Questo spazio è dei lettori. Per consentire a tutti di poter intervenire, le lettere non devono essere di lunghezza superiore alle trenta righe, I altrimenti verranno tagliate dalla redazione. Vanno indicati sempre nome, cognome, indirizzo e numero di telefono. Le lettere pubblicate dovranno avere necessariamente la firma per esteso, tranne casi eccezionali. Lettere anonime o siglate con pseudonimi vengono cestinate. l'Adige via Missioni Africane, 17 38121 Trento Fax: 0461 - 886263 E-Mail: [email protected] Sette ore di musica rock, meglio il rumore delle auto Montagna e rifugi I troppi maleducati che salgono in quota ette ore di musica rock e rumore (ad alto volume) non si fanno nel centro della città di Rovereto abitato da famiglie, anziani, bambini che forse gradirebbero un po’ di tranquillità, ma al piazzale Degasperi come sempre. Se questo è il prezzo che si deve pagare per avere la tanto decantata (da parte dell’amministrazione comunale) isola pedonale preferivo le macchine! Daniele Parisi S I Lettere&Commenti SERGIO ROSI (segue dalla prima pagina) ... ma a regime ridotto, essendo impossibile procedere velocemente su un sentiero stretto e sassoso. Faccio il lavoro del gestore da trent’anni ed ho sempre detto che è gratificante, avendo a che fare con «bella gente», perché se una persona decide di fare due ore a piedi, ha un certo tipo di mentalità. Una forma mentale che è predisposta alla sensibilità d’animo, alla cortesia e che trova quassù «una forma di realtà sospesa», come amo definirla, dove l’educazione e il rispetto, esistono ancora. Dove ci si sente, senza retorica, più umani. Perché «sospesa»: perché sembra che il connubio fatica e quota, abbia preservato certi valori sociali, che nelle città sono spariti. Mi beo sempre di poter dormire con la porta aperta! La mia filosofia di gestione, peraltro, è quella di mantenere il rifugio un Rifugio, con i suoi limiti quali la condivisione degli spazi comuni e l’essenzialità dell’offerta. Limiti che non sono tali, ma un prodotto spendibile, se in loro ci si crede. Nel mio rifugio non si trovano dieci varietà di bibite in lattina, bombardini e le «cavolate» inutili di fondo valle o da piste da sci. Con questo non demonizzo i rifugi che le offrono, anche perché ci sono realtà diverse e ogni rifugio deve essere in sintonia con l’ambiente in cui si trova. Non è detto che tutti coloro i quali vengono da noi conoscano il bon ton della montagna, con i suoi usi, costumi, regole (non scritte) e modi Maria Angelini, amicizia nata con un libro regalato n ricordo ce l’ho e vivissimo di Maria Angelini Maly, morta qualche settimana fa a Rovereto dopo una vita generosamente e pienamente vissuta. Della sua biografia i giornali hanno già parlato, mentre io volevo riferire un piccolo episodio, che suggellò l’inizio della nostra simpatica conoscenza. Frequentavo il liceo e appena potevo entravo a curiosare nella sua bella libreria di piazza Rosmini, limitandomi ad acquistare qualche volta un libretto grigio della vecchia collana bur, la più economica in assoluto, praticamente illeggibile per i caratteri minuscoli della stampa. Un giorno mi fermai più del solito, attratto da un bel volume appena uscito, le opere complete di William Shakespeare, edizioni Sansoni. La signora Maria notò il mio interesse e, considerando le mie scarse possibilità di acquisto, mi disse di prendere pure il libro e di pagarlo con calma appena avessi potuto. Tornai a casa felice con il mio Shakespeare, ma avevo fatto i conti senza l’oste, infatti mia madre mi ordinò perentoriamente di restituire subito il volume, che costava 3.500 lire, troppe. Così feci, a testa bassa. La sorpresa venne a Natale quando in una delle mie solite ispezioni in libreria la signora Maria mi consegnò un pacco facendomi gli auguri. Lo aprii appena arrivato a casa, erano le opere complete del grande bardo inglese. Da allora, da quel libro nacque una bella amicizia tra due persone diverse per età e per storia, unite dall’amore per la cultura e per la dignità delle persone. Mario Cossali U I San Domenico, gli ebrei e le nostre scuse entile direttore, sabato scorso a pagina 31, il Suo giornale ha pubblicato il trafiletto sul santo del giorno; lo trascrivo: «san Domenico, nato dal notaio Sancio, all’età di sette anni fu rapito da un giudeo, portato in casa di un rabbino, seviziato e ucciso». Mi chiedo se il quotidiano che Lei dirige condivida il contenuto di queste righe. Dopo le pratiche an- G bama è stato fermato sulla via di Damasco e, forse, non ci sarà quell’attacco che, sia pur di breve durata, limitato negli obiettivi, chirurgico come è enunciato dall’ipocrisia degli strateghi, è destinato a causare altri morti, a commettere altre stragi per punire quelle già avvenute scavando un solco sempre più profondo fra Medio Oriente e Occidente, fra i musulmani e i nuovi crociati. In questi giorni Trento ricorda il bombardamento della Portèla di 70 anni fa, le fortezze volanti americane che dovevano colpire la ferrovia ma sbagliando la mira - la chirurgia militare era un’arte ancora sommaria, come in verità lo è ancor oggi - e colpirono l’antico rione facendo una strage di civili mentre l’Italia esausta e vinta si consegnava agli Alleati implorando la pace. Gli anni trascorsi, e sono ormai molti, hanno spento i testimoni e quasi cancellato i ricordi. Quel giorno che vide l’inferno scatenarsi sulla città rivive in «Come fauci di fuoco», l’intensa drammaturgia messa in scena dal Club Armonia, un lavoro che, oltre a ricordare l’evento, sottolinea l’universalità del O di fare, che per chi da sempre va in montagna, sono normali, ma proprio per una predisposizione data dal fatto di aver scelto di fare due ore a piedi, quando le racconti, ai turisti-escursionisti, questi ti ascoltano estasiati come tu fossi un guru. Scherzando, ma non del tutto, allorché gli ospiti elogiano lo splendido panorama, dico loro che abitiamo in paradiso e noi non siamo persone, ma angeli che ivi li accolgono dopo la fatica dell’ascesa .... e il tutto finisce in una piacevole risata. Purtroppo per taluni, non bastano due ore di cammino per spurgarsi delle tensioni urbane e a volte vorrei un rifugio ubicato molto più in alto. Nel corso della lunga stagione estiva, da metà maggio a fine ottobre, solitamente di persone arroganti, maleducate o fuori ambiente, ne transitano uno, due al massimo....... quest’estate alcune! Che sia un segnale di disagio sociale in aumento? Ho scelto questo lavoro per la qualità di vita che esso mi offre e, chi mi conosce lo sa, non mi riferisco al denaro, perché avrei guadagnato di più a fare il mio vecchio lavoro di perito elettrotecnico, ma se esso peggiorerà in modo irreversibile, dovrò pensare a rimettermi in discussione in qualche altra realtà! A quel «signore» che mi ha insultato dico che al di là delle proprie convinzioni pseudoambientaliste, il rispetto per chi lavora e per l’età, va sempre riconosciuto. Sergio Rosi Guida alpina e gestore del rifugio passo Principe – Grasleitenpasshütte tisemite della chiesa, sia cattolica che protestante, perpetrate senza rimorsi attraverso quasi due millenni, si ha ancora il coraggio di scrivere acriticamente parole come queste? Il «ripensamento» cattolico su Simonino non ha significato nulla ai trentini? Si copiano queste cose da siti (www.beati santi e testimoni) senza neppure aggiungere, come sta scritto, che il culto basa su una leggenda? Vedo inoltre sul sito, che oltre a questo Domenico, fatto santo dalla chiesa cattolica nel 1240 (per fini indegni, dico io), erano elencati altri dodici «santi» fra cui eventualmente scegliere. La mia domanda è, direttamente a Lei, responsabile di quello che si scrive sul Suo giornale: cosa dobbiamo fare noi, che siamo contro qualsiasi persecuzione, per farci perdonare la pesantissima colpa collettiva di una cultura - della quale, malgrado noi, facciamo parte, perché ci siamo nati - che ha perseguitato una minoranza in nome di una fede? Se si continua a perseverare? Io non sono credente, ma se lo fossi, Vittime innocenti La Portèla 70 anni fa, oggi Damasco LUIGI SARDI dolore nell’inutilità delle guerre che colpiscono sempre i più deboli. La rappresentazione ci ha, di colpo, fatto rivivere la tragedia del 2 settembre del 1943, terzo anno di guerra e le bombe dal cielo contro le quali c’è ben poco da fare. Anche l’urlo della sirena, l’ultima volta sulla città suonò la notte del 4 novembre 1966 quella dell’alluvione, ci ha ricordato l’esplodere dell’ angoscia, il terrore che l’accompagnava giorno dopo giorno, i morti, i bambini uccisi, la disperata vita nei rifugi e quella grama degli sfollati, traditi da Mussolini e dal fascismo che vollero quella guerra, dal re, da Badoglio. Magistralmente l’atto unico di Renzo Fracalossi si sofferma sulla infinita tristezza di una madre che racconta con la voce di Claudia Furlani il dolore per quel bambino ucciso dalla bomba. Un pezzo in dialetto, un attimo di commovente intensità. «E soto ‘sta polver che ‘mpasta el dolor, cossa resta? Cossa resta dei pensieri de gloria de milioni de ‘taliani che g’à credù? Cossa resta de noi, dei nossi sogni e dele nòsse vite, brusade come i sarmenti d’autun? Cosa resta, ah? Demò en mucio de sassi e de aria greva, che no se posta mai e che pesa su tut quel che no ghè pù… Oto ani el g’aveva. Oto ani de curiosità, de óci spalancadi, de sé de saver, de domande da far. Oto ani che s’è sfantà demò en te ‘na palta de sangue engrumà! No se pol lassar sol ‘na macia en tera e sparir dento al gnent. Sol ‘na macia en tera en do che i s’à sbregadi quei oto ani…». Settanta anni fa alla Portèla come oggi a Damasco. Ecco, affiorano i ricordi dell’antico rione con le botteghe di vorrei essere certamente una «giudea», solamente per solidarietà a tutti gli innocenti assassinati in aperta mala-fede. Martha Canestrini hiedo scusa a Martha Canestrini e a tutti i lettori, oltre che alla comunità ebraica e alla verità storica, per le poche righe pubblicate sabato scorso nella rubrica «Il santo del giorno», tratte da un’agiografia di san Domenico del Val storicamente non fondata. Purtroppo una mancata verifica accurata da parte nostra, ha fatto riportare quanto indicato nel testo in circolazione, pur nella sua infondatezza storica oltre che nei toni ingiuriosi. Non c’era assoluta volontà da parte nostra di legittimare in alcun modo una tradizione d’ispirazione antisemita, né tanto meno di favorire o propagandare una cultura di violenza e di mistificazione dei fatti. Ringrazio Martha Canestrini che, con la Sua lettera, mi dà modo di prendere le distanze totalmente da quel testo, frutto di elaborazioni leggendarie senza alcun riscontro storico. [email protected] C I Villamontagna, ecco i tempi dei lavori al cimitero n risposta alla lettera pubblicata domenica dal titolo «Villamontagna aspetta i lavori al cimitero», l’assessore ai lavori pubblici, il presidente della circoscrizione Argentario e il dirigente dell’Area tecnica e del territorio precisano quanto segue. L’intervento è inserito nelle opere ammesse a finanziamento F.U.T. (Fondo Unico Territoriale) da parte della Provincia autonoma di Trento. Il progetto preliminare è stato approvato dalla Giunta comunale il 9 gennaio 2012 per un importo complessivo di 920mila euro. Nel maggio 2013 la Provincia autonoma di Trento ha comunicato l’ammissione a finanziamento. È ora in corso di redazione il progetto esecutivo, che dovrà essere inviato ai competenti uffici provinciali entro giugno 2014, per poi proseguire con l’iter relativo all’appalto delle opere. Il progetto prevede un ampliamento del cimitero con un campo comune, cellette ossario, cinerario e ossario comune, il restauro della cappella esistente e la realizzazione di quattordici posti auto. Iter e tempistica sono quindi quelli definiti da tempo e coerenti con i termini individuati dalla Provincia autonoma di Trento. Ufficio stampa Comune di Trento I fumisti, maniscalchi, fabbri, sarti, luoghi pieni di umanità. Subito la mente corre a Damasco; e immediato è il parallelo con lo splendore ormai devastato dell’antichissima città siriana con le bellissime moschee divenute da luogo di raccoglimento a camere della morte, con quel mercato senza fine odoroso di spezie e abbagliante nei colori, adesso sciagurata trincea. Certo oggi ci sono i bombardamenti mirati, anzi miratissimi non più quelli a tappeto della guerra di 70 anni fa. Però da 10.000 metri è difficile distinguere un carro armato da un autobus, capire se mentre si centra un ponte passa un treno come è accaduto in Serbia. Può essere arduo per un missile distinguere un rifugio pieno di civili da un bunker miliare come è successo a Bagdad. I sofisticati droni non hanno cuore né cervello e può succedere che la telecamera scambi un gruppo di scolari che vanno a scuola o di adulti afgani intenti a celebrare un matrimonio per feroci terroristi. È già successo. Succederà ancora. Sono i danni collaterali. Che finiscono nelle fosse comuni. Come nelle fosse sono finite le vittime di quel lontano giorno della Portèla. G3090305 42 martedì 3 settembre 2013