7 in Faenza Il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, fondato nel 1908 da Gaetano Ballardini, è nel suo genere la più grande raccolta al mondo. Nelle sue raccolte è documentata la storia e la cultura della ceramica nei cinque continenti attraverso i secoli, dall'antichità classica fino ai giorni nostri. Accanto alla grande produzione italiana ed europea dal Basso Medioevo al Rinascimento, dal Seicento all'Ottocento, importanti sezioni sono dedicate al Medio e all'Estremo Oriente, all'America precolombiana, all'Africa, all'Asia. La ceramica del Novecento, italiana e internazionale, è rappresentata anche da artisti universalmente riconosciuti tra i quali Picasso, Matisse, Chagall, Leoncillo, Fontana, Martini. Notevoli le sezioni della ceramica popolare delle varie regioni italiane, come quelle dei prodotti industriali di design. Da sottolineare anche la sezione della grande biblioteca specializzata, quelle del restauro e della didattica. > Museo Internazionale delle Ceramiche Viale Baccarini, 19 48018 Faenza (Ra) in Faenza Museo internazionale delle Ceramiche in Faenza Museo Internazionale delle Ceramiche Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza tel. 0546 697311 fax 0546 27141 - 697318 http://www.micfaenza.org Sistema Museale della Provincia di Ravenna e-mail: [email protected] Provincia di Ravenna Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza testi di Gian Carlo Bojani Provincia di Ravenna Pubblicazione realizzata sotto l’egida dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna Collana diretta da: Gianfranco Casadio Settore Beni e Attività Culturali della Provincia di Ravenna Testi: Gian Carlo Bojani Corredo bibliografico: Lorella Ranzi Selezione apparati fotografici e didascalie: Elisabetta Alpi, Brunetta Guerrini Cura redazionale: Jolanda Silvestrini, Eloisa Gennaro Progetto editoriale: Image (Ravenna) Coordinamento: Tiziano Fiorini Art director: Massimo Casamenti Progetto grafico: Rita Ravaioli Logo del Sistema Museale: Marilena Benini Referenze fotografiche: Archivio fotografico del MIC Fotolito e stampa: Arti Grafiche Stibu © Copyrigth 2000 Provincia di Ravenna Piazza Caduti per la Libertà, 2/4 - 48100 Ravenna e Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza Via Campidori, 2 (sede amministrativa) - 48018 Faenza (Ra) È vietata la riproduzione non espressamente autorizzata anche parziale o ad uso interno o didattico con qualsiasi mezzo effettuata All rigths reserved/Printed in Italy Finito di stampare nel mese di giugno 2001 Indice Scheda 6/7 Premessa 9 1. Origine e sviluppo del Museo 10 2. La maiolica – o faenza smaltata – attraverso i secoli a Faenza 16 4. Il Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea 43 5. Per una visita al Museo 50 6. Una Biblioteca specializzata 60 7. Un Laboratorio per “Giocare con l’Arte” 62 8. Il Laboratorio di Restauro 65 9. Le più importanti mostre degli ultimi anni 67 10. Glossario dei termini tecnici e decorativi 74 Bibliografia 78 Museo Internazionale delle Ceramiche 5 3. La ceramica a Faenza nel XX secolo 38 > Scheda Museo Internazionale delle Ceramiche Viale Baccarini, 19 48018 Faenza (Ra) tel. 0546 697311 fax 0546 27141 - 697318 e-mail: [email protected] http://www.micfaenza.org Museo Internazionale delle Ceramiche 6 Orario invernale: 1 novembre - 31 marzo dal martedì al venerdì 9.00 / 13.30, sabato 9.00 / 13.30, 15.00 / 18.00, domenica e festivi 9.30 / 13.00 - 15.00 / 18.00 Ingresso Museo. Orario estivo: 1 aprile - 31 ottobre dal martedì al sabato 9.00 / 19.00 domenica e festivi 9.30 / 13.00 - 15.00 / 19.00 Il museo è chiuso: lunedì, 1 gennaio, 1 maggio, 15 agosto, 25 dicembre Per visite guidate rivolgersi a: Pro Loco I.A.T. Piazza del Popolo, 1 48018 Faenza (Ra) tel. e fax 0546 25231 4 FS NA RA > Faenza OG N M IC RE < B OL VE NN A A1 < FI ZE via > R IM Em i lia IN I Come si arriva al Museo: Per chi proviene dall'autostrada il museo si può raggiungere dirigendosi verso il centro della città: superato il cavalcavia e piazzale Sercognani si svolta a destra in viale IV Novembre, arrivati al primo semaforo sulla sinistra si imbocca viale Baccarini dove al numero civico 19 si trova il Museo delle Ceramiche. Dall'autostrada si arriva al museo in 6-7 minuti. Per chi proviene in treno il museo è nei pressi della stazione ferroviaria. Usciti dalla stazione si procede sempre diritto percorrendo il viale, si supera il semaforo e si arriva all'ingresso del museo collocato a sinistra nell'area verde. Museo Internazionale delle Ceramiche 7 Le superfici > Situazione antecedente il progetto (situazione fino al 1982) Esposizione sezioni ceramiche retrospettive sezione ceramiche moderne Uffici, Biblioteca, Laboratori Totale Museo Internazionale delle Ceramiche 8 > Superficie > Superfici ad oggi 1.790 1.780 1.177 4.784 mq 9.955 di progetto Esposizione sezioni ceramiche retrospettive sezione ceramiche moderne altre sezioni (piastrelle, c. avanzati ecc.) mostre temporanee (ex chiesa) ingresso Depositi 3.872 4.265 822 492 431 9.882 1.860 11.742 Laboratorio di restauro Biblioteca Servizi collaterali Uffici Totale (superficie disponibile alla fine dei lavori) Terrazzi e cortili 964 1179 706 462 15.053 2.749 Premessa 9 Museo Internazionale delle Ceramiche La storia della ceramica ha origini antichissime, tali da confondersi con quelle stesse dell’uomo. È una storia di una attività dell'uomo fondamentalmente gelosa ed appartata, costituita da un ripetersi di conoscenze tecniche, gestualità e materiali, ma anche perdite e recuperi periodici e costanti delle tradizionali pratiche di lavoro ma anche storia di scoperte, di novità. Scoperte e riscoperte sia di oggetti d’uso più svariato sia di opere d’arte, da parte di umili ed anonimi artigiani e di celebri artisti. Faenza è uno dei luoghi privilegiati del far ceramica da tempo immemorabile, e ha dato il nome internazionalmente a quest’arte con la “faenza”, una terracotta invetriata, smaltata, ingobbiata, entrata nel vocabolario di moltissime lingue. Anche a voler considerare l’introduzione del tornio elettrico, del forno elettrico e a gas, oggi computerizzati, che hanno sostituito nel tempo l’azione del piede e l’uso della legna e determinato la scomparsa di tante abitudini e riti, nelle botteghe artigiane della città romagnola si possono ancora trovare gestualità e pratiche che Cipriano Piccolpasso da Casteldurante annotava e schizzava nel Cinquecento nella sua opera didascalica Li tre libri dell’arte del vasaio. Il panorama ceramico faentino trova poi in una realtà multiforme la sua particolare caratterizzazione, a partire dal suo famoso Museo Internazionale delle Ceramiche, con scuole, laboratori, enti promotori. Il Museo fu detto “Internazionale” sin dall’inizio perché intendeva mettere a confronto la produzione faentina e italiana con quella delle maggiori fabbriche estere, per trarne indicazioni e incentivi a un rilancio della ceramica che era entrata in grave crisi tra Otto e Novecento. Così il nucleo originale del Museo, mediante donazioni e acquisti, si configurava anche come contenitore ed espositore di ceramica contemporanea, artigianale, industriale e artistica, in una sorta di “stanza commerciale” dove le varie manifatture italiane potevano esporre le novità della loro produzione, e fare del Museo un punto di scambi, diffusione, promozione del prodotto. In quest’ottica particolare, il Museo di Faenza si definì e crebbe come Museo non soltanto nell’accezione più comunemente intesa, e cioè come centro per la divulgazione oltre che di conservazione e di studi, ma come una istituzione con strutture di ricerca tali da rivitalizzare un così antico mestiere e innestarlo nell’attualità, nella proiezione nel futuro con l'utilizzo di tecniche avanzate. 1. Origine e sviluppo del Museo a destra: Sala didattica. 1. Il Museo Internazionale di Faenza (ceramiche) è stato fondato in Faenza da un Comitato italiano, qui riunitosi nel settembre 1908, per iniziativa di alcuni membri del Comitato per l'Esposizione torricelliana, del Comitato per la 1a Mostra romagnola d'arte e della direzione della società per il risveglio cittadino. 2. Esso è retto da detto comitato, che ha facoltà di aggregarsi altri membri, senza limite di numero. 3. L'amministrazione e la disposizione delle collezioni spettano ai cinque membri residenti in Faenza, che eleggono nel loro seno un direttore, un tesoriere, un bibliotecario. In caso di rinuncia o di decesso dei medesimi, il consiglio comunale provvederà alla loro sostituzione. 4. Un Comitato internazionale ne patrocina in Italia e all'estero gli interessi morali e materiali. 5. Il Museo è eretto in ente morale autonomo sotto il patronato del Comune di Faenza, a cui è devoluta la proprietà delle collezioni, per garantirne il perpetuo uso pubblico e l'inalienabilità. 6. È finalità del Museo: a) raccogliere e disporre sistematicamente i tipi della produzione ceramica italiana e straniera, interessanti sotto l'aspetto dell'arte, della tecnica, della tradizione, mediante la cooperazione delle fabbriche nazionali ed estere e dei privati collezionisti; b) mettere in relazione le fabbriche con la pubblicazione di uno speciale bollettino; c) indire mostre internazionali periodiche di ceramiche, interessanti l'uno o l'altro punto dell'arte, della tecnica, dell'uso pratico; d) raccogliere pubblicazioni in modo da offrire agli studiosi un materiale bibliografico di critica, di 11 Museo Internazionale delle Ceramiche Il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza è stato fondato nel 1908 da Gaetano Ballardini. L’esposizione con la quale in quell’anno la città di Faenza celebrò il terzo centenario della nascita del concittadino Evangelista Torricelli, inventore del barometro, raccolse nelle sale dell’ex convento di San Maglorio - che poi ospitarono il Museo - prodotti di molte manifatture italiane ed europee accanto ad esemplari di antiche fornaci, soprattutto italiane. Chiusa l’esposizione, i doni degli espositori costituirono il punto di partenza del Museo Internazionale. Esso ebbe il patrocinio di illustri personalità della cultura e dell’arte, d’ambito nazionale e internazionale, che ne facilitarono il decollo. Il comitato locale intanto, in uno statuto approvato con Regio Decreto il 19 luglio 1912, creava le basi per il futuro sviluppo. Così recita lo statuto: Museo Internazionale delle Ceramiche 12 da sinistra, Sala Oriente. Sala ‘900. storia, di arte, di tecnologia ceramica; e) disporre una rappresentazione oggettiva dello sviluppo della ceramica - arte, tecnica, uso, tradizione - mediante una collezione di oggetti retrospettivi; f) divulgare il gusto della decorazione ceramica, in modo da intensificarne l'uso estetico e razionale nella casa, nella applicazione architettonica; g) indire concorsi internazionali per la produzione, sotto l'aspetto d'arte e di tecnica, di oggetti di determinato uso pratico; h) sottoporre all'esame di congressi internazionali di ceramica le questioni che interessano l'arte, la letteratura e bibliografia ceramica, la legislazione (invenzioni e brevetti) e la tecnica; i) stabilire una terminologia internazionale scientifica, per evitare l'anfibologia nelle discussioni di critica storica e nei trattati tecnici; j) farsi promotore di una scuola pratica di ceramica in Faenza che, ad integrazione delle finalità del Museo, sia intesa all'elevamento intellettuale e tecnico dei ceramisti; k) proporre e favorire ogni altra iniziativa che rientri nelle finalità del Museo. 7. Il Museo provvede ai suoi scopi: a) con l'uso gratuito dei locali ceduti dal Comune di Faenza; b) col sussidio annuo di L. 500 elargito dal Comune di Faenza; c) coi sussidi dei Ministeri di agricoltura, industria e commercio e della pubblica istruzione; d) coi concorsi degli enti locali; e) coi proventi delle entrate nei giorni non festivi; f) coi proventi della vendita dei cataloghi e delle riproduzioni; g) coi proventi ordinari delle oblazioni degli amatori e dei fautori dell'opera; h) coi doni di oggetti, libri, stampati, ecc., che gli pervengono dai corpi ufficiali e dai privati, così nazionali che stranieri; i) con ogni altro mezzo, sia ordinario che straordinario, che possa essere a sua disposizione. 13 Museo Internazionale delle Ceramiche A sorreggere tale programma fu istituito da Gaetano Ballardini un Comitato italiano e un Comitato internazionale con corrispondenti. Il Comitato italiano era composto da personalità quali: Felice Barnabei, Leonardo Bistolfi, Giacomo Boni, Galileo Chini, Vincenzo Giustiniani, Francesco Malaguzzi Valeri, Aurelio Minghetti, Paolo Orsi, Tito Pasqui, Giovanni Piancastelli, Vittorio Pica, Corrado Ricci e Giulio Aristide Sartorio. Nel Comitato internazionale ricordiamo fra i tanti altri: Otto v. Falke, Albert Van De Put, Bernard Rackham, Hans St. Lerche, Josè Queiroz, Gaston Migeon, Alexandre Bigot, Henry Wallis. Le raccolte di ceramiche al Museo, in un’ampia campionatura di documentazione mondiale, si sono arricchite via via nel tempo attraverso acquisti ma soprattutto mediante donazioni, e sulla stessa linea si è proceduto dopo gli ingenti danni dell’ultimo conflitto mondiale che distrusse ambienti e raccolte. Tra i contributi generosi che hanno consentito di colmare le molte gravi perdite prodotte dalle distruzioni belliche merita una particolare menzione la donazione Mereghi, esposta in un’unica sala per desiderio del donatore. Accanto alla Sezione delle Nazioni - nucleo iniziale più consistente del Museo - si raccolsero esemplari di manifatture e di artisti viventi italiani, riuniti nel 1926 nella Mostra permanente della moderna ceramica italiana d’arte. Nel 1916 fu fondata la Sezione dell’antica maiolica italiana e, sempre nello stesso anno, s’iniziò quella delle ceramiche popolari delle varie regioni italiane. Nel 1919 si ordinarono le ceramiche dell’Estremo Oriente. Accanto a queste vennero a configurarsi altresì le seguenti sezioni: quelle didattiche, per lo studio d’attribuzione per il restauro e le analisi di laboratorio, consistenti nei frammenti di scavo delle maioliche italiane; quelle delle ceramiche preistoriche e del mondo classico; quella del Medio Oriente, delle regioni mediterranee lungo Museo Internazionale delle Ceramiche 14 il corso dei secoli, arricchite nel 1930 con la donazione dell’orientalista dottor Fredrik Robert Martin di Stoccolma. Con alcuni doni via via si formò anche una documentazione della ceramica precolombiana. La ceramica italiana contemporanea continuò ad essere documentata a partire dagli anni ‘30 con i Concorsi annuali del “Premio Faenza”, che dagli anni ‘60 divennero internazionali, permettendo così di acquisire opere di artisti e di manifatture di tutto il mondo. Dal 1989 i concorsi internazionali sono divenuti biennali. Dagli anni ‘70 ad oggi diverse migliaia di nuove opere sono venute ad accrescere il patrimonio museale sia per donazioni sia per acquisti. Da segnalare dagli anni ‘80 alcune importanti donazioni di ceramica antica, moderna e contemporanea di: Galeazzo Cora, piemontese divenuto cittadino di Firenze, Angiolo Fanfani fiorentino, Pietro Bracchini faentino, Francesca Tucci Bonardi romana, Gian Tomaso Liverani, faentino divenuto cittadino romano, Marisa Gasparini in Brunori di Modena, l’Associazione Amici del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza costituitasi nel 1978. Notevole incremento ebbero negli anni la Biblioteca specializzata, la Fototeca specie per la maiolica italiana, la raccolta di documenti riguardanti l’arte della maiolica italiana. Dal 1913 viene pubblicata la rivista bimestrale Faenza, repertorio di studi storici dell’arte della ceramica, e una serie di volumi di storia della ceramica, di carattere anche didattico, oltre a volumi annuali sulle diverse Collezioni del Museo dalla prima metà degli anni ‘80. Dal 1979 funziona un Laboratorio didattico per la ceramica, ideato da Bruno Munari, al quale convergono le scuole materne, elementari e medie prevalentemente del territorio faentino, ma che vede la partecipazione a corsi speciali anche di insegnanti e ceramisti italiani e stranieri, e i cui sviluppi sono strettamente collegati alla Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Bologna. Nel 1996 ha preso avvio l’Istituzione Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, mentre è prossimo lo sviluppo in Fondazione. Essa ha lo scopo di proiettare il Museo stesso in un futuro di maggiore autonomia gestionale secondo il nuovo modo di considerare i musei fra risorse pubbliche e private oltre che rinnovarlo secondo le nuove strategie anche tecnologiche di gestione amministrativa, scientifica, didattica e promozionale. Sala contemporanea dei Premi Faenza. Nel maggio 2001, in occasione della 52a edizione del “Premio Faenza”, vengono inaugurate le rinnovate sezioni della ceramica romana, del Vicino Oriente Antico e dell’Islam. Museo Internazionale delle Ceramiche 15 2. La maiolica - o faenza smaltata attraverso i secoli a Faenza Ciotola con motivi geometrici, fitomorfi e scritta “NANNA”. Maiolica, Faenza, prima metà del sec. XV. Tipologia Italo-moresca (inv. 15608) 17 Museo Internazionale delle Ceramiche Se è documentato dai reperti di scavo che Faenza aveva fabbriche di ceramiche almeno fin dal I secolo avanti Cristo, e ciò può stare a indicare un’attività legata alle particolari argille del fiume Lamone sulle rive del quale la città romagnola sorge, poco si sa ancora di ciò che avvenne nell'Alto Medioevo e fino al XII secolo circa. La fama che Faenza deve alla sua ceramica, se pur nulla sorge a caso e d'improvviso ma di norma dopo lunga sedimentazione proprio come avviene per le migliori argille - e la civiltà cinese ce lo insegna - si diffonderà soltanto con il Rinascimento. La qualità della ceramica faentina è nel tipo della cosiddetta "maiolica" o "faenza smaltata" per il rivestimento vetroso reso opaco dall'ossido di stagno. Un prodotto che dal Medioevo, probabilmente già dalla fine del Duecento, conoscerà un lungo percorso di successivi perfezionamenti tecnici, e insieme di mutamenti e varietà morfologiche come di reperti coloristici e figurativi che durerà sin verso la metà del Quattrocento, da quando è presumibile prenda avvio la sua ampia commercializzazione e la notorietà per raggiungere l'apice nel Cinquecento. All'inizio, in epoca medievale, dal Duecento al Trecento sino agli inizi del Quattrocento nel periodo cosiddetto "arcaico", si trovano boccali di varie sagome e dimensioni (cilindriche, troncoconiche, piriformi), scodelle, coppette su piede, albarelli (contenitori cilindrici per spezie, da farmacia) con ornati geometrici, fitomorfi, zoomorfi, epigrafici e araldici in bruno, verde, turchino sul bianco di smalto o in riserva sul fondo a graticcio. Una più ampia gamma di forme, soprattutto di forme aperte come ciotole, piatti e scodelle, è desumibile da una serie di frammenti recuperati dal sottosuolo del centro storico di Faenza. Tuttavia è da presumere, considerata la preziosità del vasellame smaltato, che esso avesse una produzione e una committenza assai ristretta: mentre è soltanto il boccale per vino o per acqua ad apparire in netta prevalenza sulle altre forme. Non è un caso, d'altra parte, che in concomitanza al prodotto smaltato ve ne sia un altro assai meno costoso, la ceramica ingobbiata - o "faenza" ingobbiata dipinta o graffita e invetriata, cosiddetta per il sottile rivestimento terroso bianco o giallino - in cui le forme aperte (scodellotti, ciotole, catini, piatti, assieme a brocche, boccali e boccaletti) sono di gran lunga più numerose di quelle che si trovano nella "faenza" smaltata. Contemporaneamente c'è anche un vasellame da tavola e da cucina semplicemente invetriato - o "faenza" verniciata - di argilla rossa ricoperta da un vetro trasparente per Museo Internazionale delle Ceramiche 18 togliere la permeabilità, essendo l'argilla porosa e quindi non adatta a contenere liquidi, talora con decori a filetti d'ingobbio. Questi ultimi due tipi prodotti, che potevano uscire specie in questo periodo dalla stessa bottega che produceva maiolica - e qui occorrerebbe poter distinguere se la nomenclatura data ai vari vasai (figuli, orciolai, vasellari) stesse a significare diversità di produzione - saranno sempre prodotti a Faenza sino alle soglie del nostro secolo, e generalmente per uso urbano e del contado. E le stesse forme si manterranno per buona parte inalterate lungo i secoli. Non a caso Ennio Golfieri, riferendosi alla fabbrica del "Bianchetto" (ingobbiatura di terra bianca) del Missiroli a Faenza in Porta Imolese della seconda metà del XVIII secolo e a una fornace delle Cappuccine verso le mura di Porta Montanara sempre in Faenza e della stessa epoca, lamenta che: "Fabbriche come queste di ceramiche popolari... furono nella Faenza del Sette e dell'Ottocento assai più numerose e attive di quel che si creda e se la storiografia ceramica non ne ha fatto finora particolare menzione, ciò è dovuto al fatto che da noi si è sempre puntato a valorizzare solo gli aspetti più nobili dell'arte ceramica". Un aspetto dunque sommerso, documentato tuttavia nelle raccolte del Museo, e che sta generalmente alla base di ogni centro importante di produzione pur tuttavia senza caratterizzarlo, ove in tale caratterizzazione si consideri non solo il semplice fattore estetico quanto quello più specificatamente produttivo e d'impresa commerciale di ampie proporzioni. In tal senso è assai significativo quel che notavo sopra, cioè il progressivo perfezionamento del prodotto smaltato faentino dalla fine del Medioevo al Cinquecento, vicenda che aprì appunto ai vasai faentini più vasti mercati. 19 Museo Internazionale delle Ceramiche a sinistra Boccale con decoro geometrico. Maiolica, Faenza, seconda metà del sec. XIV. Tipologia arcaica (inv. 11358) Museo Internazionale delle Ceramiche 20 inizio Quattrocento Piatto decorato da leone rampante e motivi fitomorfi. Maiolica, Faenza, inizi del sec. XV. Tipologia zaffera in rilievo (inv. 4136) a sinistra Boccale con raffigurazione di Fillide e Aristotele. Maiolica, Faenza, seconda metà del sec. XIV. Tipologia arcaica (inv. 19132) Alle soglie del Quattrocento, se le forme della maiolica paiono mantenersi per gran parte inalterate (boccali, brocchette e piatti), lo smalto diviene più spesso, più brillante e così più vivaci e variati i colori negli oggetti della cosiddetta "famiglia verde", "famiglia a zaffera in rilievo", "famiglia italo-moresca" (per i colori dominanti o i motivi decorativi di derivazione orientale), che recano ornati a figura umana, monogrammi, imprese, stemmi, fogliami, animali, arpie. Ma sarà con il vasellame della"famiglia floreale gotica" verso la metà del Quattrocento che - assieme al mutare Museo Internazionale delle Ceramiche 22 Piatto con motivi fitomorfi e trigramma “IHS” al centro. Maiolica, Faenza, seconda metà del sec. XV. Tipologia Gotico floreale (inv. 6628) a destra Boccale con lettera gotica entro medaglione e motivi geometrici. Maiolica, Faenza, seconda metà del sec. XV. Tipologia Gotico floreale (inv. 7485) delle forme dei boccali, dei piatti, dei piattelli, diremmo a una incipiente rinnovata progettazione - la qualità dello smalto e la varietà e brillantezza dei colori diverranno segno di una ormai matura padronanza tecnica e l'avvio all'autonomia di un magistero. Non a caso s'apparentano a queste forme i segni della diffusione dei canoni rinascimentali, che oltre a essere di carattere estetico mostrano una tensione di qualità tecnologica. Col moltiplicarsi così dei decori a foglie, fiori, animali, simboli religiosi, stemmi, raffigurazioni antropomorfe - che paiono ampliare la loro destinazione a più diversificata committenza come quella monastica e borghese - la tavolozza diviene 'calda' coi suoi turchini, verdi, viola, arancioni. Da questo momento il passo è brevissimo al grande spiegamento del fenomeno, che si rifletterà anche sui mercati del Veneto e delle Marche, dell'Umbria e dell'Abruzzo tanto che si pervenne a vietarne ai faentini l'accesso o a gravarli di forti gabelle. Nel 1471 Maestro Gentile di Maestro Antonio Fornarini, di cui è rimasta una "vacchetta" o libro dei conti, dipinge tutta una fornitura da farmacia, cioè 31 orcette a un soldo l'una e 20 albarelli a tre quattrini l'uno per Guglielmo, il quale poi 23 Museo Internazionale delle Ceramiche "mandò tutte queste robbe a Cexena a uno spiciale...". Questo Maestro Gentile, oltre ad averci lasciato la nomenclatura associata spesso alle indicazioni dei rispettivi ornati ben individuabili, permette anche di farsi un'idea delle numerose botteghe operanti allora in Faenza e per molte delle quali egli lavorava quale pittore. La 'qualità' faentina va dalla leggerezza delle argille, sempre più depurate, alla perfezione degli smalti, alla raffinatezza delle forme e dei colori. Sono oggetti delle cosiddette "famiglie della palmetta persiana" o "del melograno", della "famiglia a penna di pavone" e dei sempre più diffusi "motivi rinascimentali" e dei primi motivi a "istoriato". Sono dischi o targhe murali di carattere religioso, pillolieri, taglieri, piatti e piattelli, vasi, gamelii, coppe di varie dimensioni, plastiche a targhe devozionali, a calamai, a nicchie, vere e proprie sculture; ancora boccali e albarelli. fine Quattrocento sotto da sinistra Ciotola a pareti baccellate decorata da motivo “ad occhio di penna di pavone” e stemma della famiglia faentina Viarani al centro. Maiolica, Faenza, fine del sec. XV. Tipologia Rinascimentale (inv. 14891) Piatto decorato con motivi detti “alla palmetta persiana” e busto muliebre (Bella) al centro. Maiolica, Faenza, fine del sec. XV. Tipologia Rinascimentale (inv. 30510) Museo Internazionale delle Ceramiche 24 Al 1487 è datato il pavimento della cappella Vaselli o di San Sebastiano in San Petronio a Bologna, che rappresenta la summa del repertorio faentino dell'epoca e che con la rappresentazione e l'iscrizione del suo autore "Petrus Andrea de Favencia, (urcellarius et seu pictor faventinus)", noto per altro da documenti d'archivio, sta a significare un segno 'umanistico' di grande rilievo tenuto anche conto dell'anonimato cui in genere si lega l'artigianato e in specie quello ceramico. Se Petrus Andreas è ancora vivo nel 1522 e risulta morto nel 1543, significa che vive il momento di grande espansione della maiolica faentina. Non è certo un caso che proprio in questo tempo, nei fogli del Codice Leicester (foglio 10 R) tra il 1504 e il 1506, Leonardo si riferisse a una località calancosa e di raccolta fra Marradi e le porte di Faenza in questi termini: "Come le radici settentrionali di qualunque Alpe non sono ancora petrificate; e questo si vede manifestamente dove i fiumi che le tagliano, corrono inverso settentrione li quali taglian nell'altezza dei monti le falde delle pietre vive; e nel congiungersi colle pianure le predette falde son tutte di terra da fare boccali, come si mostra in vai di Lamone fare al fiume Lamone nell'uscire dal monte Appennino, far lì le predette cose nelle sue rive". Museo Internazionale delle Ceramiche 25 inizio Cinquecento Ciotola con motivi decorativi “alla porcellana”. Maiolica, Faenza, inizio del sec. XVI (inv. 7849) Verso la fine del Quattrocento e nei primi decenni del Cinquecento un prodotto di largo consumo come il vasellame da tavola avverte un notevolissimo ampliamento di mercato: sono piatti, piattelli, tondini, taglieri, ciotole, albarelli nel decoro del blu su bianco della cosiddetta "famiglia alla porcellana", che si modellano sulle porcellane cinesi Ming e sulle "damaschine". È uno dei prodotti che, rispettando la qualità dello smalto nella sveltezza del tratto pittorico, forse in maggior quantità si trova negli scavi e che probabilmente intendeva da una parte far concorrenza al diffondersi - pur tra famiglie di ceto elevato - della ceramica orientale, dall'altra inserirsi con profitto in un prodotto alla moda diffondendone a largo raggio e con molto minor spesa l'immagine. Nell'accordo che il 20 aprile del 1530 i principali maestri faentini della corporazione dei maiolicari fanno davanti al notaio Nicola Torelli, si trova che gli "scodellini a porcellana" si debbono fare "soldi 4 al cento", il prezzo più basso della serie dei prodotti. Questo conferma che il tipo era corrente, a buon prezzo e molto diffuso. A confronto gli esemplari dell'eletto istoriato del cosiddetto "stile bello", Museo Internazionale delle Ceramiche 26 da sinistra Piatto decorato da motivi “a grottesche” ed al centro busto maschile “TOLOMEO”. Maiolica “berettina”. Faenza, prima metà del sec. XVI (inv. 7353) Coppa traforata (“crespina”) decorata al centro da un putto con croce in mano. Maiolica, Faenza, seconda metà del sec. XVI (inv. 15218) oltre che a non avere preminentemente destinazione d'uso se non quello d'oggetto d'arte e d'arredo, pur riflettendo una osmosi sempre più diffusa tra le arti e specie con la pittura, per il tramite dell'incisione che con la recente scoperta della stampa s'andava diffondendo sino a divenire un vero e proprio mercato della riproducibilità dell'arte, rimanevano un prodotto d'eccezione e riservato veramente a pochi. Nello stesso tempo svariati sono i tipi e notevolissima appare anche la produzione - considerata la percentuale sul resto del vasellame di scavo, emerso dal sottosuolo del centro storico di Faenza - di tondini, taglieri, ciotole, scodelle, piatti e piattelli, fiasche, vassoi, albarelli, brocche con decori policromi a festoni, grottesche, frutta, fiori, fogliami e geometrizzazioni sull'azzurrino o turchino, il cosiddetto "berettino", di varie tonalità del fondo. Da questo momento inizia a diventare veramente arduo poter stabilire le varietà delle forme quando, con gli esemplari del cosiddetto "stile fiorito", pare diffondersi per la modellazione l'uso degli stampi come per le fruttiere le cosiddette "crespine" - spesso ornate al pari di albarelli e vasi di varie dimensioni a "quartieri", e cioè disegnate a sezioni dai fondi diversamente colorati l'uno dall'altro con sovrapposti fogliami o grottesche. Nel contempo, come produzione più corrente, appaiono i servizi da tavola per gli ordini monastici dalle brocche alle scodelle ai piatti di varie forme e dimensioni, ornati a geometrizzazioni, a girali, raggiere, fogliame stilizzato e a foglie d'ulivo, le cui tipologie permarranno a lungo e in qualità anche scadente sino al Seicento. metà Cinquecento Verso la metà del Cinquecento avviene nella produzione ceramica faentina una novità di eccezionale rilievo. È l'adozione dello smalto bianco come dominante - diciamo così - coloristica, mentre la tavolozza policroma sinora squillante per tonalità si riduce a poche tracce rapide, diluite di turchino, giallo e arancio, sia nelle scene che rinnovano l'"istoriato" sia nei motivi ad amorini, a stemmi e a fogliame, nei modi denominati da Gaetano Ballardini "del compendiario" e cioè a disegno sommario. Ma al solo "bianco allattato" come lo definisce Cipriano Piccolpasso, il didascalico cinquecentesco de Li tre libri dell'arte del vasaio, spesso si limita la realizzazione d'interi servizi. Giorgio Vasari, nelle Vite, del Verrocchio, di Girolamo della Genga e di Battista Franco scrive: "... le migliori terre e più belle sono quelle di Casteldurante e di Faenza che per lo più le migliori sono bianchissime e con poche pitture e quelle nel mezzo o intorno, ma vaghe e gentili affatto...". A questa produzione d'impronta preindustriale, che si protrarrà fino a tutto il Seicento, e le cui caratteristiche saranno adottate da centri ceramici di gran parte d'Europa, si deve soprattutto la grande notorietà di Faenza e l'adozione del termine faenza = faïence per quel tipo di prodotto tout-court. E ciò a tal punto che spesso nei documenti d'archivio di varie regioni italiane si è portati a confondere i prodotti con la città romagnola o coi suoi vasai, quando sono citati i faenzari, la faenza o le faenze. Quali alchimie fossero alla base di un tale risultato tecnico e formale, è detto da Carlo Grigioni nel libretto La bottega del vasaio del bel tempo: Museo Internazionale delle Ceramiche 27 "Così dunque si è ottenuto il marzacotto o fritta, che, mescolato nelle debite proporzioni allo stagno ossidato e al piombo darà, con la cottura, il bianco opaco, lo smalto stannifero che caratterizza la vera maiolica" (in Faenza, 1937). Museo Internazionale delle Ceramiche 28 Grande piatto con scena biblica “Eliodoro cacciato dal tempio”. Maiolica, Faenza, maestro del servizio V numerato, 1590-1610 (inv. 18658) È questa una delle preparazioni più delicate, la fondamentale anzi in tutta la lavorazione della ceramica. Dell'importanza che vi annettevano le fabbriche faentine ci è stata conservata una rara, preziosa testimonianza in un contratto del 20 febbraio 1540, col quale la direzione di una delle maggiori fabbriche faentine - e precisamente quella di Francesco Mezzarisa - si assicura, per la durata di cinque anni, l'opera di uno specialista, cioè del faentino Maestro Pietro di Francesco Zambalini. Egli lavorerà per questa sola e non per altra fabbrica e suo compito sarà quello di "concordare" tutto il colore bianco del quale avrà bisogno per tutto quel tempo l'officina del Mezzarisa. Si tratta di una fabbrica delle più produttrici di Faenza, e il lavoro dello Zambalini non doveva essere una sinecura. E non era nemmeno troppo lautamente compensato, perché riceveva non più di trenta lire l'anno. "Concordare il bianco", cioè fare, come si esprimevano i maiolicari del Cinquecento, l'accordo del piombo e degli altri componenti con lo stagno. E che si tratti di operazione delicata e fondamentale lo dice esplicitamente il Piccolpasso, per il quale la riuscita "nasce dal buon governo di chi l'ha nelle mani e soprattutto - egli aggiunse - io lodo il cuocere due volte il suo accordo". Anzi la preparazione dello smalto stannifero, cotto, polverizzato e trasformato in poltiglia per immergervi il biscotto è così essenziale che passa in seconda linea la stessa preparazione dei colori. Se dunque alla base di quella che è stata definita da Giuseppe Liverani la "rivoluzione dei bianchi" è una estrema capziosità di sperimentazione tecnica - forse non scevra dall'influenza e competitività col candore e la trasparenza delle porcellane orientali che sempre più si diffondevano in Europa, e di cui in Italia vanamente si cercavano proprio in questo lasso di tempo nelle Corti e nelle officine i segreti - con essa le varietà delle forme divengono innumerevoli. inizio Seicento 29 Museo Internazionale delle Ceramiche Coppia di saliere a foggia di navicella decorata da stemma fam. Garzoni. Marchio VRAF. Faenza, bottega Virgiliotto Calamelli, 1525-1574 (inv. 14301-14302) Col procedere del tempo e fino a gran parte del Seicento, per l'influenza del Manierismo prima e poi del Barocco, si trovano fra l'altro: crespine abborchiate, sbalzate e traforate, piatti e conche lisce o modellate, saliere le più curiose, versatori bizzarri modellati a figure antropomorfe e zoomorfe, lampade a sospensione, calamai monumentali del tipo "microarchitetture", vassoi, anfore, salsiere, catini, vasi da farmacia, rinfrescatoi per le bevande, trofei a forma di obelischi, catini da barba, fiasche sul tipo di quelle da pellegrino, e così via. Spesso tali oggetti recano stemmi gentilizi o prelatizi, e sul retro la sigla della fabbrica che peraltro è riscontrabile anche nel vasellame non decorato a policromia. Dello stesso spirito dei "bianchi", nel Cinque e nel Seicento, sono poi i capi in smalto turchino intenso, con le 176 mezzette e mezzettine (boccali) che a Virgiliotto avevano commissionato le suore di San Vitale di Bologna, dello stesso tipo che, a leggeri decori di foglie con le iniziali di religiose, si trovano nelle raccolte del museo faentino. Verso la fine del Cinquecento si diffonde poi il genere della targa devozionale, soprattutto a "faenza" dipinta in policromia nel genere "istoriato" ma anche modellata, di larghissima diffusione nel XVII secolo soprattutto nella città e nel contado faentino e che venivano inserite in facciate sopra le soglie di case e palazzi, ma anche da conservare in casa come oggetto devozionale. Museo Internazionale delle Ceramiche 30 fine Seicento Quando le sorti della ceramica 'fine' faentina sembravano quasi segnate verso la fine del Seicento per una serie complessa di ragioni socio-economiche (mentre la pignatteria comune e i vari contenitori in terracotta, come i grandi vasi da bucato, continuavano a essere prodotti, ma in economia chiusa, come indica sin dalla metà del XVII secolo la fabbrica di Giovanni Regoli, che i discendenti continueranno a gestire per circa un secolo aggiungendovi anche la produzione della maiolica di pregio, con Antonio Maria pronipote di Giovanni), avviene un altro fatto di grande rilievo. I rappresentanti della nobiltà faentina si erano un po' sempre adornati in società e nelle Corti, in diplomazia, della maiolica pregiata che si produceva nella loro città d'origine. E così continua ad avvenire anche nel Seicento, pur con l'assottigliamento delle botteghe e degli artigiani. Nel 1667, per esempio, Francesco Rucellai da Firenze richiede al conte faentino Giovan Battista Laderchi "... due finimenti da tavola di piatteria di maiolica puri senza arme però della più bella e fine che si facci; et in particolare quel finimento che deve andare a Malta". E ancora nel 1668 e nel 1670 quando Fabrizio Laderchi, gentiluomo alla corte granducale di Firenze, scrive al padre Giovan Battista per richiedere la maiolica ordinata da un certo Cavalier Carducci, e ne ordina altra per un suo amico; mentre nel 1679 scrive sempre da Firenze al fratello Camillo che: "Il signor Principe mi comanda che io le faccia fare i 'vasi di maiolica conforme la congiunta mostra' e con la maggiore sollecitudine che sia possibile. I grandi vasi da spetieria si son fatti altre volte, ma vi vuole a tutti i loro coperchi fatti in maniera che turino bene la bocca del vaso. Quelli da zucchero rosato m'imagino che il maestro saprà come vanno, et anche quelli da agro de cedro; le cattinelle col pippio mezzane e l'altre pure liscie senza cosa alcuna, onde procurate che Sua Altezza resti servita presto e bene. I vasi da zucchero rosato e quelli da agro de cedro procurate che abbino l'orlo della bocca arricciato, accio' si possa legarvi attorno la carta pecora...". "Dagli Accarisi ai Ferniani attraverso Francesco Vicchi (1589-1644) e i "Giorgioni" (16451693) - come scrisse Gaetano Ballardini, e che - ... forma il ponte di passaggio più noto, almeno sulle carte, fra gli eredi diretti del secolo XVI e i figuli successivi, che dovranno poi, nel luogo stesso e con gli stessi attrezzi... affidare la rinomanza della maiolica faentina alla casa patrizia dei Conti Ferniani, che la porteranno fino ai dì nostri...", e precisamente fino alla fine del XIX secolo. inizio Settecento Se nei primi anni della conduzione e proprietà Ferniani venivano ripetuti con gli antichi stampi tante forme e ancora decori nei caratteri del "compendiario" e dei successivi sviluppi seicenteschi, ben presto, e sin dai primi decenni del Settecento, la produzione venne radicalmente rinnovata. Si sa bene con i criteri odierni dell'industrializzazione che cosa significhi rinnovare la produzione. Per i Ferniani si trattava di ridare volto nuovo all'azienda, e trattandosi di nobiltà non provinciale, per tutto il XVIII secolo la fabbrica marcerà a livello europeo, ricettiva a tutte le novità d'oltralpe fino all'Inghilterra, e per questo tramite alle mode che venivano dall'Estremo Oriente. Dapprima coi "blu e bianchi" richiamanti quelli d'Olanda e di Francia specialmente, e coi monocromi in turchino, violaceo, giallo e verde, in ornati a peducci e a rocaille su forme spesso dei grandi piatti umbonati, vassoi e catini d'antica tradizione, ma anche in quelle nuove rococò. I servizi da tavola s'arricchiscono via via di decori policromi a "fior di patata", a "mazzolino", a "paesino", a "macchiette", a "rovine", a "bouquets" e infine a "fiorazzo" che è una interpretazione vernacolare dei repertori provenienti dalla maiolica e porcellana europea e dalla porcella- 31 Museo Internazionale delle Ceramiche Sarà proprio una famiglia comitale faentina che, all'inizio senza quasi un preciso disegno e non diversamente interessata dei Laderchi alla maiolica indigena, le ridarà ampio respiro. A causa di un grosso credito, la famiglia faentina dei conti Ferniani acquistò nel 1693 un'officina in crisi, ma che giungeva da lontano. Museo Internazionale delle Ceramiche 32 Grande piatto con pareti modellate, decorato al bordo da motivi “a peducci”; stemma centrale e intorno piccoli insetti, uccelli e fiori. Maiolica azzurrata Faenza, manifattura Ferniani, inizio del sec. XVIII (inv. 17230) na orientale. Quest'ultima influenza soprattutto le "cineserie", i motivi al "casotto" o alla "giapponese", quelli cosiddetti al "garofano" o della "porcellana nuova", denominazione legata esclusivamente al decoro e non ai materiali della porcellana vera e propria, che Faenza non ha mai prodotto benché i Ferniani vi fossero tentati senza esito grazie a un tecnico transfuga dalla fabbrica fiorentina dei Marchesi Ginori. Imitazioni della porcellana europea si hanno specialmente coi trionfi da tavola, i trompe-l'oeïl, i gruppi di figurine galanti e di carattere mitologico, le confettiere e i pillolieri. A proposito di alcuni almeno di questo tipo d'oggetti, è da ricordare il loro uso in occasione di una visita a Faenza della regina Maria Amalia Walbruga nel 1738, quando si recava a Napoli per incontrare suo marito Carlo III di Borbone. Nel volumetto che gli Accademici Filoponi pubblicarono a ricordo dell'avvenimento sono descritte le maioliche che adornavano le mense del convito: "le rose, i gelsomini, le viole, l'orrido cardo, il cocomer pingue, gli asparagi e le frutta e cento e cento pomi diversi, il mozzo capo di dentato cinghial, e le caccie, le ninfe e i pastor" quali centri tavola. metà Settecento 33 Museo Internazionale delle Ceramiche Vassoio ovale decorato con motivo floreale “alla rosa” in policromia a piccolo fuoco. Marca: chiave e N.2. Maiolica, Faenza, manifattura Ferniani, ultimo quarto del sec. XVIII (inv. 2859) Un'imitazione più pertinente per quanto sempre 'esteriore' della porcellana orientale dell'epoca si ebbe tuttavia, nella seconda metà del Settecento, con l'adozione del "piccolo fuoco" o "terzo fuoco", tecnica che consente l'uso di una tavolozza assai ricca che non resiste alle temperature di fusione dello smalto, e richiede quindi una terza cottura dell'oggetto a fuoco meno intenso. Si accrebbe così in breve la ricchezza della policromia ornamentale, nelle forme e nelle sagome tipiche dell'epoca, come nei servizi da tavola con zuppiere, servizi da caffè, tazze da brodo e da puerpera, versatori, anfore ornamentali. Di lí a poco, tuttavia, in età neoclassica, verrà recuperato specie Museo Internazionale delle Ceramiche 34 Coppia di anfore decorate da motivi “a cineserie”. Maiolica, Faenza, Filippo Comerio nella manifattura Ferniani, ultimo quarto del sec. XVIII (inv. 495-496) nei servizi da tavola un carattere contenuto sia nelle forme sia nelle decorazioni, nel rapporto equilibrato fra il bianco dello smalto, la linearità delle forme, e il sobrio cromatismo di motivi come quelli alla "ghianda", alla "foglia di vite" che si ritrovano nella scuola dei decoratori di Felice Giani operante nei palazzi dell'aristocrazia faentina dell'epoca. fine Settecento In questo ambito è da situare l'introduzione negli ultimi decenni del Settecento di un nuovo prodotto, la terraglia "all'uso d'Inghilterra", dal corpo poroso e bianco o color avorio che generalmente veniva invetriato. Con questo materiale erano eseguiti servizi da tavola, oltre che centri da tavola, gruppi plastici di tipo mitologico e vasi ornamentali. Sulla terraglia generalmente lasciata al suo candore priva di decorazioni - se si tolgono alcuni schizzi di paesaggini in bruno o blu, o il modellato a intrecci, a foglie o a trafori - dalla prima metà dell'Ottocento verranno applicate decorazioni a decalcomania usate precedentemente in minor misura sulla maiolica a "piccolo fuoco". inizio Ottocento Agli inizi dell'Ottocento "... la produzione ceramica contava su una media di addetti piuttosto esigua: a distanza di un secolo la Ferniani era passata da 30 a 20 operai, mentre le altre cinque o sei fabbriche attive per un certo periodo agli inizi del secolo, e che producevano il vasellame comune, il cosiddetto "bianchetto", occupavano in totale poco più di una cinquantina di addetti, facendo registrare un calo di un centinaio di unità da pochi anni prima...". Nell'ultimo decennio del secolo: "L'abbandono da parte della famiglia Farina di quella fabbrica che aveva rappresentato, pur tra i diversi sussulti di iniziative o progetti falliti, uno dei fulcri della ripresa del prestigio della ceramica locale, non fu che l'inizio di una nuova fase di declino; le tre ditte ancora attive - Ferniani, Treré e Cooperativa Faenza (ex-Farina) - riuscirono a sopravvivere per poco tempo. La cessione poi della famiglia Ferniani, dopo due secoli di meritoria e dinamica attività, dell'impresa e dei locali della fabbrica... ebbe effetti quanto mai destabilizzanti anche se il 12 dicembre 1894 l'ultimo direttore prendeva in affitto i locali di Egeria Schepens, vedova del conte Annibale, nell'illusione di poter salvare la prestigiosa produzione. La formula cooperativistica con la quale vennero condotte tutte e tre le fabbriche... non riuscì tuttavia a sostituire adeguatamente i capitali e l'iniziativa privata. Nel febbraio 1899 veniva tentata una fusione dei tre stabilimenti in un'unica società con una commissione di tre membri incaricata di sorvegliare l'azienda; ma la forte passività dell'esercizio richiedeva 35 Museo Internazionale delle Ceramiche Piatto decorato con motivo detto “giardino orientale”. Maiolica, Faenza, manifattura Ferniani, fine del sec. XVIII (inv. 7548) L'Ottocento ceramico faentino, e soprattutto la seconda metà del secolo, è conosciuto particolarmente per le opere di pittura su maiolica e per le grandi opere plastiche di tipo robbiano, realizzate dalle due maggiori fabbriche dell'epoca, la Ferniani e la Farina. Un tipo di prodotto che, per quanto apprezzatissimo nelle grandi Esposizioni internazionali, si staccava nettamente dal plurisecolare "ductus decorativo" che per la massima parte aveva uno stretto legame con l'oggetto d'uso. La ceramica faentina rimaneva prestigiosa artisticamente secondo i criteri dell'epoca, ma perdeva senza dubbio in produttività e in mercato considerata anche la mancata modernizzazione degli impianti che non rendevano più competitivo il prodotto. la liquidazione, peraltro temuta nel timore del disastro che avrebbe coinvolto un centinaio di famiglie. Nella primavera del 1900 si giunse inevitabilmente alla chiusura, con un preavviso di otto giorni agli operai..." . fine Ottocento Una indagine sistematica d'archivio ha reso possibile - nel corso degli ultimi decenni - una migliore conoscenza del fenomeno, che peraltro condusse gradatamente a una grave crisi del settore verso la fine del secolo. Le vicende del secolo scorso sono alla base di un mutamento strutturale del fenomeno ceramico faentino. Come s'è già accennato, il concetto d'arte non è la stessa cosa del concetto di qualità. Mentre lungo i secoli la consapevolezza della qualità e il lungo travaglio tecnologico per raggiungerla erano strettamente legati alla forma-funzione entro cui s'amalgamava la cultura figurativa contemporanea, la sostituzione nell'Ottocento del concetto d'arte come oggetto autonomo, 'inutile', da contemplare tanto più negli exploit virtuosistici, non corrispondeva in effetti più, per quanto se ne proclamasse la continuità di livello, al ruolo che i vasai dal Medioevo al Settecento erano consapevoli d'avere pur nel loro prevalente anonimato e forse proprio per questo. Museo Internazionale delle Ceramiche 36 inizio Novecento Ovale da muro con autoritratto. Faenza, Achille Farina, 1876 (inv. 7356) E la situazione è continuata nel nostro secolo. In neppure un decennio di vita - dal 1900 al 1910 circa chiusero due fabbriche come quella dei Fratelli Minardi e quella delle Fabbriche Riunite di Ceramiche che, oltre a produrre oggetti d'arte e d'arredo, cercarono di promuovere una produzione d'uso per la casa e per l'architettura. Esse, e i ceramisti che vi si erano formati, diedero l'avvio da una parte all'atomizzazione di botteghe per lo più a conduzione individuale che, a tutt'oggi moltiplicatesi, ripetono in genere i moduli stereotipati delle forme e degli stili faentini dei secoli passati, con grande attenzione alla qualità materica e ornamentale ma nella scissione che pare incolmabile con l'effettivo oggetto d'uso, per trasmutarlo in oggetto estetico con mercato tutto som- “Le orfanelle”. Lastra raffigurante bambine in riva al mare. Faenza, Tomaso Dal Pozzo, 1887 (inv. 3162) 37 Museo Internazionale delle Ceramiche mato ristretto ed empirico, spesso bottegaio; dall'altro diedero struttura ai laboratori dei ceramisti-artisti che nell'autonoma 'gratuità' delle loro ricerche e risultati, sono un fenomeno che non esiterei a dire del tutto nuovo rispetto alla tradizione, e che di fatto s'inseriscono nelle varie espressioni dell'arte contemporanea. In questa situazione, proprio all'inizio di secolo, sorgeva il Museo delle Ceramiche, un museo-scuola che solo nella sua parte più vistosa, quella storiografica, diremmo che rappresenta un polo di autoriflessione e di autoanalisi: mentre nella parte più critica, pur nel merito di conservare la memoria e il patrimonio manuale stratificato in più secoli di esperienza, può aver facilitato e incentivato la copia, la ripetizione pedissequa e scolastica. In realtà un'epoca era davvero finita, e il Museo con la sua stessa nascita sembra averla registrata. Se il naufragio non può certo dirsi soltanto faentino, ma investe antropologicamente l'intera nostra epoca, è da attribuirsi al Museo il ruolo, da una parte, di aver contribuito alla figura consapevole di un nuovo ceramista-artista, nel passaggio dallo stato artigianale a quello artistico e industriale in cui i materiali specifici sono sì essenziali in quanto li si sceglie, ma non determinano più quella che è sempre stata la figura e il comportamento tradizionale del ceramista; dall'altra, quello di aver formato e di formare, con gli Istituti didattici e di ricerca di sua emanazione, i tecnici del restauro per la conservazione della memoria, e quelli per l'industria contemporanea, che va dalla produzione di piastrelle e di materiale edilizio con mercati a largo raggio a quello delle più sofisticate applicazioni tecnologiche: l'informatica, la missilistica, la bioceramica. La storia contemporanea della ceramica, anche a Faenza, si dovrà dunque considerare basilarmente su tutt'altre linee di sviluppo e caratterizzazione, da quelle che sono state in tutti i secoli precedenti, e da cui Faenza ha tratto la sua fama. Si tratta di capire quale nuovo tipo di ruolo debba determinarsi, cercare di individuare il momento almeno in cui esso si è consolidato soprattutto per il tipo di diffusione che ha avuto e quello che dovrà avere: da un lato, l'artigianato tradizionale, di copia, di riproduzione; dall'altro la ceramica d'arte prevalentemente come fatto plastico, oltre che pittorico e decorativo; infine il ruolo che la città ha di riflesso, come centro soprattutto di formazione nell'industria della ceramica, specie nelle piastrelle per l'edilizia, nei prodotti tecnologicamente avanzati. 3. La ceramica a Faenza nel XX secolo sotto Ritratto di Domenico Silvestrini. Maiolica, Faenza, Francesco Nonni e Anselmo Bucci, 1923 ca. (inv. 30486) La ceramica in Faenza, alla fine del XIX secolo, attraversa una fase critica dopo circa sei secoli di attività, per la chiusura delle sue manifatture. Terminavano l’attività sia la fabbrica dei conti Ferniani che aveva operato ininterrottamente dalla fine del XVII secolo, sia quella di Achille Farina operante nella seconda metà del secolo, e altre fabbriche minori specie per prodotti di largo consumo. Tentativi di ripresa, tuttavia, si ebbero subito all’inizio del Novecento con le “Fabbriche Riunite di Ceramica” per iniziativa del conte Carlo Cavina, che riattivò con gestione unica alcune delle imprese ottocentesche, mentre venne avviata una nuova fabbrica dai fratelli Venturino e da Virgilio Minardi. In quegli stessi anni d’inizio secolo si verificava anche una ripresa culturale, artistica oltre che produttiva in Faenza. Una grande esposizione promossa dalla “Società per il Risveglio Cittadino” per celebrare il terzo centenario della nascita del faentino Evangelista Torricelli, inventore del barometro, segnò nel 1908 la ribalta programmatica per una rinascita della città. A seguito di tale esposizione, per impulso di Gaetano Ballardini, sorgeva il Museo Internazionale delle Ceramiche quale punto di riferimento per la ceramica antica, moderna e contemporanea, nazionale ed internazionale. Lo sviluppo delle manifatture locali ebbe un’altra battuta di arresto per la crisi finanziaria che coinvolse le “Fabbriche Riunite di Ceramica” alla fine del 1908. Esse, tuttavia, cambiarono soltanto proprietari e ragione sociale proseguendo negli anni l’attività con denominazioni diverse. Alla fine del primo decennio del secolo lo stesso avverrà per la Fabbrica dei Fratelli Minardi, che sarà gestita per qualche anno direttamente da tecnici e operai. Bisogna sottolineare in ogni caso che si trattava di piccole imprese artigiane. Una soluzione al problema dell’artigianato ceramico, che ne permettesse la continuità di fronte ad una situazione precaria per risorse finanziarie e strutture produttive, si prospettava con l’attuazione dei progetti di Gaetano Ballardini. La fondazione del Museo fu ben presto affiancata da una scuola di ceramica per 39 Museo Internazionale delle Ceramiche a sinistra Vaso di forma irregolare con decoro floreale in rilievo. Maiolica, Faenza, Pietro Melandri, 1960 ca. (inv. 23798) Bottiglia. Maiolica a lustro. Faenza, Anselmo Bucci, 1948 ca. (inv. 2263) pagina a destra. “Gesù fra i dottori”. Maiolica. Faenza, Angelo Biancini, 1957 (inv. 8332) Museo Internazionale delle Ceramiche 40 la formazione e l’avvio alla professione. Si intendevano affrontare così i problemi della ricerca tecnico-scientifica oltre che estetica e funzionale, dell’organizzazione artigianale e industriale, e della commercializzazione. I tecnici chiamati alla Scuola per realizzare questi progetti furono individuati fra coloro che avevano vissuto in prima persona le vicende travagliate delle fabbriche d’inizio secolo. E dalla Scuola, divenuta col tempo Istituto Statale d’Arte per la Ceramica, uscirono professionisti che soltanto in parte andarono via via ad incrementare l’artigianato locale e la ceramica d’arte. Molti fra essi divennero le leve tecniche per l’industria nazionale e per le scuole di ceramica di tutta Italia, e talora anche all’Estero. Le officine faentine dell’inizio del XX secolo furono vivai di esperienze, e veri e propri centri di formazione, che per le generazioni successive e fino ai nostri giorni hanno reso possibile la continuità del mestiere in cooperative, botteghe e studi ceramici. La fabbrica vera e propria invece non attecchirà mai in Faenza nel senso dell’industria moderna, a prescindere da quella sporadica impresa di ceramiche per l’edilizia come le piastrelle, in anni a noi più vicini. Il “prodotto” faentino si baserà sempre, in prevalenza, sulla cellula familiare del lavoro e punterà per buona parte sulla ripresa dei moduli decorativi tradizionali dal Medioevo all’Ottocento. Nondimeno alcuni artisti, sia pittori e scultori sia ceramisti, terranno vivo lungo questo nostro secolo lo spirito di promuovere e incentivare il mezzo ceramico come materia d’arte. Questa continuità tra generazioni è esemplificata in alcune tendenze principali: i vasi e le interpretazioni delle loro forme; la pittura su ceramica; la ceramica stessa come fatto plastico, di scultura vera propria, iconica o aniconica che sia, nel recupero della terracotta come materiale di primaria espressività artistica, anche a prescindere dai tradizionali valori cromatici degli smalti. I nomi che scorrono in questa ricostruzione dei ruoli della ceramica faentina del XX secolo rappresentano soltanto una parte delle effettive operosità. Una storia vera e propria dovrebbe comprendere un numero certamente più cospicuo soprattutto per quanto Museo Internazionale delle Ceramiche 41 riguarda le botteghe. Qui si è richiamata all’attenzione in particolar modo gran parte di quelle presenze che hanno contribuito al rinnovamento dell’arte ceramica nel nostro secolo, manifestatosi almeno in parte anche con i “Premi Faenza” che vengono organizzati e attribuiti dal 1938, prima annualmente ed ora con cadenza biennale. Esse sono: Fabbriche Riunite di Ceramiche, Fabbrica dei Fratelli Minardi, Achille Calzi, Domenico Baccarini, Pietro Melandri, Francesco Nonni, Riccardo Gatti, Anselmo Bucci, Angelo Biancini, Germano Belletti, Guerrino Tramonti, Fulvio Ravaioli, Carlo Zauli, Panos Tsolakos, Goffredo Gaeta, Ivo Sassi, Alfonso Leoni, Emidio Galassi, Guido Mariani, Mauro Tampieri, Sergio Gurioli, Aldo Rontini, Alberto Mingotti, Nedo Merendi, Antonella Ravagli, Luciano Laghi ed altri ancora. Museo Internazionale delle Ceramiche 42 Scultura. Gres con smalto. Faenza, Carlo Zauli, 1974 ca. (inv. 18277) 4. Il Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte Contemporanea Sala Contemporanea. 4. Il Concorso Internazionale Museo Internazionale delle Ceramiche 44 “Sombra del viento” (particolare). Terracotta. Santo Tomé (Argentina), Ana Cecilia Hillar, 52° Premio Faenza (2001). Il Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte Contemporanea, ha segnato la storia culturale di Faenza nel XX secolo, facendone un punto di riferimento ceramico mondiale soprattutto a partire dagli anni Sessanta. Istituito nel 1932 con dimensione regionale per iniziativa del Museo di Faenza e il patrocinio dell'E.N.A.P.I. (Ente Nazionale Artigianato e Piccole Industrie), il Concorso non si presentava come una manifestazione autonoma, ma inserita in un complesso di iniziative a carattere fieristico-promozionale, anche eterogenee tra loro, che Faenza aveva realizzato da alcuni anni con il nome di "Settimana Faentina". Il Concorso non era, fin dalle sue origini, una iniziativa estemporanea: traeva origine dalla tradizione ceramica faentina ed aveva una premessa nei dettati di Gaetano Ballardini che aveva stabilito, con felice intuito, nello statuto del nascente Museo (1908) di "indire mostre internazionali, periodiche, di ceramiche interessanti l'uno e l'altro punto dell'arte, della tecnica, dell'uso pratico" nonché di "indire concorsi internazionali per la produzione della ceramica sotto l'aspetto d'arte e di tecnica". Nel 1938 il Concorso prese carattere nazionale; era la prima manifestazione in questo settore che veniva inaugurata in Europa con una precisa caratterizzazione, una cadenza periodica e senza finalità commerciali. La parentesi bellica interruppe nel 1942 lo svolgimento del Concorso che già nel 1946 riprendeva, proseguendo regolarmente fino ad oggi: con cadenza annuale fino al 1987, biennale dal 1989. Nel 1963 il Concorso si è ampliato a livello internazionale. La Manifestazione è stata, fin dall'inizio, un importante momento nella valorizzazione, nel rinnovamento, nella promozione della ceramica sia sotto l'aspetto artistico e decorativo, sia in quello funzionale e dell'arredo. La stessa Manifestazione ha inoltre dato impulso a una ricerca complessa, non solo estetica, ma riguardante anche esperienze nel settore della tecnologia delle argille, degli smalti, delle cotture mutuandole dall'industria e coinvolgendo di ritorno l'industria stessa nel design di oggettistica e di piastrelle. Museo Internazionale delle Ceramiche 46 Visto non solo come stimolo nei confronti della ceramica tradizionale ma soprattutto come esperienza - spesso problematica - per avvicinarsi a questo materiale, per plasmarlo, per volgerlo a fini estetici, il Concorso di Faenza ha permesso un interessante confronto con l'arte contemporanea e, specie negli ultimi cinquant'anni, ha visto un significativo coinvolgimento con la scultura. Mentre fra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, ad eccezione di alcune personalità di grande rilievo come Arturo Martini, il termine di confronto della ceramica perlomeno in Italia era soprattutto la pittura, nei decenni a noi più vicini e specie dal secondo dopoguerra è la scultura ad aver preso il sopravvento su ogni altra forma d'arte come termine di confronto di livello alto. La storia del Concorso di Faenza rispecchia con particolare evidenza questo fenomeno, e può essere considerata un importante riferimento per una stimolante indagine fenomenica. Al Concorso di Faenza hanno partecipato artisti italiani - ricordiamo fra i tanti: Angelo Biancini, Guido Gambone, Leoncillo Leonardi, Pietro Melandri, Carlo Zauli - e stranieri - Eduard Chapallaz, Sueharu Fukami che hanno fatto non solo la storia della ceramica del XX secolo ma anche quella della scultura e della pittura, con aspetti non marginali sul fronte della sperimentazione e della contaminazione fra vari materiali non esclusivamente ceramici. Quest'ultimo approccio può essere fonte di impensabili sviluppi verso nuove prospettive. I premi Fino al 1976 i premi erano suddivisi in varie categorie: opere a decorazione pittorica, a decorazione plastica, maiolica decorata, premi per concorrenti italiani, per ceramisti-artigiani iscritti all’Albo, per giovani artisti ecc.; solo il primo premio assoluto (il “Premio Faenza”) non ha mai avuto vincoli o indicazioni specifiche. Vi era anche una particolare sezione riservata a designer e manifatture per i prodotti d’uso di moderno design ed un’altra sezione per Istituti e Scuole d’Arte. Dal 1978 il monte-premi prevedeva: > il “Premio Faenza” istituito dal Monte di Credito su Pegno e Cassa di Risparmio di Faenza, costituito da un importo in denaro (£ 5 milioni) e da una “Personale” che l’Artista vincitore era tenuto a realizzare nell’anno successivo, sempre nell’ambito delle manifestazioni ceramiche. > n. 7 Premi-acquisto di uguale importo (£ 1 milione), con l’acquisizione dell’opera premiata a favore delle collezioni del Museo. Almeno uno di questi premi-acquisto era riservato ad un giovane artista di età superiore a 26 anni. > Premi d’onore (medaglie d’oro e targhe). Dal 1989, con le edizioni biennali, il monte premi prevedeva: > il “Premio Faenza” istituito dal Monte di Credito su Pegno e Cassa di Risparmio di Faenza del valore di £ 20 milioni. > Premi-acquisto di £ 5 milioni e £ 2 milioni con l’acquisizione dell’opera premiata a favore delle collezioni del Museo. > Premi d’onore (medaglie d’oro e targhe). Dal 1997 sono previste, oltre al "Premio Faenza” della Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio Faenza, un premio-acquisto di £ 20 milioni, e £ 5 milioni per un premio-soggiorno di due mesi a Faenza nell’anno successivo, con mostra presso il Museo degli elaborati realizzati durante la permanenza a Faenza, alcune menzioni di merito e un Concorso per le Scuole d'Arte italiane. Il Concorso è sempre stato affiancato da mostre collaterali di grande rilevanza internazionale. Le ultime due edizioni sono state dedicate a “Designer dal mondo” nel 1997 e ad “Artisti dal mondo” nel 1999. Nell'edizione 2001 è stato assegnato un “Premio Faenza" alla Carriera a Giuseppe Spagnulo. Museo Internazionale delle Ceramiche 47 Albo d'oro Premi Faenza Nazionali Museo Internazionale delle Ceramiche 48 1938 Pietro Melandri (1885-1976), Faenza 1939 Pietro Melandri (1885-1976), Faenza 1941 Emilio Casadio (1902-1964), Faenza e Carlo Corvi (1004-1978), Parma 1942 “I due Fornaciari”, Napoli, su modello dello scultore Giuseppe Mazzullo (1913-1988) 1946 Angelo Biancini (1911-1988), Castelbolognese e Anselmo Bucci (1887-1959), Faenza 1947 Guido Gambone (1909-1969), Vietri sul Mare (opera segnalata in sostituzione del “Premio Faenza”) 1948 Guido Gambone (1909-1969), Vietri sul Mare 1949 ex-aequo: Anselmo Bucci (1887-1959), Faenza e Guido Gambone(1909-1969), Vietri sul Mare 1952 Antonio Scordia (1918-1989), Roma e Guerrino Tramonti (1915-1992), Faenza 1953 ex-aequo: Salvatore Meli (1929), Roma e Carlo Zauli (1926), Faenza 1954 Leoncillo Leonardi (1915-1968), Roma 1955 ex-aequo: Carlo Negri, Bologna e Guerrino Tramonti, Faenza [Negri 1928; Tramonti 19151992] 1956 ex-aequo: Germano Belletti, Perugia e Gian Battista Valentini, Pesaro (Belletti 1914-1992) (Valentini 1932-1985) 1957 Angelo Biancini, Castelbolognese (1911-1988) 1958 Carlo Zauli, Faenza (1926) 1959 Guido Gambone, Firenze (1909-1969) 1960 Guido Gambone, Firenze (1909-1969) 1961 Gian Battista Valentini, Pesaro (1932-1985) 1962 Carlo Zauli, Faenza (1926) Internazionali 1963 ex-aequo: Pompeo Pianezzola, Nove e Fulvio Ravaioli, Faenza (Pianezzola 1925) (Ravaioli 1926-1983) 1964 ex-aequo: Rogier Van De Weghe della Manifattura Amphora, St.Andries-Brugge (Belgio) e Leoncillo Leonardi, Roma (1915-1968) 1965 Berndt Friberg, Gustavsberg (Svezia) (1899-?) 1966 Wilhelm e Elly Kuch, Burgthann (Rep. Federale Tedesca) (Wilhelm 1925) (Elly 1929) 1967 Edouard Chapallaz, Duillier s/Nyon (Svizzera) (1921) 1968 Hilkka-Liisa Ahola della “Oy Wärt silä AB Arabia”, Helsinki (Finlandia) 1969 Vlastimil Kvetensky, Karlovy Vary (Cecoslovacchia) (1930-19??) 1970 ex-aequo: Goffredo Gaeta, Faenza e Ivo Sassi, Faenza (Gaeta 1937) (Sassi 1937) 1971 Panos Tsolakos, Chalkis (Grecia) (1934) 1979 Maria Teresa Kuczynska, Sopot (Polonia) (1948) 1980 Guido Mariani, Faenza (1950) 1981 Michel Kuipers, Eindhoven (Olanda) (1949) 1982 Aki Matsui Toshio, Osaka (Giappone) (1955) 1983 ex-aequo: Jo-Anne CaronDevroey, Waterloo (Belgio) e Emidio Galassi, Faenza (CaronDevroey 1926) (Galassi 1944) 1984 Giuseppe Lucietti, Bassano del Grappa (1936) 1985 Sueharu Fukami, Kyoto (Giappone) (1947) 1986 non assegnato 1987 Franz Stähler, Hadamar (Rep. Federale Tedesca) (1956) Biennali 1989 Enrico Stropparo, Tezze sul Brenta (1953) 1991 Svetlana Nikolaevna Pasechnaya, Kishenev (Unione Sovietica) (1949) 1993 ex-aequo: Tjok Dessauvage, Sint-Eloois-Winkel (Belgio) e Aldo Rontini, Faenza (Dessau vage 1948) (Rontini 1948) 1995 Ken Eastman, Kimbolton -Leominster (Gran Bretagna) (1960) 1997 Michael Cleff, Bochum (Germania) (1961) 1999 Torbjørn Kvasbø, Venabygd (Norvegia) (1953) 2001 Ana Cecilia Hillar, Santo Tomé, Santa Fé (Argentina) (1969) 49 Museo Internazionale delle Ceramiche 1972 Yasuo Hayashi, Kyoto (Giappone) (1928) 1973 Wilhelm e Elly Kuch, Burgthann (Rep. Federale Tedesca) (Wilhelm 1925) (Elly 1929) 1974 Georges Blom, Dilsen (Belgio) (1947) 1975 Colin Pearson, Aylesford (Gran Bretagna) (1923) 1976 ex-aequo: Paul Donhauser, Oshkosh (U.S.A.) e Alfonso Leoni, Faenza (Donhauser 1936) (Leoni 1941-1980) 1977 Gian Battista Valentini, Arcore (1932-1985) 1978 Mirko Orlandini, Bruxelles (Belgio) (1928-19??) 5. Per una visita al Museo Sala precolombiana. Piano interrato sala16 sala 16. Sezione del design, della ceramica popolare italiana, delle piastrelle e dei ceramici avanzati ➔ Ingresso > < Ascensore Piano terra > < sala 3 sala 17 sala 4 sala 2 sala 5 sala 1. Sezione didattica delle tecniche sala 2. Ceramiche Precolombiane sala 3. Ceramiche classiche, romane e del Vicino Oriente Antico sala 4. Ceramiche islamiche sala 6 ➔ sala 1 51 sala 5. Biglietteria, book shop sala 6. Ceramiche da: Africa, Oceania, Corea, Cina e Giappone sala 15. Ceramiche contemporanee sala 17. Sala Europa Primo piano > < sala 11 sala13 sala 14 sala12 sala 10 sala 7 sala 9 sala 7. esempio di collezionismo sala 8. Faenza: Medioevo sala 9. Faenza: Rinascimento sala 10. Italia: Medioevo e Rinascimento sala 8 sala 11. Italia: ’600, ‘700, ‘800 sala 12. Faenza: ‘700 sala 13. Ceramica italiana del Novecento sala 14. Premi Faenza Museo Internazionale delle Ceramiche sala15 Museo Internazionale delle Ceramiche 52 da sinistra Figura di guerriero. Recipiente (?) votivo per libagioni o aspersioni. Terracotta. Messico occidentale (Nayarít meridionale), III sec. a.C. - IV sec. d.C. (inv. 20452) Figura di divinità (cariatide). Potrebbe trattarsi della rappresentazione scultorea di Cihuateo, dea-madre o divinità delle donne morte di parto le quali erano onorate come guerrieri morti in battaglia. Messico orientale (Veracruz centro-meridionale), III-X sec. d.C. (inv. 20454) Seguendo un criterio cronologico, il percorso attuale per la visita alle raccolte prende avvio al piano terra con la Sezione delle Ceramiche Precolombiane, acquisita tramite una serie di donazioni e ad una recente politica di acquisti mirati. Il criterio espositivo, supportato da una suadente didattica, si ispira alla suddivisione in aree archeologico-culturali del continente americano. Sei vetrine custodiscono al loro interno oltre duecento oggetti provenienti dalle aree mesoamericana, caraibica, intermedia, amazzonica, peruviana, andina meridionale, pampeana. Una maggiore enfasi è data alle aree mesoamericana e peruviana, sia per la qualità degli oggetti posseduti dal Museo, sia per la loro importanza particolare all'interno del quadro culturale generale delle Americhe. Nell'insieme è esposta la produzione ceramica di sessantuno culture archeologiche, le quali benché siano accomunate dalla qualità di "precolombiane", sono assai diverse tra loro. Tra le terrecotte antropomorfe più curiose se ne segnala una messicana del Periodo Inferiore (di Ixtlàn) raffigurante una partoriente assistita da tre figure maschili e sei figure femminili incinte. Segue al piano terra la Sezione dell'Antichità Classica, greca, etrusca e romana, che raccoglie un'ampia scelta di materiali rappresentativi delle più importanti produzioni del bacino del Mediterraneo, cronologicamente collocabili dall'età del bronzo fino all'epoca ellenistica. La sistemazione definitiva di questa Sezione, inaugurata nel 1996, è il risultato di un accurato lavoro di riordino riguardante tutti i materiali dell'antichità preromana, originariamente raccolti all'interno della cosiddetta "Sezione Retrospettiva" del Museo. La nuova presentazione si articola in quattro grandi vetrine corredate da un ampio apparato didattico, in cui vengono proposte varie tematiche di Museo Internazionale delle Ceramiche 53 da sinistra Alabastron con motivi zoomorfi. Terracotta con patina. Ceramica corinzia, 595/590 - 570 ca. a.C. (inv. 4692) Askos configurato a foggia di cavallo. Terracotta con patina. Ceramica greco-orientale, fine del VI - inizi del V sec. a.C. (inv. 23174) approfondimento riguardanti le tecniche produttive e decorative dell'antichità, l'importanza della ceramica in archeologia, la diffusione e il commercio di questi materiali nel bacino del Mediterraneo. I pezzi esposti sono stati in primo luogo sistemati tenendo conto dei loro luoghi di produzione e, all'interno di queste suddivisioni, le diverse classi ceramiche sono state disposte secondo il loro sviluppo cronologico. Rappresentative dell'area greca sono le ceramiche egee, geometriche e italo-geometriche, corinzie ed etrusco-corinzie, greco-orientali e attiche di tutte le principali classi; per l'area italica invece sono documentate le ceramiche apule, magno-greche, figurate, sovraddipinte e a vernice nera, e infine le produzioni etrusche comprendenti l'impasto, la depurata acroma, il bucchero, la ceramica dipinta e a vernice nera. Skyphos con figura di Menade. Terracotta con patina. Ceramica attica a figure rosse, 450 a.C. ca. (inv. 9581) in basso Piatto con figura maschile, motivi fitomorfi e motivo detto “a onde e scogli” sul bordo. Terracotta silicea con vetrina. Produzione Iznik, sec. XVII (inv. 6298) Si sono inaugurate nel maggio 2001 le seguenti sezioni: le Ceramiche romane, quelle del Vicino e Antico Oriente, e le islamiche. L’itinerario indicato nelle planimetrie è attualmente (2001) soltanto in parte realizzato. Museo Internazionale delle Ceramiche 54 Piatto raffigurante a pieno campo un busto muliebre “IULIA BELA”. Maiolica, Faenza, fine del sec. XV. Tipologia Rinascimentale (inv. 218) Salendo al primo piano del Museo, si possono ammirare le Maioliche faentine dal Trecento al Seicento suddivise nelle varie tipologie dall'arcaico fino allo stile compendiario ("bianchi"). Caratteristici tra la tipologia rinascimentale sono il vasellame d'amore con ritratti di "belle" donne, mani intrecciate, cuori trafitti, ardenti, alati, ecc. e la piccola plastica di fine Quattrocento costituita da deliziosi calamai con raffigurazioni religiose o profane. Splendidi anche gli esempi di maioliche compendiarie che dalla metà del Cinquecento sostituirono l'istoriato e i repertori policromi della maiolica italiana. Esse si imposero per la sobrietà e l'eleganza della decorazione abbinata ad uno spesso, morbido e sofisticato smalto bianco, che puntava a valorizzare soprattutto le foggie, talvolta bizzarre (trionfi da tavola, calamai, coppe traforate ecc.) segnando il passaggio dal Manierismo al Barocco. Museo Internazionale delle Ceramiche 55 Museo Internazionale delle Ceramiche 56 Ciotola decorata da un pavone stilizzato e motivi fitomorfi. Maiolica, tipologia “zaffera a rilievo”, Viterbo, sec. XV (inv. 21688) Proseguendo nel percorso, si può ammirare la Sezione della Maiolica Italiana del Rinascimento, suddivisa per aree regionali partendo dalle espressioni medievali ("arcaiche") laziali, per passare in Umbria tra lo stile gotico e quello quattrocentesco e policromo e le suggestive maioliche a riflessi metallici iridescenti di Gubbio e Deruta; si prosegue verso le fastose maioliche a veste decorativa figurativa ("istoriata") di Urbino e di altre officine marchigiane del Cinquecento ed oltre, per giungere alla Toscana con produzioni di Montelupo, prima quelle gotico-quattrocentesche e poi quelle successive dalla squillante policromia e con soggetti popolari. L'ambito italiano rinascimentale si conclude con una significativa raccolta di ceramiche di Castelli d'Abruzzo, in particolare con opere del corredo Orsini-Colonna uscito dalla fornace dei Pompei. Una successiva Sezione illustra gli sviluppi della Ceramica dal Seicento all'Ottocento fra cui opere realizzate a Faenza, Bologna, Nove di Bassano, Piatto con figure di soldati che si affrontano: “Bravacci”. Maiolica, Montelupo, sec. XVII (inv. 30286). in basso, “Vegliardo, allegoria dell’inverno”. Busto in maiolica. Iscrizione sul retro: “Fait à Rouen 1647”. Parigi, Fabrique Samson ultimo quarto del secolo XIX. Donazione Gian Lupo Osti Zanelli Quarantini, Roma (inv. D 125) 57 Firenze, Pesaro, Napoli, Castelli, Milano e Savona. Qui è possibile trovare anche un'ampia selezione di opere settecentesche faentine della manifattura Ferniani: si segnala a tal proposito uno splendido servizio da puerpera ("Impagliata") decorato a "rovine"; il tipico decoro sviluppato dalla manifattura tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento è quello denominato "al garofano". L'Ottocento è rappresentato sia dalla pittura su ceramica che, imitando la tecnica e gli esiti della pittura a cavalletto, ci ha lasciato straordinari ritratti naturalistici e vedute acquarellate, sia dal ‘revival’ del vasellame rinascimentale esplicato soprattutto attraverso la realizzazione di grandi vasi decorati "a raffaellesche". Nella Sala Europa, situata tornando indietro verso l'ala nuova del Museo, si può ammirare una rapida selezione di ceramiche rappresentative dei principali centri europei, dal XIV secolo fino al XIX. Vi si trovano lustri spagnoli e saggi di pavimentazione e rivestimenti, oltre ad esemplari che mostrano il forte influsso della maiolica rinascimentale italiana nei Paesi europei come Francia, Fiandre, Olanda. Non mancano esemplari di impasti ad alta temperatura, come il vasellame da birra tedesco in grès a salatura, le porcellane di Meissen, gli eleganti vasi neoclassici di Wedgwood. Un posto a parte occupa la terraglia, di origine inglese, che a partire dalla fine del Settecento fornisce all'industria il materiale ideale per la produzione seriale e la decorazione a decalcomania. Il Museo non si rivolge solo alle ceramiche del passato, ma è anche attento a quanto ancora oggi si produce nel settore sia Museo Internazionale delle Ceramiche in alto, da sinistra Grande piatto decorato al centro da busto di giovane donna che suona la viola; intorno, motivi fitomorfi e geometrici. Maiolica, Deruta, sec. XVI (inv. 21140) Museo Internazionale delle Ceramiche 58 da sinistra Caffettiera con decoro floreale “alla rosa” a piccolo fuoco. Maiolica, Pesaro, manifattura Casali e Callegari, ultimo quarto del sec. XVIII (inv. 30289) Servizio da puerpera decorato da motivi “a rovine” in policromia a piccolo fuoco. Maiolica, Faenza, Luigi Benini nella manifattura Ferniani, 1776- 1780 (inv. 10020-24) a fianco Piatto con volto di donna. Terraglia dipinta sotto vetrina. Vallauris, Henri Matisse nella fabbrica Madoura, 1948 (inv. 3982) Ciotola con profilo di donna con fiore in mano. Maiolica, Vence, Marc Chagall, 1952 (inv. 5845) “Sfere”. Maiolica e terracotta verniciata. Milano, Lucio Fontana, 1957 (inv. 28215) artistico sia industriale. Attualmente vasti spazi dedicati al contemporaneo prendono le mosse dai "Premi Faenza", il Concorso Internazionale che si svolge dal 1938. In questo spazio saranno prossimamente collocate le Ceramiche italiane della prima metà del Novecento, mentre i "Premi Faenza" verranno collocati nella sala successiva. La selezione contemporanea accoglie anche capolavori di artisti universalmente riconosciuti come Pablo Picasso, Marc Chagall, Fernand Léger, Henry Matisse, Georges Rouault, Leoncillo Leonardi, Lucio Fontana, Alberto Burri, Arturo Martini, Fausto Melotti, Ugo Nespolo, Enrico Baj, Arman, Matta. Al Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte Contemporanea è dedicata una apposita sezione dove sono esposte tutte le opere presentate dal 1938 ad oggi alle quali è stato assegnato nelle varie edizioni il "Premio Faenza". Dalla visita di tale sala emerge come le forme della ceramica contemporanea si siano evolute dal dopoguerra ad oggi. È proposta anche una selezione di designer di tutto il mondo, mentre si prevede prossimamente una presentazione di piastrelle per l'edilizia antiche e soprattutto del XX secolo. Museo Internazionale delle Ceramiche 60 6. Una Biblioteca specializzata Biblioteca. Nello Statuto, approvato con Regio Decreto nel 1912, si prevedeva che il Museo avesse tra le sue finalità anche quella di "raccogliere pubblicazioni in modo da offrire agli studiosi un materiale bibliografico di critica, di storia, di arte, di tecnologia ceramica". Negli anni che seguirono, la Biblioteca si arricchì di preziosi volumi tanto che nel 1929 Gaetano Ballardini, partecipando al Primo Congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia, la definiva come un fondo consistente per l'Italia di materiale di studio in continuo aumento. La crescita della Biblioteca subì un brusco arresto nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando, per preservare le collezioni del Museo e il patrimonio librario, si provvide al loro "sfollamento" fuori città. Purtroppo dei 10.800 volumi che componevano la raccolta, oltre la metà vennero saccheggiati o distrutti nel crollo dell'edificio che li ospitava. Nello stesso tempo anche la sede del Museo subiva gravi danni dal bombardamento del 13 maggio 1944 e la Biblioteca stessa, con tutti i suoi arredi, veniva completamente distrutta. Nel dopoguerra la Biblioteca venne ricostituita con i materiali salvatisi (circa 4.000 tra volumi e opuscoli) e vennero ricostruite le scaffalature in legno su progetto dell'architetto Ennio Golfieri. Grazie ad un legato del dottor Paolo Galli e alle generose donazioni che seguirono negli 61 Museo Internazionale delle Ceramiche anni Cinquanta (tra i donatori citiamo Georges Haumont, il cardinale Amleto Cicognani, il conte Zauli Naldi, lo stesso Gaetano Ballardini), la Biblioteca poté reintegrare le lacune della propria raccolta. Il fiorire degli studi di ceramica nell'ultimo ventennio, l'accurata politica dei cambi e delle acquisizioni, e l'attività di recensione e segnalazione sulla rivista del Museo Faenza, hanno portato ad un incremento del patrimonio della Biblioteca attualmente attestato oltre le 53.000 unità bibliografiche (volumi e opuscoli), e oltre 400 periodici in corso, con opere provenienti da tutto il mondo; tra i fondi speciali una sezione di edizioni a stampa dei secoli XVI-XVIII e cataloghi d'asta. La maggior parte delle pubblicazioni riguardanti la ceramica sono organizzate secondo un ordinamento topografico che copre tutte le nazioni (con particolare riguardo per i centri di produzione italiani ed europei ed un settore dedicato specificatamente alla ceramica faentina), con settori specifici per la tecnologia, la conservazione e il restauro. Non mancano settori dedicati alle altre discipline artistiche (pittura, scultura, architettura), all'archeologia e alle antiche civiltà, alle arti decorative e minori, alla grafica (stampe e disegni), al design ecc., cioè a tutte quelle discipline ausiliare fondamentali per uno studio completo della ceramica. 7. Un Laboratorio per "Giocare con l'Arte" 63 Museo Internazionale delle Ceramiche "... Se siamo d'accordo che ognuno fa quello che sa, e che la fantasia e la creatività operano sulla memoria, il problema che segue è come far memorizzare ai bambini il massimo dei dati, visto che l'allargamento della conoscenza favorisce le facoltà creative. Pare che il gioco sia la condizione ottimale per memorizzare qualcosa...". Così scriveva Bruno Munari in una nota informativa destinataci, a cui dobbiamo le linee fondamentali di metodo del Laboratorio "Giocare con l'arte", annesso al Museo di Faenza. È molto difficile condurre i bambini in visite guidate al Museo, sia pure in quei casi in cui essi vengono ‘preparati’ dagli insegnanti. Occorre per essi trasformare in qualche modo il Museo dal luogo che è - una raccolta di oggetti sia pure ordinata scientificamente - in un luogo di scoperta, di fantasia, in qualcosa che faccia parte di un gioco. Il laboratorio "Giocare con l'Arte" prepara i bambini al Museo: non tanto con discorsi, ma facendo vedere, toccare, provare e fare in uno spazio appositamente ideato per loro, dove possano recepire e sperimentare alcune fondamentali regole del gioco, come da una piattaforma sulla quale sprigionare la loro personale creatività. Le regole del gioco sono l'apprendimento di alcune tecniche ceramiche semplici e via via più complesse, anche per la loro combinabilità, e l'uso dei più diversi strumenti e utensili - in una disposizione creativa anch'essa per il riutilizzo più disparato di objets trouvés d'intervento su e con l'argilla. Fondamentale non è l'opera conclusa, ma i procedimenti attraverso i quali si può raggiungere l'opera: per questo non sono tanto i manufatti esposti al Museo ad ispirare il processo, ma è questo stesso processo che permette di scoprire i "segreti" di quei manufatti in tanti modi codificati dal tempo. Così i bambini scoprono il Museo non per visite guidate, ma individuando in esso quelle opere con caratteristiche simili a quelle da loro stessi sperimentate. Chi li conduce a tali scoperte, o in qualche modo li sollecita, potrà dare anche quelle informazioni storiche, tecniche, estetiche che i bambini a seconda della loro età saranno in grado di recepire o che essi stessi richiedono. Per esperienza, si può dire che le brevi visite al Museo successive ai giochi in Laboratorio, sono avvenute e richieste dai bambini stessi con vero interesse e con la consapevolezza del luogo diverso ma in qualche modo interagente con la loro libertà esplicata nell'ora di labora- Museo Internazionale delle Ceramiche 64 torio: nel Museo la loro libertà è soprattutto visiva, orale, ma anche gestuale. Ma il Museo va anch'esso in laboratorio, talora con alcune opere che vengono in qualche modo "smontate" per far scoprire le regole che sono alla base della loro struttura, al loro volume, alla loro pelle, ai loro colori: mai come modelli da imitare. E così succede per gli artisti che vengono a giocare coi bambini: essi rappresentano il Museo come materia vivente, poiché non sono tanto le loro opere concluse che essi mostrano e illustrano, e che sono già in tanti casi ‘museificate’: è il loro approccio diverso coi materiali e con gli strumenti, con le diverse loro intenzioni e sensibilità, con la loro disponibilità al gioco nell'applicazione dei vari linguaggi alla ceramica. Non a caso alcuni di questi artisti hanno esperimentato il materiale ceramico per la prima volta in laboratorio, in tutto e per tutto come gioco: mentre altri, con esperimentata conoscenza, sono stati condotti a confrontarsi nel gioco con la propria arte. L'aura dell'arte si rischiara, si dispiega così negli infiniti rivoli e combinazioni di una operatività i cui risultati possono avere importanza soltanto, e innanzitutto, se è possibile seguirne le regole. Il valore estetico dell'opera fa parte di una propedeutica assai più complessa di quanto si possa esercitare in questo rapporto Museo-Laboratorio: in esso sono insite alcune fondamentali coordinate di base che possono condurre, tramite quella "memoria" a cui fa riferimento Bruno Munari, a sedimentarlo e recepirlo col tempo. Dal 1978 il Laboratorio di Faenza costituisce il primo esempio di laboratorio munariano permanente in una sede museale; vi accedono bambini in età prescolare e scolare di ogni ordine e grado. Dal 1980 il Museo ha attivato dei corsi di formazione e aggiornamento rivolti agli insegnanti ed in seguito aperti a tutti i diplomati - per agevolare la divulgazione, con l'assistenza di collaboratori di Bruno Munari, del metodo "Giocare con l'arte" nei suoi vari aspetti e non solo nell'applicazione alle tecniche ceramiche. Dalla metà degli anni '80 questi corsi si svolgono su differenti livelli e su specifici temi monografici, e sono documentati nei Quaderni del Laboratorio pubblicati dal MIC. Dal 1998 sono avviate esperienze con studenti di nazionalità diversa, ospiti di alcune scuole medie superiori di Faenza, ed esperienze didattiche con portatori di handicap. 8. Il Laboratorio di Restauro Museo Internazionale delle Ceramiche 66 Il Laboratorio di Restauro è stato organizzato negli anni '80 e si avvale di un gruppo di restauratori diplomatisi al "Ballardini" di Faenza; ogni anno cura stage estivi per gli studenti che seguono il corso di restauro all'Istituto d'Arte della città. Si occupa esclusivamente di restauro di materiali ceramici, di qualunque tipologia, dalla terracotta alla porcellana. Il Laboratorio esegue anche restauri su commissione, soprattutto su collezioni di altri musei, ma anche su ceramiche provenienti da scavi archeologici, oltre che di opere esposte all'aperto. Tra i restauri eseguiti negli ultimi anni si citano: collezione ChigiSaracini del Monte dei Paschi di Siena, corredo della Farmacia dei Gesuiti di Novellara, Statua di Sant'Antonio in terracotta dipinta a freddo dell'Eremo di Monte Paolo, raccolte del Museo Regionale della Ceramica Umbra in Deruta, raccolte dei musei di ceramica di Gubbio e Fano, targhe devozionali in terracotta dipinta a freddo del Convento dei Cappuccini di Faenza, pannelli in maiolica a lustro di Lucio Fontana per il Comune di Albissola Marina, corredo in porcellana della Farmacia Giuseppucci di Fabriano, opere contemporanee di Leoncillo, Antonia Campi e Louise Nevelson appartenenti a collezioni private, e molti altri interventi ancora. Negli ultimi anni il Museo ha organizzato quattro edizioni di Giornate di studio sul restauro della ceramica, in collaborazione con l'Istituto d'Arte di Faenza, e corsi di aggiornamento per restauratori di ceramica (1997 "Biodeterioramento dei materiali ceramici", 1998 "Tecniche di pulitura applicate alle ceramiche antiche", 1999 "Restauro della porcellana", 2000 "Primo intervento sullo scavo"). Inoltre, all'interno della prestigiosa Biblioteca del Museo, si è avviata una specifica sezione di pubblicazioni relative al restauro che possono essere agevolmente consultate dal pubblico interessato. 9. Le più importanti mostre degli ultimi anni 1996 Il verde e il bruno: da Kairouan ad Avignone. Ceramiche dal X al XV secolo Museo Internazionale delle Ceramiche 68 L'esposizione di circa trecento pezzi, provenienti da scavi e da musei stranieri, ha illustrato il lento cammino della ceramica decorata in verde e bruno, attraverso il bacino del Mediterraneo, partendo dall'Oriente e attraverso la moltiplicazione delle botteghe all'Occidente islamico, fino al suo culmine che si attua nelle terre cristiane più settentrionali. L'interesse sviluppatosi attorno a questa particolare ceramica medievale a decoro verde e bruno, conosciuta in Italia come "maiolica arcaica" dei secoli XIII-XIV, è dato dal fatto che la sua comparsa coincide con un’importante trasformazione delle tecniche di produzione ceramica, in particolar modo nei rivestimenti. Il "modo di come fare" e la tecnica vengono trasmesse da una costa all'altra, attraverso il bacino del Mediterraneo occidentale, nel corso di ben cinque secoli. È un fenomeno molto esteso e generalizzato, testimonianza di economie, culture e religioni diverse. Il decoro floreale naturalistico nella ceramica europea del XVIII secolo Circa duecento pezzi, provenienti dalle collezioni del Museo, da musei stranieri e da collezioni private, hanno illustrato il percorso del decoro con fiore naturalistico, o fiore europeo, che è il più appariscente distacco dalla soggezione dell'Oriente. Gli studi botanici, l'amore per la pittura realistica, i nuovi colori utilizzabili con la tecnica della muffola, sostituiscono via via i cosiddetti fiori coreani o indiani che decorano la porcellana cinese di K'ang-Hsi e che inizialmente vengono imitati o addirittura copiati dalle manifatture di porcellana europea. Il gusto del tutto europeo, sia per il mazzo di fiori ispirato alle stampe botaniche seicentesche a Strasburgo, sia per i fiorellini dei campi sparsi sulla superficie delle stoviglie a Marsiglia, ben presto trionfa e si propaga in tutta l'Europa nella porcellana, nella maiolica e nella terraglia. Faenza-faïence - bianchi di Faenza La mostra è stata nel contempo un bilancio e un rilancio culturale del momento più celebrato ed importante della storia della maiolica faentina, ovvero quando Faenza nel Cinquecento riesce a legare il proprio nome - "Faenza-faïence", appunto - alla fortuna delle sue maioliche nel mondo. Si focalizzano i caratteri tecnico-formali dei cosiddetti "bianchi di Faenza", dipinti nello stile "compendiario" che dalla metà del Cinquecento sostituirono l'istoriato e i repertori policromi della maiolica italiana; essi si imposero per la sobrietà e l'eleganza della decorazione abbinata ad uno spesso, morbido e sofisticato smalto bianco, che puntava a valorizzare soprattutto le fogge, talvolta bizzarre, segnando il passaggio dal manierismo al barocco. Il percorso della mostra scandiva attraverso gruppi di opere, sviluppi cronologici ed artistici dell'attività delle botteghe condotte dai principali protagonisti di questa lunga (1550-1650) e feconda stagione della maiolica faentina e italiana come Francesco Mezzarisa, Virgiliotto Calamelli e Leonardo Bettisi. 1997 Raku. Una dinastia di ceramisti giapponesi Per la prima volta nel mondo, al di fuori del paese d'origine, è stata organizzata una mostra di opere realizzate con una particolare tecnica di cottura e di manipolazione della ceramica introdotta verso il Seicento in Giappone dal capostipite della dinastia Raku. Raku era il ceramista accreditato per la creazione delle tazze per la cerimonia del tè che in Giappone ha un significato profondamente religioso in quanto segno di pace e riconciliazione. Da allora il primogenito della dinastia ha mantenuto questa investitura quasi sacra tanto che alcuni pezzi sono considerati tesoro nazionale ed hanno un valore incalcolabile. La tecnica Raku, di ascendenza così antica e rituale, ha segnato profondamente la ceramica contemporanea sperimentale e d'avanguardia in tutto il mondo. A Faenza sono state esposte in mostra le opere di tutte le 15 generazioni della famiglia Raku per un totale di centosei pezzi, dal XVI al XX secolo, provenienti dal Museo Raku di Kyoto e da altre collezioni pubbliche e private giapponesi. Museo Internazionale delle Ceramiche 69 Per una storia della ceramica di Faenza. Materiali dalle Mura del Portello Significativa selezione dell'ingente quantità di frammenti recuperati nel 1967 nel centro storico di Faenza, durante gli scavi realizzati per l'ampliamento dell'Ospedale Civile. Il materiale rappresenta un ampio arco cronologico che va dal XIV al XVII secolo e che comprende maiolica, scarti di fornace e vasellame per infornamento. In occasione della mostra è stata presentata un opera in due volumi - a cura di Gian Carlo Bojani - che ricostruisce le tappe del lungo lavoro di catalogazione, restauro e studio realizzato sui materiali. Museo Internazionale delle Ceramiche 70 1998 Capolavori di maiolica della Collezione Strozzi Sacrati La mostra ha esposto per la prima volta al pubblico una ricchissima parte delle raccolte d'arte di una tra le più illustri famiglie italiane, che ha vissuto e partecipato la storia di Firenze, Mantova e Ferrara. La raccolta proposta a Faenza è stata l'ultima parte di un ben più vasto complesso andato disperso tra musei e collezioni private dopo la scomparsa dell'ultimo erede della casata, il marchese Uberto Strozzi Sacrati. Attraverso una collezione di ceramiche d'indiscusso interesse scientifico ed estetico, è stato possibile riesaminare alcuni filoni delle arti applicate italiane, nonché apprezzare le abitudini collezionistiche e mecenatistiche della nostra aristocrazia. Si va dal Quattrocento toscano alla maiolica faentina del primo Cinquecento; dall'"istoriato" pesarese e urbinate, alla maiolica rinascimentale di Deruta; da due tondi robbiani molto significativi, alla produzione marchigiana del tardo XVI secolo; dai "bianchi" di Faenza, ad esemplari di Caltagirone o del Seicento e Settecento toscano, savonese, faentino e persino una cospicua sezione di Iznik. Completano la collezione vetri rinascimentali veneziani, metalli islamici, oggetti d'oreficeria e una "canoviana" Maddalena penitente in terraglia, oltre a un busto in marmo attribuibile alla scuola del Canova. Filippo Comerio disegnatore Alla nutrita raccolta di disegni - fulcro della mostra, attinti in prevalenza da fondi privati - hanno fatto da corollario una selezione di dipinti e uno splendido insieme di maioliche, figurate a "piccolo fuoco" dallo stesso pittore, posseduto dall'istituzione faentina. L'intento del Museo è stato quello di contribuire a far luce su una personalità affascinante quanto sfuggente, la cui notorietà è rimasta ancorata proprio alle testimonianze di creatività spesa nelle fabbriche locali del conte Annibale Ferniani o dei soci Ragazzini-Benini. Il nome di Comerio fu associato al pigmento d'effetto smeraldino che egli predilesse per le sue composizioni monocrome sullo smalto bianco: il "verde Comerio". 2000 Gaetano Ballardini e la ceramica a Roma - Le maioliche del Museo Artistico Industriale di Roma - Oltre il frammento - Forme e decori della maiolica medievale orvietana 71 Museo Internazionale delle Ceramiche Il Museo ha dedicato due mostre a Gaetano Ballardini, fondatore nel 1908 del Museo stesso e profondo conoscitore della maiolica. Il filo rosso che lega il nome di Ballardini alle rassegne sta nella sua opera di catalogazione delle maioliche conservate a Roma presso lo scomparso Museo Artistico Industriale e nei rapporti di studio con Giulio Del Pelo Pardi e Pericle Perali sulla maiolica orvietana. Il M.A.I. comprende raccolte di numerosi ed eterogenei manufatti d'arte applicata, tra i quali una collezione di maioliche catalogata dal Ballardini nel 1929, in un periodo nel quale si stavano ancora elaborando i criteri e le metodologie per uno studio scientifico della ceramica italiana. La rassegna "Oltre il frammento" espone la collezione di ceramiche medievali donata nel 1950 al Museo Nazionale di Palazzo Venezia dall'ingegnere Giulio Del Pelo Pardi, cultore di archeologia agraria e di collezionismo, legato da sincera amicizia oltre che da profonda stima allo studioso faentino. Museo Internazionale delle Ceramiche 72 Tre mostre di Enzo Mari. Tra arte del progetto e arte applicata Con questo lavoro Mari ha voluto mettere in luce la prima ragion d'essere del "manufatto", ovvero la corrispondenza fra progetto ed esecuzione. Un percorso espositivo in cui si sono evidenziate la necessità di perseguire la qualità e l'importanza della riacquisizione da parte dell'artigiano della propria autonomia progettuale. La prima mostra, Il piccolo museo, è stata un'esposizione di 44 opere di varia provenienza, risultato di una scelta qualitativa operata da Mari all'interno della grandiosa raccolta conservata nel museo. La seconda mostra, Regesto di Enzo Mari, si trattava di una raccolta di 150 progetti in ceramica da lui realizzati nell'arco di un trentennio per l'industria italiana e straniera. Nella terza mostra, I garofani sono peonie, Mari ha esposto 23 grandi tavole a colori, risultato di una approfondita analisi semiologica del "garofano", il celebre decoro faentino settecentesco. Aligi Sassu. L'opera ceramica Mostra dedicata all'intera produzione ceramica dell'artista Aligi Sassu. Nel superamento dell'itinerario tradizionale dell'opera di questo protagonista dell'arte del nostro secolo, questo evento è configurato come la prima esaustiva indagine sulla sua produzione ceramica che va dal 1939 - con i primi Cavalli marini in terracotta smaltata policroma - ai più recenti lavori del 2000. Numerosi gli esemplari inediti presentati al pubblico, fra cui anche un corpus di disegni e bozzetti preparatori che testimoniano come Aligi Sassu abbia coltivato ogni esperienza artistica e ne abbia tratto forza per diventare "artista universale". Sassu rappresenta una fra le novità più interessanti della ceramica italiana del XX secolo, e nell'ambito della ceramica sta proprio la sua più alta qualità di "plastificatore" e il suo virtuosismo di pittore. Lungo le vie della devozione. Cinque secoli di immagini della Vergine e dei santi nelle targhe devozionali dell'Emilia-Romagna 73 Museo Internazionale delle Ceramiche L'idea di porre le targhe ceramiche devozionali al centro di un fenomeno territoriale complesso ispirò il catalogo delle collezioni di targhe del MIC, pubblicato nel 1984 a cura di Maria Cecchetti, la cui ristampa nel 2000 ha permesso di raccogliere indicazioni per una mostra originale ed unica nel suo genere che ordina esemplari inediti di targhe, tutte di grande interesse, sia per la storia della ceramica sia per la storia della religione e delle tradizioni devote in Emilia Romagna. E' in progetto una mostra, a cura di Gian Carlo Bojani e Maria Cecchetti, di 280 esemplari, di cui un centinaio scelti dalle collezioni del Museo e gli altri da varie collezioni pubbliche e private. Le opere saranno raccolte in piccoli gruppi tematici, individuati secondo due linee di percorso. La prima segue il filo cronologico dal Quattrocento al Novecento, scandito per scuole ceramiche; l'altra raccoglie in modo sincronico alcune tematiche devozionali e iconografiche dominanti. Le due tracce si incontrano in modo complementare tale da guidare il visitatore lungo l'evoluzione della storia delle ceramiche in Emilia Romagna, alla scoperta delle particolari tematiche religiose e devozionali, individuate secondo raggruppamenti iconografici. Una selezione di queste opere, meno della metà, prevalentemente di proprietà del MIC, è stata esposta nel corso del 2000 a Bologna nella chiesa di San Giorgio in Poggiale e a Faenza presso il Museo. 10. Glossario dei termini tecnici e decorativi > Albarello (termine a radice araba) vaso cilindrico con corpo simile ai recipienti di canna di bambù usati in Oriente per la conservazione e il trasporto delle spezie; si diffuse sia in Spagna che in Italia nel periodo medievale e rinascimentale. > Biscotto Museo Internazionale delle Ceramiche 74 (ant. “bistugio”) oggetto foggiato e cotto una sola volta, atto però ad essere successivamente rivestito (con ingobbio, smalto o vernice) e quindi ricotto (da cui il termine biscotto). > Cartoccio (in gergo ceramico “gattone”) decorazione composta da una foglia sinuosa bipartita nascente da un bulbo centrale, che tende a riavvolgersi su se stessa; tale motivo si ispira alle cornici delle miniature gotiche. > Terrecotte ingobbiate e graffite (o “faenze” ingobbiate e graffite) classe di ceramiche la cui superficie grezza è stata rivestita di uno strato di argilla bianca finissima, detto ingobbio. Sulla superficie così trattata si incide la decorazione usando uno stilo (o chiodo); infine per dare impermeabilità e lucentezza all’oggetto, lo si copre con un sottile strato di vernice (o vetrina) trasparente, spesso variegata con tocchi di colore verde (rame) e bruno (ferraccia). > Cineserie motivi venuti di moda in Europa nella seconda metà del secolo XVII, ispirati ai prodotti cinesi e giapponesi. Vennero impiegati inizialmente soprattutto dalle officine olandesi, e in seguito ebbero largo uso presso tutte le officine europee. > Famiglia ad occhio di penna di pavone classe di maioliche decorate con un motivo che si ispira all’“occhio” che orna l’estremità della penna del pavone. In questa famiglia un giallo intenso, che si denomina appunto “giallo pavone”, si affianca ai colori tradizionali. > Famiglia alla porcellana classe di maioliche con decorazione di diretta ispirazione estremo-orientale, in particolare dalle porcellane cinesi della dinastia Ming (1368-1644) sia per l’ornato vegetale che per la monocromia turchina su fondo bianco. > Famiglia della palmetta persiana classe di maioliche decorate con temi tratti soprattutto dalle decorazioni dei tessuti orientali e che utilizza in modo particolare un motivo composto da un fiore con petali embricati, somigliante ad una pigna; tale fiore, detto palmetta persiana, compare a volte dipinto come visto di profilo o dall’alto (rosetta). > Famiglia della zaffera in rilievo (detta anche a foglie di quercia o a goccioloni) classe di maioliche decorate utilizzando una zaffera, talora abbinata al verde, applicata sia a corpo (zaffera a rilievo) sia diluita (zaffera diluita); tale tecnica sembra richiamarsi ad una particolare classe di ceramiche bicrome bizantine. > Famiglia floreale-gotica > Famiglia italo-moresca classe di maioliche il cui repertorio decorativo si richiama agli esemplari ceramici “ispano-moreschi”, dei quali tenta di imitare, utilizzando un verde gialliccio, l’effetto del lustro metallico dorato tipico delle superfici dei prodotti spagnoli. > Grottesca tipo di decorazione assai diffusa sulla maiolica italiana del Rinascimento, che s’ispira a quella ritrovata nei resti sotterranei della Domus Aurea (le cosiddette “grotte”); essa si compone di animali fantastici, cornucopie, busti, trofei ecc., disposti entro un ornato floreale stilizzato. > Maiolica (terracotta smaltata o “faenza” smaltata) prodotto ceramico a pasta colorata (dal giallo chiaro al rosso mattone), porosa, con un rivestimento vetroso coprente, solitamente bianco, detto smalto. A volte tale smalto veniva colorato aggiungendo alla miscela di preparazione ossido di cobalto, che gli conferiva una tonalità grigio azzurra; le maioliche così rivestite si denominavano “berettine”. > “Piccolo fuoco” (o “terzo fuoco” o “fuoco di muffola”) tecnica decorativa che si attua allo scopo di far aderire all’oggetto di ceramica già rivestito e cotto in precedenza, quindi già finito, quei colori che sopportano solo basse temperature, oro in particolare, mediante una cottura più bassa (600°). > Porcellana impasto argilloso composto, formato in genere da caolino, quarzo e feldspato; 75 Museo Internazionale delle Ceramiche classe di maioliche la cui decorazione, oltre ad assumere temi ornamentali moreschi tratti dal repertorio della famiglia italo-moresca, impiega elementi della cultura tardo-gotica e in particolare della miniatura; di quest’ultima adotta soprattutto il tema della foglia accartocciata (vedi cartoccio). compatto, bianco madreperlaceo, più o meno traslucido. La porcellana dura cuoce a temperatura variabile fra i 1280° e i 1300°. Antico prodotto dell’Estremo Oriente, esso fu introdotto in Europa soltanto agli inizi del XVIII secolo. > Quartiere modo di decorare le superfici delle maioliche con scansioni in zone di colori alterni. > Raffaellesca Museo Internazionale delle Ceramiche 76 motivo decorativo ispirato alla grottesca, impiegato da Raffaello e dalla sua cerchia negli affreschi delle Stanze Vaticane; esso si compone per lo più di minuti temi quali panoplie, putti, chimere, trofei d’armi antiche, strumenti musicali, festoni ecc., entro una sottile trama di tralci. > Stile arcaico (o fase arcaica) termine adottato in passato dagli archeologi per lo stile della ceramica attica a figure nere e in seguito usato da Ballardini per lo stile delle ceramiche medievali (XII-XIV sec.); si caratterizza in generale per l’uso parsimonioso del rivestimento (smalto) e altresì per una policromia che utilizza un bruno manganese per i contorni e un verde rame per le campiture. > Stile “bello” termine coniato in passato dagli archeologi per indicare lo stile della ceramica attica a figure rosse, e in seguito adottato da Ballardini per quella fase della maiolica faentina che segue il “primo istoriato”; sulle maioliche esso si caratterizza sia per le scene complesse, da cui anche il nome di “secondo istoriato”, sia per l’adozione di motivi decorativi quali cerquate o foglie di quercia, grottesche, quartieri ecc. > Stile compendiario il ceramologo faentino Gaetano Ballardini derivò la denominazione di “compendiario” dal termine usato dagli archeologi per un tipo di pittura romana (pictura compendiaria), sviluppatasi verso la fine del I secolo d.C., nella quale la tecnica di dipingere con rapidi ed essenziali tocchi di pennello riprendeva modi peculiari della precedente pittura ellenistica. > Stile fiorito come il precedente stile “bello”, è anch’esso da riferirsi alla ceramica attica, e in particolare a quella del periodo di Meidias ed è stato in seguito adottato da Ballardini per quella fase della maiolica faentina che segue il “secondo istoriato”. Su questo esso si caratterizza, oltre che per una ulteriore maturazione del genere “istoriato”, da cui anche la denominazione di “terzo istoriato”, anche per il grande virtuosismo delle forme e per l’uso dominante della “raffaellesca”. > Stile istoriato termine che indica lo stile decorativo rinascimentale caratterizzato da complesse rappresentazioni figurate e aneddotiche. Si divide in due fasi: primo istoriato e secondo istoriato. > Stile “severo” termine adottato in passato dagli archeologi per lo stile della ceramica attica a figure rosse, e in seguito usato da Ballardini per lo stile iniziale della maiolica italiana (dal 1420 sino alla fine del secolo), e che comprendeva varie “famiglie” decorative. prodotto ceramico a pasta bianca, porosa, molto leggera, solitamente rivestito con una vernice piombifera trasparente. Inventata dai vasai inglesi dello Staffordshire nel XVIII secolo, la terraglia si diffuse poi largamente in molte altre officine europee. > Zaffera colore turchino scuro intenso, il cui nome deriva dalla parola araba “al-safra”, cioè cobalto. (Glossario tratto da: BOJANI GIAN CARLO - RAVANELLI GUIDOTTI CARMEN (a cura di), Maioliche di Faenza dal Trecento al Novecento. Selezione di opere. Faenza, Studio 88, 1998, ed. riveduta e ampliata). 77 Museo Internazionale delle Ceramiche > Terraglia Bibliografia Museo internazionale di faenze in Faenza. Catalogo al 29 giugno 1909. Faenza, Tip. Sociale faentina, 1909. Museo Internazionale delle ceramiche in Faenza, Statuto e regolamento. Faenza, 1919. L'opera d'un decennio, 1908-1918, in "Faenza", numero commemorativo del primo decennio dalla fondazione del Museo, 1908-1918. Faenza, Tip. F. Lega, 1919. Museo Internazionale delle Ceramiche 78 Gli Istituti di Faenza per l'arte della ceramica. 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CECCHETTI MARIA, Targhe devozionali dell'Emilia Romagna (Catalogo generale delle raccolte del Museo internazionale delle ceramiche, 1). Faenza, Edit Faenza, 2000 (ed. con aggiornamenti). 7 in Faenza Il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, fondato nel 1908 da Gaetano Ballardini, è nel suo genere la più grande raccolta al mondo. Nelle sue raccolte è documentata la storia e la cultura della ceramica nei cinque continenti attraverso i secoli, dall'antichità classica fino ai giorni nostri. Accanto alla grande produzione italiana ed europea dal Basso Medioevo al Rinascimento, dal Seicento all'Ottocento, importanti sezioni sono dedicate al Medio e all'Estremo Oriente, all'America precolombiana, all'Africa, all'Asia. La ceramica del Novecento, italiana e internazionale, è rappresentata anche da artisti universalmente riconosciuti tra i quali Picasso, Matisse, Chagall, Leoncillo, Fontana, Martini. Notevoli le sezioni della ceramica popolare delle varie regioni italiane, come quelle dei prodotti industriali di design. Da sottolineare anche la sezione della grande biblioteca specializzata, quelle del restauro e della didattica. > Museo Internazionale delle Ceramiche Viale Baccarini, 19 48018 Faenza (Ra) in Faenza Museo internazionale delle Ceramiche in Faenza Museo Internazionale delle Ceramiche Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza tel. 0546 697311 fax 0546 27141 - 697318 http://www.micfaenza.org Sistema Museale della Provincia di Ravenna e-mail: [email protected] Provincia di Ravenna