INEDITI
Alla ricerca della vita del «Cigno»
Vincenzo Bellini
Ancora tre lettere inedite ritrovate a Catania che vanno ad arricchire la
ricostruzione della straordinaria parabola della vita del musicista catanese
di
Carmelo
Neri
U
n’approfondita
conoscenza
dell’epistolario belliniano è
indispensabile per chi voglia scrivere
con competenza sulla vita e sull’opera del celebre
compositore; in caso contrario è facile incorrere
in fuorvianti indagini o inesatte biografie che
depistano il lettore e si pongono in aperto
contrasto con ciò che ha scritto lo stesso Bellini.
Da questa premessa si arguisce quanto sia
importante il ritrovamento di nuove lettere del
maestro, lettere che contribuiscono a dissodare il
duro terreno degli errori e dei pregiudizi e a
sradicare le false credenze. Ora alla raccolta da
me curata, e pubblicata nel dicembre del 2005
dall’Editoriale Agorà, sono da aggiungere tre
interessanti inediti, che saranno qui esaminati: ho
premesso alla trascrizione alcuni cenni riguardanti
ogni singolo documento, mentre al testo ho fatto
seguire gli opportuni chiarimenti; inoltre, con
criterio analogo a quello adottato durante la
compilazione dell’epistolario, ho riportato la grafìa
di Bellini così come figura negli scritti originali,
mantenendo inalterati apostrofi, accenti,
punteggiatura ecc. A tal riguardo si tenga presente
che gran parte di quelle che negli autografi ci
sembrano grossolane sgrammaticature non erano
considerate tali nella prima metà dell’Ottocento.
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INEDITO N. 1
S
i compone di due pagine, ed è completo
di sigillo su ceralacca rossa accanto
all’indirizzo. È stato posto in vendita dalla Libreria
LIM Antiqua di Lucca – Catalogo 52 (edizione
2007 – pp. 6-7) al prezzo di 7000 euro, che
rispecchia l’attuale valore commerciale di questo
e di analoghi fogli belliniani. Codesti fogli, sempre
più rari e sempre più ambiti dai collezionisti, di
tanto in tanto compaiono nei cataloghi di
prestigiose case d’asta e di note librerie antiquarie.
Destinatario di quest’inedito fu Alessandro
Lamperi, “sottosegretario al Ministero per gli
Affari Esteri del governo sardo”, che il
compositore aveva conosciuto nel 1829 in
occasione di un breve viaggio a Torino.
L’autografo è stato copiato dal fac-simile, che non
riproduce l’indirizzo e le righe della parte
terminale. Eccone il contenuto:
Il Nuovo
epistolario di
Vincenzo Bellini, a
cura di Carmelo
Neri, pubblicato
nel dicembre del
2005
dall’Editoriale
Agorà.
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«Milano 2: Novembre 32:
Mio caro Lamperi
Partito da Milano per Napoli ti scrissi il
viaggio che facea per darmi in quei paesi tue
AGORÀ n. 29-30/2007
Carmelo Neri, Tre lettere inedite del Cigno,
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INEDITI
notizie: non ne facesti nulla: basta, i tuoi affari
sono molti perché io ti credessi colpevole. –
Riceverai dal nostro Deangeli un pacchettino ove
si trova un pezzo di musica che d’unita alla qui
acchiusa ti prego di far capitare alla famiglia
Barabbino Torinese, perché consegni il tutto alla
Signora descritta, la quale si trova maritata ad
Alessandria con un Valsecchi: ái capito? Tali
nozioni ti basteranno per riuscire la commissione,
quindi passiamo ad altre cose.
La tua salute é buona? La campagna ti ha
giovato? La mia é sana, ed a giorni intraprendo a
scrivere l’opera per Venezia che sara (sic) La
Cristina di Svezia ossia la morte di Monaldeschi:
la protagonista sará la Pasta. Il 1° Dec[embr]e
abbandoneró Milano e mi porteró a Venezia [...]
Il tuo aff[ezionatissi]mo
Bellini»
Questa lettera ci testimonia che in data 2
novembre 1832 il maestro era ancora convinto di
dover musicare la Cristina di Svezia, ma il giorno
successivo con un’altra lettera diede avviso alla
Pasta che il soggetto era stato abbandonato, e che
a stento aveva persuaso il poeta Felice Romani a
occuparsi della Beatrice di Tenda. Alcuni biografi
insistono nell’affermare che fu la Pasta a volere
tale cambiamento, ma sembra più nel vero chi
ritiene che a volerlo sia stata Giuditta Turina,
l’amante di Vincenzo, la quale preferiva un
argomento di storia lombarda.
Bellini comunicò al Lamperi la data della
sua partenza per Venezia, aggiungendo che vi
sarebbe rimasto circa tre mesi; lo informò
inoltre, come si legge nel catalogo, di avere
incontrato a Como “Madame Billotti”, un’amica
comune residente a Torino e più volte
menzionata nel suo epistolario. Da Como, allora
punto di arrivo e di partenza delle diligenze per
i collegamenti con Milano, si raggiungevano con
altri mezzi varie località dell’omonimo lago: a
Moltrasio, dove soggiornava in estate la famiglia
Turina, Bellini si recò negli anni dal 1829 al
1831; peggiorati i suoi rapporti con i Turina,
nel 1832 andò di certo solo a Blevio, sulla riva
opposta (allora raggiungibile partendo da
Moltrasio con un natante), e fu ospitato nella
splendida villa di Giuditta Pasta.
*
*
*
piuttosto al destinatario, lo zio Vincenzo Ferlito,
il quale, privandosi di questo cimelio per farne
dono, si premurò di sopprimere quelle verità che
non desiderava far conoscere. Così è avvenuto con
qualche altra lettera a lui indirizzata, che non si
può leggere integralmente perché priva di uno o
più fogli o perché contiene delle righe rese
illeggibili.
«en Sicile
á Monsieur
Monsieur Vincent Ferliti
INEDITO N. 2
C
ustodita a Catania, questa lettera fa parte
di una collezione privata. Nella seconda
delle quattro facciate che la compongono presenta
ben sei righe accuratamente cancellate; tale
intervento non sembra imputabile a Bellini, ma
á Catane
Parigi 20: Nov[vem]bre 1833
Mio caro Zio
Pare che il trattato per scrivere al teatro
Italiano di Parigi si vá maturando, e come io lo
desiderava: ed allora resteró a Parigi, e forse, se
Iddio lo vorrá, ci rimarró per tutta la durata della
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Lettera autografa
di Bellini ad
Alessandro
Lamperi, inviata
da Milano il 2
novembre 1832.
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INEDITI
In questa
pagina e nella
pagina
seguente:
Lettera autografa
di Bellini allo zio
Vincenzo Ferlito,
inviata da Parigi il
20 novembre
1833 (Catania –
Collezione
privata).
mia carriera; poiché é vero che lo scrivere al
teatro Italiano é un’onore, e con quella paga,
che forse mi dará; ma non potrebbe mai formarmi
una fortuna: ove io miro quindi é a scrivere pei
teatri francesi (nella lingua del paese) ove si puó
sperare una ricca fortuna, se si ha la sorte
d’incontrare una mezza dozzina d’opere; ora lo
scrivere al teatro italiano mi metterá al coperto
delle spese che qui sono enormi, e nel mentre
conosceró paese, faró i miei calcoli, e a passo
quieto, quindi sicuro mi lanceró nella nuova
carriera per tirarne quell’onore, e profitto che
in Italia ormai ne mancano i mezzi, non avendo
piú buone compagnie. – Di giá ho qui fatto delle
conoscenze di alta societá, come dei piú celebri
artisti, che coltiveró oltremodo; poiché a Parigi
bisogna che uno sia da tutti conosciuto X mettersi
in modo (genere che s’ama in questo paese) mi
vado impratichendo nella lingua e negli usi, che
sono qui veramente di una tale affettazione, che
stento ad uniformarmici: sempre esclamazioni
alla piú minima cosa, sempre meraviglia, sempre
gridi d’entusiasmo, e perché? Per uso; poiché
l’adoprano generalmente per tutti, e per tutto.
- 78 -
AGORÀ n. 29-30/2007
[Seguono sei righe cancellate] piú sicuri che
troveró, restando a Parigi. Scriveró a Florimo
quanto mi dite riguardo al denaro del vino che
vi deve, e del denaro che voi tenete di Fragalá. –
Sento che vi siete ricevuti i due cento cinquanta
franchi da Gravina, e vá bene. Credo che avrete
ricevuto le notizie mie a voce dal sud[e]tto che
qui lo vedea spesso, ed ho trovato che é un buon
giovine. - Pudduzza si é finalmente maritata?
Carmine mio fratello come stá? é sempre
attaccato alla sua famiglia? Papá ha delle
stravaganze ancora? Michela Pudda, Mara,
Mammá, Zia mara, Zio D[on] Ciccio, Zia Sara
e tutti gli altri parenti ed amici che tanto voglio
bene che fanno? Parlatemi di tutti. E
quell’originale di D[o] n Ignazio che dice?
L’Imanizzigliata (?) mi ha dimenticato affatto!
Pregateli che mi scrivano una linea per uno,
come Tano Paola e Giovanni Ardizzone! È una
crudeltá dimenticare così. i suoi amici!!! Basta:
ci vuol pazienza. - Ricordatemi al principe
Manganelli, e ditegli che non ho dimenticato il
mio soggiorno di Catania, e quindi la sua
grand’amabilità che mi prodigó – I saluti a suo
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INEDITI
figlio principino, e frai restanti nostri amici non
obliate il Senato d’atene.
Credete
all’aff[ezionatissi]mo vostro Nipote
Vincenzo»
Nella parte iniziale Bellini parla di
trattative in corso col Teatro Italiano di Parigi,
e s’intuisce che lo zio di ciò era stato informato,
e almeno da circa venti giorni. Ne consegue che
tali trattative erano state avviate fin dal
precedente mese di ottobre; accadde peraltro
che in data 19 settembre 1833 Carlo Severini,
“regisseur” del teatro anzidetto, gli aveva
mandato una lettera per comunicargli che per
tutta la durata del suo soggiorno a Parigi era
stato messo a sua disposizione un palco (“la
stalle d’orchestre n. 13"). Bellini fu nella
necessità di ringraziare per tanta cortesia, e ciò
gli offrì il pretesto per prendere contatto con
quella direzione e dichiararsi disponibile per
comporre una nuova opera. Non sorprende che,
come spesso avveniva, l’accordo sia stato
raggiunto con molto ritardo: il Catanese da
simili “trattati” cercava sempre di ricavare il
massimo profitto, sia pecuniario sia artistico,
ed era propenso a rifiutare una scrittura quando
sapeva di non poter disporre di una valida
compagnia di canto.
Nella chiusa della lettera sono menzionati
numerosi parenti e amici presenti nel suo
epistolario; il punto in cui accenna alle
“stravaganze” del padre Rosario ci aiuta a
comprendere meglio il rapporto privilegiato che
ebbe con lo zio Vincenzo, in cui, a quanto pare,
poneva completa fiducia. Fra gli amici fa i nomi
di Giovanni Ardizzone e Gaetano Paola e del
principe Manganelli, citati in altre lettere,
mentre il Fragalà e il Gravina sono nominati
per la prima volta.
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INEDITI
INEDITO N. 3 (FRAMMENTO)
D
i questa terzo frammento di lettera,
anch’essa custodita a Catania in una
raccolta privata, è sopravvissuto soltanto un foglio
e l’indirizzo, con il consueto sigillo su ceralacca
rossa. Si componeva di almeno quattro facciate;
pertanto un contenuto doppio di quello trascritto
è da considerare perduto.
Frammento di
lettera autografa
di Bellini allo zio
Vincenzo Ferlito,
inviata da Parigi
intorno al 15
maggio 1834
(Catania –
Collezione
privata).
«en Sicile
á Monsieur
Monsieur Vincent Ferliti
á Catane
[...] tale novella recarvi agitazione riguardo alla
mia persona, che sapete sempre non essersi
mischiata che d’affari musicali. Vi scri[ssi] il
grande affare del 14: Aprile, poiché [quel]le
persone pacifiche soffrirono [...? ] e perciò
m’affrettai a prevenirv[i che tutto ?] era finito,
e che io non avea neanche inteso i colpi di
fucile. Per trovarmi allogiato lontano dal loco
disgraziato! Il titolo che porterà la mia opera forse sarà
I Puritani e i Cavalieri – i primi saprete essere
stati partigiani di Cromwello ed i secondi di
Carlo II: Non só peró se si titolerá cosi l’opera,
ma sembra di si, poiché é conveniente, per dare
un titolo celebre nella Storia d’inghilterra - –
Spero di portarmi assai innanzi in questo mese,
poiché il poeta mi ha promesso moltissima
poesia, e se la troveró buona lavoreró molto. –
Vedendo D[on] na Lidda ditegli che le
scriveró, dopo la vostra prima lettera che
riceveró da Catania fintanto salutatela in uno
alla sua famiglia. Tante cose affettuose a papá
mammá, zio D[o]n Ciccio, zia Sara e tutti di
casa - Voi ricevete un’abbr[ac]cio
Dall’aff[ezionatissi]mo v[ost]ro Nipote
Vincenzo
In queste righe si parla di un episodio
avvenuto a Parigi il 14 aprile 1834: dovette trattarsi
di qualcosa di grave, perché Bellini, temendo che
la notizia potesse giungere a Catania e suscitare
preoccupazione nei suoi familiari, con altra lettera
(smarrita) informò lo zio che non c’era motivo di
stare in ansia.
La sua opera era in fase di progettazione:
il poeta, il conte Carlo Pepoli, gli aveva fatto
molte promesse, ma ancora non gli aveva dato
nulla. Il maestro per aiutarlo gli aveva predisposto
uno schema con la distribuzione delle scene;
sperava di trovare in lui un valido collaboratore,
ma ben presto si accorse che avrebbe rimpianto
molto la mancanza del Romani. Scrivendo
all’amico Francesco Florimo, in data 26 maggio lo
avvisò che si era trasferito a Puteaux, che aveva
iniziato la composizione del nuovo melodramma,
e aggiunse: ««...] Pepoli lavora, e mi costa fatica il
portarlo innanzi, la pratica gli manca, ch’è gran
cosa. [...]». Quest’affermazione permette di datare
il frammento intorno al 15 maggio 1834.
Dell’argomento dei Puritani aveva già fatto
cenno in data 11 aprile 1834 allo zio Francesco
Ferlito (Don Ciccio), e, tacendo di nuovo il titolo,
lo riepilogò anche al Florimo nella lettera
anzidetta. Poi l’intestazione I Puritani e i Cavalieri
rimase invariata, e trovò conferma (Les Puritains
et les Cavaliers) nel libretto bilingue (italianofrancese) della prima rappresentazione, data a
Parigi il 24 gennaio 1835.
- 80 -
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