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"Il Parlamento risocializzi la Cassa Depositi e Prestiti"
Graziarosa Villani
Non è un “tesoretto”, ma un vero e proprio “tesoro” e potrebbe essere investito per
vincere la crisi. Un patrimonio di 235 miliardi di euro, il risparmio postale di tanti, ben 24
milioni, di italiani che come formichine hanno accantonato risparmi sul libretto postale o
li hanno investiti in Buoni Fruttiferi postali. E’ il tesoro della Cassa Depositi e Prestiti, il
tesoro degli Italiani potrebbe dirsi. A dieci anni esatti dalla parziale privatizzazione della Cassa
da parte di Giulio Tremonti, due attenti osservatori fanno le pulci all’istituto, approfondiscono
cosa è avvenuto negli ultimi anni e lanciano alla politica una proposta. Tutto in un volume edito
da Altraeconomia scritto a quattro mani dal giornalista Luca Martinelli e da Antonio Tricarico,
responsabile del programma Nuova finanza pubblica dell’associazione Re:Common.
“Non è vero che i soldi non ci sono, come la litanìa della politica ci ricorda ogni giorno –
spiega Tricarico - ma ci sono e sono tanti e appartengono alle famiglie italiane. Il risparmio
postale se gestito in altro modo dalla Cassa Depositi e Prestiti ci può davvero portare
fuori dalla crisi promuovendo un'economia diversa, più equa e giusta sui territori. Ma per
ottenere ciò questa volta spetta ai cittadini fare cassa, chiedendo dagli sportelli postali al
Parlamento di risocializzare questa istituzione cruciale fuori da una logica di mercato dando
voce in capitolo ai risparmiatori su come i loro risparmi debbano essere investiti per l'interesse
pubblico, la difesa dei beni comuni e dei territori”. Considerazioni che sono alla base di un
Forum per una nuova finanza pubblica e sociali che, costituisi nell’aprile 2013, riunisce
Re:Common, Attac e Rivolta il debito.
Antonio Tricarico, nessuno più ricorda Tremonti eppure è stato lui che sotto i governi di
Silvio Berlusconi ha inventato la finanza creativa, ma soprattutto come ricordate voi ha
privatizzato la Cassa Depositi e Prestiti trasformandola da tradizionale istituto di prestito
per gli enti locali in una banca qualsiasi che opera con sistemi privati. La visione liberista
della politica berlusconiana si può dire che, a 10 anni dalla privatizzazione della Cassa,
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Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/politica/2013-12-19/112805-il-parlamento-risocializzi-la-cassa-depositi-e-prestiti
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
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abbia portato più danni che benefici?
Senza dubbio sì. Nel 2003 la privatizzazione della Cassa con la trasformazione in SpA che l'ha
posta sotto il diritto privato e la vendita del 30 per cento delle quote alle fondazioni bancarie, era
parte della strategia tremontiana di provare ad inserire il clan Berlusconi nei salotti buoni della
finanza, da cui questo è sempre stato – ed è rimasto escluso. E' stato uno scendere a patti con
Guzzetti e compari, su ispirazione di Geronzi che allora emergeva come il nuovo dominus della
finanza italiana dopo l'esplosione del sistema Mediobanca. La manovra è riuscita ben poco a
Tremonti e Berlusconi ha raccolto poco. Ma nella logica bipartisan che ha subito preso il
sopravvento il sistema Cdp ha generato una nuova sintesi tra finanza laica e quella cattolica
tramite le figure di Franco Bassanini, di provenienza Pd, e Gorno Tempini, di provenienza
cattolica. Questo schema di larghe intese ha reso la Cassa il nuovo salotto buono della politica
finanziaria ed industriale in Italia. Con la crisi ed il crollo di Unicredit, l'unica banca globalizzata,
ed il ridimensionamento di Intesa e della figura di Passera – non a caso sceso in politica – la
Cdp è diventata l'unica istituzione finanziaria in grado di far quadrare il sistema Italia – con
l'unica eccezione di Generali dove i problemi non sono pure mancati. Però è giusto anche
ricordare che il centro-sinistra liberista – da sempre ispirato da Bassanini, padre nobile dello
smantellamento dell'amministrazione pubblica - ha gettato le basi per questa trasformazione
negli anni ’90 aprendo il mercato del finanziamento degli enti locali alle banche private. In
questo modo la Cdp è stata messa in competizione con le altre banche italiane e piano piano
ne ha mutuato la logica ed i difetti.
Quali autori de 'La posta in gioco' siete due attenti osservatori su quanto accade nella
finanza italiana. Al riguardo, al tempo delle larghe intese oggi un po’ più strette, quale
differenza c’è tra una politica di centrosinistra e di centrodestra in termini di finanza
pubblica?
Le differenze sono ben poche, direi. Qualcuno mette più l'accenno su qualche strumento di
welfare, e qualche altro sulla necessità di finanziare maggiormente il privato anche con i soldi
pubblici, ma in pratica entrambi condividono l'idea che lo Stato deve ragionare come il privato.
Ossia il suo intervento in economia deve fare profitti, da cui le partecipazioni strategiche solo in
imprese che tirano – a parte il dramma Alitalia - in infrastrutture e mega opere pubblico-privato,
accettando ancora il patto tremontiano del 2003 secondo cui le banche private cureranno i
prestiti all'economia produttiva. Si ricordi che fu Tremonti a muovere la Cassa a prestare alle
banche nel 2009 per poi rigirare i prestiti alle piccole e medie imprese, le quali non li hanno mai
visti. E la vediamo oggi la triste realtà di questa farsa con il crediti crunch drammatico ed i
suicidi di imprenditori e lavoratori. E quando lo Stato è sotto pressione, allora ricorre alle
alchimie finanziarie, investendo in fondi speculativi se non in derivati.
Si può dire che la trasformazione avvenuta alla Cdp in dieci anni incarna in pieno questa logica
dei mercati di capitale privato. E pensare che proprio una banca pubblica per gli investimenti
ben gestita è l'unico strumento per attuare vere politiche anti-cicliche fuori dalla logica di
mercato, creare nuovo lavoro vero e trasformare la nostra società per affrontare le immense
crisi ecologiche e sociali di oggi.
Nel libro lanciate, come Forum per una nuova finanza pubblica e sociali, una sfida, quella
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di risocializzare l’istituto al grido di riprendiamoci la cassa. Quali partiti potrebbero oggi
in Parlamento appoggiano la vostra richiesta. Sel, i Cinque Stelle?
Ad oggi alcuni rappresentanti dei Cinque Stelle hanno mostrato apertura ed interesse. Ed
hanno cercato, senza successo, di richiedere informazioni alla Cdp, e di far nominare la
commissione parlamentare di vigilanza sulla Cassa – senza poi riuscire ad entrarci. Non so
quanto la risocializzazione della Cassa sia la priorità anche di Grillo e Casaleggio o di tutto il
movimento. Bene che almeno qualcuno lo capisca e provi a fare qualcosa. Da altri nessuna
risposta. Al contrario nei vari movimenti sociali e strutture associative italiane, se non produttive,
l'interesse per la Cdp è sempre più forte. Puntiamo su queste realtà per mettere in campo
nuove iniziative politiche nei prossimi mesi.
Proponendo al Parlamento di risocializzare la cassa per avviare investimenti “pubblici”
che possano far ripartire con i fondi di 235 miliardi di euro provenienti dal risparmio
postale di 24 milioni di italiani lanciate la proposta della consultazione del cittadinorisparmiatore-investitore. Una formula ad oggi inedita di finanza pubblica partecipata per
l’Italia che trova riscontro in altri Paesi?
Credo che siamo molto all'avanguardia nella nostra proposta. Se guardiamo alle altre
esperienze europee al riguardo, abbiamo situazioni ibride, ma sempre troppo legate al diktat del
mercato. L'omologo tedesco KfW presta anche alle singole famiglie per progetti di efficienza
energetica ed energie rinnovabili, dando anche prestiti agevolati o doni, ma si finanzia solo sui
mercati di capitali e non dal risparmio postale. In Francia la CDC gestisce invece il risparmio
postale e parte delle pensioni dei lavoratori della funzione pubblica, ma segue il modello italiano
negli investimenti, almeno in gran parte. Entrambe le istituzioni sono pubbliche ed enti di diritto
pubblico, ma ciò che noi sosteniamo è che la ripubblicizzazione non basta. Risocializzare vuol
dire che le istituzioni pubbliche devono accorciare la filiera risparmio-credito nei territori,
aiutando così le famiglie e le imprese a sottrarsi alle grinfie dei mercati di capitale privati e della
finanziarizzazione dell'economia e della società, introducendo allo stesso tempo una
democrazia economia di base nel decidere insieme l'allocazione di capitale secondo criteri di
interessi generale. Esattamente l'opposto di quello che oggi promuove il vertice di Cdp
promuovendo l'interesse pubblico, di pochi.
Le vostre proposte sono state tradotte in documenti concreti a livello istituzionale quali
disegni di legge, ordini del giorno, mozioni e delibere?
Esatto. Abbiamo stilato una mozione da far approvare ai consigli comunali, perché devono
essere i comuni a ribellarsi e richiedere che la Cassa torni a prestare a loro a tassi fuori mercato
e per investimenti di interesse pubblico e non privato, anche violando il Patto di Stabilità. Ma
non solo. Consigliamo i risparmiatori postali su come presentare agli uffici postali richieste legali
su come il proprio risparmio debba essere usato. Stiamo anche ragionando sull'esistenza delle
condizioni politiche per raccogliere le firme per una legge di iniziativa popolare a livello
nazionale, o in caso pensare ad altri strumenti analoghi di cittadinanza attiva a livello nazionale.
Ma ognuno in Italia ha il diritto di chiedere che la Cassa presti a tassi agevolati come un tempo,
se ha un'idea valida e di interesse collettivo.
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I tecnici al governo dal vostro particolare osservatorio sono un bene per l’Italia?
L'esperienza degli ultimi venti anni dimostra che tecnico è sinonimo di mercati finanziari
internazionali. Qualcosa da cui è meglio tenersi alla larga. E' possibile pensare ad altri tecnici?
Forse sì, ma il problema della Cdp è politico e se il Parlamento sotto la spinta popolare e dei
diretti interessati (ossia 12 milioni di famiglie risparmiatrici ed il tessuto produttivo italiano
autentico e non finanziarizzato) non ne cambia lo stato giuridico, il controllo, e la mission, ben
poco potranno fare tecnici illuminati, se ne esistono.
Il mondo accademico come guarda le vostre proposte?
Come sempre in Italia il provincialismo regna anche nell'accademia. I neo e post-keynesiani ci
strizzano l'occhio, ma poco convintamente, poiché loro sognano la vecchia Ira. Noi riteniamo
che tornare a Keynes non basta, ma di fronte a questa crisi sistemica serve di più. Ossia
politiche espansive monetarie e fiscali in un mercato di capitali liberalizzato producono solo più
finanziarizzazione ed espansione della sfera finanziaria. Dobbiamo defininanziarizzare, ed una
Cdp risocializzata sarebbe uno strumento principe di finanza pubblica per raggiungere questo
obiettivo. In pochi anche a sinistra nell'accademia lo capiscono. All'estero vi sono più soggetti
illuminati in campo economico eterodosso. Paradossalmente di più nel Regno Unito e negli Usa
da dove proviene il capitalismo finanziarizzato.
In termini di architettura istituzionale si lavora all’abolizione delle province e alla
creazione delle aree metropolitane, enti locali oggi strozzati dal Patto di Stabilità e dal
fiscal compact, per i quali voi proponente dei percorsi di indagine popolare e
indipendenti sui bilanci e sulle società partecipate. Con quale scopo?
Il patto di stabilità e sue appendici vanno cambiati se si vuole poter attuare nuove misure
efficaci per uscire dalla crisi. L'audit è uno strumento democratico per fare luce sul perché gli
enti locali e le loro partecipate sono al disastro, per far pagare ai responsabili, ma anche
mostrare come proprio l'applicazione feroce del patto di stabilità interno da parte dello Stato
centrale ha creato più debito pubblico, disastri o spinto gli enti locali alla follia finanziaria, come
nel caso dei derivati. I soldi ci sono, non è vero che non ci sono, ma sono utilizzati a vantaggio
dei soliti noti. Un audit lo dimostrerebbe e porrebbe la legittima domanda del perché dobbiamo
ripagare anche quella parte del debito che ha arricchito i soliti noti. Più in generale, per
ripensare la finanza pubblica dobbiamo partire dagli enti di prossimità per i cittadini, e questi
volenti o nolenti sono gli enti locali ed anche le loro aziende.
In sostanza non chiedete solo un ritorno al passato della Cassa Depositi e Prestiti ma
una sua riconversione in volano dell’economia italiana. A vostro avviso
l’incostituzionalità dell’attuale legge elettorale può consentire un ritorno in Parlamento
di forze politiche che limitino gli eccessi delle privatizzazioni che hanno caratterizzato gli
ultimi anni?
Ce lo auguriamo, e forse questo avverrà, se nuove forze e forme di rappresentanza efficaci
emergeranno alla fine. La Cdp, come ho detto, è lo strumento principe per definanziarizzare
l'economia e la società e per ripensare la finanza pubblica a partire dai cittadini e dagli enti
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locali. Serve solo volontà politica ed il coraggio e la voglia di combattere contro gli interessi
privati dei mercati finanziari. Quello che la classe politica attuale non ha minimamente. Iniziando
dalla Cdp, cambiare si può.
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