sostenuta dunque, l’impossibilità di attivare direttamente l’istanza di rimborso di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973 affermando che la stessa, a seguito dell’introduzione del comma 8 bis, rimane legata alla presentazione di una dichiarazione correttiva che evidenzi il maggior importo versato. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, la possibilità di attivare l’istanza di rimborso nei 48 mesi era legata ad un momento temporale in cui non era presente nell’ordinamento una normativa di riferimento che riguardasse il caso oggi disciplinato dal comma 8 bis. Pertanto, non viene ritenuta più valida la possibilità di Si segnalano, senza alcuna pretesa di esaustività, i seguenti contributi: Chiorazzi – Iacono, Modalità e termini per la correzione delle dichiarazioni fiscali, in “Il Fisco” n. 4/2006, fascicolo n. 1, pag. 524; Baggio, Sulla ritrattabilità della dichiarazione tributaria, nota a Cass. n. 8972 del 20 giugno 2002, in “Riv. Dir. Trib.”, 2002, II, pagg. 723 e ss.; G. Nicita, Finalmente certezze sulla rettificabilità della dichiarazione dei redditi a favore del contribuente: nuovo art. 2, comma 8 bis, del D.P.R. n. 322/1998, in “Il Fisco” n. 36/2001, pag. 11805. 5 In questo senso, Chiorazzi-Iacono, op.cit.. 6 Cass. Sez. Trib. N. 10475 del 2003; Cass. Sez. V, n. 4238 del 2004; Cass., Sez. Trib., n.22567 del 2004; Cass., Sez. Trib., n. 4236 del 2004. Contro la possibilità di emendabilità della dichiarazione dei redditi si citano: Cass. n. 4239 del 1994; Cass. n. 10055 del 2000. 7 Cass. Sez. Trib., n. 3730 del 2005. Si segnalano le seguenti pronunce sempre nella stessa linea di pensiero: Cass. Sez. Trib, n. 24552 del 2006; Cass. Sez Trib. n. 11987 del 2006; Cass. Sez. Trib., n. 3662 del 2004; Cass. Sez. Trib., n. 7087 del 2003. 8 A titolo esemplificativo si citano le circolari 17 maggio 2000, n. 98/E e 14 giugno 2001, n. 55/E. 9 Ferranti Gianfranco, op. cit.. 10 RITRATTABILITÀ DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI presentare l’istanza, nel maggiore termine, dopo l’entrata in vigore di tale comma. A prescindere da osservazioni legate alla tecnica legislativa applicata nella redazione del comma 8 bis, tecnica che crea sostanziali dubbi interpretativi in merito all’effettiva portata della disposizione, a parere di chi scrive, la differente disciplina da applicare alla situazione in cui la dichiarazione integrativa sia o meno presentata a favore del contribuente non sembra tuttavia escludere (in quanto nulla si dice in proposito) la residuale applicazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 602/ 1973. Viene lasciato spazio, quindi, alla presentazione dell’istanza di rimborso qui prevista nei più ampi termini di cui alla norma (48 mesi dal momento in cui si è effettuato il versamento)10 . Infatti, anche dall’analisi del quadro complessivo della normativa in vigore, non risulta una norma specifica che impedisca di presentare l’istanza di rimborso scaduti i termini di cui all’art. 8 bis né si rileva un collegamento logico-normativo che faccia evincere tale ragionamento. I due istituti - l’istanza di rimborso art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973 e la dichiarazione rettificativa dell’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998 – hanno presupposti, caratteristiche e finalità diversi che ne giustificherebbero la coesistenza applicativa anche in materia di errori commessi in sede di dichiarazione11 . Le motivazioni addotte dall’Amministrazione Finanziaria si scontrano, infine, anche con i principi di tutela dell’affidamento e della buona fede dello Statuto del Contribuente. La stessa Amministrazione Finanziaria, peraltro, nella Risoluzione 12/E del 17 gennaio 2006, indicava l’emendabilità della dichiarazione come espressione di tali principi e sosteneva che “con i principi generali sopra richiamati (emendabilità della dichiarazione, tutela dell’affidamento e della buona fede), discende che il contribuente possa rimediare all’omis- 10 11 sione attraverso la presentazione di una nuova dichiarazione integrativa,[…], senza particolari limiti di tempo, ma a condizioni che non siano iniziati accessi, ispezioni o verifiche”. Per questo motivo, non si condivide la motivazione alla base della preclusione, per il contribuente, di presentare l’istanza di rimborso nei termini di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, considerandolo invece legato ai termini di cui all’art. 2 comma 8 bis del D.P.R. n. 322/ 1998. Passato tale termine, secondo quanto sostenuto dall’Amministrazione Finanziaria, il contribuente rimarrebbe infatti gravato di una tassazione maggiore rispetto alla sua effettiva capacità contributiva, vanificando la funzione dell’istanza di rimborso che è volta a realizzare una migliore rappresentazione del presupposto dell’imposta, e si pone come funzionale ad un prelievo conforme al precetto costituzionale di cui all’art. 53. Ponendo in primo piano l’esigenza di certezza e stabilità dei rapporti giuridici tributari, per consentire all’Amministrazione Finanziaria una pronta acquisizione di certezza sull’entità e sull’andamento delle entrate fiscali, si giunge, a parere dello scrivente, ad un sacrificio degli interessi protetti degli artt. 53, comma 1, e 97, comma 1, che appare eccessivo, considerato che all’Amministrazione Finanziaria viene comunque riservato il diritto di procedere ai debiti controlli prima del riconoscimento del credito. Da quanto fin qui esposto, emerge una chiara contrapposizione tra l’orientamento espresso dall’Amministrazione Finanziaria ed i principi di diritto a tutela del contribuente, ingiustamente sacrificati. Si attende dunque un’interpretazione da parte della giurisprudenza che ponga su un piano di parità il contribuente e l’Amministrazione Finanziaria, avvalorando principi fondamentali del nostro ordinamento. In tale senso, Dolce, op. cit.. Circolare Assonime n. 36 del 5 agosto 2004. 11 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 11 NORME E TRIBUTI Fusione: il "bonus aggregazioni" della Finanziaria 2007 alla luce dell'OIC 4 LA FINANZIARIA 2007, di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, ha introdotto un incentivo fiscale transitorio in ambito di aggregazioni aziendali, con il fine ultimo di favorire i processi di crescita dimensionale delle imprese cui ambisce il nostro Paese. L’incentivo si sostanzia nel riconoscimento fiscale del disavanzo da concambio imputato ad incremento del valore dei beni strumentali e destinato, per il residuo, ad avviamento, come vuole la disciplina civilistico-contabile. Per poter esaminare la portata ed il reale appeal di quanto previsto dalla L. 296/2006, risulta utile rispolverare la nozione, il trattamento nonché le modalità di realizzazione del disavanzo da concambio; a tal fine, utili indicazioni ci giungono dal principio contabile Oic 4 di recente pubblicazione da parte dell’Organismo italiano di contabilità. Il presente lavoro si propone per l’appunto di indagare le caratteristiche e le condizioni dell’agevolazione introdotta dalla Finanziaria 2007, con particolare riguardo all’operazione di fusione, prendendo a base quanto disposto dall’Oic 4 e dalla disciplina tributaria a regime delle differenze di fusione. Disciplina fiscale della fusione: il principio di neutralità Anzitutto, per comprendere dove e come interviene il cd. «bonus aggregazioni», è bene dare uno sguardo alla disciplina vigente in materia di disavanzo di fusione. L’art. 172 del D.P.R. 917/1986 statuisce il principio di neutralità fiscale dell’operazione di fusione che si sostanzia nell’assoluta irrilevanza dell’operazione sul piano fiscale. La fusione non costituisce realizzo né distribuzione di plus e minus valori dei beni delle società fuse o incorporate, compresi quelli relativi alle rimanenze ed al valore di avviamento. Ecco quindi che le discrasie esistenti tra il valore fiscalmente riconosciuto e quello corrente all’atto di fusione dei singoli elementi trasfusi al momento della compenetrazione dei patrimoni delle società coinvolte nella fusione non danno luogo a componenti rilevanti ai fini della determinazione del reddito imponibile. Il principio di neutralità - nel senso appena descritto - comporta per simmetria che i beni della società estinta conservino in capo alla società incorporante (o risultante dalla fusione) l’originario valore fiscalmente riconosciuto. Va da sé infatti che il mancato realizzo di plusvalori passibili di prelievo in capo alla società incorporata o fusa non possa determinare talun effetto sulla materia imponibile della società incorporante o risultante dalla fusione. Quanto al trattamento fiscale del disavanzo da fusione, sempre l’art. 172, D.P.R. 917/1986 sancisce l’impossibilità di attribuire riconoscimento fiscale ai disavanzi contabili emergenti da un’operazione di fusione. Ciò nel senso che, ai fini della determinazione del reddito della società incorporante o risultante dalla fusione, non assume alcuna valenza fiscale l’avanzo ovvero il disavanzo iscritto a bilancio per effetto del cambio delle azioni e delle quote (per inciso ciò vale anche per l’avanzo e disavanzo scaturente dall’annullamento di una partecipazione, ossia il cd. avanzo o disavanzo da annullamento). MICHELA ZAMPICCOLI Praticante Ordine di Trento La Finanziaria 2007 ha introdotto il cd. «bonus aggregazioni» per incentivare in particolare le operazioni di fusione. Meritano una disamina contenuto e portata dell’incentivo ad oggetto, con particolare riguardo alla nozione e al trattamento del disavanzo da concambio Si tratta di irrilevanza «sotto il profilo fiscale» e con ciò - è bene palesarlo – si vuole dire che il comportamento contabile assunto dal contribuente, che ben può iscrivere i beni ricevuti dalla società estinta a maggiori valori rispetto a quelli fiscalmente riconosciuti in capo alla stessa, non determina effetti sul reddito imponibile. Unica conseguenza di tale disallineamento tra valori civili e fiscali è un adempimento di tipo dichiarativo: il contribuente è tenuto ad esporre, in sede di dichiarazione dei redditi, i dati risultanti dal bilancio e quelli fiscalmente riconosciuti per mezzo di apposito prospetto di riconciliazione. Oggetto dell'agevolazione: che cos'è il disavanzo da concambio Oic 4 Ora è bene concentrarci sull’oggetto del beneficio fiscale introdotto dall’art. 1, commi 242-249 della Finanziaria 2007 che, come si è anticipato in premessa, è il disavanzo da concambio, cui viene riconosciuta - in deroga al principio di neutralità di cui all’art. 172, D.P.R. 917/1986 – rilevanza fiscale fino ad un valore massimo di 5 milioni di euro. Con la C.M. 16/E/2007, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il riconoscimento fiscale gratuito non può riguardare il disavanzo da annullamento né tantomeno quello da concambio imputato ai beni del magazzino e alle partecipazioni; con ciò si è ribadito che esso si riferisce esclusivamente al disavanzo da concambio imputato al valore dei beni strumentali materiali ed immateriali nonché al valore di avviamento. La disposizione della Finanziaria 2007 suona come un’opportunità, visto che, fino ad ora, nessun riconoscimento fiscale risultava attribuito al citato disavanzo. Ma per comprendere appieno la possibilità che ci si presenta occorre indagare le caratteristiche e le modalità realizzative del disavanzo ad oggetto. A tale scopo ci affidiamo al principio contabile Oic 4, «Fusione e scissione», emanato nella sua versione definitiva in data 1 dicembre 2006 dall’Organismo italiano della contabilità. Tale principio contabile è stato pensato e formulato con il fine di definire le regole tecnico-contabili da applicare nella redazione dei diversi bilanci e situazioni contabili caratteristici del procedimento di fusione (e di scissione), interpretando quanto previsto dalla normativa civilistica, ed in particolare dagli artt. 2501-2505 quater, c.c. Ecco quindi che l’Oic 4 non poteva esimersi dall’occuparsi delle differenze di fusione, chiarendo alcuni passaggi piuttosto importanti ai nostri fini. Si dice anzitutto che la differenza da concambio emerge dal confronto fra: il valore dell’aumento di capitale sociale della società incorporante e la quota di patrimonio netto contabile della incorporata di competenza di terzi. Va subito chiarito che la differenza ad oggetto si origina tra soggetti indipendenti non legati tra loro da rapporti di partecipazione; ed è proprio in tal senso che la differenza da concambio si contrappone a quella da annullamento. Il paragone tra i due valori suindicati può dar luogo ad una discrasia di segno positivo ovvero negativo: si ha un disavanzo quando il valore dell’aumento del capitale dell’incorporante è maggiore rispetto alla quota di patrimonio netto dell’incorporata in mano a terzi. Da ciò si può addivenire alla conclusione che il disavanzo da concambio derivi sostanzialmente dal fatto che l’incorporante, per «acquistare» l’incorporata, ha «pagato» un prezzo maggiore rispetto ai valori iscritti nel bilancio dell’entità acquisita, riconoscendone quindi plusvalenze latenti ed avviamento. Va oltremodo osservato come assuma rilevanza, in tal contesto, la data in cui si prende a base il valore del patrimonio netto dell’incorporata per essere posto a confronto con il valore dell’aumento del capitale sociale, dato che si tratta di una delle variabili da cui dipende la determinazione dell’entità del disavanzo stesso. A chiarire quest’altro aspetto v’è ancora l’Oic 4, che opera un distinguo tra il caso in cui: vi sia retroazione contabile e reddituale della fusione all’inizio dell’esercizio: in tale situazione, il patrimonio netto contabile dell’incorporata è esattamente quello che risulta dal bilancio di chiusura dell’esercizio precedente la fusione; non vi sia retroazione contabile e reddituale: in questo caso il patrimonio netto contabile va determinato con riferimento alla data di efficacia reale della fusione. Una volta assodate le modalità attraverso cui il disavanzo da concambio prende vita e valore, è necessario chiarire alcuni aspetti inerenti la sua destinazione. In particolare, a norma dell’art. 2504 bis c.c., il disavanzo deve essere imputato, ove possibile, agli elementi dell’attivo e del passivo delle società partecipanti alla fusione e, per la differenza - e nel rispetto di quanto prescritto dall’art. 2426, n.6, c.c. - ad avviamento. Sul punto, l’Oic 4 precisa che l’imputazione della quota parte di disavanzo ad avviamento non consiste in una scelta discrezionale, ma si determina a seconda della natura economica del disavanzo ed in ossequio al postulato della prevalenza della sostanza sulla forma. Ciò nel senso che, per determinare il corretto comportamento contabile, si rende necessaria la disamina delle differenze che la natura economica del disavanzo può SEGUE A PAGINA 12 12 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 Fusione: il "bonus aggregazioni" SEGUE DA PAGINA 11 presentare. In particolare, per quanto attiene al disavanzo da concambio, risulta dubbia la possibilità di attribuire natura economica a tale differenza, considerato che essa non origina da transazione tra società e terzi, bensì da un fenomeno puramente patrimoniale mediante l’assegnazione ai soci della società incorporata o fusa di un numero più o meno elevato di azioni della società incorporante o risultante dalla fusione. Si potrebbe pertanto affermare che il disavanzo da concambio trovi giusta allocazione nell’attivo dello stato patrimoniale per la misura in cui si ritenga attribuibile ai relativi elementi, anche se tale operazione si presenta ben più incerta e complessa che nel caso di differenza da annullamento, tantoché può preferirsi portare il disavanzo in riduzione di riserve disponibili. Ad ogni modo, dal punto di vista contabile ed ancora prima civilistico, il disavanzo è calcolato sulla base di quanto risulta dalla situazione contabile espressa a valori correnti e mediante rettifiche extracontabili e va ad incidere sui valori di bilancio post-fusione. Ecco quindi che, a fronte di suddette rettifiche extracontabili, sarà necessario contabilizzare le imposte differite e anticipate per neutralizzare i maggiori o minori carichi fiscali che potranno emergere negli esercizi successivi, rispettando l’assunto della completa irrilevanza fiscale dei plus/minusvalori emergenti dal procedimento di fusione. Vale la pena di dire che, nel caso si applichi l’agevolazione prevista dalla Finanziaria 2007, non varrà tale regola, visto che si potranno riconoscere a livello fiscale questi maggiori valori iscritti a bilancio (fino ad un massimo, lo ricordiamo di 5 milioni di euro) e che, pertanto, entro certi limiti, non si formeranno disallineamenti tra valori civili e fiscali. «Bonus aggregazioni»: incentivo a carattere limitato e transitorio Nel perimetro normativo ed interpretativo appena disegnato si inserisce la disposizione a carattere agevolatorio di cui alla Finanziaria 2007. La ragione che ha spinto il Legislatore ad introdurre la disposizione in esame risiede nella necessità di accrescere in senso dimensionale le imprese italiane, allo scopo di renderle più competitive ed adeguate al contesto del mercato globale. Solo in questo modo si può spiegare il riconoscimento fiscale del disavanzo da concambio all’interno di un quadro normativo orientato e strutturato in tutt’altra direzione. In dottrina è stato osservato come la disposizione in esame sia diretta ad imprese di dimensioni già piuttosto importanti, o comunque per certi versi evolute, e non solo alle piccole realtà imprenditoriali. Le imprese destinatarie difatti sono quelle residenti in Italia e che assumono una delle forme giuridiche previste dall’art. 73, comma 1, lett. a) del D.P.R. 917/1986, ossia: * S.p.a.; * S.r.l.; * S.a.p.a.; * Società cooperative; * Società di mutua assicurazione. Va precisato che le condizioni relative alla residenza e alla forma societaria non vanno rilevate in capo ai soggetti che mettono in atto l’operazione di fusione, bensì sono da riscontrarsi nel soggetto risultante dalla fusione. Tali soggetti possono usufruire di un incentivo che si presenta di natura transitoria e limitata. Sì perché il riconoscimento fiscale del disavanzo da concambio derivante dalla fusione può essere applicato: 1. da imprese operative da almeno due anni: si delimita l’agevolazione in termini di «operatività» delle imprese coinvolte, senza però rinviare a criteri più specifici cui riferirsi per misurare nel concreto detto requisito. Sul punto sono intervenute due pronunce dell’Agenzia delle Entrate - C.M. 11/E/2007 e C.M. 16/E/2007 - le quali hanno fornito i seguenti chiarimenti: a. il concetto di operatività va inteso in senso sostanziale e pertanto si deve ritenere non operativa l’impresa costituita da almeno un biennio che non ha tuttavia svolto nel medesimo arco temporale un’effettiva attività commerciale; b. al fine di stabilire il rispetto del requisito di operatività, occorre prendere a base le regole dettate per le società di comodo (art. 30, L. 23 dicembre 1994, n. 724). 2. da imprese reciprocamente autonome tra loro: si stabilisce l’inapplicabilità – peraltro confermata esplicitamente dalla disposizione stessa - per i soggetti legati tra loro da un rapporto di partecipazione oppure di controllo, anche indiretto, ex art. 2359 del codice civile; vale la pena di osservare che tale condizione è in sintonia con la finalità generale del bonus, diretto alle «aggregazioni» aziendali e non alle mere riorganizzazioni interne di gruppi societari già esistenti; peraltro la C.M. 16/E/2007 specifica che per «aggregazione aziendale» si debba intendere la concentrazione di almeno due aziende preesistenti e non la mera creazione di un’azienda di dimensioni maggiori; 3. con riferimento a processi aggregativi effettuati esclusivamente negli anni 2007 e 2008: qui è ravvisabile il carattere transitorio dell’agevolazione, che copre solo il biennio indicato. Ai fini dell’agevolazione occorre riferirsi alla data di effetto civilistico della fusione, ossia al momento in cui l’operazione si perfeziona ed inizia a produrre effetti reali. La più volte citata C.M. 16/E/ 2007 stabilisce che il beneficio spetti anche nel caso di realizzazione di più operazioni nel biennio agevolato, sempreché si rispetti il limite quantitativo massimo di 5 milioni di euro. Va precisato che l’agevolazione si applica se le imprese che partecipano all’aggregazione si trovano o si sono trovate ininterrottamente nelle condizioni appena illustrate nei due anni precedenti l’operazione. Sempre la C.M. 16/E/2007 ha precisato che la congiunzione «o» va intesa in senso aggiuntivo e non alternativo; ne deriva che le società debbano possedere ed aver posseduto i requisiti richiesti nei due anni che precedono l’operazione. Per fruire dei benefici previsti è necessario presentare preventivamente apposita istanza presso l’Agenzia delle Entrate, secondo le regole di cui all’art. 11, L. 27 agosto 2000, n. 212, dalla quale risulti la sussistenza dei requisiti sopra citati. Secondo l’orientamento delle Entrate, in caso si omessa presentazione, sarà dichiarato inammissibile l’eventuale ricorso proposto contro l’avviso di accertamento che disconosce gli effetti dell’agevolazione. La società risultante dalla aggregazione che, nei primi quattro periodi di imposta dall’operazione, effettui ulteriori operazioni straordinarie ovvero ceda beni iscritti o rivalutati, decade dal bonus, fatta salva l’attivazione della procedura dell’interpello preventivo antielusivo. Questa causa di decadenza non sembra coinvolgere i soci della società risultante dalla fusione, ma solamente quest’ultima e con riferimento allo specifico intervallo temporale indicato dalla norma. Schema riassuntivo – Come e dove opera il bonus aggregazioni Disciplina vigente Incentivo Finanziaria 2007 Aspetti civilistici- contabili Il disavanzo da concambio: • scaturisce dal confronto tra il valore dell’aumento di capitale sociale della incorporante e la quota di patrimonio netto contabile della incorporata in mano a terzi; • è imputato agli elementi Trattamen to del disavanzo da dell’attivo e del passivo dello stato patrimoniale e, per differenza, ad avviamento. Aspetti fiscali Il disavanzo da concambio: • è irrilevante dal punto di vista fiscale; • produce un disallineamento tra valori civili e fiscali da riportare nel prospetto di riconciliazione in sede di CONCLUSIONI Avendo fornito una cornice il più completa possibile del quadro dove si inserisce il bonus aggregazioni, possiamo ora formulare talune considerazioni. Come già sottolineato, il bonus persegue lo scopo di agevolare aggregazioni tra imprese indipendenti al fine di permettere la creazione di sinergie e competitività. Il riconoscimento fiscale in franchigia d’imposta del valore dell’avviamento nonché di quello attribuito ai beni strumentali, sia pure nel limite quantitativo di 5 milioni di euro, si presenta come un’opportunità importante per le imprese che vogliono avvalorare la propria posizione sul mercato nel biennio 2007 e 2008. A parere di chi scrive sarebbe opportuna una proroga dell’incentivo al termine del biennio, per rendere meglio perseguibile la prospettiva auspicata. Difatti, a ben vedere, pur presentandosi come una Aspetti fiscali Il disavanzo da concambio è riconosciuto fiscalmente nel limite massimo di 5 milioni di euro nel caso di: • fusioni effettuate negli anni 2007 e 2008; • fusioni tra soggetti residenti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a), D.P.R. 917/1986; • fusioni tra soggetti indipendenti tra loro; • fusioni messe in atto da soggetti operativi da almeno due anni. agevolazione di un buon peso fiscale (il vantaggio fiscale massimo ammonta infatti ad 1.862.500 euro, pari al 37,25% - 33% IRES + 4,25% IRAP - di 5 milioni di euro), va rilevato come il suo carattere estemporaneo ed asistematico infici l’efficacia della disposizione perché non permette di fatto di far competere ad armi pari le imprese italiane con i relativi concorrenti europei. Da ultimo si osserva come si sarebbe potuto rendere l’agevolazione più incisiva estendendola, oltre che ai fenomeni aggregativi, anche a quelli acquisitivi, molto più presenti nella cultura aziendale del nostro Paese. IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 13 NORME E TRBUTI Della clausola di speculazione nel primo trasferimento di proprietà dei prodotti agricoli FLAVIO PILLA Ordine di Treviso La questione La prima vendita dei prodotti agricoli quali i cereali e la soia, soprattutto quando il produttore è piccolo, avviene spesso, almeno nella provincia di Treviso, tramite un contratto che contiene una clausola meritevole di attenzione sia per le sue conseguenze sulla contabilità ed il bilancio dell’acquirente sia per i suoi riflessi fiscali, anch’essi in capo al commerciante acquirente (il venditore è, di norma, agricoltore privo di contabilità e, nella maggior parte dei casi, anche esonerato dagli adempimenti IVA e rimane quindi immune da problemi). La clausola particolare Al momento della consegna al commerciante il prodotto viene, ovviamente, pesato e ne viene misurata l’umidità; il commerciante comunica all’agricoltore il prezzo che è disposto a pagare in quel momento e questi o risponde che gli sta bene (e incassa e non vi è nulla di cui meriti parlare) oppure dice che preferisce attendere. L’agricoltore che ha scelto di attendere incasserà il suo corrispettivo determinato secondo il prezzo del giorno in cui farà sapere di voler incassare1 ; in linea di massima la comunicazione di voler incassare deve essere data entro il 31 dicembre dell’anno della consegna per i cereali autunno-inverno (principalmente frumento e orzo), che vengono raccolti all’inizio dell’estate ed entro il 31 maggio dell’anno successivo per le culture primaverili ed estive che si raccolgono in autunno (mais e soia soprattutto). Si tratta, evidentemente, di una possibilità di speculare al rialzo che il commerciante concede all’agricoltore; per questo motivo ho deciso di parlare di “clausola di speculazione”. Questa clausola è tanto pacifica e di facile uso tra le parti (bastano le parole “lascio qui” oppure “aspetto” pronunciate dall’agricoltore al momento della consegna) che, per quanto sono venuto a sapere, non si è mai sentita l’esigenza di solennizzarla in un qualche scritto; circostanza questa per me particolarmente sorprendente come, immagino, per tutti i colleghi il cui tempo, negli ultimi trent’anni, è stato assorbito più dalla necessità di non dimenticare formalità fiscali che dall’opportunità di risolvere problemi sostanziali. Proprio le esigenze fiscali, invece, costringono, come dimostrerò tra poco, a far constatare per iscritto l’esistenza della particolare clausola di cui sto parlando. La qualificazione giuridica Non mi pare difficile qualificare giuridicamente il contratto contenente la clausola che ho descritto e definito “di speculazione”: la merce viene lasciata in consegna al commerciante, ma non viene neanche immaginata la possibilità che ven- 1 ga restituita; ovviamente il commerciante può disporne immediatamente senza nessun obbligo di rendiconto all’agricoltore. Tutto ciò fa chiaramente capire che con la consegna viene concluso un contratto di compravendita il cui corrispettivo non viene contestualmente determinato, ma sarà determinato in un momento successivo nel modo che ho già descritto (prezzo di mercato del giorno in cui l’agricoltore manifesterà l’intenzione di essere pagato, per prezzo di mercato si intende quello dell’ultima riunione di borsa precedente). Le conseguenze contabili La facoltà in capo al venditore di scegliere il prezzo di mercato di un tempo successivo a quello della vendita comporta che sia possibile, soprattutto per i raccolti autunnali, che al 31 dicembre l’agricoltore non abbia ancora deciso di incassare (come abbiamo visto ha facoltà di attendere fino al 31 maggio), cioè che al 31 dicembre, data alla quale il commerciante chiude il bilancio, il corrispettivo dell’acquisto non sia ancora stato determinato. In pratica, così, la contabilità del commerciante si trova priva del costo di acquisto di merce che o è già stata rivenduta contabilizzando il ricavo o è compresa nell’inventario delle giacenze (problema del tutto analogo si presenta in qualsiasi momento si voglia redigere una situazione intermedia), mentre il principio di competenza obbliga il commerciante ad iscrivere in bilancio il costo di acquisto che, nel caso particolare, è la miglior stima di esso che lo IAS 37, nel suo paragrafo 5, definisce come l’importo che un’impresa ragionevolmente pagherebbe per estinguere l’obbligazione alla data di riferimento del bilancio. Il commerciante deve, quindi, individuare gli acquisti per i quali l’agricoltore non ha ancora, al 31dicembre, deciso di determinare il corrispettivo, dare loro i valori che avrebbe pagato se il venditore avesse scelto il prezzo del 31 dicembre ed aggiungere tale importo ai suoi acquisti. La contropartita di questa integrazione del conto acquisti sarà un conto “debiti stimati per acquisti da definire” il cui saldo confluirà nel passivo in B3) Fondi per rischi e oneri – Altri, sezione nella quale, come chiarisce il comma 3 dell’art. 2424 bis c.c., vanno appostati i debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell’esercizio sono indeterminati o l’ammontare o la data di sopravvenienza. Nell’esercizio successivo le fatture ricevute e le autofatture emesse per gli acquisti rimasti in sospeso al precedente 31 dicembre andranno contabilizzate nel dare del conto cui nell’esercizio precedente è stata accreditata la stima dell’importo degli acquisti in sospeso e nell’avere dello specifico fornitore; dopo che saranno state concluse tutte le definizioni il saldo del conto “debiti stimati per acquisti da definire” verrà trasferito alle sopravvenienze, attive o passive secondo il suo segno. Gli aspetti fiscali: il reddito imponibile La procedura descritta nel paragrafo precedente garantisce che il bilancio presenti la corretta determinazione del reddito di esercizio e del capitale di funzionamento; del tutto diverso è il comportamento da tenere dal punto di vista fiscale. Le norme (codice civile e principi contabili in esso richiamati) sulla redazione del bilancio di esercizio, infatti, richiedono, come già richiamato, la miglior stima possibile di fenomeni come quello dell’acquisto di cui non si conosce il costo; le norme tributarie, al contrario, vogliono e cercano certezze, tanto che l’art. 109 comma 1 TUIR, dopo aver stabilito il criterio di competenza quale principio generale della determinazione del reddito d’impresa fiscalmente imponibile, aggiunge tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo [il reddito dell’esercizio] nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni. Per il fisco, cioè, gli acquisti di cui non si conosce l’importo non devono essere stimati e successivamente corretti tramite le sopravvenienze, ma devono, nonostante tra i componenti positivi ci sia il ricavo o il valore delle rimanenze (che sono valori certi), essere esclusi dai costi per diventare componenti negativi dell’imponibile dell’esercizio in cui ne sarà determinato l’importo in modo obiettivo. Questo comporta che l’importo iscritto tra gli acquisti quale stima degli acquisti sospesi dovrà essere ripreso in aumento in sede di dichiarazione dei redditi e che, nell’anno successivo, l’intero ammontare iscritto nel dare del conto “debiti stimati per acquisti da definire” costituirà componente negativa extra contabile (variazione in SEGUE A PAGINA 14 Nella determinazione del corrispettivo intervengono anche elementi diversi dalla quantità e dal prezzo, quali l’umidità e altre qualità –presenza di spezzati e di impurità, ad esempio – che, però, non influiscono sul problema che sto sviscerando. 14 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 Trasferimento di proprietà dei prodotti agricoli SEGUE DA PAGINA 13 diminuzione inserita nella dichiarazione fiscale, cioè) dell’imponibile, mentre la sopravvenienza che avrà corretto la stima iscritta nel precedente bilancio sarà, in sede di dichiarazione dei redditi, tutta ripresa. Gli aspetti fiscali: le formalità Il commerciante di cereali potrebbe, al momento di un’eventuale verifica, possedere giacenze fisiche minori di quelle risultanti dalle fatture attive e passive in quanto ha già rivenduto merci delle quali non possiede la fattura o autofattura di acquisto, oppure potrebbe non riuscire a giustificare l’eccedenza delle merci inventariate dai verificatori rispetto ai dati delle fatture in quanto, anche in questo secondo caso, non possiede ancora le fatture o autofatture di acquisto. Dal punto di vista della fatturazione la fattispecie è regolata dal D.M. 15 novembre 1975 che, nell’art. 1, stabilisce che per le cessioni di beni il cui prezzo, in base a disposizioni legislative, usi commerciali2 , accordi economici collettivi o clausole contrattuali, è commisurato ad elementi non ancora conosciuti alla data di effettuazione dell’operazione la fattura può essere emessa entro il mese successivo a quello in cui i suddetti elementi sono noti o il prezzo è stato comunque determinato, mentre nell’art. 2 ricorda l’art. 53 D.P.R. 633 del 1972 in materia di presunzioni di acquisto e di vendita e di mezzi di prova per vincerle3 ). La situazione è, in realtà, alquanto particolare: le norme citate, che rischiano di portare il commerciante di cereali a sanzioni, istituiscono delle presunzioni e, anche, contemplano i modi nei quali il contribuente può fornire la prova contraria, cioè dimostrare che certi beni che ha comperato non si trovano nei luoghi in cui esercita l’attività perché ne sono fisicamente usciti per motivi diversi dalla vendita e, per converso, quelli per dimostrare che certi beni che in quei luoghi si trovano vi sono entrati a titolo diverso dall’acquisto. Il commerciante di cui sto parlando, però, non può fornire la prova del titolo diverso (dall’acquisto o dalla vendita) perché tale titolo diverso non esiste, infatti la merce che egli possiede in più o che ha già rivenduto senza possederne la fattura di acquisto egli, come abbiamo visto, l’aveva acquistata. Ciò che gli occorre provare, cioè, non è il titolo diverso, ma l’esistenza della particolare clausola contrattuale che permette al venditore di scegliere il prezzo del giorno che vuole lui, anche lontano da quello della vendita ed il rischio di sanzioni descritto poco fa è il motivo per cui è inopportuno che la clausola resti solo verbale. La prova, secondo me, può essere fornita redigendo il documento che prova tra le parti la consegna con le seguenti caratteristiche: - denominazione completa dell’acquirente emittente il documento; - denominazione completa del consegnante venditore della merce; - data dell’operazione; - indicazione della qualità, quantità e umidità del2 la merce; - specificazione che si tratta di compravendita; - inserimento della clausola col seguente testo: L’acquirente riconosce al venditore la facoltà di chiedere la liquidazione del corrispettivo della presente compravendita in base al prezzo rilevato nell’ultima riunione della borsa merci di … anteriore al giorno della richiesta. Tale facoltà dovrà essere esercitata entro il 31 dicembre dell’anno di emissione del presente documento se la sua data sarà anteriore al 31 luglio, entro il 31 maggio dell’anno successivo se la data di emissione sarà posteriore. Se la facoltà non sarà stata esercitata entro il termine il corrispettivo sarà determinato in base al prezzo del giorno della scadenza. La fattura o autofattura sarà, pertanto, ai sensi del D.M. 15 novembre 1975, emessa entro il mese successivo a quello in cui verrà determinato l’importo. Questo documento dovrà, ovviamente, essere numerato progressivamente dal commerciante acquirente (anche per serie separate nel caso le consegne di questo tipo avvengano in luoghi diversi) e conservato come ogni altro documento contabile di natura fiscale. Anche nella fattura, nella quale ovviamente dovrà essere citato il documento comprovante la consegna, deve comparire, per giustificare la distanza nel tempo dal documento di consegna, un riferimento al citato decreto ministeriale; sarà sufficiente fattura emessa ai sensi del D.M. 15 novembre 1975 entro il mese successivo a quello in cui è stato determinato il prezzo. Digressione finale Ai fini della redazione del bilancio del commerciante acquirente si potrebbe pensare che l’opportunità di attendere il 31 maggio dell’anno successivo per definire il saldo del conto acquisti in maniera obiettiva invece che stimata sia circostanza legittimante il termine di 180 giorni contemplato nell’ultimo comma dell’art. 2364 cc per la convocazione dell’assemblea cui sottoporre il bilancio. Non è il caso di affrontare qui tale argomento perché la discussione sul termine lungo per l’assemblea di bilancio richiede molto più spazio di quanto non me ne sia servito per la clausola di speculazione (e perché interesserebbe solo i commercianti società di capitali). Per lo stesso motivo – che merita una sua specifica trattazione, cioè – non è neanche opportuno affrontare l’interpretazione dell’art. 109 TUIR; mi limito quindi a ricordare che, almeno nella Risoluzione 1° ottobre 1977 prot. N. 9/1196, dedicata peraltro ad altro argomento, l’Amministrazione Finanziaria ha mostrato di ritenere che l’art. 109 (allora art. 74 D.P.R. 29/09/1973 n. 597) comporti che i componenti negativi il cui ammontare non è determinabile in modo obiettivo entro il 31 dicembre concorrano a formare l’imponibile dell’esercizio successivo in ogni caso, cioè anche se la determinazione definitiva è avvenuta prima della redazione del bilancio; come a dire: mi semplifico la vita solo dal punto di vista contabile (elimino la sopravvenienza nell’anno successivo), ma mi restano tutte le complicazioni fiscali. La clausola di speculazione è di uso talmente generalizzato che ho pensato che possa essere considerata un uso commerciale, peraltro non rilevato da nessuna Camera di commercio; la questione non ha rilevanza pratica se la clausola viene, come suggerisco più avanti, inserita nel documento comprovante la consegna. 3 Tale articolo, però, nonostante non risulti espressamente abrogato, contiene norme non più in vigore perché sostituite dal contenuto del D.P.R. 10 novembre 1997 n. 441 il comma 2 del cui art. 5 recita Ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con effetto dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, si intendono sostituite le norme contenute nell’articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; i riferimenti a queste ultime norme contenuti in ogni altro testo normativo, si intendono effettuati alle disposizioni del presente regolamento. Se non mi fossi imposto di limitare il mio discorso alla clausola di speculazione a questo punto commenterei tale modo di legiferare con una dimostrazione delle mie abilità in materia di turpiloquio. Contattate il redattore del vostro Ordine Collaborate al giornale BASSANO DEL GRAPPA Michele Sonda Via Ca' Dolfin, 37 - 36061 BASSANO (VI) Tel.0424 - 228106 FAX 232654 email [email protected] BELLUNO Angelo Smaniotto Via Roma, 29 - 32100 BELLUNO Tel. 0437-948262 FAX 948575 email [email protected] BOLZANO Barbara Giordano Via Galilei 2 A - 39100 BOLZANO Tel. 0471-265975 FAX 265998 email [email protected] GORIZIA Davide David Via dell'Ingegno, 13 - 34073 GRADO (GO) Tel. 0431-82006 FAX 85776 email [email protected] PADOVA Ezio Busato Piazza De Gasperi, 12 - 35131 PADOVA Tel. 049-655140 FAX 655088 email [email protected] PORDENONE Eridania Mori Via G. Cantore, 21 - 33170 PORDENONE Tel. e FAX 0434-541790 email [email protected] ROVIGO Filippo Carlin Via XXIV Maggio, 3/A - 45014 PORTO VIRO (RO) Tel. e fax 0426-025010 email [email protected] TRENTO Michele Iori Via Torre Verde, 25 - 38100 TRENTO Tel. 0461- 237520 FAX 239268 email [email protected] TREVISO Germano Rossi Sottoportico Buranelli, 27 31100 TREVISO Tel. 0422-583200 FAX 583033 email [email protected] TRIESTE Matteo Montesano Via San Nicolò, 10 - 34121 TRIESTE Tel. 040 - 6728511 FAX 775503 email [email protected] UDINE Guido Maria Giaccaja Via Roma, 43/11D - 33100 UDINE Tel. 0432 - 504201 FAX 506296 email [email protected] Andrea Spollero Via Pietro Zorutti, 28 - 33044 MANZANO (UD) Tel. 0432 - 754214 FAX 754783 email [email protected] VENEZIA Luca Corrò Via Fapanni, 60 - 30174 MESTRE (VE) Tel 041-971942 FAX 980015 email [email protected] VERONA Claudio Girardi Via Angiolieri, 4 - 37040 Castel d'Azzano (VR) Tel. 045 - 518222 FAX 518023 email [email protected] VICENZA Adriano Cancellari Via degli Alpini, 21 36040 TORRI DI QUARTESOLO (VI) Tel. 0444-381912 FAX 381916 email [email protected] Segreteria / Maria Ludovica Pagliari (Segretaria di Redazione) Via Paruta 33A 35126 PADOVA Tel. e fax 049 757931 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 15 NEW YORK Il Commercialista Veneto sbarca a Wall Street EZIO BUSATO Ordine di Padova N on è uno “scoop” né un fotomontaggio, si tratta invece di una vera e propria fotografia scattata davanti alla sede del New York Stock Exchange di New York . Lo “sbarco” del nostro Giornale non ha niente a che fare con quotazioni, titoli, mercati finanziari ecc. della più importante borsa valori del mondo! L’occasione vuole che, trovandomi nella “grande mela” per lavoro, mi sia portato dall’Italia alcune copie del nostro Giornale e quale migliore occasione per lasciarne una copia alla mitica borsa newyorkese di Wall Street dopo averla fotografata davanti al New York Stock Exchange Building? Il fatto mi ha dato così lo spunto e l’opportunità di dare ai nostri lettori qualche flash informativo sui mercati borsistici di New York, sulla loro storia e su alcune curiosità che ho scoperto, sui principali indici finanziari americani che misurano le quotazioni dei titoli azionari, sui numeri e sui valori “stratosferici” emersi dalla ricerca che danno l’idea della vastità e dell’importanza del mercato newyorkese se paragonato alle altre nostre borse europee. LA BORSA DI WALL STREET Rispetto ai nostri mercati azionari, la Borsa americana, che si concentra essenzialmente a Wall Street, è una Borsa molto dinamica dove quotano migliaia di aziende che vengono costantemente “pesate” dalle Agenzie di rating e dagli analisti delle Banche di investimento. Quello che impressiona di più, oltre al numero delle società che fanno parte dei listini, è la velocità di reazione del mercato a qualsiasi fatto anomalo, a qualsiasi operazione di finanza straordinaria di fusioni ed acquisizioni o notizia che viene conosciuta su Società o Gruppi del listino. Una semplice valutazione di una Società di rating resa pubblica, può far crollare o alzare la quotazione di un titolo nello spazio di pochi minuti. Wall Street é un mercato severo e aggressivo che impegna, da una parte le Società quotate nel fornire al mercato dati attuali e prospettici attendibili, sapendo bene che l’azienda si misura sul futuro e dall’altra gli intermediari e gli investitori che fondono i loro giudizi sulle attese e sulle aspettative, caratteristiche principali per gli analisti. IL NEW YORK STOCK EXCHANGE Il New York Stock Exchange (NYSE) soprannominata “Big Board” o “Wall Street” è la più grande Borsa valori del mondo per volumi di scambi. Wall Street, dove ha sede il Nyse, si trova nella zona sud di Manhattan (Lower Manhattan) Finantial District, vicino all’area del “ground zero”. New York è nata qui, dove il commercio cominciò a fiorire e dove un olandese, tale Peter Minuit, nel 1626 acquistò per 24 dollari di perline e bigiotteria dagli indiani Algonchini l’intera isola di “ man-a-hatt-ta “. Curiosa è l’origine del nome della strada “Wall Street” dove ha sede la Borsa. Essa risale al tempo della colonizzazione quando gli olandesi appunto, per difendersi dagli attacchi dei locali, eressero in prossimità della strada, un muro, da cui si chiamò strada del muro, “Wall Street”. Una statua in metallo di un toro, che rappresenta il momento di risalita dei listini contrapposto all’orso, momento di crollo, situata nelle vicinanze, è il simbolo della Borsa di Wall Street. LA STORIA Il primo nucleo iniziale della Borsa nasce il 17 maggio 1792 con “l’Accordo del platano” ad opera di 24 agenti, soliti a trattare sotto un platano merci e titoli. Nel 1817 nasce la Borsa (Stock Exchange) di New York e si forma la Commissione della borsa. Nel 1870 l’introduzione delle telescriventi permette scambi internazionali e la stampa dei prezzi d’acquisto aggiornati al minuto su nastri di carta. Nel 1863 viene assunto il nome di New York Stock Exchange (Nyse). Nel 1865 vengono inaugurati i nuovi edifici in Wall Street e in Broad Street Il 24 settembre 1869 si assiste al crack dell’oro del “venerdì nero”. Nel 1903 apre l’odierno edificio della Borsa. Il 29 ottobre del 1929 più di 16 milioni di azioni passarono di mano quando la Borsa crollò, durante quei giorni gli impiegati lavorarono non-stop per 48 ore e i loro nervi rimasero saldi nonostante il panico del mercato. Il 19 ottobre 1987 un nuovo crack “del lunedì nero” fa crollare l’indice Dow Jones di 508 punti. Nel 1976 l’introduzione del sistema DOT (Designated Order Turnaround) crea il trasferimento di dati computerizzati tramite una rete di cavi dorati. Nel 1981 i punti scambio vengono modernizzati con la presenza di gruppi o sezioni di operatori, del supervisore, dei broker indipendenti, dello specialista dei titoli, dei broker su commissione, degli impiegati, dei fattorini e dei monitor mobili che espongono i prezzi e titoli per gli specialisti, degli schermi dei computer che emettono alla massima velocità leggibile un flusso continuo di prezzi, della sala di contrattazione, che vediamo spesso in tv, la “Trading room “. I visitatori oggi possono osservare la febbrile attività dalla famosa “ balconata”. L’attuale CAPITALIZZAZIONE (prezzo del titolo moltiplicato per il numero delle azioni in cui il capitale sociale è suddiviso, in pratica il valore di mercato del capitale sociale) del NYSE, di circa cinque volte quella del listino tecnologico concorrente (NASDAQ), è di circa 21.000 bilioni di dollari di cui oltre 7.000 bilioni di aziende non americane. Le contrattazioni del NYSE si trovano al numero 11 di Wall Street (la sede si trova al numero 18 di Broad Street) tra gli angoli di Wall Street ed Exchange Palace di New York City . Il volume degli scambi al NYSE è di circa 44 miliardi di dollari e al 2 maggio 2007 sono 3.446 le società qui quotate. Se paragoniamo il Nyse alla nostra Borsa di Milano, dove sono circa 250 le società quotate, ma anche ad altre borse europee, sorge spontanea la riflessione della vastità di numeri e di valori che accolgono i listini di Wall Street. Nel NYSE sono quotate, tra l’altro, le più grandi banche di affari del mondo. Una di queste, la Goldman Sachs con sigla GS., fondata nel 1869 da Marcus Goldman., un ebreo tedesco emigrato negli Usa, acquisisce il nome di Sachs e, nel 1896 quando si unisce il genero Samuel Sachs, si quota a Wall Street. Ai primi del 900 la banca diviene la più importante guida per società che intendono quotarsi, prima a reclutare i neolaureati tra le sue fila. Mario Draghi, il nostro governatore della Banca d’Italia, è stato Vicepresidente di Goldman Sachs. Tra le società di spicco più famose che figurano al Nyse troviamo: AT&T, Bank of America, Boeing Co, BP Amoco, Caterpillar, CBS Corp., Coca Cola, Credit Suisse, Deutsche Tel., General Elec. Co, General Motors, Goldman Sachs, Goodyear, Hilton Hotels, IBM, Morgan Stanley, Merrll Lynch, Nike, Starwood, Sysco, Texas Instr., Tiffany & Co., Walt Disney Co., Xerox. Tra le aziende italiane: Benetton Group, Luxottica Group, Enel, Eni, Natuzzi. SEGUE A PAGINA 16 16 NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 IL COMMERCIALISTA VENETO Il Commercialista Veneto sbarca a Wall Street SEGUE DA PAGINA 15 II NASDAQ Nasdaq è acronimo di National Association of Securities Dealers Automated Quotations, ovvero “Quotazione automatizzata dell’Associazione Nazionale degli operatori in titoli”. Il Nasdaq, nato a Wall Street il 5 febbraio 1971 è il primo esempio al mondo di mercato borsistico elettronico cioè costituito solo da una rete di computer, dove confluiscono tutti i settori innovativi del mercato. Capitalizza di 3.100 mlioni di $. Rappresenta il mercato dei principali titoli tecnologici della borsa americana ed è stato caratterizzato da una forte volatilità verificatasi soprattutto nel boom della “New economy”. Tra i nomi di spicco figurano: Amazon Com., Appple Inc., Cisco Systems, Dell Computer, Expedia, Google, Intel, Microsoft, Oracle, Reuters Grup.,Yahoo Inc. GLI INDICI USA Gli indici azionari, a differenza delle azioni espresse in prezzi, prendono normalmente il nome di “punti” ed esprimono il valore di un paniere di titoli: più alte sono le quotazioni dei titoli che lo compongono, più alto è il valore dell’indice; sono medie, spesso ponderate, dei prezzi delle azioni che fanno parte del paniere o del settore preso a riferimento. Tre sono gli indici azionari e listini più significativi dei mercati borsistici degli USA che quotano a Wall Street : - DOW JONES - NASDAQ 100 - STANDARD & POOR’S 500 (S&P500 ) - Il DOW JONES, dove sono quotati i titoli azionari, i futures sulle azioni, sugli indici azionari e sui tassi di interesse, delle più importanti società americane e non, da più di 120 vent’anni rappresenta il “barometro” di Wall Street. Il suo andamento influenza tutti gli indici del resto del mondo . Basti vedere l’influenza che questo indice ha anche nella nostra piccola borsa italiana che reagisce quotidianamente sulla base delle sue oscillazioni Il Dow Jones è un indice generale, un parametro che misura le performance del mercato azionario americano ed europeo. Partito nel 1896 da 100 punti con il nome di “Dow Jones Industrial Average”, oggi ha superato i 13.000 punti. Questo indice comprende trenta azioni cosiddette “Market Leader” scelte tra i settori più rappresentativi (paragonabile al nostro MIB 30). E’ il decano degli indici perché risale al 1884. Nel 1896 quotava 12 titoli arrivando a 30 nel 1928, numero ancora attuale. E’ pesato per prezzo di singolo titolo e non per capitalizzazione ed è facilmente influenzabile dai gestori professionali Il Dow Jones in questi giorni ha superato brillantemente i ribassi post anno 2000 quando era retrocesso a poco più di 7.000 punti. Questo indice, il 03.05.2007, ha ottenuto un record dal 1955: quello di aver chiuso 22 delle ultime 25 settimane in rialzo, Non succedeva da 52 anni, riportano le cronache, ed ora ha raggiunto quota 13.241 punti. Altri indici sono: DowJones Stock 50 (50 società zona euro ed extra più rappresentative per liquidità) DowJones Eurostoxx 50 (50 società solo zona euro per liquidità ) Dow Jones Stoxx Total Market Index (1.200 società Europa geografica) DowJones Eurostoxx Total Market Index (600 titoli solo area Euro ) L’indice Dow Jones prende il nome dai soci fondatori della società “Dow Jones & Company” costituita nel 1882 da Edward Devis Jones, Charles Henry Dow e Charles Milford Bergstresser con sede in un piccolo ufficio al n. 15 di Wall Street. La Società cominciò a produrre quotidianamente nuovi bollettini di notizie finanziarie ed economiche, scritti a mano, chiamati “flimsies”, consegnati ai sottoscrittori di titoli nell’area di Wall Street. In quell’anno erano già stati inaugurati i nuovi edifici in Wall Street e in Broad Street. Nel 1889, dalla primordiale lettera informativa edita dalla Società e chiamata “Customers Aftermoon letter”, nasce il famoso “The Wall Street Journal”, tuttora uno dei quotidiani finanziari ed economici più conosciuti e letti nel mondo. Nel Dow ogni titolo vale in base alla sua quotazione. Sono quotati i più importanti titoli come Microsoft che capitalizza circa 270 miliardi, General Elettric che capitalizza 360 miliardi, 3M (55 miliardi) e Boeing (62 miliardi). Nel listino compaiono anche socieà come McDonald’s e General Motors. - Il NASDAQ 100 è l’indice del mercato elettronico per eccellenza, rappresenta i principali titoli azionari tecnologici della borsa americana ed è caratterizzato da una forte volatilità verificatasi soprattutto nel boom della “New economy”. Partito da 100 punti, subito dopo la sua nascita (5 febbraio 1971) ha raggiunto il massimo di 5.132 punti nel marzo 2000 in pieno periodo della New Economy. Al 30 aprile 2007 la sua quotazione ha raggiunto i 1.891,06 punti. È l’indice più volatile dei tre. - Lo STANDARD & POOR’S 500 (S & P 500) è il più importante indice azionario nordamericano e il principale benchmark azionario relativo ai titoli quotati a Wall Street. Viene calcolato dal 4 marzo 1957 con l’avvento dei calcolatori elettronici per opera di Standard & Poor’s, una divisione della McGrawHill. Lo S&P 500 contiene 500 titoli azionari, prima del 1957 l’indice conteneva solo 90 titoli, con contrattazione continua, di società quotate a Wall Street e selezionate da un apposito comitato, scelte con il criterio della “capitalizzazione flottante”. Questo criterio é stato introdotto nel 2005 e rappresenta il prodotto del numero dei titoli flottanti e cioè del capitale sociale delle società che può essere comprata e venduta sul mercato, non detenuto da blocchi di controllo, da patti di sindacato o dagli Stati, per i prezzi di detti titoli La maggior parte di società quotate sono aziende statunitensi, attualmente risultano incluse anche 11 società estere. Al 30 aprile 2007 la sua quotazione ha raggiunto i 1.494,07 punti e al 3 maggio di quest’anno ha superato la soglia dei 1.500 punti per la prima volta dal settembre 2000. Si differenzia da un altro indice americano il “Fortune 500”, che considera le prime 500 aziende USA per fatturato e non fa riferimento che esse siano quotate oppure no. Lo S&P 500 si trova vicino ai livelli dell’anno 2000, oggi sta recuperando e sta andando verso i 1.900 punti. “IL TORO CONTINUA A MOSTRARE I MUSCOLI” Così si esprimono in questi giorni i commentatori della borsa newyorkese in collegamento diretta tv da Wall Street. In realtà tutti gli indici USA hanno recuperato e continuano a recuperare terreno rispetto al crollo delle borse di alcuni anni fa per il miglioramento dei dati economici, dei profitti delle imprese, per le grandi operazioni di concentrazione di importanti gruppi industriali e finanziari avvenute in questi anni e per l’economia globale in crescita. IL RATING E LE BANCHE D’AFFARI Per completare questa breve panoramica, non posso dimenticare di citare le grandi Banche d’affari e di investimento, le Società finanziarie e le Agenzie di rating che operano sui mercati azionari di Wall Street e non solo. Queste istituzioni esprimono il giudizio su ogni singolo titolo del listino, il loro rating, il target price, valutano i comparti merceologici, le trimestrali aziendali, informano se un titolo è sotto o sovra performato, se ha ancora spazio di crescita o se invece potrebbe scendere o stabilizzarsi, se i valori delle azioni sono in linea con le stime del mercato. BANCHE D’AFFARI E SOCIETA’ FINANZIARIE Goldman Sachs Group, fondata nel 1864 , impiegati 26.500 JP Morgan Chase, fondata nel 1799, impiegati 168.847 Lehman Brothers fondata nel 1850 , impiegati 23.000 Merrill Lynch & Co., Inc.,fondata nel 1914 , impiegati 50.600 Morgan Stanley, fondata nel 1935 , impiegati 53.870 AGENZIE DI RATING - Fitch Ratings - Moody’s - Standard & Poor’s L’Agenzia Standard & Poor’s non solo è una delle principali agenzie di rating internazionali, ma è anche una fonte autorevole nella elaborazione di indici finanziari quali lo STANDARD & POOR’S 500. VALUTARE UN’AZIONE Come valutare un’azione? Qual’è il prezzo giusto? Per scegliere un’azione “giusta” non basta il fiuto o l’intuito, serve conoscere i giusti indicatori. Al di là dell’analisi fondamentale, sempre valida, che comporta però la valutazione di più elementi complessi di difficile reperimento come utili, dividendi, patrimonio sociale, gestione ecc. …, e di quella tecnica, che si concentra sull’andamento dei prezzi dei titoli anch’essa complicata, l’indice forse più noto, più utilizzato e più immediato è quello del Price/Earning con la sigla P/E. Questo indice, comunemente conosciuto come Prezzo/Utili (P/U), è il rapporto fra il prezzo della singola azione e gli utili per azione. Il P/E può essere letto come il numero di anni necessari che un’azione impiega per ripagare il prezzo di se stessa tramite gli utili ai quali ha diritto. Pertanto più alto è il P/E più cara sarà un’azione perché saranno necessari tanti più anni per rientrare nell’investimento. Per gli analisti, che hanno a disposizione i dati e i programmi aziendali, l’utilizzo dei “flussi di cassa scontati” e dei multipli di mercato, oltre naturalmente all’analisi fondamentale, sono oggi, tra gli strumenti più utilizzati per la valutazioni di borsa. Ulteriori valutazioni pratiche ed immediate vanno fatte sul volume giornaliero degli scambi del titolo, se il titolo è oggetto di operazioni di finanza straordinaria, di fusioni ed acquisizioni, se appartiene a settori merceologici innovativi in crescita o in calo.. Non va poi dimenticata l’influenza che la Federal Reserve USA ha sul mercato azionario in relazione alle sue decisioni sui tassi di interesse e il rapporto Euro/ Dollaro in relazione ai titoli legati alle aziende esportatrici o importatrici di beni o servizi tra i due continenti. IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 17 ECONOMIA AZIENDALE Nuove prospettive di attività professionale a margine dei fenomeni di crisi aziendale GUIDO ZANIN Ordine di Treviso L ’EVOLUZIONE DEL DIRITTO in materia di crisi di azienda sia loro amministratori. sotto l’aspetto civilistico che sotto quello penale sta creando A mio parere l’esistenza di una polizza assicurativa quale quella sopra un’area all’interno del mondo delle imprese, ove da una parte ipotizzata porterebbe alcuni immediati effetti: non esistono forme di controllo preventivo obbligatorie per - consentirebbe al mercato di selezionare gli amministratori (e quindi, in legge, nè reali pene per i comportamenti illeciti, dall’altra per- buona sostanza, gli imprenditori) in base alle loro effettive capacità (le mangono ed anzi aumentano i potenziali rischi per gli interlocutori che si Compagnie di Assicurazione, ad esempio, potrebbero prevedere premi ben relazionino con le imprese che vi appartengono, siano essi dipendenti, differenziati a seconda del curriculum degli amministratori); finanziatori o altri imprenditori, con il risultato complessivo di una crescita - consentirebbe agli imprenditori di ottenere dalle banche una riduzione esponenziale delle difficoltà, dei codelle garanzie e del costo degli affisti e delle barriere che ostacolano damenti concessi; l’avvio o la prosecuzione delle atti- consentirebbe ai creditori (ma anche vità imprenditoriali. ai soci non amministratori) di rendere Mi riferisco in particolare alle socieeffettivo lo strumento giudiziario deltà di capitali che per limiti dimensiol’azione di responsabilità, poichè coOffresi a professionista esperto munito di aggiornatissimi nali non rientrano nè tra le società munque ci sarebbe una disponibilità strumenti tecnologici per prestazione di 15 minuti che possono essere assoggettate di capitale in caso di sentenza favorealla disciplina fallimentare, nè tra le vole. (quasi 2 Euro all’ora). società per le quali è comunque preIn questo scenario, certamente il In caso di errore, sanzioni senza possibilità di ravvedimento. vista l’obbligatorietà del Collegio Dottore Commercialista verrebbe ad Chiedere preventiva abilitazione all’Agenzia delle Entrate. Sindacale quale organo di controllo. assumere un ruolo sempre più imQuale garanzia possono avere i sogportante e necessario, per tutto quanA questo appello rispondono ogni anno circa 100.000 professionigetti che sono chiamati ad operare to concerne la gestione delle relasti italiani (dottori commercialisti e ragionieri). con tali società? zioni esterne dell’imprenditore, poLo fanno perché obbligati dai clienti per inviare in via telematica le A parità di ogni altra condizione, le tendo garantirgli un servizio in gradichiarazioni dei redditi. Un servizio così, dovrebbe dare almeno un banche (ed in genere tutto il sistema do di “creare effettivo valore” alla riconoscimento del ruolo svolto. Ma nemmeno questo ci è dato, al finanziario e creditizio) si vedranno sua impresa. momento. E banche e C.A.F. prendono di più. costrette ad aumentare le richieste Ma potrebbe anche, in alternativa, Giuseppe Rebecca di garanzie a fronte degli affidamenti proporsi per la carica di “sindaco/ concessi, ed il relativo costo (vista revisore unico”, qualora la sua no(Ordine di Vicenza) anche l’attuale disciplina di Basilea mina consentisse alla piccola impre2); i fornitori, se potranno, limiteransa di evitare o quantomeno ridurre no le forniture o chiederanno di ansignificativamente il costo della poticipare i pagamenti; i dipendenti che potranno scegliere preferiranno ac- lizza assicurativa, secondo precise convenzioni che la nostra categoria cettare offerte di lavoro di altre imprese, ben sapendo di non poter accede- potrebbe stipulare con gli Enti preposti e le Compagnie di Assicurazione, re, in caso di insolvenza del datore di lavoro, al fondo di garanzia per le ditte visto e considerato che sarebbe probabilmente molto più gradito, per qualfallite; e così via. siasi imprenditore, il costo da sostenere per avere In pratica tutto il sistema tenderà di fatto a penalizun controllore in grado di portare comunque un conzare i piccoli imprenditori che decidessero di utiliztributo positivo alla causa aziendale piuttosto che zare la forma giuridica della società di capitali per quello per dotarsi di una semplice copertura a fondo avviare una nuova iniziativa imprenditoriale; ovvesostanzialmente perduto. ro, in buona sostanza, tutti coloro che volessero in futuro utilizzare proprio lo strumento della piccola UNA SECONDA PROPOSTA potrebbe essere quelsocietà a responsabilità limitata, che soprattutto la di pensare ad una modalità alternativa alla dichianegli ultimi anni è risultato particolarmente gradito razione di fallimento in grado di attivare il Fondo di ed efficace in particolare nel nostro territorio; maGaranzia a favore dei dipendenti istituito presso gari proprio coloro che hanno solo idee e voglia di l’INPS: potrebbe trattarsi ad esempio di una sorta di fare, ma capitali limitati, come è capitato a moltissi“certificazione d’insolvenza”, per il rilascio della mi imprenditori di successo, che se iniziassero oggi quale i Dottori Commercialisti verrebbero ad essere le loro attività si troverebbero in condizioni ben ancora una volta in prima fila, data la loro esperiendiverse da quelle che hanno incontrato fino a qualza, professionalità ed indipendenza. che tempo fa, contesto economico generale a parte. Evidentemente si tratterebbe di una soluzione in grado di rendere molto più Ciò premesso credo che sia necessario pensare a misure che invece favo- attrattive le piccole imprese per tutti i dipendenti veramente validi, ovvero riscano l’utilizzo delle società per favorire un’imprenditorialità nuova e per quelli in grado di fare la differenza anche nei risultati che l’impresa è in seria, nell’ambito delle quali i Dottori Commercialisti potrebbero trovare grado di conseguire sul mercato. vari modi di mettere a frutto la loro professionalità e la loro esperienza. Credo nella professionalità della nostra categoria e sono certo che nel Una prima proposta in tal senso potrebbe essere quella di prevedere, per le prossimo futuro, se lo desideriamo fortemente, potremo avere sempre magsocietà per le quali non vi è l’obbligo del Collegio Sindacale, e che non giore spazio nel mercato dei servizi. optino volontariamente per la sua costituzione, un obbligo di contrarre Per ottenere questo risultato, tuttavia, dobbiamo cercare di essere un’assicurazione per i danni che all’esito di una controversia risultassero propositivi e artefici del nostro destino. Anche attraverso i nostri rappreessere stati provocati dal comportamento non diligente e/o legittimo dei sentanti. ½ EURO 18 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 NORME E TRIBUTI Studi di settore, INE: il fisco futuro abbandonerà per sempre la contabilità? GIOVANNI SGURA Collegio del Friuli S E LA RISPOSTA ALL’INTERROGAZIONE parlamentare del 17/01/ 2007 rassicura sull’effettiva portata dello strumento accertativo (anche post Finanziaria 2007 gli SDS costituiscono sempre una presunzione relativa, anche se grave, precisa e concordante) ciò che invece preoccupa è il nuovo scenario “applicativo” dello strumento: SDS 2006 potenziati con il correttivo da “non coerenza” che incide direttamente sul ricavo congruo, definitiva abolizione della regola del 2 su 3 per le contabilità ordinarie. La lotta all’evasione è un dovere sacrosanto, ma il potenziamento indiscriminato di strumenti accertativi di tipo induttivo, costituisce una pericolosa minaccia dei principi di equità fiscale costituendo un fattore di assoluta incertezza dell’obbligazione tributaria nei confronti dei contribuenti corretti. Il potenziamento degli indicatori di ricavo per il 2006, che è avvenuto senza alcuna concertazione con il tavolo tecnico, e l’applicazione indiscriminata ai contribuenti di più grosse dimensioni faranno emergere i veri limiti dell’elaborazioni statistica: - non sono rappresentabili attività economiche di tipo innovativo (per oggetto dell’attività ma anche solo per struttura organizzativa) in quanto non possiedono uno storico; - le elaborazioni statistiche su dati storici riferiti a periodi precedenti a quello oggetto di accertamento non potranno mai cogliere i nuovi elementi che si verificano nel periodo (ad es. le crisi del settore o l’ingresso di innovazioni tecnologiche). L’inadeguatezza degli SDS alla rappresentazione generalizzata della realtà economica è ormai dimostrata dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità, ma già con le prossime dichiarazioni dovremmo seriamente e preventivamente porci il problema del contraddittorio con l’Agenzia in funzione anche di un successivo contenzioso, lavorando almeno su due “vie”: - dovremmo confutare l’applicazione del modello statistico confrontando la realtà aziendale con gli elementi della nota tecnica allo SDS identificando e documentando ogni differenziazione sia al livello macro-economico del settore in cui opera l’azienda rispetto al cluster attribuito dallo SDS, sia al livello della specifica azienda rispetto alle altre operanti nel medesimo settore; - dovremmo raccogliere gli elementi di prova (anche aventi carattere di presunzione purchè grave, precisa e concordante) che possano supportare i ricavi dichiarati; le ambigue affermazioni della giurisprudenza di legittimità, infatti, imporrebbero comunque l’onere di fornire le “prove contrarie” alle risultanze degli SDS se il relativo procedimento, di calcolo ed accertativo, è stato correttamente applicato dall’Amministrazione. Lo scenario attuale è solo l’inizio della strada intrapresa dall’Amministrazione diretta ad un utilizzo frequente e costante degli SDS: revisione SEGUE A PAGINA 20 IL COMMERCIALISTA VENETO NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 19 SAN MARTINO/ I MEETING NAZIONALE UNITARIO COMMERCIALISTI SULLA NEVE L'Albo Unico? Sulla neve! GIAMPAOLO CAPUZZO Ordine di Rovigo L e Pale di San Martino sono state l’anfiteatro del I MEETING NAZIONALE UNITARIO dei Commercialisti sulla neve. Il titolo stesso ci dice che qualcosa è cambiato. Che non sono più le solite GIORNATE SULLA NEVE, Beh! Cari amici, è cambiato molto, E chi, come me, si ostina a non crederci, rischia di essere tagliato fuori, assalito dalla nostalgia dei ricordi. Sono stato molto incerto se scrivere o non scrivere questo articolo. Perché quest’anno le giornate trascorse a San Martino sono state un misto di luci e di ombre, di soddisfazioni e di delusioni. Da alcuni amici sono anche stato invitato ad esprimere apertamente le dovute critiche. Allora, pur benevolmente, è meglio cominciare con queste per finire in bellezza con gli aspetti positivi. E qui non posso non ricordare che dei Dottori Commercialisti non ha partecipato nemmeno un presidente dei quattordici Ordini del Triveneto! L’Ordine di Trento, nella cui circoscrizione si trova San Martino di Castrozza, è stato ben rappresentato dal… Collegio di Trento e Rovereto, cui va rivolto un grande ringraziamento per l’ottima organizzazione, sia delle gare sportive, che dei momenti di svago. Alle premiazioni non è intervenuto nemmeno un rappresentante della nostra amata Associazione dei Dottori Commercialisti delle Tre Venezie. Ci sono stati Ordini come Gorizia, Trieste, Pordenone e Bassano che sulle piste di Valbonetta non hanno inviato nemmeno un collega con gli sci ai piedi. Lo so che il Meeting sulla neve oggi deve fare i conti anche con la Sailing Cup e domani dovrà dividere gli entusiasmi con il Triveneto Play Golf ma invito i nostri capi a dare il giusto peso alle cose che contano. Che non sono rappresentate solo dai bilanci, dai collegi sindacali, dall’IVA sulle auto o dagli interpelli all’Agenzia delle Entrate!! I TROFEO NAZIONALE UNITARIO COMMERCIALISTI SULLA NEVE Gara di slalom gigante Classifica Ordini / Collegi Ordine / Collegio Classifica Punteggio Bologna 1° 213 Trento 2° 193 Padova 3° 112 Udine 4° 110 Belluno 5° 92 Verona 6° 79 Bolzano 7° 76 Torino 8° 69 Vicenza 9° 65 Venezia 10° 47 Milano e Lodi 11° 36 Bergamo 12° 32 Firenze 13° 26 Roma 13° 26 Ancona 15° 18 Treviso 16° 16 Macerata 17° 12 Rovigo 17° 12 Sassari 17° 12 Pisa 20° 11 Prato 21° 0 XXVII TROFEO TRIVENETO DOTTORI COMMERCIALISTI SULLA NEVE Gara di slalom gigante Ordine Classifica Punteggio Padova 1° 112 Udine 2° 110 Belluno 3° 92 Trento 4° 63 Vicenza 5° 53 Bolzano 6° 44 Treviso 7° 16 Verona 8° 14 Rovigo 9° 12 Venezia 10° 0 Non sono mancate però le soddisfazioni, le cose belle. Al di là dei risultati, delle gare e delle classifiche, per cui rimando alla lettura del sito www.giornatedeltriveneto.org. Ricordo solo che, accanto al Trofeo delle Alpi, mutuando da una esperienza già consolidata in ambito Collegi dei Ragionieri, si sono disputati anche il Trofeo degli Apennini e il Trofeo dell’Etna, offrendo in tal modo una più marcata connotazione nazionale alla manifestazione. Grazie soprattutto ai colleghi ragionieri, quest’anno era rappresentata tutta l’Italia. Ma l’anno 2007, oltre al battesimo del “Meeting Unitario” dottori commercialisti e ragionieri, ha visto anche il battesimo delle gare di snowboard. Con la piacevole e sorprendente partecipazione di colleghi padovani che, a torto, si pensava più vicini alle pantofole che alle tavole che scivolano sulla neve. E ci sono stati anche i momenti che hanno riscaldato il cuore. La cena rustica ad esempio, che è stata organizzata in un rifugio raggiunto in una notte gelida grazie agli impianti di risalita. Una bella e calda serata che non ha fatto per nulla rimpiangere le “cene di gala” di Cortina. Abbiamo vissuto momenti molto intensi, che magari solo pochi hanno colto, ma che rivestono una grande importanza e meritano di essere riportati. Lelio Marchetti, dell’Ordine di Firenze, un baldo e giovane ottantenne, fedelissimo della “neve contabile”, da decenni presente alle nostre giornate, che era raggiante per aver finalmente battuto, sul filo dei centesimi di secondo, Sebastiano Marzona dell’Ordine di Udine, altro ottantenne ma più anziano di lui di ben sei anni! Queste sono state le cose più belle! Quelle piccole cose che ti regalano grandi emozioni come le tavolate alla Malga Ces con polenta e salsiccia che fanno passare….. in seconda fila persino le pecche sulla mancata partecipazione dei presidenti. E che ci fanno dire, ancora e con entusiasmo, dopo aver letto la oramai consueta poesia del simpatico Tinuccio Sini: arrivederci al 2008! (La poesia - con traduzione - di Costantino Sini è in ultima pagina) XIII TROFEO NAZIONALE RAGIONIERI COMMERCIALISTI SULLA NEVE VIII MEMORIAL rag. GIACOMO DUSINI Gara di slalom gigante Collegio Classifica Punteggio Trento e Rovereto 1° 130 Torino 2° 69 Verona 3° 65 Venezia 4° 47 Milano e Lodi 5° 36 Bolzano 6° 32 Bergamo 6° 32 Bologna 8° 27 Roma 9° 26 Ancona 10° 18 Firenze 11° 14 Macerata 12° 12 Vicenza 12° 12 Pisa 14° 11 Prato 15° 0 Foggia 16° partecipazione Padova 17° partecipazione Catania 18° partecipazione COMBINATA SLALOM GIGANTE SCI NORDICO E SNOWBOARD VII Trofeo delle Alpi Ordine / Collegio Classifica Punteggio Trento 1° 463 Padova 2° 217 Bergamo 3° 154 Verona 4° 130 Belluno 5° 86 Bolzano 6° 76 Torino 7° 75 Udine 8° 57 Vicenza 9° 52 Treviso 10° 50 Venezia 11° 35 Milano e Lodi 12° 32 Rovigo 13° 26 Trieste 13° 26 VIII TROFEO NAZIONALE DOTTORI COMMERCIALISTI SULLA NEVE Gara di slalom gigante Ordine Classifica Bologna 1° Padova 2° Udine 3° Belluno 4° Trento 5° Vicenza 6° Bolzano 7° Treviso 8° Verona 9° Firenze 10° Rovigo 10° Sassari 10° Macerata 13° Venezia 14° Punteggio 186 112 110 92 63 53 44 16 14 12 12 12 0 0 COMBINATASLALOM GIGANTE SCI NORDICO E SNOWBOARD VII Trofeo degli Apennini Ordine / Collegio Classifica Punteggio Bologna 1° 286 Firenze 2° 55 Roma 3° 54 Pisa 4° 49 Ancona 5° 26 Prato 6° 24 Macerata 7° 20 COMBINATASLALOM GIGANTE SCI NORDICO E SNOWBOARD VII Trofeo dell'Etna Ordine / Collegio Classifica Punteggio Catania 1° 35 Cosenza 2° 22 Sassari 3° 16 Caltanissetta 4° 15 IL COMMERCIALISTA VENETO La poesia di Costantino Sini Cummercialistas Primu incontru unitariu in sa nie (Santu Martine de Castrozza) De su primu trofeu unitariu, tenzo zertu unu bellu ammentu, resto unu pagu in pensamentu, pro su chi sighit in s'anniversariu. Est istadu bene organizzadu, dae collegiu de sos contadores, donende a totos mannos onores, cun veru profundu significadu. (Traduzione) Commercialisti primo incontro unitario sulla neve (A San Martino di Castrozza) Del primo trofeo unitario, ho certamente un bel ricordo, resto comunque pensieroso aspettando l'anniversario. / E' stato bene organizCuncurrent cun coraggiu e vigore, zato, dal collegio dei ragiocolegas des Alpes et Appenninos, nieri, attribuendo a tutti cun sos etneos e gennartentinos, grandi onori, con vero e sindezisos a bolare che s'astore. cero esempio. / Concorrono con coraggio e vigore, colIn gara s'iscadenant sos alpinos, leghi delle Alpi e degli Apmeravigliende totos sos presentes, pennini, con siciliani e sarma sunt zertu ottimos cuncurrentes, di, decisi a volare come rasos isciadores de sos appeninos. paci. / Durante la gara si scatenano gli alpini, meravigliando tutti i presenti, ma Sighint cun superbia eccezionale, sono altrettanto ottimi concussos chi no hant nie in sas correnti gli sciatori muntagnas, dell'Appennino. / Seguono de zertu non si perdene in lagnas, con orgoglio eccezionale, signende tempos chi no andant male. quelli che non hanno nevi nelle montagne, ma di certo A fine una bella sensazione, non si piangono addosso, realizzando tempi che non nos semus veramente divertidos, sono male. / Alla fine è bella dae amigos caros dispedidos, la sensazione, ci siamo vesegundu s'ispiritu de s'unione.... ramente divertiti, salutati da veri amici, secondo quello Tathari, 30 'E bennarzu 2007 che dev'essere lo spirito dell'unione. Bantine 'E Sini (Duttore cummercialista in Tathari) Studi di settore, fisco contabilità SEGUE DA PAGINA 22 triennale, 100.000 accertamenti da studi previsti nel 2007, 300.000 comunicazioni ai contribuenti più “furbi” in arrivo nel mese di maggio (che suggeriranno il ravvedimento operoso per il 2005: converrà forse attendere l’accertamento con possibilità di contraddittorio e sanzioni al 25%?), introduzione degli indicatori di normalità economica (INE) per le situazioni in cui non sono applicabili gli SDS (fortunatamente, per ora, non consento l’accertamento ma sono “soltanto” degli indicatori per le attività di verifica), estensione degli SDS ai periodi di imposta diversi dai 12 mesi e, in alcuni casi, all’esercizio di inizio attività. E la franchigia da accertamenti analitico-induttivi fino a 50.000 euro (“premio” in vigore dal 2007 per i contribuenti che indicano correttamente i dati degli studi) delinea una futura funzione degli studi quali “patto” preventivo di non belligeranza con il fisco. Direzione, quella dell’Amministrazione, più che incoraggiata dai risultati degli accertamenti nel 2006 (52.000 atti definiti in contraddittorio per il 90%) e dai risultati dell’applicazione degli SDS nei settori più controversi (ad es. nel comparto dei professionisti ove l’elaborazione statisticoinduttiva risulta più difficilmente applicabile essendo il reddito determinato per cassa risulta la congruità di oltre l’85% dei contribuenti). Non sarà “catastizzazione” del reddito ma forse solo un semplice “patto all’italiana” in deroga ai principi costituzionali di capacità contributiva, speriamo non anche in spregio al principio di equità fiscale: e la contabilità? NUMERO 176 - MARZO / APRILE 2007 20 LA NOTA Rapimento e sequestro di persona E allora, pagano o non pagano? Non pagano, anzi pagano e non lo dicono, o meglio, non dicono che pagano. E’ ovvio che pagano, e speriamo che paghino in soldi e non in armi, che sarebbe anche peggio. E non è una novità. I sequestri, soprattutto nel Mediterraneo, ci sono sempre stati e probabilmente sono sempre serviti per ottenere denaro e non per affermare un principio politico. E si sa che la politica si fa con i soldi, e non è molto facile sapere se i soldi servono per la politica o per arricchire qualche ladrone. Discorsi difficili, inutili, e comunque da fare in altra sede. La politica, la diplomazia, le regalie, il denaro, sono sempre serviti per portare a casa le persone rapite, soprattutto se hanno un’importanza simbolica. E forse, oggi, è meglio negare il pagamento: con tutta probabilità si incrementerebbe questo tipo di “commercio”. Anche la grande diplomazia di Venezia, in tempi di pirati e di corsari, aveva lo stesso problema. E avevano trovato una soluzione che, a dire la verità, non avevo immaginato fino a quando, frugando, come a me piace, nelle librerie antiquarie, ho trovato il documento illuminante. Dal 1500 al 1800 giravano per il Mediterraneo oltre ai pirati che agivano per conto proprio, come volgari predoni, anche i corsari, mussulmani o cristiani, che scorrazzavano per il mare sotto la bandiera di questo o di quello Stato, al quale ri- servavano parte del provento delle loro ruberie e dal quale ricevevano protezione. Nella sua pratica concretezza, Venezia, abbandonata la secolare diplomazia, aveva organizzato su scala imprenditoriale il riscatto delle persone rapite, affidandolo ai “Padri della Santissima Trinità per il riscatto de’ schiavi” Questa organizzazione, che non poteva depositare il bilancio in Camera di Commercio, ma doveva ugualmente rendere pubblico, per i suoi finanziatori, dove e come aveva speso i soldi, faceva il rendiconto della gestione e pubblicava questo bellissimo documento che veniva affisso nei luoghi più frequentati della Repubblica. E’ un elenco dettagliato delle 91 persone liberate nei mesi di luglio e agosto del 1764, in strettissimo ordine di valore: dal Capitano Nicola Maina di Montenero di anni trenta, con cinque anni e nove mesi di schiavitù, che “costò duc 1402 e gr 2” , a Giorgio Curfiotti da Corfù di anni novanta con cinquanta anni di schiavitù, che “costò duc 89 e gr.18”. E così fino alla fine del settecento, quando Alvise IV Mocenigo, centodiciottesimo e terzultimo doge della Repubblica (1763 - 1778), ha firmato la pace con i Bei turchi dell’Africa settentrionale che erano i registi della pirateria mediterranea e costituivano il principale pericolo per la navigazione. Paolo Lenarda (Ordine di Venezia) IL COMMERCIALISTA VENETO PERIODICO BIMESTRALE DELL'ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DELLE TRE VENEZIE Direttore Responsabile: LUCIANO BERZE' (Padova) Comitato di Redazione: MICHELE SONDA (Bassano) - ANGELO SMANIOTTO (BL) - BARBARA GIORDANO (BZ) - DAVIDE DAVID (GO) - EZIO BUSATO (PD) - ERIDANIA MORI (PN) - FILIPPO CARLIN (RO) - MICHELE IORI (TN) - MATTEO MONTESANO (TS) GERMANO ROSSI (TV) - GUIDO M. GIACCAJA, ANDREA SPOLLERO (UD) - LUCA CORRÒ (VE) - ADRIANO CANCELLARI (VI) - CLAUDIO GIRARDI (VR) Hanno collaborato a questo numero: GIAMPAOLO CAPUZZO (RO) - GIORGIO MARIA CAMBIÈ (VR) - PAOLO LENARDA (VE) - NICOLA PALADINI (UD) - FLAVIO PILLA (TV) - GIUSEPPE REBECCA (VI) - ANTONIO SACCARDO (VI) - CLAUDIO SICILIOTTI (UD) - GIOVANNI SGURA (UD) - COSTANTINO SINI (SS) - MARCO VINDUSKA (TN) - ANTONIO VIOTTO (VE) - MICHELA ZAMPICCOLI (TN) - GUIDO ZANIN (TV) Inserto a cura di: Andrea Spollero (Udine), Diana Pérez Corradini (Padova) Segretaria di Redazione: MARIA LUDOVICA PAGLIARI, via Paruta 33A, 35126 Padova Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 380 del 23 marzo 1965 Editore: ASSOCIAZIONE DOTTORI COMMERCIALISTI DELLE TRE VENEZIE Fondatore: Dino Sesani (Venezia) Ideazione, composizione, impaginazione: Dedalus (Creazzo-VI) Stampa: GECA S.p.A., via Magellano 11 - 20090 Cesano Boscone (MI), per conto di WOLTERS KLUWER Italia S.r.l. - Strada 1, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) Articoli (carta e dischetto), lettere, libri per recensioni, vanno inviati a Maria Ludovica Pagliari, via Paruta 33A, 35126 Padova, tel. 049 757931. 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