EXODOS ʹ Tragedia della ricerca. Libretto di Andrea Panzavolta. Forlì, 26 settembre 2012. Una lettura sinottica introduttiva delle figure di EDIPO, ACHAB e GIOBBE di Massimo Marottoli Davide Tarizzo, nella sua introduzione al saggio di Gilles Deleuze, La Piega, scrive a commento, o meglio a interpretazione del pensiero cosmogonico del filosofo francese, e si domanda: ĐŚĞĐŽƐ͛ğƵŶĞǀĞŶƚŽ (?) E risponde: ͙ğƵŶĂƐŵĂŐůŝĂƚƵƌĂĚĞůDŽŶĚŽ͘hŶĞǀĞŶƚŽ͕ se è davvero tale, è un caso, è qualcosa di totalmente imprevedibile e totalmente accidentale, che smaglia ogni rete, ogni trama di necessità che tiene assieme un Mondo. Perché parliamo di Mondo infatti? Perché presupponiamo sempre, anche quando non ci chiamiamo Einstein, che Dio non gioca a dadi, ossia che esiste un Mondo, un Universo, un Cosmo, la cui unità e consistenza è data da un insieme di leggi o regolarità che tengono assieme e uniformano il mondo, un mondo. Un evento, invece, è una singolarità assoluta, ossia qualcosa che non si lascia ricondurre a un universale, a un genere, a una legge, a un ŽƌĚŝŶĞ͘ ĂƐƚĂ ĚƵŶƋƵĞ ƵŶ ƐŽůŽ ĞǀĞŶƚŽ Ă ĐŽŶĨƵƚĂƌĞ ů͛ĞƐŝƐƚĞŶnjĂ ĚĞů DŽŶĚŽ͘ ů͛ĞǀĞŶƚŽ ğ appunto questo: è la prova che il Mondo non esiste (Torino, 2004, p.XXVIII). Il pensiero filosofico e religioso occidentale concepisce il mondo ĐŽŵĞ ů͛ĞƐŝƐƚĞŶƚĞ͕ con le sue leggi di regolarità che tengono insieme e uniformano il mondo stesso. Anche il pensiero ebraico-‐ĐƌŝƐƚŝĂŶŽ͕ ĐŚĞ ğ ƉĂƌƚĞ ĐŽƐƚŝƚƵƚŝǀĂ Ğ ůŝĞǀŝƚŽ ŝŶƚĞƌŶŽ Ăůů͛ŝŵƉƌĞƐĂ ĐƵůƚƵƌĂůĞ occidentale, arriverà a concepire ů͛ĞƐŝƐƚĞŶnjĂ Ěŝ ƵŶ mondo (universo, cosmo). Ciò che pensiamo a proposito del mondo͕ ĚĞůů͛universo, lo pensiamo ŶĞŝ ƚĞƌŵŝŶŝ Ěŝ ƵŶ͛effettiva possibilità di riconduzione dei suoi fenomĞŶŝĂůů͛ƵŶŝƚă-‐ al suo ordine. Pensiamo nei termini di una possibile reductio ad unum. Il dogma cristiano, tuttavia concepisce tale unità in un senso molto particolare, quale opera creata, uscita dalle mani di Dio e parla del mondo-‐creato come di un evento, o come di una singolarità assoluta ʹ ƉĞƌƌŝƉƌĞŶĚĞƌĞŝƚĞƌŵŝŶŝĚĞůů͛ĞƌŵĞŶĞƵƚŝĐĂĐŚĞdĂƌŝnjnjŽĚăĚĞLa Piega di Deleuze ʹ che non si lascia ricondurre sic et simpliciter a un ordine, a un universale, e che non lascia immaginare la sua stessa ripetibilità -‐ la ripetibilità di un atto è ůĂĐŽŶĨĞƌŵĂĚĞůů͛ĞƐŝƐƚĞŶnjĂĞĚĞůůĂ validità di una legge e sarebbe pertanto ů͛ĞƐƉƌĞƐƐŝŽŶĞƉŝƶ cogente della stabilità dei riferimenti, o dei termini a cui è possibile, appunto, ri-‐portare, o ri-‐durre i fenomeni. Mentre l͛ĞǀĞŶƚŽ non è di per sé ripetibiůĞ͘ ƐƐŽ ŶŽŶ ƌŝĐŽƌƌĞ Ğ ů͛opera-‐mondo non ha carattere ridondante, applicativo di un modello, di un framework, di una legge, tale da far pensare alla possibilità di replicazione della sua stessa storicità. >͛opera-‐mondo-‐evento si dà come realtà contingente, non necessaria. Su questa ambivalenza presente nel pensiero occidentale, tra una visione che postula la ƌŝĐŽŶĚƵnjŝŽŶĞ Ăůů͛ƵŶŝƚă ŶĞĐĞƐƐĂƌŝĂ ĚĞůů͛opera-‐mondo, magari attraverso la descrizione (scientifica) della sua struttura (framework), e il suo carattere non necessario, contingente, occorre tornare a riflettere. SĞ ů͛opera-‐mondo fosse leggibile secondo un alfabeto -‐ una struttura -‐ il suo carattere dovrebbe essere evidentemente riconducibilĞ Ă ƋƵĞůů͛alfabeto che evidenzierebbe il cĂƌĂƚƚĞƌĞŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽĚĞůů͛opera-‐mondo stessa. Questa, insomma, dovrebbe avere impresso da qualche parte il suo alfabeto e perciò la sua ragione, la sua struttura interna: la scienza, in fondo, sostiene questa ipotesi di lavoro e vi scommette sopra. Ma, se il mondo è evento contingente, non necessario, Ğů͛ĞǀĞŶƚŽğůĂƉƌŽǀĂĐŚĞŝůŵŽŶĚŽ non esiste, ciò che lo stesso pensiero ebraico-‐cristiano chiama mondo (unità, universo), mondo non è. Non è universo, non è cosmo͘/ůĐĂƌĂƚƚĞƌĞĞǀĞŶƚƵĂůĞĚĞůů͛ŽƉĞƌĂcreata, di cui parla il pensiero ebraico-‐cristiano, di fatto nega ů͛ĞƐŝƐƚĞŶnjĂ ĚĞů mondo, che è però sostenuta al fine ĚĞůůĂŝŶĚŝǀŝĚƵĂnjŝŽŶĞĚŝƵŶƐĞŶƐŽĚĞůů͛ĞƐŝƐƚĞŶnjĂĐŚĞƐŝƉĞŶƐĂƉŽƐƐĂĞƐƐĞƌĞ ĐŽůƚŽŶĞůƋƵĂĚƌŽĚŝƵŶ͛ĂĨĨĞƌŵĂnjŝŽŶĞŝŶĐƵŝƐŝƉŽƐƚƵůŝů͛Ğsistenza di un ordine, in cui si postuli la possibilità di ricŽŶĚƵƌƌĞŽŐŶŝĨĞŶŽŵĞŶŽĂůů͛ƵŶŝƚă͕ĞĐŽƐŞ͕ĂƉƉƵŶƚŽ͕ĂƵŶƐĞŶƐŽ͘ ƚƵƚƚĂǀŝĂ͕ ĞĐĐŽ͕ ů͛ĂĨĨĞƌŵĂnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ĞƐŝƐƚĞŶnjĂ ĚĞů mondo quale unità necessaria è un postulato metafisico, un͛ipotesi non-‐ĚŝŵŽƐƚƌĂƚĂ͘ /ů ĐĂƌĂƚƚĞƌĞ ĞǀĞŶƚƵĂůĞ ĚĞůů͛ŽƉĞƌĂ ĐƌĞĂƚĂ͕ invece, ğƐĞŐŶĂůĂƚŽŐŝăŶĞůů͛ŝŶƚĞŶnjŝŽŶĞŬĞƌLJŐŵĂƚŝĐĂ ĚĞůů͛ĂƵƚŽƌĞĚĞůůŝďƌŽĚĞůůĂ'ĞŶĞƐŝĐŚĞůŽ inizia con la lettera Beth͕ŝůƐĞĐŽŶĚŽƐĞŐŶŽĚĞůů͛ĂůĨĂďĞƚŽĞďƌĂŝĐŽ. Lettera il cui segno grafico mantiene chiuso, non visto, non osservato, non rilevato ciò che precede -‐ o che dovesse precedere -‐ ƋƵĞůů͛ŽƉĞƌĂ͕ĞĂƉĞƌƚŽƐƵůĚĂǀĂŶƚŝ͕ƐƵůůĂĚŝŵĞŶƐŝŽŶĞ che si apre a partire da quel principio -‐ B-‐rescit͘^ŝƐĞŐŶĂůĂĂŶĐŚĞĐŽƐŞů͛ƵŶŝĐŝƚăŝƌƌŝƉĞƚŝďŝůĞĚŝƋƵanto è narrato e la sua non-‐riconducibilità ad altro, ad oltre͗ů͛ĞǀĞŶƚŽĚĞůů͛ĞƐƐĞƌĞ͘ Il principio è quel Beth, il segno della eventuaůŝƚă ĚĞůů͛ĞƐƐĞƌĞ͘ Yuel Beth ğ ů͛ŝŵƉƌŽŶƚĂ Ğ ŝů senso delů͛ŽƉĞƌĂ. Il tutto, domanda e risposta, è al di qua di quella lettera e a partire da essa. Qui è la verità ĚĞůů͛ŽƉĞra creata, nel suo avere principio nel segno Beth, senza che si dia conto altrove del ƉƌŝŵŽ ƐĞŐŶŽ ŐƌĂĨŝĐŽ͕ ĚĞůů͛Aleph͘ YƵŝ Ɛŝ ƉĂƌůĂĚĞůů͛ĞƐƐĞƌĞ Ğ ŝŶ ƋƵĞƐƚŽ ůƵŽŐŽŶŽŶĐ͛ğƐƉĂnjŝŽƉĞƌŝůƉƌŝŵŽ͕ƉĞƌů͛Aleph. Ovvero: è ŝŶƋƵĞƐƚŝŽŶĞů͛ŽƉĞƌĂ-‐mondo? ͛Ěŝ questo che si vuol trattare e si tratta? Bene, in questa materia, il primo è il secondo, e tale proposizione non tematizza la secondarietà del Beth ƌŝƐƉĞƚƚŽ Ăůů͛Aleph. L͛ĂƐƐĞŶnjĂ di tale tematizzazione non è in discussione, e con ciò si vuol dire che non è neppure ƵŶ͛ĂƐƐĞŶnjĂ͘ Questa sintesi definisce ŝů ƋƵĂĚƌŽ Ăůů͛ŝŶƚĞƌŶŽ ĚĞů ƋƵĂůĞ Ɛŝ ĐŽŶĐĞƉŝƐĐĞ ŝů ƉĞƐŽ ĐŚĞ ŚĂ, nel pensiero ebraico, il rapporto tra ů͛opera-‐mondo creata e la sua verità. >͛ŽƉĞƌĂ Ěŝ ĐƵŝ Ɛŝ tratta ha carattere eventuale -‐ non necessario. Tutto il resto è metafisica, non dimostrato; e ů͛ĂƵƚŽƌĞ ďŝďůŝĐŽ ŶĞŵŵĞŶŽ ǀĂŐůŝĂ ů͛ŝƉŽƚĞƐŝ ĐŚĞ ŝů ƐĞŶƐŽ ĚĞůů͛ĞǀĞŶƚƵĂůŝƚă ĚĞůů͛ĞƐƐĞƌĞ ƉŽƐƐĂ ĞƐƐĞƌĞƌŝĐŽŶĚŽƚƚŽĂůů͛ƵŶŝƚă di un principio, che preceda il principio espresso da quel Beth. Non parla in termini metafisici come quelli a cui siamo abituati, nel pensiero occidentale, insomma. Perché? Solo perché tale autore e la sua riflessione si situano ƉƌŝŵĂĚĞůů͛avvento della storia della metafisica, del pensiero occidentale? E la metafisica ha poi, in definitiva, un carattere storico? No, suvvia! Possiamo ripercorrere la storia del pensiero metafisico, ma il pensare metafisico non ha carattere storico. ů͛ĂƵƚŽƌĞďŝďůŝĐŽ (che si colloca prima ĚĞůů͛ĂǀǀĞŶƚŽ della storia della metafisica, o del pensiero occidentale) non vaglia ƋƵĞůů͛ŝƉŽƚĞƐŝƉĞƌĐŚĠĞŐůŝŝŵŵĂŐŝŶĂŝůŵŽŶĚŽĞŝůƐƵŽƐĞŶƐŽĐŽŵĞĞǀĞŶƚŽ͘YƵŝĨŝŶŝƐĐĞůĂĨŽƌnjĂ e il fascino della metafisica, prima ancora della nascita, dell͛ĞǀŽůǀĞƌƐŝ Ğ ĚĞů ƐƵŽ ĚĞĐůŝŶĂƌĞ verso il tramonto dello stesso pensiero occidentale, del suo logos, della sua ratio ʹ ellenistica e latina͘ ͛ğ ƵŶa matrice del pensiero occidentale -‐ nella sua espressione ebraico-‐cristiana -‐ che segnala già prima, del nascere della sua modalità greco-‐latina, il suo tramontare. E questo è il punto di innesto del tema: la tragedia della ricerca. La ricerca del senso, ŶĞůůĂƌŝĐŽŶĚƵnjŝŽŶĞĂůů͛ƵŶŝƚăĚŝƵŶ͛ŽƐƐĂƚƵƌĂ͕ĚŝƵŶĂƐƚƌƵƚƚƵƌĂĚĞůů͛ĞƐƐĞƌĞĞĚĞůů͛ĞƐƐĞƌĐŝ͕ della sua verità qualĞƉĂƌŽůĂƌŝĨůĞƐƐĂŶĞůů͛ĞƐƉĞƌŝĞŶnjĂŝŶƚĞƌŝŽƌĞĚĞůů͛ƵŵĂŶŝƚă͘ Infatti, Edipo si acceca con la fibbia della cintura di sua moglie, che è anche sua madre, quando gli viene rivelata la verità della sua vicenda -‐ quella del rapporto incestuoso dal quale avrà due figlie-‐sorelle -‐, una vicenda la cui verità Edipo è stato avvisato di non ostinarsi a volere, ĨŝŶŽĂůů͛ƵůƚŝŵŽ͘YƵĞůůĂǀĞƌŝƚă-‐disvelamento della sua esistenza diventerà perciò la figura ĚĞů ŵŝƚŽ͕ ƉĞƌ ĞĐĐĞůůĞŶnjĂ͖ ůĂ ĨŝŐƵƌĂ ĚĞůů͛ƵŵĂŶŽ ƌĂƉƉŽƌƚŽ ĐŽŶ ůĂ ǀĞƌŝƚă ĚĞůů͛ƵŽŵŽ͗ůĂƐƵĂƚƌĂŐĞĚŝĂ͘ Egli prima ignora la sua verità che tuttavia cerca, ma dalla quale fugge, rifugiandosi nel mito, nel momento in cui gli si disvela. Egli vedrà da quel momento, dal momento del disvelamento della verità, il suo rapporto con la verità espresso nella figura del mito, inteso come un parlare a labbra serrate, come un vedere a palpebre chiuse. Őůŝ͕ů͛anthropos͕ŝůƌĂƉƉƌĞƐĞŶƚĂŶƚĞĚĞůů͛ƵŵĂŶŝƚă͕ avrà con la verità questa modalità di rapporto espressa dal muo greco. Un muggito, un suono non definito come parola riconoscibile, ƋƵĂůĞ ƉĂƌŽůĂ ƵŵĂŶĂ͘ >͛ƵŵĂŶŝƚă Ăǀƌă, con la verità, un rapporto difficile, opaco, sotto il segno del muo͖ ŵĞŶƚƌĞ ůĂ ǀĞƌŝƚă ŵƵŽǀĞƌă ĚĂůů͛ĞƐƚĞƌŶŽ di questa umanità, predicando il suo carattere esteriore. >͛ŝŶƚĞƌŝŽƌŝnjnjĂnjŝŽŶĞĚĞůůĂǀĞƌŝƚăğƚƵƚƚŽŝů problema ĚĞůů͛ƵŽŵŽ͕ in quanto la mia verità, che ŵŝƌĂŐŐŝƵŶŐĞĚĂůů͛ĞƐƚĞƌŶŽ, non si lascia interiorizzare. La mia tragedia ʹ antropologica -‐, la tragedia della figura edipica è la lotta con la verità che non riesco a contenere, a portare dentro e in definitiva a dichiarare mia. La mia tragedia è il mio essere senza verità, intesa quale proprietà riconosciuta Ğ ŝů ŵŝŽ ĞƐƐĞƌĞ ƐŽŵŵĂŵĞŶƚĞ ŝŶ ĚŝĨĨŝĐŽůƚă ŶĞůů͛Ăƚto di appropriazione della verità stessa. Tra proprietà e appropriazione si sviluppa tutta la parabola del pensiero occidentale, della sua evoluzione; ed è tra proprietà e appropriazione che si sviluppa la parabola della cultura ĚĞůů͛KĐĐŝĚĞŶƚĞ, della sua tragedia, della sua domanda, che riconducono alla riflessione sul carattere eventuale e però, proprio perché eventuale -‐ senza legge, senza unità, realtà unica -‐ sommamente significativo; alieno ĚĂůů͛uni del lemma uni-‐verso, senza possibilità di riconduzione metafisica Ăůů͛ƵŶŝƚă necessaria, eppure nel tutto dell͛hic et nunc, della storia, dello spazio e del tempo che principiano nel Beth. Nella lotta con la sƵĂǀĞƌŝƚă͕ů͛ƵŽŵŽŶŽŶůĂƐƉƵŶƚĂ ʹ insegna tale parabola. >͛ƵŽŵŽůŽƐĂ͕ eppure prosegue la ƐƵĂůŽƚƚĂĐŽŶůĂƐƵĂǀĞƌŝƚăĞƋƵĞƐƚĂůŽƚƚĂĚĂůů͛ĞƐŝƚŽŐŝăƐĐƌŝƚƚŽĚĞůŝŶĞĂŝů suo stesso stato, la sua condizione: il suo malessere, la sua patologia. E ů͛ƵŽŵŽĚŝDĞůǀŝůůĞ͕ ŝů ĐĂƉŝƚĂŶŽ ĐŚĂď ŶĞ ğ ů͛ĞŵďůĞŵĂ͘ ͛ ůŽ ƐƚĞƐƐŽ DĞůǀŝůůĞ ĐŚĞ ƉĂƌůĞƌă ĚĞůůĂ monomania di Achab, della sua ossessione: trovare Moby Dick, la balena bianca che al grande capitano aveva già dato una lezione per tutta la vita, lasciandolo mutilato, con un colpo di coda. E quando riuscirà ad agganciare il suo despota oscuro -‐ oscuro, benché fosse bianco -‐, Achab saƌăƚƌĂƐĐŝŶĂƚŽŶĞůů͛ĂďŝƐƐŽ͕ĐŽŶ i suoi uomini. La verità-‐disvelamento ĚĞůů͛ƵŽŵŽƉƌĞĚŝĐĂŝůůĂƚŽŽƐĐƵƌŽĚĞůů͛ƵŵĂŶŝƚă͕ŶĞůůĂƐŝŵďŽůŝĐĂĚĞŐůŝ ĂďŝƐƐŝŝŶĐƵŝƉƌĞĐŝƉŝƚĂĐŚĂď͕ĐŽŵĞŶĞůů͛ĂĐĐĞĐĂŵĞŶƚo autoinflittosi da ĚŝƉŽ͙ E Giobbe? Nella vicenda di questa figura veterotestamentaria, le parti entrano in corto circuito. >͛ĂƵƚŽƌĞĚĞůůŝďƌŽŽŵŽŶŝŵŽǀa dritto al sodo, come si suol dire, facendo giocare a Giobbe il ruolo ĚĞůů͛ƵŽŵŽ ĐŚĞ ŶĞů ƌĞĐůĂŵĂƌĞ ůĂ sua verità chiama Dio stesso in un contenzioƐŽ ŐŝƵĚŝnjŝĂƌŝŽ͘ YƵŝ Ɛŝ ĞǀŝĚĞŶnjŝĂ ĐŽŵĞ ŝů ƚĞŵĂ ĚĞůůĂ ǀĞƌŝƚă ĚĞůů͛ƵŽŵŽ͕ ĐŝŽğ ůĂ ƐƵĂ ossessione per la sua verità, che spalanca davanti a lui il buio abisso della sua malattia, coincide con il tema della giustizia di Dio -‐ la sua libertà -‐ la stessa libertà creatrice che imprime carattere contingente, non necessario e in questa misura, appunto, eventuale Ăůů͛opera-‐mondo uscita dalle sua mani. >͛ŽƐƐĞƐƐŝŽŶĞͬŵĂůĂƚƚŝĂĚĞůů͛ƵŽŵŽƋƵŝğŝŶĚĞĨŝŶŝƚŝǀĂ un͛ inquietudine che muove a partire dalla irresolvibilità del carattere assolutamente libero ĚĞůůĂ ŐŝƵƐƚŝnjŝĂ ĚŝǀŝŶĂ͘ >Ă ƐƚĞƐƐĂ ĐŚĞ ĐƌĞĂ ů͛ĞǀĞŶƚŽ ƵŽŵŽ͕ ů͛ĞǀĞŶƚŽ Creato. Così, ů͛ŽƐƐĞƐƐŝŽŶĞͬŵĂůĂƚƚŝĂĚĞůů͛ƵŽŵŽƐŝĂůŝŵĞŶƚĂĚĞůů͛indisponibilità umana ad accogliere il suo essere caratterizzato come realtà contingente, eventuale͘ hŶ͛indisponibilità che lo proietterà in direzione contraria al suo essere eventuale, alla ricerca ossessiva di una ragione, di un equilibrio, della giustizia, della ratio umana. hŶ͛indisponibilità che lo farà schizzare fuori, in fuga dalla sua verità: il suo carattere eventuale. La tragedia della ricerca è così il grido di abbandono per il senso non trovato nella figura immaginata di un ordine -‐ figura immaginata come libera dalla legge della morte e dal suo non-‐senso -‐ del mondo e nel mondo; un grido già salito dalla voce del salmista, prima che ĚĂůů͛ƵŽŵŽ'ĞƐƶ͕ĐŚĞůŽůĂŶĐŝĂĚĂůůĂĐƌŽĐĞ͕ĚĂůůĂŵŽƌƚĞ͕ƵůƚŝŵĂĞĚĞƐƚƌĞŵĂƌĂƉƉƌĞƐĞŶƚĂnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ƵŽŵŽ ƋƵĂůĞ ƐŽŐŐĞƚƚŽ ƉƌŽŶŽ ĚĂǀĂŶƚŝ Ă ƵŶĂ ůĞŐŐĞ ĚĞůů͛ƵŶŝǀĞƌƐŽ͕ ĐŚĞ ƚƵƚƚŽ ƌĞŐŽůĂ͘ Che tutto riduce a una ratio inconfutaďŝůĞ Ğ ŝƌƌĞƐŝƐƚŝďŝůĞ͘ >͛ƵŽŵŽ ĐŚĞ ŐƌŝĚĂ ů͛ĂďďĂŶĚŽŶŽ ğ ů͛ƵŽŵŽĐŚĞůĂŵĞŶƚĂůĂƐƵĂŝŶĐĂƉĂĐŝƚăĂĐŽŶĐĞƉŝƌƐŝĐŽŵĞĞǀĞŶƚƵĂůĞ͕ĚŽŶĂƚŽĂůůĂǀŝƚĂƉĞƌƵŶ ĂƚƚŽŶŽŶŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽ͛͘ů͛ƵŽŵŽĐŚĞŶŽŶğĂƉƉĂŐĂƚŽĚĂůůĂƐĐŽƉĞƌƚĂĚŝƵŶ͛immagine ordinata del suo cosmo, perché deůů͛ŽƌĚŝŶĞ ĚĞů ĐŽƐŵŽ la legge suprema è la morte; ma è anche ů͛ƵŽŵŽĐŚĞƌĞƐƉŝŶŐĞůĂƐƵĂǀĞƌŝƚă͕ƋƵĂůĞƉĂƌŽůĂĐŚĞůŽƌĂŐŐŝƵŶŐĞĚĂůů͛ĞƐƚĞƌŶŽĞŐůŝƉƌĞĚŝĐĂŝů suo essere eventuale. Nella rappresentazione del libro di Giobbe, non a caso, la risposta di Dio all͛ƵŽŵŽ͕ ĐŚĞ ŐŝƵĚŝĐĂ ůĂ ŐŝƵƐƚŝnjŝĂ ĐŚĞ ůŝďĞƌĂŵĞŶƚĞ ĐƌĞĂ ů͛evento-‐mondo͕ ƐĂƌă͗ ĚŽǀ͛Ğƌŝ ƚƵ ƋƵĂŶĚŽ ĐƌĞĂǀŽ tutto quello che pure riempie di meraviglia i tuoi occhi? La Scrittura risponde a questa ĚŽŵĂŶĚĂ͕ĚĂůůĂƉƌŝŵĂĂůů͛ƵůƚŝŵĂĚĞůůĞƐƵĞƉĂŐŝŶĞ͘ E risponde però cambiando i tempi dei verbi. Non riprende ů͛ŝŵƉĞƌĨĞƚƚŽ ĚĞůůĂ ĚŽŵĂŶĚĂ͕ dicendo: tu, uomo eri͙͕ ŵĂ passa al presente: tu uomo sei͙ e, ovviamente, non cosa sei (?), ma dove sei? >͛ĞƐƐĞƌĞĚĞůů͛ƵŽŵŽğ predicato nella sua localizzazione, in Genesi, come nel grande libro della teodicea, il libro di 'ŝŽďďĞ͕ĞŶĞůů͛ĞǀĂŶŐĞůŽĚŝ'ĞƐƶ͕ŝůƌŝƐƚŽ͗ŶĞůůĂtheologia crucis! DŽǀ͛è, dunque, ů͛ƵŽŵŽ͍ EĞůů͛ĂƉĞƌƚƵƌĂ ĚĞů Beth, dello spazio e del tempo che da lì si dispiegano. Ribadiamo, non si fa cenno ad alcuna precedenza, ad alcun Aleph, ad alcun principio che non sia già lì, nel secondo segno grafico; e il primo ĐŚĞů͛uomo cerca, il più ĂůƚŽ͕ŝůƉŝƶƌĂnjŝŽŶĂůĞ͕ů͛ŝƐƚĂŶnjĂƉŝƶ giusta è nel secondo, ossia in questa relazione istitutiva del suo essere eventuale, espresso dal Beth ebraico. Questo secondo è contingente e libero, e ha vita. Il primo ricercato e immaginato come struttura e legge, che ů͛ƵŽŵŽsi figura come essere, avente un suo framework unitario, ha tra le sue regole e principi strutturanti la morte stessa. Ma la scommessa contenuta nella tragedia della ricerca è riuscire a pensare ů͛ƵŽŵŽ come essere in vita, perché contingente, e non in morte, perché necessario. La scommessa è rŝƵƐĐŝƌĞ Ă ƉĞŶƐĂƌĞ ů͛ƵŽŵŽ ƋƵĂůĞ Ğssere natale (Heidegger), perché eventuale, e non mortale, perché necessario. La scommessa contenuta nella tragedia della ricerca umana è ƌŝƵƐĐŝƌĞ Ă ŐƵĂƌŝƌĞ ĚĂůů͛ŽƐƐĞƐƐŝŽŶĞ Ěŝ ƵŶ͛ŝŶĂƚƚŝŶŐŝďŝůĞ͕ o se si preferisce, non-‐attinta verità metafisica e guarire, a partire dalla distinzione concettuale, spirituale, tra opera-‐creata, uscita dalle mani di Dio, e mondo inteso quale realtà naturale. Genova, 20 settembre 2012