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Diocesi di Verona
INFORMAZIONI PASTORALI
AVVENTO 2008
ANNO 5 - N° 4 - TRIMESTRALE - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA
In caso di mancato recapito restituire all’Ufficio di Verona CMP - detentore del conto, per la restituzione al mittente, previo pagamento resi.
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RITIRO SPIRITUALE
PER I CONSIGLI PASTORALI
DOMENICA 14 DICEMBRE
«L’ascolto della Parola genera comunione»
Con San Paolo verso il Natale
riflessione di don Mario Masina
Dalle 15.00 alle 18.00
Presso il CUM
(seminario di San Massimo)
PRENOTAZIONE
LETTERA AI FILIPPESI
Come gli anni scorsi all’inizio della Quaresima
il vescovo consegna alle parrocchie
un testo biblico di riferimento
In quest’anno paolino è la lettera ai Filippesi
Si preparerà anche un libro grande da esporre in chiesa.
Le copie vanno prenotate entro Natale presso
Don Mario 045.8083704
Lino 045 8083758
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AVVENTO 2008
LO SLOGAN
«È apparsa la grazia di Dio» (Tt 2,11).
Con san Paolo verso il Natale
IL TEMA
L’orizzonte dentro il quale la nostra Chiesa di
Verona ha tracciato il proprio cammino per il
prossimo triennio è quello della comunione,
indicando i percorsi che ci permettono di
giungere a questa mèta. L’ascolto della Parola, come ha indicato il recente sinodo dei vescovi, è uno degli eventi generatori della comunione ecclesiale. Anche in questo Avvento
2008 le nostre comunità intendono farsi discepole di questa Parola, lasciandosi evangelizzare per essere a propria volta evangelizzatrici. Il tema e lo slogan, presi da una lettera
paolina, riportano l’attenzione all’evento centrale che la Parola annuncia: la grazia di Dio,
fattasi a noi presente e visibile nella persona
del Verbo incarnato.
L’anno paolino in corso attribuisce a questo
Avvento 2008 una particolare coloritura. Le
accentuazioni delle singole domeniche faranno perciò riferimento alla seconda lettura che
potrebbe opportunamente costituire un percorso con S. Paolo verso il Santo Natale.
LE QUATTRO SETTIMANE
L’itinerario che la Parola di Dio ci indica in questo avvento inizia (1° domenica) dal prendere
consapevolezza dei doni ricevuti («siete stati
arricchiti di tutti i doni») esprimendo così la nostra gratitudine e la riconoscenza, mista a sorpresa dal momento che «mai si è udito che un
Dio abbia fatto tanto per chi confida in lui».
I doni ricevuti e la grazia donata domandano
una risposta/responsabilità adeguata (2° domenica), che non sprechi o banalizzi il Dono.
Sono le valli da colmare, i colli da abbassare,
i sentieri da raddrizzare: cioè un cuore ben disposto.
Questa ricchezza (3° domenica) di doni e carismi va continuamente valorizzata («non spegnete lo Spirito!»), va coniugata con un cuore ben disposto dalla conversione («astenetevi da ogni specie di male»), così facendo conduce alla gioia cristiana («siate sempre lieti»!)
che per sua natura domanda di essere condivisa dal momento che – cristianamente parlando – non si può essere felici da soli. Gratitudine, conversione, gioia condivisa nella carità, ci hanno permesso di disporre il tutto.
Manca solo un pizzico di silenzio (4° domenica), quel silenzio che ha avvolto e custodito
per secoli il Grande Mistero. Un po’ di contemplazione in più e siamo arrivati…
«È apparsa la grazia di Dio»!
1ª settimana
DONI RICEVUTI
Siamo sempre abituati a vedere quello che
manca, quello che non funziona, quello che
ci fa penare. Accade nella vita personale: c’è
una sottile vena di insoddisfazione che attraversa le nostre giornate e le rende grigie. Motivi per essere preoccupati ce ne sono più di
uno e più di una volta riusciamo pure a ingigantirli. Quando parliamo con gli amici o i
colleghi di lavoro, con i vicini o i familiari, la
dolente litania si ripete. Anche con il Signore
siamo pronti a implorare e chiedere qualcosa
che non c’è o qualcosa che non va come vorremmo.
Accade nella vita della comunità: sottili ten-
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sioni covano di frequente sotto una facciata di
sorrisi e gentilezze. Ad ogni nostro incontro
lamentiamo la mancanza di collaborazione, di
comunione, di corresponsabilità. Il disagio
serpeggia, e non facciamo certo mancare il
nostro contributo affinché si alimenti e si ingrassi. Si sa: per fin di bene.
Paolo comincia la sua lettera ai cristiani di Corinto richiamando non tanto le divisioni o le
contrapposizioni esistenti, i motivi di lamentela, che il credente potrebbe a buon ragione
avanzare nei confronti del Signore e della sua
comunità. No. Dà per primo il buon esempio.
Avrebbe potuto cominciare lui stesso dai rimproveri nei riguardi di una comunità scomposta e scombinata. Motivi ne avrebbe avuti.
Avrebbe potuto cominciare lamentandosi della vita che gli tocca fare, frainteso e spesso
snobbato, se non proprio osteggiato. No. La
prima parola è una parola di gratitudine: rendo grazie!
Perché non potremmo imparare dall’apostolo
delle genti, che in più di una lettera apre i discorsi proprio dal ringraziamento a Dio?
Nella sua vita personale sempre si è sentito accompagnato dalla presenza di Dio, dal momento che, come dice Isaia, «mai si è udito
che un Dio abbia fatto tanto per chi confida in
lui». Basterebbe ripercorrere le infinite traversie di cui è piena la sua biografia per accorgersi di quanto sia vera questa affermazione.
L’apostolo non intende però rimanere da solo
nel canto di ringraziamento.
Vuole coinvolgere l’intero gruppo dei cristiani
di Corinto, accompagnandoli per mano a scoprire la ricchezza dei doni che già possiedono.
«Siete stati arricchiti di tutti i doni … non
manca più alcun carisma». Non è un Paolo ingenuo, superficiale di fronte alle profonde divisioni e ai problemi (grossi come una casa)
che questi cari corinzi gli procurano. Ci vede
chiaro nelle questioni, eccome. Eppure, come
prima cosa, coglie la positività di tutti questi
doni, di questi carismi.
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Perché anche nelle nostre comunità non cominciamo a vedere le cose meravigliose che il
Signore sta operando, proprio attraverso i doni di ciascuno? Perché non valorizziamo la
storia gloriosa del nostro passato, remoto e
recente, che sta a dirci che Dio ha veramente
fatto tanto per noi?
È la presenza di tale ricchezza il fondamento
della speranza, mentre aspettiamo la manifestazione o il giorno del Signore nostro Gesù
Cristo. Dal giorno del giudizio non abbiamo
proprio nulla da temere, se sapremo valorizzare i doni di grazia che Dio semina a piene
mani e continuerà a seminare. Qui, più che
fondare la speranza su promesse al futuro,
Paolo la fonda sulla constatazione al presente
della ricchezza di carismi. Con un’ultima precisazione che non è da sottovalutare. La comunione.
Allora, il “vegliare” che la liturgia raccomanda
non si declina soltanto come attenzione a non
lasciarsi risucchiare dal male, ma anche come
un guardare riconoscenti il bene.
• UN SEGNO
Tra i regali più grandi che Dio fa all’umanità
c’è la sua Parola Vivente. La comunione tra i
diversi doni e carismi germina dall’ascolto
orante di essa. Durante le messe della domenica si potrebbe fare la processione con il Lezionario, all’inizio della liturgia della Parola,
accompagnata da un canto o da sottofondo
di musica.
2ª settimana
CUORE BEN DISPOSTO
Siamo ormai saturi di “cattive notizie”. Basta
ascoltare un qualsiasi telegiornale e cadiamo
in depressione. È un bollettino di guerra: giovani vite spezzate sull’asfalto per la superfi-
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cialità di qualche bicchiere in più o la facilità
suicida di un paio di pasticche, violenze gratuite su donne e fanciulli, vendette trasversali e regolamenti di conti tra clan rivali, babygang e microcriminalità fuori dall’uscio di casa. Per favore, ogni tanto dateci qualche buona notizia!
Per fortuna interviene l’evangelista a bucare la
cupa cappa di piombo che grava sul mondo.
«Inizio del vangelo». Evidentemente non si
tratta di un’indicazione tipografica. Nessuno
si sognerebbe di aprire la prima pagina di
un’opera avvisando il lettore che è all’inizio.
Si presume che il lettore non cominci dalla fine… ma dall’inizio. Il senso allora è ben diverso.
L’evangelista ci tiene a farci sapere che quello
che sta per raccontare è proprio la più bella
notizia che l’umanità potesse aspettarsi nel
bel mezzo di tante brutte notizie.
È l’accadere dell’amore di Dio che ancora non
si è stancato di questa manica di matti e che
pervicacemente – contro ogni ragionevole
evidenza – offre accoglienza e perdono.
La buona notizia è tessuta delle parole e dei
segni della premura di Cristo. Ma è solo all’inizio! Perché sta a noi, singoli e comunità,
continuare a incarnare questo messaggio di
speranza e dare gambe agli annunci.
L’avvento è dunque il tempo per seminare
qualche gesto semplice e feriale in grado di
comunicare la cura del Signore per tutti coloro che hanno proprio bisogno di consolazione: «Consolate il mio popolo!». Sono i gesti
in grado di «parlare al cuore» e di declinare la
tenerezza dell’unico Pastore. Sì, anche oggi ci
sono «agnelli» che domandano che qualcuno
si prenda la briga di tenerli in braccio e «pecore che allattano» che supplicano di essere
condotte pian piano. Il guaio è, che più di una
volta non ce ne accorgiamo.
Sarà, la nostra, eventualmente una presenza
“di rimando”. Proprio come quella del Battista, il cui scopo non è attirare attenzione su di
sé quasi volesse occupare l’intera scena. L’intera scena, invece, appartiene a Gesù Cristo,
dal momento che solo con Lui si può ben dire
che è apparsa la grazia di Dio in tutto il suo
abbagliante fulgore.
Affinché la nostra presenza non si faccia opaca e fatichi a lasciar trasparire la grazia di Dio,
come un vetro sporco impedisce alla luce di
filtrare, ci viene rivolto l’invito al ravvedimento
e alla conversione. Possiamo fare un passo in
più. I doni ricevuti e la grazia donata domandano una risposta adeguata che non sprechi o
banalizzi il Dono. Valli da colmare, colli da abbassare, sentieri da raddrizzare. Lo dobbiamo
a noi stessi e a chi ci sta accanto. Lo dobbiamo alla nostra comunità.
• UN SEGNO
Giovanni nel deserto praticava un battesimo
di conversione. All’atto penitenziale, con il
gesto dell’aspersione con l’acqua, rinnoviamo
la disponibilità a lasciarci cambiare dall’amore
del Signore, per poter cogliere l’accadere della grazia nell’Eucaristia che celebriamo.
3ª settimana
GIOIA CONDIVISA
I paladini del pensiero unico stanno facendo il
diavolo a quattro per darcela a intendere. TV,
carta stampata e radio ormai viaggiano sulla
stessa lunghezza d’onda. Il vuoto si impadronisce dei palinsesti e rincitrullisce il cervello,
propinandoci oroscopi e previsioni del tempo,
notizie sul traffico e reality show, innocue fiction e interminabili conversazioni sul nulla.
Pare prenda piede un appiattimento culturale,
tale da colpire giovani generazioni e attempati adulti. Sul vuoto, si sa, s’ingrassano i luoghi
comuni e le affermazioni più strampalate rischiano di essere prese per oro colato. L’u-
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niformità, nel vestire e nell’agire, nel pensare
e nel decidere, la fa da padrona.
Se così va il mondo, o perlomeno così dà l’impressione di andare, anche dentro la Chiesa si
fatica a distinguere la comunione dall’uniformità. Spesso si vorrebbe che tutti facessero le
stesse cose, avessero la stessa sensibilità (evidentemente la mia o perlomeno quella del
mio gruppo), parlassero con la stessa teologia, perseguissero le medesime priorità pastorali.
E non è raro che io stesso mi faccia promotore di dialogo con alcuni, contemporaneamente chiuso e intransigente con altri.
Quando Paolo scrive alla comunità di Tessalonica ha ben presente problemi come questi.
Quasi replicando i consigli dati a Corinto, l’apostolo non manca di evidenziare la positività
della ricchezza di doni e carismi abbondantemente presenti. Lo Spirito non è singolare, è
plurale. Come un raggio di luce, quando viene riflesso, stupisce con i suoi mille colori, così è della Chiesa abitata dallo Spirito. Sono
sempre più numerosi i “pompieri” che, mossi
da ardente zelo, paiono intenti a soffocare di
schiuma qualsiasi timida fiamma. «Non spegnete lo Spirito»!
Se questa è la prima parola, la seconda è un
invito al “discernimento comunitario”. Attenti bene: non al discernimento individuale
che solitamente viaggia sul «mi piace» o
«non mi piace», «sono d’accordo» o «non
sono d’accordo». No, qui la questione è la
“volontà di Dio” della quale si fa cenno nel
brano. Il guaio è che ben difficilmente uno o
una, da solo/a, riesce a capire qual è la volontà di Dio. Bisogna almeno essere in due.
San Paolo, per fare discernimento, si recò da
Anania a Damasco… tanto per fare un esempio. Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è
buono! È un esercizio da fare insieme. Anche
questo al plurale.
Terza parola chiave: siate sempre lieti. Riconoscere lo Spirito lì dove si fa trovare, fare
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spazio al discernimento comunitario all’interno della Chiesa e verso il mondo che ci interpella, capire e fare la volontà del Dio della
pace, non può che riportare il sereno tra i
rapporti personali, famigliari ed ecclesiali.
Una gioia che non sia invidualistica, ma sappia fare lieti anche altri. Al plurale, dunque,
non al singolare.
• UN SEGNO
La gioia che è dono dello Spirito è anche la
gioia dell’attesa dell’apparire della grazia. Valorizziamo il gesto della PACE. Facciamo in
modo che tutti possano sperimentare la gioia,
anche coloro che hanno un “cuore spezzato”, anche gli schiavi e i prigionieri (prima lettura). I bambini del catechismo in questa occasione consegnano ai presenti la “stella”.
4ª settimana
MISTERO RIVELATO
Che fine sta facendo il nostro Natale? Più di
qualche intellettuale, che vorrebbe saperla
lunga, sta sfoderando tutta la propria arte incantatoria per convincerci che si tratta di una
colossale bufala storica. Libri stampati da blasonate case editrici vendono migliaia di copie
finalizzare a destituire di qualsiasi fondamento storico il credo dei cristiani.
Come a dire: poveri cattolici, lasciamoli credere nell’Incarnazione del Figlio di Dio e in altre stupidaggini del genere, se questo li fa
star bene, ma compatiamoli, perché non c’è
niente di vero in quello che affermano riguardo a Gesù di Nazareth. Tutte invenzioni successive. Ma sì! Facciamo un nome: Augias e
compagnia.
Da versante completamente diverso, assistiamo al tentativo di snaturare il Natale facendone la festa di Babbo Natale. Almeno si ricor-
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dassero che Santa Klaus qualcosa a che fare
con un santo – Sankt Nikolaus – pur ce l’aveva! Niente. Il simpatico nonnino con la fluente barba bianca non solo ha ormai soppiantato l’altra barba, quella di San Giuseppe, ma
ha cacciato fuori dalla grotta pure il protagonista principale, Nostro Signore Gesù.
I più acculturati, che guardano con malcelata
saccenza gli ingenui seguaci del personaggio
nordico, sostituiscono il Natale con la celebrazione del Solstizio e dell’Inverno accompagnata dai relativi riti. In molte scuole, per non
turbare la “sensibilità” degli alunni di altre religioni, ci si inventa la festa “della Solidarietà”
e al posto del presepio si preferisce il panettone, perché i bambini non cristiani non si sentano discriminati.
Se ci fosse San Paolo che farebbe oggi, in
queste situazioni? Semplicemente quello che
fece allora, in contesto altrettanto distante se
non contrario alla fede cristiana. Non si darebbe per vinto e, come scrive ai cristiani di
Roma, ribadirebbe a tutti che solo Gesù è colui che viene a rivelare il vero volto di Dio.
Un volto senza il quale l’umanità sarebbe rimasta nell’oscurità, senza il quale la dignità
dell’umano ne sarebbe uscita diminuita e
senza il quale il senso della storia sarebbe
oscurato.
Si nota nel testo un evidente dinamismo fatto
di silenzio-parola: come a dire che ogni parola germina e si nutre di silenzio e ogni silenzio
deve accedere alla parola, a meno di non trasformarsi in mutismo.
Così è della parola umana e così è della Parola di Dio. Parola pronunciata e scritta dei Profeti che si fa parola pronunciata e scritta di
Paolo. La medesima parola che ora è affidata
alle nostre labbra affinché sia offerta a tutte le
genti. Dio resterebbe muto senza la nostra voce. Il Natale resterebbe muto se noi per primi
non ci facessimo carico di rimettere in circolazione l’autentica parola dell’Incarnazione.
Abbiamo alcuni giorni ancora. Perché non
ascoltare il silenzio? Perché non fermarci a
contemplare il mistero? Sono le condizioni
perché la nostra parola non sia solo chiacchiera, superficiale o addirittura vuota.
• UN SEGNO
Valorizziamo il momento della consacrazione
con momenti prolungati di silenzio dopo l’elevazione del pane e del vino, di modo che si
comprenda, come dice Paolo, che lì si dà rivelazione del “mistero della fede” avvolto nel silenzio ma ora manifestato.
SEGNO
1. Una grande STELLA COMETA con la scritta sulla coda «È apparsa la grazia di Dio».
Ogni domenica si aggiunge su una punta
la scritta corrispettiva.
Con i bambini del catechismo si costruisce
su cartoncino una stella cometa (con la relativa scritta) da mettere o sulla porta della
propria cameretta o sulla porta di ingresso
di casa. Potrebbero costruirne più d’una
da regalare ai nonni o vicini di casa o da
mettere a disposizione delle famiglie della
parrocchia, consegnandola loro la terza
domenica d’avvento allo scambio di pace.
2. Collochiamo il lezionario feriale in luogo
adatto di modo che chi entra in chiesa durante la settimana possa leggersi le letture
del giorno. Eventualmente affianchiamo il
libretto dell’avvento preparato dalla diocesi con riflessioni e commenti. Sul leggio la
scritta legata al nostro progetto pastorale:
«L’ascolto della Parola crea comunione».
3. L’ultima domenica d’avvento si potrebbe
consegnare alle famiglie il LUME DELLA VIGILIA da accendere la sera della vigilia di
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Natale e mettere su una finestra della casa,
facendo precedere o accompagnando il
gesto con una semplice preghiera, che riportiamo.
PREGHIERA IN FAMIGLIA
PER LA NOTTE DI NATALE
(Davanti al presepio o con il Gesù Bambino
sulla tavola, a fianco del lume acceso che sarà
collocato sul davanzale della casa, si inizia la
preghiera)
◆ G: Gesù Bambino, nuovo sole che sorgi
nella notte di Betlemme
rischiara la nostra mente, rischiara il nostro
cuore
e fa che camminiamo nel tuo amore.
Il tuo vangelo di pace fa’ che giunga fino ai
confini della terra
perché ogni uomo si apra alla speranza di un
mondo nuovo.
◆ L: Dal Vangelo secondo Luca
Mentre erano a Betlemme, si compì per Maria
il tempo del parto; ed ella diede alla luce il suo
figlio primogenito, lo fasciò, e lo coricò in una
mangiatoia, perché non c’era posto per loro
nell’albergo. E a un tratto vi fu una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in
terra agli uomini ch’egli ama».
◆ G: In questa Santa Notte il Signore Gesù
viene a visitare l’umanità intera e a stare con
noi per sempre.
Rendiamo degna la nostra famiglia
di accoglierlo come Lui ci vuole:
vigilanti con le lampade accese,
nell’unione fraterna,
con la gioia nel cuore.
Diciamo insieme:
Padre Nostro.
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(Mentre si recita il Padre nostro ognuno dà un
bacio al Gesù Bambino.
Quindi si colloca il cero sulla finestra, all’esterno, come segno per il mondo).
LA “CORONA D’AVVENTO”.
È LITURGICA O NO?
(dalla Rivista «Settimana», EDB)
Cara Settimana,
ti chiedo di pubblicare questa lettera.
Si tratta di questo: il mio parroco continua a sostenere la non liturgicità della
corona d’avvento.
Comprendo che il messale non ne faccia
menzione: ma è ormai acclarato che essa, la corona, è un segno semplice del
cammino di ascesa verso il Natale.
C’è qualche motivazione “più ufficiale”
che possa intenerire il mio parroco? Vi
ringrazio, se mi potete rispondere.
C.G.
Risposta di don Gianfranco Venturi:
In riferimento all’avvento – leggiamo
nel Direttorio su pietà popolare e liturgia1 – «sono sorte varie espressioni di
pietà popolare che sostengono la fede
del popolo e trasmettono, da una generazione all’altra, la coscienza di alcuni valori di questo tempo liturgico»
(n. 97). Una di queste espressioni è la
corona di avvento.
La sua origine. All’origine di questa
tradizione concorrono vari fattori.
All’avvicinarsi del solstizio d’inverno
nel nord Europa e anche a Roma si
usava celebrare la vittoria della luce e
della vita sul buio e sulla morte. La corona di avvento si inserisce bene in
questo contesto umano, ma lo trascen-
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de: la vittoria che si vuole celebrare è
quella di Cristo sulle tenebre e sulla
morte.
Più che da un’evoluzione di un rito
preesistente a cui è stato cambiato significato, l’origine della corona di avvento è recente ed è nata con intenti
pedagogici e catechetici che rimangono validi tutt’oggi.
Molti la fanno derivare da un’usanza
nata nel XIX sec. nella città anseatica
di Amburgo. Un giovane pastore della
chiesa evangelica, Johann Heinrich
Wichern (1808-1881), che come don
Bosco raccoglieva dalla strada i ragazzi, alla sera organizzava un momento
di preghiera. Nell’avvento del 1838,
pensò di far accendere ai ragazzi, a
partire dal 1° dicembre, una candela
colorata. Nacque così la «celebrazione
delle candele» (Kerzenandacht) che,
disposte successivamente su una struttura circolare, fu chiamata ««corona
di luce»» (Lichterkranz).
Molte persone trovarono la corona di
avvento così bella che vollero farla anche nella loro casa. Ma, siccome esigeva molto spazio, le 24 candele si ridussero a 4, come le quattro domeniche di
avvento.
Diffusione. In breve tempo questa tradizione si radicò in tutto il nord Europa, soprattutto nel mondo protestante.
Dopo la prima guerra mondiale essa
entrò anche nelle case dei cattolici.
Nel 1925 la corona di avvento fece la
sua prima comparizione in una chiesa
cattolica, a Colonia e, nel 1930, a Monaco di Baviera. Intorno al 1935, in
Austria, si incominciarono a benedire
le corone di avvento domestiche.
Oggi quest’uso ha una grande diffusione, complici anche i supermercati
che mettono a disposizione corone di
avvento già confezionate, di tutti i tipi, per tutti gusti, di costi anche e elevati.
Tradizione popolare. Questa tradizione viene accolta favorevolmente
dal Direttorio su pietà po’alare e liturgia: «La disposizione li quattro ceri su una corona di rami sempre verdi... è divenuta simbolo dell’avvento
nelle case dei cristiani. La corona di
avvento, con il progressivo accendersi delle sue quattro luci, domenica
dopo domenica, fino alla solennità
del Natale, è memoria delle varie tappe della storia della salvezza prima di
Cristo e simbolo della luce profetica
che via via illuminava la notte dell’attesa fino al sorgere del Sole di giustizia» (n. 98).
Uso della corona. Il luogo primo della corona dell’avvento è la famiglia.
Molte chiese però, non solo nel nord
Europa ma ora anche in Italia, all’inizio dell’avvento, cominciano ad avere
una corona, posta al centro o presso
l’ambone, pendente dall’alto o appoggiata su un piano o presso l’altare.
L’accensione avviene all’inizio della
messa o dopo il vangelo, accompagnando il gesto con un breve ritornello
cantato.
È vero che nei libri liturgici non si parla di questo rito ma, a mio parere, esso
non si oppone alla liturgia, anzi la favorisce, e soprattutto può essere motivo di invitare tutte le famiglie cristiane, soprattutto quelle che hanno bambini, a compierlo nelle loro case.
(Gianfranco Venturi)
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OMELIA PER LE ULTIME
DOMENICHE DELL’ANNO
LITURGICO
Nell’esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis leggiamo:
«Si tenga presente, pertanto, lo scopo catechetico ed esortativo dell’omelia. Si ritiene
opportuno che, partendo dal lezionario triennale, siano sapientemente proposte ai fedeli
omelie tematiche che, lungo l’anno liturgico,
trattino i grandi temi della fede cristiana, attingendo a quanto proposto autorevolmente
dal Magistero nei quattro ‘pilastri’ del Catechismo della Chiesa Cattolica e nel recente
Compendio: la professione della fede, la celebrazione del mistero cristiano, la vita in Cristo,
la preghiera cristiana».
Nelle ultime domeniche dell’anno liturgico, a
partire dalla seconda lettura (32° e 33°) e dal
vangelo (34°) all’omelia si potrebbe proporre
ai fedeli un breve itinerario su tematiche escatologiche, argomenti che oggi sono piuttosto
lasciati in disparte.
• 32ª domenica: la resurrezione dei morti.
Approfondendo il testo di 1Ts 4 commentato da CCC 997-1004 e dal Catechismo degli Adulti della Chiesa Italiana n° 12091216.
• 33ª domenica: la venuta finale del Signore. Approfondendo il testo di 1Ts 5 commentato da CCC 668-677.
• 34ª domenica: il giudizio finale. Approfondendo il testo di Mt 25 commentato
da CCC 678-679 e dal Catechismo degli
Adulti della Chiesa Italiana n°1197-1202.
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CONSIGLIO PASTORALE
DIOCESANO
È opportuno far conoscere l’attività del consiglio pastorale diocesano anche all’intera diocesi, per favorire un cammino comune e per
attivare quel processo di “discernimento comunitario” che è il suo compito principale,
così come afferma il documento dei vescovi
italiani «Il volto missionario delle parrocchie in
un mondo che cambia» al n° 12.
Con anticipo comunichiamo le date del Consiglio Pastorale Diocesano:
Sabato 15 novembre
Sabato 21 febbraio
Sabato 13 giugno
L’orario rimane il solito: 15.30 – 18.00.
Presso la portineria del Seminario di San Massimo.
Per il primo di questi incontri, anche a partire
da richieste di orientamenti giunte da più parti, si è deciso di avviare una riflessione e un
confronto su un tema relativo alla “discplina
dei sacramenti”.
In particolare:
1. La questione dei padrini del battesimo. Requisiti ed elementi.
2. Capita spesso che alcune coppie conviventi chiedano di celebrare il matrimonio cristiano e contemporaneamente, nella medesima eucarestia, il battesimo del figlio.
Quali motivi stanno alle spalle di questa richiesta? Come regolarsi? Quali attenzioni
pastorali mettere in atto? È opportuno distinguere i due sacramenti?
3. Capita spesso che alcuni giovani chiedano
di celebrare il matrimonio cristiano e non
abbiano ancora ricevuto il sacramento della cresima. Quali attenzioni pastorali mettere in atto? Quali i motivi che consigliano
il far precedere la cresima al matrimonio o
il matrimonio alla cresima?
Se nel prossimo futuro ci sono in programma
incontri dei consigli pastorali vicariali o parrocchiali, ecc., si possono riprendere insieme alcune di queste questioni.
I risultati possono essere consegnati ai rappresentanti vicariali (preti o laici) oppure mandati
a [email protected]
… insieme a considerazioni, riflessioni, proposte e quant’altro si ritenga possa essere utile.
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CENTRO DIOCESANO
DI PASTORALE FAMILIARE
Largo S. Nazaro, 1 – 37129 Verona
Tel. e Fax 045 8034378
E-mail: [email protected]
Sito internet: www.portalefamiglie.it – www.diocesiverona.it
LA FAMIGLIA
VIVE LA COMUNIONE
Il Progetto Pastorale Diocesano per il triennio
2008-2011 afferma che la famiglia, come
Chiesa domestica, è luogo di comunione.
In famiglia vivere la comunione è, o dovrebbe
essere, “naturale”, infatti il matrimonio è in
se stesso un fatto di comunione. Lo è per il
fatto che tutti i giorni si mettono in atto atteggiamenti quali la condivisione, l’ascolto,
il rispetto, la corresponsabilità, la compresenza, la ricerca del bene dell’altro.
Le relazioni familiari, parentali e genitoriali
portano quotidianamente a sperimentare
questo essere in comunione; ciò non significa
che sia sempre semplice e facile.
È necessario, infatti, mettere in conto le difficoltà, le incomprensioni, i momenti di crisi che
possono insorgere nelle relazioni familiari. Ed
è proprio perché queste situazioni sono inevitabili che superarle è più facile se si è “allenati”, cioè si cura la propria formazione.
Ed è su questa formazione che il Centro di Pastorale Familiare è particolarmente impegnato.
Ecco le prossime iniziative.
♦♦♦♦♦♦♦♦♦
Gli incontri si svolgono sia a San Fidenzio
(Novaglie) che alla Domus Pacis (Legnago),
dalle 15.30 alle 18.30, nelle seguenti domeniche:
– 26 ottobre 2008
AMARE
– 16 novembre 2008
PREGARE
–
COMUNICARE
7 dicembre 2008
– 18 gennaio 2009
EDUCARE
Per coppie di sposi e gruppi familiari
– 15 marzo 2009
DONARE
“I VERBI
DELLA VITA FAMILIARE”
come costruire la comunione
Nel cammino di approfondimento saremo
aiutati da don Gianni Ballarini e da don Giorgio Fainelli, oltre che da alcune coppie collaboratrici del Centro.
Questo percorso sarà integrato da un weekend in programma il 28 febbraio e il 1 marzo
La vita quotidiana delle nostre famiglie è segnata da molte azioni che hanno una valenza
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straordinaria nel disegnare la qualità della vita
di una famiglia.
In una famiglia, infatti, si “ama”, si “prega”,
si “comunica”, si “educa”, si “dona”.
Sono i verbi su cui ci soffermeremo nei nostri
incontri, che hanno l’obiettivo di aiutare le
coppie di sposi a rileggere la propria esperienza di vita familiare alla luce della Parola di Dio,
attraverso momenti di riflessione e di confronto con altre coppie.
I destinatari sono singole coppie, gruppi familiari parrocchiali che vogliono condividere
un’esperienza diocesana, animatori che possono riportare nel proprio gruppo le riflessioni
che emergono nel corso dell’incontro.
Il metodo prevede la presentazione del tema
da parte di un sacerdote, una provocazione
frutto dell’esperienza di vita, la riflessione di
coppia e il confronto a piccoli gruppi.
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e da un pellegrinaggio previsto per il 25 e
26 aprile 2009.
Si ricorda che presso il nostro Centro o presso
le Librerie Cattoliche della città per il cammino
di gruppi sposi o di gruppi familiari sono disponibili i sussidi che riportano l’esperienza
degli incontri di spiritualità degli anni scorsi.
Sono strumenti agili e testati sul campo direttamente con le famiglie che possono essere
utilizzati dai gruppi familiari parrocchiali.
Ecco alcuni titoli: La famiglia cristiana e stili di
vita (2008), La famiglia, testimone di Gesù risorto, speranza del mondo (2007), I volti della famiglia “piccola chiesa” (2006).
Per coppie di fidanzati e giovani sposi
“UN AMORE
CHE RIEMPIE LA VITA”
e fa comunione
È il filo conduttore degli incontri proposti quest’anno per le coppie di fidanzati e di giovani sposi che vogliono “prendersi del tempo” per dare più forza al cammino che stanno
facendo o per rinsaldare il proprio progetto di
coppia appena iniziato.
L’obiettivo di questi incontri è quello di aiutare le coppie di fidanzati (oltre alla partecipazione dei tradizionali corsi per fidanzati) e
di giovani sposi (orientativamente entro i
primi 5 anni di matrimonio) a fare un cammino di approfondimento sul proprio progetto
di vita, alla luce della Parola di Dio.
Il metodo prevede una riflessione iniziale,
una provocazione a partire dall’esperienza, il
confronto in coppia e/o a piccoli gruppi, con
momenti specifici per i fidanzati e le giovani
coppie.
I temi proposti negli incontri di quest’anno
permetteranno ai partecipanti di scoprire e/o
riscoprire alcuni atteggiamenti da vivere in
coppia e in famiglia per dare vita e senso al
progetto che insieme stanno costruendo. Il
tutto si giocherà nell’approfondire e nel confrontarsi su alcuni “verbi” che a seconda di
come sono vissuti possono dare una qualità
diversa alla relazione di coppia e allo stile di vita si vuole dare al proprio stare insieme.
Dopo il primo incontro sul verbo “conoscere”, gli appuntamenti successivi riguarderanno:
– 23 novembre 2008
COMUNICARE: dalle parole alla Parola
– 14 dicembre 2008
PROGETTARE: il nostro incontro fa parte di
un progetto più grande
– 11 gennaio 2009
COSTRUIRE: vogliamo essere una coppia
fedele
–
8 marzo 2009
DONARSI: siamo coppia feconda che dà la
vita.
Nel cammino di approfondimento saremo
aiutati da don Gianni Ballarini e da alcune
coppie collaboratrici del Centro.
Questo cammino sarà completato il 15 febbraio dalla 4ª Festa degli innamorati e il
20-21-22 marzo da un ritiro spirituale.
♦♦♦♦♦♦♦♦♦
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INCONTRI di CONFRONTO
e CONDIVISIONE
per quanti vivono situazioni
matrimoniali difficili
(separazione, divorzio, nuovi legami)
Il tema del “disagio familiare”, legato a situazioni matrimoniali difficili, crisi, separazioni,
divorzi, nuovi legami rappresenta oggi un’urgenza pastorale.
Una delle proposte a tal riguardo sono gli INCONTRI di CONFRONTO e CONDIVISIONE,
organizzati in collaborazione con il Centro
Camilliano di Formazione, con sede in Via
Bresciani, 2 a Verona, a partire da lunedì 10
novembre 2008 fino a maggio 2009 con
cadenza quindicinale. Gli incontri si svolgono dalle 20.30 alle 22.30.
Essi prevedono la presenza come tutor di don
Giuseppe Marchi, esperto in counselling familiare
L’obiettivi è quello di favorire un confronto
sereno, di creare momenti di condivisione e di
aiutare a riprendere fiducia e speranza.
Gli incontri sono aperti solo ai singoli.
Per informazioni ed iscrizioni rivolgersi a: Segreteria del Centro Camilliano di Formazione tel. 045-913765 da lunedì a venerdì
dalle 9.00 alle 12.00.
La partecipazione agli incontri è gratuita.
♦♦♦♦♦♦♦♦♦
Si informa che nel prossimo mese di febbraio
(21-22– 23/2009) a Castelletto di Brenzone,
in collaborazione con l’Istituto Piccole Suore
della Sacra Famiglia, le Diocesi Lombarde e
del Triveneto e con il Centro Studi Nazareth,
viene organizzato un corso di base “Animatema® di famiglia”.
È rivolto ai giovani e alle giovani, di età compresa 15-28 anni, desiderosi di camminare
“per” e “con” la famiglia, in un servizio di
animazione.
Il programma completo è reperibile su
www.portalefamiglie.it
Informazioni possono essere chieste al nostro
centro.
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CENTRO PASTORALE
ADOLESCENTI - GIOVANI
Via Mirandola, 47 – 37026 Settimo di Pescantina (VR) - Tel. e Fax 045 6767556
www.giovaniverona.it – [email protected]
[email protected]
ADOLESCENTI
SUSSIDI
“È apparsa la grazia di Dio”, Libretti per la
preghiera personale dei ragazzi in avvento.
“È più bello insieme”: un nuovo sussidio per
gli adolescenti, pensato per accompagnare
con alcuni spunti di riflessione e di preghiera
le giornate delle “settimane di vita comune”
che molte realtà parrocchiali propongono ai
loro ragazzi.
Invitiamo tutti gli animatori che pensano di
accompagnare i loro adolescenti alla Festa
della Vita: DOMENICA 11 GENNAIO 2009
dalle ore 9.00 alle 12.30 a Casa Serena per
l’Assemblea animatori.
BIENNIO DELLA FEDE
CAMPO INVERNALE AI TRACCHI: 26-28 dicembre, per i gruppi parrocchiali di ragazzi
del ’91 e del ‘90, accompagnati dai loro animatori.
VEGLIA DELL’ AVVENTO
Una veglia su misura degli Adolescenti per
aiutarli a vivere con intensità l’attesa di Gesù.
A CASA SERENA – SETTIMO DI PESCANTINA
SABATO 29 NOVEMBRE 2008 dalle 18.00
alle 22.00.
ALLA DOMUS PACIS DI LEGNAGO
SABATO 13 DICEMBRE 2008 dalle 18.00 alle 22.00.
(Iscrizioni via mail o telefonando).
FESTA DELLA VITA
DOMENICA 1 FEBBRAIO 2009 FESTA DELLA
VITA – MEETING INVERNALE
Tutto il giorno: orari e luogo saranno comunicati successivamente.
GIOVANI
• Veglia di preghiera nello stile di Taizé:
venerdì 19 dicembre 2008.
• Ultimo con gli ultimi: presso il Seminario di San Massimo
La proposta alternativa di un ultimo dell’anno a servizio di chi l’ultimo lo trascorrerebbe da solo.
• 9-30-31 Tre giorni con gli ultimi: a Casa
Serena
Un “mini campo” di formazione e di servizio, per toccare con mane tante realtà di
servizio a chi è più svantaggiato.
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CPR - CENTRO PASTORALE
RAGAZZI
AVVENTO 2008:
È APPARSA LA GRAZIA DI DIO
Le proposte dell’avvento 2008 del CPR si inseriscono nelle indicazioni diocesane che, oltre a
tener dell’orizzonte datoci dagli orientamenti
del nostro Vescovo intorno al grande tema
della comunione, vogliono aiutare i ragazzi a
vivere i quattro atteggiamenti e valori che
ruotano attorno al titolo del tempo forte che
ci prepara al Natale (È apparsa la Grazia di
Dio) cioè: la gratuità, la disponibilità, la gioia e
la verità.
SUSSIDIO “PREGHIERA
IN FAMIGLIA”
E INSERTO RAGAZZI
Questo sussidio è preparato unitariamente da
Caritas, CPR e Centro pastorale Familiare.
Vuole aiutare particolarmente la famiglia a
dedicare del tempo alla preghiera come ascolto della Parola di Dio e risposta pregata e disponibile.
Rispetto agli altri anni ogni giorno offre anche
uno spazio di meditazione anche per i ragazzi
e propone le preghiere dell’Angelus e del Magnificat come testi da valorizzare.
All’interno del libretto, si trova anche un simpatico e coinvolgente inserto dedicato ai ragazzi per far vivere loro l’Avvento in modo più
significativo con racconti, giochi e proposte di
impegno. Naturalmente il tutto “funziona”
meglio se è accompagnato dai genitori e dalla parrocchia.
Un sussidio a parte per catechisti e animatori spiega l’itinerario diocesano e suggerisce come utilizzare al meglio il sussidio per i
ragazzi e propone alcuni spunti per l’animazione liturgica della domenica.
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RITIRI E VEGLIA DELL’ATTESA
Per i fanciulli di quarta e quinta elementare e
per i ragazzi di prima e seconda media viene
suggerito uno schema di ritiro che si propone
di far scoprire il grande dono della grazia, che
non è una cosa, ma è la relazione viva col Signore Gesù.
La proposta viene vissuta al Centro Pastorale Ragazzi di Settimo nei giorni indicati
e anche – se possibile – in tutti quelli che
risultano liberi.
Per i bambini di quarta e quinta
elementare
–
–
–
–
–
Sab
Gio
Dom
Gio
Dom
29 novembre
4 dicembre
7 dicembre
11 dicembre
14 dicembre
Per i ragazzi di prima e seconda media
–
–
–
–
–
–
Dom
Sab
Lun
Sab
Gio
Dom
30 novembre
6 dicembre
8 dicembre
13 dicembre
18 dicembre
21 dicembre
Per i ragazzi di terza media vengono proposti:
♦ il week-end di spiritualità a S. Giovanni in
Loffa con l’ACR (1ª proposta: 22 e 23 novembre 2008 e 2ª proposta: 14 e 15 febbraio 2009). Informazioni e iscrizioni presso l’Azione Cattolica (tel. 045.8004925).
♦ la Veglia dell’Attesa presso il CPR di Settimo di Pescantina prevista per sabato 20
dicembre (ore 18-22).
Sia i ritiri che la veglia dell’Attesa possono na-
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turalmente essere proposti anche nei vicariati
e tra parrocchie che si organizzano insieme (a
metà novembre sarà disponibile on-line sul sito della diocesi). Inoltre sono realizzati, con un
calendario specifico, presso la Domus Pacis di
Legnago.
Allora ecco che è nato il progetto che si vuole
preparare e concretizzare per il 18 gennaio. I
dettagli dell’evento saranno comunicate alle
parrocchie di Verona secondo una proposta
ad esperimentum che, un domani, potrebbe
interessare tutta la diocesi.
DOMENICA 18 GENNAIO
(ore 15.30): IL VESCOVO
IN CATTEDRALE INCONTRA
I CRESIMANDI DEI QUATTRO
VICARIATI DI VERONA CITTÀ
E I LORO GENITORI
PROTOCOLLO PREADOLESCENTI
E SPERIMENTAZIONE MEDIE
Appuntamento importante per i cresimandi
dei vicariati di Verona centro, Verona nordest. Verona nord-ovest e Verona sud, cioè del
comune di Verona.
Il vescovo mons. Giuseppe Zenti li desidera incontrare (insieme ai loro genitori e padrini)
una domenica pomeriggio, precisamente domenica 18 gennaio 2009 in Cattedrale dalle
ore 15.30 per un momento gioioso ed ecclesiale.
La preparazione alla confermazione è un momento privilegiato per scoprire il legame con
la chiesa diocesana e con il Vescovo, in particolare – tant’è che è lui il ministro originario
della cresima.
Non sempre però il vescovo titolare può, come noto, essere presente il giorno della cresima stessa. Ecco perché è nata la proposta di
richiamare i ragazzi almeno della città di Verona e le loro famiglie all’incontro con mons.
Zenti nella chiesa madre della Cattedrale, innanzitutto perché questi legami così importanti diventino una cosa vera e reale. Il rischio
infatti, lo sappiamo bene, è che il vescovo e la
cattedrale siano segni sbiaditi e confusi nel
cuore e nella testa dei ragazzi.
L’Uff. Catechistico e il CPR hanno promosso
negli ultimi due anni una riflessione chiamata
laboratorio medie che voleva fare il punto sulla catechesi e pastorale dei preadolescenti,
sviluppando le questioni centrali che caratterizzano questa fascia di età.
Il tutto ha suscitato un PROTOCOLLO che è
da un lato sintesi del percorso, dall’altro una
sottile traccia che aiuta a concentrarsi su alcuni punti in modo da orientare il cammino intorno ad alcune priorità.
Vuole diventare un punto di riferimento per
chi si occupa di preadolescenti, sostenendo
una formazione per catechisti e genitori, ma
educatori in genere di ragazzi delle medie,
abilitarli a realizzare una verifica sulle proposte in atto e sostenere processi di rinnovamento.
NB - Il protocollo e il materiale dei vari incontri, pubblicato sui precedenti numeri di Informazioni pastorali lo si può richiedere on-line
scrivendo a: [email protected]
È partita da quest’anno una sperimentazione
a Cerea in I media per riformulare un itinerario che valorizza quanto approfondito nel laboratorio e avendo come sfondo il protocollo
stesso.
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UFFICIO PASTORALE
DELLA SALUTE
Verso un progetto di pastorale
della salute
Vengono proposte alla diocesi alcune iniziative:
1. Conosciamo il mondo della sofferenza e le sue imprevedibili risorse,
attraverso un questionario rivolto alle
parrocchie.
Al 10° convegno Nazionale dei Direttori Diocesani per la pastorale della Salute si è anche
trattato l’argomento della Parrocchia come
luogo di promozione della salute. L’incarnazione visibile della chiesa è la Parrocchia che
ha come vocazione di diventare comunità cristiana operante in un determinato luogo: “La
Parrocchia costituisce di fatto ancora oggi la
prima e insostituibile forma di comunità ecclesiale” sono parole di Giovanni Paolo II.
L’attenzione ai malati è di grande attualità,
perché è una via privilegiata per la testimonianza del Vangelo. Ancora Giovanni Paolo II:
“La sollecitudine per i sofferenti costituisce
per una comunità cristiana una delle credenziali più convincenti per essere una vera comunità di fede, di carità e di fedeltà a Cristo”.
Il malato è destinatario privilegiato e insieme
soggetto attivo e responsabile della missione
salvifica della Chiesa.
Nelle nostre Parrocchie la pastorale della Salute è inserita nella propria pastorale ordinaria o
è ancora una pastorale di delega al singolo
presbitero o ai ministri straordinari dell’Eucarestia, senza coinvolgere l’intera Comunità
Parrocchiale? Una Parrocchia è Chiesa quando si interroga circa la situazione di disagio
presente nel suo territorio; una Comunità annuncia il Vangelo e fa catechesi quando si interessa dei bisogni dell’altro con la carità.
Poniamoci alcune domande: quale relazione
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c’è tra Parrocchia e Pastorale della salute?
Com’è considerato il malato dalla comunità
parrocchiale? Ed egli come si sente nella parrocchia? La catechesi, la liturgia, la carità come interagiscono per promuovere la pastorale sanitaria? In altre parole la pastorale della
salute è al centro dell’attività evangelizzatrice
parrocchiale?
Ci sono sensibilità e attenzione alle situazioni
di sofferenza e non solo della malattia e della
morte, ma anche verso altre situazioni: anziani, disabili, bimbi di genitori separati, emigrati, etc.? Ed è un istituto educativo per un coretto concetto di salute, con una particolare
attenzione alla corporeità e alla sessualità ed a
una educazione alla comprensione della fragilità e all’emarginazione?
Fare la radiografia del proprio essere e del
proprio agire è il primo passo per aprirsi ad
una vera e propria conversione pastorale, che
eviti un atteggiamento rinunciatario,di indifferenza o di semplice commiserazione verbale
verso la sofferenza dell’altro.
Incoraggiata da quanto dice il Progetto Pastorale 2008-2011 “L’obiettivo che la nostra
Chiesa intende raggiungere è quello di far nascere o incrementare lo spirito di condivisione
oggi particolarmente necessario, soprattutto,
segno credibile e fecondo di uno stile di vita
comunionale finalizzato all’evangelizzazione”, la Consulta Diocesana della Pastorale
della Salute propone un cammino comune,
partendo dalla radiografia della situazione attuale per arrivare alla proposta di iniziative di
condivisione di esperienze e di formazione comuni e condivisi.
Facciamo appello pertanto ai Parroci, eventualmente aiutati dal Consiglio Pastorale, di
compilare il questionario,come prima tappa
per far nascere questo spirito di condivisione
fra le nostre parrocchie anche nella Pastorale
della Salute.
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QUESTIONARIO INFORMATIVO
A TUTTI I PARROCI
Vicariato...................................................... Parrocchia......................................................
Sono presenti gruppi (o persone) che si occupano di pastorale della salute (malati, disabili,
malati mentali, anziani soli, altri sofferenti)?
GRUPPO DEL MALATO
MINISTRI STRAORDINARI DELL’EUCARISTIA
UNITALSI
SAN VINCENZO
ALTRI ........................................................................……………
Nel consiglio pastorale, vi è un rappresentante del gruppo
Esiste una commissione della carità e della salute
SI
SI
SI
SI
NO
NO
NO
NO
SI
SI
NO
NO
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
NO
NO
NO
NO
NO
NO
NO
Esiste un’anagrafe parrocchiale di:
– ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI
– DISABILI
– MALATI MENTALI
– MALATI
– MALATI D’ALZHEIMER
– PERSONE SOLE
Sono visitati regolarmente da sacerdoti e laici
Come i malati e i sofferenti sono una presenza di evangelizzazione e una via importante
nella vita della comunità
✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦✦
È celebrata ogni anno:
La Giornata Mondiale del Malato?
La Giornata comunitaria dell’Unzione dei malati?
La parrocchia programma incontri di formazione?
Pastorale della Salute (prevenzione, sensibilizzazione)
Bioetica
ALTRO ...........................................................................................
È interessata ad averne?
A livello vicariale
A livello parrocchiale
C’è il tentativo di inserire la pastorale dei malati in quella ordinaria?
SI
SI
NO
NO
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
NO
NO
NO
NO
NO
NO
NO
Chiediamo, se possibile, il Nome e il Telefono di un referente
..........................................................................................................................................
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Come piano di lavoro,
questi sono gli obiettivi:
3. Parrocchia Spirito Santo (Verona Nord
Ovest) d. Claudio Tezza
♦ informare i vicari foranei del progetto;
4. Santuario di Tombetta (Verona Sud): don
Zeno Ferrari
♦ presentare il questionario sul numero di
“Informazioni pastorali” (Avvento 2008) e
contemporaneamente inviare il questionario ad ogni parroco;
♦ raccogliere i questionari entro febbraio
2009 con queste modalità: o invio del questionario dalle parrocchie all’Ufficio Pastorale della salute, piazza Vescovado 7,
37121 Verona, o ritiro presso il parroco da
parte dei componenti dei gruppi Unitalsi e
dei membri della commissione Parrocchie;
6. Santuario del Frassino (Lago Veronese):
fra Pio Prandina
7. Santuario Cristo della Strada (Caprino):
don Mario Brutti
8. Santuario dell’Addolorata di Lughezzano
(Valpantena): don Enrico Bombieri
9. Parrocchia Valeggio (Villafranca): don
Marco Crescente
♦ elaborare i questionari (Quaresima-Pasqua
2009);
10. Parrocchia Vago (Soave-S.Martino): don
Gianni Naletto
♦ prendere contatto con uno o due Vicariati
per proporre un cammino d’insieme, giugno 2009;
11. Parrocchia Bovolone (Bovolone-Cerea):
don Paolo Troiani
♦ presentare il progetto in uno o due vicariati settembre 2009.
12. Parrocchia Caselle di Nogara (Isola della
Scala): don Emanuele Previdi
13. Santuario Porto Legnago (Legnago): don
Alessandro Benini
2. Per chi vive il lutto
14. Parrocchia Bardolino: mons. Giovanni Ottaviani
Un’urgenza pastorale è l’attenzione a chi vive
un lutto, particolarmente a chi ha perso un/a
figlio/a. Proponiamo, a partire da gennaio, i
luoghi di incontro di spiritualità, mentre i giorni e gli orari saranno fatti conoscere nei Vicariati.
15. Madonna della Corona: mons. Piergiorgio Formenti. Continuano i 4 incontri annuali con i genitori del gruppo: “Tuo figlio vive!”.
1. Santuario Madonna di Lourdes (Verona
Centro): padre Renato Carcereri
2. S. Fidenzio (Verona Nord Est): don Roberto Campostrini
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5. Parrocchia Castel D’Azzano (Cadidavid):
don Claudio Turri
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Un’altra iniziativa è la proposta di creare dei
piccoli gruppi con persone che vivono il lutto.
Indichiamo i luoghi dove si tengono gli incontri di auto mutuo aiuto e le persone che accompagnano:
♦ parrocchia S. Giacomo, vicino all’Ospedale
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di B. Roma, (don Gianni Naletto
3403851924; Nora Sartori 3478289952),
♦ Sezano (don Luciano Ferrari 045 550116),
♦ Centro Camilliano di Formazione (don Zeno Ferrari 3398034289; Malaika Ribolati),
♦ Ospedale di B. Trento (padre Pierpaolo Valli 045 8122110).
UNITALSI
L’Unitalsi propone il cammino mensile (nel primo momento la Lectio divina sul vangelo della carità e nel secondo, formazione etica, pastorale, relazionale e professionale) dei gruppi
parrocchiali, zonali e vicariali in questi luoghi e
nei giorni delle quattro settimane.
➤ LUNEDÌ
S. Giovanni Lupatoto, Raldon, Pozzo, Cadidavid Buttapietra Palazzina
➤ MARTEDÌ
Lugo, Grezzana, Boscochiesanuova, Stallavena, Romagnano, Lughezzano, Corbiolo, Cerro, Azzago
➤ MERCOLEDÌ
Caldiero-Pieve Soave, Monteforte, Marcellise,
Caldierino, Vago, Belfiore, Colognola ai Colli,
Strà, Mambrotta, S. Martino Buon Albergo, S.
Zeno di Colognola, S. Briccio
➤ GIOVEDÌ
Sommacampagna, Sona, Palazzolo, Caselle,
S. Giorgio in Salici, Custoza
➤ VENERDÌ
Nogara, Caselle, Maccacari, Campalano, Bonferraro, Gazzo Veronese
➤ LUNEDÌ
S. Massimo, Croce Bianca, Borgo Milano (don
Marco Causarano) Borgonovo, Chievo, S. Domenico Savio, S. Maria Immacolata, S. Maria
Maddalena, S. Maria Regina, Negrar (don
Noicir Marchetti e don Benedetto Bertini),
Corrubio, Fumane, S. Pietro Incariano, Valgatara, Arbizzano, Settimo, S. Vito, S. Maria,
Giare, S. Anna d’Alfaedo
➤ MARTEDÌ
Dossobuono, Alpo, Castel D’Azzano, Lugagnano, Azzano, Verona Sud (don Paolo Raguzzi) S. Lucia, S. Giovanni Evangelista, S.
Maria Assunta, Madonna Dossobuono, Gesù
Divino Lavoratore, Madonna Fraternità, S. Teresa, Tomba
➤ MERCOLEDÌ
Madonna della Pace, S. Michele, S. Croce, Castiglione, Addolorata, Madonna della Pace,
Montorio
➤ GIOVEDÌ
Legnago Angiari Aselogna Begosso, Bonavigo, Canove, Casette, Cerea, Porto di Legnago,
Orti, S. Pietro, Terranegra, Terrazzo, Vangadizza, Vigo, Bonavigo, Castagnaro, Villbartolomea
➤ VENERDÌ
Tregnago Illasi, Cellore, Badia Calavena, S.
Mauro, Selva di Progno, Cogollo, S. Andrea,
S. Rocco, Velo, Rovere
➤ LUNEDÌ
S. Pietro Apostolo, S. Eufemia, Avesa, S. Giorgio in Braida, S. Cuore, Quinzano, S. Zeno, S.
Luca, Veronetta, S. Francesco, Bussolengo (d.
Annibale Modena), Pescantina, Pastrengo
➤ MARTEDÌ
Valeggio, Quaderni, Rosegaferro, Salionze
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➤ MERCOLEDÌ
Lago Bresciano, Sirmione, Lugana, Colombare, Rivoltella, Desenzano-Duomo, S. Zeno, S.
Angela Merici, Manerba, Zevio (padre Rino)
Ronco, Albaro, Albaredo, Caselle di Pressana,
Michellorie, Ss. Angeli Custodi (don Marco
Bozzola)
➤ GIOVEDÌ
Borgo Venezia S. Pio X, S. Marco, S. Giuseppe
fuori le mura, S. Felice Extra, S. Croce, S. Pancrazio al Porto, Addolorata, Mizzole, Quinto,
Poiano, Cancello, S. Cuore, S. Luca, Marzana
➤ VENERDÌ
Lago Veronese Castelnuovo, Peschiera, B. Andrea da Peschiera, Garda, Malcesine, Torri, Lazize, Albisano, Cavalcaselle, Sandrà
➤ MARTEDÌ
Cavaion, S. Zeno di Montagna, Pazzon, Albarè, Rivoli, Costermano, Caprino, Affi, Belluno, Brentuno, Rivalta
➤ MERCOLEDÌ
Villafranca-Duomo, Madonna del Popolo,
Mozzecane, Vigasio, Povegliano, Forette, Caluri, Pizzoletta, Bagnolo, Pradelle, Nogarole,
Lugagnano
➤ GIOVEDÌ
Isola della Scala, Trevenzuolo
➤ DOMENICA
Callegari.
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Informazioni Pastorali – Avvento 2008
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CENTRO DI PASTORALE
UNIVERSITARIA - VERONA
Via Nicola Mazza, 18 – 37129 Verona
Tel. 338 8810485 – 045 8007790
1. PROPOSTE
PER GLI STUDENTI
Premessa
Il C.P.U. offre agli studenti un percorso complementare a quello universitario, perché attento alla formazione e all’esistenza. Mentre i
diversi corsi di laurea hanno come scopo l’ampliamento e l’approfondimento di un campo
del sapere, verificato dagli esami e poi dalla
professione, la nostra proposta vuol sollecitare gli studenti alla ricerca di «senso» quale
fondamento (veritativo) e insieme orientamento (etico) nel vivere, in un contesto segnato dal pluralismo delle visioni. Tutto ciò
iniziandoli al gusto maturo del Vangelo e di
una fede adulta.
Metodo
La formazione si svilupperà su alcuni percorsi
che intersecano differenti campi del sapere,
del credere e del vivere, e utilizzano diverse
metodologie. La fruttuosità di tale offerta sarà
verificata non da risultati immediati ma dall’attivazione di dinamiche interiori e di scambi
tra i partecipanti ed il loro ambiente di vita.
Finalità
Nell’orizzonte laico dell’Università, la Fede ritiene di poter offrire il proprio contributo – in
una logica di reciprocità con i saperi accademici – alla comune ricerca di senso, sia nei
confronti delle tematiche culturali in generale,
sia in relazione al tema specifico della vita professionale.
Circa l’apporto di cultura e di riflessione, la fede acquista il valore di poter discretamente
fornire ulteriori motivi che s’aggiungono alla
ricerca di tutti. Non pretende di dire qualcosa
di conclusivo per tutti, ma di arricchire – con
l’originale apporto cristiano – il punto di vista
sulla realtà.
CONTENUTI
Formarsi
BIBLIOTECA di spiritualità “G. Bertoni” e Aule
studio.
– Nella Sede del C.P.U. (via N. Mazza, 18) è
disponibile la biblioteca con 3.500 volumi
di spiritualità ebraica e cristiana, biografie
dei santi e i loro scritti, fonti patristiche, testi di teologia, di morale sociale, economica
e bioetica.
– Molti testi sono già inseriti nel catalogo
OPAC dell’Ateneo e consultabili sul sito dell’Università di Verona – sezione Biblioteche
(digitare nella stringa: CPU) – o all’indirizzo
diretto per la ricerca: http://131.175.3.38/F.
– Il Centro offre agli studenti alcuni spazi comodi e silenziosi per lo studio personale e
uno per lo studio di gruppo.
– L’accoglienza è garantita da laureati adulti che volontariamente si offrono per consulenza e sorveglianza.
– Il direttore don Mariano è presente in Biblioteca il lunedì pomeriggio. È disponibile
ogni giorno per colloqui personali in canonica a S. Paolo (tel. 045 8007790).
ORARI BIBLIOTECA E AULE STUDIO
LUNEDÌ – VENERDÌ 8.30-13 / 14-18.30
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SULLE TRACCE DEI CRISTIANI
DAL SECOLO 1° AL 5°
S. MESSA per gli studenti universitari animata
a turno dai Collegi universitari:
ROMA: 25-28 agosto 2009
(17/12 – 25/02 Ceneri – 25/03 – 13/05)
Ore 18,30 – Chiesa di S. Paolo c.m.
(fronte Rettorato).
Sequenza “storico/geografica” per una visita
alle più antiche chiese di Roma.
Dalla Domus Ecclesia negli Scavi alla Basilica
dei Santi Giovanni e Paolo al Celio, passando
attraverso gli Scavi vaticani, la tomba di Pietro
fino a Santa Cecilia in Trastevere.
Ci aiuta il prof. d. FEDERICO DAL CORUBBOLO storico della Chiesa e parroco di S. Maria ad
montes – Roma.
IL BELLO DELLA FEDE CRISTIANA
“Vedere, Contemplare e Sperare”
Tre serate nelle Chiese del Centro.
• ore 20,30-22
Meditazione con gli occhi – riflessione sulla
Parola di Dio che ha ispirato l’artista – silenzio
– condivisione comunitaria.
• Giornata di spiritualità in Avvento: 30 novembre c/o Eremo s. Giorgio di Bardolino
(VR).
• Giornata di spiritualità in Quaresima: 1
marzo c/o Eremo s. Giorgio di Bardolino
(VR).
• Giornata di spiritualità Pentecoste: 31
maggio c/o Eremo s. Giorgio di Bardolino
(VR)
Partenza dalla Chiesa di S. Paolo ore 8,30 –
Ritrovo all’Eremo ore 9,15.
• 12 novembre – S. Nazaro
Natività, adorazione dei Magi.
MUSICA, CONTEMPLAZIONE
E SOLIDARIETÀ
• 11 marzo – S. Fermo
Scultura 1300 Crocifissione (cappella S. Antonio) e Risurrezione.
“Ensemble cameristico del C.P.U.”
• 6 maggio – S. Giorgio
Noli me tangere – (Montemezzano – discepolo di Paolo Veronese).
Ci aiutano:
prof. don Piergiorgio Rizzini
dott. Isabella Bighignoli.
Celebrare
S. MESSA di inizio A/A – Studenti con il Vescovo di Verona Mons. Giuseppe Zenti
19 novembre c/o Chiesa di S.Paolo c.m. ore
18,30.
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Ascoltare e lodare
Informazioni Pastorali – Avvento 2008
L’ascolto della musica favorisce la scoperta di
una corrispondenza segreta tra suono e parola, parola e voce, silenzio e preghiera per diventare carità.
In collaborazione con l’Università di Verona
e l’E.S.U. siamo lieti di invitarvi ai concerti
eseguiti dai laureandi e dottorandi ma già diplomati al Conservatorio.
Venerdì 16 gennaio – Venerdì 23 gennaio
c/o Chiesa di S. Paolo ore 20,45
Ingresso libero. I giovani propongono un’offerta libera a favore della missione diocesana
veronese a Pinar del Rio (CUBA).
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Prima decade di luglio 2009
c/o Chiostro s. Francesco
(fac. Lettere e Lingue) ore 21.
Seguirà il programma dettagliato.
Modalità: Frontale e Tavola Rotonda dei docenti – interrogativi degli studenti N. ore complessive del corso: 12
Crediti: 1
Date ed orario:
otto martedì – dal 17-02-09 al 07-04-09
ore 17.30 – 19.00
CORSO PER STUDENTI
DELLA FACOLTÀ DI MEDICINA
L’ANIMO DEL MEDICO:
percorso formativo verso
una medicina della persona
SEDE: Facoltà di Medicina
N. MAX studenti iscrivibili: 50
DESTINATARI: studenti del corso di Laurea in
Medicina e Chirurgia di ogni anno.
Il Corso è già stato effettuato l’anno scorso
con successo di partecipazione e di interesse
per 45 studenti di Medicina.
Obiettivi
Offrire allo studente del Corso di laurea, ad
ogni livello del suo percorso formativo professionale – tecnico, l’opportunità di confrontarsi con il modello antropologico della “medicina della persona” in vista di:
1. promuovere una pratica della professione
che consenta di rispondere creativamente
alle sfide causate dalla complessità del
mondo sanitario,
2. far sorgere interrogativi non solo in senso
“scientifico”, ma esistenziale. Dunque
rendere capaci di elaborare il proprio vissuto, tramite l’esercizio e la cura di porsi di
fronte a se stessi ed allo svolgimento della
professione,
3. coltivare la “postura umana” della professione composta da: comunicazione, sana
distanza, empatia, relazionalità, coscienza
dei limiti propri e della medicina, ecc. così
da favorire una cura rivolta alla totalità della persona.
Struttura del corso
1. La salute: evoluzione di un’idea …
parte 1ª (Italo Vantini)
2. La salute: evoluzione di un’ idea …
parte 2ª (Italo Vantini)
3. Tra dignità e vulnerabilità: il corpo (Roberto Vinco)
4. Tra dignità e vulnerabilità: la psiche
(Fabio De Nardi)
5. Tra dignità e vulnerabilità: lo spirito
(Giuseppe Laiti)
6. Modelli antropologici in medicina (Arnaldo Peterlini – M. Antonietta Bassetto –
Claudio Bassi)
7. Sintesi creativa di curare e prendersi
cura: l’umanizzazione dell’assistenza
(Lisa M. Bambara – Giovanni Pizzolo)
8. Valutazione del corso con presenza al
completo dei docenti.
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Ri-crearsi
♦ Corso di chitarra – coord. Nadalini Elisa
3290079226 – sede CPU.
Prof. Laura Adami
(lingue e lett. straniere) 045974652
♦ Corso di conversazione in lingua inglese – coord. prof. Elisabetta Smith.
Don Mariano Ambrosi
(direttore Centro Past. Univer.) 0458007790
[email protected]
♦ Corso di conversazione in lingua tedesca – coord. prof. Elisabetta Smith.
PER RAGGIUNGERCI:
PROGETTI ESTIVI
VIAGGIO STUDIO a BERLINO:
Sulle tracce di testimoni
nella bufera nazista e comunista
In collaborazione con la Facoltà di Lingue e
Lett. Straniere (sez. Germanistica) frequentazione di luoghi, riflessione su documenti e
ascolto di testimoni che hanno resistito, grazie alla forza del vangelo, alla violenza di due
dittature.
❖ Prigione e camera delle impiccagioni di
Plötzensee, chiesa e il monastero Regina
Martyrum, casa e biblioteca di Dietrich
Bonhöffer, Cattedrale cattolica con la tomba del parroco martire B. Lichtenberg.
❖ Lettura di testimonianze di August Clemens von Galen (Vescovo di Münster) Dietrich Bonhöffer (teologo protestante),
Mons. Bernard Lichtenberg (prevosto del
Duomo), Sophie e Hans Scholl (studenti
univ.), Alfred Delp (sociologo gesuita).
❖ Ascolto di testimoni credenti durante la
dittatura comunista DDR.
❖ La visita alla Sinagoga di Oraniestrasse.
Date previste: 6 giorni nella seconda metà di
agosto 2009.
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PER INFORMAZIONI:
Informazioni Pastorali – Avvento 2008
C.P.U.
Via Nicola Mazza, 18 - 37129 Verona
tel. 045 8035924 – 045 8013034
www.cpunivr.it
[email protected]
Corpo docente
PROFF.
LISA MARIA BAMBARA, ANTONIETTA BASSETTO, CLAUDIO BASSI, ITALO VANTINI, GIOVANNI
PIZZOLO: Docenti della facoltà di Medicina e
Chirurgia – Università degli Studi di Verona.
ARNALDO PETTERLINI: Prof. Ordinario di Filosofia – Fac. Lingue e letter. Straniere – Università
degli Studi di Verona.
ROBERTO VINCO: Prof. Ordinario di Filosofia
“Studio teologico S. Zeno”, Verona.
GIUSEPPE LAITI: Prof. Ordinario di Teologia Patristica “Studio teologico S. Zeno”, Verona.
dr. FABIO DE NARDI: Psichiatra – Direttore Sanitario Ospedale Villa “S. Giuliana”, Verona.
d. MARIANO AMBROSI: Direttore Centro di Pastorale Universitaria e segretario del Corso.
Il Corso diretto dai Proff. Claudio Bassi e Maria Antonietta Bassetto della Facoltà di Medicina è organizzato dalla Facoltà di Medicina,
su proposta del Centro di Pastorale Univ. e in
collaborazione con esso.
Il C.P.U. ha in corso trattative con i Presidi e i
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Docenti di altre Facoltà universitarie per far
partire nei prossimi semestri, Corsi di Formazione antropologica, relativi alla futura professione degli studenti. L’accoglienza e la disponibilità riservataci dalle autorità accademiche ci è di incoraggiamento.
Ci accomuna l’aver a cuore non solo “il sapere” e “il saper fare” ma anche “il saper vivere”
e “amare” le persone cui gli studenti si rivolgeranno per svolgere responsabilmente la
propria professione.
2. PERCORSI
DI FORMAZIONE
PER LAUREATI
E PROFESSIONISTI
Premessa
Il Centro di Pastorale Universitaria della Diocesi, in collaborazione con l’Ordine dei Medici di Verona, l’Unione Giuristi Cattolici e
l’Associazione dei Laureati veronesi in Economia (A.L.V.E.C), offre la possibilità di spronare la propria ricerca aprendo un dialogo
tra le proprie competenze professionali, la
cultura e la vita.
Il percorso si svilupperà attraverso percorsi
modulari che solcano differenti campi del sapere e utilizzerà diverse metodologie: incontri, dibattiti, intrattenimenti artistici e audizioni musicali. I percorsi e le metodologie mirano
allo scopo ultimo: approfondire l’etica nella
nostra professione.
La fruttuosità dei percorsi sarà verificata non
da risultati immediati ma dall’attivazione di dinamiche interiori, dagli scambi tra i partecipanti ed il loro ambiente di vita.
Fruitori
Professionisti e laureati, aperti alla ricerca e interessati a crescere culturalmente, anche attraverso discipline diverse dalla propria.
PROGRAMMA
RIFLESSI LUMINOSI
DAI SECOLI BUI
“La bellezza salverà il mondo” afferma il principe Miskin nell’Idiota di Dostoevskij. La conferma la cerchiamo in questi tre incontri aiutati dalla lettura a due voci sui tesori dell’arte
cristiana dal sec. VI al XI (miniature, avori, oggetti d’arte dai musei di Parigi e Bruxelles). La
bellezza in essi contenuta ci stimola alla
bontà, all’equilibrio e dunque all’autenticità.
Ci guida la certezza di Paul Klee che scrive:
“l’arte non ripete le cose visibili ma rende visibile ciò che spesso non lo è”. Il nostro obiettivo? Far affiorare in noi e tra noi frammenti di
umanità.
Metodo
✦ Introduzione sul tema della serata a cura
della prof. Tiziana Franco.
✦ Lettura iconologica di alcune opere a cura
d. Antonio Scattolini.
✦ Apporti e dialogo con i partecipanti.
Venerdì 7 novembre: Tesori longobardi
Venerdì 21 novembre: Tesori carolingi
Venerdì 5 dicembre:
Tesori ottoniani
ore 20,45 – 21,45
c/o Salone parrocchiale – S. Paolo C.M. –
Via Artigliere, 1 – VERONA
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Conducono:
• prof. Tiziana Franco – docente di Discipline Storiche Artistiche, Archeologiche e
Geografiche alla Fac. Lettere e Filosofia
Univ. Verona (lettura iconografica)
• prof. don Antonio Scattolini – direttore
Centro Catechistico Diocesano (lettura
iconologica).
la, parola e voce, silenzio e preghiera. E diventa solidarietà. Siamo lieti di invitarvi ai concerti eseguiti da giovani Laureandi e dottorandi,
già diplomati al Conservatorio.
Venerdì 16 gennaio
Venerdì 23 gennaio
c/o Chiesa di S. Paolo ore 20,45
Ingresso libero
MUSICA, CONTEMPLAZIONE
E SOLIDARIETÀ
I musicisti propongono un’offerta liberale da
destinare alla missione diocesana veronese a
Pinar del Rio (Cuba).
“Ensemble cameristico del C.P.U.”
L’ascolto della musica favorisce la scoperta di
una corrispondenza segreta tra suono e paro-
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AZIONE CATTOLICA
ITALIANA
AZIONE CATTOLICA:
TRE OBIETTIVI
L’AC di Verona per il triennio 2008-2011 si è
data tre obiettivi:
a. Servire la comunione organica ecclesiale
b. Attenzione al territorio
c. Attenzione ad essere associazione
Proviamo ad entrare in dettaglio.
a. Servire la comunione organica
ecclesiale
Il perfetta sintonia con il nostro Vescovo sull’essenza e la missione della nostra associazione, l’Ac si propone di servire la comunione organica ecclesiale:
✱ operare perché tutto e tutti convergano
verso la comunione ecclesiale;
✱ prodigarsi perché tutte le espressioni ecclesiali trovino legittimazione e valorizzazione
nell’ambito delle parrocchie, delle vicarie e
della diocesi, in sintonia con il cammino
della Chiesa universale;
✱ favorire in tutti i modi la sinodalità, concorrendo ad attivare momenti di comunione anche visibile tra tutte le aggregazioni
riconosciute dall’autorità della Chiesa;
✱ vivere fianco a fianco dei pastori, presbiteri e vescovo, con i quali condividiamo, per
carisma, il dono di capire, apprezzare e servire la comunione organica.
b. Attenzione al territorio
“Territorio” e “persone” (popolo) sono termini che ormai suonano “vecchi” nel nostro
mondo globale infarcito di economia e comunicazione guidata. Ma il pianto di un bambino, i giochi dei ragazzi, il matrimonio dei giovani, gli sforzi dei genitori, le esigenze degli
anziani vengono dal territorio, da persone che
vivono quel territorio e quindi ad esso dobbiamo dare risposta.
Si tratta di prendendosi sulle spalle una missione nuova: quella di trovare un modo attuale, realizzabile, di portare il vangelo tra la
gente e vivere insieme da cittadini del nostro
territorio e nello stesso tempo del mondo
globale.
L’impegno del gruppo e dell’associazione tutta sarà quindi quello di sempre, ma rinvigorito
e rielaborato nei tempi attuali, in attuazione
del Carisma specifico dell’Azione Cattolica:
formare persone, i soci, in grado di farsi cristianamente carico delle esigenze del proprio
territorio nella sua globalità declinata nei suoi
aspetti personali, ecclesiali, sociali
c. Attenzione ad essere
associazione
Creazione di nuovi gruppi
Il terzo obiettivo è quello di tutte le persone
che sentono come loro missione partecipare
alla missione universale della chiesa, una missione che essi concretizzano, quando gli è
possibile, nella disponibilità ad operare in parrocchia, nel volontariato, in varie iniziative ed
ambiti a fianco della gerarchia.
Sono persone che hanno il carisma dell’Azione Cattolica. Che, si potrebbe dire, sono
di AC e non lo sanno. A quelle persone si
vuole dare la possibilità di vivere appieno il
loro carisma, se lo vorranno, nell’AC. Parimenti i sacerdoti che volessero introdurre
l’AC nella loro comunità potranno trovare
un supporto in AC.
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COSA FACCIAMO
QUEST’ANNO…
a. Servire la comunione organica
L’obiettivo del servizio alla comunione organica si concretizza quest’anno attraverso due
diverse azioni.
La prima azione si rivolge alle comunità ecclesiali (parrocchie). Si tratta di “proporre come
AZIONE CATTOLICA ai consigli Pastorali delle
parrocchie in cui è presente l’AC:
✥ l’effettuazione di incontri specifici in parrocchia sulla comunione organica ecclesiale;
✥ l’effettuazione di alcuni atti concreti che
facilitino la comunione organica ecclesiale”.
Si tratterà di un laboratorio sulla comunione
organica che si sviluppa in tre incontri predisposti dal centro diocesano.
La seconda azione consiste nel proporre un
“Laboratorio sulla comunione organica” a
partire dal Progetto Pastorale Diocesano.
Già negli anni scorsi l’AC aveva preparato un
“laboratorio” per i consigli pastorali parrocchiali attraverso i quali si facevamo emergere
le principali linee prospettate dai vescovi per
la parrocchia.
Il Progetto Pastorale Diocesano ha dato incarico all’AC di predisporre e rendere disponibile
un analogo “laboratorio” sulla comunione
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Informazioni Pastorali – Avvento 2008
organica ecclesiale da sviluppare nelle parrocchie che lo richiederanno, indipendentemente dalla presenza di un gruppo di AC. Il laboratorio è già attivo.
b. Attenzione al territorio
L’obiettivo dell’attenzione al territorio si concretizzerà nella seconda parte dell’anno attraverso un’azione di coinvolgimento dei nostri
Consigli Pastorali Parrocchiali e un forte supporto da parte dei Centri Diocesani di AC.
Tali azioni consistono in:
✥ sviluppare sul territorio la consapevolezza
e la formazione istituzionale. Rendersi responsabili della vita sociale come responsabilità primigenia rispetto alla politica.
✥ promuovere stili di vita cristianamente
orientati.
c. Attenzione all’essere
associazione
L’attività si svilupperà attorno a queste tre iniziative:
✥ Celebrazione del 140° dell’Azione Cattolica “tra Piazze e Campanili” a Verona.
✥ “Invita un amico” in AC.
✥ “Veglia dell’adesione diocesana” il 5 dicembre ed i segni dell’appartenenza.
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APPUNTAMENTI
Woodstock Giovani e ACR
Preghiera Giovani
Incontro Presidenti e Vicepresidenti
Week End Spiritualità 3a Media
Formazione operativa Giovani
VEGLIA ADESIONE DIOCESANA
Preghiera Giovani
Lectio Giovani
Campo Giovanissimi
Preghiera Giovani
Incontro Presidenti e Vicepresidenti
Formazione operativa Giovani
Formazione educatori ACR
Preghiera Giovani
Week End Spiritualità 3a Media
Formazione operativa Giovani
Woodstock Giovani e ACR
Sabato 8 Domenica 9 novembre
Venerdì 14 novembre
Domenica 16 novembre
Sabato 22 Domenica 23 novembre
Domenica 30 novembre
Venerdì 5 dicembre
Venerdì 12 dicembre
Domenica 21 dicembre
da venerdì 26 a martedì 30 dicembre
Venerdì 9 gennaio
Domenica 11 gennaio
Domenica 18 gennaio
Venerdì 23 gennaio
Venerdì 13 febbraio
Sabato 14 Domenica 15 febbraio
Domenica 22 febbraio
Sabato 28 febbraio Domenica 1 marzo
140° DELL’AZIONE CATTOLICA “TRA PIAZZE E CAMPANILI”
Per ricordare lo straordinario intreccio tra la
storia dell’AC, quella della Chiesa e quella
della società sia a livello diocesano, sia a livello parrocchiale verrà predisposta una mostracontenitore composta da una parte comune
(diocesana) ed una specifica relativa alla parrocchia ed al suo territorio.
La mostra si sposterà di parrocchia in parrocchia in tutti i nostri gruppi. La parte “parrocchiale” si comporrà di uno schema comune
nel quale riportare gli elementi raccolti lasciando ampio spazio alla creatività di ogni
gruppo.
L’iniziativa è un modo semplice per coinvolgere tutti, associati di oggi e di ieri, parrocchiani,
ma anche gente del paese e del quartiere,
perchè si tratta della storia di tutti. Al termine
dell’”itinerario” ci sarà così il materiale per
predisporre la storia dell’AC in diocesi (facendone, nel caso anche una mostra complessiva
a livello diocesano) dedicando al tema “Tra
piazze e Campanili” un convegno diocesano
a fine maggio.
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CENTRO MISSIONARIO
DIOCESANO
Il Centro Missionario Diocesano è un servizio alla pastorale che mira a far emergere in
essa l’identità della chiesa, che è per sua natura “missionaria”, e lo fa: attivando iniziative
di sensibilizzazione e di formazione, favorendo la cooperazione e lo scambio tra le chiese,
diventando contenitore, trasmettitore, facilitatore dei valori missionari e stimolando a
passare dai contenuti agli stili di vita.
ANIMAZIONE
MISSIONARIA
Dopo la Giornata di Programmazione, continua il percorso di Animazione Missionaria del
CMD con due importantissimi appuntamenti
per le Commissioni Vicariali e i gruppi missionari.
Come preannunciato gli incontri di ottobre e
di novembre saranno gestiti contemporaneamente in 4 zone della diocesi:
1. CUM – San Massimo (VR)
2. Oasi S. Giacomo (Istituto don Calabria) –
Vago di Lavagno (VR)
3. Domus Pacis – Legnago (VR)
4. Parrocchia Beato Andrea – Peschiera (VR)
Le date previste per i due incontri di formazione sono le seguenti:
✦ Martedì 28 ottobre 2008 – ore 20.30
“Piste operative per organizzare il lavoro sul territorio: griglia di riflessione”
CORSI DI FORMAZIONE
Orientamento Laici Missionari
2008-2009
Il corso è rivolto a chi è interessato ad un servizio in missione per tempi lunghi (almeno
due anni). È una proposta per chi desidera:
fermarsi, approfondire, confrontarsi, valutare,
discernere la disponibilità per la missione.
OBIETTIVO – Offrire un percorso formativo,
di discernimento, di spiritualità missionaria e
di conoscenza di tematiche “ampie” sulla
mondialità e missionarietà.
♦ Date proposte: 8 novembre 2008, 13 dicembre 2008, 10 gennaio 2009, 7 febbraio
2009, 7 marzo 2009, 4 aprile 2009, 9 maggio 2009 e 6 giugno 2009.
♦ Tempi: Sabato dalle 15.00 alle 22.00
♦ Luogo: Centro Missionario Diocesano – via
Duomo 18/a – Verona
♦ Quota d’iscrizione: ¤ 50,00
✦ Martedì 25 novembre 2008 – ore 20.30
“Piste operative per organizzare il lavoro sul territorio: ventaglio di proposte”
Sono già aperte le iscrizioni al corso:
Questi due incontri prepareranno il lavoro di
base che partirà da Dicembre in poi. La proposta vuole coinvolgere: gruppi missionari,
associazioni, movimenti, parrocchie, vicariati,
Istituti...
Promotori: CMD, ABCS, CPG, suore don
Mazza, Pastorale sociale, Suore Orsoline F.M.I,
Missionari Stimmatini. Con la collaborazione
del CUM.
“IN VIAGGIO: PER CONOSCERE,
CAPIRE E INCONTRARE ...”
Il corso è proposto a chi è interessato a:
Conoscere altri mondi e culture, incontrare e
confrontarsi con giovani che vivono in conte-
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sti sociali diversi dal nostro, approfondire temi
come la globalizzazione, la pace, la giustizia,
e la cooperazione internazionale, cercare motivi e significati per uno stile di vita solidale e
in dialogo con culture diverse.
La proposta di formazione costituisce la
prima tappa necessaria per un’adeguata conoscenza ed educazione alla mondialità, offrire i primi elementi fondamentali per un corretto approccio alla condivisione e solidarietà
internazionale.
Il cammino di formazione non vuole essere
finalizzato solo al viaggio ma, essere anche
uno spazio di confronto, di crescite e di approfondimento della dimensione missionaria.
Il corso vuol essere un primo approccio a tutte queste tematiche.
Durante il corso ci sarà la possibilità di approfondire la conoscenza dei vari promotori e
di valutare con loro le eventuali proposte di
esperienze brevi, viaggi.
Calendario degli incontri: 1 febbraio 2009,
15 febbraio 2009, 1 marzo 2009, 15 marzo
2009, 28 e 29 marzo 2009.
Informazioni e iscrizioni: Centro Missionario Diocesano, via Duomo 18/A – Verona – tel.
045/8033519, chiedere di Rita,
e-mail: [email protected]
APERTURA
ALLA MONDIALITÀ
XXVIII FESTIVAL DI CINEMA AFRICANO
(Verona 14-22 novembre 2008)
MULTICOLOR CINEMA:
il fascino dell’intercultura
Un festival rinnovato con film in concorso,
giurie e premi. Registi, attori e critici cinema-
tografici africani.
Le novità di quest’anno sono le 3 sezioni in
concorso di film e video prodotti da registi
africani e giudicati da una giuria ufficiale di
professionisti.
1. Lungometraggi in concorso
2. Cortometraggi in concorso
3. Documentari in concorso
Le sezioni pertanto che costituiranno l’ossatura del Festival saranno:
➤ PANORAMAFRICA
➤ AFRICA SHORT
➤ AFRICADOC
➤ AFRICA POP: sezione dedicata alle fiction
africane e alla produzione Nollywood (Nigeria).
➤ MULTICOLOR CINEMA: sezione legata al
tema del festival sul cinema dell’“incontro/confronto interculturale” con film africani e della diaspora.
➤ OMAGGIO a Youssef Chahine, regista
egiziano recentemente scomparso.
➤ SPAZIO SCUOLE: prevede una programmazione interamente dedicata alle scuole,
laboratori didattici e seminari. Per tutta la
durata del Festival ci saranno eventi speciali.
Per informazioni visitate il sito:
www.cinemafricano.it
SPIRITUALITÀ
MISSIONARIA
❖ GIORNATA DI SPIRITUALITÀ
MISSIONARIA:
DOMENICA 25 GENNAIO 2009
“S. PAOLO, L’EVANGELIZZATORE:
UNO STILE DI AZIONE
MISSIONARIA”
Informazioni Pastorali – Avvento 2008
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❖ MESSA MISSIONARIA
Ogni primo venerdì del mese presso la chiesa di S. Tomio, Verona. In questo giorno, tutte
le parrocchie sono invitate a pregare per le
missioni e ad accendere le 5 lampade che ricordano i cinque continenti.
Date: 7 novembre 2007 (ricordo dei missionari defunti), 5 dicembre 2008, 2 gennaio
2009, 6 febbraio 2009, 6 marzo 2009, 3 aprile 2009, 1° maggio 2009, 5 giugno 2009.
ATTIVITÀ SPECIFICHE
Altri eventi importanti che scandiscono il cammino pastorale del Centro Missionario Diocesano, in ordine cronologico, sono i seguenti:
1. GIORNATA MONDIALE INFANZIA MISSIONARIA: martedì 6 gennaio 2009
➠ materiale presso il CMD.
2. GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
DI LEBBRA: domenica 25 gennaio 2009
➠ materiale presso il CMD.
LUCI NEL MONDO
propone due nuovi dvd
video per l’animazione
in parrocchia
• 1° DVD VIDEO
I DIRITTI DEI BAMBINI
IN AMERICA LATINA 2
Percorso formativo alla pace e alla mondialità con video di Luci nel Mondo riguardante la situazione dei profughi e
dei rifugiati nel mondo
DESTINATARI: ragazzi della scuola primaria
(ultimo anno) e secondaria
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Descrizione: Si tratta di tre video che parlano
di: diritto allo studio, al lavoro, alla salute e
fanno parte di un decalogo sui diritti dei bambini e delle bambine in America Latina che Luci nel Mondo sta realizzando. I video hanno
come obiettivo mostrare, attraverso storie
concrete e vissute da bambini in diversi paesi
dell’America Latina, come questi diritti spesso
non sono sufficientemente tutelati e protetti.
Cosa vuol dire e cos’è il diritto allo studio per
un bambino indigeno che vive a Catrimani,
nel mezzo della foresta amazzonica nello stato di Roraima, Brasile? È accettabile che un
bambino lavori? Sono solo alcune delle domande (che peraltro aprono scenari molto
complessi) che questi video vogliono aiutare
ad affrontare.
• 2° DVD VIDEO
IL PADRE NOSTRO
Percorso di catechesi sulla preghiera del
Padre Nostro attraverso un video di Luci
nel mondo
DESTINATARI: gruppi parrocchiali (dagli
adolescenti in avanti)
Descrizione: Dopo aver approfondito i 10
comandamenti e le Beatitudini, ora è la volta
del Padre Nostro. Guidati da don Martino Signoretto, biblista, siamo andati in Israele per
percorrere i luoghi dove Gesù ha vissuto il Padre Nostro. Ad ogni passo è agganciata una
storia di oggi, per far capire come si possono
vivere, oggi, nella nostra realtà, gli insegnamenti del Padre Nostro.
Per informazioni:
LUCI NEL MONDO
Via Bacilieri 1/a – 37139 Verona
Tel. 045/8903846
[email protected]
www.lucinelmondo.it
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PROGETTO DIOCESANO
DI ANIMAZIONE MISSIONARIA 2008-2009
QUALE ANIMAZIONE
PER UN VOLTO MISSIONARIO
DELLA COMUNITÀ
PREMESSA
Il piano pastorale della CEI per questo decennio, “Annunciare il Vangelo in un mondo che
cambia”, da un lato pone l’accento sui veloci
cambiamenti del mondo in cui viviamo, d’altra parte assume una forte connotazione missionaria (“Annunciare il Vangelo...”), che interpella il nostro servizio di animazione missionaria all’interno della nostra Chiesa locale.
Nel percorso di riflessione, in questo decennio, la CEI ci ha offerto uno spunto assai significativo sulla necessità di riscoprire la dimensione missionaria delle nostre comunità
cristiane, attraverso la Nota Pastorale del 30
maggio 2004: “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”.1
Dobbiamo anche riconoscere che quella Nota pastorale è stata poco approfondita, soprattutto nella nostra Diocesi, per l’incalzare
del nostro Libro Sinodale che, giustamente,
ha subito catalizzato l’attenzione delle nostre comunità e, subito dopo, per la preparazione e la realizzazione del IV Convegno Ecclesiale Nazionale che ci ha coinvolto particolarmente, visto che si è svolto proprio nella nostra città.
Se, da un lato, tali eventi si possono riconoscere in linea con quella Nota pastorale e, in
alcuni aspetti, ne costituiscono un ulteriore
approfondimento, d’altro canto, sentiamo la
necessità di riprenderne alcuni spunti fondamentali perché si realizzi veramente quella
conversione che quella nota auspicava.
È questa oggi la “nuova frontiera” della pastorale per la Chiesa in Italia. C’è
bisogno di una vera e propria “conver-
sione”, che riguarda l’insieme della pastorale. La missionarietà, infatti, deriva dallo sguardo rivolto al centro della
fede, cioè all’evento di Gesù Cristo, il
Salvatore di tutti, e abbraccia l’intera
esistenza cristiana. Dalla liturgia alla
carità, dalla catechesi alla testimonianza della vita, tutto nella Chiesa deve rendere visibile e riconoscibile Cristo Signore. Riguarda anche, e per certi aspetti soprattutto, il volto della parrocchia, forma storica concreta della
visibilità della Chiesa come comunità
di credenti in un territorio, «ultima localizzazione della Chiesa».2
Se poi guardiamo al cammino dell’animazione missionaria della nostra Diocesi, negli ultimi anni, abbiamo la sensazione che ci siano
tanti gruppi che, per vari motivi, camminano
in maniera sempre più autonoma, con il rischio di un progressivo isolamento. Gli stessi
tradizionali incontri al CUM del IV martedì del
mese, che avevano lo scopo di garantire una
certa unitarietà al cammino di animazione
missionaria delle nostre comunità, raggiungono un numero sempre più limitato di rappresentanti, con la conseguenza di avere in Diocesi un’animazione missionaria, per così dire,
a diverse velocità.
Tutte queste considerazioni ci spingono a fare
un passo “a monte”! Sentiamo la necessità di
porci delle domande fondamentali sul significato, lo scopo, le modalità e l’efficacia della
nostra animazione missionaria. Nello stesso
tempo sentiamo la necessità che queste domande siano condivise a più vasto raggio possibile, perché possano favorire un cammino
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veramente unitario. Non un passo indietro...
ma un passo a portata di tutti, perché quella
conversione che ci viene chiesta sia non solo
individuale, ma realmente ecclesiale.
Infine, volgiamo chiarire che è nostra intenzione offrire un contributo di maturazione
non solo ai gruppi missionari parrocchiali, ma
anche ai gruppi di animazione missionaria legati agli istituti religiosi, alle associazioni e ai
numerosi movimenti ecclesiali presenti nella
nostra Diocesi. Preferiamo perciò parlare del
“volto missionario della comunità”, non solo
della parrocchia, con l’intento di coinvolgere
tutte le forze ecclesiali che possono contribuire per ringiovanire il volto missionario della
nostra Diocesi.
QUALE ANIMAZIONE
PER UN VOLTO MISSIONARIO
DELLA COMUNITÀ
1. Quale animazione?
Nelle mie visite ai gruppi missionari delle parrocchie e nelle Commissioni vicariali missionarie, laddove esistono, ho avuto occasione di
constatare che, nella maggior parte dei casi,
per animazione missionaria si intende prima
di tutto la “raccolta fondi”.
I gruppi missionari si impegnano con notevole buona volontà e disponibilità a sensibilizzare la gente perché faccia offerte per i missionari, magari facendo leva sul sentimento di
commiserazione nei confronti di quei “poveretti” che non hanno niente. Metodo ancor
più efficace se si fa appello in nome dei “bambini che muoiono di fame”.
Le modalità possono essere differenziate: dal-
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la “giornata” dedicata a un missionario della
parrocchia, al mercatino in occasione del Natale, alla bancherella nella sagra del paese,
mostra missionaria, pesca di beneficenza,
etc., a volte anche con degli sconfinamenti in
altre aree o comunità in cui non esiste un
gruppo missionario locale.
Nella diversità delle modalità e delle iniziative,
si tratta pur sempre di “raccolta fondi”. E ci
sono anche gruppi che misurano l’efficacia
della loro animazione missionaria dalla quantità di fondi che riescono a racimolare.
Alcuni gruppi vanno un po’ oltre impegnandosi in un regolare scambio di lettere con i
missionari, scambio che permette di conoscere meglio la realtà in cui questi missionari vivono e svolgono il loro servizio di evangelizzazione e di solidarietà con i più poveri.
Molti si impegnano anche a rendere partecipe
l’intera comunità affiggendo queste lettere
nella bacheca alle porte della chiesa, pubblicandole sul giornalino parrocchiale o, in qualche caso, facendone lettura a tutta la comunità nella liturgia domenicale.
C’è poi chi si sforza di far conoscere più approfonditamente la realtà missionaria attraverso iniziative più impegnative: organizzazione di conferenze con “esperti”, serate su temi
specifici, aperte a tutti; oppure attraverso
eventi speciali, come la settimana missionaria,
o la festa dei popoli. Iniziative che richiedono
un grosso sforzo organizzativo, ma anche un
più vasto coinvolgimento di persone e di volontari.
In ogni caso vorremmo far osservare che tutte
queste iniziative hanno una caratteristica comune: tutte sono iniziative “a cura di ...”; ossia sono iniziative che partono dal gruppo
missionario, come artefice, e si rivolgono al
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resto della comunità come destinataria dell’azione di animazione missionaria.
In questa visione, potremmo dire che la comunità (e il suo parroco...) può considerarsi
più o meno “missionaria” nella misura in cui
risponde caldamente o freddamente alle iniziative del gruppo missionario.
Ma è proprio questo il volto missionario di cui
ci parla la Nota pastorale della CEI?
2. Cosa significa
“parrocchia missionaria”?
Ci chiediamo, pertanto, se tutto questo è sufficiente per definire una comunità come “missionaria”.
Prima di tutto è necessario che si faccia una riflessione seria sulla realtà delle nostre comunità e sulla impostazione generale della nostra pastorale: credo che le nostre comunità,
in generale, non riescono ancora a prendere
sufficientemente coscienza dei cambiamenti
della realtà culturale e della società in cui viviamo e ad accettarli serenamente.
Non ci troviamo più in una società cristiana!
Non è più sufficiente far affidamento sulla tradizione cristiana delle nostre famiglie e dei
nostri paesi. Abbiamo davanti un numero
sempre maggiore di cristiani analfabeti, che
non conoscono più le radici della nostra fede,
molto poco il Vangelo e quasi niente dei valori morali che nascono dal Vangelo.
Possiamo dire che, spesso, la qualità delle nostre proposte pastorali non è sufficientemente
attenta a questo analfabetismo e fa fatica a
tornare all’essenzialità del primo annuncio.
E ritorniamo allora a vedere ciò che ci dice la
Nota pastorale del 2004:
Una pastorale tesa unicamente alla
conservazione della fede e alla cura
della comunità cristiana non basta
più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il
Vangelo, ne sostenga la trasmissione
di generazione in generazione, vada
incontro agli uomini e alle donne del
nostro tempo testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e
giusto vivere l’esistenza umana
conformemente al Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere
nuova l’intera società.
Alla luce di queste affermazioni comprendiamo allora che, parlando di “pastorale missionaria”, non si intende soltanto l’attività tesa a
richiamare l’attenzione sugli orizzonti vasti
della missione ad gentes, ma ridare dinamismo missionario ad ogni azione pastorale della nostra comunità.
Non si può fare la solita pastorale cercando
semplicemente di “conservare” chi già “viene”, o magari cercare di convincere altri a
“venire” con forme di propaganda più moderna o con iniziative “strane” che suscitano
curiosità e nuovi consensi (come se si trattasse semplicemente di una questione di
marketing).
Si tratta piuttosto di re-imparare ad “andare
incontro” agli uomini e alle donne del nostro
tempo. Non possiamo più fermarci a lamentarci per quelli che non vengono più o che
non vogliono venire, e neppure trovare qualche forma di ricatto per forzarli in qualche
modo a venire! Il mandato missionario non
usa il verbo “venire”, ma un altro verbo:
“Andate”!
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È necessario dare a tutta la pastorale un nuovo dinamismo fondato sull’ “andare”.
L’appello all’evangelizzazione ci tocca
da vicino. Comunicare il Vangelo in un
mondo che cambia è, infatti, la questione cruciale della Chiesa in Italia oggi.
L’impegno che nasce dal comando del
Signore: «Andate e rendete discepoli
tutti i popoli» (Mt 28,19), è quello di
sempre. Ma in un’epoca di cambiamento come la nostra diventa nuovo.
Da esso dipendono il volto del cristianesimo nel futuro, come pure il futuro
della nostra società.
Questo ripensamento complessivo della pastorale, comunque, non è competenza del
gruppo missionario, ma più specificamente
del Consiglio Pastorale Parrocchiale, dove
esiste, o almeno di quel gruppo di collaboratori che condividono con il parroco la responsabilità della pastorale parrocchiale nella sua globalità.
È un compito difficile, faticoso. Un compito,
comunque, che non è lasciato solo alla buona
volontà o all’improvvisazione di ogni singola
comunità, ma che trova interessanti e preziosi
contributi sia nel cammino della Chiesa italiana dopo il Convegno Ecclesiale di Verona, sia
nel Libro Sinodale, come pure nei Progetti pastorali post-sinodali, sia triennali che annuali,
della nostra Diocesi.
In questo processo di conversione pastorale
comunitaria il gruppo missionario può dare
un valido contributo garantendo la presenza
attiva, competente e propositiva di un suo
rappresentante nel Consiglio Pastorale Parrocchiale o, dove questo non esiste, nel gruppo dei più stretti collaboratori del parroco. Un
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rappresentante del gruppo missionario che richiama continuamente quella preoccupazione di “andare incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo”.
È necessario che qualcuno del gruppo missionario si qualifichi e si confronti costantemente con il resto del gruppo per questo fondamentale servizio a tutta la comunità, nel Consiglio Pastorale Parrocchiale.
3. Missionari qui o missionari
“ad gentes”?
Nel prendere coscienza dei cambiamenti della
realtà culturale e della società in cui viviamo e
nel riconoscere la necessità di un rinnovato dinamismo missionario qui, nella nostra terra,
possiamo trovarci esposti ad una malevola
sottile tentazione, resa ancor più forte dalla
effettiva diminuzione di sacerdoti disponibili
per l’accompagnamento pastorale delle nostre comunità. È la tentazione della contrapposizione tra la missione qui, nel nostro territorio, e la missione “ad gentes”.
Più volte noi missionari ci sentiamo porre la
domanda: “Perché andare tanto lontano, visto che abbiamo bisogno di missionari qui?”.
Definisco questa come “malevola sottile tentazione” prima di tutto perché ci porta a pensare le necessità delle nostre comunità come
più urgenti e quindi prioritarie rispetto alle necessità del resto del mondo, in una forse incosciente scelta egoistica. Inoltre, porta a pensare che la dimensione missionaria può essere
delegata ad alcuni “esperti”, mentre il resto
della comunità rimane spettatore o semplice
fruitore del loro servizio.
Ma la Nota pastorale della CEI ci indica chiaramente un’altra strada:
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Abbiamo scritto negli orientamenti
pastorali per questo decennio che «la
missione ad gentes non è soltanto il
punto conclusivo dell’impegno pastorale, ma il suo costante orizzonte e il
suo paradigma per eccellenza».3
Ed ecco la parola magica che esclude radicalmente quella falsa contrapposizione tra la
missione qui e la missione ad gentes a cui
eravamo tentati: la missione ad gentes come
“orizzonte e paradigma”! Ossia, la missione ad gentes deve diventare il termine di
riferimento, il “modello” per la missionarietà delle nostre comunità qui, nel nostro
territorio.
Non possiamo allora richiamare i nostri missionari, perché ne abbiamo bisogno qui! Ma
abbiamo bisogno di loro là, nella missione ad
gentes perché ci facciano da modello, perché,
con la loro esperienza, possano ispirarci per
vivere qui quel nuovo dinamismo missionario
di cui le nostre comunità hanno bisogno.
Dobbiamo allora smettere di chiedere ai missionari che ci raccontino delle povertà e delle
“miserie” che incontrano, soltanto per sentirci ispirati ad impietosirci verso quei popoli poveri del mondo.
Dobbiamo imparare a chiedere ai missionari
che ci raccontino le loro esperienze di evangelizzazione e la freschezza e bellezza di esperienze di fede e di comunità di quelle “giovani” Chiese.
Dobbiamo imparare a porre loro delle domande precise: “Raccontateci come fate ad
annunciare il Vangelo in mezzo a tante povertà e sofferenze.” – “Raccontateci come
fate ad annunciare il Vangelo tra gli indigeni,
o tra i musulmani, o tra gli induisti...” – “Co-
me fate ad annunciare il Vangelo in culture
così diverse?” – “Raccontateci la vita di quelle comunità che si trovano ad essere una piccola minoranza, spesso discriminate, o perseguitate!”.
Non si tratta semplicemente di cercare idee da
copiare ... non si può semplicemente trasferire un’esperienza missionaria da un continente
all’altro, senza tener conto delle enormi differenze culturali e sociali!
Si tratta di mettersi alla scuola della missione
ad gentes perché ci faccia riscoprire l’essenziale della fede, l’essenziale dell’esperienza
ecclesiale ed ispiri di conseguenza le scelte
pastorali delle nostre comunità.
4. Il ruolo specifico
dell’animazione missionaria
In questa nuova relazione tra la missione ad
gentes e la vita delle nostre comunità che
hanno bisogno di riscoprire il loro volto missionario, si vede anche la necessità di una
“nuova” animazione missionaria.
Potremmo chiederci: in questa visione di una
comunità tutta missionaria, c’è ancora la necessità di un gruppo missionario?
A volte i parroci ci dicono: “Nella mia parrocchia ci sono già troppi gruppi e non c’è bisogno di un gruppo missionario: se tutta la comunità deve essere missionaria ... è sufficiente che se ne occupi il Consiglio Pastorale”.
A questi rispondiamo che, per un certo verso
è vero: il Consiglio Pastorale deve essere pienamente coinvolto nel ripensare tutta la pastorale in una nuova dimensione missionaria
... di questo abbiamo già parlato e ne siamo
pienamente convinti!
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D’altro canto, riteniamo che c’è ancora (e,
forse, ancor di più oggi!) bisogno di un gruppo che si faccia promotore dell’animazione
missionaria. Tutta la comunità celebra la liturgia, ma c’è comunque bisogno di qualcuno
che si faccia carico dell’animazione liturgica a
servizio di tutta la comunità. Allo stesso modo: tutta la comunità è missionaria, ma c’è
comunque bisogno di qualcuno che si faccia
carico dell’animazione missionaria a servizio
di tutta la comunità!
Quale sarà, dunque, il ruolo specifico del
gruppo di animazione missionaria?
Sarà quello di mantenere sempre vivo il dinamismo missionario di tutta la comunità, facendosi “ponte” che facilita il passaggio, la
comunicazione e lo scambio tra la missionarietà della comunità e la missione “ad
gentes”.
Cosa proponiamo, allora, per questo anno
pastorale 2008 – 2009?
Non abbiamo la pretesa di fare tutto nuovo
all’improvviso! Chiediamo a tutti i gruppi missionari di mantenere i loro impegni già consolidati nell’esperienza di animazione della loro
comunità. Si tengano vive le iniziative già
esperimentate e che hanno già una certa garanzia di efficacia.
Semplicemente chiediamo a tutti di condividere e approfondire queste riflessioni che abbiamo posto all’inizio del nostro percorso di
quest’anno pastorale.
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Proponiamo poi due incontri (28 ottobre e 25
novembre 2008) in cui cercheremo di offrire
un ventaglio di proposte concrete, perché ciascun gruppo possa esperimentare e realizzare, nei mesi di dicembre 2008, gennaio, febbraio e marzo 2009, una esperienza concreta in questa nuova direzione di animazione missionaria della propria comunità.
Ci daremo, quindi, appuntamento il 31 marzo
2009 per raccontarci e poi, alla Festa della
Missione, il 26 aprile 2009, per celebrare “le
meraviglie che Dio ha compiuto” per mezzo
di questa nuova esperienza che ciascun gruppo e ciascuna comunità avrà realizzato.
Confidiamo che, con l’aiuto dello Spirito che
sempre ci accompagna, una piccola esperienza, pensata, studiata e realizzata con attenzione e con buoni frutti sarà semente feconda
di un rinnovato dinamismo missionario delle
nostre comunità ecclesiali.
1
Puoi scaricare il documento dal sito della CEI:
http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new/bd_edit_doc.
edit_documento?p_id=9527
2 GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Christifideles laici (30 dicembre 1988), 26.
3 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo
in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il primo decennio del 2000 (29
giugno 2001), 32.
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JEAN-MARIE DONEGANI
C’È UN FUTURO
PER LA PARROCCHIA?
iportiamo qui (prendendola da La Rivista del Clero 6/2008) la relazione che
Jean-Marie Donegani, professore di
Scienze sociali all’lnstitut d’Etudes Politiques e all’lnstitut Catholique di Parigi, ha
presentato in occasione di una giornata di
studio tenutasi di recente alla Facoltà Teologica del Triveneto a Padova. L’intervento
sostiene con forza le ragioni di attualità
della parrocchia anche in un contesto culturale così diverso da quello tridentino
che la vide nascere.
Il lettore viene guidato ad apprezzare
questa conclusione attraverso l’analisi dei
nuovi tratti antropologici che segnano
profondamente l’uomo contemporaneo
(individualismo, soggettivismo), dei quali
una pastorale avvertita non può non tener
conto, perché il Cristianesimo può e deve
essere vissuto anche dentro questo clima
culturale. Su tale sfondo l’Autore abbozza
interessanti prospettive per uno stile pastorale nuovo, attento a come gli uomini e
le donne possano, in senso lato, essere ‘generati alla vita’.
è ovvio immaginare – sull’ analisi della situazione francese, che certamente conosco meglio. Ma la questione si pone in termini diversi, si presenta come un problema d’interpretazione.
Si potrebbe obiettare che, in ragione
della loro storia e del ruolo della religione
nelle rispettive culture e istituzioni, nulla
consenta di assimilare le due situazioni, e
tanto meno di confrontarle. Oppure si potrebbe affermare che, in ragione del movimento generale che segna le nostre società occidentali, la situazione francese è
un esempio iperbolico di ciò che diventeranno tutte le società occidentali, società
italiana inclusa, segnate, in modo più o
meno profondo e rapido, dall’ evoluzione
generale del mondo verso un sempre maggiore tasso di secolarità, verso un modo tipicamente moderno di vivere il rapporto
con il religioso, segnato da fenomeni come la de-istituzionalizzazione, il pluralismo, l’individualismo e il relativismo.
INTRODUZIONE
FRANCIA E ITALIA
Per il momento, ciò che colpisce è anzitutto la grande differenza tra la situazione
religiosa dei due paesi, come alcuni indicatori permettono di comprendere: l’83%
degli italiani si considera religioso, contro
il 44% dei francesi; l’82% degli italiani afferma di appartenere al cattolicesimo,
contro il 57% dei francesi; il 53% degli italiani va a messa almeno una volta al mese,
contro il 12% dei francesi; il 70% degli italiani crede in un Dio personale, contro il
21% dei francesi; il 55% dichiara la propria fiducia nei confronti della Chiesa,
contro il 44% dei francesi, e così via.
R
Parlare dell’evoluzione delle forme dell’
identità e dell’ espressione religiosa nelle
nostre società non è facile, considerata la
differenza evidente che si nota tra la situazione francese – che è la mia – e quella
italiana. L’Italia è ancora, tra i paesi cattolici dell’Europa occidentale, uno dei più
cristianizzati; mentre la Francia è il paese
europeo più secolarizzato. Molte delle riflessioni che presenterò si basano – come
Le differenze
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Già da questi pochi dati si vede come la
cultura italiana ha le sue radici in una costruzione della realtà sociale voluta dalla
Chiesa, quella di un mondo cattolico raccolto attorno all’istituzione ecclesiale e dotato fino a non molto tempo fa di un’
espressione politica privilegiata. La Chiesa
italiana è riuscita a costruire un quadro
cognitivo comune a tutti coloro che si definiscono cattolici, standardizzando i modi
di vita e orientando i comportamenti e le
attitudini di massa. L’istituzione ecclesiale
è riuscita a creare un consenso comune di
base attorno a un modello di Chiesa proposto ai fedeli, fissando in modo chiaro i
ruoli distinti del clero e dei laici.
L’istituzione è riuscita a trasmettere un
progetto di società articolato sulla dottrina sociale della Chiesa, in grado di abbracciare tutti gli aspetti della vita collettiva. La Chiesa infine è riuscita a integrare
per diversi decenni questa ossatura religiosa e ideologica in una strategia di mobilitazione politica attorno a un partito
immaginato capace di tradurre l’unità politica dei cattolici. Nei fatti, il cattolicesimo è diventato una sorta di religione civile degli italiani.
Nulla di tutto questo in Francia dove,
al contrario, la guerra delle due France si
è basata sull’opposizione della Chiesa alla Repubblica, e ha contribuito all’apparizione e al consolidamento di una cultura politica laica fortemente separata dal
cattolicesimo, se non addirittura contrapposta. Se oggi la Francia è il paese
più secolarizzato d’Europa, è senza dubbio per il fatto che è proprio in Francia
che si è affermata e consolidata per la
prima volta la cultura secolare moderna,
fondata sulla celebrazione della libertà
individuale e sulla privatizzazione delle
scelte confessionali.
I segni di un percorso comune
di modernizzazione
Occorre però aggiungere, per essere
completi, che la cultura italiana – della
quale ho appena richiamato i tratti – appare oggi un po’ in crisi, in particolare nella situazione ‘post Democrazia cristiana’.
La Chiesa stessa si rende conto che le basi
del consenso etico che era riuscita a costruire si stanno indebolendo, in modo
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evidente per quanto riguarda le questioni
legate alla morale familiare e alle norme
sessuali. Più profondamente, anche se –
come ho già detto – il tessuto socio-religioso italiano resiste meglio di quello della maggior parte degli altri paesi secolarizzati, si può notare che alcune tendenze
si stanno facendo strada e lasciano intravedere un’evoluzione che, anche per l’Italia, si orienta nella stessa direzione delle
altre società occidentali.
Così, quando si domanda agli italiani
chi è autorizzato a interpretare le Scritture, il 48% risponde «i vescovi in comunione con il Papa», il 24% «la comunità dei fedeli con il prete», il 27% «ogni credente
con la sua intelligenza e coscienza». È soltanto la metà dei fedeli a ritenere che le
chiavi dell’interpretazione della Scritture
sono nelle mani della gerarchia ecclesiastica. E l’altra metà mette l’accento sull’ideale egalitario della comunità o sull’ideale
moderno dell’ autonomia della coscienza
credente. Più ancora, quando si domanda
agli italiani cosa è la Chiesa, l’11% la indica come «società gerarchica» e l’88% come
«società dei battezzati o popolo di Dio».
Qui l’accordo è generale su una concezione della Chiesa moderna ed egalitaria,
piuttosto che tradizionale e gerarchica.
Altro segno di modernizzazione del cattolicesimo italiano: a partire da una inchiesta condotta a Venezia, si osserva che
il 46% degli alunni che frequentano l’ora
di religione nelle scuole ritiene che la religione è una ricerca del senso della vita,
mentre solo il 24 % vede in essa una forma di comunicazione con Dio. Come negli altri paesi occidentali, gli italiani sono
aperti a una concezione della religione
eticizzata, secolarizzata, intramondana.
E, se si assume l’insieme degli indicatori
della religiosità privilegiati dalle inchieste
europee, si può constatare che gli italiani
non hanno affatto una concezione tradizionale, ma piuttosto moderna, della religione, segnata dalla privatizzazione, dal
soggettivismo e dal relativismo.
Così, solo il 12% degli italiani crede che
non esista che una sola vera religione, mostrando che questo indice di relativismo
tipico della cultura moderna è largamente
presente e condiviso anche in Italia. Fra
gli elementi scelti per dare espressione alla propria fede, gli italiani, come i francesi, privilegiano quelli che possono essere
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caratterizzati come ‘privati’, per esempio:
«preoccuparsi degli altri» (68%) o «pregare» (65%), mentre svalutano quelli che sono pubblici e istituzionali come: «far parte di un movimento religioso» (15%),
«contribuire alle necessità economiche
della Chiesa» (9%), o «seguire le indicazioni dell’ autorità religiosa» (7%).
Solo un terzo degli italiani qualifica la
propria appartenenza religiosa nei termini di oggettiva e senza riserva, mentre i
due terzi la qualificano come appartenenza con riserva o secondo un modo personale. Solo il 20% degli italiani pensa che
sia la legge di Dio a stabilire ciò che è bene e ciò che è male, mentre il 36% ritiene
che sia la sola coscienza individuale a doverlo fare, e il 40% la coscienza individuale con l’aiuto della legge divina. Il
70% degli italiani ritiene che si possa essere buoni cattolici senza seguire le prescrizioni della Chiesa per quanto concerne la morale sessuale; l’85% degli italiani
privilegia una concezione della religione
intramondana, che si occupa anzitutto di
liberare gli uomini da ogni forma di
schiavitù su questa terra.
Un cattolicesimo
ben organizzato
Si potrebbero moltiplicare gli esempi,
ma già questi elementi ci bastano per intuire che la società italiana sta sviluppando una concezione moderna della religione molto maggiore di quanto i tassi della
pratica religiosa lasciano supporre. Una
concezione che è vicina a quella dominante in tutte le società occidentali sviluppate. La grande differenza tra l’Italia e le altre società occidentali dipende dunque
non tanto dal modo di concepire la religione, quanto piuttosto dall’iscrizione della religione dentro la società, e dal tasso
molto forte di organizzazione territoriale
e di inquadramento dei fedeli.
Ci sono in Italia più di 37.000 preti e più
di 27.000 religiosi, il che significa una figura sacerdotale o consacrata ogni 1.000
abitanti. A questi 57.000 uomini di Chiesa
occorre aggiungere 134.000 religiose. L’insieme di queste cifre produce un tasso
considerevole di presenza presso la gente,
anche se l’indice d’invecchiamento di tutta questa popolazione è elevato, visto che
solo il 4% del clero diocesano ha meno di
30 anni, e il numero delle ordinazioni presbiterali diminuisce in modo regolare, come negli altri paesi.
Si può ulteriormente moderare questa
impressione di forte inquadramento facendo notare che soltanto il 17% degli italiani afferma di avere contatti regolari con
un prete. E la stessa figura del prete subisce un processo di secolarizzazione, visto
che si privilegia la figura di un prete capace di comprendere le difficoltà della gente,
a detrimento della figura tradizionale del
prete predicatore e organizzatore delle attività parrocchiali.
Infine, un’inchiesta tra i preti italiani
pubblicata dalla rivista «Settimana» ci rivela che gli stessi preti hanno l’impressione di non riuscire più a comunicare con
l’ambiente dentro il quale vivono il loro
ministero. Educati fino a un passato molto recente ad assicurare il controllo del
territorio loro affidato, i preti faticano a
stabilire relazioni sia con coloro che vengono in chiesa sia con quelli che se ne allontanano, dentro una società che tende a
sciogliere le appartenenze forti.
A partire da queste indicazioni introduttive viene perciò spontaneo chiedersi
che ne è, in tutto questo contesto di cambiamento, del legame ecclesiale, e del possibile rapporto tra legame ecclesiale e legame sociale. Propongo una mia riflessione su questa problematica organizzandola in tre punti: come la questione dell’individualismo influisce sul legame sociale e
su quello ecclesiale; che conseguenze genera sulla riflessione e nell’azione pastorale; che ne è, infine, in tutto questo quadro,
della parrocchia.
INDIVIDUALISMO
E COSTRUZIONE
DELL’IDENTITÀ
Individualismo
L’individualismo è il primo tratto che
caratterizza la situazione culturale contemporanea, sul quale vorrei aprire la mia
analisi. Cosa si intende dire, quando si
parla di individualismo oggi? Credo che si
voglia in questo modo indicare che tutto
ciò che deve guidare la ricerca del bene
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comune, tutto ciò che deve guidare la collettività nella definizione del bene comune, è in fin dei conti ciò che è bene per il
singolo individuo.
Questo modo di concepire l’individualismo lo distanzia notevolmente da definizioni che invece tendono a descriverlo nei
termini di un ripiegamento su di sé, di un
solipsismo. L’individualismo è anzitutto
un’esigenza che si impone ai governanti,
ai gestori della cultura, alle istituzioni, alle Chiese e a tutti i soggetti collettivi: occorre sempre avere la preoccupazione di
curare il rapporto tra le proposte di senso
e il bene dei singoli individui.
In questo contesto, se nelle nostre società ci sono realtà culturali che esistono
ininterrottamente da molto tempo e che si
presentano come vere e proprie tradizioni, il loro valore si misura sull’interesse
che hanno per gli individui, si esprime
nell’ apporto che esse possono fornire agli
individui in risorse simboliche, in quello
che esse possono procurare come serbatoio di senso. Detto in altre parole: una
tradizione, dentro questa cultura individualista, rappresenta uno stock di significati dentro il quale gli individui vengono
ad attingere per se stessi, e non per un sistema d’impresa che detterebbe delle condotte e che si farebbe apprezzare in termini di appartenenza.
Tutti sappiamo che esistono molte tradizioni: il pluralismo è un dato immediato nelle nostre società, e l’informazione e
la mediatizzazione sono tali che tutti i
membri della società sono a conoscenza
di questa pluralità di risorse di senso.
Dentro questa vita frammentata, dove
coesistono differenti sfere di attività e di
saperi, e dove il compito dell’unificazione di tutto ciò è lasciato all’individuo, le
tradizioni offrono ai singoli questo elemento interessante: offrire delle risorse
simboliche capaci di rendere possibile
questa unificazione.
A questo riguardo, dobbiamo ricordarci che quando pensiamo alle istituzioni e
alle tradizioni, è la forma comunitaria di
vita che ci viene subito in mente. La comunità è una forma di esistenza sociale
che implica delle assegnazioni di stato,
delle prescrizioni di comportamento che
sono associate a questo stato e che si consegnano a noi come perenni. In una comunità le persone hanno un’identità e un
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ruolo assegnati, e a questa identità e a
questo ruolo sono associati dei comportamenti obbligati.
Tuttavia oggi viviamo in forme societarie e non più comunitarie. Ciò non significa solo che ci troviamo dentro una società, quanto piuttosto che noi viviamo
delle forme societarie, ovvero che ci identifichiamo in forme collettive plurali ed effimere. Mentre in una comunità un individuo appartiene a un insieme umano, storico, reperibile in modo oggettivo, dentro
una società si possono rivestire identità
multiple, mutevoli e qualche volta contraddittorie.
Si comprende così come nel nostro contesto sociale sia possibile (e in che modo
si strutturi) un rapporto tra identità individualista e risorse simboliche proposte
dalle tradizioni: le tradizioni hanno ancora un posto dentro la nostra cultura contemporanea; ma si tratta di un posto segnato anzitutto dalla struttura societaria e
dalla cultura individualista.
È la tradizione che è a servizio dell’individuo e della formazione della sua identità, mentre nella struttura comunitaria e
nella cultura olistica era l’individuo che
era al servizio della tradizione. Ci troviamo quindi di fronte a un rapporto ben diverso con le tradizioni; e tuttavia non ci
troviamo di fronte alla loro scomparsa, o
alla scomparsa della loro pertinenza.
Libertà
Il secondo tratto sul quale vorrei soffermarmi, a proposito dell’identità contemporanea, è la questione della libertà. Si
parla molte soprattutto nei nostri ambienti, di crisi d’identità, di fragilità degli individui. In tali discorsi c’è sicuramente del
vero, ma occorre comprendere che questa
supposta fragilità delle persone è inevitabile nella forma societaria e non più comunitaria in cui ci troviamo a vivere.
Questa fragilità è diretta conseguenza della nuova libertà che gli individui sperimentano nei confronti delle forme e degli
statuti ereditati.
L’identità delle singole persone è una libertà sempre in movimento, in continua
ricostruzione. Non è mai né interamente
determinata né tanto meno prescritta. Sono subito evidenti le implicazioni a livello
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religioso: anche in questo campo si è passati da una logica di appartenenza a una
logica d’identità, celebrando anche qui la
libertà del credente.
La stessa Chiesa cattolica ha nei fatti
assunto e interiorizzato questo passaggio.
Lo si può vedere confrontando l’enciclica
Mystici Corporis di Pio XII, del 1943, ultima enciclica ecclesiologica che esprime
una logica di appartenenza, con la costituzione dogmatica Lumen Gentium del
Concilio Vaticano II, in cui si annuncia la
nuova logica di identità. Nell’enciclica
Mystici Corporis l’appartenenza alla Chiesa è definita a partire da una serie di tratti
giuridici e oggettivi:
Tra i membri della Chiesa bisogna annoverare esclusivamente quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione, e
professando la vera fede, né da se stessi
disgraziatamente si separarono dalla
compagine di questo Corpo, né per gravissime colpe commesse ne furono separati
dalla legittima autorità. [...] Chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa, deve, secondo l’ordine di Dio, ritenersi come pagano
e pubblicano. Perciò quelli che sono tra
loro divisi per ragioni di fede o di governo,
non possono vivere nell’unita di tale Corpo e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito.
Vi è dunque una definizione formale e
oggettiva dell’appartenenza alla Chiesa,
definizione che si rifà all’ autorità legittima, la sola abilitata a decidere la qualità
dei membri del Corpo.
Nella Lumen Gentium si esce dall’universo precedente, formale e giuridico, per
entrare in una definizione antropologica
dell’identificazione alla Chiesa. In questo
testo la Chiesa è «l’assemblea di coloro
che credono e guardano a Gesù autore
della salvezza» (LG 9). E la Chiesa si sa
unita non soltanto con i fedeli cattolici,
ma anche con tutti i cristiani (LG 14-15) e
con coloro che non avendo ancora accolto
il Vangelo sono ordinati al popolo di Dio
(LG 16).
Quanto a coloro che ignorano il Vangelo ma cercano Dio con cuore sincero, anch’ essi possono arrivare alla salvezza
eterna, allo stesso modo di coloro che,
non essendo ancora arrivati alla conoscenza esplicita di Dio, ricevono gli aiuti
necessari alla loro salvezza dalla divina
Provvidenza (LG 16). In questo modo, tut-
ti gli uomini di buona volontà sono ordinati al popolo di Dio, del quale è impossibile definire in modo estrinseco i confini.
Questa ecclesiologia è ancorata alla libertà personale, e lascia spazio alla soggettività nella definizione che ognuno dà
della propria identificazione alla Chiesa.
Lo si può comprendere proprio a partire
dal rapporto con la Chiesa: onorare la libertà vuol dire non fissare dall’ esterno i
contenuti identitari, e tanto meno rifiutare di conoscerli al di fuori della parola dei
singoli soggetti.
Questa novità così toccante per ciò che
concerne la definizione dei membri della
Chiesa riguarda anche la cultura nel suo
insieme. Tutta la società è segnata dal passaggio da una logica di appartenenza a
una logica di identità. Occorre allora comprendere, se si riflette a partire da questo
passaggio, che parlare della fragilità degli
individui oggi non può più essere visto come un tratto negativo e riprovevole della
nostra società contemporanea, bensì come il risultato del passaggio dalla logica
oggettiva dell’appartenenza a quella più
soggettiva dell’identità. Si riscontra un
maggiore tasso di fragilità degli individui
perché siamo ormai usciti dal recinto comunitario, perché i ruoli sociali non sono
più assegnati in modo così chiaro come
una volta; perché non ci sono più comportamenti evidenti e oggettivi assegnati a
ogni stato e a ogni ruolo.
Questa fragilità degli individui, che senza dubbio è reale, non è dunque il segno
di un’identità debole e il risultato di una
crisi sociale e culturale. Questa fragilità
non sta a significare che le identità sono
molli, vacillanti e senza consistenza come
un budino; ma che queste identità sono
sempre in trasformazione, vengono reinventate, riprese e rielaborate dai singoli,
in prima persona, perché esse non derivano più da prescrizioni e da trasmissioni
fissate e rigide come dentro la configurazione comunitaria. C’è dunque una sorta
d’indeterminatezza inerente alla logica
identitaria. Non si sa mai bene che cosa
essa sia e, soprattutto, non si sa bene cosa
sarà domani. Occorre adattarsi, avanzare
a tentoni, mentre nella logica di appartenenza le cose erano più chiare.
Vorrei insistere su questo punto: per
comprendere questa situazione occorre
partire dall’ipotesi che la logica dell’iden-
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tità non è meno fonte di vita, non è meno
feconda della logica dell’appartenenza alla
quale i secoli precedenti ci hanno abituato. In ogni caso, la logica d’identità comporta una parte di indeterminatezza che
non è altro che la conseguenza di questa
valorizzazione della libertà individuale.
Verità ed etica
Il terzo tratto che vorrei associare alla
questione identitaria è la domanda etica,
e il suo rapporto alla verità. Ritengo che
oggi non ci sia meno morale di ieri; semplicemente la problematica morale sta assumendo tratti talmente nuovi, talmente
sconosciuti, da riuscire molto faticoso riconoscere la domanda etica che abita i
nostri contemporanei. Le inchieste europee ci informano che per la stragrande
maggioranza dei nostri simili la morale
non è una questione di principi, ma di circostanze. Il che vuoI dire molto semplicemente che, per i più, tutto è contestualizzato: spetta al singolo vedere sul momento, in quella circostanza, ciò che è bene e
conviene fare. Non ci sono più regole fissate una volta per tutte a indicare la buona condotta.
Questo carattere contestuale e situato
della morale deriva da quel dato fondamentale della nostra cultura che è il soggettivismo. Il soggettivismo non è esattamente la stessa cosa dell’individualismo; è
piuttosto l’idea secondo la quale il senso
del mondo, ciò che è vero, buono e giusto,
è qualcosa che è scelto dal soggetto, è
qualcosa che permette al soggetto di costituirsi ed esistere.
Se è il soggetto a determinare ciò che è
buono, vero e giusto per lui, si può allora
dire che noi ci troviamo all’interno di un
universo relativista. Sappiamo che di
questi tempi il relativismo non gode di
buona fama nei nostri ambienti. Il relativismo, tuttavia, non è negazione della verità, della giustizia, del bene; il relativismo non è una forma di nichilismo. Il relativismo più modestamente intende affermare che ogni verità è ‘relativa a’, ha
una relazione diretta con colui che ne fa
esperienza; cosa che non significa che essa non ha valore, ma che il valore le viene
attribuito a partire dalla prova: «voi mi
avete consegnato un tal precetto, io lo
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provo, lo utilizzo; voi mi avete detto che
questo è vero, io lo verifico».
È per questo motivo che, piuttosto che
parlare di relativismo, io preferisco parlare di ‘relazionismo’. Io entro in relazione
con questo principio di giustizia, io sono
in relazione con questo enunciato di verità. E ciò che dà valore a questo principio
o a questo enunciato è la relazione che io
imbastisco con esso, e il modo con cui ne
verifico la pertinenza. Il relativismo è dunque questa cosa, è la relazione personale
intrattenuta con una proposizione di senso; e un simile relativismo non può che essere un dato normale dentro un universo
soggettivista e pluralista.
Per sperimentare il valore delle proposizioni di senso occorre che il soggetto sia
in relazione con esse; ed è questa relazione che dà valore, che dà senso ai principi
che sono proposti agli individui, che essi
ricevono, che accolgono, che trovano. E,
se si prende sul serio questa costante soggettivista e relativista, non si può certo dire che ci sia meno fede religiosa e ricerca
della verità oggi piuttosto che ieri.
Semplicemente, per poter comprendere
una simile situazione, occorre uscire da
un certo universo tradizionale che sentiamo naturalmente nostro, e dentro il quale
la verità viene rappresentata come qualche cosa di oggettivo ed esteriore al quale
uno aderisce (questo universo in cui si afferma che c’è la verità, l’oggettività del vero, e poi il suo svelamento, e infine l’adesione personale a questo dato oggettivo e
precedente). Ma il modo in cui i nostri
contemporanei concepiscono la verità
non ha più molto a che vedere con questa
impostazione tradizionale ereditata dal
pensiero greco, e che ha conosciuto fortunate rielaborazioni medievali.
La filosofia naturale della nostra epoca
è piuttosto derivata dal pragmatismo anglosassone: in questo quadro di pensiero
la verità è ciò che è riuscito a farsi valere
dentro il nostro orizzonte; la verità non è
qualcosa di esteriore e di oggettivo che io
svelo, ma ciò che mi rende forte, ciò che
mi accompagna nel cammino, ciò che
cambia con me lungo la strada. Non è più
l’alethéia che uno svela, quanto piuttosto
l’alleanza che uno sperimenta vivendola.
Ecco dunque la concezione del vero oggi
dominante: il vero è ciò che dona dei frutti, ciò che mi rende vivente e forte. I prag-
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matisti, che hanno ben elaborato filosoficamente questa riflessione, ci introducono in una concezione della verità che dovrebbe interessare da vicino i cristiani, al
posto di renderli troppo critici nei confronti della cultura contemporanea.
In effetti, in una simile prospettiva in
cui si riconosce il vero dai suoi frutti, il
credente è condotto, a partire dalla sua fede, a compiere degli atti che la possano
rendere vera. Se io dico: «Cristo è risorto», una simile affermazione non è l’adesione a un enunciato o addirittura a una
realtà esterna; è piuttosto l’inserimento
dentro un credere che si attiva per rendere vera questa affermazione, che mi spinge a modificare la mia condotta e le condotte di coloro che mi circondano, in modo tale che questo enunciato possa diventare vero, perché diventerà fecondo e lo si
potrà riconoscere dai frutti generati.
Ecco allora come il concetto contemporaneo d’identità arriva a colorare in modo
radicalmente nuovo il rapporto al vero e il
rapporto all’etica, visto che il consequenzialismo impegna a compiere azioni, e il
relativismo a costruire relazioni. E così
l’etica non può più essere dissociata da
una costruzione identitaria dentro la quale il rapporto alla verità si iscrive nella ricerca dell’ altro e nell’interesse per la fecondità della fede.
Identità e alterità
Il quarto punto che vorrei esaminare è
il rapporto tra identità e alterità. La logica di appartenenza implica un tipo di
configurazione comunitaria che deriva
dall’iscrizione degli individui in una linea
di discendenza e nell’ ancoraggio oggettivo dentro un gruppo locale e una cultura
ereditata. Nella logica d’identità si ha al
contrario una forma relazionale che scaturisce da un impegno dentro un progetto
che ha un significato soggettivo e che implica il fatto di associarsi a dei pari che
condividono il medesimo progetto. Si ha
così la messa in questione delle identità
attribuite e un progetto di vita che si iscrive nella durata. È una storia che ognuno
racconta a se stesso su chi egli sia. È una
ricerca di autenticità nel senso che ognuno ha il bisogno di costruirsi e di farsi riconoscere dagli altri.
Dei filosofi come MacIntyre, Taylor e
Ricoeur hanno cercato di rendere conto di
questo nuovo dato antropologico, assumendo questo nuovo concetto di identità
dalla pragmatica linguistica. La parola è
qui considerata a partire dalla sua funzione evocativa, come l’origine e il fondamento della coscienza che dà alla persona
la sua identità. È la comunicazione che
permette di definire la condizione della
soggettività, e non l’inverso. L’identità in
questo modo si manifesta nella sua condizione singolare ma non privata, nella misura in cui la sua stessa costituzione dipende dal dialogo, dall’interlocuzione. È
all’interno di un simile quadro che Taylor
può scrivere che «il linguaggio costituisce
l’umanità dell’uomo, poiché è all’interno
del linguaggio che ognuno è per l’altro
l’occasione di essere se stesso».
Abbiamo dunque un’antropologia filosofica che privilegia la lotta contro la
frammentazione della vita personale, grazie alla ricerca di un’unificazione dell’esperienza. E così la questione dell’identità
non può più essere separata dalla questione etica. Poiché l’identità è concepita come una ricerca e non come un’eredità, essa non può essere concepita come estranea al rapporto a ciò che ognuno apprende essere il bene. Il desiderio di compimento spinge le persone a cercare di inglobare le differenti esperienze dentro
un’unità narrativa di vita.
Ma l’articolazione del racconto non è
possibile che a condizione che la singola
persona disponga delle referenze per valutare i propri impegni e le proprie azioni,
disponga cioè di un orizzonte di valutazione forte (Taylor) che deve ancorarsi
dentro valori e norme che la precedono.
L’orizzonte di senso deriva da significati
condivisi, poiché tutta la vita è sottomessa
alla valutazione degli altri.
Non bisogna dunque credere che l’individualismo e il soggettivismo siano dei solipsismi; non dobbiamo pensare che noi
viviamo dentro un mondo di monadi isolate le une dalle altre. Questa concezione
dell’uomo che ho appena descritto si basa
sulla convinzione che l’uomo è un essere
parlante. In altri termini: io non ho alcuna
possibilità di sapere chi sono se non rivolgo la parola a qualcun altro. Il soggettivismo implica che io mi costituisca in soggetto; e questa costituzione del soggetto
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passa per la chiamata, la vocazione, l’incontro con altri e attraverso uno scambio
di credenze tra locutori.
Per una seconda volta possiamo vedere
bene come la costituzione dell’identità soggettiva divenga una questione etica, poiché
si fonda su questo riconoscimento dell’alterità, dell’uguaglianza degli interlocutori,
perché si basa sulla fiducia in ciò che l’altro mi comunicherà, non soltanto di se
stesso ma anche di me. Dietro l’etica della
comunicazione vi è una profonda costituzione della comunità umana che si basa in
modo semplice sulla fiducia interlocutiva.
Ogni credenza deve essere convalidata.
Non si può credere da soli. Certo le inchieste ci insegnano che per i nostri contemporanei il valore di una fede dipende
dalla sua utilità, dai suoi frutti, dalle sue
conseguenze. Ma se una convinzione ha
bisogno di essere convalidata grazie alla
sua utilità, occorre però che io ricerchi un
interlocutore che mi confermi l’utilità che
io attribuisco alla mia credenza, ovvero
qualcun altro che possa accogliere come
vero quello che io ritengo vero.
Senza dubbio una simile pratica affinataria si manifesta oggi sulpiano dei comportamenti religiosi che si esprimono nel
carattere volontario e hanno come punto
di partenza delle comunità di elezione. Le
Chiese devono imparare a comporre dentro di sé l’apparizione di questo regime di
validazione mutuale e affinataria del credere che scioglie le procedure tradizionali e
autoritarie della validazione istituzionale.
Le comunità credenti mantengono dunque una funzione di validazione del credere individuale, ma senza alcuno degli antichi strumenti coercitivi ben noti al controllo sociale tipico della logica di appartenenza. Queste comunità ormai sono
spesso dei luoghi di scambio parziale che
manifesta delle identificazioni rivedibili a
piacimento, legate al cammino dei singoli
individui credenti.
PASTORALE DI APPARTENENZA
E PASTORALE D’IDENTITÀ
La pastorale che conosciamo, e che ci
viene consegnata dal nostro passato recente, funziona all’interno di una logica di
appartenenza. È una pastorale di trasmis-
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sione: c’è una eredità che occorre far passare di generazione in generazione. Questo modo di fare pastorale abita ancora il
nostro immaginario: organizziamo lo spazio in parrocchie, inquadriamo la popolazione con i preti, trasmettiamo la dottrina
attraverso l’insegnamento. Ma non ci domandiamo se la cristianità era veramente
cristiana.
Si trattava della cristianità: tutti erano
insieme, tutti avevano i medesimi comportamenti e gli stessi valori, il cristianesimo regnava sul mondo. Tuttavia più di
un sociologo e di uno storico fa notare
che la cristianizzazione dell’Europa detta
cristiana era un’opera ancora largamente
da compiere proprio nel momento dell’
apoteosi della cristianità. E le missioni
interne più volte ripetute portano la prova che nelle regioni profonde dei nostri
paesi le popolazioni erano ancora largamente abitate da credenze pagane che la
Chiesa ha da sempre cercato con grandi
sforzi di sradicare.
Avvertiamo istintivamente questa pastorale di trasmissione come nostra. E
tuttavia è evidente quanto essa sia ormai
sfasata rispetto alla cultura che abbiamo
appena descritto: non dispone più delle
evidenze primarie che trasmettevano la
cultura di appartenenza; non può più contare su truppe numerose e su forze di inquadramento; non può più appoggiarsi
sulla stabilità dei contesti di vita e sulla
sedentarietà degli abitanti; non può nemmeno iscriversi dentro l’educazione familiare, in un momento in cui la famiglia
stessa è in profonda trasformazione e
sembra puntare più verso un ideale di autenticità che verso un modello di stabilità
istituzionale.
Una pastorale
del venire alla vita
Passare a una pastorale più conforme
alla logica d’identità che ho descritto,
aprirsi alla pastorale definita ‘di generazione’ – come la spiegano P.Bacq e
C.Theobald – vuol dire cambiare completamente sistema: operazione difficile da
comprendere, ma che vorrei spiegare almeno nelle intuizioni fondamentali.
Questa pastorale parte dal principio che
ci sono delle persone che pongono delle
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domande alla Chiesa, e che esse non propongono solo domande, ma portano anche un senso. Quindi, in virtù di questo
dato, c’è qualcosa che attiene all’ordine
dell’identità stessa della Chiesa che si rivela nelle domande che le vengono rivolte.
Ma la pastorale della generazione non
si interessa anzitutto della salvaguardia
dell’istituzione; essa si dedica in primo
luogo alla costituzione di soggetti. La pastorale di generazione ha l’audacia di dire
che Gesù di Nazareth non ha avuto come
prima preoccupazione quella di fare discepoli; li ha avuti, ma ha avuto anche
persone che egli accoglieva senza chiedere loro di diventare discepoli, e che egli
rinviava a casa, persone alle quali diceva
soltanto: «la tua fede ti ha salvato» (il centurione, l’emorroissa, ...).
Nel vangelo c’è l’intuizione che delle
persone, anche senza saperlo, sono degli
uomini e delle donne del Regno; senza saperlo, ovvero senza appartenere ai discepoli di Gesù. Il discorso delle Beatitudini
non fa questioni di appartenenza; quando
Gesù dice: «Quello che voi avete fatto al
più piccolo tra i miei fratelli, l’avete fatto a
me», lascia intendere che la salvezza non
deriva da un’ appartenenza.
Generazione e relazione
Si può dunque essere uomini e donne
del Regno senza saperlo; e ciò che è in gioco in questa attitudine, e che è radicalmente estraneo alla pastorale di trasmissione e alla logica di appartenenza, è il
modo in cui degli uomini e delle donne
possono venire alla vita, essere dati alla
luce. Si tratta di comprendere che il primo passo d’ingresso nella salvezza consiste nell’essere viventi, e che i cristiani non
possono disinteressarsi della vita. Il messaggio evangelico è: «siate viventi»! E, come conseguenza logica: «come si può restare vivi anche oltre la morte»?
Questa pastorale d’identità si disinteressa in un primo tempo di fare dei discepoli, anche se discepoli se ne possono avere, logicamente! Essa si interessa alla questione della generazione, del mettere al
mondo, cioè del come dei soggetti vengono alla vita e come la loro nascita dall’ alto ci riguarda, ci tocca, ci implica.
Per coloro che sono penetrati da questa
generosità dell’intuizione evangelica, la
Rivelazione non è anzitutto un contenuto,
è più semplicemente un’esperienza che
può essere vissuta da chiunque, attraverso
qualsiasi mezzo, e di cui l’essenziale è che
sia ricevuta, che sia ritenuta per vera da un
altro, che sia accolta. La pastorale della generazione non è la trasmissione di una
dottrina; è il riconoscimento e l’accettazione, è l’accoglienza dei segni portati da soggetti che si interrogano, dei segni del fatto
che sono diventati o stanno per diventare
dei soggetti, che sono nel senso della vita,
che sono nella prospettiva del Regno. Il
Regno è un ‘tra noi’, non è un luogo; il Regno è un non-luogo, più precisamente il
Regno è la relazione, il legame. La Rivelazione è una esperienza di relazione, è l’esperienza di un legame originario.
La pastorale della generazione è semplicemente questo. Non è facile da mettere
in opera; si tratta di un movimento che
anima ogni slancio, ogni sollecitudine
verso gli esseri viventi, è un’attitudine di
accoglienza della vita in ognuno di noi. È
qualche cosa che si basa fondamentalmente sull’idea che io non so niente della
fede dell’altro, che non ho alcun progetto
su di lui. Da questo punto di vista, ciò che
rappresenta la rettitudine etica di questa
attitudine pastorale è che io non posso dire né padre, né madre, né maestro.
In altri termini, dentro questa attitudine pastorale non c’è più evangelizzatore o
evangelizzato, ma c’è il Vangelo tra i due,
la Buona Notizia dentro quello che si dicono l’un l’altro, e dentro quello che riconoscono tra loro. Forse la Parola con la P
maiuscola si rivela, avviene proprio in un
momento simile, tra quei due, ed è proprio quel momento che possiamo indicare
come la vera questione, ciò che è in gioco
quando si parla di evangelizzazione.
LE STRUTTURE
DI EVANGELIZZAZIONE E LA
QUESTIONE PARROCCHIALE
A partire dai dati antropologici che ho
richiamato, e dalle intuizioni pastorali a
cui rimandano, occorre ora confrontarci
con un’ultima domanda, un’ultima questione sul divenire delle strutture ecclesiali che possono favorire lo stile pastorale
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appena richiamato. E, all’interno di questa domanda, occorre chieder ci che ne è
della parrocchia, come è possibile immaginare la sua presenza e la sua evoluzione
dentro il tipo di società che intravediamo
disegnarsi.
Quali sintonie e quali possibilità di dialogo le strutture parrocchiali possono costruire con il carattere individualista e
pluralista delle nostre società moderne?
Come possono contribuire a creare e a
mantenere dei legami tra gli individui in
questo contesto? Occorrerà anzitutto affrontare due punti in premessa, prima di
cominciare ad abbozzare una riflessione
sul futuro della parrocchia.
Due premesse
Prima premessa. Il concetto d’inculturazione deve essere assunto per aiutarci a
ricordare che l’epoca in cui viviamo non è
meno propizia all’ annuncio della fede cristiana delle epoche che l’hanno preceduta,
anche di quelle che abbiamo definito come ‘la cristianità’. Il concetto d’inculturazione è l’idea originaria molto semplice
che non c’è cristianesimo che non si sia
inculturato. Quando si parla d’inculturazione, si ha spesso in testa l’idea che esiste
un cristianesimo puro, integro, fuori dal
tempo, precedente a qualsiasi sua incarnazione dentro la storia.
Questa idea di un cristianesimo puro è
sbagliata, come mostra in modo chiaro
J.B. Metz, perché qualsiasi cristianesimo
è inculturato, dal primo all’ultimo. Ciò significa che l’inculturazione è un processo
di dono e di accoglienza, un processo di
scambio dentro il quale l’intuizione evangelica si incarna e si annuncia sempre in
modo nuovo in una cultura.
Ogni cultura può perciò essere quello
che J.B. Metz definisce un ‘criterio ermeneutico’, che permette di verificare di volta in volta la nuova pertinenza del cristianesimo. L’inculturazione è qualcosa di più
profondo, di più interiore del semplice accostamento tra una fede cristiana originaria e le culture che vengono dopo, attraverso un adattamento del linguaggio: ciò
che è in gioco è infatti ogni volta la riformulazione della fede in un modo nuovo e
sconosciuto.
Il secondo punto, la seconda premessa
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da tenere presente: su di un piano teologico la Chiesa è sempre chiamata a realizzarsi in un luogo. Occorrerà però intendere il termine ‘luogo’ in un modo più vasto,
più come luogo culturale che territoriale.
Oggi la mobilità spaziale e sociale degli
individui è molto maggiore rispetto a una
volta, e gli stili di vita e i gruppi sociali
non si costruiscono più unicamente a partire dal radicamento territoriale. È il motivo per il quale le ristrutturazioni delle
parrocchie (le unità pastorali) che sono
state avviate in questi ultimi tempi, in
Francia ma anche in Italia, hanno certamente il territorio come luogo di radicamento, ma fanno riferimento anche a un
territorio allargato che tocca i luoghi della
diversità culturale con la quale la Chiesa è
chiamata a entrare in contatto.
La realizzazione della Chiesa in un luogo si attua grazie alla proclamazione del
Vangelo e alla pratica dei sacramenti, eucaristia in testa. L’elemento territoriale non
interviene che come strumento al servizio
dell’operatività dei precedenti. Ma il carattere strumentale della territorialità della
Chiesa non deve far dimenticare la sua implicazione fondamentale: la missione della
Chiesa riguarda tutti quelli che abitano
quel determinato luogo, anche coloro che
non sono annoverati tra i suoi fedeli.
Parrocchia, territorio,
cattolicità della Chiesa
Il territorio oggi non ha più le caratteristiche geografiche, demografiche e politiche che aveva nelle epoche anteriori. Il
territorio non crea più quei vincoli di solidarietà tipici delle comunità rurali di una
volta, poco mobili e capaci di un forte
controllo sociale. Oggi i cristiani vivono,
come gli altri abitanti di un territorio, la
difficoltà di tessere legami di solidarietà
perché il territorio parrocchiale non contiene più tutte le funzioni economiche, sociali e politiche di un tempo, e deve comporsi con la pluralità di modi di vivere e di
visione del mondo che colorano gli itinerari di senso degli individui.
Se la parrocchia ha perso la funzione
primaria d’integrazione sociale che aveva
una volta, essa deve ritrovare una nuova
vocazione dentro questo mondo pluralista
e individualista. Deve riuscire a essere
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sempre ‘Chiesa in un luogo per tutti e grazie a tutti’, malgrado la scomparsa del
mondo rurale e della cristianità a esso connessa. La parrocchia deve divenire il luogo
di una ricerca di senso e di solidarietà per
coloro che a essa si rivolgono, come per
quelli che la guidano e la animano. E lo
può fare assumendo insieme sia il ruolo di
comunità confessante che di prestatrice di
servizi. La parrocchia deve essere luogo di
attestazione del Vangelo per tutti.
La parrocchia riveste una funzione di
visibilità elementare del cristianesimo che
non riguarda i soli praticanti, anche se essa si basa anzitutto su di loro. Essa è un
punto di riferimento locale visibile per i
cristiani e i non cristiani, aprendo la possibilità di una vita di relazioni tra unità di
vicinato e di legami tra la diversità dei
gruppi sociali che abitano quel territorio.
Essa è un punto di riferimento di memoria e di stabilità in un mondo in cui si è
molto sviluppata la mobilità degli individui e si è rarefatta la trama del sacro. Essa è un luogo di accoglienza e di prossimità per le domande di celebrazione che
provengono da singoli o da famiglie la cui
situazione religiosa è molto vana.
Due modelli di parrocchia
Non ci si può però nascondere che l’identità odierna della parrocchia è strattonata tra due modelli concorrenti di ecclesialità e di socializzazione la cui coesistenza dovrà essere assicurata.
Anzitutto la parrocchia può essere concepita secondo una modalità comunitaria
o settaria. Il tipo sociologico ‘setta’ è definito da Troeltsch come un raggruppamento volontario di credenti all’interno del
quale si entra per conversione. Ciò che caratterizza questo tipo di raggruppamento
è l’intensità del coinvolgimento e il carattere egalitario delle relazioni che sviluppa.
Si tratta di un raggruppamento di individui religiosamente qualificati, la cui testimonianza si vuole esemplare e radicale.
La figura privilegiata è quella del testimone che attraverso il suo impegno personale esprime l’intensità della sua referenza
religiosa.
La Chiesa non parla mai di raggruppamento settario a proposito di se stessa,
piuttosto di raggruppamento comunita-
rio. La comunità presuppone la condivisione di un ethos culturale comune, e privilegia la relazione breve delle solidarietà
primarie e degli obiettivi comuni. In un
tale modello di socializzazione la parrocchia diviene un piccolo gruppo affinitario
i cui membri condividono valori comuni,
e in cui la condivisione e la comunicazione sono messe in valore. Si tratta di sostituire l’organizzazione complessa, caratterizzata da norme e relazioni mediate all’interno dei grandi insiemi anonimi, con
dei rapporti interpersonali e conviviali.
Questo modello comunitario ha conosciuto e continua a conoscere un notevole
successo dagli anni ‘80 del XX secolo: basta vedere come oggi nella Chiesa si tende
a parlare di comunità cristiane più che di
parrocchie. Questo modello sembra essere la conseguenza più naturale delle nuove condizioni sociali dei gruppi religiosi;
soprattutto sembra essere conseguenza
della riduzione del numero dei partecipanti alle nostre assemblee. Le celebrazioni eucaristiche, una volta vissute in questa
prospettiva, esaltano la convivialità e la
partecipazione attiva dei fedeli, che arriva
fino alla testimonianza e alla presa di parola personale.
Tuttavia questo modello di ecclesialità
non è sufficiente da solo a esprimere la vocazione attuale della parrocchia, che non
può essere ridotta alla cerchia ristretta
della comunità dei testimoni. Nei fatti le
parrocchie non sono comunità nel senso
sociologico del termine, in ragione della
grande diversità delle condizioni sociali
delle persone che esse radunano, della
pluralità delle culture che le abitano e della grande varietà del livello di implicazione delle persone che raggruppano.
Se restringiamo, a partire dalla logica
comunitaria, la destinazione della parrocchia al solo livello dei cristiani più impegnati, è la cattolicità della Chiesa che
non è più onorata. Il modello di socializzazione della comunità non può riprodurre la diversità delle condizioni sociali
e delle concezioni religiose che sono
espresse da un territorio, e non può rispettare il fatto che la Chiesa è costituita
da chiunque bussi alle sue porte, che essa è un corpo molto vario (meticcio) e
che non può basarsi sulla cooptazione e
l’esclusivismo.
È per questo motivo che un secondo
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modello ecclesiale ispira la vocazione parrocchiale: quello del servizio pubblico religioso. Se seguiamo la tipologia di Troelstch, ci troviamo qui di fronte al modello
‘chiesa’ e non più a quello ‘setta’. Normalmente non si entra dentro la Chiesa come
dentro un’associazione, e la Chiesa non è,
al contrario della setta, una comunità di
persone dotate di un carisma personale;
piuttosto la Chiesa è l’amministratore di
un carisma d’ufficio, di ministero.
Questo tipo di socializzazione consente
la partecipazione di tutti alla vita religiosa, e rispetta le differenti soglie di implicazione personale grazie a un sistema di aggregazione molto largo e stabile. Mentre
la setta funziona secondo un principio intensivo, la Chiesa funziona secondo un
principio estensivo: raduna il più grande
numero di persone e propone senso anche
a coloro che non fanno esplicitamente
parte del suo corpo. Mentre nel primo
modello comunitario i credenti fanno la
Chiesa, in questo secondo modello è la
Chiesa che fa i credenti.
Le fatiche del modello
parrocchiale di tipo ‘Chiesa’
Questo secondo modello ecclesiale non
è il più valorizzato ai nostri giorni. Il primo motivo di questa svalutazione è legato
al fatto che un simile modello sembra
conforme all’ epoca di cristianità, e quindi
profondamente sfasato rispetto alla situazione contemporanea. Poiché si fa carico
di un territorio e dei suoi abitanti, è associato in modo quasi inconscio a un quadro sociologico in cui tutti gli abitanti sono ritenuti cristiani. Sembra incapace di
integrare il dato del pluralismo contemporaneo e la fine di una religione pensata
secondo i canoni di un sistema d’impresa.
È un modello originariamente tridentino, legato al fenomeno dell’appartenenza
di massa al cristianesimo. La sua rappresentazione centrale è l’assemblea domenicale, dove in un luogo è celebrato il giorno
del Signore. A questo modello corrisponde la figura tradizionale della parrocchia
come istituzione che procura a ogni uomo
l’essenziale per diventare cristiani: la nascita alla fede, l’insegnamento della Parola, la liturgia e i sacramenti, il sostegno e
l’aiuto reciproco. In questo quadro, la par-
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rocchia è l’assemblea che attesta il Vangelo per tutti in un luogo; è offerta a ogni
passante, perché trovi l’essenziale necessario alla scoperta di Gesù Cristo.
È dunque un modello che appare di primo acchito opposto alla società contemporanea, nella quale le appartenenze non
sono più fisse, la logica d’identità legata al
soggettivismo ripudia ogni oggettività dei
criteri di religiosità, la pluralità delle fonti
di senso e la privatizzazione della fede
sembrano vietare la costruzione di un legame tra scelta religiosa e territorio. Così
un’istituzione che ha autorità per gestire i
bisogni religiosi di una popolazione nel
suo insieme sembra contrapporsi in modo
aperto alla logica moderna dell’ associazione volontaria tra individui.
Il secondo motivo per il quale questo
modello di parrocchia risulta svalutato è
legato al fatto che sembra ridurre la religione a una ‘logica di sportello’ attraverso
il quale la Chiesa dispensa dei beni di salvezza a chi ne fa richiesta. In una situazione di penuria del clero e di restrizione
del reticolo territoriale che rende presente
la Chiesa tra la gente, può sembrare poco
logico consacrare delle forze per rispondere alle domande troppo semplici di persone che ricorrono alla parrocchia soprattutto (o soltanto) per battesimi, matrimoni e funerali, e limitano a queste richieste
puntuali il loro rapporto alla Chiesa.
Dietro l’argomento della mancanza di
forze e della necessità di risparmiare
energie ecclesiali ci sta però il giudizio
sulla mancanza di serietà di queste richieste di sacramenti, e una critica della dimensione solamente ritualista del ricorso
da parte di molti alla Chiesa vista come
stazione di servizio del sacro. È questo un
tema che anima molte pagine del libro del
vescovo mons. Hyppolite Simon, Vers une
France païenne? e che consiglia di spingere nella direzione di un ripiego delle forze
sugli interessi dei veri credenti praticanti,
sui ‘testimoni’, soli degni della sollecitudine pastorale della Chiesa.
Le ‘chances’ del modello
parrocchiale di tipo ‘chiesa’
Avviandomi alla conclusione, vorrei invece mostrare le ragioni per cui, a mio parere, questi due motivi di svalutazione del
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modello ‘tipo chiesa’ e di valorizzazione
del modello ‘tipo setta’ possono essere
contestati e, al contrario, per quali motivi
il modello di ecclesialità del servizio pubblico religioso sia profondamente in accordo con i tratti antropologici della nostra epoca, che ho presentato nella prima
parte di questa relazione.
Certo, questo modello parrocchiale è
stato pensato per i tempi di cristianità, e
mirava all’inquadramento globale della
popolazione. Ciò non vieta però che possa
essere una risorsa importante (tra le più
importanti) anche in un tempo segnato
dal pluralismo e dall’individualismo, e
possa accordarsi in modo ottimale con la
logica d’identità che ha sostituito quella di
appartenenza.
Anzitutto, su di un piano ecclesiologico, questo modello mi sembra l’unico capace di tradurre nella pastorale le intuizioni conciliari della Lumen Gentium che
ho esposto precedentemente. Se il Concilio ha cura di affermare che la Chiesa si
sente unita con tutti coloro che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, e che tutti
gli uomini di buona volontà sono ordinati al popolo di Dio del quale nessuno può
tracciare i confini in modo estrinseco, allora la Chiesa deve procurare a tutti gli
uomini gli aiuti necessari alla loro salvezza, senza stabilire a priori chi è degno di
riceverli e chi no.
Definire la parrocchia come un luogo riservato ai soli testimoni significa di fatto
negare il suo ruolo e il suo compito di
espressione del popolo di Dio; significa
negare la soggettività del credente, denigrare il suo desiderio di salvezza e porsi
come il solo giudice esteriore della qualità
della fede.
In secondo luogo, su di un piano antropologico, se accordiamo qualche credito
all’ipotesi del passaggio da una logica di
appartenenza a una d’identità, occorre
convincersi che la parrocchia – proprio
per questo suo essere costituita sul modello del servizio pubblico religioso – è
nella condizione ideale per mettere i suoi
mezzi a servizio della costituzione dei
soggetti e della costruzione della loro
identità religiosa.
Non è certo per il fatto che la parrocchia è stata storicamente concepita all’interno del quadro di una logica di appartenenza, che essa è incapace di onorare un’
altra logica. Infatti, affinché i soggetti possano costruire la loro identità religiosa e
possano scegliere al di fuori di ogni costrizione i contenuti religiosi che possono dare senso alla loro vita, è necessario che dispongano di istituzioni che si mettono al
loro servizio e procurino loro i segni di cui
hanno bisogno per vivere.
Come ho già detto, la ricerca di senso
nel quadro antropologico del soggettivismo è una ricerca di qualcuno che risponda, e nessun significato attribuito dall’individuo alle sue scelte di valore è possibile, senza che queste stesse scelte siano
convalidate da altri. La logica dell’identità
è tutto tranne che l’affermazione di un solipsismo; e le scelte individuali, che sono
certo delle scelte al di fuori di ogni costrizione, devono effettuarsi in rapporto a degli orizzonti di senso di cui i singoli individui non sono liberi autori.
Infine, sul piano pastorale, non è dimostrato che il modello di ecclesialità offerto
da una parrocchia che si struttura sul modello del servizio pubblico religioso orienti in modo ineluttabile l’istituzione ecclesiale verso l’immagine di una Chiesa
trionfante e sicura di se stessa, che nega
l’autonomia del credente e la sua libertà di
fede: proporre la fede non vuol dire imporla; annunciare che la salvezza in Gesù
Cristo è offerta a ogni uomo non è la stessa cosa che organizzare e inquadrare una
popolazione in un determinato territorio.
E se la parrocchia è un elemento indispensabile per l’annuncio della fede, ciò è
precisamente dovuto al fatto che la sua
prossimità e la sua visibilità sono dei segni della sua destinazione a ogni passante; segni della sua vocazione a interessarsi a ogni uomo senza emettere giudizi
anticipati sulla qualità del suo desiderio
di Dio.
Pensare la fede e iscriverla
nel sociale
La modernità religiosa si trova di fronte
a due sfide che la parrocchia è tenuta a
raccogliere: quella dell’intelligenza della
fede e quella dell’iscrizione sociale della
fede.
La sfida dell’intelligenza della fede
chiede di riformulare, secondo la logica
dell’inculturazione, l’identità cristiana
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per i nostri tempi. C’è una grammatica
antropologica dell’umano che il cristianesimo porta in sé e che deve ogni volta essere reinventata dentro il terreno culturale di ogni epoca. Aiutare ogni uomo a formulare la propria fede non vuol dire soltanto fornirgli dei contenuti e degli strumenti pedagogici; più profondamente significa aiutarlo a mettersi in relazione
con una comunità che vive la fede. E questo è precisamente ciò che la parrocchia
può fare per ogni uomo in ricerca della
sua propria fede e di una sua formulazione personale.
La sfida dell’iscrizione sociale della fede
porta l’intelligenza della fede alla reinvenzione della vita comunitaria, e – in successione – della vita sociale. La verità non è
un sapere ma un agire; la pertinenza di
una proposizione di verità si misura dai
suoi frutti ed è dunque in ciò che la fede fa
fare, in ciò che essa genera in umanità al
livello più semplice della vita comune, che
essa diviene pertinente. Come non vedere
che è proprio nell’iscrizione sociale della
parrocchia che la fede può essere colta
non come uno stock di conoscenze ma come un agire vero e fecondo?
La parrocchia non è anzitutto una
struttura, ma la messa in relazione di persone. E se il Concilio afferma in Presbyterorum Ordinis che la «la comunità locale
[...] è tenuta ad aprire a tutti gli uomini la
strada che conduce a Cristo» (PO 6), è
giusto e bene che la parrocchia impari a
non rivolgersi soltanto ai battezzati, ma a
tutti quelli che sono chiamati a formare il
popolo di Dio. È per questo che la parrocchia è una comunità; a condizione però
di allargare la nozione di comunità a tutti coloro che sono chiamati a incontrarla
e quindi in primo luogo e per la gran parte a quelle occasioni di incontro con domande puntuali che non si presentano
immediatamente come domande di integrazione.
Occorrerebbe dunque, per superare
l’opposizione apparente tra i due modelli
di ecclesialità che ho descritto, dire che la
parrocchia deve essere comunione più
che comunità. È così che può apparire come mistero di unità e proposta di una vita
più grande per ogni uomo. Poiché la parrocchia è assemblea e unità, essa è anche
apertura e solidarietà, incarnazione di
speranza e riconciliazione.
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La parrocchia è così anzitutto segno: segno di salvezza, e segno di fiducia nel desiderio di salvezza di ogni uomo. Essa è
servizio, servizio reso ai più e ai loro bisogni di celebrazione della loro vita e della
loro speranza che supera questa vita. Essa
è attestazione del vangelo invisibile nella
vita visibile di ogni giorno. È anticipazione del Regno nei legami che costituiscono
la vita di ogni uomo. Essa stessa è legame,
il ‘tra noi’ (meta umôn); ed è in questa sua
specificità che può accompagnare il venire alla vita di ognuno e l’aprire a questa
nascita dall’ alto che è seminata in ogni
esistenza, e che domanda di essere chiamata per apparire, per realizzarsi.
NOTE
Y. Lambert, Religion: l’Europe à un tournant,
«Futuribles 277», luglio/agosto 2002, pp. 129-159.
E. Pace, Désenchantement religieux en Italie, in
G. Davie – D. Hervieu-Léger (edd.), Identités religieuses en Europe, La Découverte, Paris 1996, pp.
215-232.
V. Cesareo (a cura di), La religiosità in Italia,
Mondadori, Milano 1995.
Cfr. E. Pace, Désenchantement religieux en Italie,
cit.
Per le implicazioni teologiche di questa riflessione si veda M. Viau, La nouvelle théologie pratique,
Cerf – Paulines, Paris – Montreal 1993.
A. MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Feltrinelli, Milano 1988; C. Taylor, Radici dell’io. La costruzione dell’identità moderna, Feltrinelli,
Milano 1993; P. Ricoeur, Sé come un altro, Jaca
Book, Milano 1993.
C. Theobald – Phillppe Bacq (edd.), Une nouvelle
chance pour l’évangile. Vers une pastorale d’engendrement, Lumen Vitae, Bruxelles 2004.
J.B. Metz, Unité et pluralité: problèmes et perspectives de l’inculturation, «Concilium», 224 (1989),
pp. 87-96.
M. Pelchat, Faire Église en modernité, in G.
Routhier – A. Borras (edd.), Paroisses et ministère.
étamorphoses du paysage paroissial et avenir de la
mission, Médiaspaul, Montreal 2001, pp. 11-41.
A. Borras, Le remodelage paroissial, in Paroisses
et ministère, cit., pp. 43-195.
L. Villemin, Service public de religion et Communauté. Deux modèles d’ecclésialité pour la paroisse,
«La Maison-Dieu», 229 (2002), pp. 59-79.
H. Simon, Vers un France païenne?, Cana, Paris
1999.
M. Pelchat, Faire Église en modernité, cit., p. 23.
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INDICE
AVVENTO 2008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
CENTRO DIOCESANO DI PASTORALE FAMILIARE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
CENTRO PASTORALE ADOLESCENTI - GIOVANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
CPR - CENTRO PASTORALE RAGAZZI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
UFFICIO PASTORALE DELLA SALUTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
CENTRO DI PASTORALE UNIVERSITARIA - VERONA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
AZIONE CATTOLICA ITALIANA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
C’È UN FUTURO PER LA PARROCCHIA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
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Direttore Responsabile
Don Bruno Fasani
Redazione e amministrazione
Curia Diocesana - Piazza Vescovado, 7 - 37121 Verona
Autorizzazione n. 1577 del Tribunale C.P. di Verona, 30 dicembre 2003
Stampa: Divisione Novastampa Gruppo Siz - Viale Copernico 11 - 37050 Campagnola di Zevio - Verona
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