7
in Faenza
Il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, fondato
nel 1908 da Gaetano Ballardini, è nel suo genere la più
grande raccolta al mondo. Nelle sue raccolte è documentata la storia e la cultura della ceramica nei cinque continenti attraverso i secoli, dall'antichità classica fino
ai giorni nostri. Accanto alla grande produzione italiana
ed europea dal Basso Medioevo al Rinascimento, dal
Seicento all'Ottocento, importanti sezioni sono dedicate
al Medio e all'Estremo Oriente, all'America precolombiana,
all'Africa, all'Asia. La ceramica del Novecento, italiana e internazionale, è rappresentata
anche da artisti universalmente riconosciuti tra i quali Picasso, Matisse, Chagall,
Leoncillo, Fontana, Martini. Notevoli le sezioni della ceramica popolare delle varie regioni
italiane, come quelle dei prodotti industriali di design. Da sottolineare anche la sezione
della grande biblioteca specializzata, quelle del restauro e della didattica.
> Museo Internazionale delle Ceramiche
Viale Baccarini, 19
48018 Faenza (Ra)
in Faenza
Museo internazionale delle Ceramiche in Faenza
Museo Internazionale delle Ceramiche
Museo Internazionale
delle Ceramiche
in Faenza
tel. 0546 697311
fax 0546 27141 - 697318
http://www.micfaenza.org
Sistema Museale della Provincia di Ravenna
e-mail: [email protected]
Provincia di Ravenna
Museo Internazionale
delle Ceramiche
in Faenza
testi di
Gian Carlo Bojani
Provincia di Ravenna
Pubblicazione realizzata
sotto l’egida dell’Istituto per i Beni Artistici,
Culturali e Naturali
della Regione Emilia-Romagna
Collana diretta da: Gianfranco Casadio
Settore Beni e Attività Culturali
della Provincia di Ravenna
Testi: Gian Carlo Bojani
Corredo bibliografico: Lorella Ranzi
Selezione apparati fotografici e didascalie:
Elisabetta Alpi, Brunetta Guerrini
Cura redazionale: Jolanda Silvestrini, Eloisa Gennaro
Progetto editoriale: Image (Ravenna)
Coordinamento: Tiziano Fiorini
Art director: Massimo Casamenti
Progetto grafico: Rita Ravaioli
Logo del Sistema Museale: Marilena Benini
Referenze fotografiche: Archivio fotografico del MIC
Fotolito e stampa: Arti Grafiche Stibu
© Copyrigth 2000 Provincia di Ravenna
Piazza Caduti per la Libertà, 2/4 - 48100 Ravenna
e Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza
Via Campidori, 2 (sede amministrativa) - 48018 Faenza (Ra)
È vietata la riproduzione non espressamente
autorizzata anche parziale o ad uso interno
o didattico con qualsiasi mezzo effettuata
All rigths reserved/Printed in Italy
Finito di stampare nel mese di giugno 2001
Indice
Scheda 6/7
Premessa 9
1. Origine e sviluppo del Museo 10
2. La maiolica – o faenza smaltata – attraverso i secoli a Faenza 16
4. Il Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea 43
5. Per una visita al Museo 50
6. Una Biblioteca specializzata 60
7. Un Laboratorio per “Giocare con l’Arte” 62
8. Il Laboratorio di Restauro 65
9. Le più importanti mostre degli ultimi anni 67
10. Glossario dei termini tecnici e decorativi 74
Bibliografia 78
Museo Internazionale delle Ceramiche
5
3. La ceramica a Faenza nel XX secolo 38
>
Scheda
Museo Internazionale
delle Ceramiche
Viale Baccarini, 19
48018 Faenza (Ra)
tel. 0546 697311
fax 0546 27141 - 697318
e-mail: [email protected]
http://www.micfaenza.org
Museo Internazionale delle Ceramiche
6
Orario invernale:
1 novembre - 31 marzo
dal martedì al venerdì 9.00 / 13.30,
sabato 9.00 / 13.30, 15.00 / 18.00,
domenica e festivi
9.30 / 13.00 - 15.00 / 18.00
Ingresso Museo.
Orario estivo:
1 aprile - 31 ottobre
dal martedì al sabato
9.00 / 19.00
domenica e festivi
9.30 / 13.00 - 15.00 / 19.00
Il museo è chiuso:
lunedì, 1 gennaio, 1 maggio,
15 agosto, 25 dicembre
Per visite guidate rivolgersi a:
Pro Loco I.A.T.
Piazza del Popolo, 1
48018 Faenza (Ra)
tel. e fax 0546 25231
4
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Come si arriva al Museo:
Per chi proviene dall'autostrada
il museo si può raggiungere
dirigendosi verso il centro della
città: superato il cavalcavia e piazzale Sercognani si svolta a destra
in viale IV Novembre, arrivati
al primo semaforo sulla sinistra
si imbocca viale Baccarini dove
al numero civico 19 si trova
il Museo delle Ceramiche.
Dall'autostrada si arriva
al museo in 6-7 minuti.
Per chi proviene in treno
il museo è nei pressi della stazione
ferroviaria. Usciti dalla stazione si
procede sempre diritto percorrendo il viale, si supera il semaforo e si
arriva all'ingresso del museo collocato a sinistra nell'area verde.
Museo Internazionale delle Ceramiche
7
Le superfici
> Situazione
antecedente il progetto
(situazione fino al 1982)
Esposizione
sezioni ceramiche retrospettive
sezione ceramiche moderne
Uffici, Biblioteca, Laboratori
Totale
Museo Internazionale delle Ceramiche
8
> Superficie
> Superfici
ad oggi
1.790
1.780
1.177
4.784
mq 9.955
di progetto
Esposizione
sezioni ceramiche retrospettive
sezione ceramiche moderne
altre sezioni (piastrelle, c. avanzati ecc.)
mostre temporanee (ex chiesa)
ingresso
Depositi
3.872
4.265
822
492
431
9.882
1.860
11.742
Laboratorio di restauro
Biblioteca
Servizi collaterali
Uffici
Totale (superficie disponibile alla fine dei lavori)
Terrazzi e cortili
964
1179
706
462
15.053
2.749
Premessa
9
Museo Internazionale delle Ceramiche
La storia della ceramica ha origini antichissime, tali da confondersi con
quelle stesse dell’uomo. È una storia di una attività dell'uomo fondamentalmente gelosa ed appartata, costituita da un ripetersi di conoscenze tecniche,
gestualità e materiali, ma anche perdite e recuperi periodici e costanti delle
tradizionali pratiche di lavoro ma anche storia di scoperte, di novità. Scoperte
e riscoperte sia di oggetti d’uso più svariato sia di opere d’arte, da parte di
umili ed anonimi artigiani e di celebri artisti.
Faenza è uno dei luoghi privilegiati del far ceramica da tempo immemorabile, e ha dato il nome internazionalmente a quest’arte con la “faenza”,
una terracotta invetriata, smaltata, ingobbiata, entrata nel vocabolario di
moltissime lingue. Anche a voler considerare l’introduzione del tornio elettrico, del forno elettrico e a gas, oggi computerizzati, che hanno sostituito nel
tempo l’azione del piede e l’uso della legna e determinato la scomparsa di
tante abitudini e riti, nelle botteghe artigiane della città romagnola si possono ancora trovare gestualità e pratiche che Cipriano Piccolpasso da Casteldurante annotava e schizzava nel Cinquecento nella sua opera didascalica
Li tre libri dell’arte del vasaio.
Il panorama ceramico faentino trova poi in una realtà multiforme
la sua particolare caratterizzazione, a partire dal suo famoso Museo Internazionale delle Ceramiche, con scuole, laboratori, enti promotori.
Il Museo fu detto “Internazionale” sin dall’inizio perché intendeva mettere a confronto la produzione faentina e italiana con quella delle maggiori
fabbriche estere, per trarne indicazioni e incentivi a un rilancio della ceramica
che era entrata in grave crisi tra Otto e Novecento. Così il nucleo originale del
Museo, mediante donazioni e acquisti, si configurava anche come contenitore ed espositore di ceramica contemporanea, artigianale, industriale e artistica, in una sorta di “stanza commerciale” dove le varie manifatture italiane
potevano esporre le novità della loro produzione, e fare del Museo un punto
di scambi, diffusione, promozione del prodotto. In quest’ottica particolare,
il Museo di Faenza si definì e crebbe come Museo non soltanto nell’accezione più comunemente intesa, e cioè come centro per la divulgazione oltre che
di conservazione e di studi, ma come una istituzione con strutture di ricerca
tali da rivitalizzare un così antico mestiere e innestarlo nell’attualità, nella
proiezione nel futuro con l'utilizzo di tecniche avanzate.
1. Origine e sviluppo
del Museo
a destra:
Sala didattica.
1. Il Museo Internazionale di Faenza (ceramiche) è stato fondato in Faenza da
un Comitato italiano, qui riunitosi nel settembre 1908, per iniziativa di alcuni membri
del Comitato per l'Esposizione torricelliana, del Comitato per la 1a Mostra romagnola
d'arte e della direzione della società per il risveglio cittadino.
2. Esso è retto da detto comitato, che ha facoltà di aggregarsi altri membri,
senza limite di numero.
3. L'amministrazione e la disposizione delle collezioni spettano ai cinque membri
residenti in Faenza, che eleggono nel loro seno un direttore, un tesoriere, un bibliotecario.
In caso di rinuncia o di decesso dei medesimi, il consiglio comunale provvederà alla loro
sostituzione.
4. Un Comitato internazionale ne patrocina in Italia e all'estero gli interessi morali
e materiali.
5. Il Museo è eretto in ente morale autonomo sotto il patronato del Comune
di Faenza, a cui è devoluta la proprietà delle collezioni, per garantirne il perpetuo uso
pubblico e l'inalienabilità.
6. È finalità del Museo: a) raccogliere e disporre sistematicamente i tipi della
produzione ceramica italiana e straniera, interessanti sotto l'aspetto dell'arte, della
tecnica, della tradizione, mediante la cooperazione delle fabbriche nazionali ed estere
e dei privati collezionisti; b) mettere in relazione le fabbriche con la pubblicazione
di uno speciale bollettino; c) indire mostre internazionali periodiche di ceramiche,
interessanti l'uno o l'altro punto dell'arte, della tecnica, dell'uso pratico; d) raccogliere
pubblicazioni in modo da offrire agli studiosi un materiale bibliografico di critica, di
11
Museo Internazionale delle Ceramiche
Il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza è stato fondato
nel 1908 da Gaetano Ballardini. L’esposizione con la quale in quell’anno
la città di Faenza celebrò il terzo centenario della nascita del concittadino Evangelista Torricelli, inventore del barometro, raccolse nelle sale
dell’ex convento di San Maglorio - che poi ospitarono il Museo - prodotti di molte manifatture italiane ed europee accanto ad esemplari di
antiche fornaci, soprattutto italiane. Chiusa l’esposizione, i doni degli
espositori costituirono il punto di partenza del Museo Internazionale.
Esso ebbe il patrocinio di illustri personalità della cultura e dell’arte,
d’ambito nazionale e internazionale, che ne facilitarono il decollo.
Il comitato locale intanto, in uno statuto approvato con Regio Decreto
il 19 luglio 1912, creava le basi per il futuro sviluppo.
Così recita lo statuto:
Museo Internazionale delle Ceramiche
12
da sinistra,
Sala Oriente.
Sala ‘900.
storia, di arte, di tecnologia ceramica; e) disporre una rappresentazione oggettiva dello
sviluppo della ceramica - arte, tecnica, uso, tradizione - mediante una collezione
di oggetti retrospettivi; f) divulgare il gusto della decorazione ceramica, in modo da
intensificarne l'uso estetico e razionale nella casa, nella applicazione architettonica;
g) indire concorsi internazionali per la produzione, sotto l'aspetto d'arte e di tecnica,
di oggetti di determinato uso pratico; h) sottoporre all'esame di congressi internazionali
di ceramica le questioni che interessano l'arte, la letteratura e bibliografia ceramica,
la legislazione (invenzioni e brevetti) e la tecnica; i) stabilire una terminologia internazionale scientifica, per evitare l'anfibologia nelle discussioni di critica storica e nei trattati
tecnici; j) farsi promotore di una scuola pratica di ceramica in Faenza che, ad integrazione
delle finalità del Museo, sia intesa all'elevamento intellettuale e tecnico dei ceramisti;
k) proporre e favorire ogni altra iniziativa che rientri nelle finalità del Museo.
7. Il Museo provvede ai suoi scopi: a) con l'uso gratuito dei locali ceduti dal Comune
di Faenza; b) col sussidio annuo di L. 500 elargito dal Comune di Faenza; c) coi sussidi dei
Ministeri di agricoltura, industria e commercio e della pubblica istruzione; d) coi concorsi
degli enti locali; e) coi proventi delle entrate nei giorni non festivi; f) coi proventi della vendita dei cataloghi e delle riproduzioni; g) coi proventi ordinari delle oblazioni degli amatori
e dei fautori dell'opera; h) coi doni di oggetti, libri, stampati, ecc., che gli pervengono dai
corpi ufficiali e dai privati, così nazionali che stranieri; i) con ogni altro mezzo, sia ordinario
che straordinario, che possa essere a sua disposizione.
13
Museo Internazionale delle Ceramiche
A sorreggere tale programma fu istituito da Gaetano Ballardini
un Comitato italiano e un Comitato internazionale con corrispondenti.
Il Comitato italiano era composto da personalità quali: Felice Barnabei,
Leonardo Bistolfi, Giacomo Boni, Galileo Chini, Vincenzo Giustiniani,
Francesco Malaguzzi Valeri, Aurelio Minghetti, Paolo Orsi, Tito Pasqui,
Giovanni Piancastelli, Vittorio Pica, Corrado Ricci e Giulio Aristide Sartorio. Nel Comitato internazionale ricordiamo fra i tanti altri: Otto v. Falke,
Albert Van De Put, Bernard Rackham, Hans St. Lerche, Josè Queiroz,
Gaston Migeon, Alexandre Bigot, Henry Wallis.
Le raccolte di ceramiche al Museo, in un’ampia campionatura di documentazione mondiale, si sono arricchite via via nel tempo attraverso
acquisti ma soprattutto mediante donazioni, e sulla stessa linea si è proceduto dopo gli ingenti danni dell’ultimo conflitto mondiale che distrusse ambienti e raccolte. Tra i contributi generosi che hanno consentito di
colmare le molte gravi perdite prodotte dalle distruzioni belliche merita
una particolare menzione la donazione Mereghi, esposta in un’unica
sala per desiderio del donatore.
Accanto alla Sezione delle Nazioni - nucleo iniziale più consistente
del Museo - si raccolsero esemplari di manifatture e di artisti viventi
italiani, riuniti nel 1926 nella Mostra permanente della moderna ceramica italiana d’arte. Nel 1916 fu fondata la Sezione dell’antica maiolica
italiana e, sempre nello stesso anno, s’iniziò quella delle ceramiche
popolari delle varie regioni italiane. Nel 1919 si ordinarono le ceramiche
dell’Estremo Oriente. Accanto a queste vennero a configurarsi altresì
le seguenti sezioni: quelle didattiche, per lo studio d’attribuzione per
il restauro e le analisi di laboratorio, consistenti nei frammenti di scavo
delle maioliche italiane; quelle delle ceramiche preistoriche e del mondo
classico; quella del Medio Oriente, delle regioni mediterranee lungo
Museo Internazionale delle Ceramiche
14
il corso dei secoli, arricchite nel 1930 con la donazione dell’orientalista
dottor Fredrik Robert Martin di Stoccolma. Con alcuni doni via via
si formò anche una documentazione della ceramica precolombiana.
La ceramica italiana contemporanea continuò ad essere documentata
a partire dagli anni ‘30 con i Concorsi annuali del “Premio Faenza”,
che dagli anni ‘60 divennero internazionali, permettendo così di
acquisire opere di artisti e di manifatture di tutto il mondo. Dal 1989
i concorsi internazionali sono divenuti biennali.
Dagli anni ‘70 ad oggi diverse migliaia di nuove opere sono venute
ad accrescere il patrimonio museale sia per donazioni sia per acquisti.
Da segnalare dagli anni ‘80 alcune importanti donazioni di ceramica
antica, moderna e contemporanea di: Galeazzo Cora, piemontese divenuto cittadino di Firenze, Angiolo Fanfani fiorentino, Pietro Bracchini
faentino, Francesca Tucci Bonardi romana, Gian Tomaso Liverani, faentino divenuto cittadino romano, Marisa Gasparini in Brunori di Modena,
l’Associazione Amici del Museo Internazionale delle Ceramiche in
Faenza costituitasi nel 1978. Notevole incremento ebbero negli anni
la Biblioteca specializzata, la Fototeca specie per la maiolica italiana,
la raccolta di documenti riguardanti l’arte della maiolica italiana.
Dal 1913 viene pubblicata la rivista bimestrale Faenza, repertorio
di studi storici dell’arte della ceramica, e una serie di volumi di storia
della ceramica, di carattere anche didattico, oltre a volumi annuali
sulle diverse Collezioni del Museo dalla prima metà degli anni ‘80.
Dal 1979 funziona un Laboratorio didattico per la ceramica, ideato
da Bruno Munari, al quale convergono le scuole materne, elementari
e medie prevalentemente del territorio faentino, ma che vede la partecipazione a corsi speciali anche di insegnanti e ceramisti italiani e stranieri, e i cui sviluppi sono strettamente collegati alla Facoltà di Scienze
della formazione dell’Università di Bologna.
Nel 1996 ha preso avvio l’Istituzione Museo Internazionale delle
Ceramiche in Faenza, mentre è prossimo lo sviluppo in Fondazione.
Essa ha lo scopo di proiettare il Museo stesso in un futuro di maggiore
autonomia gestionale secondo il nuovo modo di considerare i musei
fra risorse pubbliche e private oltre che rinnovarlo secondo le nuove
strategie anche tecnologiche di gestione amministrativa, scientifica,
didattica e promozionale.
Sala contemporanea
dei Premi Faenza.
Nel maggio 2001, in occasione della 52a edizione del “Premio
Faenza”, vengono inaugurate le rinnovate sezioni della ceramica
romana, del Vicino Oriente Antico e dell’Islam.
Museo Internazionale delle Ceramiche
15
2. La maiolica - o faenza smaltata attraverso i secoli a Faenza
Ciotola con motivi geometrici, fitomorfi e scritta “NANNA”.
Maiolica, Faenza, prima metà del sec. XV.
Tipologia Italo-moresca (inv. 15608)
17
Museo Internazionale delle Ceramiche
Se è documentato dai reperti di scavo che Faenza aveva fabbriche di
ceramiche almeno fin dal I secolo avanti Cristo, e ciò può stare a indicare
un’attività legata alle particolari argille del fiume Lamone sulle rive del quale
la città romagnola sorge, poco si sa ancora di ciò che avvenne nell'Alto
Medioevo e fino al XII secolo circa. La fama che Faenza deve alla sua ceramica, se pur nulla sorge a caso e d'improvviso ma di norma dopo lunga sedimentazione proprio come avviene per le migliori argille - e la civiltà cinese ce
lo insegna - si diffonderà soltanto con il Rinascimento.
La qualità della ceramica faentina è nel tipo della cosiddetta "maiolica"
o "faenza smaltata" per il rivestimento vetroso reso opaco dall'ossido di stagno. Un prodotto che dal Medioevo, probabilmente già dalla fine del Duecento, conoscerà un lungo percorso di successivi perfezionamenti tecnici,
e insieme di mutamenti e varietà morfologiche come di reperti coloristici e
figurativi che durerà sin verso la metà del Quattrocento, da quando è presumibile prenda avvio la sua ampia commercializzazione e la notorietà per raggiungere l'apice nel Cinquecento.
All'inizio, in epoca medievale, dal Duecento al Trecento sino agli inizi del
Quattrocento nel periodo cosiddetto "arcaico", si trovano boccali di varie
sagome e dimensioni (cilindriche, troncoconiche, piriformi), scodelle, coppette su piede, albarelli (contenitori cilindrici per spezie, da farmacia) con ornati
geometrici, fitomorfi, zoomorfi, epigrafici e araldici in bruno, verde, turchino
sul bianco di smalto o in riserva sul fondo a graticcio.
Una più ampia gamma di forme, soprattutto di forme aperte come ciotole, piatti e scodelle, è desumibile da una serie di frammenti recuperati dal
sottosuolo del centro storico di Faenza. Tuttavia è da presumere, considerata
la preziosità del vasellame smaltato, che esso avesse una produzione e una
committenza assai ristretta: mentre è soltanto il boccale per vino o per acqua
ad apparire in netta prevalenza sulle altre forme.
Non è un caso, d'altra parte, che in concomitanza al prodotto smaltato
ve ne sia un altro assai meno costoso, la ceramica ingobbiata - o "faenza"
ingobbiata dipinta o graffita e invetriata, cosiddetta per il sottile rivestimento
terroso bianco o giallino - in cui le forme aperte (scodellotti, ciotole, catini,
piatti, assieme a brocche, boccali e boccaletti) sono di gran lunga più numerose di quelle che si trovano nella "faenza" smaltata. Contemporaneamente
c'è anche un vasellame da tavola e da cucina semplicemente invetriato - o
"faenza" verniciata - di argilla rossa ricoperta da un vetro trasparente per
Museo Internazionale delle Ceramiche
18
togliere la permeabilità, essendo l'argilla porosa e quindi non adatta
a contenere liquidi, talora con decori a filetti d'ingobbio.
Questi ultimi due tipi prodotti, che potevano uscire specie in questo
periodo dalla stessa bottega che produceva maiolica - e qui occorrerebbe
poter distinguere se la nomenclatura data ai vari vasai (figuli, orciolai, vasellari) stesse a significare diversità di produzione - saranno sempre prodotti
a Faenza sino alle soglie del nostro secolo, e generalmente per uso urbano
e del contado. E le stesse forme si manterranno per buona parte inalterate
lungo i secoli. Non a caso Ennio Golfieri, riferendosi alla fabbrica del
"Bianchetto" (ingobbiatura di terra bianca) del Missiroli a Faenza
in Porta Imolese della seconda metà del XVIII secolo e a una fornace delle
Cappuccine verso le mura di Porta Montanara sempre in Faenza e della
stessa epoca, lamenta che:
"Fabbriche come queste di ceramiche popolari... furono nella Faenza del Sette e dell'Ottocento assai più numerose e attive di quel che si creda e se la storiografia ceramica non
ne ha fatto finora particolare menzione, ciò è dovuto al fatto che da noi si è sempre
puntato a valorizzare solo gli aspetti più nobili dell'arte ceramica".
Un aspetto dunque sommerso, documentato tuttavia nelle raccolte del
Museo, e che sta generalmente alla base di ogni centro importante di produzione pur tuttavia senza caratterizzarlo, ove in tale caratterizzazione si consideri non solo il semplice fattore estetico quanto quello più specificatamente
produttivo e d'impresa commerciale di ampie proporzioni. In tal senso è assai
significativo quel che notavo sopra, cioè il progressivo perfezionamento del
prodotto smaltato faentino dalla fine del Medioevo al Cinquecento, vicenda
che aprì appunto ai vasai faentini più vasti mercati.
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Museo Internazionale delle Ceramiche
a sinistra
Boccale con decoro geometrico.
Maiolica, Faenza,
seconda metà del sec. XIV.
Tipologia arcaica (inv. 11358)
Museo Internazionale delle Ceramiche
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inizio
Quattrocento
Piatto decorato da leone
rampante e motivi fitomorfi.
Maiolica, Faenza, inizi del sec. XV.
Tipologia zaffera in rilievo
(inv. 4136)
a sinistra
Boccale con raffigurazione
di Fillide e Aristotele.
Maiolica, Faenza, seconda
metà del sec. XIV.
Tipologia arcaica (inv. 19132)
Alle soglie del Quattrocento, se le forme della maiolica paiono
mantenersi per gran parte inalterate (boccali, brocchette e piatti),
lo smalto diviene più spesso, più brillante e così più vivaci e variati i colori
negli oggetti della cosiddetta "famiglia verde", "famiglia a zaffera in rilievo",
"famiglia italo-moresca" (per i colori dominanti o i motivi decorativi di derivazione orientale), che recano ornati a figura umana, monogrammi, imprese,
stemmi, fogliami, animali, arpie. Ma sarà con il vasellame della"famiglia
floreale gotica" verso la metà del Quattrocento che - assieme al mutare
Museo Internazionale delle Ceramiche
22
Piatto con motivi fitomorfi
e trigramma “IHS” al centro.
Maiolica, Faenza, seconda
metà del sec. XV. Tipologia
Gotico floreale (inv. 6628)
a destra
Boccale con lettera gotica
entro medaglione e motivi
geometrici. Maiolica, Faenza,
seconda metà del sec. XV.
Tipologia Gotico floreale
(inv. 7485)
delle forme dei boccali, dei piatti, dei piattelli, diremmo a una incipiente
rinnovata progettazione - la qualità dello smalto e la varietà e brillantezza
dei colori diverranno segno di una ormai matura padronanza tecnica e l'avvio
all'autonomia di un magistero. Non a caso s'apparentano a queste forme
i segni della diffusione dei canoni rinascimentali, che oltre a essere di carattere estetico mostrano una tensione di qualità tecnologica. Col moltiplicarsi
così dei decori a foglie, fiori, animali, simboli religiosi, stemmi, raffigurazioni
antropomorfe - che paiono ampliare la loro destinazione a più diversificata
committenza come quella monastica e borghese - la tavolozza diviene 'calda'
coi suoi turchini, verdi, viola, arancioni. Da questo momento il passo
è brevissimo al grande spiegamento del fenomeno, che si rifletterà anche sui
mercati del Veneto e delle Marche, dell'Umbria e dell'Abruzzo tanto che si
pervenne a vietarne ai faentini l'accesso o a gravarli di forti gabelle. Nel 1471
Maestro Gentile di Maestro Antonio Fornarini, di cui è rimasta una "vacchetta" o libro dei conti, dipinge tutta una fornitura da farmacia, cioè 31 orcette
a un soldo l'una e 20 albarelli a tre quattrini l'uno per Guglielmo, il quale poi
23
Museo Internazionale delle Ceramiche
"mandò tutte queste robbe a
Cexena a uno spiciale...". Questo Maestro Gentile, oltre ad
averci lasciato la nomenclatura
associata spesso alle indicazioni
dei rispettivi ornati ben individuabili, permette anche di farsi
un'idea delle numerose botteghe operanti allora in Faenza e
per molte delle quali egli lavorava quale pittore. La 'qualità'
faentina va dalla leggerezza
delle argille, sempre più depurate, alla perfezione degli smalti,
alla raffinatezza delle forme e
dei colori. Sono oggetti delle
cosiddette "famiglie della palmetta persiana" o "del melograno", della "famiglia a penna
di pavone" e dei sempre più diffusi "motivi rinascimentali" e
dei primi motivi a "istoriato".
Sono dischi o targhe murali di
carattere religioso, pillolieri,
taglieri, piatti e piattelli, vasi,
gamelii, coppe di varie dimensioni, plastiche a targhe devozionali, a calamai, a nicchie,
vere e proprie sculture; ancora
boccali e albarelli.
fine
Quattrocento
sotto da sinistra
Ciotola a pareti baccellate
decorata da motivo
“ad occhio di penna di pavone”
e stemma della famiglia faentina
Viarani al centro.
Maiolica, Faenza, fine del sec. XV.
Tipologia Rinascimentale
(inv. 14891)
Piatto decorato con motivi
detti “alla palmetta persiana”
e busto muliebre (Bella) al centro.
Maiolica, Faenza, fine del sec. XV.
Tipologia Rinascimentale
(inv. 30510)
Museo Internazionale delle Ceramiche
24
Al 1487 è datato il pavimento della cappella Vaselli o di San Sebastiano
in San Petronio a Bologna, che rappresenta la summa del repertorio faentino
dell'epoca e che con la rappresentazione e l'iscrizione del suo autore "Petrus
Andrea de Favencia, (urcellarius et seu pictor faventinus)", noto per altro da
documenti d'archivio, sta a significare un segno 'umanistico' di grande rilievo
tenuto anche conto dell'anonimato cui in genere si lega l'artigianato e in
specie quello ceramico. Se Petrus Andreas è ancora vivo nel 1522 e risulta
morto nel 1543, significa che vive il momento di grande espansione della
maiolica faentina. Non è certo un caso che proprio in questo tempo,
nei fogli del Codice Leicester (foglio 10 R) tra il 1504 e il 1506, Leonardo
si riferisse a una località calancosa e di raccolta fra Marradi e le porte
di Faenza in questi termini:
"Come le radici settentrionali di qualunque Alpe non sono ancora petrificate; e questo si vede
manifestamente dove i fiumi che le tagliano, corrono inverso settentrione li quali taglian
nell'altezza dei monti le falde delle pietre vive; e nel congiungersi colle pianure le predette
falde son tutte di terra da fare boccali, come si mostra in vai di Lamone fare al fiume Lamone
nell'uscire dal monte Appennino, far lì le predette cose nelle sue rive".
Museo Internazionale delle Ceramiche
25
inizio
Cinquecento
Ciotola con motivi decorativi
“alla porcellana”.
Maiolica, Faenza, inizio
del sec. XVI (inv. 7849)
Verso la fine del Quattrocento e nei primi decenni del Cinquecento un
prodotto di largo consumo come il vasellame da tavola avverte un notevolissimo ampliamento di mercato: sono piatti, piattelli, tondini, taglieri, ciotole,
albarelli nel decoro del blu su bianco della cosiddetta "famiglia alla porcellana", che si modellano sulle porcellane cinesi Ming e sulle "damaschine".
È uno dei prodotti che, rispettando la qualità dello smalto nella sveltezza del
tratto pittorico, forse in maggior quantità si trova negli scavi e che probabilmente intendeva da una parte far concorrenza al diffondersi - pur tra famiglie di ceto elevato - della ceramica orientale, dall'altra inserirsi con profitto
in un prodotto alla moda diffondendone a largo raggio e con molto minor
spesa l'immagine. Nell'accordo che il 20 aprile del 1530 i principali maestri
faentini della corporazione dei maiolicari fanno davanti al notaio Nicola Torelli, si trova che gli "scodellini a porcellana" si debbono fare "soldi 4 al cento",
il prezzo più basso della serie dei prodotti. Questo conferma che il tipo era
corrente, a buon prezzo e molto diffuso.
A confronto gli esemplari dell'eletto istoriato del cosiddetto "stile bello",
Museo Internazionale delle Ceramiche
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da sinistra
Piatto decorato da motivi
“a grottesche” ed al centro busto
maschile “TOLOMEO”. Maiolica
“berettina”. Faenza, prima metà
del sec. XVI (inv. 7353)
Coppa traforata (“crespina”)
decorata al centro da un putto
con croce in mano. Maiolica,
Faenza, seconda metà
del sec. XVI (inv. 15218)
oltre che a non avere preminentemente destinazione d'uso se non quello
d'oggetto d'arte e d'arredo, pur riflettendo una osmosi sempre più diffusa
tra le arti e specie con la pittura, per il tramite dell'incisione che con la recente scoperta della stampa s'andava diffondendo sino a divenire un vero e proprio mercato della riproducibilità dell'arte, rimanevano un prodotto d'eccezione e riservato veramente a pochi.
Nello stesso tempo svariati sono i tipi e notevolissima appare anche
la produzione - considerata la percentuale sul resto del vasellame di scavo,
emerso dal sottosuolo del centro storico di Faenza - di tondini, taglieri,
ciotole, scodelle, piatti e piattelli, fiasche, vassoi, albarelli, brocche con decori
policromi a festoni, grottesche, frutta, fiori, fogliami e geometrizzazioni
sull'azzurrino o turchino, il cosiddetto "berettino", di varie tonalità del fondo.
Da questo momento inizia a diventare veramente arduo poter stabilire le
varietà delle forme quando, con gli esemplari del cosiddetto "stile fiorito",
pare diffondersi per la modellazione l'uso degli stampi come per le fruttiere le cosiddette "crespine" - spesso ornate al pari di albarelli e vasi di varie
dimensioni a "quartieri", e cioè disegnate a sezioni dai fondi diversamente
colorati l'uno dall'altro con sovrapposti fogliami o grottesche. Nel contempo,
come produzione più corrente, appaiono i servizi da tavola per gli ordini
monastici dalle brocche alle scodelle ai piatti di varie forme e dimensioni,
ornati a geometrizzazioni, a girali, raggiere, fogliame stilizzato e a foglie
d'ulivo, le cui tipologie permarranno a lungo e in qualità anche scadente sino
al Seicento.
metà
Cinquecento
Verso la metà del Cinquecento avviene nella produzione ceramica
faentina una novità di eccezionale rilievo. È l'adozione dello smalto bianco
come dominante - diciamo così - coloristica, mentre la tavolozza policroma
sinora squillante per tonalità si riduce a poche tracce rapide, diluite di turchino, giallo e arancio, sia nelle scene che rinnovano l'"istoriato" sia nei motivi
ad amorini, a stemmi e a fogliame, nei modi denominati da Gaetano Ballardini "del compendiario" e cioè a disegno sommario. Ma al solo "bianco allattato" come lo definisce Cipriano Piccolpasso, il didascalico cinquecentesco
de Li tre libri dell'arte del vasaio, spesso si limita la realizzazione d'interi
servizi. Giorgio Vasari, nelle Vite, del Verrocchio, di Girolamo della Genga
e di Battista Franco scrive:
"... le migliori terre e più belle sono quelle di Casteldurante e di Faenza che per lo più le migliori
sono bianchissime e con poche pitture e quelle nel mezzo o intorno, ma vaghe e gentili affatto...".
A questa produzione d'impronta preindustriale, che si protrarrà fino
a tutto il Seicento, e le cui caratteristiche saranno adottate da centri ceramici
di gran parte d'Europa, si deve soprattutto la grande notorietà di Faenza e
l'adozione del termine faenza = faïence per quel tipo di prodotto tout-court.
E ciò a tal punto che spesso nei documenti d'archivio di varie regioni italiane
si è portati a confondere i prodotti con la città romagnola o coi suoi vasai,
quando sono citati i faenzari, la faenza o le faenze.
Quali alchimie fossero alla base di un tale risultato tecnico e formale, è
detto da Carlo Grigioni nel libretto La bottega del vasaio del bel tempo:
Museo Internazionale delle Ceramiche
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"Così dunque si è ottenuto
il marzacotto o fritta, che, mescolato
nelle debite proporzioni allo stagno
ossidato e al piombo darà, con
la cottura, il bianco opaco, lo smalto
stannifero che caratterizza la vera
maiolica" (in Faenza, 1937).
Museo Internazionale delle Ceramiche
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Grande piatto con scena biblica
“Eliodoro cacciato dal tempio”.
Maiolica, Faenza, maestro del
servizio V numerato, 1590-1610
(inv. 18658)
È questa una delle preparazioni
più delicate, la fondamentale
anzi in tutta la lavorazione della
ceramica. Dell'importanza che
vi annettevano le fabbriche
faentine ci è stata conservata
una rara, preziosa testimonianza
in un contratto del 20 febbraio
1540, col quale la direzione di una delle maggiori fabbriche faentine - e precisamente quella di Francesco Mezzarisa - si assicura, per la durata di cinque
anni, l'opera di uno specialista, cioè del faentino Maestro Pietro di Francesco
Zambalini. Egli lavorerà per questa sola e non per altra fabbrica e suo compito sarà quello di "concordare" tutto il colore bianco del quale avrà bisogno
per tutto quel tempo l'officina del Mezzarisa.
Si tratta di una fabbrica delle più produttrici di Faenza, e il lavoro dello
Zambalini non doveva essere una sinecura. E non era nemmeno troppo lautamente compensato, perché riceveva non più di trenta lire l'anno.
"Concordare il bianco", cioè fare, come si esprimevano i maiolicari del
Cinquecento, l'accordo del piombo e degli altri componenti
con lo stagno. E che si tratti di operazione delicata e fondamentale
lo dice esplicitamente il Piccolpasso, per il quale la riuscita
"nasce dal buon governo di chi l'ha nelle mani e soprattutto - egli aggiunse - io lodo
il cuocere due volte il suo accordo".
Anzi la preparazione dello smalto stannifero, cotto, polverizzato e
trasformato in poltiglia per immergervi il biscotto è così essenziale che passa
in seconda linea la stessa preparazione dei colori.
Se dunque alla base di quella che è stata definita da Giuseppe
Liverani la "rivoluzione dei bianchi" è una estrema capziosità di sperimentazione tecnica - forse non scevra dall'influenza e competitività col candore
e la trasparenza delle porcellane orientali che sempre più si diffondevano
in Europa, e di cui in Italia vanamente si cercavano proprio in questo lasso
di tempo nelle Corti e nelle officine i segreti - con essa le varietà delle forme
divengono innumerevoli.
inizio
Seicento
29
Museo Internazionale delle Ceramiche
Coppia di saliere a foggia di
navicella decorata da stemma
fam. Garzoni. Marchio VRAF.
Faenza, bottega Virgiliotto
Calamelli, 1525-1574
(inv. 14301-14302)
Col procedere del tempo e fino a gran parte del Seicento, per
l'influenza del Manierismo prima e poi del Barocco, si trovano fra l'altro:
crespine abborchiate, sbalzate e traforate, piatti e conche lisce o modellate,
saliere le più curiose, versatori bizzarri modellati a figure antropomorfe e zoomorfe, lampade a sospensione, calamai monumentali del tipo "microarchitetture", vassoi, anfore, salsiere, catini, vasi da farmacia, rinfrescatoi per
le bevande, trofei a forma di obelischi, catini da barba, fiasche sul tipo di
quelle da pellegrino, e così via. Spesso tali oggetti recano stemmi gentilizi
o prelatizi, e sul retro la sigla della fabbrica che peraltro è riscontrabile anche
nel vasellame non decorato a policromia.
Dello stesso spirito dei "bianchi", nel Cinque e nel Seicento, sono poi
i capi in smalto turchino intenso, con le 176 mezzette e mezzettine (boccali)
che a Virgiliotto avevano commissionato le suore di San Vitale di Bologna,
dello stesso tipo che, a leggeri decori di foglie con le iniziali di religiose,
si trovano nelle raccolte del museo faentino.
Verso la fine del Cinquecento si diffonde poi il genere della targa devozionale, soprattutto a "faenza" dipinta in policromia nel genere "istoriato"
ma anche modellata, di larghissima diffusione nel XVII secolo soprattutto
nella città e nel contado faentino e che venivano inserite in facciate sopra
le soglie di case e palazzi, ma anche da conservare in casa come oggetto
devozionale.
Museo Internazionale delle Ceramiche
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fine
Seicento
Quando le sorti della ceramica 'fine' faentina sembravano quasi segnate
verso la fine del Seicento per una serie complessa di ragioni socio-economiche (mentre la pignatteria comune e i vari contenitori in terracotta, come
i grandi vasi da bucato, continuavano a essere prodotti, ma in economia
chiusa, come indica sin dalla metà del XVII secolo la fabbrica di Giovanni
Regoli, che i discendenti continueranno a gestire per circa un secolo aggiungendovi anche la produzione della maiolica di pregio, con Antonio Maria
pronipote di Giovanni), avviene un altro fatto di grande rilievo.
I rappresentanti della nobiltà faentina si erano un po' sempre adornati in
società e nelle Corti, in diplomazia, della maiolica pregiata che si produceva
nella loro città d'origine. E così continua ad avvenire anche nel Seicento, pur
con l'assottigliamento delle botteghe e degli artigiani. Nel 1667, per esempio,
Francesco Rucellai da Firenze richiede al conte faentino Giovan Battista Laderchi
"... due finimenti da tavola di piatteria di maiolica puri senza arme però della più bella
e fine che si facci; et in particolare quel finimento che deve andare a Malta".
E ancora nel 1668 e nel 1670 quando Fabrizio Laderchi, gentiluomo alla
corte granducale di Firenze, scrive al padre Giovan Battista per richiedere la
maiolica ordinata da un certo Cavalier Carducci, e ne ordina altra per un suo
amico; mentre nel 1679 scrive sempre da Firenze al fratello Camillo che:
"Il signor Principe mi comanda che io le faccia fare i 'vasi di maiolica conforme la congiunta
mostra' e con la maggiore sollecitudine che sia possibile. I grandi vasi da spetieria si son fatti
altre volte, ma vi vuole a tutti i loro coperchi fatti in maniera che turino bene la bocca del vaso.
Quelli da zucchero rosato m'imagino che il maestro saprà come vanno, et anche quelli da agro de
cedro; le cattinelle col pippio mezzane e l'altre pure liscie senza cosa alcuna, onde procurate che
Sua Altezza resti servita presto e bene. I vasi da zucchero rosato e quelli da agro de cedro procurate
che abbino l'orlo della bocca arricciato, accio' si possa legarvi attorno la carta pecora...".
"Dagli Accarisi ai Ferniani attraverso Francesco Vicchi (1589-1644) e i "Giorgioni" (16451693) - come scrisse Gaetano Ballardini, e che - ... forma il ponte di passaggio più noto,
almeno sulle carte, fra gli eredi diretti del secolo XVI e i figuli successivi, che dovranno poi,
nel luogo stesso e con gli stessi attrezzi... affidare la rinomanza della maiolica faentina
alla casa patrizia dei Conti Ferniani, che la porteranno fino ai dì nostri...",
e precisamente fino alla fine del XIX secolo.
inizio
Settecento
Se nei primi anni della conduzione e proprietà Ferniani venivano ripetuti
con gli antichi stampi tante forme e ancora decori nei caratteri del "compendiario" e dei successivi sviluppi seicenteschi, ben presto, e sin dai primi
decenni del Settecento, la produzione venne radicalmente rinnovata. Si sa
bene con i criteri odierni dell'industrializzazione che cosa significhi rinnovare
la produzione. Per i Ferniani si trattava di ridare volto nuovo all'azienda,
e trattandosi di nobiltà non provinciale, per tutto il XVIII secolo la fabbrica
marcerà a livello europeo, ricettiva a tutte le novità d'oltralpe fino all'Inghilterra, e per questo tramite alle mode che venivano dall'Estremo Oriente.
Dapprima coi "blu e bianchi" richiamanti quelli d'Olanda e di Francia
specialmente, e coi monocromi in turchino, violaceo, giallo e verde, in ornati
a peducci e a rocaille su forme spesso dei grandi piatti umbonati, vassoi e
catini d'antica tradizione, ma anche in quelle nuove rococò.
I servizi da tavola s'arricchiscono via via di decori policromi a "fior di
patata", a "mazzolino", a "paesino", a "macchiette", a "rovine",
a "bouquets" e infine a "fiorazzo" che è una interpretazione vernacolare
dei repertori provenienti dalla maiolica e porcellana europea e dalla porcella-
31
Museo Internazionale delle Ceramiche
Sarà proprio una famiglia comitale faentina che, all'inizio senza quasi
un preciso disegno e non diversamente interessata dei Laderchi alla maiolica
indigena, le ridarà ampio respiro.
A causa di un grosso credito, la famiglia faentina dei conti Ferniani
acquistò nel 1693 un'officina in crisi, ma che giungeva da lontano.
Museo Internazionale delle Ceramiche
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Grande piatto con pareti
modellate, decorato al bordo
da motivi “a peducci”;
stemma centrale e intorno
piccoli insetti, uccelli e fiori.
Maiolica azzurrata Faenza,
manifattura Ferniani, inizio
del sec. XVIII (inv. 17230)
na orientale. Quest'ultima influenza soprattutto le "cineserie", i motivi al
"casotto" o alla "giapponese", quelli cosiddetti al "garofano" o della "porcellana nuova", denominazione legata esclusivamente al decoro e non ai
materiali della porcellana vera e propria, che Faenza non ha mai prodotto
benché i Ferniani vi fossero tentati senza esito grazie a un tecnico transfuga
dalla fabbrica fiorentina dei Marchesi Ginori. Imitazioni della porcellana europea si hanno specialmente coi trionfi da tavola, i trompe-l'oeïl, i gruppi di
figurine galanti e di carattere mitologico, le confettiere e i pillolieri. A proposito di alcuni almeno di questo tipo d'oggetti, è da ricordare il loro uso in occasione di una visita a Faenza della regina Maria Amalia Walbruga nel 1738,
quando si recava a Napoli per incontrare suo marito Carlo III di Borbone.
Nel volumetto che gli Accademici Filoponi pubblicarono a ricordo dell'avvenimento sono descritte le maioliche che adornavano le mense del convito:
"le rose, i gelsomini, le viole, l'orrido cardo, il cocomer pingue, gli asparagi e le frutta e cento
e cento pomi diversi, il mozzo capo di dentato cinghial, e le caccie, le ninfe e i pastor"
quali centri tavola.
metà
Settecento
33
Museo Internazionale delle Ceramiche
Vassoio ovale decorato con
motivo floreale “alla rosa”
in policromia a piccolo fuoco.
Marca: chiave e N.2. Maiolica,
Faenza, manifattura Ferniani,
ultimo quarto del sec. XVIII
(inv. 2859)
Un'imitazione più pertinente per quanto sempre 'esteriore' della porcellana orientale dell'epoca si ebbe tuttavia, nella seconda metà del Settecento,
con l'adozione del "piccolo fuoco" o "terzo fuoco", tecnica che consente
l'uso di una tavolozza assai ricca che non resiste alle temperature di fusione
dello smalto, e richiede quindi una terza cottura dell'oggetto a fuoco meno
intenso. Si accrebbe così in breve la ricchezza della policromia ornamentale,
nelle forme e nelle sagome tipiche dell'epoca, come nei servizi da tavola
con zuppiere, servizi da caffè, tazze da brodo e da puerpera, versatori, anfore
ornamentali. Di lí a poco, tuttavia, in età neoclassica, verrà recuperato specie
Museo Internazionale delle Ceramiche
34
Coppia di anfore decorate
da motivi “a cineserie”.
Maiolica, Faenza, Filippo
Comerio nella manifattura
Ferniani, ultimo quarto
del sec. XVIII (inv. 495-496)
nei servizi da tavola un carattere contenuto sia nelle forme sia nelle decorazioni, nel rapporto equilibrato fra il bianco dello smalto, la linearità delle
forme, e il sobrio cromatismo di motivi come quelli alla "ghianda", alla
"foglia di vite" che si ritrovano nella scuola dei decoratori di Felice Giani
operante nei palazzi dell'aristocrazia faentina dell'epoca.
fine
Settecento
In questo ambito è da situare l'introduzione negli ultimi decenni
del Settecento di un nuovo prodotto, la terraglia "all'uso d'Inghilterra",
dal corpo poroso e bianco o color avorio che generalmente veniva invetriato.
Con questo materiale erano eseguiti servizi da tavola, oltre che centri da
tavola, gruppi plastici di tipo mitologico e vasi ornamentali. Sulla terraglia
generalmente lasciata al suo candore priva di decorazioni - se si tolgono
alcuni schizzi di paesaggini in bruno o blu, o il modellato a intrecci, a foglie
o a trafori - dalla prima metà dell'Ottocento verranno applicate decorazioni
a decalcomania usate precedentemente in minor misura sulla maiolica a
"piccolo fuoco".
inizio
Ottocento
Agli inizi dell'Ottocento "... la produzione ceramica contava su una media di addetti
piuttosto esigua: a distanza di un secolo la Ferniani era passata da 30 a 20 operai, mentre
le altre cinque o sei fabbriche attive per un certo periodo agli inizi del secolo, e che producevano
il vasellame comune, il cosiddetto "bianchetto", occupavano in totale poco più
di una cinquantina di addetti, facendo registrare un calo di un centinaio
di unità da pochi anni prima...".
Nell'ultimo decennio del secolo: "L'abbandono da parte della
famiglia Farina di quella fabbrica che aveva rappresentato, pur tra
i diversi sussulti di iniziative o progetti falliti, uno dei fulcri della
ripresa del prestigio della ceramica locale, non fu che l'inizio di
una nuova fase di declino; le tre ditte ancora attive - Ferniani,
Treré e Cooperativa Faenza (ex-Farina) - riuscirono a sopravvivere
per poco tempo.
La cessione poi della famiglia Ferniani, dopo due secoli di meritoria e dinamica attività, dell'impresa e dei locali della fabbrica...
ebbe effetti quanto mai destabilizzanti anche se il 12 dicembre 1894
l'ultimo direttore prendeva in affitto i locali di Egeria Schepens, vedova
del conte Annibale, nell'illusione di poter salvare la prestigiosa produzione.
La formula cooperativistica con la quale vennero condotte tutte e tre le fabbriche...
non riuscì tuttavia a sostituire adeguatamente i capitali e l'iniziativa privata. Nel febbraio
1899 veniva tentata una fusione dei tre stabilimenti in un'unica società con una commissione
di tre membri incaricata di sorvegliare l'azienda; ma la forte passività dell'esercizio richiedeva
35
Museo Internazionale delle Ceramiche
Piatto decorato con motivo
detto “giardino orientale”.
Maiolica, Faenza,
manifattura Ferniani,
fine del sec. XVIII (inv. 7548)
L'Ottocento ceramico faentino, e soprattutto la seconda metà del secolo, è conosciuto particolarmente per le opere di pittura su maiolica e per le
grandi opere plastiche di tipo robbiano, realizzate dalle due maggiori fabbriche dell'epoca, la Ferniani e la Farina. Un tipo di prodotto che, per quanto
apprezzatissimo nelle grandi Esposizioni internazionali, si staccava nettamente dal plurisecolare "ductus decorativo" che per la massima parte aveva
uno stretto legame con l'oggetto d'uso. La ceramica faentina rimaneva
prestigiosa artisticamente secondo i criteri dell'epoca, ma perdeva senza
dubbio in produttività e in mercato considerata anche la mancata modernizzazione degli impianti che non rendevano più competitivo il prodotto.
la liquidazione, peraltro temuta nel timore del disastro che avrebbe coinvolto un centinaio di
famiglie. Nella primavera del 1900 si giunse inevitabilmente alla chiusura, con un preavviso
di otto giorni agli operai..." .
fine
Ottocento
Una indagine sistematica d'archivio ha reso possibile - nel corso degli ultimi decenni - una migliore conoscenza del fenomeno, che peraltro condusse
gradatamente a una grave crisi del settore verso la fine del secolo.
Le vicende del secolo scorso sono alla base di un mutamento strutturale del
fenomeno ceramico faentino. Come s'è già accennato, il concetto d'arte non
è la stessa cosa del concetto di qualità. Mentre lungo i secoli la consapevolezza
della qualità e il lungo travaglio tecnologico per raggiungerla erano strettamente legati alla forma-funzione entro cui s'amalgamava la cultura figurativa contemporanea, la sostituzione nell'Ottocento del concetto d'arte come
oggetto autonomo, 'inutile', da contemplare tanto più negli
exploit virtuosistici, non corrispondeva in effetti più, per quanto
se ne proclamasse la continuità di livello, al ruolo che i vasai
dal Medioevo al Settecento erano consapevoli d'avere pur
nel loro prevalente anonimato e forse proprio per questo.
Museo Internazionale delle Ceramiche
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inizio
Novecento
Ovale da muro
con autoritratto.
Faenza, Achille Farina,
1876 (inv. 7356)
E la situazione è continuata nel nostro secolo. In
neppure un decennio di vita - dal 1900 al 1910 circa chiusero due fabbriche come quella dei Fratelli Minardi
e quella delle Fabbriche Riunite di Ceramiche che, oltre a
produrre oggetti d'arte e d'arredo, cercarono di promuovere
una produzione d'uso per la casa e per l'architettura. Esse, e i
ceramisti che vi si erano formati, diedero l'avvio da una parte all'atomizzazione di botteghe per lo più a conduzione individuale che, a
tutt'oggi moltiplicatesi, ripetono in genere i moduli stereotipati delle forme e
degli stili faentini dei secoli passati, con grande attenzione alla qualità materica e ornamentale ma nella scissione che pare incolmabile con l'effettivo
oggetto d'uso, per trasmutarlo in oggetto estetico con mercato tutto som-
“Le orfanelle”.
Lastra raffigurante bambine
in riva al mare. Faenza, Tomaso
Dal Pozzo, 1887 (inv. 3162)
37
Museo Internazionale delle Ceramiche
mato ristretto ed empirico, spesso bottegaio; dall'altro diedero struttura ai
laboratori dei ceramisti-artisti che nell'autonoma 'gratuità' delle loro ricerche
e risultati, sono un fenomeno che non esiterei a dire del tutto nuovo rispetto
alla tradizione, e che di fatto s'inseriscono nelle varie espressioni dell'arte
contemporanea.
In questa situazione, proprio all'inizio di secolo, sorgeva il Museo delle
Ceramiche, un museo-scuola che solo nella sua parte più vistosa, quella storiografica, diremmo che rappresenta un polo di autoriflessione e di autoanalisi: mentre nella parte più critica, pur nel merito di conservare la memoria e
il patrimonio manuale stratificato in più secoli di esperienza, può aver facilitato e incentivato la copia, la ripetizione pedissequa e scolastica. In realtà
un'epoca era davvero finita, e il Museo con la sua stessa nascita sembra averla registrata. Se il naufragio non può certo dirsi soltanto faentino, ma investe
antropologicamente l'intera nostra epoca, è da attribuirsi al Museo il ruolo,
da una parte, di aver contribuito alla figura consapevole di un nuovo ceramista-artista, nel passaggio dallo stato artigianale a quello artistico e industriale
in cui i materiali specifici sono sì essenziali in quanto li si sceglie, ma non
determinano più quella che è sempre stata la figura e il comportamento tradizionale del ceramista; dall'altra, quello di aver formato e di formare, con
gli Istituti didattici e di ricerca di sua emanazione, i tecnici del restauro per la
conservazione della memoria, e quelli per l'industria contemporanea, che va
dalla produzione di piastrelle e di materiale edilizio con mercati a largo raggio
a quello delle più sofisticate applicazioni tecnologiche: l'informatica, la missilistica, la bioceramica. La storia contemporanea della ceramica, anche a Faenza, si dovrà dunque considerare basilarmente su tutt'altre linee di sviluppo
e caratterizzazione, da quelle che sono state in tutti i secoli precedenti, e da
cui Faenza ha tratto la sua fama. Si tratta di capire quale nuovo tipo di ruolo
debba determinarsi, cercare di individuare il momento almeno in cui esso si
è consolidato soprattutto per il tipo di diffusione che ha avuto e quello che
dovrà avere: da un lato, l'artigianato tradizionale, di copia, di riproduzione;
dall'altro la ceramica d'arte prevalentemente come fatto plastico, oltre che
pittorico e decorativo; infine il ruolo che la città ha di riflesso, come centro
soprattutto di formazione nell'industria della ceramica, specie nelle piastrelle
per l'edilizia, nei prodotti tecnologicamente avanzati.
3. La ceramica
a Faenza nel XX secolo
sotto
Ritratto di Domenico
Silvestrini. Maiolica, Faenza,
Francesco Nonni e Anselmo
Bucci, 1923 ca. (inv. 30486)
La ceramica in Faenza, alla fine del XIX secolo, attraversa una fase
critica dopo circa sei secoli di attività, per la chiusura delle sue manifatture.
Terminavano l’attività sia la fabbrica dei conti Ferniani che aveva operato ininterrottamente dalla fine del XVII secolo, sia quella di Achille Farina operante
nella seconda metà del secolo, e altre fabbriche minori specie per prodotti
di largo consumo. Tentativi di ripresa, tuttavia, si ebbero subito all’inizio del
Novecento con le “Fabbriche Riunite di Ceramica” per iniziativa del conte
Carlo Cavina, che riattivò con gestione unica alcune delle imprese ottocentesche, mentre venne avviata una nuova fabbrica dai fratelli Venturino e da
Virgilio Minardi. In quegli stessi anni d’inizio secolo si verificava anche una
ripresa culturale, artistica oltre che produttiva in Faenza.
Una grande esposizione promossa dalla “Società per il Risveglio
Cittadino” per celebrare il terzo centenario della nascita del faentino
Evangelista Torricelli, inventore del barometro, segnò nel 1908
la ribalta programmatica per una rinascita della città. A seguito
di tale esposizione, per impulso di Gaetano Ballardini, sorgeva
il Museo Internazionale delle Ceramiche quale punto di
riferimento per la ceramica antica, moderna e contemporanea, nazionale ed internazionale.
Lo sviluppo delle manifatture locali ebbe un’altra
battuta di arresto per la crisi finanziaria che coinvolse
le “Fabbriche Riunite di Ceramica” alla fine del 1908. Esse,
tuttavia, cambiarono soltanto proprietari e ragione sociale
proseguendo negli anni l’attività con denominazioni diverse.
Alla fine del primo decennio del secolo lo stesso avverrà per
la Fabbrica dei Fratelli Minardi, che sarà gestita per qualche anno
direttamente da tecnici e operai. Bisogna sottolineare
in ogni caso che si trattava di piccole imprese artigiane.
Una soluzione al problema dell’artigianato ceramico, che ne permettesse la continuità di fronte ad una situazione precaria per
risorse finanziarie e strutture produttive, si prospettava con l’attuazione dei progetti di Gaetano Ballardini. La fondazione del Museo
fu ben presto affiancata da una scuola di ceramica per
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Museo Internazionale delle Ceramiche
a sinistra
Vaso di forma irregolare
con decoro floreale in rilievo.
Maiolica, Faenza,
Pietro Melandri, 1960 ca.
(inv. 23798)
Bottiglia.
Maiolica a lustro.
Faenza, Anselmo Bucci,
1948 ca. (inv. 2263)
pagina a destra.
“Gesù fra i dottori”.
Maiolica.
Faenza, Angelo Biancini,
1957 (inv. 8332)
Museo Internazionale delle Ceramiche
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la formazione e l’avvio alla professione. Si intendevano affrontare così
i problemi della ricerca tecnico-scientifica oltre che estetica e funzionale,
dell’organizzazione artigianale e industriale, e della commercializzazione.
I tecnici chiamati alla Scuola per realizzare questi progetti furono individuati fra coloro che avevano vissuto in prima persona le vicende travagliate
delle fabbriche d’inizio secolo. E dalla Scuola, divenuta col tempo
Istituto Statale d’Arte per la Ceramica, uscirono professionisti
che soltanto in parte andarono via via ad incrementare l’artigianato locale e la ceramica d’arte. Molti fra essi divennero le leve
tecniche per l’industria nazionale e per le scuole di ceramica
di tutta Italia, e talora anche all’Estero.
Le officine faentine dell’inizio del XX secolo furono vivai di
esperienze, e veri e propri centri di formazione, che per le generazioni successive e fino ai nostri giorni hanno reso possibile la continuità del mestiere in cooperative, botteghe e studi ceramici.
La fabbrica vera e propria invece non attecchirà mai in Faenza
nel senso dell’industria moderna, a prescindere da quella
sporadica impresa di ceramiche per l’edilizia come le piastrelle, in anni a noi più vicini. Il “prodotto” faentino si baserà
sempre, in prevalenza, sulla cellula familiare del lavoro
e punterà per buona parte sulla ripresa dei moduli
decorativi tradizionali dal Medioevo all’Ottocento.
Nondimeno alcuni artisti, sia pittori e scultori sia ceramisti, terranno vivo lungo questo nostro secolo lo spirito
di promuovere e incentivare il mezzo ceramico come
materia d’arte. Questa continuità tra generazioni è
esemplificata in alcune tendenze principali: i vasi e
le interpretazioni delle loro forme; la pittura su ceramica; la ceramica stessa come fatto plastico, di scultura
vera propria, iconica o aniconica che sia, nel recupero
della terracotta come materiale di primaria espressività
artistica, anche a prescindere dai tradizionali valori cromatici
degli smalti. I nomi che scorrono in questa ricostruzione
dei ruoli della ceramica faentina del XX secolo rappresentano soltanto
una parte delle effettive operosità. Una storia vera e propria dovrebbe
comprendere un numero certamente più cospicuo soprattutto per quanto
Museo Internazionale delle Ceramiche
41
riguarda le botteghe. Qui si è richiamata all’attenzione in particolar modo
gran parte di quelle presenze che hanno contribuito al rinnovamento
dell’arte ceramica nel nostro secolo, manifestatosi almeno in parte anche
con i “Premi Faenza” che vengono organizzati e attribuiti dal 1938, prima
annualmente ed ora con cadenza biennale. Esse sono: Fabbriche Riunite
di Ceramiche, Fabbrica dei Fratelli Minardi, Achille Calzi, Domenico Baccarini,
Pietro Melandri, Francesco Nonni, Riccardo Gatti, Anselmo Bucci, Angelo
Biancini, Germano Belletti, Guerrino Tramonti, Fulvio Ravaioli, Carlo Zauli,
Panos Tsolakos, Goffredo Gaeta, Ivo Sassi, Alfonso Leoni, Emidio Galassi,
Guido Mariani, Mauro Tampieri, Sergio Gurioli, Aldo Rontini, Alberto
Mingotti, Nedo Merendi, Antonella Ravagli, Luciano Laghi ed altri ancora.
Museo Internazionale delle Ceramiche
42
Scultura.
Gres con smalto.
Faenza, Carlo Zauli,
1974 ca. (inv. 18277)
4. Il Concorso Internazionale
della Ceramica d'Arte Contemporanea
Sala Contemporanea.
4. Il Concorso Internazionale
Museo Internazionale delle Ceramiche
44
“Sombra del viento” (particolare).
Terracotta.
Santo Tomé (Argentina),
Ana Cecilia Hillar,
52° Premio Faenza (2001).
Il Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte Contemporanea,
ha segnato la storia culturale di Faenza nel XX secolo, facendone
un punto di riferimento ceramico mondiale soprattutto a partire
dagli anni Sessanta.
Istituito nel 1932 con dimensione regionale per iniziativa del Museo
di Faenza e il patrocinio dell'E.N.A.P.I. (Ente Nazionale Artigianato e
Piccole Industrie), il Concorso non si presentava come una manifestazione autonoma, ma inserita in un complesso di iniziative a carattere fieristico-promozionale, anche eterogenee tra loro, che Faenza aveva realizzato da alcuni anni con il nome di "Settimana Faentina".
Il Concorso non era, fin dalle sue origini, una iniziativa estemporanea: traeva origine dalla tradizione ceramica faentina ed aveva una
premessa nei dettati di Gaetano Ballardini che aveva stabilito, con
felice intuito, nello statuto del nascente Museo (1908) di "indire mostre
internazionali, periodiche, di ceramiche interessanti l'uno e l'altro punto
dell'arte, della tecnica, dell'uso pratico" nonché di "indire concorsi
internazionali per la produzione della ceramica sotto l'aspetto d'arte
e di tecnica".
Nel 1938 il Concorso prese carattere nazionale; era la prima manifestazione in questo settore che veniva inaugurata in Europa con una
precisa caratterizzazione, una cadenza periodica e senza finalità commerciali.
La parentesi bellica interruppe nel 1942 lo svolgimento del Concorso che già nel 1946 riprendeva, proseguendo regolarmente fino ad
oggi: con cadenza annuale fino al 1987, biennale dal 1989. Nel 1963
il Concorso si è ampliato a livello internazionale.
La Manifestazione è stata, fin dall'inizio, un importante momento
nella valorizzazione, nel rinnovamento, nella promozione della ceramica
sia sotto l'aspetto artistico e decorativo, sia in quello funzionale e dell'arredo. La stessa Manifestazione ha inoltre dato impulso a una ricerca
complessa, non solo estetica, ma riguardante anche esperienze nel
settore della tecnologia delle argille, degli smalti, delle cotture mutuandole dall'industria e coinvolgendo di ritorno l'industria stessa nel design
di oggettistica e di piastrelle.
Museo Internazionale delle Ceramiche
46
Visto non solo come stimolo nei confronti della ceramica tradizionale ma soprattutto come esperienza - spesso problematica - per avvicinarsi a questo materiale, per plasmarlo, per volgerlo a fini estetici,
il Concorso di Faenza ha permesso un interessante confronto con l'arte
contemporanea e, specie negli ultimi cinquant'anni, ha visto un significativo coinvolgimento con la scultura.
Mentre fra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del
Novecento, ad eccezione di alcune personalità di grande rilievo come
Arturo Martini, il termine di confronto della ceramica perlomeno in Italia
era soprattutto la pittura, nei decenni a noi più vicini e specie dal secondo dopoguerra è la scultura ad aver preso il sopravvento su ogni altra
forma d'arte come termine di confronto di livello alto. La storia del Concorso di Faenza rispecchia con particolare evidenza questo fenomeno,
e può essere considerata un importante riferimento per una stimolante
indagine fenomenica.
Al Concorso di Faenza hanno partecipato artisti italiani - ricordiamo
fra i tanti: Angelo Biancini, Guido Gambone, Leoncillo Leonardi, Pietro
Melandri, Carlo Zauli - e stranieri - Eduard Chapallaz, Sueharu Fukami che hanno fatto non solo la storia della ceramica del XX secolo ma
anche quella della scultura e della pittura, con aspetti non marginali
sul fronte della sperimentazione e della contaminazione fra vari materiali non esclusivamente ceramici. Quest'ultimo approccio può essere fonte
di impensabili sviluppi verso nuove prospettive.
I premi
Fino al 1976 i premi erano suddivisi in varie categorie: opere
a decorazione pittorica, a decorazione plastica, maiolica decorata,
premi per concorrenti italiani, per ceramisti-artigiani iscritti all’Albo, per
giovani artisti ecc.; solo il primo premio assoluto (il “Premio Faenza”)
non ha mai avuto vincoli o indicazioni specifiche.
Vi era anche una particolare sezione riservata a designer e manifatture per i prodotti d’uso di moderno design ed un’altra sezione per
Istituti e Scuole d’Arte. Dal 1978 il monte-premi prevedeva:
> il “Premio Faenza” istituito dal Monte di Credito su Pegno e Cassa di Risparmio
di Faenza, costituito da un importo in denaro (£ 5 milioni) e da una “Personale”
che l’Artista vincitore era tenuto a realizzare nell’anno successivo, sempre nell’ambito delle manifestazioni ceramiche.
> n. 7 Premi-acquisto di uguale importo (£ 1 milione), con l’acquisizione
dell’opera premiata a favore delle collezioni del Museo. Almeno uno di questi
premi-acquisto era riservato ad un giovane artista di età superiore a 26 anni.
> Premi d’onore (medaglie d’oro e targhe).
Dal 1989, con le edizioni biennali, il monte premi prevedeva:
> il “Premio Faenza” istituito dal Monte di Credito su Pegno
e Cassa di Risparmio di Faenza del valore di £ 20 milioni.
> Premi-acquisto di £ 5 milioni e £ 2 milioni con l’acquisizione dell’opera
premiata a favore delle collezioni del Museo.
> Premi d’onore (medaglie d’oro e targhe).
Dal 1997 sono previste, oltre al "Premio Faenza” della Fondazione
Banca del Monte e Cassa di Risparmio Faenza, un premio-acquisto
di £ 20 milioni, e £ 5 milioni per un premio-soggiorno di due mesi a Faenza
nell’anno successivo, con mostra presso il Museo degli elaborati
realizzati durante la permanenza a Faenza, alcune menzioni di merito
e un Concorso per le Scuole d'Arte italiane.
Il Concorso è sempre stato affiancato da mostre collaterali di
grande rilevanza internazionale.
Le ultime due edizioni sono state dedicate a “Designer dal mondo” nel
1997 e ad “Artisti dal mondo” nel 1999. Nell'edizione 2001 è stato
assegnato un “Premio Faenza" alla Carriera a Giuseppe Spagnulo.
Museo Internazionale delle Ceramiche
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Albo d'oro Premi Faenza
Nazionali
Museo Internazionale delle Ceramiche
48
1938 Pietro Melandri
(1885-1976), Faenza
1939 Pietro Melandri
(1885-1976), Faenza
1941 Emilio Casadio (1902-1964), Faenza
e Carlo Corvi (1004-1978), Parma
1942 “I due Fornaciari”, Napoli,
su modello dello scultore
Giuseppe Mazzullo (1913-1988)
1946 Angelo Biancini (1911-1988),
Castelbolognese e Anselmo
Bucci (1887-1959), Faenza
1947 Guido Gambone (1909-1969),
Vietri sul Mare (opera segnalata
in sostituzione del “Premio
Faenza”)
1948 Guido Gambone (1909-1969),
Vietri sul Mare
1949 ex-aequo: Anselmo Bucci
(1887-1959), Faenza e Guido
Gambone(1909-1969), Vietri
sul Mare
1952 Antonio Scordia (1918-1989),
Roma e Guerrino Tramonti
(1915-1992), Faenza
1953 ex-aequo: Salvatore Meli
(1929), Roma e Carlo Zauli
(1926), Faenza
1954 Leoncillo Leonardi (1915-1968),
Roma
1955 ex-aequo: Carlo Negri, Bologna
e Guerrino Tramonti, Faenza
[Negri 1928; Tramonti 19151992]
1956 ex-aequo: Germano Belletti,
Perugia e Gian Battista Valentini,
Pesaro (Belletti 1914-1992)
(Valentini 1932-1985)
1957 Angelo Biancini, Castelbolognese
(1911-1988)
1958 Carlo Zauli, Faenza (1926)
1959 Guido Gambone, Firenze
(1909-1969)
1960 Guido Gambone, Firenze
(1909-1969)
1961 Gian Battista Valentini, Pesaro
(1932-1985)
1962 Carlo Zauli, Faenza (1926)
Internazionali
1963 ex-aequo: Pompeo Pianezzola,
Nove e Fulvio Ravaioli, Faenza
(Pianezzola 1925) (Ravaioli
1926-1983) 1964 ex-aequo: Rogier
Van De Weghe della Manifattura
Amphora, St.Andries-Brugge
(Belgio) e Leoncillo Leonardi,
Roma (1915-1968)
1965 Berndt Friberg, Gustavsberg
(Svezia) (1899-?)
1966 Wilhelm e Elly Kuch, Burgthann
(Rep. Federale Tedesca)
(Wilhelm 1925) (Elly 1929)
1967 Edouard Chapallaz, Duillier
s/Nyon (Svizzera) (1921)
1968 Hilkka-Liisa Ahola della “Oy Wärt
silä AB Arabia”, Helsinki (Finlandia)
1969 Vlastimil Kvetensky, Karlovy Vary
(Cecoslovacchia) (1930-19??)
1970 ex-aequo: Goffredo Gaeta,
Faenza e Ivo Sassi, Faenza
(Gaeta 1937) (Sassi 1937)
1971 Panos Tsolakos, Chalkis (Grecia)
(1934)
1979 Maria Teresa Kuczynska, Sopot
(Polonia) (1948)
1980 Guido Mariani, Faenza (1950)
1981 Michel Kuipers, Eindhoven
(Olanda) (1949)
1982 Aki Matsui Toshio, Osaka
(Giappone) (1955)
1983 ex-aequo: Jo-Anne CaronDevroey, Waterloo (Belgio)
e Emidio Galassi, Faenza (CaronDevroey 1926) (Galassi 1944)
1984 Giuseppe Lucietti, Bassano
del Grappa (1936)
1985 Sueharu Fukami, Kyoto
(Giappone) (1947)
1986 non assegnato
1987 Franz Stähler, Hadamar
(Rep. Federale Tedesca) (1956)
Biennali
1989 Enrico Stropparo,
Tezze sul Brenta (1953)
1991 Svetlana Nikolaevna
Pasechnaya, Kishenev
(Unione Sovietica) (1949)
1993 ex-aequo: Tjok Dessauvage,
Sint-Eloois-Winkel (Belgio)
e Aldo Rontini, Faenza (Dessau
vage 1948) (Rontini 1948)
1995 Ken Eastman, Kimbolton
-Leominster (Gran Bretagna)
(1960)
1997 Michael Cleff, Bochum
(Germania) (1961)
1999 Torbjørn Kvasbø, Venabygd
(Norvegia) (1953)
2001 Ana Cecilia Hillar, Santo Tomé,
Santa Fé (Argentina) (1969)
49
Museo Internazionale delle Ceramiche
1972 Yasuo Hayashi, Kyoto (Giappone)
(1928)
1973 Wilhelm e Elly Kuch, Burgthann
(Rep. Federale Tedesca) (Wilhelm
1925) (Elly 1929)
1974 Georges Blom, Dilsen (Belgio)
(1947)
1975 Colin Pearson, Aylesford
(Gran Bretagna) (1923)
1976 ex-aequo: Paul Donhauser,
Oshkosh (U.S.A.) e Alfonso Leoni,
Faenza (Donhauser 1936) (Leoni
1941-1980)
1977 Gian Battista Valentini, Arcore
(1932-1985)
1978 Mirko Orlandini, Bruxelles
(Belgio) (1928-19??)
5. Per una visita al Museo
Sala precolombiana.
Piano interrato
sala16
sala 16. Sezione del design, della
ceramica popolare italiana, delle
piastrelle e dei ceramici avanzati
➔ Ingresso
>
< Ascensore
Piano terra
>
<
sala 3
sala 17
sala 4
sala 2
sala 5
sala 1. Sezione didattica delle tecniche
sala 2. Ceramiche Precolombiane
sala 3. Ceramiche classiche, romane
e del Vicino Oriente Antico
sala 4. Ceramiche islamiche
sala 6
➔
sala 1
51
sala 5. Biglietteria, book shop
sala 6. Ceramiche da: Africa,
Oceania, Corea, Cina e Giappone
sala 15. Ceramiche contemporanee
sala 17. Sala Europa
Primo piano
>
<
sala 11
sala13
sala 14
sala12
sala 10
sala 7
sala 9
sala 7. esempio di collezionismo
sala 8. Faenza: Medioevo
sala 9. Faenza: Rinascimento
sala 10. Italia: Medioevo e Rinascimento
sala 8
sala 11. Italia: ’600, ‘700, ‘800
sala 12. Faenza: ‘700
sala 13. Ceramica italiana del Novecento
sala 14. Premi Faenza
Museo Internazionale delle Ceramiche
sala15
Museo Internazionale delle Ceramiche
52
da sinistra
Figura di guerriero. Recipiente
(?) votivo per libagioni
o aspersioni. Terracotta.
Messico occidentale (Nayarít
meridionale), III sec. a.C.
- IV sec. d.C. (inv. 20452)
Figura di divinità (cariatide).
Potrebbe trattarsi della
rappresentazione scultorea
di Cihuateo, dea-madre o
divinità delle donne morte
di parto le quali erano onorate
come guerrieri morti in battaglia. Messico orientale
(Veracruz centro-meridionale),
III-X sec. d.C. (inv. 20454)
Seguendo un criterio cronologico, il percorso attuale per la visita alle raccolte prende avvio al piano terra con la Sezione delle Ceramiche Precolombiane,
acquisita tramite una serie di donazioni e ad una recente politica di acquisti
mirati. Il criterio espositivo, supportato da una suadente didattica, si ispira
alla suddivisione in aree archeologico-culturali del continente americano.
Sei vetrine custodiscono al loro interno oltre duecento oggetti provenienti
dalle aree mesoamericana, caraibica, intermedia, amazzonica, peruviana, andina
meridionale, pampeana. Una maggiore enfasi è data alle aree mesoamericana
e peruviana, sia per la qualità degli oggetti posseduti dal Museo, sia per la loro
importanza particolare all'interno del quadro culturale generale delle Americhe.
Nell'insieme è esposta la produzione ceramica di sessantuno culture archeologiche, le quali benché siano accomunate dalla qualità di "precolombiane", sono
assai diverse tra loro. Tra le terrecotte antropomorfe più curiose se ne segnala
una messicana del Periodo Inferiore (di Ixtlàn) raffigurante una partoriente
assistita da tre figure maschili e sei figure femminili incinte.
Segue al piano terra la Sezione dell'Antichità Classica, greca, etrusca
e romana, che raccoglie un'ampia scelta di materiali rappresentativi delle più
importanti produzioni del bacino del Mediterraneo, cronologicamente collocabili dall'età del bronzo fino all'epoca ellenistica.
La sistemazione definitiva di questa Sezione, inaugurata nel
1996, è il risultato di un accurato lavoro di riordino riguardante tutti i materiali dell'antichità preromana, originariamente raccolti all'interno della cosiddetta "Sezione Retrospettiva" del Museo. La nuova presentazione si articola
in quattro grandi vetrine corredate da un ampio apparato
didattico, in cui vengono proposte varie tematiche di
Museo Internazionale delle Ceramiche
53
da sinistra
Alabastron con motivi zoomorfi.
Terracotta con patina. Ceramica
corinzia, 595/590 - 570 ca. a.C.
(inv. 4692)
Askos configurato a foggia di
cavallo. Terracotta con patina.
Ceramica greco-orientale, fine del
VI - inizi del V sec. a.C. (inv. 23174)
approfondimento riguardanti le tecniche produttive e decorative dell'antichità,
l'importanza della ceramica in archeologia, la diffusione e il commercio di questi
materiali nel bacino del Mediterraneo.
I pezzi esposti sono stati in primo luogo sistemati tenendo conto dei loro
luoghi di produzione e, all'interno di queste suddivisioni, le diverse classi ceramiche sono state disposte secondo il loro sviluppo cronologico.
Rappresentative dell'area greca sono le ceramiche egee, geometriche
e italo-geometriche, corinzie ed etrusco-corinzie, greco-orientali e attiche di
tutte le principali classi; per l'area italica invece sono documentate le ceramiche apule, magno-greche, figurate, sovraddipinte e a vernice nera, e infine
le produzioni etrusche comprendenti l'impasto, la depurata acroma, il bucchero,
la ceramica dipinta e a vernice nera.
Skyphos con figura di Menade.
Terracotta con patina. Ceramica
attica a figure rosse, 450 a.C. ca.
(inv. 9581)
in basso
Piatto con figura maschile, motivi
fitomorfi e motivo detto “a onde
e scogli” sul bordo. Terracotta silicea con vetrina. Produzione Iznik,
sec. XVII (inv. 6298)
Si sono inaugurate nel maggio 2001 le seguenti
sezioni: le Ceramiche romane, quelle del Vicino e
Antico Oriente, e le islamiche. L’itinerario indicato
nelle planimetrie è attualmente (2001) soltanto
in parte realizzato.
Museo Internazionale delle Ceramiche
54
Piatto raffigurante a pieno
campo un busto muliebre
“IULIA BELA”.
Maiolica, Faenza,
fine del sec. XV.
Tipologia Rinascimentale
(inv. 218)
Salendo al primo piano del Museo, si possono ammirare le Maioliche
faentine dal Trecento al Seicento suddivise nelle varie tipologie dall'arcaico fino
allo stile compendiario ("bianchi"). Caratteristici tra la tipologia rinascimentale
sono il vasellame d'amore con ritratti di "belle" donne, mani intrecciate, cuori
trafitti, ardenti, alati, ecc. e la piccola plastica di fine Quattrocento costituita
da deliziosi calamai con raffigurazioni religiose o profane. Splendidi
anche gli esempi di maioliche compendiarie che dalla metà del
Cinquecento sostituirono l'istoriato e i repertori policromi della
maiolica italiana. Esse si imposero per la sobrietà e l'eleganza
della decorazione abbinata ad uno spesso, morbido e sofisticato smalto bianco, che puntava a valorizzare soprattutto le foggie, talvolta bizzarre (trionfi da tavola, calamai,
coppe traforate ecc.) segnando il passaggio dal Manierismo al Barocco.
Museo Internazionale delle Ceramiche
55
Museo Internazionale delle Ceramiche
56
Ciotola decorata da un pavone
stilizzato e motivi fitomorfi.
Maiolica, tipologia “zaffera a rilievo”, Viterbo, sec. XV (inv. 21688)
Proseguendo nel percorso, si può ammirare la Sezione della Maiolica
Italiana del Rinascimento, suddivisa per aree regionali partendo dalle espressioni medievali ("arcaiche") laziali, per passare in Umbria tra lo stile gotico
e quello quattrocentesco e policromo e le suggestive maioliche a riflessi
metallici iridescenti di Gubbio e Deruta; si prosegue verso le fastose maioliche a veste decorativa figurativa ("istoriata") di Urbino e di altre officine
marchigiane del Cinquecento ed oltre, per giungere alla Toscana con produzioni di Montelupo, prima quelle gotico-quattrocentesche e poi quelle successive dalla squillante policromia e con soggetti popolari. L'ambito italiano
rinascimentale si conclude con una significativa raccolta di ceramiche di
Castelli d'Abruzzo, in particolare con opere del corredo Orsini-Colonna uscito
dalla fornace dei Pompei.
Una successiva Sezione illustra gli sviluppi della Ceramica dal Seicento
all'Ottocento fra cui opere realizzate a Faenza, Bologna, Nove di Bassano,
Piatto con figure di soldati
che si affrontano: “Bravacci”.
Maiolica, Montelupo,
sec. XVII
(inv. 30286).
in basso,
“Vegliardo, allegoria dell’inverno”.
Busto in maiolica. Iscrizione sul retro:
“Fait à Rouen 1647”. Parigi, Fabrique Samson
ultimo quarto del secolo XIX. Donazione Gian Lupo
Osti Zanelli Quarantini, Roma (inv. D 125)
57
Firenze, Pesaro, Napoli, Castelli, Milano e Savona. Qui è possibile trovare
anche un'ampia selezione di opere settecentesche faentine della manifattura
Ferniani: si segnala a tal proposito uno splendido servizio da puerpera
("Impagliata") decorato a "rovine"; il tipico decoro sviluppato dalla manifattura tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento è quello denominato
"al garofano". L'Ottocento è rappresentato sia dalla pittura su ceramica
che, imitando la tecnica e gli esiti della pittura a cavalletto, ci ha
lasciato straordinari ritratti naturalistici e vedute acquarellate, sia dal
‘revival’ del vasellame rinascimentale esplicato soprattutto attraverso
la realizzazione di grandi vasi decorati "a raffaellesche". Nella Sala
Europa, situata tornando indietro verso l'ala nuova del Museo, si
può ammirare una rapida selezione di ceramiche rappresentative
dei principali centri europei, dal XIV secolo fino al XIX. Vi si trovano
lustri spagnoli e saggi di pavimentazione e rivestimenti, oltre ad
esemplari che mostrano il forte influsso della maiolica rinascimentale italiana nei Paesi europei come Francia, Fiandre, Olanda.
Non mancano esemplari di impasti ad alta temperatura,
come il vasellame da birra tedesco in grès a salatura,
le porcellane di Meissen, gli eleganti vasi neoclassici
di Wedgwood. Un posto a parte occupa la terraglia,
di origine inglese, che a partire dalla fine del
Settecento fornisce all'industria il materiale
ideale per la produzione seriale e la decorazione
a decalcomania. Il Museo non si rivolge solo
alle ceramiche del passato, ma è anche attento
a quanto ancora oggi si produce nel settore sia
Museo Internazionale delle Ceramiche
in alto, da sinistra
Grande piatto decorato al centro
da busto di giovane donna che suona
la viola; intorno, motivi fitomorfi
e geometrici. Maiolica,
Deruta, sec. XVI (inv. 21140)
Museo Internazionale delle Ceramiche
58
da sinistra
Caffettiera con decoro floreale
“alla rosa” a piccolo fuoco.
Maiolica, Pesaro, manifattura Casali
e Callegari, ultimo quarto del sec.
XVIII (inv. 30289)
Servizio da puerpera decorato
da motivi “a rovine” in policromia
a piccolo fuoco. Maiolica, Faenza,
Luigi Benini nella manifattura Ferniani, 1776- 1780 (inv. 10020-24)
a fianco
Piatto con volto di donna.
Terraglia dipinta sotto vetrina.
Vallauris, Henri Matisse nella fabbrica Madoura, 1948 (inv. 3982)
Ciotola con profilo di donna con
fiore in mano. Maiolica, Vence,
Marc Chagall, 1952 (inv. 5845)
“Sfere”. Maiolica e terracotta
verniciata. Milano, Lucio Fontana,
1957 (inv. 28215)
artistico sia industriale. Attualmente vasti spazi dedicati al contemporaneo
prendono le mosse dai "Premi Faenza", il Concorso Internazionale che si
svolge dal 1938. In questo spazio saranno prossimamente collocate
le Ceramiche italiane della prima metà del Novecento, mentre i "Premi
Faenza" verranno collocati nella sala successiva. La selezione contemporanea
accoglie anche capolavori di artisti universalmente riconosciuti come Pablo
Picasso, Marc Chagall, Fernand Léger, Henry Matisse, Georges Rouault,
Leoncillo Leonardi, Lucio Fontana, Alberto Burri, Arturo Martini, Fausto
Melotti, Ugo Nespolo, Enrico Baj, Arman, Matta.
Al Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte Contemporanea è dedicata
una apposita sezione dove sono esposte tutte le opere presentate dal 1938
ad oggi alle quali è stato assegnato nelle varie edizioni il "Premio Faenza".
Dalla visita di tale sala emerge come le forme della ceramica contemporanea
si siano evolute dal dopoguerra ad oggi. È proposta anche una selezione di
designer di tutto il mondo, mentre si prevede prossimamente una presentazione di piastrelle per l'edilizia antiche e soprattutto del XX secolo.
Museo Internazionale delle Ceramiche
60
6. Una Biblioteca specializzata
Biblioteca.
Nello Statuto, approvato con Regio Decreto nel 1912, si prevedeva
che il Museo avesse tra le sue finalità anche quella di "raccogliere pubblicazioni in modo da offrire agli studiosi un materiale bibliografico di
critica, di storia, di arte, di tecnologia ceramica".
Negli anni che seguirono, la Biblioteca si arricchì di preziosi volumi
tanto che nel 1929 Gaetano Ballardini, partecipando al Primo Congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia, la definiva come un
fondo consistente per l'Italia di materiale di studio in continuo aumento. La crescita della Biblioteca subì un brusco arresto nel periodo della
Seconda Guerra Mondiale, quando, per preservare le collezioni del
Museo e il patrimonio librario, si provvide al loro "sfollamento" fuori
città. Purtroppo dei 10.800 volumi che componevano la raccolta, oltre
la metà vennero saccheggiati o distrutti nel crollo dell'edificio che
li ospitava. Nello stesso tempo anche la sede del Museo subiva gravi
danni dal bombardamento del 13 maggio 1944 e la Biblioteca stessa,
con tutti i suoi arredi, veniva completamente distrutta.
Nel dopoguerra la Biblioteca venne ricostituita con i materiali salvatisi (circa 4.000 tra volumi e opuscoli) e vennero ricostruite le scaffalature in legno su progetto dell'architetto Ennio Golfieri. Grazie ad un legato del dottor Paolo Galli e alle generose donazioni che seguirono negli
61
Museo Internazionale delle Ceramiche
anni Cinquanta (tra i donatori citiamo Georges Haumont, il cardinale
Amleto Cicognani, il conte Zauli Naldi, lo stesso Gaetano Ballardini),
la Biblioteca poté reintegrare le lacune della propria raccolta.
Il fiorire degli studi di ceramica nell'ultimo ventennio, l'accurata
politica dei cambi e delle acquisizioni, e l'attività di recensione e segnalazione sulla rivista del Museo Faenza, hanno portato ad un incremento
del patrimonio della Biblioteca attualmente attestato oltre le 53.000
unità bibliografiche (volumi e opuscoli), e oltre 400 periodici in corso,
con opere provenienti da tutto il mondo; tra i fondi speciali una sezione
di edizioni a stampa dei secoli XVI-XVIII e cataloghi d'asta.
La maggior parte delle pubblicazioni riguardanti la ceramica sono
organizzate secondo un ordinamento topografico che copre tutte
le nazioni (con particolare riguardo per i centri di produzione italiani
ed europei ed un settore dedicato specificatamente alla ceramica faentina), con settori specifici per la tecnologia, la conservazione e il restauro.
Non mancano settori dedicati alle altre discipline artistiche (pittura,
scultura, architettura), all'archeologia e alle antiche civiltà, alle arti
decorative e minori, alla grafica (stampe e disegni), al design ecc.,
cioè a tutte quelle discipline ausiliare fondamentali per uno studio
completo della ceramica.
7. Un Laboratorio per
"Giocare con l'Arte"
63
Museo Internazionale delle Ceramiche
"... Se siamo d'accordo che ognuno fa quello che sa, e che la fantasia e la creatività operano sulla memoria, il problema che segue è
come far memorizzare ai bambini il massimo dei dati, visto che l'allargamento della conoscenza favorisce le facoltà creative. Pare che il gioco
sia la condizione ottimale per memorizzare qualcosa...". Così scriveva
Bruno Munari in una nota informativa destinataci, a cui dobbiamo
le linee fondamentali di metodo del Laboratorio "Giocare con l'arte",
annesso al Museo di Faenza. È molto difficile condurre i bambini
in visite guidate al Museo, sia pure in quei casi in cui essi vengono
‘preparati’ dagli insegnanti. Occorre per essi trasformare in qualche
modo il Museo dal luogo che è - una raccolta di oggetti sia pure ordinata scientificamente - in un luogo di scoperta, di fantasia, in qualcosa
che faccia parte di un gioco. Il laboratorio "Giocare con l'Arte" prepara
i bambini al Museo: non tanto con discorsi, ma facendo vedere, toccare, provare e fare in uno spazio appositamente ideato per loro, dove
possano recepire e sperimentare alcune fondamentali regole del gioco,
come da una piattaforma sulla quale sprigionare la loro personale
creatività. Le regole del gioco sono l'apprendimento di alcune tecniche
ceramiche semplici e via via più complesse, anche per la loro combinabilità, e l'uso dei più diversi strumenti e utensili - in una disposizione
creativa anch'essa per il riutilizzo più disparato di objets trouvés d'intervento su e con l'argilla.
Fondamentale non è l'opera conclusa, ma i procedimenti attraverso
i quali si può raggiungere l'opera: per questo non sono tanto i manufatti esposti al Museo ad ispirare il processo, ma è questo stesso processo
che permette di scoprire i "segreti" di quei manufatti in tanti modi
codificati dal tempo. Così i bambini scoprono il Museo non per visite
guidate, ma individuando in esso quelle opere con caratteristiche simili
a quelle da loro stessi sperimentate. Chi li conduce a tali scoperte,
o in qualche modo li sollecita, potrà dare anche quelle informazioni
storiche, tecniche, estetiche che i bambini a seconda della loro età
saranno in grado di recepire o che essi stessi richiedono.
Per esperienza, si può dire che le brevi visite al Museo successive
ai giochi in Laboratorio, sono avvenute e richieste dai bambini stessi
con vero interesse e con la consapevolezza del luogo diverso ma in
qualche modo interagente con la loro libertà esplicata nell'ora di labora-
Museo Internazionale delle Ceramiche
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torio: nel Museo la loro libertà è soprattutto visiva, orale, ma anche
gestuale. Ma il Museo va anch'esso in laboratorio, talora con alcune
opere che vengono in qualche modo "smontate" per far scoprire le
regole che sono alla base della loro struttura, al loro volume, alla loro
pelle, ai loro colori: mai come modelli da imitare.
E così succede per gli artisti che vengono a giocare coi bambini:
essi rappresentano il Museo come materia vivente, poiché non sono
tanto le loro opere concluse che essi mostrano e illustrano, e che sono
già in tanti casi ‘museificate’: è il loro approccio diverso coi materiali e
con gli strumenti, con le diverse loro intenzioni e sensibilità, con la loro
disponibilità al gioco nell'applicazione dei vari linguaggi alla ceramica.
Non a caso alcuni di questi artisti hanno esperimentato il materiale
ceramico per la prima volta in laboratorio, in tutto e per tutto come
gioco: mentre altri, con esperimentata conoscenza, sono stati condotti
a confrontarsi nel gioco con la propria arte. L'aura dell'arte si rischiara,
si dispiega così negli infiniti rivoli e combinazioni di una operatività i cui
risultati possono avere importanza soltanto, e innanzitutto, se è possibile seguirne le regole. Il valore estetico dell'opera fa parte di una propedeutica assai più complessa di quanto si possa esercitare in questo
rapporto Museo-Laboratorio: in esso sono insite alcune fondamentali
coordinate di base che possono condurre, tramite quella "memoria"
a cui fa riferimento Bruno Munari, a sedimentarlo e recepirlo col tempo.
Dal 1978 il Laboratorio di Faenza costituisce il primo esempio di laboratorio munariano permanente in una sede museale; vi accedono bambini
in età prescolare e scolare di ogni ordine e grado. Dal 1980 il Museo ha
attivato dei corsi di formazione e aggiornamento rivolti agli insegnanti ed in seguito aperti a tutti i diplomati - per agevolare la divulgazione,
con l'assistenza di collaboratori di Bruno Munari, del metodo "Giocare
con l'arte" nei suoi vari aspetti e non solo nell'applicazione alle tecniche
ceramiche. Dalla metà degli anni '80 questi corsi si svolgono su differenti livelli e su specifici temi monografici, e sono documentati nei Quaderni del Laboratorio pubblicati dal MIC. Dal 1998 sono avviate esperienze
con studenti di nazionalità diversa, ospiti di alcune scuole medie superiori di Faenza, ed esperienze didattiche con portatori di handicap.
8. Il Laboratorio di Restauro
Museo Internazionale delle Ceramiche
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Il Laboratorio di Restauro è stato organizzato negli anni '80 e si
avvale di un gruppo di restauratori diplomatisi al "Ballardini" di Faenza;
ogni anno cura stage estivi per gli studenti che seguono il corso
di restauro all'Istituto d'Arte della città.
Si occupa esclusivamente di restauro di materiali ceramici, di qualunque tipologia, dalla terracotta alla porcellana. Il Laboratorio esegue
anche restauri su commissione, soprattutto su collezioni di altri musei,
ma anche su ceramiche provenienti da scavi archeologici, oltre che di
opere esposte all'aperto.
Tra i restauri eseguiti negli ultimi anni si citano: collezione ChigiSaracini del Monte dei Paschi di Siena, corredo della Farmacia dei
Gesuiti di Novellara, Statua di Sant'Antonio in terracotta dipinta a freddo dell'Eremo di Monte Paolo, raccolte del Museo Regionale della Ceramica Umbra in Deruta, raccolte dei musei di ceramica di Gubbio e Fano,
targhe devozionali in terracotta dipinta a freddo del Convento dei Cappuccini di Faenza, pannelli in maiolica a lustro di Lucio Fontana per
il Comune di Albissola Marina, corredo in porcellana della Farmacia
Giuseppucci di Fabriano, opere contemporanee di Leoncillo, Antonia
Campi e Louise Nevelson appartenenti a collezioni private, e molti altri
interventi ancora.
Negli ultimi anni il Museo ha organizzato quattro edizioni di
Giornate di studio sul restauro della ceramica, in collaborazione con
l'Istituto d'Arte di Faenza, e corsi di aggiornamento per restauratori
di ceramica (1997 "Biodeterioramento dei materiali ceramici", 1998
"Tecniche di pulitura applicate alle ceramiche antiche", 1999
"Restauro della porcellana", 2000 "Primo intervento sullo scavo").
Inoltre, all'interno della prestigiosa Biblioteca del Museo,
si è avviata una specifica sezione di pubblicazioni relative al restauro
che possono essere agevolmente consultate dal pubblico interessato.
9. Le più importanti mostre
degli ultimi anni
1996
Il verde e il bruno: da Kairouan ad Avignone.
Ceramiche dal X al XV secolo
Museo Internazionale delle Ceramiche
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L'esposizione di circa trecento pezzi, provenienti da scavi e da musei stranieri,
ha illustrato il lento cammino della ceramica decorata in verde e bruno, attraverso
il bacino del Mediterraneo, partendo dall'Oriente e attraverso la moltiplicazione
delle botteghe all'Occidente islamico, fino al suo culmine che si attua nelle terre
cristiane più settentrionali. L'interesse sviluppatosi attorno a questa particolare
ceramica medievale a decoro verde e bruno, conosciuta in Italia come "maiolica
arcaica" dei secoli XIII-XIV, è dato dal fatto che la sua comparsa coincide con
un’importante trasformazione delle tecniche di produzione ceramica, in particolar
modo nei rivestimenti. Il "modo di come fare" e la tecnica vengono trasmesse
da una costa all'altra, attraverso il bacino del Mediterraneo occidentale, nel corso
di ben cinque secoli. È un fenomeno molto esteso e generalizzato, testimonianza
di economie, culture e religioni diverse.
Il decoro floreale naturalistico
nella ceramica europea del XVIII secolo
Circa duecento pezzi, provenienti dalle collezioni del Museo, da musei stranieri
e da collezioni private, hanno illustrato il percorso del decoro con fiore
naturalistico, o fiore europeo, che è il più appariscente distacco dalla soggezione
dell'Oriente. Gli studi botanici, l'amore per la pittura realistica, i nuovi colori
utilizzabili con la tecnica della muffola, sostituiscono via via i cosiddetti fiori
coreani o indiani che decorano la porcellana cinese di K'ang-Hsi e che inizialmente
vengono imitati o addirittura copiati dalle manifatture di porcellana europea.
Il gusto del tutto europeo, sia per il mazzo di fiori ispirato alle stampe botaniche
seicentesche a Strasburgo, sia per i fiorellini dei campi sparsi sulla superficie delle
stoviglie a Marsiglia, ben presto trionfa e si propaga in tutta l'Europa nella
porcellana, nella maiolica e nella terraglia.
Faenza-faïence - bianchi di Faenza
La mostra è stata nel contempo un bilancio e un rilancio culturale del momento
più celebrato ed importante della storia della maiolica faentina, ovvero quando
Faenza nel Cinquecento riesce a legare il proprio nome - "Faenza-faïence",
appunto - alla fortuna delle sue maioliche nel mondo. Si focalizzano i caratteri
tecnico-formali dei cosiddetti "bianchi di Faenza", dipinti nello stile
"compendiario" che dalla metà del Cinquecento sostituirono l'istoriato e
i repertori policromi della maiolica italiana; essi si imposero per la sobrietà
e l'eleganza della decorazione abbinata ad uno spesso, morbido e sofisticato
smalto bianco, che puntava a valorizzare soprattutto le fogge, talvolta bizzarre,
segnando il passaggio dal manierismo al barocco.
Il percorso della mostra scandiva attraverso gruppi di opere, sviluppi cronologici
ed artistici dell'attività delle botteghe condotte dai principali protagonisti
di questa lunga (1550-1650) e feconda stagione della maiolica faentina e
italiana come Francesco Mezzarisa, Virgiliotto Calamelli e Leonardo Bettisi.
1997
Raku. Una dinastia di ceramisti giapponesi
Per la prima volta nel mondo, al di fuori del paese d'origine, è stata organizzata
una mostra di opere realizzate con una particolare tecnica di cottura e di
manipolazione della ceramica introdotta verso il Seicento in Giappone dal
capostipite della dinastia Raku. Raku era il ceramista accreditato per la creazione
delle tazze per la cerimonia del tè che in Giappone ha un significato
profondamente religioso in quanto segno di pace e riconciliazione. Da allora
il primogenito della dinastia ha mantenuto questa investitura quasi sacra tanto
che alcuni pezzi sono considerati tesoro nazionale ed hanno un valore
incalcolabile. La tecnica Raku, di ascendenza così antica e rituale, ha segnato
profondamente la ceramica contemporanea sperimentale e d'avanguardia in tutto
il mondo. A Faenza sono state esposte in mostra le opere di tutte le 15 generazioni
della famiglia Raku per un totale di centosei pezzi, dal XVI al XX secolo, provenienti
dal Museo Raku di Kyoto e da altre collezioni pubbliche e private giapponesi.
Museo Internazionale delle Ceramiche
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Per una storia della ceramica di Faenza.
Materiali dalle Mura del Portello
Significativa selezione dell'ingente quantità di frammenti recuperati nel 1967
nel centro storico di Faenza, durante gli scavi realizzati per l'ampliamento
dell'Ospedale Civile. Il materiale rappresenta un ampio arco cronologico che va
dal XIV al XVII secolo e che comprende maiolica, scarti di fornace e vasellame per
infornamento. In occasione della mostra è stata presentata un opera in due
volumi - a cura di Gian Carlo Bojani - che ricostruisce le tappe del lungo lavoro
di catalogazione, restauro e studio realizzato sui materiali.
Museo Internazionale delle Ceramiche
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1998
Capolavori di maiolica della Collezione Strozzi Sacrati
La mostra ha esposto per la prima volta al pubblico una ricchissima parte delle
raccolte d'arte di una tra le più illustri famiglie italiane, che ha vissuto e partecipato
la storia di Firenze, Mantova e Ferrara. La raccolta proposta a Faenza è stata l'ultima
parte di un ben più vasto complesso andato disperso tra musei e collezioni private
dopo la scomparsa dell'ultimo erede della casata, il marchese Uberto Strozzi Sacrati.
Attraverso una collezione di ceramiche d'indiscusso interesse scientifico ed estetico,
è stato possibile riesaminare alcuni filoni delle arti applicate italiane, nonché
apprezzare le abitudini collezionistiche e mecenatistiche della nostra aristocrazia.
Si va dal Quattrocento toscano alla maiolica faentina del primo Cinquecento;
dall'"istoriato" pesarese e urbinate, alla maiolica rinascimentale di Deruta; da due
tondi robbiani molto significativi, alla produzione marchigiana del tardo XVI
secolo; dai "bianchi" di Faenza, ad esemplari di Caltagirone o del Seicento e
Settecento toscano, savonese, faentino e persino una cospicua sezione di Iznik.
Completano la collezione vetri rinascimentali veneziani, metalli islamici, oggetti
d'oreficeria e una "canoviana" Maddalena penitente in terraglia, oltre a un busto
in marmo attribuibile alla scuola del Canova.
Filippo Comerio disegnatore
Alla nutrita raccolta di disegni - fulcro della mostra, attinti in prevalenza da
fondi privati - hanno fatto da corollario una selezione di dipinti e uno splendido
insieme di maioliche, figurate a "piccolo fuoco" dallo stesso pittore, posseduto
dall'istituzione faentina. L'intento del Museo è stato quello di contribuire a far
luce su una personalità affascinante quanto sfuggente, la cui notorietà è rimasta
ancorata proprio alle testimonianze di creatività spesa nelle fabbriche locali
del conte Annibale Ferniani o dei soci Ragazzini-Benini. Il nome di Comerio
fu associato al pigmento d'effetto smeraldino che egli predilesse per le sue
composizioni monocrome sullo smalto bianco: il "verde Comerio".
2000
Gaetano Ballardini e la ceramica a Roma
- Le maioliche del Museo Artistico Industriale di Roma
- Oltre il frammento - Forme e decori della maiolica medievale orvietana
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Museo Internazionale delle Ceramiche
Il Museo ha dedicato due mostre a Gaetano Ballardini, fondatore nel 1908 del
Museo stesso e profondo conoscitore della maiolica. Il filo rosso che lega il nome
di Ballardini alle rassegne sta nella sua opera di catalogazione delle maioliche
conservate a Roma presso lo scomparso Museo Artistico Industriale e nei rapporti
di studio con Giulio Del Pelo Pardi e Pericle Perali sulla maiolica orvietana.
Il M.A.I. comprende raccolte di numerosi ed eterogenei manufatti d'arte
applicata, tra i quali una collezione di maioliche catalogata dal Ballardini
nel 1929, in un periodo nel quale si stavano ancora elaborando i criteri e
le metodologie per uno studio scientifico della ceramica italiana. La rassegna
"Oltre il frammento" espone la collezione di ceramiche medievali donata nel
1950 al Museo Nazionale di Palazzo Venezia dall'ingegnere Giulio Del Pelo Pardi,
cultore di archeologia agraria e di collezionismo, legato da sincera amicizia
oltre che da profonda stima allo studioso faentino.
Museo Internazionale delle Ceramiche
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Tre mostre di Enzo Mari. Tra arte del progetto e arte applicata
Con questo lavoro Mari ha voluto mettere in luce la prima ragion d'essere del
"manufatto", ovvero la corrispondenza fra progetto ed esecuzione. Un percorso
espositivo in cui si sono evidenziate la necessità di perseguire la qualità
e l'importanza della riacquisizione da parte dell'artigiano della propria
autonomia progettuale. La prima mostra, Il piccolo museo, è stata un'esposizione
di 44 opere di varia provenienza, risultato di una scelta qualitativa operata da
Mari all'interno della grandiosa raccolta conservata nel museo. La seconda
mostra, Regesto di Enzo Mari, si trattava di una raccolta di 150 progetti in ceramica
da lui realizzati nell'arco di un trentennio per l'industria italiana e straniera.
Nella terza mostra, I garofani sono peonie, Mari ha esposto 23 grandi tavole
a colori, risultato di una approfondita analisi semiologica del "garofano",
il celebre decoro faentino settecentesco.
Aligi Sassu. L'opera ceramica
Mostra dedicata all'intera produzione ceramica dell'artista Aligi Sassu.
Nel superamento dell'itinerario tradizionale dell'opera di questo protagonista
dell'arte del nostro secolo, questo evento è configurato come la prima esaustiva
indagine sulla sua produzione ceramica che va dal 1939 - con i primi Cavalli
marini in terracotta smaltata policroma - ai più recenti lavori del 2000. Numerosi
gli esemplari inediti presentati al pubblico, fra cui anche un corpus di disegni
e bozzetti preparatori che testimoniano come Aligi Sassu abbia coltivato ogni
esperienza artistica e ne abbia tratto forza per diventare "artista universale".
Sassu rappresenta una fra le novità più interessanti della ceramica italiana
del XX secolo, e nell'ambito della ceramica sta proprio la sua più alta qualità
di "plastificatore" e il suo virtuosismo di pittore.
Lungo le vie della devozione. Cinque secoli di immagini
della Vergine e dei santi nelle targhe devozionali
dell'Emilia-Romagna
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Museo Internazionale delle Ceramiche
L'idea di porre le targhe ceramiche devozionali al centro di un fenomeno
territoriale complesso ispirò il catalogo delle collezioni di targhe del MIC,
pubblicato nel 1984 a cura di Maria Cecchetti, la cui ristampa nel 2000
ha permesso di raccogliere indicazioni per una mostra originale ed unica
nel suo genere che ordina esemplari inediti di targhe, tutte di grande
interesse, sia per la storia della ceramica sia per la storia della religione
e delle tradizioni devote in Emilia Romagna.
E' in progetto una mostra, a cura di Gian Carlo Bojani e Maria Cecchetti,
di 280 esemplari, di cui un centinaio scelti dalle collezioni del Museo e gli
altri da varie collezioni pubbliche e private. Le opere saranno raccolte
in piccoli gruppi tematici, individuati secondo due linee di percorso.
La prima segue il filo cronologico dal Quattrocento al Novecento, scandito
per scuole ceramiche; l'altra raccoglie in modo sincronico alcune tematiche
devozionali e iconografiche dominanti. Le due tracce si incontrano in modo
complementare tale da guidare il visitatore lungo l'evoluzione della storia
delle ceramiche in Emilia Romagna, alla scoperta delle particolari tematiche
religiose e devozionali, individuate secondo raggruppamenti iconografici.
Una selezione di queste opere, meno della metà, prevalentemente
di proprietà del MIC, è stata esposta nel corso del 2000 a Bologna
nella chiesa di San Giorgio in Poggiale e a Faenza presso il Museo.
10. Glossario dei termini tecnici e decorativi
> Albarello
(termine a radice araba) vaso cilindrico con corpo simile ai recipienti di canna di
bambù usati in Oriente per la conservazione e il trasporto delle spezie; si diffuse
sia in Spagna che in Italia nel periodo medievale e rinascimentale.
> Biscotto
Museo Internazionale delle Ceramiche
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(ant. “bistugio”) oggetto foggiato e cotto una sola volta, atto però ad essere
successivamente rivestito (con ingobbio, smalto o vernice) e quindi ricotto
(da cui il termine biscotto).
> Cartoccio
(in gergo ceramico “gattone”) decorazione composta da una foglia sinuosa
bipartita nascente da un bulbo centrale, che tende a riavvolgersi su se stessa;
tale motivo si ispira alle cornici delle miniature gotiche.
> Terrecotte ingobbiate e graffite
(o “faenze” ingobbiate e graffite) classe di ceramiche la cui superficie grezza
è stata rivestita di uno strato di argilla bianca finissima, detto ingobbio.
Sulla superficie così trattata si incide la decorazione usando uno stilo (o chiodo);
infine per dare impermeabilità e lucentezza all’oggetto, lo si copre con un sottile
strato di vernice (o vetrina) trasparente, spesso variegata con tocchi di colore verde
(rame) e bruno (ferraccia).
> Cineserie
motivi venuti di moda in Europa nella seconda metà del secolo XVII, ispirati
ai prodotti cinesi e giapponesi. Vennero impiegati inizialmente soprattutto dalle
officine olandesi, e in seguito ebbero largo uso presso tutte le officine europee.
> Famiglia ad occhio di penna di pavone
classe di maioliche decorate con un motivo che si ispira all’“occhio” che orna
l’estremità della penna del pavone. In questa famiglia un giallo intenso, che
si denomina appunto “giallo pavone”, si affianca ai colori tradizionali.
> Famiglia alla porcellana
classe di maioliche con decorazione di diretta ispirazione estremo-orientale,
in particolare dalle porcellane cinesi della dinastia Ming (1368-1644) sia
per l’ornato vegetale che per la monocromia turchina su fondo bianco.
> Famiglia della palmetta persiana
classe di maioliche decorate con temi tratti soprattutto dalle decorazioni
dei tessuti orientali e che utilizza in modo particolare un motivo composto
da un fiore con petali embricati, somigliante ad una pigna; tale fiore,
detto palmetta persiana, compare a volte dipinto come visto di profilo
o dall’alto (rosetta).
> Famiglia della zaffera in rilievo
(detta anche a foglie di quercia o a goccioloni) classe di maioliche decorate
utilizzando una zaffera, talora abbinata al verde, applicata sia a corpo (zaffera
a rilievo) sia diluita (zaffera diluita); tale tecnica sembra richiamarsi ad una
particolare classe di ceramiche bicrome bizantine.
> Famiglia floreale-gotica
> Famiglia italo-moresca
classe di maioliche il cui repertorio decorativo si richiama agli esemplari
ceramici “ispano-moreschi”, dei quali tenta di imitare, utilizzando un verde
gialliccio, l’effetto del lustro metallico dorato tipico delle superfici dei
prodotti spagnoli.
> Grottesca
tipo di decorazione assai diffusa sulla maiolica italiana del Rinascimento,
che s’ispira a quella ritrovata nei resti sotterranei della Domus Aurea
(le cosiddette “grotte”); essa si compone di animali fantastici, cornucopie,
busti, trofei ecc., disposti entro un ornato floreale stilizzato.
> Maiolica
(terracotta smaltata o “faenza” smaltata) prodotto ceramico a pasta colorata
(dal giallo chiaro al rosso mattone), porosa, con un rivestimento vetroso coprente,
solitamente bianco, detto smalto. A volte tale smalto veniva colorato
aggiungendo alla miscela di preparazione ossido di cobalto, che gli conferiva
una tonalità grigio azzurra; le maioliche così rivestite si denominavano “berettine”.
> “Piccolo fuoco”
(o “terzo fuoco” o “fuoco di muffola”) tecnica decorativa che si attua allo scopo
di far aderire all’oggetto di ceramica già rivestito e cotto in precedenza, quindi
già finito, quei colori che sopportano solo basse temperature, oro in particolare,
mediante una cottura più bassa (600°).
> Porcellana
impasto argilloso composto, formato in genere da caolino, quarzo e feldspato;
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Museo Internazionale delle Ceramiche
classe di maioliche la cui decorazione, oltre ad assumere temi ornamentali
moreschi tratti dal repertorio della famiglia italo-moresca, impiega elementi
della cultura tardo-gotica e in particolare della miniatura; di quest’ultima adotta
soprattutto il tema della foglia accartocciata (vedi cartoccio).
compatto, bianco madreperlaceo, più o meno traslucido. La porcellana dura
cuoce a temperatura variabile fra i 1280° e i 1300°. Antico prodotto dell’Estremo
Oriente, esso fu introdotto in Europa soltanto agli inizi del XVIII secolo.
> Quartiere
modo di decorare le superfici delle maioliche con scansioni in zone di colori alterni.
> Raffaellesca
Museo Internazionale delle Ceramiche
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motivo decorativo ispirato alla grottesca, impiegato da Raffaello e dalla sua
cerchia negli affreschi delle Stanze Vaticane; esso si compone per lo più di
minuti temi quali panoplie, putti, chimere, trofei d’armi antiche, strumenti
musicali, festoni ecc., entro una sottile trama di tralci.
> Stile arcaico (o fase arcaica)
termine adottato in passato dagli archeologi per lo stile della ceramica attica
a figure nere e in seguito usato da Ballardini per lo stile delle ceramiche
medievali (XII-XIV sec.); si caratterizza in generale per l’uso parsimonioso
del rivestimento (smalto) e altresì per una policromia che utilizza un bruno
manganese per i contorni e un verde rame per le campiture.
> Stile “bello”
termine coniato in passato dagli archeologi per indicare lo stile della ceramica
attica a figure rosse, e in seguito adottato da Ballardini per quella fase della
maiolica faentina che segue il “primo istoriato”; sulle maioliche esso si caratterizza
sia per le scene complesse, da cui anche il nome di “secondo istoriato”, sia per
l’adozione di motivi decorativi quali cerquate o foglie di quercia, grottesche,
quartieri ecc.
> Stile compendiario
il ceramologo faentino Gaetano Ballardini derivò la denominazione
di “compendiario” dal termine usato dagli archeologi per un tipo di pittura
romana (pictura compendiaria), sviluppatasi verso la fine del I secolo d.C.,
nella quale la tecnica di dipingere con rapidi ed essenziali tocchi di pennello
riprendeva modi peculiari della precedente pittura ellenistica.
> Stile fiorito
come il precedente stile “bello”, è anch’esso da riferirsi alla ceramica attica,
e in particolare a quella del periodo di Meidias ed è stato in seguito adottato
da Ballardini per quella fase della maiolica faentina che segue il “secondo
istoriato”. Su questo esso si caratterizza, oltre che per una ulteriore maturazione
del genere “istoriato”, da cui anche la denominazione di “terzo istoriato”, anche
per il grande virtuosismo delle forme e per l’uso dominante della “raffaellesca”.
> Stile istoriato
termine che indica lo stile decorativo rinascimentale caratterizzato da
complesse rappresentazioni figurate e aneddotiche. Si divide in due fasi:
primo istoriato e secondo istoriato.
> Stile “severo”
termine adottato in passato dagli archeologi per lo stile della ceramica
attica a figure rosse, e in seguito usato da Ballardini per lo stile iniziale
della maiolica italiana (dal 1420 sino alla fine del secolo), e che comprendeva
varie “famiglie” decorative.
prodotto ceramico a pasta bianca, porosa, molto leggera, solitamente
rivestito con una vernice piombifera trasparente. Inventata dai vasai inglesi
dello Staffordshire nel XVIII secolo, la terraglia si diffuse poi largamente
in molte altre officine europee.
> Zaffera
colore turchino scuro intenso, il cui nome deriva dalla parola araba
“al-safra”, cioè cobalto.
(Glossario tratto da: BOJANI GIAN CARLO - RAVANELLI GUIDOTTI CARMEN (a cura di),
Maioliche di Faenza dal Trecento al Novecento. Selezione di opere.
Faenza, Studio 88, 1998, ed. riveduta e ampliata).
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Museo Internazionale delle Ceramiche
> Terraglia
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Museo Internazionale delle Ceramiche
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in Faenza
Il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, fondato
nel 1908 da Gaetano Ballardini, è nel suo genere la più
grande raccolta al mondo. Nelle sue raccolte è documentata la storia e la cultura della ceramica nei cinque continenti attraverso i secoli, dall'antichità classica fino
ai giorni nostri. Accanto alla grande produzione italiana
ed europea dal Basso Medioevo al Rinascimento, dal
Seicento all'Ottocento, importanti sezioni sono dedicate
al Medio e all'Estremo Oriente, all'America precolombiana,
all'Africa, all'Asia. La ceramica del Novecento, italiana e internazionale, è rappresentata
anche da artisti universalmente riconosciuti tra i quali Picasso, Matisse, Chagall,
Leoncillo, Fontana, Martini. Notevoli le sezioni della ceramica popolare delle varie regioni
italiane, come quelle dei prodotti industriali di design. Da sottolineare anche la sezione
della grande biblioteca specializzata, quelle del restauro e della didattica.
> Museo Internazionale delle Ceramiche
Viale Baccarini, 19
48018 Faenza (Ra)
in Faenza
Museo internazionale delle Ceramiche in Faenza
Museo Internazionale delle Ceramiche
Museo Internazionale
delle Ceramiche
in Faenza
tel. 0546 697311
fax 0546 27141 - 697318
http://www.micfaenza.org
Sistema Museale della Provincia di Ravenna
e-mail: [email protected]
Provincia di Ravenna
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Guida del Museo della Provincia di Ravenna, edita nel 2001